produzione dei lApislAzzuli

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produzione dei lApislAzzuli
Alcune considerazioni sulla glittica post-antica: la cosiddetta
«produzione dei lapislazzuli»
Gabriella Tassinari
Abstract
The well-known lapis lazuli set of gems, called “lapis lazuli workshop”, is a group of mass-produced gems, carnelians,
aga­tes and especially lapis lazulis, not attributed, often of low quality, engraved in sixteenth and seventeenth centuries. Their subjects and style may have been inspired by gems of the later Roman Empire; therefore they are frequently
confused with ancient specimens. The output of these gems has been huge; one finds many such gems in each public
and private collection; however most of them are yet unpublished. The question as to the provenance of the lapis lazuli group is not yet satisfactorily answered. The lapis gems with figures and those with heads were cut in the same
workshops; the recurrent characteristics and the similarity of many products (they can be divided in some groups with
a uniform style) points to a limited number of workshops situated in proximity to one another. Most scholars think
that likely these gems come from somewhere in northern Italy, particularly Venice or Milan.
1. Definizione, obiettivi e limiti del lavoro
Nell’ambito della glittica anonima post-classica – una realtà molto ampia, variegata e complessa, finora parzialmente nota, soprattutto per i secoli
XV - prima metà del XVIII – una delle produzioni più riconosciute è quella della cosiddetta «officina dei lapislazzuli». Poiché gli esemplari sono
assai numerosi, nelle pubblicazioni si incontrano
molto frequentemente: talvolta sono stati oggetto
di analisi, talaltra non si sono identificati. Lo studio dei nuovi cataloghi che arricchiscono il panorama, ma, data la sede, spesso si limitano a riportare
alcuni dati conosciuti, senza approfondire l’argomento, l’esame degli intagli della collezione conservata a Verona, ai Civici Musei d’Arte, la visione di alcune raccolte pubbliche e private, inedite,
mi hanno indotto ad affrontare uno studio specifico su tale produzione. Infatti mi sembra giunto il
momento di esaminare lo status quaestionis, ripercorrendo brevemente la storia degli studi, richiamando i punti salienti della problematica, benché
alcuni di essi siano ben noti, presentando una serie di dati sistematizzati e rielaborati, tentando un
bilancio, offrendo alcuni spunti per ricerche future
e una serie di ipotesi di lavoro, che non paiono azzardate o arbitrarie, la cui validità potrà esser verificata dai prossimi studi.
Ma problematico ed arduo si è rivelato, in vari
casi, selezionare ed isolare gli esemplari appartenen-
ti alla produzione dei lapislazzuli, riorganizzare ed
elaborare il materiale per meglio delinearne i connotati. Infatti la produzione in esame è solo una delle varie correnti stilistiche nell’ambito di una realtà
poco conosciuta; la distinzione dalle altre correnti
è spesso accettabile più in sede teorica che pratica.
Se il principale filo conduttore per individuare
questa produzione rimane il lapislazzuli, ad esso
si affiancano varie altre pietre, in primis la corniola, aumentando notevolmente la documentazione.
Tuttavia, un eccessivo ampliamento, giustificato
dal copioso materiale, rischia di diventare onnicomprensivo e sfuggente ad ogni definizione. Perciò, al fine di circoscrivere i contorni di una ricerca
che si dilatava oltre i confini prefissati, ho scelto di
rimandare ad altra sede l’analisi di quegli insiemi
di gemme individuati, che hanno rapporti, più o
meno stretti, con questa produzione, ma non sembrano ad essa riconducibili. Si è comunque perfettamente consapevoli di come i criteri adottati possano parere opinabili e distinzioni e delimitazioni
siano a volte non ben precisate. Il presente contributo rispecchia lo stato degli studi; non ha certo la
pretesa di offrire un quadro definitivo della produzione dei lapislazzuli, ma si pone come una riflessione su quegli aspetti che la ricerca consente attualmente di esaminare e discutere.
Vanno perciò precisati il taglio dello studio e
i suoi limiti, per giustificare delle omissioni che
sono scelte deliberate. Operata una definizione del
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campo di indagine, non si sono esaminate le varie iconografie nell’ambito della temperie figurativa
dell’epoca, né, tranne qualche caso particolarmente significativo o fondamentale, è stato analizzato
il modo in cui alcune di queste gemme erano spiegate, interpretate o discusse nei testi del periodo.
Infatti eruditi, esperti antiquari, collezionisti, che
godevano di prestigio e fama, come, ad esempio,
Leonardo Agostini, Paolo Alessandro Maffei o Antonio Francesco Gori – che con il suo monumentale Museum Florentinum (1731-1732) poneva a disposizione di tutti le riproduzioni di oltre 1200 gemme
e raccoglieva numerosi calchi di gemme, anche in
lapislazzuli – mirano all’identificazione dei soggetti raffigurati sulle gemme attraverso interpretazioni, citazioni di fonti letterarie e iconografiche, congetture più o meno verosimili, fondate sul costume
degli antichi o sull’autorità degli scrittori. Le discussioni, i riferimenti eruditi, le disquisizioni morali, i
commenti di tipo antiquariale, spesso ai nostri occhi aleatori o meglio oziosi, ma emblematici della
cultura del tempo, se affrontati in modo adeguato e
esaminati nel loro contesto, avrebbero fatto lievitare
a dismisura il lavoro già voluminoso; e comunque
non sarebbero serviti al fine di questo contributo.
Non sono stati presi in considerazione tutti i
casi, antichi e non, in cui il lapislazzuli è stato usato per scopi chiaramente magici o comunque legati
a contesti magici e rituali, che preferiscono il lapislazzuli, come appunto le gemme magiche.
Non sono stati esaminati anche quegli esemplari
in lapislazzuli connessi in modo più o meno diretto
con l’Egitto, perché inquadrabili in un fenomeno,
una tradizione ed un contesto culturale ben differente, che esula dallo scopo di questo studio.
Un altro spinoso problema – che mi riservo di
indagare in futuro – riguarda le riproduzioni in vetro che imitano pietre incise in lapislazzuli. Infatti
in linea generale è arduo e spesso impossibile discernere esemplari in vetro antichi, realizzati nello stesso periodo degli originali, da quelli moderni, cioè eseguiti dopo vari secoli, e specie nel XVIII
secolo, quando vengono prodotte quantità cospicue
di paste vitree 1. Comunque le imitazioni vitree del
lapislazzuli (almeno quelle edite con la relativa immagine) non presentano le caratteristiche più tipiche della produzione qui esaminata.
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Così, oggetto di un prossimo contributo saranno i cammei in lapislazzuli: un insieme differente,
spesso di alta qualità, che non mostra alcuna analogia con le peculiarità dell’officina dei lapislazzuli;
sembra si possa definirla una produzione diversa.
Uno dei risultati più interessanti emersi dall’analisi dei pezzi – ma anche una delle difficoltà dalla
ricerca – è che nell’ambito della produzione dei lapislazzuli si distinguono vari gruppi, a livello iconografico e stilistico, che si possono definire ‘insiemi’, ‘correnti’, ‘filoni’. Dunque, si evidenzia che
pezzi, tra loro più o meno simili e a volte pressoché
identici, si possono riunire e collocare in diversi ‘filoni’: ma, data la situazione degli studi, il tentativo
di ricollegarli a singole ‘officine’ si potrebbe rivelare prematuro, più che arbitrario. Potrebbero provenire da un solo atelier quegli intagli, in lapislazzuli e in corniola (ma anche in altri materiali), con
tipi ricorrenti, resi nello stesso modo (ad esempio
l’Amore stante del filone 1, gruppo B); il confronto
tra le gemme è stringente, talvolta sino nei particolari, uguali. Un altro esempio è un insieme di intagli con Vulcano al lavoro come fabbro che presenta
uno schema compositivo comune (filone 1, gruppo
D). Va però ribadito che non è una classificazione
rigida: pezzi che presentano caratteristiche di più
‘filoni’ (ad esempio per il tipo di panneggio o il profilo dei visi) evidenziano che si tratta comunque di
un ‘comune denominatore’, cioè di una produzione
assai vasta all’interno della quale si situano differenti correnti in relazione più o meno stretta.
La divisione di questa produzione in filoni (non
in ordine cronologico; contrassegnati da un numero) e in gruppi (contraddistinti da una lettera) – differenti ma contemporaneamente in rapporto – e la
separazione dei pezzi, qui seguita, ha come obiettivo da una parte di evidenziare appunto il ‘comune denominatore’, dall’altra la varietà di motivi e
di stili riscontrata, con tanti influssi e scambi iconografici e stilistici. Anche l’inserimento di alcuni
intagli nell’ambito di questa produzione, che a prima vista potrebbe sembrare arrischiato, risulta invece giustificato in base al confronto con altri simili
pezzi ormai senza dubbi ad essa attribuiti.
Delle variazioni iconografiche e stilistiche si è
tenuto conto, evitando però di disperdersi nella
creazione di una serie infinita di varianti – inte-
Per un’analisi delle numerose questioni relative alle varie imitazioni con il vetro delle pietre preziose, si veda da ultimo Tas2009a, pp. 171-174; Tassinari 2009b; Magni, Tassinari 2009; Tassinari 2010a.
sinari
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ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
se nell’accezione di particolarità più o meno significanti riscontrabili all’interno di pezzi con caratteristiche comuni – la cui utilità diviene, alla fine,
nulla. Perciò spesso si è preferito semplificare, evidenziando pochi filoni con più gruppi.
Comunque, le continue revisioni apportate ai
gruppi sono la spia delle difficoltà incontrate (ad
esempio si è oscillato tra il rischio di dividere troppo e troppo riunire) e testimoniano come la classificazione viene effettuata in virtù di criteri ovviamente non sempre oggettivi: è questo in realtà un
limite comune a molte ricerche analoghe.
Si riscontra l’esistenza di filoni non solo nei lotti
più cospicui di questi intagli, cioè quelli del Museo
Archeologico Nazionale di Madrid 2, del Kunsthistorisches Museum di Vienna 3, di Monaco (Staatliche Münzsammlung) 4, della collezione Sloane al
British Museum 5, del Museo degli Argenti di Firenze 6, ma anche nei minori, come quelli dei Civici Musei d’Arte a Verona 7, dei Civici Musei di Udine 8, di Nimega (Provinciaal Museum G. M. Kam) 9,
del Museo Nazionale Ungarico di Budapest 10.
L’allargamento dei confini di questa produzione (necessario, come dimostra questo studio) implica che vada cambiata la stessa definizione. Tuttavia appare prematuro proporne una univoca e
adeguata. Senza dubbio va mantenuto il concetto di
‘massa’, ‘di vasta scala’, evidente nel termine Massenware in Lapislazzuli e Massenware in Kar­neol della Zwierlein-Diehl 11. Infatti il primo risultato lampante è la gran quantità dei pezzi.
Manneristic Gems, come ha denominato questi
intagli la Maaskant-Kleibrink 12, è una caratterizzazione che punta più sullo stile. Per comodità di riferimento, in questo studio sarà tenuta la definizione, ormai invalsa, di ‘officina’ o ‘produzione dei
lapislazzuli’.
Senza pretesa di completezza si è cercato però
di rintracciare e menzionare più esemplari possi-
bili, per non perdere la massa di informazioni raccolte (talvolta ha prevalso la linea di un recupero
dei dati sulla loro interpretazione che non sarebbe stata sicura), proprio per fornire elementi, anche quantitativi, per una più ampia ricostruzione
di questa produzione glittica. I paragrafi sono strutturati in modo diverso, secondo le esigenze della
ricerca. In molti casi è parso necessario ridurre le
indicazioni al minimo, dando solo l’attuale collocazione, a volte la collezione (per lo più per pezzi inediti), la datazione (generalmente riportata in
nota) fornita dal testo in cui la gemma è pubblicata,
anche se non condivisa e/o errata; invece ho proposto una datazione per gli intagli inediti o documentati solo da disegni (ad esempio quelli di Gronovius, di de Wilde) o i calchi del Gori e del Tassie.
Si sono organizzate le citazioni in ordine alfabetico secondo il luogo di conservazione, prima in Italia poi all’estero.
Dato lo scopo di questo studio, alcune immagini sono state prese dai testi, in cui le gemme sono
pubblicate. Si sono privilegiati gli esemplari più significativi, quelli più chiaramente leggibili, ma anche gemme inedite o tratte da testi dei secoli XVII
e XVIII. Per non offrire un panorama limitato e selettivo è sembrato essenziale – sia in presenza di
varianti sia di somiglianze stringenti – fornire più
fotografie di esemplari analoghi. Proprio a dimostrare affinità iconografiche e stilistiche si pubblicano le fotografie per insiemi omogenei, iconografici
e stilistici, cercando, ove possibile, di presentare i
pezzi dal più ‘classico’ al meno ‘classico’. Ne risultano tavole che dovrebbero costituire un’utile integrazione visiva alle teorie qui esposte.
2. Breve storia degli studi
Il primo a parlare della produzione dei lapislazzuli, attribuendola al XVI e XVII secolo, fu il
Casal García 1990.
Zwierlein-Diehl 1991.
4
AGDS I, 3; Weber 1992; Weber 2001.
5
Dalton 1915, passim; inediti (visione autoptica).
6
Gennaioli 2007.
7
Tassinari 2009.
8
Tomaselli 1993; Anceschi 2006.
Le gemme post-classiche conservate nei Civici Musei di Udine sono in corso di studio da parte della sottoscritta.
9
Maaskant-Kleibrink 1986.
10
Gesztelyi 2000.
11
Zwierlein-Diehl 1991, pp. 25-26.
12
Maaskant-Kleibrink 1997.
2
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Furtwängler 13. A proposito dei lapislazzuli ripetutamente impiegati nel tardo Impero per sigilli e
anche per talismani, osservava che grandi quantità di lavori in questa pietra venivano eseguiti in
modo molto superficiale (allerflüchtigster) e grossolano (rohester) sulla scia di antichi motivi e perciò
talvolta non erano facilmente distinguibili dai rozzi esemplari tardoromani. E lo studioso riconosceva che appartenevano all’epoca moderna e andavano ricollegati alla produzione in questione quegli
intagli del suo catalogo di Berlino (egli scrive: nn.
8733 e seguenti, ma per l’esattezza sono i nn. 87338821) da lui invece ritenuti antichi e classificati alla
fine delle pietre antiche di ordinaria e cattiva esecuzione 14.
Già nel 1912 Osborne doveva aver fatto sue le
conclusioni del Furtwängler, quando sottolineava
che era necessario un esame molto attento per discernere il grande numero di intagli in lapislazzuli
imitanti l’antico, incisi in maniera grossolana, dai
cattivi lavori del tardo Impero, dal momento che la
rozzezza era simile in entrambi i gruppi 15.
In seguito lo Zazoff 16, la Maaskant-Kleibrink 17,
la Casal Garcia 18 e la Zwierlein-Diehl 19 hanno avuto il merito di aver richiamato l’attenzione su questa produzione.
Un passo in avanti nella ricerca è stato l’individuazione di vari elementi – iconografici e stilistici – che si rifanno, in modo più o meno diretto, alle
opere di Valerio Belli, detto Valerio Vicentino (Vicenza 1468-1546), e di Giovanni Bernardi da Castel
Bolognese (1494-1553), i più notevoli e famosi incisori italiani del periodo, che hanno rivestito somma importanza nel panorama glittico 20. La qualità,
l’influenza e la fortuna di cui godevano le opere
del Belli e del Bernardi le rendevano punto di riferimento; va quindi loro riconosciuto un apporto
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determinante al repertorio glittico. Così, ad esempio, un elemento tipico di vari intagli dei due Mae­
stri, come il mantello che si allaccia sotto il collo
con una scollatura a V, svolazzante al vento, viene
alterato e reso con quella schematizzazione a doppia o tripla V sul davanti e con quella grossolana
velificatio del panneggio, che è una delle caratteristiche dei pezzi di questa produzione.
Sono rilevanti due altri dati acquisiti dalla ricerca. Il primo è che le stesse immagini sono intagliate
in lapislazzuli e in corniola (e in altre pietre), cioè
nelle medesime officine venivano realizzate gemme
del tutto analoghe con pietre diverse.
Inoltre dalle stesse officine responsabili della
produzione di intagli con figure proviene anche
quella serie di intagli, prevalentemente in lapislazzuli e in corniola, con teste di profilo, con corone
radiate o con tenie, prodotte in massa e che quindi formano nuclei molto consistenti (cfr. filoni nn.
10-12). In particolare, per quanto riguarda le teste radiate, la Maaskant-Kleibrink rileva che esse
possono aver avuto la loro ispirazione nelle monete di Tetrico coniate in Gallia nel III secolo d.C.,
molto popolari in Renania, Britannia, Olanda 21; la
Zwierlein-Diehl 22 pensa anche possano esser copiate dalle gemme con la testa del Sole. Ma ricordiamo che secondo la Vollenweider questa caratteristica tecnica di intaglio, espressiva e molto rozza, con
l’estrema stilizzazione dei tratti fisionomici, risentiva dell’influsso della glittica sassanide e barbara e
andava perciò attribuita al III-IV secolo d.C. 23. Così,
seguendo la Vollenweider, sono state datate al IIIIV secolo d.C. varie di queste teste, che invece sono
da ricollegare alla produzione in lapislazzuli.
Ma già Furtwängler riteneva testimonianza di
un genere di lavori rozzi e numerosi del XVI-XVII
secolo una corniola con una testa coronata, anche
Furtwängler 1900, vol. III, p. 362 e nota 1.
Furtwängler 1896, pp. 320-322, nn. 8733-8821.
15
Osborne 1912, p. 180.
16
Zazoff 1983, p. 343, nota 295.
17
Maaskant-Kleibrink 1986; Maaskant-Kleibrink 1997.
18
Casal García 1990; Chaves Tristan, Casal García 1993, pp. 315-316.
19
Zwierlein-Diehl 1991, pp. 25-26; Zwierlein-Diehl 1993.
20
Kris 1929, I, p. 59; Zwierlein-Diehl 1991, p. 26; Tassinari 1996.
21
Maaskant-Kleibrink 1986, pp. 88, 93. Va ricordato che la Maaskant-Kleibrink rileva che anche gli intagli con figure, di questa
produzione, possono aver avuto la loro ispirazione dai rovesci delle monete, ad es. per il tipo di Atena-Minerva-Roma stante
o seduta: ibidem, p. 90, nn. 181, 183, 184.
22
Zwierlein-Diehl 1991, p. 248.
23
Vollenweider 1958, pp. 283-284; Vollenweider 1976-79, pp. 257-258, tav. 83, fig. 3, n. 269; Vollenweider 1983, pp. 187-188, n.
238. Però va sottolineato che in questi intagli non sono evidenti le caratteristiche della produzione.
13
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ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
se regolare e senza alcun indizio della produzione
in esame, creduta infatti antica 24.
Concludendo, sembra sorpassata la tesi della
Vollenweider e corretta e ormai accettata la stessa
datazione per le teste radiate e per le figure.
