4 – La pasqua – Esodo 12, 1 – 14
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4 – La pasqua – Esodo 12, 1 – 14
4 – La pasqua – Esodo 12, 1 – 14 Il racconto dell’istituzione della Pasqua si ascolta ogni anno, in occasione delle festività pasquali, quando cioè ci sono molte, troppe cose da dire, con la conseguenza che una trattazione adeguata del testo non si fa mai. È invece importante conoscere bene questo testo, per la sua importanza nell’Antico Testamento ma soprattutto per le sue conseguenze cristiane. Mosè ha cercato, inutilmente, di vincere le resistenze di Ramsete 3°, che oppone alle richieste ebraiche un progressivo indurimento di cuore. Le piaghe ottengono il risultato opposto: il popolo ebraico è sottoposto ad angherie crescenti, fino all’inevitabile scontro finale, cioè la morte dei primogeniti. Dio vuole liberare il suo popolo dalla schiavitù morale e materiale, trasformare degli schiavi in un popolo libero: perché questo accada, è necessario rompere le catene, cioè uscire dalla “casa di schiavitù” per entrare nella Terra. È un viaggio non solo geografico….è una purificazione, è una crescita progressiva, ricca di cadute, di passi falsi, di incertezze, come di battaglie e fatiche. Un viaggio che ogni credente è chiamato a compiere, se vuole davvero essere una persona libera. Un viaggio che inizia con una cena del tutto particolare. [1] Il Signore disse a Mosè e ad Aronne nel paese d'Egitto: [2] "Questo mese sarà per voi l'inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell'anno. [3] Parlate a tutta la comunità di Israele e dite: Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casa. [4] Se la famiglia fosse troppo piccola per consumare un agnello, si assocerà al suo vicino, al più prossimo della casa, secondo il numero delle persone; calcolerete come dovrà essere l'agnello, secondo quanto ciascuno può mangiarne. [5] Il vostro agnello sia senza difetto, maschio, nato nell'anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre [6] e lo serberete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l'assemblea della comunità d'Israele lo immolerà al tramonto. [7] Preso un po’ del suo sangue, lo porranno sui due stipiti e sull'architrave delle case, in cui lo dovranno mangiare. [8] In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. [9] Non lo mangerete crudo, né bollito nell'acqua, ma solo arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le viscere. [10] Non ne dovete far avanzare fino al mattino: quello che al mattino sarà avanzato lo brucerete nel fuoco. [11] Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la pasqua del Signore! [12] In quella notte io passerò per il paese d'Egitto e colpirò ogni primogenito nel paese d'Egitto, uomo o bestia; così farò giustizia di tutti gli dei dell'Egitto. Io sono il Signore! [13] Il sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro: io vedrò il sangue e passerò oltre, non vi sarà per voi flagello di sterminio, quando io colpirò il paese d'Egitto. [14] Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione, lo celebrerete come un rito perenne. Per capire questo testo, è necessario fare un passo indietro. Il popolo ebraico nasce come un popolo di pastori: Abramo, Isacco e Giacobbe erano pastori nomadi, abituati al viaggio lungo le carovaniere della Mezzaluna fertile. Pastori nomadi erano i discendenti dei patriarchi, prima di diventare degli schiavi, costretti alla vita sedentaria nella zona del delta del Nilo. Nella tradizione dei pastori, l’inizio della primavera era il tempo della partenza dai pascoli invernali per raggiungere le zone più fresche, per evitare il caldo torrido dell’estate. Prima della partenza, alla prima luna di primavera, (il calendario ebraico, tuttora, è lunare: i mesi hanno 28 giorni, ed il 14 di ogni mese è il giorno del plenilunio) c’era un rito apotropaico: si sacrificava un agnello per gregge, per poter affrontare le difficoltà del viaggio con maggior sicurezza. Il ragionamento era semplice: un agnello lo sacrifico e lo offro alla divinità, che, così saziata, lascerà