Considerazioni sulla fenomenologia dell`esperienza religiosa

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Considerazioni sulla fenomenologia dell`esperienza religiosa
Considerazioni sulla fenomenologia dell’esperienza religiosa
Edda Molinari
“Io non sono un uomo di fede, sono un uomo di ragione e diffido di tutte le fedi, però
distinguo la religione dalla religiosità. Religiosità significa per me semplicemente avere
il senso dei propri limiti. L’unica cosa di cui sono sicuro è semmai che io vivo il senso
del mistero, comune tanto all’uomo di ragione quanto all’uomo di fede. Ho riflettuto sui
grandi temi dell’esistenza e nessuna delle risposte della religione non mi ha mai
convinto. Credo molto più nella ragione scientifica: è il progresso tecnico - scientifico
che ha travolto e travolge le credenze tradizionali della fede. Gli anni dell’età del cosmo
e poi la vita e milioni di anni d’evoluzione, sono cose sconvolgenti cui la fede non dà
alcuna risposta. Però nello stesso tempo, neppure io sono riuscito a darmi delle risposte.
Mi riesce difficile capire come l’inspiegabile possa essere principio di spiegazione e
l’inconoscibile fonte della conoscenza. Rivelazione o ragione, per me esiste solo il
senso del mistero e questo non sapere, che io chiamo il senso religioso della mia
persona, mi assilla, mi agita, mi tormenta. Probabilmente dipende dalla mia incapacità
di andare al di là, ma nel non aver trovato alla fine della vita, una risposta alle domande
ultime, la mia intelligenza è umiliata e io accetto questa umiliazione e continuo a
cercare”. (Norberto Bobbio).
Così l’uomo è condannato a vivere nel mondo da spettatore, contemplando impotente
ciò che accade, con l’angoscia e lo smarrimento, che derivano da una libertà
imprigionata nel limite della ragione, considerata come unico metro di verità. I vani
sforzi della ragione dovrebbero tuttavia, servire ad evidenziare il dovuto senso della
differenza incommensurabile, che esiste tra il condizionato e l’incondizionato e
condurre verso l’accettazione dell’inconoscibile in quanto tale.
L’esistenza di un mistero che sempre esige di essere interpretato è la ricerca della
verità originaria inclusa in ogni religione. D’altra parte, anche la scienza urta contro il
mistero che avvolge la natura ultima della realtà, di cui essa studia le manifestazioni.
Le idee scientifiche ultime (tempo, spazio, materia, forza, coscienza finita o infinita),
non possono, infatti, essere comprese dalla nostra conoscenza, chiusa entro il limite del
relativo. Certamente per mezzo della scienza essa progredisce e si accresce
incessantemente, ma questo progresso, come descrive Spencer, consiste nell’includere
verità speciali in verità generali e verità generali in verità ancora più generali, ne
consegue che la verità più generale, la quale non ammette inclusioni in una verità
ulteriore è inconoscibile, data la relatività costitutiva della conoscenza umana e
destinata, pertanto, a rimanere un mistero.
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La religione richiama quindi al riconoscimento del mistero della causa ultima, mentre
la scienza non può che estendere la conoscenza dei fenomeni, tuttavia intesi come
manifestazioni di un’inconoscibile causa ultima.
Le modalità della conoscenza attraverso le quali l’uomo persegue il raggiungimento
della verità, sono la percezione della realtà visibile, che si realizza mediante i sensi, e la
percezione di una realtà invisibile, spirituale, non ricavabile dall’evidenza sensibile.
La natura è il luogo dove si manifesta la conoscenza del reale, dove avviene la
comunicazione umana e dove le singole realtà possono essere colte, secondo una sorta
di “necessità metafisica”, come manifestazioni di un Essere Originario e Originante.
Questa necessità metafisica, non nasce da idolatria passiva, deriva piuttosto
dall’intuizione di un’intima appartenenza a quell’Essere Assoluto e da un’indecifrabile
nostalgia per quell’Origine Infinita. È un sapere senza conoscere, dove ragione e parole
non hanno potere: come ragionare dell’Assoluto e come usare per l’infinito, le parole,
strumenti di definizione? La risposta è un’apparente non risposta: lo so perché lo so.
La comprensione della tautologia che esprime una fede metafisico – naturalistica,
avviene quando si compie il passaggio da un sapere senza conoscere naturale, al
conoscere spirituale.
Il passaggio da un connaturato sapere senza conoscere dell'istinto, all’esperienza del
conoscere spirituale, si realizza attraverso la fede, che scatta in un preciso momento, il
momento della Rivelazione, quando si verifica per l’uomo, originalmente, la venuta di
Dio nel mondo.
Quell’istante, come lo definisce Kierkegaard, si rinnova ogni volta per il singolo, non
nel ricordo storico dell’Incarnazione, ma nell’incontro in piena contemporaneità con
Cristo. Incontro che non avviene in un’unica circostanza: il concetto di contemporaneità
è, infatti, esteso all’intera vita umana, dove l’esperienza personale della Rivelazione, si
ripete e Cristo “entra” infinite volte, nel modo più adatto, unico ed esclusivo, per
ognuno, in un particolare momento del destino.
E’ l’effetto della Rivelazione il processo della conoscenza spirituale, la quale non si
rende concreta nella natura, come avviene per la conoscenza sensibile, ma si sviluppa in
un altro territorio: il Territorio del Verbo, della Parola che Dio Padre, ci dona in Gesù
Cristo attraverso la Rivelazione. Questa Parola che ci consente di comunicare, non è un
contenuto intellettuale, o una serie di dati, cioè una parola descrittiva, ma un Pensiero
che ci fa crescere nella conoscenza, introducendoci progressivamente all’interno della
sua stessa Intelligenza, come Parola prescrittiva, normativa (Santi Corsi).
La Verità diventa così Guida dell’intelligenza umana che ad Essa si sottomette con
l’umiltà dell’obbedienza, intesa come libera adesione della mente e del cuore,
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all’operazione assimilante ed elevante di Dio che, transnaturandoci radicalmente, ci
rende capaci di conoscerlo.
Tutto questo non svilisce la conoscenza naturale e razionale, ma la innalza ad una
dignità superiore, rendendola strumento dello sviluppo di un disegno, al quale è
chiamata a collaborare attivamente.
Così l’uomo non sarà più condannato a vivere nel mondo da spettatore, ma potrà
partecipare al realizzarsi di quell’opera che, secondo il progetto di Dio, attraverso di lui,
come singolo uomo, e di lui soltanto, potrà compiersi.
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