3. Datazione
Giustamente – e sulla scia di quanto rilevato dal Furtwängler – la Zwierlein-Diehl sottolinea
che proprio la fattura molto superficiale ( flüchtig è
l’aggettivo che la studiosa usa per questa produzione), la qualità misera, l’uso di pochi strumenti
fa sì che gli intagli della produzione in lapislazzuli
appaiano simili ai rozzi intagli della più tarda età
imperiale e che appunto a quell’epoca siano stati
di frequente ascritti 25. Dunque per le analogie iconografiche e stilistiche con gli esemplari tardo-romani le gemme della produzione in esame sono
state spesso (all’inizio degli studi, ma anche in seguito) con essi confuse. Esempi significativi e sempre citati sono gli intagli, in lapislazzuli e in agata
zonata, datati al più tardo III secolo d.C., con Bonus Eventus (?) e con Ercole contro Cerbero 26, e un
diaspro verde, lavorato su entrambi i lati, su uno
dei quali un giovane stante si appoggia con il gomito ad un pilastrino e in una mano protesa tiene
un elmo, ascritto al III o IV secolo d.C. 27, che presentano una serie di caratteristiche stilistiche tipiche della produzione in questione, a cui appunto
appartengono e a cui sono stati in seguito giustamente ricondotti 28. Così spesso era lasciato aperto
il discorso sulla cronologia delle gemme dell’offi-
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cina dei lapislazzuli; per esempio la Mandrioli Bizzarri ascriveva al III-IV secolo d.C. una corniola
con il solito tipo dell’erote stante (filone 1, gruppo B) 29 e proponeva una datazione al III-IV secolo
d.C. o al XVII-XVIII secolo per una serie di intagli
in lapislazzuli, appartenenti appunto alla produzione in esame. Ancora recentemente si ipotizza
che questo tipo dell’erote possa esser tardo-romano 30.
Per quanto riguarda la datazione della produzione in lapislazzuli, lo Zazoff la assegna ai secoli
XVII e XVIII 31. Invece la Maaskant-Kleibrink osserva che se i lapislazzuli pubblicati dal noto filologo, professore e antiquario olandese Iacobus Gronovius (1645-1716), nella seconda parte delle sue
due nuove edizioni (1695; 1707) dell’opera di Abraham Gorlaeus (1549-1609; esperto antiquario e collezionista che pubblicò la sua ampia raccolta di
anelli e gemme) 32 non furono tutti presi dalle raccolte del XVII secolo, ma anche da quella di Gorlaeus, la loro datazione va anticipata e deve risalire al XVI o persino al XV secolo 33. Più di recente
la studiosa ha ribadito i motivi per i quali questa produzione molto probabilmente è circoscritta
principalmente al XVI secolo 34. La Zwierlein-Diehl
ritiene esatte queste considerazioni: le affinità stilistiche delle corniole incastonate nella piccola anfora di smalto, della metà del XVII secolo, a Vienna (Kunsthistorisches Museum), con gli intagli di
lapislazzuli dimostrano che essi non possono esser nati più tardi della metà del XVII secolo; l’inizio della produzione si può porre nella prima metà
del XVI secolo e lo sviluppo nell’ambito dello stesso
secolo 35.
Furtwängler 1900, p. 309, tav. LXVII, n. 31. L’intaglio è stato qui inserito nel filone n. 10, gruppo B. Lo studioso citava come
esempio un intaglio privo di immagine: Furtwängler 1896, p. 326, n. 9016 (cfr. anche ibidem, n. 9017, definito uguale).
25
Zwierlein-Diehl 1991, p. 25; Zwierlein-Diehl 1993, pp. 386, 393.
26
Rispettivamente Furtwängler 1896, p. 322, n. 8770 (senza illustrazione), tav. 62, n. 8792; Zwierlein-Diehl 1969, p. 186, tav. 89,
n. 515, pp. 190-191, tav. 92, n. 535. Sono stati qui inseriti: il primo nel filone 1, gruppo A, il secondo nel filone 9, gruppo A.
27
Sena Chiesa 1966, p. 323, tav. XLVII, n. 928. L’intaglio è ripubblicato e datato al III secolo d.C. in Aquileia 1996, p. 96, n. 183.
La figura incisa su un lato è stata inserita nel filone 1, gruppo A, e la testa laureata dell’altro lato nel filone 11, gruppo C.
28
Maaskant-Kleibrink 1970, p. 188; Zazoff 1983, p. 343, nota 295; Maaskant-Kleibrink 1986, p. 91; Casal García 1990, I, p. 73;
Zwierlein-Diehl 1991, p. 259, n. 2562; Chaves Tristan, Casal García 1993, p. 316; Sena Chiesa 1996, p. 485 e nota 43; Tassinari
1996, p. 170; Sena Chiesa 2005, p. 492, fig. 5.
29
Mandrioli Bizzarri 1987, p. 90, n. 143.
30
Gennaioli 2007, p. 361, n. 486.
31
Zazoff 1983, p. 394, nota 40.
32
Gronovius 1695.
33
Maaskant-Kleibrink 1986, pp. x, xii-xiii.
34
Maaskant-Kleibrink 1997, p. 236 e passim.
35
Zwierlein-Diehl 1991, p. 26.
24
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GABRIELLA TASSINARI
Ora sembra prevalente una datazione di questo
complesso di intagli al XVI-XVII secolo 36.
A mio parere questa produzione va appunto
contenuta nel XVI e nel XVII secolo, preferibilmente nella prima metà del XVII secolo, e comunque
non arriva al XVIII secolo, quando sarebbe stata
troppo stridente nel panorama glittico noto, con
un repertorio iconografico e stilistico assai differente e con il fenomeno degli incisori che firmano
e divengono anche famosi. Insomma questa produzione dovrebbe esaurirsi nell’ambito del XVII secolo.
Concludendo, vanno tutti ricondotti alla produzione in esame quegli intagli qui inseriti nei vari filoni, che invece sono stati ascritti al II secolo d.C.,
al III secolo d.C. o addirittura al I secolo a.C.
Ricordiamo però – e rimane per ora un problema aperto – che esiste una produzione di età romana, spesso di qualità ‘bassa’, che appunto non è
sempre distinguibile da quella non antica (cfr. paragrafo 12).
Le generali e notevoli difficoltà di determinazione cronologica della glittica post-classica non consentono una datazione più circoscritta dei pezzi in
esame.
Per quanto concerne la cronologia interna della produzione in lapislazzuli, non sembra giusto,
tranne nei casi segnalati, stabilire la priorità di un
filone o di un gruppo rispetto ad un altro. Forse
però non è scorretto pensare che, in alcuni gruppi,
siano cronologicamente più vicine al modello ‘classico’ – antico o rinascimentale – quelle gemme che,
con il loro impianto formale e rendimento stilistico
più o meno accurato, gli si attengono fedeli così da
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esser talvolta non agevolmente riconoscibili dalle
antiche. Perciò dovrebbero esser relativamente più
tarde le gemme dove la resa generale è imprecisa,
a volte proprio scadente. Ad esempio è probabile
siano cronologicamente posteriori alcuni intagli del
gruppo A del filone n. 1 che risultano più disorganici, più schematici e immiseriti 37. Ma non va escluso
che questo invece indichi diversa officina. Lo prova un’altra totale semplificazione degli intagli del
gruppo A del filone n. 1: un intaglio del filone n.
8 38 che appartiene appunto ad una produzione dei
Paesi Bassi. Lo stesso progressivo sfaldarsi e deteriorarsi della struttura si rileva in molti esemplari
del lotto più cospicuo, quello del Museo Archeologico Nazionale di Madrid, sia con le teste radiate
(filone n. 10, gruppo A) sia con quelle laureate (filone n. 11, gruppo A).
4. Il lapislazzuli
L’indizio più usato, per identificare i pezzi della
produzione in esame, è l’impiego del lapislazzuli 39.
Opaco, dal caratteristico bellissimo colore azzurro o
blu intenso, talora sbiadito e tendente al verde o al
violaceo, non sempre uniforme, di frequente punteggiato di macchie biancastre e giallastre e giallo oro, per le picchiettature di pirite che creano un
effetto maculato inconfondibile, corrisponde al Lapis sapphirus di Plinio 40, che ne dà una descrizione
precisa, annotando le ‘scintille’ d’oro.
I principali giacimenti di lapislazzuli – e di qualità ottima – sono situati nel Badakhshan, nell’Afghanistan settentrionale; altri ce ne sono in Siberia
Platz-Horster 1988, p. 566 (XVI-XVII secolo); Casal García 1990, I, p. 74 (per alcuni intagli, non prima del XVII secolo);
Guepin 1990, p. 168 (XVII secolo o anche XVI secolo); Chaves Tristan, Casal García 1993, p. 316 (non prima del XVII secolo);
Seidmann 1993 (XVI-XVII secolo); Sena Chiesa 1996, p. 484 (XVII secolo); Seidmann 1997, p. 152 (XVI - prima metà del XVII secolo); Maaskant-Kleibrink 1997, pp. 236-237, 241 (XVI-XVII secolo); Gesztelyi 2000, pp. 86-87 (XVI-XVII secolo); Weber 2001,
passim (con varie datazioni ma sempre contenute nel XVI-XVII secolo); Gennaioli 2007, passim (per lo più XVII secolo); Tassinari 2009 (XVI-XVII secolo). Così la Guiraud ha rivisto alcune sue posizioni e datazioni, giustamente riconducendo al XVI-XVII
secolo e alla produzione in esame alcuni intagli già da lei considerati antichi. È il caso, ad es., di un’agata con Mercurio (?)
appartenente al filone n. 5: cfr. nota 346 e Tav. XXXVIII d.
Si vedano inoltre, le datazioni nelle singole attestazioni.
37
Casal García 1990, I, pp. 207-208, II, pp. 118-119, nn. 164-166,168; Tamma 1991, p. 94, n. 172.
38
Casal García 1990, I, p. 208, II, p. 119, n. 171.
39
Per un’analisi del lapislazzuli, Miner, Edelstein 1944-45; Lipinsky 1975, pp. 297-300; Cavenago Bignami Moneta 19804, vol. II,
pp. 1101-1104; Devoto 1985, pp. 87-88; Pampaloni Martelli 1988, pp. 270-271; Von Rosen 1988; Von Rosen 1990; Devoto, Molayem 1990, pp. 134-139, 186, 189-191, 227; Zwierlein-Diehl 1992; Giusti 1992, p. 270, tavv. 138-139; Casanova 1999, pp. 189-210;
Moretti 2001, pp. 49, 95, 104-105; Gagetti 2006, pp. 79-84; Zwierlein-Diehl 2007, p. 306.
40
Per un esame delle fonti antiche, classiche e medievali, relative al lapislazzuli, cfr. Zwierlein-Diehl 1992, pp. 390-391; Gagetti 2006, pp. 79-84.
36
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
(la scoperta di questi giacimenti, alla fine del ‘700,
ne fece il maggior centro di esportazione in Europa), nella zona del lago Baikal, nelle montagne del
Pamir sovietico; gli altri, sparsi nel resto del mondo, sono ben minori. Determinante era la mediazione mesopotamica riguardo sia al controllo del commercio del lapislazzuli sia alla sua lavorazione: nel
Badakhshan, dove nessuna officina è stata trovata,
la pietra era solo estratta, sgrossata e tagliata.
La struttura del lapislazzuli, la qualità e l’ineguaglianza dei suoi componenti (che hanno una
durezza diversa, oscillando in media tra i 5 e 6, 5
della scala di Mohs e i 3, con la conseguenza che
spesso durante la lavorazione la pietra si scheggiava) creavano dei problemi, rendendo più difficile e delicato il lavoro sia nell’incisione sia nella
lucidatura manuale. Pertanto, in età antica e non,
era considerato un materiale particolare, difficile
da incidersi.
Senza entrare nel merito di un così interessante argomento come la ‘storia’ dell’impiego del lapislazzuli, ricordiamo solo che fu sempre uno dei minerali più apprezzati (la bellezza del colore è senza
dubbio uno dei fattori che hanno determinato il suo
pregio), costosi e richiesti, che non ha mai conosciuto periodi di oblio.
È comunque raro rinvenire intagli e cammei in
lapislazzuli in epoca greca 41 ed ellenistica 42.
Non è fuor di luogo ricordare che il lapislazzuli
73
è scarsamente impiegato anche per le piccole sculture antiche e – non casualmente – sembra riservato pressoché esclusivamente all’ambito imperiale e
all’immagine di Serapide 43.
Il lapislazzuli è più frequente nelle gemme magiche e nell’ambito culturale egiziano, grazie anche alla connessione sincretistica Afrodite/Iside/
Hathor, relazione che si fonda probabilmente su
una tradizione dell’antico Egitto 44.
L’associazione con Venere torna anche in quelle
pietre magiche in lapislazzuli dove Afrodite Ana­dio­
mene è accompagnata dall’appellativo arwrifrasi
e da formule magiche che sono incantesimi d’amore; perciò almeno parte di queste gemme sono talismani d’amore 45. E non è escluso che nelle immagini di principesse realizzate a tutto tondo in
lapislazzuli si possa vedere anche una loro assimilazione a Venere 46.
Così, su questa direttrice, si può avanzare l’ipotesi che nei vari esemplari della produzione in esame con le immagini di Venere, o comunque legate
al suo mondo, l’uso del lapislazzuli abbia lo scopo di ‘aumentare’ la valenza erotica e la potenza
fecondatrice e magica connessa alla sfera della raffigurazione. Del resto, a proposito di un bellissimo cammeo in lapislazzuli con Cristo inciso su un
lato e Maria sull’altro, parte di un rosario, opera
dell’officina di Praga dei Miseroni, probabilmente
una speciale commissione in cui la scelta della pie-
Ad es. uno scaraboide con Venere nuda, accovacciata, con le braccia alzate a tenere un drappo, che le ricade sul davanti,
datato al tardo V secolo a.C. (Furtwängler 1900, tav. XII, n. 33 = Walters 1926, p. 65, tav. IX, n. 530 = Richter 1968, p. 93, n.
302); ascritti alle gemme greco-persiane uno scaraboide con un leone, dato al IV secolo a.C. (Spier 1992, pp. 57-58, n. 111) e un
intaglio con un leone, di stile globulare, del III secolo a.C. (?), proveniente dall’India nord-occidentale, per cui si osserva che
il materiale è “locale” (Boardman, Vollenweider 1978, pp. 46-47, tav. XXXV, n. 203).
42
Ad es. un intaglio con testa barbata di Perseo di Macedonia, assimilato all’eroe Perseo, con elmo alato, con cresta a forma
di testa di gallo, e spada (Walters 1926, p. 135, tav. XVII, n. 1183); un altro con un ritratto d’uomo, dai tipici attributi egizi, come la falsa barba e un elmo aderente, sormontato da un disco solare (anello di III secolo a.C., pietra del II secolo a.C.
(?); Walters 1926, p. 136, tav. XVII, n. 1191 = Richter 1968, p. 165, n. 663 = Plantzos 1999, p. 118, tav. 25, n. 141). Cfr. inoltre,
Boardman, Vollenweider 1978, p. 71.
43
Zwierlein-Diehl 1992, pp. 386-390; Gagetti 2006, pp. 82-84, 227-230, 233-234, 238-241, 359-360, 367-368, 405, tavv. XX, XXII,
LIII, LVII, LVIII, LXIV; Zwierlein-Diehl 2007, p. 437, tav. 132, fig. 628, tav. 133, fig. 629. Per una lista preliminare dei busti plastici di Serapide, anche in lapislazzuli, v. Veymiers 2009, pp. 26-27, nota 30.
44
Zwierlein-Diehl 1992, p. 392; Zwierlein-Diehl 1992a, pp. 57-59, tavv. 2-3, n. 3; Gagetti 2006, pp. 82-84; Zwierlein-Diehl 2007,
p. 213.
45
Per un’analisi degli intagli con Afrodite Anadiomene con iscrizione, si veda Delatte, Derchain 1964, pp. 183-186, nn. 241,
245; Michel 2001, pp. 52-53, tav. 11, nn. 77-80 (III secolo d.C.; ove estesa bibliografia); Sylloge 2003, pp. 331-333, 335-337, nn.
290, 292-293 (M. Monaca). Cfr. anche Gagetti 2002, pp. 207-208, n. 46; Gagetti 2006, pp. 82-83. Da notare che la stessa formula arwrifrasi si trova sul retro di un intaglio in lapislazzuli, eccezionalmente inciso con il fanciullo seduto sul fiore di loto,
con cui parrebbe non avere relazione precisa; ma Horus o Harpocrate possono esser confusi con Eros. Cfr. Delatte, Derchain
1964, p. 113, n. 141.
46
Gagetti 2006, pp. 83-84. V. anche Zwierlein-Diehl 1992, p. 392: a proposito dei ritratti delle donne della famiglia Giulia in
lapislazzuli la studiosa ricorda la connessione con Venere, che del resto era la dea protettrice della dinastia. Cfr. anche Zwierlein-Diehl 2007, p. 154.
41
74
GABRIELLA TASSINARI
tra giocava un ruolo preciso, si ricorda la credenza dell’epoca riguardo alla magica azione del lapislazzuli sulle femmine gravide a cui portava una
nascita fruttuosa 47.
5. Le altre pietre
L’altra pietra prevalente nella produzione in esame, e talvolta pressoché esclusiva in alcuni filoni,
risulta la corniola, come noto la pietra più usata e
comune in tutte le epoche, grazie alle sue caratteristiche intrinseche. Ma, come è stato già notato 48, il
lapislazzuli e la corniola non sono gli unici materiali di questa produzione. Frequente è anche l’agata,
spesso zonata; giustamente la Zwierlein-Diehl rileva che le agate zonate erano amate e richieste nel
XVII secolo 49. Seguono a distanza il diaspro, l’eliotropio, il plasma, l’ametista e la sardonice; altre pietre attestate, ma di rado, sono il prasio, l’onice, il
nicolo e il granato.
6. Le caratteristiche stilistiche
Sono state più volte sottolineate le peculiarità
stilistiche degli intagli di questa produzione: una
strana pettinatura con i capelli a fiocchi, a formare
una specie di cercine, o ritti (un curioso copricapo?
una corona di lauro?), il profilo dei visi a semplificati tratti orizzontali, spesso schematici e marcati,
che risultano quasi uguali, la singolare resa a solchi rotondi dei muscoli dell’addome e delle gambe, il rendimento a ‘salsiccia’ degli arti, le ginocchia
stilizzate e quasi piegate, l’eccessiva accentuazione della parte inferiore del corpo delle figure stanti, esageratamente spostata in fuori, i piedi leggermente sollevati dal suolo, i panneggi a elementi
curvilinei alternati ad altri a V (in particolare a V
sotto il collo), a volte piegati ad arco e fluttuanti,
[RdA 34
con una serie di linee sinuose e superflue ad indicare la clamide svolazzante.
Tali caratteristiche sono più o meno spiccate,
più o meno evidenti, appena percepibili, presenti
in parte o anche addirittura assenti. Comunque ci
sono altre peculiarità, di solito non ricordate, come
testimonia questo studio.
Uno dei motivi che ricorre più volte nella produzione in esame 50 è costituito dell’albero: in scene diverse, come sedile o riempitivo o come ramo
d’albero che i personaggi tengono in mano.
7. Una produzione di ‘massa’
Questa produzione si rivela molto copiosa, anche solo da quanto è pubblicato. Ma va sottolineato
che ci sono tanti esemplari inediti. Zazoff ne indicava molti nella collezione del Cabinet des médailles di Parigi e osservava che quasi tutte le grandi
raccolte ne possiedono almeno alcuni; solo a Kassel
(Antikensammlung, Staatliche Museen) ce ne sono
più di un centinaio 51.
Così a San Pietroburgo, al Museo Statale dell’Ermitage, sono conservati circa duecento pezzi di
questa produzione, con figure e con teste, pressoché tutti inediti: in lapislazzuli, ma anche in altre
pietre, come la corniola, l’agata, il prasio; in molti
casi la loro provenienza non è chiara 52.