stare il resto degli agnelli. Al popolo di schiavi sedentarizzati è riproposto un rito che risaliva alla notte dei tempi, e che faceva parte delle radici culturali, dimenticate ma ancora validissime. Un rito tradotto in un modo comprensibile ai discendenti degli antichi pastori: il sangue non viene più asperso sul gregge, ma posto sulle porte delle case abitate dagli ebrei, che diventano così i componenti del gregge che si vuole preservare dal male. L’agnello si mangerà cotto sul fuoco, mangiato in fretta, con i sandali ai piedi e i fianchi cinti, sarà mangiato prima di partire per il viaggio verso la libertà. Il sangue sulle porte sarà il segno per evitare lo sterminio, che colpirà invece gli egiziani. La morte dell’agnello diventa quindi necessaria per la vita del popolo: il suo sangue diventa il lasciapassare per la sopravvivenza. Ogni anno il popolo dovrà ripetere questa cena: perché il ricordo dovrà preservare dalla tentazione insidiosa dell’oblio. Solo la memoria, preservata in una cena rituale a cui nessun ebreo rinuncia neppure al giorno d’oggi, aiuterà il popolo a mantenere la propria libertà intatta da ogni schiavitù: le erbe amare ricordano la fatica e l’amarezza del della schiavitù, il pane azzimo, fatto con le prime spighe di orzo, il segno dell’essenzialità necessaria a chi deve viaggiare; l’agnello che ricorderà il necessario sacrificio per la liberazione… Questa stessa cena, ripetuta in ogni famiglia per generazioni, diventerà il contesto dell’Ultima Cena, che resta inspiegabile, incomprensibile se sganciato dalle sue radici culturali. L’esilio babilonese aveva reso impossibile il sacrificio degli agnelli, che vennero sostituiti dal pane azzimo. Al tempo di Gesù, solo gli abitanti di Gerusalemme e zone limitrofe potevano mangiare un agnello benedetto e macellato dai sacerdoti al Tempio; chi abitava in Galilea, come Gesù, era abituato a mangiare non l’agnello ma il pane azzimo. Di conseguenza, Gesù prendendo il pane, spezzandolo e distribuendolo ai discepoli, accompagnando il gesto con le parole “prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo”, compie un’operazione molto chiara ai discepoli, non altrettanto a noi: afferma di essere lui l’agnello che deve essere sacrificato per la vita e la libertà del popolo. Stesso concetto poi col vino, simbolo del sangue: bere dal calice che Gesù fa girare accompagnando il gesto con le parole che fanno diventare quel vino il suo sangue significa accettare il passaggio concettuale decisamente ardito proposto da Gesù. La Pasqua allora ha tre passaggi successivi: 1) la pasqua dei pastori, con il sacrificio di un agnello per il bene del gregge prima della transumanza; 2) la pasqua del popolo ebraico, in cui il sangue dell’agnello salva non il gregge ma il popolo alla vigilia di un viaggio verso la libertà e la salvezza dalla schiavitù 3) la pasqua cristiana, che dalla cena rituale ebraica trae le sue origini, sviluppandosi in una prospettiva che non cancella ma trasforma le sue componenti principali. I cibi della cena rituale ebraica, cioè il pane azzimo ed il vino, diventano i cibi necessari per la liberazione del popolo da ogni schiavitù, morale e materiale. Noi cristiani abbiamo ricevuto un pane e del vino, facendoli diventare dei sacramenti, correndo sempre però il rischio di vivere l’Eucarestia in modo solo devozionale, perdendo così di vista le motivazioni, antiche ma sempre validissime, che stanno alle sue radici. L’Eucarestia non è il premio per i buoni, ma il pane per il viaggio per chi non vuole più essere schiavo. Non è un diploma di merito, ma il cibo per chi sa di essere fragile e ha bisogno di sostegno per un cammino che sa difficile e complesso: la tentazione di tornare alla schiavitù si ripresenta infatti ad ogni momento difficile, ad ogni insuccesso. Solo un continuo tornare ai testi biblici, che spiegano il senso delle cose che facciamo, ci aiuta a vivere bene la Santa Messa, celebrazione della nostra uscita dalla “casa di schiavitù” e inizio di un tempo di progressiva liberazione, esteriore come intima.