"Caso FIAT di Melfi": reingresso in azienda e reintegrazione nelle

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"Caso FIAT di Melfi": reingresso in azienda e reintegrazione nelle
Employment Newsletter
settembre 2010
"Caso FIAT di Melfi": reingresso in azienda e reintegrazione nelle
mansioni in caso di licenziamento dichiarato antisindacale
Recentemente ha avuto un forte impatto mediatico il caso dei tre
operai addetti allo stabilimento della Fiat Sata di Melfi il cui
licenziamento è stato dichiarato illegittimo dal Giudice del Lavoro che
ne ha ordinato la reintegrazione in azienda. L'interesse per la vicenda
è ulteriormente aumentato a seguito della decisione dell'impresa
datrice di non consentire ai lavoratori la ripresa dell'attività lavorativa
presso la catena di montaggio dello stabilimento (pur consentendo
loro l'ingresso in azienda) e del successivo "appello" dei tre lavoratori
al presidente della Repubblica Napolitano per ottenere il rispetto del
loro diritto di libertà sindacale.
In evidenza:
"Caso FIAT di Melfi": reingresso in
azienda e reintegrazione nelle mansioni
in caso di licenziamento dichiarato
antisindacale
La vicenda, com'è noto, trae origine dal comportamento contestato
dalla Fiat Sata a tre operai iscritti al sindacato FIOM-CGIL, due dei
quali con funzione di delegati sindacali. I fatti si sono verificati nel
mese di luglio 2010, e vanno inseriti nel più ampio contesto di una
serie di scioperi che hanno coinvolto lo stabilimento lucano, in risposta
ad un programma di ristrutturazione aziendale lanciato da Fiat a livello
nazionale. I tre lavoratori in questione si erano riuniti in assemblea
davanti ad un carrello di movimentazione posto all'interno dello
stabilimento. In base alla tesi di Fiat Sata, tale comportamento
avrebbe impedito il transito dei carrelli, così ostacolando il normale
svolgimento dell'attività aziendale; in base alla tesi dell'organizzazione
sindacale, invece, i lavoratori avrebbero sostato di fronte a carrelli già
fermi per ragioni estranee alla loro condotta, con la conseguenza che
da tale condotta non sarebbe derivato alcun danno all'attività
aziendale.
Il caso è stato portato all'attenzione del Giudice del Lavoro di Melfi,
con ricorso per condotta anti-sindacale ai sensi dell'articolo 28 dello
Statuto dei lavoratori. Il Giudice del Lavoro non ritenendo
sufficientemente provata l'intenzionalità del comportamento ascritto ai
tre lavoratori (ovvero la dolosa interruzione delle linee produttive) ha
ritenuto il licenziamento non giustificato ed ha conseguentemente
reintegrato i tre dipendenti nel proprio posto di lavoro.
Tuttavia, allorquando gli stessi si sono recati in azienda per riprendere
servizio, lo scorso 23 agosto, i responsabili dello stabilimento hanno
impedito il loro ingresso nello stabilimento ed hanno messo a loro
disposizione una saletta onde consentire loro unicamente lo
svolgimento dell'attività sindacale.
A fronte dei comportamenti descritti, l'organizzazione sindacale FIOMCGIL ha dichiarato di voler presentare una denuncia ai sensi dell'art.
650 c.p. nei confronti della Fiat Sata, per asserita inottemperanza
all'ordine di reintegrazione. Il caso, peraltro, verrà nuovamente
sottoposto al vaglio della magistratura, nel corso del prossimo mese di
ottobre, avendo Fiat Sata proposto ricorso avverso la decisione del
Giudice di prime cure.
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antisindacale
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Questo caso ha portato alla ribalta, in particolare, la questione relativa alla possibilità di ottenere l'esecuzione in via
coattiva di un ordine di reintegrazione.
Va preliminarmente segnalato che sul punto si registra un orientamento giurisprudenziale consolidato, in base al
quale si deve distinguere fra l'obbligo di consentire il reingresso in azienda, ritenuto suscettibile di esecuzione
forzata, e "la ripresa completa da parte del lavoratore delle mansioni specifiche da lui svolte" (la c.d. reintegrazione
effettiva), considerata, al contrario, non suscettibile di esecuzione forzata. L'incoercibilità della reintegrazione
effettiva deriva dalla necessaria collaborazione che deve esistere tra datore di lavoro e lavoratore per l'esecuzione
della prestazione lavorativa, la quale non può essere "imposta fisicamente" al datore di lavoro tramite l'intervento
dell'ufficiale giudiziario.
Il caso tuttavia pone anche ulteriori problemi:
• sia in merito alla configurazione di un diritto al risarcimento dei danni alla professionalità subiti dai lavoratori,
rappresentando l'impossibilità di riprendere il regolare svolgimento dell'attività lavorativa una violazione dell'art.
2103 c.c.;
• sia in merito alla eventuale rilevanza penale dei comportamenti descritti ai sensi dell'art. 650 c.p. (ovvero
mancata ottemperanza all'ordine del Giudice).
Relativamente a quest'ultimo aspetto, in base ai principi che ispirano, in particolare, la tutela di cui all'art. 28 dello
Statuto dei lavoratori, è possibile affermare che la violazione dell'art. 650 c.p. derivi non dalla mancata
reintegrazione del lavoratore nelle mansioni svolte, ma dal perpetrarsi della condotta antisindacale oggetto del
procedimento ex art. 28. L'art. 28, infatti, attua una generale repressione della condotta antisindacale del datore di
lavoro, al fine di garantire "l'esercizio dell'attività e lo svolgimento della libertà sindacale" tutelati dall'art. 39 della
Costituzione (Cass. Sez. Un. 17 febbraio 1992, n. 1916).
Per decidere se risulti integrata la fattispecie di reato di cui all'art. 650 c.p., dunque, sarà necessario accertare se il
lavoratore cui è stato consentito il reingresso in azienda possa, o meno, svolgere normalmente la sua attività
sindacale. Questo anche laddove il lavoratore non sia stato assegnato alle mansioni precedentemente svolte.
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