Anche nel Museo Nazionale Ungarico di Budapest vi sono parecchi intagli con teste, appartenenti alla produzione 53.
Un esempio illustre è la collezione Farnese al
Museo Archeologico di Napoli: un vasto complesso di gemme, rimasto unito, così da presentare affiancati pezzi antichi e moderni, buona parte dei
quali è inedita 54; tra questi vi sono vari intagli in
lapislazzuli. Lo testimoniano, ad esempio, le impronte di intagli in lapislazzuli che l’incisore Francesco Ghinghi (1689-1762) mandava, insieme alle
sue lettere, ad Anton Francesco Gori 55.
Prag um 1600 1988, p. 512, n. 382 (B. Bukovinska).
Cfr. ad es., Maaskant-Kleibrink 1986, p. 91, n. 184; Zwierlein-Diehl 1991, p. 25; Chaves Tristan, Casal García 1993, p. 316;
Maaskant-Kleibrink 1997, p. 237. Cfr. anche Furtwängler 1900, vol. II, p. 308, n. 21.
49
Zwierlein-Diehl 1998, p. 379, n. 292.
50
Come del resto già osservato in Maaskant-Kleibrink 1986, p. xii; Zwierlein-Diehl 1991, p. 258, n. 2558, pp. 262-263, n. 2578,
p. 266, n. 2594.
51
Zazoff 1983, p. 343, nota 295, p. 394.
52
Devo queste informazioni alla gentilezza di Sveta Kokareva, che ringrazio.
53
Ringrazio per questa informazione Tamás Gesztelyi.
54
Gasparri 1995, p. 132; Gasparri 2006, pp. 13, 18, 23, 27, nota 1.
55
V. Tassinari 2010c.
47
48
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
Nel sommario catalogo delle gemme Farnese che si trovavano nel Real Museo, compilato da
Pietro Piovene intorno al 1730, su 1823 gemme, i
lapislazzuli sono 28 56. Durante il regno di Ferdinando IV di Borbone furono preparate, assai probabilmente da Bartolomeo Paoletti, specialista in materia 57, circa 600 riproduzioni in vetro delle gemme
Farnese e inviate in dono alla zarina Caterina II
a San Pietroburgo, accompagnate da un inventario manoscritto, tuttora conservato al Museo Statale dell’Ermitage. In questo fascicoletto figurano tre
lapislazzuli: uno è il cammeo con la testa di Tiberio
laureata, già nella collezione di Fulvio Orsini 58, un
altro è un rilievo con una testa di fronte 59 e il terzo (non è specificato se intaglio o cammeo) è una
testa di putto di fronte 60. Un’altra testa di fanciullo in rilievo in lapislazzuli, ora al Museo Archeo-
75
logico di Napoli 61, potrebbe essere la testa di giovane, che figura nell’inventario della collezione di
Fulvio Orsini, datato al 1600 62.
Un’altra famosa raccolta che annovera diversi
pezzi della produzione in esame – editi di recente – è quella medicea, a Firenze, al Museo degli
Argenti 63.
Analogamente, nell’ampia collezione di Sir
Hans Sloane (1660-1753) conservata al British Museum, solo in parte edita, sono parecchi gli esemplari di questa produzione 64.
Va infine ricordato che vi sono anche gli intagli
in lapislazzuli menzionati o pubblicati, ma senza illustrazione (non va perciò escluso che alcuni possano essere antichi). Basti citare gli intagli al British
Museum 65, quelli numerosi del Museo di Berlino 66,
a Vienna, al Kunsthistorisches Museum 67, a Parigi,
Strazzullo 1979, pp. 76-78.
Pirzio Biroli Stefanelli 2006, p. 101.
58
Pannuti 1995, p. 162, n. 43; Gemme Farnese 2006, p. 130, fig. 204; Giove, Villone 2006, p. 142, n. 124.
59
Pannuti 1995, p. 164, n. 75; Giove, Villone 2006, p. 147, n. 396 (senza immagine).
60
Pannuti 1995, p. 167, n. 219.
61
Giove, Villone 2006, p. 147, n. 411 (senza immagine).
62
De Nolhac 1884, p. 165, n. 265.
63
Numerose opere in lapislazzuli vengono elencate, senza illustrazione, in Aschengreen Piacenti 1968, passim, ora pubblicate
in Gennaioli 2007.
64
La visione della collezione Sloane mi è stata possibile grazie alla disponibilità e alla liberalità di Judy Rudoe (Assistant
Keeper, Department of Medieval and Modern Europe, British Museum) che qui ancora ringrazio. Va ricordato che alcuni degli esemplari Sloane sono stati editi; cfr. nota seguente.
65
Dalton 1915, p. 82, n. 579 (testa di Giove?), p. 90, n. 632 (Marte (?) seduto su una corazza tiene un elmo nella destra e afferra una spada nella sinistra; eliotropio, ma citato come appartenente alla produzione), p. 94, n. 662 (Cupido stante tende il suo
arco), p. 144, n. 988 (due figure con elmo, una seduta, l’altra stante), n. 993 (figura maschile stante con mantello fluttuante),
n. 995 (figura femminile drappeggiata incedente, con bilancia), p. 145, n. 997 (leone), p. 146, n. 1010 (vaso con fiori), n. 1012
(trofeo), nn. 1017-1019 (lettere): tutti gli intagli sono datati al XVII secolo o alla seconda metà del XVI - prima metà del XVII
secolo e appartengono alla collezione Sloane; Walters 1926, p. 157, n. 1406 (Hermes su un ariete, con borsa nella destra, caduceo nella sinistra), p. 163, n. 1464 (Psiche (?), con lungo chitone e himation, tiene un piatto nelle mani e con la sinistra una
piega del suo panneggio a cui è sospesa una farfalla dalle ali bruciate; nel campo, un tirso), p. 164, n. 1481 (Eros stante, con
un arco nella sinistra e un fiore (?) nella destra), p. 187, n. 1747 (Fortuna tiene un ramo nella destra e un timone nella sinistra),
p. 230, n. 2234 (uomo nudo stante fa una libagione su un altare), p. 239, n. 2369 (montone); tutti gli intagli sono collocati tra
le gemme greco-romane; solo per il n. 1464 si avanza l’ipotesi non sia antico.
66
Furtwängler 1896, pp. 320-322, 326, n. 8725 (tre divinità capitoline in trono), n. 8726 (Artemide cacciatrice), n. 8728 (Hermes su montone), n. 8729 (donna seduta davanti ad un altare?), n. 8731 (scorpione), n. 8732 (caduceo tra due spighe), nn.
8734-8740, 8742-8746, 8748-8752 (tutti guerrieri stanti), nn. 8754-8756 (Atena), n. 8759 (figura femminile con scettro e ramo),
n. 8761 (Nike), nn. 8762-8763 (guerrieri), nn. 8764, 8766, 8768 (figure femminili con fiaccole (?), scettro o spada [?]), nn. 87718772 (figure maschili con armi), nn. 8773-8777 (Eroti con arco, con ramo, davanti ad altare), nn. 8779-8784, 8786-8790 (figure
sedute con in mano diversi oggetti), nn. 8793-8794, 8796-8797 (teste), nn. 8798-8799 (uccello davanti a un cespuglio), nn. 88008803 (ramo con melograne), n. 8804 (ciotola con pianta), nn. 8806-8821 (figure non specificate), n. 8938 (testa sconosciuta). Va
precisato che non tutte le pietre sono lapislazzuli, ma si possono bene assegnare a questa produzione, perché Furtwängler li
considera come un unico insieme, già da lui ritenuto antico e poi ricollegato alla produzione in questione. Inoltre, ibidem, p.
325, n. 8890 (Zeus in trono con una Nike in mano), p. 326, nn. 9019-9123 (tra le altre pietre, cinquanta lapislazzuli, senza indicazione di soggetto; dall’indice sono i nn. 9032-9082; XVI-XVII secolo), p. 333, n. 9342 (guerriero che tiene una testa nella
sinistra, accanto l’iscrizione EA TICIA; XVIII-XIX secolo).
67
Zwierlein-Diehl 1991, p. 251, n. 2540 bis. La studiosa data i 23 intagli (anche in altre pietre, oltre al lapislazzuli) al XVI - prima metà del XVII secolo, riconducendoli alla produzione in esame.
56
57
76
GABRIELLA TASSINARI
al Cabinet des Médailles 68, a San Pietroburgo, al
Museo Statale dell’Ermitage 69, nel Tesoro del Delfino, a Madrid, al Museo Nazionale del Prado 70, al
Museo Correr a Venezia 71, all’Historisches Museum
di Basilea 72, al Thorvaldsen Museum di Copenaghen 73, tra le gemme della collezione Devonshire a
Chatsworth 74 o di quella Praun, confluita nella collezione Mertens-Schaaffhausen e dispersa (cfr. oltre), tra le impronte del Cabinet reale a L’Aja 75 o
tra gli intagli venduti all’asta 76.
Senza relativa immagine vi sono intagli in lapislazzuli, per lo più dispersi, ma di cui si ha notizia 77; oppure non si specifica se sono intagli o
cammei 78; altri intagli sono conosciuti solo da disegni 79.
Un caso particolare è costituito dagli intagli
[RdA 34
identificati dalla Maaskant-Kleibrink tra le gemme pubblicate da Iacobus Gronovius nella seconda
parte delle sue due edizioni (1695; 1707) dell’opera di Abraham Gorlaeus (cfr. supra) 80. Come infatti indicava lo stesso Gronovius, riconoscente agli
esperti conoscitori che l’avevano aiutato, tra cui J.
Georgius Graevius e Johannes Smetius, molte delle numerose gemme da lui aggiunte non appartenevano a Gorlaeus, bensì erano prese da altri testi
o da celebri collezioni del XVII secolo. E appunto
tra le gemme incluse da Gronovius ve ne sono parecchie di moderne. La cattiva resa degli intagli 81 e
le brevi spiegazioni di Gronovius non rendono facile riconoscere i pezzi della produzione in esame
e attribuire con sicurezza le singole gemme ai vari
filoni individuati in questa ricerca 82.
Chabouillet 1858, p. 77, n. 418 (= Babelon 1897, pp. 245-246, n. 450) (su un lato un cammeo con il busto di Minerva armata,
sull’altro un intaglio con una scena di offerta all’Amore: su un altare è la statua di Cupido, nudo, che sembra benedire l’unione di due personaggi, avanzanti uno incontro all’altro, un giovane presentando nelle mani un’offerta e una fanciulla che fa
un gesto d’assenso; XVI secolo), p. 331, n. 2410 (Giulio Cesare stante, coronato di alloro, tiene il globo del mondo e si volge
verso un personaggio che lo segue; età moderna), p. 617, n. 3503 (cavaliere di corsa), n. 3504 (atleta nudo, inginocchiato, tiene
una palma) (entrambi non datati, definiti lavori grossolani).
69
Dalla collezione di Pierre Crozat: Mariette 1741, p. 20, n. 390 (testa di imperatore del tardo impero con corona radiata), p.
26, n. 497 (teste femminili).
70
Iñiguez 1989, p. 66, n. 52 (leone e uccello), p. 67, n. 82 (busto di uomo coronato d’alloro), p. 68, n. 127 (Vittoria), n. 136 (busto probabilmente femminile).
71
Lazari 1859, p. 134, n. 628 (Curzio a cavallo che si getta nella voragine; nel fondo piccole figure in atteggiamento di dolore,
che escono da un tempio; definito come pezzo antico, non ben conservato).
72
Historisches 1995, p. 102 (guerriero stante; attribuito all’Italia settentrionale e al XVI - metà del XVII secolo).
73
Fossing 1929, p. 238, n. 1769 (figura stante; lavoro molto rozzo, tra le gemme tardo-romane).
74
Scarisbrick 2003, p. 73 (Annibale; non datato, ma si ricorda che il lapislazzuli era popolare nel XVI secolo).
75
De Jonge 1837, p. 13, n. 302 (Minerva seduta tiene una vittoria), p. 31, n. 600 (lira d’Apollo), p. 32, n. 610 (sagittario), p. 62,
n. 1118 (pavone); tutti ascritti ad età antica.
76
Scarisbrick 1977, p. 9, n. 83 (Ercole combatte contro Anteo; non antico), p. 11, n. 124 (Minerva stante con lancia e scudo; non
antico); Fine Jewels 1992, p. 88, n. 375 (figura femminile e delfino; XVII secolo), p. 89, n. 382 (Venere tiene la mela d’oro portata
da Cupido; XVII secolo), p. 97, n. 433 (Diana-Selene; XVII secolo), p. 92, n. 402 (atleta; XVIII secolo).
77
Marshall 1907, p. 189, n. 1203 (un uomo nudo stante di fronte a un altare fa una libagione; tardo-romano); Catalogue 1921,
p. 19, n. 112 (Leda e il cigno; dalla collezione di Paolo II. Praun; antica?), p. 31, n. 219 (testa di Caligola; dalla collezione Mertens-Schaaffhausen; tra le gemme ellenistiche e greco-romane), p. 33, n. 234 (rozza testa femminile), p. 34, n. 241 (tempio con
tre colonne ioniche su ogni lato e al centro una statua di un dio su un piedistallo), p. 36, n. 253 (colomba e una stella, rettangolare; tutti e tre gli esemplari tardo-romani); Guiraud 1988, p. 143, nota 42 (testa di un imperatore del Basso Impero); Zwierlein-Diehl 1994, p. 69 (un satiro; dalla collezione di Paolo II. Praun); Spier, Vassilika 1995, p. 91, p. 98, nota 4, p. 101, nota 62
(una scena cristiana; considerata un “falso”).
78
Illustrated Catalogue 1885, n. 11 (disegno di un busto di guerriero; non datato); Femmel, Heres 1977, p. 217, n. 5, p. 226, n. 5
(Giove seduto in trono con scettro e Vittoria; senza immagine, in un elenco di gemme antiche di Filippo Hackert, precedente
il 1810); La Monica 2002, p. 70, n. 8, n. 11, p. 73, n. 93, n. 97, p. 74, n. 105 (inventario manoscritto seicentesco della collezione Boncompagni Ludovisi; tutti i pezzi sono senza immagine e non datati: teste di Commodo e Crispina; teste di Nerone con
Agrippina; Morfeo giacente con il papavero; Venere e amore; due prigionieri legati a un albero).
79
Mariette 1750, vol. II, n. 67 = Chabouillet 1858, p. 272, n. 2094 (testa di Faustina maggiore, moglie di Antonino Pio; Chabouillet non ne dà l’immagine e lo pone tra gli intagli antichi); Guiraud 1996, p. 196, tav. LXII, n. 964 (un personaggio nudo
di fronte, in un anello di II secolo d.C.).
80
Maaskant-Kleibrink 1986, pp. xii-xiii e passim; Maaskant-Kleibrink 1997, pp. 237, 241.
81
Per le forti critiche alle tavole di Gronovius, v. Tassinari 1994, p. 50.
82
Per i motivi suddetti non è stato possibile assegnare ai vari gruppi alcuni esemplari pubblicati da Gronovius, qui citati per
arricchire quantitativamente il panorama. Si tratta di intagli in lapislazzuli e corniole con figure femminili sedute o maschili
68
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
Analogamente le incisioni imprecise e trascurate dei volumi che illustrano la collezione di gemme
raccolta da Johannes Martinus Ebermayer (16641743), stimato commerciante di Norimberga, sconsigliano di attribuire alla produzione in esame quegli intagli che forse le appartengono ma non sono
in lapislazzuli 83.
Va infine sottolineato che gli studiosi dei secoli XVII-XVIII talvolta usavano diverse definizioni
per la stessa pietra, in questo caso il lapislazzuli.
Ad esempio un intaglio (non inserito in questo studio) con Ercole piegato, inginocchiato, soggiogato
da Cupido con una freccia in mano, è indicato dal
Beger, che lo pubblica, in un testo come lapislazzuli 84, in un altro come smeraldo 85.
Così, Gori definisce ‘diaspro blu’ quattro intagli
in lapislazzuli, uno con la raffigurazione di Alessandria, un altro con un busto femminile, forse Giulia figlia di Tito, il terzo con testa di satiro e siringa (cfr. oltre) e l’ultimo con Giove (?) seduto con
l’aquila ai piedi, documentato da un’impronta in
gesso della raccolta di Luisa Rasponi Murat 86. L’intaglio, già nella Galleria di Firenze, è disperso (?),
ma quasi sicuramente è giusta la diversa identificazione della pietra, appunto come ‘lapislazzuli’, data
da Tommaso Puccini nel suo inventario (1799) 87.
Concludendo – e tenendo presente tutti i limiti inerenti ad assumere, in vari casi, il lapislazzuli
come unico indizio per individuare le gemme della produzione per cui ‘sfuggono’ gli intagli nelle altre pietre – il panorama è ben più ricco di quanto
emerga dagli esemplari menzionati 88.
Che la produzione dei lapislazzuli sia sempre
anonima, così vasta e spesso di ordinaria esecu-
77
zione, tanto da potersi definire di ‘massa’, si comprende inserendola in quel noto fenomeno di glittica corrente dei secoli XVI e XVII. Viene realizzata
una schiera di cammei, per lo più piccoli, con busti di imperatori, papi, filosofi, negri, dame in guisa di Cleopatra, Flora, Diana, Venere, Menade e figure di tipo anticheggiante. Questa produzione di
‘massa’ si spiega con la moda dell’uso del cammeo non come opera d’arte preziosa, ma come ornamento indossato in abiti e cappelli, incastonato
in gioielli o applicato come decorazione sugli oggetti più diversi 89.
Così, la Zwierlein-Diehl 90 ricorda che le corniole e i lapislazzuli della produzione in esame erano
impiegati non tanto singolarmente, quanto in maniera decorativa. Lo dimostrano la già citata anfora di smalto, della metà del XVII secolo, e una cassetta d’avorio del XVII secolo, conservate a Vienna,
al Kunsthistorisches Museum, dove sono accostati pezzi antichi e non (quelli appunto dell’officina
dei lapislazzuli), disposti secondo un punto di vista puramente ornamentale, in una alternanza tra
figure e teste (radiate e filosofi barbati).
Anche in altri casi è possibile constatare che
queste gemme erano inserite nel vasellame. Menzioniamo le varie coppe, piatti, boccali, coperchi in
pietre dure e oro, databili all’incirca dalla metà del
XVI secolo alla metà del XVII secolo, al Louvre, su
cui sono fissati intagli e cammei, con teste e figure, mescolati antichi e non, alcuni della produzione in esame, incastrati anche capovolti o all’interno o nella base 91.
O il cofanetto, opera francese (1630-1640), nel
Tesoro del Delfino, al Museo Nazionale del Prado,
stanti, con un oggetto in mano, a volte vicino a un’ara o circondate da rami, in un caso una vittoria stante incorona un vincitore di giochi, in un altro due figure stanti fanno un sacrificio; oppure sono teste femminili o maschili: Gronovius 1695, p. 23,
n. 201, p. 24, nn. 208, 217, p. 27, n. 242, p. 52, nn. 600-601, pp. 53-54, nn. 610, 611, 617, 623, p. 55, n. 637, pp. 56-57, nn. 650,
652-654, 659, 661-663.
83
Gemmarum affabre 1720, passim. Per i giudizi negativi su questa opera, cfr. Tassinari 1994, pp. 51-57.
84
Begerus 1685, p. 40, tav. XXXI.
85
Begerus 1696, pp. 34-35.
86
Reinach 1895, p. 32, tav. 28, n. 55 (= Gori 1731-32, I, n. 557). La definizione del Gori è seguita dal Raspe (Raspe 1791, p. 88,
n. 955). Per l’impronta Rasponi Murat: Montevecchi 1998, p. 47, n. 91.
87
P. 328, n. 410 (visione autoptica).
88
Ad es. potrebbero appartenere alla produzione in esame quei molti altri intagli nel Museo Archeologico Nazionale di Madrid che la Casal Garcia non pubblica perché la loro modernità è evidente: Casal García 1990, p. 74.
89
Su questa produzione, cfr. ad es. Dalton 1915, pp. lxxvi-lxxvii; Kris 1929, pp. 90, 177, 180, tav. 97, nn. 418, 419, tav. 98, nn.
416-417, tav. 117, n. 470; Wentzel 1958, pp. 294-296; Gasparri 1995, p. 137; Gasparri 1995a, pp. 422-424; Seidmann 1996, p. 259;
Aschengreen Piacenti 1997; Weber 2001, p. 21; Gasparri 2006, p. 18 e passim; Hein 2008, pp. 69-73.
90
Zwierlein-Diehl 1991, pp. 24-26, 246, tav. 181, n. 2540 bis; Zwierlein-Diehl 1993, p. 390.
91
Alcouffe 2001, pp. 88-89, n. 23, pp. 184-186, n. 63, p. 380, n. 183, p. 398, n. 191, pp. 413-414, n. 197, pp. 421-422, n. 203 e
passim.
78
GABRIELLA TASSINARI
ricoperto di cammei di differenti epoche e incisori; inframmezzati tra i cammei ci sono vari medaglioni in lapislazzuli ovali lisci o in forma di conchiglia scanalata 92.
Teste ritratto in lapislazzuli incastonate in oggetti sono ripetutamente menzionate negli inventari delle collezioni di Monaco, senza che si possa
precisare il personaggio raffigurato 93.
Infine, anche le dimensioni assai ridotte di varie di queste gemme provano il loro impiego decorativo.
8. La localizzazione delle officine
Per ora non è risolta in modo soddisfacente la
questione riguardo all’ubicazione delle officine produttrici di questi intagli. Zazoff 94 la porrebbe forse
a Parigi, considerati i molti esemplari nella colle­
zione del Cabinet des Médailles. Secondo la Maa­
skant-Kleibrink, lo stile si adatta con le generali tendenze manieristiche dell’arte dell’epoca e la
fabbricazione può perciò esser attribuita a qualsiasi
centro con note attività incisorie, come le città del
nord Italia, Roma, Praga o Parigi 95. Ma la studiosa rilevando giustamente un gran numero di questi intagli anche al Museo degli Argenti a Firenze, e in altre raccolte italiane, conclude a favore
di una possibile produzione in Italia 96. Inoltre osserva che la somiglianza di queste gemme conduce ad un limitato numero di officine situate vicine
una all’altra. Così la Zwierlein-Diehl pensa che le
officine, presumibilmente poche e vicine, sarebbero
da ricercare in Italia settentrionale (Venezia? Padova?); lo fa supporre il fatto che quasi tutti i numerosi intagli della produzione in esame, ora a Vienna, vengono dalla collezione del XVII secolo, prima
conservata nel castello “Il Catajo” a Este; dall’Italia, dove fu realizzata la maggioranza delle gem-
[RdA 34
me, antiche e pseudoantiche, esse si sarebbero diffuse in tutta Europa 97.
Attualmente la maggior parte degli studiosi ritiene probabile che gli ateliers siano localizzati nell’Italia settentrionale; in particolare talvolta si
propone Venezia e Padova 98.
Non è certo il caso di affrontare qui l’analisi dei
grandi centri della produzione glittica post-antica.
Ricordiamo solo che i più importanti in Italia – che
mantenne la sua supremazia fino al declino dell’incisione – sono Roma, Firenze, Milano e Venezia.
Richiamiamo alcuni dati, deliberatamente limitati
e strettamente pertinenti allo scopo della ricerca,
che depongono a favore di una localizzazione settentrionale delle officine dei lapislazzuli; e precisamente a Venezia e a Milano.
A Venezia era fiorente l’arte di contraffare le
gemme con il vetro, che ben si prestava alla loro
imitazione; e il patrimonio di conoscenze, tra cui
le formule della falsificazione delle pietre preziose, era rigorosamente conservato segreto 99. Venezia era centro di lavorazione del cristallo di rocca e
delle pietre dure ed emporio per il commercio delle
stesse. I traffici con l’Oriente facevano arrivare nella città molti minerali che venivano lavorati grazie
alle notevoli conoscenze tecnologiche. Dal lapislazzuli si estraeva un pigmento molto ricercato per riprodurre il blu intenso, l’oltremare, così chiamato
perché proveniva appunto da oltremare. A Venezia già nel ‘300 avveniva la preparazione di questo
pigmento ricercato, raro, costoso, noto e apprezzato in tutta Europa sino alla fine del ‘ 700. Come recita una testimonianza di un miniaturista inglese
vissuto nel ‘500: “the darkest and highest blew is
ultermaryne of Venice” 100.
Inoltre l’ambiente veneziano-padovano è quello
in cui si forma il famoso Valerio Belli.
Ma altri fattori inducono ad ipotizzare una collocazione delle officine a Milano.
Iñiguez 1989, pp. 59-63, n. 31 (cofanetto), pp. 60-63, nn. 14-15, 32-33, 39-40, 57-58, 70, 80-81, 87-88, 103-106, 110-113 (medaglioni) = Arbeteta Mira 2001, pp. 230-232, n. 71 (cofanetto), pp. 230-232, nn. 14-17, 43, 52-55, 67-70, 101-104, 112-115 (medaglioni).
93
Weber 1992, p. 81, n. 27.
94
Zazoff 1983, p. 343, nota 295.
95
Maaskant-Kleibrink 1997, p. 237.
96
Maaskant-Kleibrink 1986, pp. xii, 88, 91.
97
Zwierlein-Diehl 1991, pp. 25-26; Zwierlein-Diehl 1993, p. 393.
98
Cfr. ad es. Weiss 1996, p. 165; Tassinari 1996, p. 190; Sena Chiesa 1996, p. 484; Maaskant-Kleibrink 1997, pp. 236-238; Weber
2001, passim (dove per molti intagli si specifica un’origine cisalpina); Sena Chiesa 2005, p. 492.
99
Cfr. da ultimo Tassinari 2009b, pp. 389-391; Tassinari 2010a, pp. 193-199, ove bibliografia precedente.
100
Lazzarini 2003, pp. 164-165, 173, 175.
92
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
Così Kris 101, nel valutare l’influsso che hanno
avuto i lavori del Belli e del Bernardi sull’evoluzione della glittica, insiste sull’importanza dell’opera del Bernardi nella cerchia milanese, per la somiglianza del linguaggio formale e del modo di
lavorare.
È nota la straordinaria fioritura dell’oreficeria
milanese, specie nella seconda metà del XVI secolo, e l’insuperabile virtuosismo tecnico con cui si lavorava il cristallo di rocca, abilità in cui spiccarono
celebri dinastie di orafi e intagliatori, come i Miseroni e i Saracchi, o un incisore, ‘plasticatore’, medaglista come Annibale Fontana 102. Nel ‘500 Milano diventò il più qualificato centro di produzione
di vasi in pietra dura, produzione che soddisfaceva le corti europee, che si disputavano i più illustri incisori. E non pochi sono gli oggetti – piatti,
tazze, brocchette – in cui è impiegato il lapislazzuli, ascritti ai Miseroni, ai Saracchi o ad Annibale Fontana 103.
Da Milano si trasferirono a Firenze, al servizio
dei Medici, dal 1572 i fratelli Giovanni Ambrogio
e Gian Stefano Caroni e dal 1575 Giorgio di Cristofano Gaffuri, acquistando fama nella lavorazione dei cristalli, dei vasi in lapislazzuli e dei cammei
incisi 104. Essi operavano nelle botteghe granducali fiorentine, dove fu realizzata da Jaques Bylivelt,
su disegno di Bernardo Buontalenti, quel capolavoro di fiasca in lapislazzuli (1583-84) con montatura d’oro e smalti policromi, ora al Museo degli Argenti 105. Nello stesso Museo, nel Tesoro dei Medici,
sono numerosi i vasi e i vasetti con coperchio, tazze,
coppe, ciotole, tutti sempre in lapislazzuli, ascritti soprattutto al terzo quarto e alla seconda metà
del XVI secolo e sino alla fine del secolo, molti at-
79
tribuiti a manifattura milanese (e talvolta più precisamente ai Miseroni), ma anche a quella fiorentina 106.
Un’altra tazza di lapislazzuli fu acquistata da
Cosimo I da Gasparo Miseroni (1563 circa) ed è
ora al Museo di Mineralogia dell’Università di Firenze 107.
Il lapislazzuli, oltre che apprezzato per i vasi,
era tra le pietre più usate nei mosaici e nei commessi di pietre dure, specialità della manifattura
granducale fiorentina; perciò dovevano essercene
grandi quantità, nel XVI secolo 108.
Concludendo, ci sfuggono ancora molti elementi per poter stabilire con sicurezza la localizzazione precisa delle officine della produzione di lapislazzuli. Né si riescono pienamente a valutare i veri
motivi della presenza/assenza, dell’esiguità o del
cospicuo numero degli esemplari di questa produzione in alcune collezioni.
Inoltre ricordiamo che quasi sicuramente non
tutta la produzione in esame è stata realizzata in
Italia. Infatti gli intagli del filone n. 8 assai probabilmente erano incisi, secondo la convincente ipotesi della Maaskant-Kleibrink, nei Paesi Bassi, più
tardi rispetto alla fabbricazione italiana, nel tardo
XVI secolo e nella prima metà del XVII secolo.
Per quanto riguarda l’ipotesi che le officine siano poche e vicine, da questo studio emerge una
gamma di situazioni: i pezzi possono essere pressoché identici o possono diversificarsi solo per lievi modifiche o per un differente rendimento stilistico e/o iconografico; oppure i particolari connotanti
ricorrono in gemme di vari gruppi. Senza dubbio
si riscontrano scambi, influssi, trasposizioni, strette interdipendenze …
Kris 1929, I, pp. 72-73 e passim. Quanto all’influsso del Belli sull’officina milanese dei Sarachi, ibidem, pp. 111-112 e passim.
Distelberger 1988, pp. 457-459; Venturelli 1996, pp. 50, 53-54, pp. 202-204 (Miseroni; attestati dal 1453 al 1684), pp. 206-207
(Saracchi; notizie dal 1561 al 1617) e passim; Arbeteta Mira 2001, pp. 51-60; Venturelli 2002, pp. 240, 246 e passim; Distelberger,
Seipel 2002, pp. 79-99 e passim (R. Distelberger) (bibliografia essenziale). Sui Miseroni cfr. anche Venturelli 2009, ad indicem.
103
Ad es. Iñiguez 1989, pp. 28, 252, n. 4 (= Arbeteta Mira 2001, p. 174, n. 40), pp. 132-135, n. 80 (= Arbeteta Mira 2001, pp.
45, 49, 116-118, n. 10), p. 105, nn. 60-61 (= Arbeteta Mira 2001, pp. 45, 200-201, n. 56); Venturelli 1996, pp. 98-99; Distelberger,
Seipel 2002, pp. 176-178, n. 92, pp. 307-308, n. 191 (R. Distelberger).
104
Venturelli 1996, pp. 30, 56; Giusti 1997, p. 381; Giusti 2003, pp. 520, 523 (bibliografia essenziale). Sui Caroni cfr. anche Venturelli 2009, ad indicem.
105
Da ultimo, Venturelli 2009, p. 73, n. 33, p. 208, tav. XVI, n. 33, ove bibliografia precedente.
106
Da ultimo, Venturelli 2009, pp. 69-71, nn. 26-30, p. 72, n. 32, p. 93, nn. 43-44, p. 104, n. 60, p. 105, n. 62, p. 119, n. 70, pp.
121-122, n. 75, p. 129, n. 86, pp. 205-207, tavv. XIII-XV, p. 212, tav. XX, p. 219, tav. XXVII, p. 222, tav. XXX, p. 225, tav. XXXIII,
pp. 254-256, nn. 135-138, p. 261, nn. 147, 149, pp. 267-269, nn. 157-160, p. 300, n. 238, p. 301, n. 241, p. 304, n. 247, p. 307, n.
256, p. 313, n. 274, p. 323, n. 306, p. 330, n. 333.
107
Dolcini 2003; Venturelli 2009, pp. 50-51, fig. 10.
108
Pampaloni Martelli 1988, pp. 270-271; Giusti 1992, pp. 269-270, tavv. 138-139 (bibliografia essenziale).
101
102
80
GABRIELLA TASSINARI
9. Le collezioni: alcuni dati
L’esame delle collezioni in cui gli intagli della
produzione si trovano possono fornire dati per delineare i percorsi delle gemme, per precisare le datazioni avanzate e anche per ipotizzare la localizzazione di eventuali officine.
Va premesso che purtroppo in genere non è possibile ricostruire le raccolte di cui fecero parte originariamente gli intagli o che non si possono ancorare i pezzi ad un preciso momento di acquisto
o che esso non risulta determinante o infine come
siano ignote le modalità con cui le gemme sono entrate nella collezione.
Pertanto ricordiamo solo le collezioni principali o più documentate o i cui dati sono più significativi, tralasciando quelle informazioni che non risultano di una qualche utilità.
Innanzitutto sono assai rari i casi in cui si conosce il luogo di rinvenimento.
Tre intagli in corniola con teste laureate (i primi
due appartenenti al filone n. 11 gruppo B, il terzo
al gruppo C), già considerati antichi, sono stati recuperati uno vicino ad una villa, a Aiguefer (Ouveillan, Linguadoca) 109, l’altro presso l’anfiteatro di
Xanten 110, e il terzo – definito Giulio Cesare – a Londra nel Tamigi, nel 1853 111.
Alcuni intagli in corniola e in lapislazzuli con
figure, conservati a Budapest, al Museo Nazionale
Ungarico, sono stati trovati a Nyitracsalád, oggi in
Slovacchia, a Árpás, in Komitat Sopron, a Kispetri,
in Komitat Kolos, in Romania (questo particolarmente interessante perché appartiene a un tesoro
con diversi lavori d’argento del XVI-XVII secolo) e
a Eszék (Osijek), in Croazia 112.
Nella valle inferiore del Guadalquivir è stato rinvenuto un intaglio in lapislazzuli datato alla
[RdA 34
fine del I secolo d.C. 113; altri nelle antiche città del
Ponto Eusino 114.
Ma si ignora la provenienza della stragrande
maggioranza delle gemme confluite nelle collezioni.
Le descrizioni molto sommarie dei 2436 esemplari della eterogenea collezione del Museo Archeo­
logico Nazionale di Madrid 115 non permettono di
identificare con sicurezza le singole gemme. Comunque, una parte viene dagli scavi di Ercolano,
di Pompei e della Spagna, un’altra da quella raccolta reale, che ha assorbito quasi tutti i pezzi stranieri, specie francesi, e ancora un’altra è frutto di
numerosi acquisti da collezionisti di Spagna, Francia e Italia.
Sempre a Madrid, al Prado, si custodisce quel­
l’insieme (il Tesoro del Delfino) che Filippo (16831746) – monarca di Spagna con il nome di Filippo
V – ricevette come eredità di suo padre Luigi (16611712), Gran Delfino di Francia, unico figlio superstite di Luigi XIV ed erede della corona 116.
Vari intagli di questa produzione, ora al museo
G. M. Kam di Nimega, provengono dalla collezione (con molti esemplari di raccolte più antiche) riunita da P. Ch. G. Guyot, da lui donata alla città nel
1850, come da quella del mercante G. M. Kam iniziata intorno al 1900 e poi lasciata allo Stato 117.
Altri intagli appartengono alla raccolta, formata a Nimega nella prima metà del XVII secolo, dal
famoso antiquario Johannes Smetius e dal figlio,
inclusa anche tra le gemme pubblicate dal Gronovius, venduta nel 1704 all’Elettore Palatino, Johann
Wilhelm, e quindi ora a Monaco (Staatliche Münzsammlung) 118.
La collezione glittica conservata a Monaco risulta una delle più cospicue: è costituita dai beni della Schatzkammer della residenza di Monaco, del-
Gallia 1966.
Platz-Horster 1987, p. 41, tav. 14, n. 73. L’intaglio, ascritto dalla Platz-Horster alla prima metà del I secolo d.C., è stato datato al XVI o al XVII secolo (Sena Chiesa 1990, p. 485) o al XVI - prima metà del XVII secolo (Zwierlein-Diehl 1990, p. 643).
111
Richter 1971, p. 97, n 461 = Henig 1978, p. 247, tav. XV, n. 481. Henig datava questo intaglio al I secolo a.C. o più tardi, ma
in seguito non lo ha più ritenuto romano (Maaskant-Kleibrink 1986, p. 88, n. 174).
112
Gesztelyi 2000, pp. 87-88, nn. 297, 300, 305, 308.
113
Chaves Tristan, Casal García 1993, pp. 330-331, n. 75, fig. 3, n. 75.
114
Kibaltchitch 1910, passim.
115
Per la storia della collezione glittica del Museo Archeologico, Casal García 1990, pp. 55-60; Chaves Tristan, Casal García
1993, pp. 316-317. Cfr. anche De Gabinete 1993.
116
Per un’analisi delle raccolte e dei vari aspetti del collezionismo di Luigi XIV e di suo figlio Luigi, Gran Delfino di Francia,
Arbeteta Mira 2001, pp. 19-33 (pp. 33-38 fonti documentarie).
117
Per un’analisi delle collezioni del Museo cfr. Maaskant-Kleibrink 1986, pp. ix-xiv; Guepin 1990, p. 168.
118
Maaskant-Kleibrink 1986, pp. ix-xii; Guepin 1990, p. 168; Weber 1992, pp. 15-16 e passim.
109
110
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
la famiglia bavarese dei Wittelsbach e dei principi
elettori del Palatino. Per quanto riguarda la gran
quantità di esemplari della produzione in esame
(tra l’altro, come già notato 119 con numerosissimi e
forti paralleli con i pezzi di Madrid), si è detto che
una parte viene dalla collezione dell’Elettore Palatino Johann Wilhelm von der Pfalz-Neuburg (regnò
1690-1716) 120, che nella sua residenza a Düsseldorf,
tra il 1696 e il 1716, aveva formato una delle più
famose raccolte tedesche (più di 400 gemme), di
epoca barocca. Probabilmente sua ispiratrice fu anche la seconda moglie, la figlia di Cosimo III Anna
Maria Luisa de’ Medici, di cui è noto il gran interesse per le gemme, che dopo la morte del marito
ritornò a Firenze con gemme e gioiel­li. Non sono
note le fonti di acquisto di Johann Wilhelm. Sappiamo dei suoi buoni rapporti con il Langravio Karl
di Hessen-Kassel; entrambi potevano comprare dagli stessi agenti artistici; ma finora non vi è alcun
dato di archivio al proposito. Uno degli eredi di
Johann Wilhelm, Karl Theodor, nel 1785 trasferì la
sua residenza a Monaco e vi portò la raccolta glittica.
Un altro blocco di Monaco, che conserva varie
gemme della produzione in esame, viene dal principe abate del monastero di St. Emmeram a Regensburg, Coelestin Steiglehner 121, appassionato
collezionista di monete e pietre incise. Si ignora
la storia di questa raccolta, venduta al Münzkabinett nel 1812 – se era solo la collezione personale
dell’abate o comprendeva anche una parte di più
antiche raccolte del monastero, e le modalità di acquisto dei pezzi – che contiene 844 cammei e intagli antichi e non, e anche belle paste vitree di opere
di artisti famosi come Giovanni Pichler (1734-1791)
e Nathaniel Marchant (1739-1816).
Conservato sempre a Monaco, ma di provenienza ignota, è un esemplare assai interessante
per diversi aspetti. Si tratta di un lapislazzuli inciso su entrambi i lati: in uno un cammeo con il busto di Anna d’Austria (1601-1666), moglie del re di
Francia Luigi XIII, nell’altro un intaglio con Apol-
81
lo e Dafne, inserito nel gruppo F del filone 1 (Tav.
XXXIV g) 122. Secondo la Weber il cammeo si basa
su una medaglia di Jean Varin, coniata intorno al
1645, il cui retro mostra Luigi XIV come bimbo,
mentre l’intaglio è più antico del cammeo, probabilmente un lavoro francese del 1600 circa. Comunque sia, questo esemplare testimonia come il lapislazzuli venisse usato per un cammeo ufficiale a
cui non si disdegnava di associare una tipica figurazione della produzione in esame, di cui fornisce
un terminus ante quem.
Tre collezioni costituiscono la base della raccolta glittica ai Musei di Berlino 123: quella della corte
di Brandeburgo, quella del Margravio di Ansbach
e la collezione Stosch.
Va sottolineato che un terzo di tutti i lapislazzuli appartengono alla Kunstkammer della corte di
Brandeburgo con circa 300 pietre, sostanzialmente
radunata dai grandi principi elettori e da Federico
I. Nell’inventario molto sommario del 1649 non è
citata la raffigurazione ma solo il materiale delle 67
gemme, quasi tutti intagli (e tra questi anche lapislazzuli); nell’inventario del 1672 è documentata la
succitata agata con Ercole e Cerbero; quindi è questo un utile terminus ante quem.
Nel 1696 Lorenz Beger, conservatore e bibliotecario di corte di Heidelberg, pubblicò il suo Thesaurus Brandeburgicus Selectus: sive Gemmarum …: gran
parte delle gemme ritenute da Beger antiche sono
state più tardi riconosciute moderne.
La collezione del Margravio di Ansbach, al Museo di Berlino dal 1758, presenta le caratteristiche
dei gabinetti di gemme principeschi: è composta di
256 intagli e cammei, di cui vari moderni, ritenuti
antichi a causa dei loro soggetti classici, e tra questi anche vari intagli in lapislazzuli.
Il poliedrico barone Philipp von Stosch (16911757) 124, esperto ed insaziabile collezionista di gemme, prima a Roma, poi a Firenze, riunì una eccezionale raccolta di cammei e intagli antichi e non,
paste vitree e calchi; Winckelmann ne stese il catalogo. Nel 1764 Federico II comprò gemme, impron-
Casal García 1990, p. 73.
Weber 1992, pp. 11-16 e passim; Weber 2001, pp. 13-14. Cfr. anche Seidmann 1993.
121
Weber 1992, p. 13; Seidmann 1996a; Weber 2001, pp. 16-17 e passim.
122
Weber 1992, pp. 22-23, 190-191, n. 243, tav. III.
123
Per la storia della collezione, cfr. Furtwängler 1896, pp. v-xi; Zwierlein-Diehl 1969, pp. 9-11; Gröschel 1979, pp. 52-57; Gröschel 1981, pp. 98-99; Zwierlein-Diehl 2007, pp. 271-272.
124
Da ultimo, Tassinari 2009a, pp. 175-177; Tassinari 2010, pp. 31-33.
119
120
82
GABRIELLA TASSINARI
te e paste vitree: 3444 intagli di cui 887 pietre e paste riconosciute come moderne 125. La straordinaria
raccolta di Stosch di 28000 impronte fu acquistata
nel 1791 da James Tassie che le utilizzò per le sue
riproduzioni.
Quattro intagli della collezione Stosch, pubblicati da Winckelmann, sono in lapislazzuli 126.
Pochi esemplari sono stati editi delle numerose gemme dei secoli XVI-XVIII della collezione di
Kassel (Antikensammlung, Staatliche Museen) 127; si
è già accennato come dei lapislazzuli ce ne siano
più di un centinaio. Nonostante le incisioni mediocri e sommarie dell’edizione dell’opera di Abraham
Gorlaeus, commentata dal Gronovius, in qualche
caso è stato possibile riconoscere che i pezzi della
collezione glittica di Gorlaeus sono ora a Kassel. La
collezione glittica di Kassel, una delle più considerevoli in Germania – nel 1767 ammontava a circa
2500 intagli, per lo più, e cammei, antichi e moderni –, fu arricchita sia dal Langravio Karl di HessenKassel (1670-1730), che durante il viaggio in Italia
nel 1701 comprò dal nobile veneziano Antonio Capello una collezione di gemme, molte non antiche,
sia dal Langravio Federico II di Hessen (regnò dal
1760 al 1785) nel suo viaggio in Italia (1776-1777)
e attraverso i suoi corrispondenti.
Forniscono un utile terminus ante quem gli intagli in lapislazzuli appartenuti alla raccolta del commerciante e collezionista di Norimberga Paolo II.
Praun (1548-1616). Secondo von Murr, autore della descrizione del Cabinet 128, Praun cominciò a collezionare all’età di 28 anni (nel 1576) in Germania
e in Italia; già nel 1589 aveva in Norimberga una
raccolta rilevante di pitture, statue, busti, bassorilievi, bronzi, monete, disegni, curiosità, e, appunto, pietre incise e non. Va sottolineato che questa
collezione – una delle più importanti, non principesche, del XVI secolo – è stata costituita soprat-
[RdA 34
tutto in Italia; in particolare la maggior parte delle gemme è stata acquistata a Bologna, dove Praun
morì. Nella descrizione di von Murr sono elencate
1163 gemme (1083 intagli e 80 cammei); prevalentemente gemme romane, ma anche etrusche, italiche
e del Rinascimento italiano. Solo 5 cammei e 8 intagli von Murr ritiene siano moderni, mentre sono
definiti greci o romani lavori sicuramente del XVI
secolo, con soggetti antichi.
Dunque, tra le gemme considerate antiche vi
sono quasi una trentina di intagli e due cammei
in lapislazzuli. Tutti senza immagini, questi esemplari mostrano una gamma ampia e varia di raffigurazioni: Giove circondato dallo zodiaco, Minerva seduta con lancia o vittoria, Venere con Cupido,
Cerere, Leda e il cigno, Iole con la clava di Ercole, sacrifici, figure di Vittorie, Cupidi, eroi, filosofi,
astronomi, geni, teste di imperatori romani 129.
Nel 1772 von Murr inviò 60 impronte a Philipp
Daniel Lippert, che le inserì nel suo Supplemento
del 1776; tra le paste vitree di Lippert ora a Würzburg (Martin-von-Wagner-Museum der Universität) che documentano 80 gemme della collezione
Praun, tra cui 26 gemme del XVI secolo, vi è un
intaglio in lapislazzuli (cfr. oltre).
Comprata nel 1839 da Sibylle Mertens-Schaaffhausen (1797-1857), la raccolta Praun condivise la
sorte della vendita e dispersione della collezione
Mertens-Schaaffhausen.
Molti intagli della produzione in esame, ora a
Vienna, al Kunsthistorisches Museum, vengono o
dalla collezione Estense (la maggior parte) o da
quella costituita dall’Arciduca Ferdinando che morì
nel 1595 130. Il marchese Tommaso, ultimo erede degli Obizzi (morto nel 1803), impiegò il suo ingente patrimonio per trasformare il castello-villa, “Il
Catajo”, dimora della famiglia a Este, in un vero
e proprio museo. Grazie ai viaggi e ad una rete
Furtwängler 1896, pp. vi-vii, 323-340, nn. 9423-9725. Cfr. anche Zwierlein-Diehl 1969, p. 9.
Winckelmann 1760, II, p. 61, n. 185 (= Furtwängler 1896, p. 325, tav. 63, n. 8903), II, p. 76, n. 286 (= Furtwängler 1896, p.
320, tav. 62, n. 8726), II, p. 92, n. 397 (= Furtwängler 1896, p. 320, n. 8728), IV, p. 450, n. 331 (= Furtwängler 1896, p. 326, n.
8938).
127
Sulla collezione glittica di Kassel, Zazoff 1965, pp. 1-6; Zazoff 1970, pp. 179-181; Höcker 1987-88, pp. 8-9. Ulteriore bibliografia in Tassinari 1994, pp. 50-51.
128
Murr 1797. Per un’analisi del collezionista, della raccolta e delle sue vicende, si rimanda, oltre che a Murr 1797, a Zwierlein-Diehl 1994; Zwierlein-Diehl 1994a; Zwierlein-Diehl 2007, p. 273.
129
Murr 1797, p. 274, n. 69, p. 276, n. 83, p. 280, n. 139, p. 281, nn. 146, 148, p. 282, n. 158, p. 283, n. 172, p. 291, n. 266, p. 293,
n. 299, p. 295, nn. 338, 344, 349, p. 298, n. 377, p. 302, n. 458, p. 304, nn. 493-494, p. 310, n. 559, p. 314, nn. 620, 624, p. 315, nn.
636, 646, p. 316, nn. 655, 662, p. 318, n. 686, p. 326, n. 771, p. 327, n. 792, p. 329, nn. 837, 840, p. 339, n. 1018.
130
Sulle due collezioni, cfr. Zwierlein-Diehl 1991, pp. 25-26; Bernhard-Walcher 1991, pp. 28, 36-37. Per un esame del marchese
Tommaso degli Obizzi e della sua eterogenea collezione, Fantelli, Fantelli 1982; Fantelli 1988; Favaretto 1989, p. 319.
125
126
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
di rapporti e corrispondenti estesi a tutta Italia e
anche fuori, il marchese otteneva uno straordinario numero di ogni sorta di oggetti, sulla cui qualità venivano sollevati dubbi; ma la raccolta, quantitativamente, era divenuta una delle ‘meraviglie’.
Quanto alle gemme si trattava soprattutto di lavori della glittica italiana del XV e XVI secolo. Alla
morte del marchese, dopo una lunga e travagliata storia attraverso una serie di passaggi di eredità tra gli Estensi, le collezioni finirono a Vienna e
in parte a Modena.
Per ciò che riguarda i lapislazzuli conservati a
Parigi, al Cabinet des médailles, si tratta della raccolta glittica prima nel Gabinetto del Re 131. Varie
gemme vennero acquistate in Italia dai commissari del re Enrico IV, così come provenivano dall’Italia molte delle pietre incise della collezione lasciata
nel 1660 dal Duca d’Orleans, zio di Luigi XIV. Ad
arricchire la collezione contribuirono gli inviati nel
Levante, i doni di stranieri e altre raccolte, ad esempio quella famosa di Nicolas-Claude Peiresc.
Quanto agli esemplari della produzione al Museo del Louvre, i primi acquisti noti del re Luigi
XIV datano al 1663, varie gemme sono entrate nella collezione del cardinale Mazzarino tra il 1653 e
il 1661 o in quella del re Luigi XV tra il 1684 e il
1701 132.
Conservata al Musée des Beaux-Arts di Rennes
è la raccolta dell’eclettico collezionista ChristophePaul, marchese di Robien (1698-1756), uno degli ultimi grandi rappresentanti della politica, dell’erudizione e della letteratura provinciale francese 133.
A Rennes, il suo celebre Gabinetto di antichità e
storia naturale veniva segnalato per l’ampiezza e
la varietà degli oggetti, tra cui più di 200 intagli e
cammei.
Quasi tutti gli intagli di questa produzione conservati al British Museum vengono dalla collezione del medico e botanico Sir Hans Sloane (16601753) 134. La sua raccolta, la maggior parte creata in
circa quarant’anni, dal tardo 1680 al 1720, era una
83
straordinaria miscellanea di oggetti, tra cui disegni, strumenti scientifici, fossili, conchiglie, piante,
insetti, uccelli, pesci. Sloane collezionava gemme
(550 tra intagli e cammei) non per la loro qualità
ma come esempi del mondo naturale e artificiale
e per le informazioni che davano sulla storia del
mondo. Nella grande varietà delle pietre, spesso
molto belle, vi è appunto il lapislazzuli. I soggetti
includono, oltre ai molti classici e biblici, anche le
diverse specie di animali, a volte incisi in pietre e
nei colori appropriati. Nel suo catalogo manoscritto Sloane annotava il soggetto, la pietra e se ‘antica’ o ‘moderna’. Dalton data circa 230 gemme di
Sloane al XVI secolo o XVII secolo.
Qualche altro intaglio della produzione conservato al British Museum appartiene alla collezione
di Charles Townley acquistata nel 1814 135. Townley
era interessato fondamentalmente al soggetto delle
gemme e ne comprava in grandi quantità; pensava
che tutte le sue gemme fossero antiche e una grande proporzione è ancora considerata tale.
Un discorso a sé meritano i lapislazzuli inseriti nella parure Devonshire 136, ritenuta il capolavoro
della gioielleria vittoriana, conservata ancor intatta a Chatsworth, parte di quella famosa collezione di gemme antiche e non, fondata da William,
2° duca di Devonshire (1673-1729). Granville Geor­
ge Leveson Gower, 2° conte Granville, nipote di
William, 6° duca di Devonshire, fu invitato a condurre la missione britannica a Mosca all’incoronazione dello zar Alessandro II nel 1856. Secondo lo
spirito romantico del tempo, C. F. Hancock, gioielliere di Londra incaricato di creare una parure per
la contessa Granville, incorporando gemme e diamanti della collezione Devonshire, si ispirò al passato, così che la parure risulta stilisticamente eclettica, mescolanza di antico e moderno. Essa consiste
di sette pezzi, con incastonati più di 300 diamanti
e 88 gemme selezionate (dal II secolo a.C. al XVIII
secolo d.C. circa). E se il punto focale dei vari ornamenti è una gemma di rilevante qualità, forma
Sulla storia della collezione reale, Mariette 1750, vol. I, passim, vol. II, pp. i-xi; Babelon 1897, pp. 112-174; Avisseau-Broustet
1995, I, pp. 15-16.
132
Per la storia della collezione, Alcouffe 2001, pp. 11-31.
133
Cfr. Tassinari 1994, pp. 64-65, ove precedenti riferimenti bibliografici.
134
Su Sloane collezionista di gemme, cfr. Rudoe 1996, p. 198; Rudoe 2003, pp. 135-136 (bibliografia essenziale).
135
Sulla collezione di gemme Townley, cfr. Rudoe 1996, p. 198; Rudoe 2003, p. 138 (bibliografia essenziale).
136
Per un’analisi del significato storico della commissione, delle caratteristiche di questo gioiello e dei singoli pezzi, Scarisbrick
1979; Scarisbrick 1986 (con identificazione e datazione di tutte le 88 gemme); Scarisbrick 2003, pp. 68-70, 73; Barker 2003, pp.
320-326, n. 192. Per un esame della ditta Hancock cfr. Gere 2002 (per la parure, pp. 46-48, 50-51, 57-58).
131
84
GABRIELLA TASSINARI
e colore, è significativo che due intagli in lapislazzuli, assegnati al Rinascimento, siano posti al centro: nella corona Ercole barbato (o Commodo) con
la leontea, e nel pettorale un guerriero armato stante che tiene una clessidra e ha un leone accucciato
ai suoi piedi. Ma altri lapislazzuli sono stati scelti
per esser incastonati in questa parure, tutti ascritti al XVI secolo d.C.: due intagli nel diadema, una
testa di Claudio e un’aquila su una colonna, fiancheggiata da due stelle e l’iscrizione IVLIVS CESAR; nel pettorale un cammeo con un busto di donna in foggia non antica.
Alcuni dei pezzi qui esaminati, ora al Museo
Statale dell’Ermitage, vengono dalla collezione
d’Orléans 137, la cui formazione risale alla raccolta
rinascimentale custodita nel castello di Heidelberg.
Nel 1685 il già citato Lorenz Beger pubblicò il suo
Thesaurus ex Thesauro Palatino Selectus: 111 gemme,
una selezione delle più pregevoli, conservate nel
castello di Heidelberg, la maggior parte realizzata
nel Rinascimento. Dopo la distruzione del castello
di Heidelberg, la dattilioteca passò all’ereditiera, la
principessa palatina Charlotte-Elisabeth (Liselotte),
moglie di Filippo d’Orléans, fratello di Luigi XIV,
che la aumentò molto. In seguito alla morte della principessa nel 1722, la raccolta fu trasmessa ai
duchi d’Orléans. Il duca Luigi III d’Orléans acquistò nel 1741 la celebre dattilioteca di Pierre Crozat, di cui Mariette preparò il catalogo: quasi 1400
pezzi, la maggior parte antichi ma anche del XVI
e XVII secolo.
Alcuni casi si pongono come testimonianza di
cosa ‘circolava’ sul mercato antiquario, soprattutto nel XIX secolo.
Ad esempio nel catalogo della collezione di
gemme, con l’annotazione della data d’acquisto e
del prezzo pagato, dell’erudito, collezionista e amatore d’arte e di antichità abate Carlo Antonio Pullini, due intagli in lapislazzuli, uno con la testa di
Decio Traiano, l’altro con il busto d’una baccante, sono stati comprati rispettivamente nel 1791 e
nel 1797 138.
Negli anni centrali dell’800 sono state acquistate
da Friedrich Wieseler, con lo scopo di formare una
raccolta istruttiva, le pietre e le repliche vitree di
Gottinga (Università, Archäologisches Institut) 139.
Così, la cospicua raccolta glittica, ora al Fitzwilliam Museum di Cambridge, di Sir Henry Solomon
Wellcome, filantropo sostenitore della ricerca medica e collezionista, consiste di acquisti particolarmente intensi dal 1913 fino alla sua morte, nel
1936 140.
L’altra raccolta (400 gemme circa), nello stesso
Museo, fu costituita dal Reverendo Samuel Savage
Lewis (1836-1891), insegnante, antiquario, bibliotecario del Corpus Christi College, che acquistava
antichità nel corso dei suoi viaggi in Italia, Grecia
e Paesi orientali (ad esempio comprava a Napoli, Cherchel, Kerch, Costantinopoli e specialmente
Smirne), dai suoi amici all’estero, alle aste di Londra e Parigi 141.
Invece, in linea generale, non possiamo stabilire se la sua dattilioteca rifletta i percorsi dei viaggi
di Alfonso Garovaglio (1820-1905), a cui è tradizionalmente attribuita la collezione – oltre cento esemplari, tra intagli e cammei, antichi e non, classici e
orientali, scarabei e repliche vitree –, conservata nel
Museo Civico Archeologico “Giovio” di Como 142.
Archeologo, collezionista, Garovaglio intraprese
diversi viaggi in Egitto, Siria, Palestina, Mesopotamia; perciò possiamo ipotizzare anche l’Oriente
come suo mercato di rifornimento.
Per quanto concerne le altre collezioni italiane,
la maggior messe di notizie riguardano la dattilioteca dei Medici. Senza ripercorrere le vicende ampiamente note 143, ricordiamo che parecchi esemplari della produzione dei lapislazzuli non sono stati
rintracciati nei vari inventari redatti nell’arco della storia della collezione. Ciò premesso, alcuni vengono menzionati nell’inventario, databile prima del
1736, di Sebastiano Bianchi, custode del medagliere e della dattilioteca granducale, e/o nell’inventario del 1786, a cura di Giuseppe Bencivenni Pelli, o
nel manoscritto compilato nel 1838 da Michele Arcangiolo Migliarini, che rispecchia il riordino della
Galleria, da lui curato. Un intaglio – le tre Grazie,
Splendeurs 2000, pp. 14-26.
Palma Venetucci 1994, pp. 33-34.
139
Gercke 1970, p. 65.
140
Su Wellcome, Nicholls 1983, pp. 7-8.
141
Henig 1975, pp. 1-3; Spier, Vassilika 1995.
142
Per una ricostruzione della raccolta del Garovaglio, Magni, Tassinari 2010.
143
Cfr. ad es. Gennaioli 2007, pp. 39-94.
137
138
[RdA 34
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
filone n. 9, gruppo D – è registrato tra le gemme
di Cosimo III nell’inventario di Luigi Strozzi (1676).
Qualche intaglio della produzione è stato pubblicato da Leonardo Agostini nella sua opera Le gemme
antiche figurate, appartenente alla sua raccolta o a
quella dell’Abate Pietro Andrea Andreini, entrambe passate nella dattilioteca medicea.
Sono in genere scarsi i dati utili relativi alle gemme delle altre collezioni italiane.
Purtroppo è impossibile specificare, su basi certe, quali intagli qui citati, conservati ai Civici Musei d’Arte di Verona, appartengono alla collezione
del conte Jacopo Verità (1744-1827) 144. Infatti attualmente non si distinguono le gemme Verità – più di
1600 – confluite al Museo insieme ad altri, pur minori, lasciti. Quanto alle modalità di acquisizione
delle gemme da parte del conte Verità, soprintendente al Museo Maffeiano, si può ricordare che nel
1791 si era recato a Roma, dove ritornò più volte,
e vi è notizia di scavi da lui compiuti; altre gemme possono provenire dal mercato antiquario ‘locale’ (pensiamo solo a due centri come Venezia ed
Aquileia).
È molto probabile che parecchie gemme della
collezione del Museo Civico Archeologico di Bologna siano state comperate a Roma e a Aquileia 145,
così come è presumibilmente formata da acquisti
sul mercato antiquario romano la settecentesca collezione glittica Riminaldi, donata al Museo di Ferrara e ivi conservata 146.
Tutti i lapislazzuli del Museo Archeologico di
Padova vengono dalla collezione di Antonio Piazza
(1772-1844), notaio, avvocato e patriota; ma non conosciamo nulla circa la provenienza delle sue gemme 147.
La maggior parte dei 225 pezzi conservati al
Museo Archeologico di Bari è confluita in seguito ad acquisizioni effettuate negli anni tra il 1889
e il 1903 148.
Così, la raccolta di gemme dei Civici Musei e
Gallerie di Storia e Arte di Udine è costituita da
lasciti e donazioni di collezionisti locali: un numero consistente proviene dalla raccolta di Luigi Torrelazzi, orefice e gioielliere ben noto di Udine che
Da ultimo, Sena Chiesa 2009, pp. 1-6.
Mandrioli Bizzarri 1987, p. 22.
146
D’Agostini 1984, p. 11.
147
Seidmann 1997, p. 123; Pellegrini 1997, pp. 124, 128-132.
148
Tamma 1991, p. 3.
149
Tomaselli 1993, pp. 19-20; Anceschi 2006, p. 115.
144
145
85
morì nel 1893, altri da quella dell’udinese conte
Francesco di Toppo (1797-1883) 149.
10. I
filoni della produzione
10.1. Le figure e le scene
Filone n. 1
È il filone più numeroso e che presenta più spiccate quelle singolari caratteristiche stilistiche già illustrate e che qui si riassumono. Tipica è la resa del
profilo del viso schematico o semplificato, a marcati
e stilizzati tratti orizzontali, della strana pettinatura con i capelli a fiocchi o ritti in alto, dei muscoli
dell’addome a solchi rotondi o con una specie di
globuli, delle estremità indicate in modo sommario e del panneggio ad arco.
All’interno di questo filone si distinguono diversi gruppi di intagli stilisticamente e/o iconograficamente omogenei, talvolta numerosi, talaltra costituiti da pochissimi esemplari.
Gruppo A
Gli intagli presentano, con lievi varianti, figure
maschili nude, identificabili con un guerriero, con
Marte, con Roma (può esservi anche una commistione delle due iconografie), sedute su un pezzo
di roccia, un tronco d’albero o una corazza, da cui
talvolta salgono una serie di segmenti-raggi, resi
come lance o frecce; una mano è posata sul tronco
o tiene una lancia, l’altra protesa un elmo (da cui
a volte si dipartono tipici raggi riempitivi: per rendere il cimiero?), una Vittoria, un ramo, una freccia
o un oggetto non definibile da cui spesso pendono
due lunghi nastri (forse i lembi del mantello); talvolta dal terreno spuntano delle piante e dei ciuffi
d’erba; in un caso vi è una colonnina e una stella,
in un altro un’ara accesa.
In questo gruppo sono marcate le peculiarità stilistiche della produzione.
GABRIELLA TASSINARI
86
Predominano il lapislazzuli e la corniola, seguite
dall’agata zonata; in un caso vi è il diaspro verde.
[RdA 34
gia con il gomito ad un pilastrino. Alcuni esemplari sono pressoché identici tra loro.
Attestazioni
Attestazioni
Bari, Museo Archeologico 150
Bologna, Museo Civico Archeologico 151
Verona, Civici Musei d’Arte 152 (Tav. XXXI a; Tav.
LIII a)
Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung 153
Braunschweig, Herzog Anton Ulrich Museum 154
Cambridge, Fitzwilliam Museum 155 (Tav. XXXI b)
Gottinga, Università, Archäologisches Institut 156
Kassel, Antikensammlung, Staatliche Museen 157
Londra, British Museum, collezione Sloane 158
Madrid, Museo Archeologico Nazionale 159 (Tav.
XXXI c)
Madrid, Museo Nazionale del Prado, Tesoro del Delfino 160
Monaco, Staatliche Münzsammlung 161
Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 162
San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage 163
Ubicazione ignota, già collezione Macgowan (Tav.
XXXI d) 164
Ubicazione ignota 165
Vienna, Kunsthistorisches Museum 166
Aquileia, Museo Nazionale 167
Firenze, Museo degli Argenti 168
Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung 169
Budapest, Museo Nazionale Ungarico 170
Leida, Royal Coin Cabinet 171
Monaco, Staatliche Münzsammlung 172
Ubicazione ignota 173 (Tav. XXXI e)
In pochi intagli la figura è stante, con il busto di
prospetto, le gambe e il viso di profilo, si appog-
Gruppo B
Un gruppo assai diffuso è costituito da intagli
tra di loro del tutto simili per iconografia e stile:
eroti stanti o incedenti con arco imbracciato nell’atto di scoccare la freccia, con le solite caratteristiche
più o meno accentuate, come la tipica pettinatura a
segmenti ritti, il profilo del viso espresso mediante
tre-quattro tratti, le linee sinuose ad indicare la clamide svolazzante. Unica variante di rilievo: in alcuni intagli l’erote sta su un basamento con sporgenze modanate o su un globo.
Le pietre, oltre al lapislazzuli e alla corniola,
sono l’agata, il diaspro, l’ametista e l’eliotropio.
Tamma 1991, p. 94, n. 172 (età moderna).
Mandrioli Bizzarri 1987, pp. 146-148, nn. 284-286 (III-IV secolo o XVII-XVIII secolo?).
152
Tassinari 2009, p. 155, tav. XLIII, n. 661 (XVI-XVII secolo).
153
Furtwängler 1896, p. 321, tav. 62, n. 8785 (già ritenuto antico, poi ricollegato a questa produzione).
154
Seiler 2008, p. 195, fig. 158, prima fila, primo da sinistra (non datato).
155
Henig, Scarisbrick, Whiting 1994, pp. 324-325, n. 679 (XVI secolo).
156
Gercke 1970, p. 128, tav. 59, n. 363 (II secolo d.C.).
157
Zazoff 1983, p. 394, nota 40, tav. 130, n. 7 (XVII-XVIII secolo).
158
Walters 1926, p. 217, tav. XXVI, n. 2077 (tra le gemme greco-romane); inediti, inv. SL.A 155, inv. SL.A 196: visione autoptica (XVI-XVII secolo).
159
Casal García 1990, I, pp. 206-208, II, pp. 114-115, 118-119, nn. 144-148, 164, 166-168 (età moderna).
160
Iñiguez 1989, p. 65, n. 17 (non datato).
161
AGDS I, 3, p. 69, tav. 232, n. 2529 (III-IV secolo d.C.), p. 103, tav. 262, n. 2783 (II secolo d.C.); Weber 2001, pp. 182, 206, nn.
371-372, 444 (seconda metà del XVII secolo).
162
Maaskant-Kleibrink 1986, p. 89, n. 180 (= ibidem, p. xii, fig. 6 = Gronovius 1695, p. 53, n. 606) (XVI-XVII secolo).
163
Inv. I. 11344; inedito, cit. in Weber 2001, p. 182, n. 371.
164
Raspe 1791, p. 679, n. 12655 (XVI-XVII secolo).
165
Gronovius 1695, pp. 29-30, nn. 272-273, pp. 52-53, n. 602 (XVI-XVII secolo).
166
Zwierlein-Diehl 1991, p. 281, tav. 204, n. 2649 (XVI - metà del XVII secolo).
167
Sena Chiesa 1966, p. 323, tav. XLVII, n. 928a (III o IV secolo d.C.).
168
Gennaioli 2007, p. 386, n. 546 (XVII secolo).
169
Furtwängler 1896, p. 321, tav. 62, n. 8769, p. 322, n. 8770 (senza illustrazione = Zwierlein-Diehl 1969, p. 186, tav. 89, n. 515)
(già considerati antichi, poi ricondotti alla produzione dei lapislazzuli).
170
Gesztelyi 2000, pp. 87, 168, n. 297 (XVI-XVII secolo).
171
Maaskant-Kleibrink 1997, p. 238, fig. 9 (XVI-XVII secolo).
172
Weber 2001, p. 224, n. 518 (circa 1700).
173
Gronovius 1695, pp. 53-54, n. 615 (XVI-XVII secolo).
150
151
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
87
Gruppo C
Attestazioni
Aquileia, Museo Nazionale Bologna, Museo Civico Archeologico 175 (Tav. XXXI f )
Firenze, Museo degli Argenti 176
Napoli, Museo Archeologico 177
Ravenna, Museo Nazionale 178
Torino, Museo Civico d’Arte Antica 179
Bucarest, Gabinetto Numismatico dell’Accademia
Rumena 180
Gottinga, Università, Archäologisches Institut 181
Kassel, Antikensammlung, Staatliche Museen 182
Londra, British Museum, collezione Sloane 183
Madrid, Museo Archeologico Nazionale 184
Monaco, Staatliche Münzsammlung 185
Ubicazione ignota, già collezione dell’Elettore palatino a Heidelberg 186
Ubicazione ignota, già collezione Vimercati Sozzi,
Bergamo 187 (Tav. XXXI g)
Ubicazione ignota 188
Valencia, Museo dell’Università 189
Vienna, Kunsthistorisches Museum 190
174
Si inseriscono in questo gruppo dal punto di vista stilistico ma non sono Eroti e hanno il panneggio
ad arco i seguenti intagli in onice e in corniola:
Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 191
Rientra nel filone 1 un insieme piuttosto omogeneo dal punto di vista iconografico, un po’ meno
stilistico: una serie abbastanza nutrita di intagli che
raffigurano un Erote nudo, ad ali spiegate, stante
o incedente, di prospetto, con il viso di profilo; di
solito mette una mano sull’arco poggiato a terra,
mentre con l’altra tiene una freccia o un ramo. Gli
intagli sono quasi sempre in lapislazzuli e in corniola, di rado in agata zonata.
Attestazioni
Bologna, Museo Civico Archeologico 192
Udine, Civici Musei 193 (Tav. XXXI h)
Verona, Civici Musei d’Arte 194 (Tav. XXXI i; Tav.
XXXII a, b; Tav. LIII b)
Budapest, Museo Nazionale Ungarico 195
Cluj, Museo Archeologico 196
L’Aja, Royal Coin Cabinet 197
Londra, British Museum, collezione Sloane 198
Londra, Freud-Museum, collezione Freud 199
Madrid, Museo Archeologico Nazionale 200
Monaco, Staatliche Münzsammlung 201
Mosca, Museo Puskin 202
Sena Chiesa 1966, p. 320, tav. XLVI, n. 912 (età antica).
Mandrioli Bizzarri 1987, p. 90, n. 143 (III-IV secolo d.C.).
176
Gennaioli 2007, p. 361, n. 486, p. 386, n. 547, p. 410, n. 621 (III-IV secolo d.C.? XVII secolo; prima metà del XVIII secolo?).
177
Giove, Villone 2006, p. 143, n. 164 (senza immagine); visione autoptica (XVI-XVII secolo).
178
Maioli 1971, pp. 41-42, nn. 39-40, tav. III, 24 (III-IV secolo d.C.?).
179
Bollati, Messina 2009, pp. 195-196, n. 142 (XVII-XVIII secolo).
180
Gramatopol 1974, p. 53, tav. IX, n. 179 (età antica).
181
Daktyliotheken 2006, p. 201, fig. 3, n. 34 (non datato).
182
Zazoff 1983, p. 394, nota 40, tav. 130, nn. 4-5 (XVII-XVIII secolo).
183
Inv. SL.A 178, inv. SL.A 199, inv. SL.A 203; inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo).
184
Casal García 1990, I, pp. 203-204, II, pp. 107-108, nn. 109-118 (età moderna).
185
Weber 2001, pp. 175-176, nn. 348, 350 (prima metà del XVII secolo).
186
Begerus 1685, pp. 24-25, tav. XVI (non datato).
187
Tassinari c.s.a, n. 395 (XVI-XVII secolo).
188
Gronovius 1695, p. 50, nn. 568-569, p. 51, n. 583, p. 53, n. 614 (XVI-XVII secolo).
189
Alfaro Giner 1996, pp. 106-108, tav. XI, n. 46 (XIX secolo).
190
Zwierlein-Diehl 1991, p. 283, tav. 205, n. 2661, n. 2662 (n. 2662 = Zwierlein-Diehl 1993, pp. 391-393, fig. 30) (XVI - metà del
XVII secolo).
191
Maaskant-Kleibrink 1986, pp. 90-91, nn. 184-185 (XVI-XVII secolo).
192
Mandrioli Bizzarri 1987, p. 145, n. 280 (III-IV secolo o XVII-XVIII secolo?).
193
Tomaselli 1993, p. 155, tav. XXI, n. 396 (II secolo d.C.?).
194
Tassinari 2009, p. 155, tav. XLIII, n. 663 (= Sena Chiesa 1996, p. 485, tav. IV, n. 9), n. 664, n. 665 (XVI-XVII secolo).
195
Gesztelyi 2000, pp. 86, 167, n. 294 (XVI-XVII secolo).
196
Teposu David 1960, p. 528, n. 13, fig. 1, n. 25 (II-III secolo d.C.).
197
Maaskant-Kleibrink 1978, p. 363, tav. 176, n. 1148 (non datato).
198
Inv. SL.A 186, inv. SL.A 197; inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo).
199
Weiss 2011, pp. 80-81, fig. 11, p. 112, n. 41 (XVI - metà del XVII secolo).
200
Casal García 1990, I, pp. 204-205, II, pp. 109-111, nn. 119, 126-132 (età moderna).
201
AGDS I, 3, p. 72, tav. 235, n. 2555 (IV secolo d.C.); Weber 2001, p. 176, nn. 351-352, p. 180, n. 364 (prima metà del XVII secolo).
202
Finogenowa 1993, p. 88, n. 60 (II secolo d.C.).
174
175
GABRIELLA TASSINARI
88
Neris-Les-Bains, Museo Rieckotter 203
Ubicazione ignota, già collezione de Wilde 204
Vienna, Kunsthistorisches Museum 205
Gruppo D
All’interno dell’insieme in esame si distingue
un gruppo di intagli con Vulcano (o un fabbro) al
lavoro, di grande interesse perché dimostra come
nel repertorio glittico la ricezione e l’interpretazione di un’opera di Valerio Belli o di Giovanni Bernardi (la mancanza di firma rende impossibile dirimere la questione della paternità) ha determinato
la creazione di questa iconografia 206.
Vulcano, seduto di profilo, alza il braccio col
martello in atto di colpire, mentre con l’altra mano
abbassata tiene in genere un elmo (talvolta non è
chiaro il tipo di oggetto fabbricato) poggiato su un
alto podio cilindrico che spesso funge da incudine.
Vulcano è nudo, ma dalla spalla gli pende la clamide svolazzante che forma un’ampia curva (una
velificatio più o meno pronunciata), ricade dietro il
braccio e con un lembo sul femore. A questo schema comune vengono apportate le variazioni (alterazioni, addizioni o innovazioni) che fanno la specificità di un intaglio; ad esempio la scena può esser
arricchita dall’aggiunta di un’altra figura stante,
maschile o femminile o un erote.
Gli intagli si assomigliano così tanto che appare
giustificato pensare ad una sola officina.
Le pietre sono: lapislazzuli, corniola, agata zonata.
Attestazioni
Cambridge, Fitzwilliam Museum 207 (Tav. XXXII c)
[RdA 34
Madrid, Museo Archeologico Nazionale 208 (Tav.
XXXII d, e)
Madrid, Museo Nazionale del Prado, Tesoro del Delfino 209
Monaco, Staatliche Münzsammlung 210
Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 211 (Tav.
XXXII f )
Ubicazione ignota, già collezione de Wilde 212
Solo in tre intagli Vulcano è stante:
Firenze, Biblioteca Marucelliana 213
Braunschweig, Herzog Anton Ulrich Museum 214
Monaco, Staatliche Münzsammlung 215
Gruppo E
Un altro piccolo gruppo prova l’influenza determinante dell’opera di Valerio Belli, ma nel processo
di popolarizzazione e di volgarizzazione (e anche
innovazione), la riecheggia tanto da lontano da non
consentire di individuare il modello preciso.
Si tratta di figure femminili stanti, con il viso di
profilo e spesso il corpo di prospetto, che tengono
nella mano protesa un ramo di palma, di rado una
freccia; o di Eroti, in un caso posto su un basamento, che reggono una freccia, un cuore, un globo o un
elemento vegetale o che si appoggiano alla freccia
come bastone; oppure sono figure incedenti, verso un’ara, sacrificanti, o verso una fiaccola, Vittorie
con il ramo di palma o con un erote (?). La derivazione e/o l’allusione al modello del Belli si coglie
nel panneggio fluttuante o che forma un’ampia velificatio e ricade dietro il braccio, nonché nell’incedere delle figure.
Le pietre sono lapislazzuli, corniole, agate zonate, un eliotropio, un’ametista.
Guiraud 1996, p. 86, fig. 57 (XVII-XVIII secolo) (già datato al III secolo d.C.: Guiraud 1988, p. 127, tav. XXIV, n. 365).
De Wilde 1703, pp. 50, 52-53, tav. 16, n. 58 (XVI-XVII secolo).
205
Zwierlein-Diehl 1991, p. 249, tav. 179, n. 2540/33, pp. 283-284, tavv. 205-206, nn. 2663, 2664, 2673 (= Zwierlein-Diehl 1993,
pp. 391-393, fig. 29), nn. 2674-2675 (XVI - metà del XVII secolo).
206
Per un’analisi delle gemme di questo gruppo, con discussione riguardo alle singole composizioni, Tassinari 1996.
207
Nicholls 1983, pp. 44-45, nn. 205-206 (XVI-XVIII secolo); Henig, Scarisbrick, Whiting 1994, p. 324, n. 678 (XVI-XVII secolo).
208
Casal García 1990, I, p. 206, II, pp. 115-116, nn. 149-152 (età moderna).
209
Iñiguez 1989, pp. 65, 68, n. 109 = Arbeteta Mira 2001, p. 347, senza immagine (non datato).
210
Weber 2001, p. 191, n. 405 (XVII secolo).
211
Maaskant-Kleibrink 1986, p. 92, n. 189 (XVI-XVII secolo).
212
De Wilde 1703, pp. 121-122, tav. 35, n. 131 (XVI-XVII secolo).
213
Gori ectypa, tav. VI, ultima fila in basso, seconda da destra (impronta di ceralacca inedita; visione autoptica) (XVI-XVII secolo).
214
Seiler 2008, p. 195, fig. 158, settima fila, quinto da sinistra (non datato).
215
Weber 2001, p. 182, n. 370 (secondo terzo del XVII secolo).
203
204
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
Attestazioni
Padova, Museo Archeologico Udine, Civici Musei 217 (Tav. XXXII g)
Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung 218
Budapest, Museo Nazionale Ungarico 219
Madrid, Museo Archeologico Nazionale 220
Monaco, Staatliche Münzsammlung 221
Münster, collezione privata 222
San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage 223
Vienna, Kunsthistorisches Museum 224
Ubicazione ignota, già collezione Dehn-Dolce 225
Ubicazione ignota, già collezione de Wilde 226 (Tav.
XXXII h)
Ubicazione ignota, da Panticapeo (Kertsch) 227
Ubicazione ignota 228
Ubicazione ignota 229
216
Gruppo F
Si colloca in questo filone un gruppo particolarmente interessante, già individuato dal Kris. Lo studioso ne tratta nell’ambito di un’attività artigiana
di scarsa qualità, da lui datata al XVI-XVII secolo 230:
scene mitologiche e religiose, immagini monotone
e popolari, incise in modo spesso rozzo: flüchtig,
aggettivo che si è visto ricorrente per denotare gli
intagli della produzione dei lapislazzuli. Kris ricollega l’insieme all’Italia settentrionale, in base alla
comune parentela stilistica con i lavori degli incisori di cristallo milanesi del più tardo ‘500, specialmente con le opere della cerchia dei Saracchi.
A mio avviso che sia corretto l’inserimento di
89
questi intagli nella produzione dei lapislazzuli e in
uno stesso gruppo nel filone 1 è dimostrato dal preciso riscontro di alcuni elementi iconografici e stilistici con i gruppi precedenti.
Tra l’altro, ricordiamo che Furtwängler a proposito di un intaglio di Monaco, inserito in questo
gruppo, lo riteneva una caratteristica testimonianza di un genere molto numeroso di lavori rozzi
( flüchtig, aggettivo sempre ripetuto) del XVI e XVII
secolo che privilegiano soprattutto il lapislazzuli,
ma impiegano anche agate zonate e pietre verdi 231.
E citava gli intagli nn. 9019-9123 del suo catalogo
di Berlino, che in quel testo collegava ai nn. 8733
e seguenti, appunto della produzione dei lapislazzuli 232.
Kris, pubblicando un intaglio in agata con un
amore inginocchiato davanti ad un’ara sopra cui
egli pone una pianta germogliante da un cuore,
del Kunsthistorisches Museum di Vienna 233 (Tav.
XXXII i), segnalava che a Firenze si trovava una replica, assieme ad altre numerose pietre della stessa
feconda officina. In effetti colpisce come lo stesso
schema iconografico venga ripetuto in alcuni esemplari, con le varianti apportate che connotano la
specificità del pezzo. Si può pensare a schemi formali stereotipi liberamente composti e variati.
Ad esempio questo stesso amore inginocchiato
davanti all’ara ritorna su quattro intagli, sempre
in agata: il citato pezzo viennese, uno a Firenze,
al Museo degli Argenti (Tav. XXXIII a) 234, un altro
Seidmann 1997, p. 152, n. 300 (XVI - prima metà del XVII secolo).
Tomaselli 1993, p. 82, tav. VII, n. 129 (fine II-III secolo d.C.), p. 156, tav. XXI, n. 399 (III-IV secolo d.C. o età moderna). Dubita dell’antichità dell’intaglio n. 129 anche la Guiraud: Guiraud 1999, p. 706.
218
Furtwängler 1896, p. 321, tav. 62, n. 8760 (già considerato antico, di epoca tarda, poi ricondotto alla produzione dei lapislazzuli).
219
Gesztelyi 2000, pp. 86, 167, n. 293 (XVI-XVII secolo).
220
Casal García 1990, I, pp. 203-206, II, pp. 106, 109, 112-113, nn. 104, 120, 137-141, 143 (età moderna).
221
AGDS I, 3, p. 82, tav. 245, n. 2639 (III secolo d.C.); Weber 2001, p. 175, n. 346, p. 181, nn. 368-369, p. 189, n. 401 (primo
quarto - metà del XVII secolo).
222
Stupperich 1988, p. 294, n. 2, tav. 24, n. 5 (II-III secolo d.C.).
223
Kagan 1996, p. 79, fig. 64, p. 190, n. 106 (XVII secolo).
224
Zwierlein-Diehl 1991, p. 282, tav. 205, n. 2658 (XVI - metà del XVII secolo).
225
Dehn, Dolce 1772, tomo I, p. 90, n. 9; cassetta I (9), zolfo n. 9 (non datato).
226
De Wilde 1703, p. 101, tav. 28, n. 108 (XVI-XVII secolo).
227
Kibaltchitch 1910, p. 37, tav. III, n. 84 (non datato).
228
Gronovius 1695, p. 49, n. 545 (XVI-XVII secolo).
229
Camées-Scarabées 1926, p. 19, tav. VII, n. 258 (età moderna).
230
Kris 1929, I, p. 91.
231
Furtwängler 1900, vol. II, p. 308.
232
Gli intagli nn. 9019-9123 sono stati qui citati nella nota 66, perché pubblicati senza immagine e senza indicazione di soggetto.
233
Kris 1929, I, pp. 91, 177, II, tav. 99, n. 421.
234
Gennaioli 2007, p. 376, n. 516.
216
217
90
GABRIELLA TASSINARI
a Monaco (Tav. XXXIII b) 235, a cui credo si può aggiungere un intaglio in sardonice, inserito in un
coperchio di una coppa, al Louvre 236, e un intaglio al Museo Statale dell’Ermitage 237. Le varianti
sono costituite da un amorino con un altro ramo
che vola in alto nell’intaglio di Vienna e da una
stella in mezzo alle nuvole nell’intaglio di Monaco. Lo stesso particolare della stella circondata dalle nuvole compare su altri intagli del gruppo. Una
variante più accentuata è rappresentata da un altro
intaglio, sempre in agata, a Firenze, al Museo degli
Argenti 238, dove lo stesso Amore inginocchiato accosta una fiaccola ad un triangolo posto sopra un
basamento; in alto il sole in mezzo alle nuvole, sul
suolo ciuffi d’erba (Tav. XXXIII c).
Uguale è la composizione – cambiano solo alcuni particolari, ad esempio il cielo e la terra – su
un intaglio in agata al Museo Civico d’Arte Antica di Torino 239. Vito Messina sottolinea 240 che la
scena deve avere una natura allegorica; alcuni dei
simboli che la compongono trovano diverse spiegazioni nell’ambito del simbolismo massonico, ermetico-alchemico e esoterico. Ma osservando che
questi elementi non compaiono nello stesso contesto, lo studioso ritiene opportuno far riferimento
all’araldica, al repertorio delle cosiddette ‘imprese’, nonché alle marche tipografiche, ampiamente
diffuse nel ‘500. Lo studioso conclude che questa
scena potrebbe simboleggiare l’amore domato (inginocchiato ha deposto le armi), che arde di fiamma divina e grazia (il sole androposopo).
Analogamente l’Apollo e Marsia raffigurati su
una corniola a Firenze (Tav. XXXIII d) 241, un diaspro
a Madrid (Tav. XXXIII e) 242 e un diaspro a Mona-
Weber 2001, p. 192, n. 407.
Alcouffe 2001, pp. 421-422, n. 203 (senza immagine).
237
Inv. I 5577, inedito, cit. in Weber 2001, p. 192, n. 407.
238
Gennaioli 2007, p. 376, n. 517.
239
Bollati, Messina 2009, pp. 216-217, n. 185, p. 225.
240
Bollati, Messina 2009, pp. 216-217, n. 185.
241
Gennaioli 2007, p. 389, n. 557.
242
Casal García 1990, I, p. 202, II, p. 104, n. 99.
243
Weber 2001, p. 193, n. 410.
244
Gesztelyi 2000, p. 86, n. 295.
245
Casal García 1990, II, n. 100.
246
Kibaltchitch 1910, p. 51, tav. IX, n. 290.
247
Casal García 1990, I, p. 202, II, p. 105, n. 102.
248
Alcouffe 2001, pp. 412-413, n. 196.
249
Casal García 1990, I, p. 202, II, p. 105, n. 101.
250
Gennaioli 2007, p. 385, n. 543.
251
Henig, Scarisbrick, Whiting 1994, p. 325, n. 680.
252
Collection Signol 1997, p. 59, n. 161.
235
236
[RdA 34
co (Tav. XXXIII f ) 243 sono pressoché uguali; solo la
pettinatura delle figure di Monaco è più regolare,
più ‘classica’.
Così del tutto simili, con qualche leggera variante, sono tre intagli, in corniola a Budapest 244
(Tav. XXXIII g), in lapislazzuli a Madrid 245 (Tav.
XXXIII h) e in agata trovato in Crimea, ora disperso 246 (Tav. XXXIII i): sopra un podio Amore o Marte (?) stante posa una corona sopra la testa di un
giovane stante, che tiene in una mano un ramo o
una freccia, nell’altra una lancia; tra di essi a volte un’ara.
Un intaglio in lapislazzuli di Madrid (Tav.
XXXIV a) 247 – un amore vola portando una corona
verso un personaggio adagiato su una roccia (?) tra
elementi vegetali – si può ritenere la versione stilisticamente immiserita della stessa scena su un’agata al Louvre 248, dove l’amore scocca una freccia verso la figura femminile distesa.
Anche un altro intaglio in lapislazzuli spagnolo (Tav. XXXIV b) 249 potrebbe considerarsi la versione di qualità inferiore di un’agata a Firenze (Tav.
XXXIV c) 250, dove Venere nuda stante abbraccia
Amore in piedi su un’ara, tra i consueti elementi
vegetali e atmosferici.
Trait d’union tra l’iconografia del gruppo A e alcuni intagli di questo gruppo si può ritenere un’agata zonata di Cambridge (Tav. XXXIV d) 251 con un
guerriero seduto su un trofeo, che tiene nella mano
un elmo: stilema identico appunto al gruppo A; ma
i particolari, come la stella tra le nuvole e i ciuffi d’erba, sono gli stessi del gruppo in esame e la
corazza è uguale a quella su un intaglio di Tours
(dove compaiono anche la stella e i ciuffi d’erba) 252
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
di questo gruppo con un giovane guerriero stante in tutto analogo ai guerrieri stanti del gruppo A
(Tav. XXXIV e).
Quasi uguali sono la citata agata zonata di Cambridge e un’agata a Firenze (Tav. XXXIV f ) 253, così
come due intagli di Madrid 254 e uno di Monaco 255.
Tutti questi indizi vanno interpretati come dati
cronologici o vanno riferiti ad un discorso di officine?
Le dimensioni degli intagli del gruppo in esame sono sempre maggiori di quelle degli esemplari degli altri gruppi: da un minimo di 2,2 × 1,9 cm
si giunge anche ai 4,6 × 3,6 cm. Sono spiccate quelle
singolarità stilistiche tipiche della produzione.
Le scene sono più complesse, piuttosto variate, ma con alcuni elementi che si ripetono; si nota
una prevalenza di composizioni legate all’ambito
amoroso.
Si tratta di Apollo e Marsia; Apollo tende la
mano verso Dafne che si sta trasformando in albero; Venere abbraccia Marte seduto su una corazza
o Amore in piedi su un’ara; Venere accompagnata da due Amori; due figure maschili, spesso interpretate come Eros e Anteros, colgono e tengono
in mano alberelli e rami o si affrontano; Amore accanto a Vulcano seduto in atto di martellare; Amore
inginocchiato accosta una fiaccola ad un triangolo
o pone sopra un’ara una pianta che germoglia da
un cuore, a volte in alto vola un altro Amore con
un altro ramo; un Amore porta una corona o scocca una freccia verso una figura distesa; un Amore è piegato in avanti o verso un’ara a incoronare
con una ghirlanda un cuore, a bruciare una frec-
91
cia (?) o stante tiene un cuore o un ramo o suona;
sopra un podio un Amore o Marte (?) stante posa
una corona sopra la testa di un giovane stante, che
tiene in una mano un ramo o una freccia, nell’altra
una lancia; il trionfo d’Amore che aggioga ad un
carro una coppia; una figura seduta su un tronco
d’albero, tiene nella mano cinque serpenti davanti a un’ara accesa, nel campo due scorpioni e dei
segni, di sopra corre sulle nuvole un uomo con il
dito alzato; due figure di guerrieri in relazione tra
loro; un guerriero seduto o stante, appoggiato con
il gomito ad un pilastrino, tiene nella mano protesa un elmo o un ramo.
Spesso arricchiscono la scena piante di varie dimensioni e ciuffi d’erba; nel cielo, tra le nuvole, una
stella, di rado il sole.
Prevalgono nettamente le agate, spesso zonate;
vari sono i lapislazzuli, poche le altre pietre: corniole, sardonici, sarde, diaspri, eliotropi, plasmi.
Attestazioni
Firenze, Museo degli Argenti 256 (Tav. XXXIII a, c, d;
Tav. XXXIV c, f )
Torino, Museo Civico d’Arte Antica 257
Braunschweig, Herzog Anton Ulrich Museum 258
Budapest, Museo Nazionale Ungarico 259 (Tav.
XXXIII g)
Cambridge, Fitzwilliam Museum 260 (Tav. XXXIV d)
Londra, British Museum, collezione Sloane 261
Madrid, Museo Archeologico Nazionale 262 (Tav.
XXXIII e, h; Tav. XXXIV a, b)
Monaco, Staatliche Münzsammlung 263 (Tav. XXXIII b,
f; Tav. XXXIV g-i)
Parigi, Musée del Louvre 264
Rennes, Musée des Beaux-Arts 265
Gennaioli 2007, p. 375, n. 514.
Casal García 1990, I, p. 204, II, p. 109, nn. 121-122.
255
Weber 2001, p. 177, n. 354.
256
Gennaioli 2007, p. 375, nn. 513-514, p. 376, nn. 516-517, p. 385, n. 543, p. 389, n. 557 (prima metà del XVII secolo; XVII secolo).
257
Bollati, Messina 2009, pp. 216-217, n. 185, p. 225 (fine XVI secolo).
258
Seiler 2008, p. 195, fig. 158, ultima fila, secondo e terzo da sinistra, p. 196, fig. 160, prima fila, primo da destra, seconda
fila tutti e tre, ultima fila, in centro (non datati).
259
Gesztelyi 2000, p. 86, n. 295 (XVI-XVII secolo).
260
Henig, Scarisbrick, Whiting 1994, p. 325, n. 680 (circa 1600).
261
Dalton 1915, p. 92, n. 648 (senza figura; XVII secolo) = Rudoe 2003, p. 135, fig. 117, al centro. Si veda anche Dalton 1915,
p. 92, n. 649 (senza figura; XVII secolo); inv. SL.A 24 e inv. 1966, 1208.2 (inediti; visione autoptica) (XVI-XVII secolo).
262
Casal García 1990, I, pp. 202-204, 206, II, pp. 104-106, 109-110, 115, nn. 99-103, 121-125, 148 (età moderna).
263
Weber 1992, pp. 190-191, n. 243, tav. III; Weber 2001, pp. 160-161, n. 306 (= Furtwängler 1900, p. 308, tav. LXVII, n. 21), p.
161, n. 307, pp. 176-178, nn. 353-355, p. 192, n. 407 (dal tardo XVI alla prima metà del XVII secolo).
264
Alcouffe 2001, pp. 412-413, n. 196, pp. 421-422, n. 203, primo a destra in basso e senza immagine (in due coppe databili
verso il 1650-1660).
265
Robien 1972, pp. 25-26, n. 25 (III-IV secolo d.C.).
253
254
GABRIELLA TASSINARI
92
San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage 266
Tours, Musée des Beaux-Arts 267 (Tav. XXXIV e)
Ubicazione ignota, trovati in Crimea 268 (Tav. XXXIII i;
Tav. XXXV a)
Ubicazione ignota 269
Vienna, Kunsthistorisches Museum 270 (Tav. XXXII i;
Tav. XXXV b)
Filone n. 2
Un altro filone numeroso è costituito dagli intagli con figure stanti maschili, meno di frequente
femminili, col capo di profilo, di rado volto di tre
quarti, il corpo di prospetto, per lo più nudo, a volte col solito panneggio svolazzante e con scollatura
a V sul davanti, l’anca spostata in fuori, le gambe
unite o leggermente divaricate, spesso si appoggiano alla lancia o a un’asta con la destra, tengono
un arco e/o posano la sinistra sullo scudo; possono aver in mano diversi attributi, tra cui la lancia
e appunto l’arco, uno scettro, un timone, un ramo,
una cornucopia, una spiga stilizzata, una freccia,
una fiaccola, una cetra, il caduceo, una specie di
trofeo (?); in qualche caso si appoggiano ad un pilastrino, posano su un piedistallo oppure tengono
sul capo una patera con le offerte.
Alcuni intagli presentano più marcate le caratteristiche della produzione (ad esempio il panneggio e il viso resi in modo schematico e tagliente, il
corpo fortemente inarcato), altri meno, tanto che,
di primo acchito, sembrerebbe azzardato attri­buir­li
al­l’officina dei lapislazzuli; altri ancora hanno una
forma quasi disgregata.
[RdA 34
Inoltre gli intagli con le figure più ‘organiche’,
più allungate, dal modellato più morbido e non
accentuato sono molto simili e quasi assimilabili
ai pezzi classificati nel filone 3. Qualche esemplare, infine, è analogo agli amori del gruppo C del
filone 1.
Le figure degli intagli di questo filone non possono esser identificate o vengono interpretate le
maschili come Marte, Mercurio, Apollo, Poseidone, Eracle, guerrieri o Muzio Scevola (se tengono
la mano sulla fiamma di un’ara vicino), le femminili come Venere, Abundatia, Tyche-Fortuna, Giunone (?), Bellona (?), Cerere (?), personificazione della vittoria (?).
Prevalenti i lapislazzuli e le corniole, vi sono
anche agate, eliotropi, diaspri, ametiste, sardonici,
plasmi, nicoli e onici.
Attestazioni
Bologna, Museo Civico Archeologico 271 (Tav.
XXXVI e)
Como, Museo Civico Archeologico “Giovio” 272
(Tav. XXXV c)
Ferrara, Museo Civico 273
Firenze, Biblioteca Marucelliana 274
Firenze, Museo degli Argenti 275 (Tav. XXXVI c)
La Spezia, Museo Civico 276
Napoli, Museo Archeologico 277
Padova, Museo Archeologico 278
Pavia, Università, Museo dell’Istituto di Archeologia 279
Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria 280 (Tav. XXXVI f, h)
Roma, collezione Santarelli 281
Roma, collezione privata 282
Kagan 1996, p. 79, figg. 62-63, 65, p. 190, n. 105A, 105B, 105C (XVII secolo). Inv. I 5569, inv. I 5572, inv. I 5577, inediti, cit.
in Weber 2001, p. 161, nn. 306-307, p. 192, n. 407.
267
Collection Signol 1997, p. 59, n. 161 (forse attorno al 1600).
268
Kibaltchitch 1910, p. 51, tav. IX, nn. 286, 290 (non datati).
269
Gronovius 1695, p. 53, n. 609 (XVI-XVII secolo).
270
Kris 1929, I, pp. 91, 177, II, tav. 99, nn. 420-421 (XVI-XVII secolo).
271
Mandrioli Bizzarri 1987, p. 108, n. 195 (II secolo d.C.), pp. 145-149, nn. 279, 281-283, 287-289, 291-292 (III-IV secolo d.C. o
XVII-XVIII secolo?), p. 159, n. 321 (età moderna).
272
Tassinari 2010b, pp. 171-173, fig. 12 (XVI-XVII secolo).
273
D’Agostini 1984, p. 28, n. 24, p. 48, n. 83 (III secolo d.C.; non datato, considerato non finito).
274
Gori ectypa, tav. XII, n. 41, tav. XVIII, n. 41 (impronte di ceralacca inedite; visione autoptica) (XVI-XVII secolo).
275
Gennaioli 2007, p. 399, n. 584, pp. 414-415, nn. 635-637 (XVII secolo).
276
Sena Chiesa 1978, p. 83, tav. IX, n. 61 (I secolo d.C.).
277
Giove, Villone 2006, p. 145, n. 283 (senza immagine); visione autoptica (XVI-XVII secolo).
278
Seidmann 1997, pp. 152-153, n. 299, n. 301(XVI - prima metà del XVII secolo).
279
Tomaselli 1987, pp. 79-80, 219, G26 (III secolo d.C.).
280
Vitellozzi 2010, pp. 468-470, n. 566, n. 568 (XVI - prima metà del XVII secolo d.C.).
281
Del Bufalo 2009, p. 19, n. 47/113g, p. 31, n. 47/87g (non datati).
282
Inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo).
266
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
Udine, Civici Musei 283 (Tav. XXXVI a, b; Tav. LIII c)
Verona, Civici Musei d’Arte 284 (Tav. XXXV d-i; Tav.
XXXVI g; Tav. LIII d).
Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung 285
Bonn, Rheinisches Landesmuseum 286
Braunschweig, Herzog Anton Ulrich Museum 287
Cambridge, Fitzwilliam Museum, collezione Lewis 288
Cambridge, Fitzwilliam Museum, collezione Wellcome 289
Collezione privata 290
Colonia, Römisch-Germanisches Museum 291
Gerusalemme, collezione Kloetzli 292
Gottinga, Università, Archäologisches Institut 293
Kassel, Antikensammlung, Staatliche Museen 294
Lione, collezione privata 295
Londra, British Museum, collezione Sloane 296
Londra, Victoria and Albert Museum 297
Madrid, Museo Archeologico Nazionale 298
Monaco, Staatliche Münzsammlung 299
Montréal, McGill University 300
Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 301
Parigi, Bibliothèque Nationale, collezione Séguin 302
Parigi, Louvre 303
93
Tours, Musée des Beaux-Arts 304
Ubicazione ignota, acquistato a Odessa 305
Ubicazione ignota 306 (Tav. XXXVI d)
Vienna, Kunsthistorisches Museum 307
Filone n. 3
Per le sue particolarità stilistiche, è parso più
opportuno isolare questo filone nonostante sia esiguo e vicino al precedente. I profili dei visi sono
di solito schematici, le figure allungate e sinuose,
i panneggi con numerose linee sottili e superflue,
talvolta svolazzanti. Si tratta di figure stanti, maschili e femminili, a volte identificate come Fortuna-Minerva, con la cornucopia e il timone, Atena
con lancia e scudo, Iside-Atena, Marte, un guerriero armato o Muzio Scevola accanto ad un altare;
in un caso un guerriero seduto tiene nella mano
protesa una vittoria alata; in un altro la figurazione è più complessa, con Vulcano seduto al lavoro
e Atena stante.
283
Tomaselli 1993, pp. 49, 54, tav. II, n. 17, n. 35 (II secolo d.C.; II-III secolo d.C.), pp. 155-156, tav. XXI, nn. 397-398 (III-IV secolo d.C. o moderni?). Quanto all’intaglio n. 35, dubita sia antico anche la Guiraud (Guiraud 1999, p. 706).
284
Tassinari 2009, pp. 155-156, tav. XLIII, nn. 662, 666-674 (XVI-XVII secolo).
285
Furtwängler 1900, pp. 320-321, tav. 62, nn. 8733, 8747, 8753, 8757-8758; Zwierlein-Diehl 1969, p. 185, tav. 89, n. 513 (già considerati antichi, poi ricondotti alla produzione dei lapislazzuli).
286
Platz-Horster 1984, p. 58, tav. 12, n. 46, pp. 77-78, tav. 19, n. 71 (III secolo d.C.).
287
Seiler 2008, p. 195, fig. 158, seconda fila, quarto da sinistra (non datato).
288
Henig 1975, p. 31, tav. 7, n. 99 (III o IV secolo d.C.).
289
Nicholls 1983, pp. 44-45, nn. 203, 207 (XVI-XVIII secolo).
290
Martin, Höhne 2005, p. 38, n. 52 (II-III secolo d.C.).
291
Krug 1981, p. 170, tav. 137, n. 7 (età moderna).
292
Manns 1978, p. 160, n. 28 (non datato).
293
Gercke 1970, p. 84, tav. 35, n. 70, p. 97, tav. 42, n. 158, p. 126, tav. 58, n. 348 (III secolo d.C.; IV secolo d.C.).
294
Zazoff 1983, p. 394, nota 40, tav. 130, n. 6 (XVII-XVIII secolo).
295
Guiraud 1988, p. 150, tav. XXXVII, n. 536A (III secolo d.C.).
296
Inv. SL.A 54, inv. SL.A 147, inv. SL.A 177, inv. SL.A 182, inv. SL.A 192, inv. SL.A 193, inv. SL.A 202; inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo).
297
Vetrina 34, I, 16; Bury 1982, p. 224, n. 16, senza illustrazione (metà del XVIII secolo); visione autoptica.
298
Casal García 1990, I, pp. 116, 129, II, pp. 33, 41, nn. 168, 228-229 (II-III secolo d.C.); I, pp. 203, 205, 207-208; II, pp. 106, 111112, 116-119, nn. 105-106, 134-136, 155-163, 169 (età moderna).
299
AGDS I, 2, p. 80, tav. 116, n. 1029 (II-I secolo a.C.); AGDS I, 3, p. 29, tav. 200, n. 2270 (I secolo d.C.), p. 66, tav. 229, n. 2509
(III-IV secolo d.C.), p. 68, tav. 231, nn. 2522a, 2524 (III secolo d.C.), p. 81, tav. 243, n. 2627 (II-IV secolo d.C.), p. 91, tav. 252, n.
2700, p. 104, tav. 262, n. 2789 (III secolo d.C.); Weber 1992, p. 204, n. 262 (I secolo a.C.), p. 211, n. 289 (I secolo a.C.), pp. 227230, nn. 338, 349-351 (II-III secolo d.C.), p. 247, n. 382 (XVII secolo); Weber 2001, pp. 179, 182-183, 196, nn. 359, 373-374, 415416 (fine XVI - inizi del XVII secolo; prima metà del XVII secolo).
300
Tees 1993, p. 51, tav. XIII, n. 68 (età imperiale, forse III secolo d.C.).
301
Maaskant-Kleibrink 1986, p. 90, n. 181, p. 91, n. 187 (= ? Gronovius 1695, p. 30, n. 284) (XV-XVII secolo).
302
Inv. n. 2682; inedito, cit. in Weber 2001, p. 195, n. 414.
303
González-Palacios 1997, p. 57, n. 11 (età moderna).
304
Collection Signol 1997, p. 46, n. 121 (età moderna).
305
Kibaltchitch 1910, p. 52, tav. IX, n. 304 (non datato).
306
Gronovius 1695, pp. 22-23, n. 198, 202, 204, 206-207, p. 30, n. 277, p. 31, n. 291, p. 49, nn. 543-544, p. 50, nn. 560, 571, p. 53,
nn. 603-605, 612-613, p. 54, nn. 616, 622, p. 57, n. 660 (XVI-XVII secolo).
307
Zwierlein-Diehl 1991, pp. 282-283, tav. 205, nn. 2659-2660 (XVI - metà del XVII secolo).
94
GABRIELLA TASSINARI
Questo gruppo mostra affinità più o meno strette con quegli intagli caratterizzati dalle figure snelle
e slanciate, il panneggio svolazzante con linee sottili e estranee alla composizione, inseriti da Kris in
quella produzione italiana di scarsa qualità, da lui
datata al XVI-XVII secolo (cfr. supra, filone 1, gruppo F): per lo più grandi agate o eliotropi incisi con
scene mitologiche e religiose, monotone, misere e
spesso rozze immagini per il livello ‘popolare’ della Controriforma 308. Infatti sono numerose le raffigurazioni religiose; Kris rileva che tali esemplari sono in tutte le maggiori collezioni e ritiene che
si possa accettare come termine ante quem l’inizio
del XVII secolo.
In particolare, il gruppo in esame è stilisticamente simile a un intaglio in agata del Kunsthistorisches Museum di Vienna, con una scena allegorica di difficile interpretazione, che Kris data
alla fine (?) del XVI secolo e per cui osserva che lo
stile fa pensare a un modello tardoantico 309 (Tav.
XXXVI i).
Il filone 3 è stilisticamente affine anche a vari altri pezzi con raffigurazioni cristiane, tutti del XVIXVII secolo e di produzione italiana, come un intaglio in eliotropio inciso su doppio lato, da una
parte la crocefissione con la Madonna e Maddalena ai lati, dall’altro le stigmate di S. Francesco 310, e
un altro esemplare con le stigmate di S. Francesco
e sul retro disegni gnostici 311.
Nella prospettiva e nella direttrice di ricerca seguite in questo studio, mirate a cercare di cogliere
l’esistenza di linee generali stilistiche e/o iconografiche e ad individuare e caratterizzare dei ‘filoni’,
pare forse prematuro il tentativo, in mancanza di
elementi sicuri, di connotare questi insiemi come
appartenenti a diverse officine e/o produzioni.
[RdA 34
Dunque è a mio avviso preferibile una cauta posizione, cioè limitarsi a segnalare affinità significative, lasciando irrisolti alcuni interrogativi; in questo
caso aperta la questione se gli intagli pubblicati dal
Kris rientrino nella produzione dei lapislazzuli.
Le pietre sono: lapislazzuli, eliotropi, prasi, corniole e agate.
Attestazioni
Torino, Museo Civico d’Arte Antica 312
Verona, Civici Musei d’Arte 313 (Tav. XXXVII a)
Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung 314
(Tav. XXXVII c)
Monaco, Staatliche Münzsammlung 315
Rennes, Musée des Beaux-Arts 316
Ubicazione ignota, da Panticapeo (Kertsch) 317
Ubicazione ignota, già collezione de Wilde 318 (Tav.
XXXVII b)
Filone n. 4
Questo filone è costituito da un insieme di intagli dai contorni non chiaramente definiti. Gli esemplari sono accomunati dalle fattezze spesso regolari, dal modellato profondo, dal panneggio (di solito
le figure indossano lunghe vesti) reso a solchi, a
volte numerosi, netti, spessi, rotondi, ben levigati.
Si tratta di figure, soprattutto femminili, sedute o
stanti, di rado incedenti, spesso con il corpo di prospetto, il capo di profilo e i tratti del viso a volte
non indicati; di solito una mano è appoggiata sul
sedile, su un’ancora o su una lancia, l’altra è protesa o sollevata e può tenere un oggetto (un frutto, una patera, un ramo di palma, una cornucopia,
una lira, un uccello) o stringere la lancia o il caduceo (?); in un caso la figura tende la mano a qualcosa di non definibile (un’ara accesa [?], una cesta
Kris 1929, I, p. 91.
Kris 1929, I, pp. 91, 177, II, tav. 99, n. 427.
310
Kris 1929, I, pp. 91, 177, II, tav. 99, nn. 423-424.
311
Kris 1929, I, pp. 91, 177, II, tav. 99, n. 426.
312
Bollati, Messina 2009, pp. 193-194, nn. 138-139, p. 224 (fine XVIII secolo - XIX secolo).
313
Tassinari 2009, p. 156, tav. XLIII, n. 675 (= Sena Chiesa 1996, p. 485, tav. V, n. 2), n. 676 (XVI-XVII secolo).
314
Furtwängler 1896, pp. 320-321, tav. 62, n. 8741, n. 8778 (già considerati antichi, poi riferiti alla produzione dei lapislazzuli).
315
AGDS I, 3, pp. 79-80, tav. 242, n. 2614 (tardo III secolo d.C.), p. 96, tav. 255, n. 2728 (III-IV secolo d.C.); Weber 1992, pp. 203204, n. 261 (II-III secolo d.C.). Per una discussione sull’identificazione da parte della Maaskant-Kleibrink dell’intaglio n. 2728
tra quelli appartenenti alla collezione glittica di Johannes Smetius, finita a Monaco (e dalla studiosa attribuito al XVI-XVII secolo) cfr. Maaskant-Kleibrink 1986, p. 116, App. 41; Weber 1992, p. 204, n. 261. Cfr. anche Zwierlein-Diehl 1986, p. 299, n. 903,
che ritiene difficilmente antica questa gemma di Monaco. L’intaglio n. 2614 è citato anche da Alfaro Giner 1996, pp. 103-104,
come una cattiva copia post-rinascimentale.
316
Robien 1972, pp. 43-44, n. 23, fig. a destra (non antico).
317
Kibaltchitch 1910, p. 36, tav. III, n. 76 (non datato).
318
De Wilde 1703, p. 98, tav. 27, n. 104 (XVI-XVII secolo).
308
309
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
di lana [?], uno scrigno con rotoli di libri [?]) e nel
campo vi sono le scritte MAR e HON. Alcuni pezzi presentano analogie iconografiche con gli esemplari del filone 1 gruppo A.
Quando sono identificati i personaggi, vengono
definiti Giove, Mercurio, Apollo, Giunone, Venere,
Venere-Roma, Minerva, Fortuna, Speranza (?).
Le pietre sono quasi esclusivamente lapislazzuli
e corniole (solo quattro agate e un diaspro rosso).
Il particolare tipo di panneggio a pieghe rilevate, grosse e rotonde rende simili alcuni di questi
intagli ad altri inseriti nel filone seguente. Per entrambi gli insiemi va ricordata un’importante osservazione della Zwierlein-Diehl. Giustamente la
studiosa, nonostante la forte differenza di qualità,
rileva affinità stilistiche riguardo alle pieghe del
panneggio tra un intaglio di lapislazzuli, qui inserito nel filone n. 5 319, e un intaglio in agata zonata
con la deposizione di Cristo (tratto dalla placchetta del Moderno) che Kris ascrive intorno al 1500 e
ritiene provenga da Venezia/Padova 320.
Attestazioni
Bari, Museo Archeologico 321
Bologna, Museo Civico Archeologico 322
Collezione privata 323
Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria 324 (Tav. XXXVII i)
Udine, Civici Musei 325
Verona, Civici Musei d’Arte 326 (Tav. XXXVII e, f )
95
Berna, Università, Antikensammlung 327
Braunschweig, Herzog Anton Ulrich Museum 328
Budapest, Museo Nazionale Ungarico 329 (Tav. XXXVII
h)
Cambridge, Fitzwilliam Museum 330 (Tav. XXXVII g)
Colonia, Duomo, Altare dei tre re magi 331
Gottinga, Università, Archäologisches Institut 332
Madrid, Museo Archeologico Nazionale 333
Monaco, Staatliche Münzsammlung 334
Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 335
Ubicazione ignota 336 (Tav. XXXVII d)
Vienna, Kunsthistorisches Museum 337
Xanten, collezione privata 338
Filone n. 5
Questo filone comprende intagli dalla fattura
corsiva, dall’estrema stilizzazione e schematicità
nel rendere i tratti del volto e la struttura del corpo, a linee incoerenti, il panneggio a pieghe grosse
e rilevate. Si tratta di figure maschili o femminili,
sedute, una mano è sul sedile, l’altra protesa tiene un oggetto spesso non definibile, oppure sono
stanti, possono avere nelle mani un oggetto, di frequente una fiaccola, o appoggiarsi alla lancia e posare l’altra mano sullo scudo.
Varie figure sono interpretate come Marte, Poseidone, Cerere, Fortuna, Mercurio (?).
Già la Zwierlein-Diehl aveva sottolineato le affinità stilistiche tra alcuni intagli incastonati nella su
Zwierlein-Diehl 1991, pp. 26, 282, tav. 205, n. 2657 = Zwierlein-Diehl 1993, pp. 392-393, fig. 31.
Kris 1929, I, pp. 42, 159, II, tav. 29, n. 126. La Weber (Weber 1992, p. 241, tav. II, n. 370) accetta la collocazione del Kris
dell’intaglio come ‘padovano-veneziano’, ma non la datazione, perché alcuni elementi, come il tipo di incisione, la resa dei
corpi, dei capelli, dei visi, del drappeggio delle figure, dimostrano che la gemma è dei primi del XVII secolo.
321
Tamma 1991, p. 52, n. 42 (II-III secolo d.C.).
322
Mandrioli Bizzarri 1987, p. 110, n. 204 (III secolo d.C.).
323
Wagner, Boardman 2003, p. 40, tav. 38, n. 241 (I secolo a.C. - I secolo d.C.).
324
Vitellozzi 2010, p. 472, n. 572 (XVI-XVII secolo d.C.).
325
Tomaselli 1993, pp. 59-60, tav. IV, n. 53 (III secolo d.C.).
326
Tassinari 2009, p. 156, tav. XLIV, nn. 678-679 (XVI-XVII secolo).
327
Götter und Heroen 2003, pp. 182-183, n. 640.25 (M. Müller) (III secolo d.C., antico?).
328
Seiler 2008, p. 195, fig. 158, terza fila, quinto da sinistra (non datato).
329
Gesztelyi 2000, pp. 87-88, 168, nn. 298, 300, 305 (XVI-XVII secolo).
330
Henig, Scarisbrick, Whiting 1994, p. 350, n. 733 (tardo XVIII secolo).
331
Zwierlein-Diehl 1998, p. 379, n. 292 (XVI - prima metà del XVII secolo).
332
Gercke 1970, p. 136, tav. 64, nn. 419-420 (II-III secolo d.C).
333
Casal García 1990, I, p. 207, II, p. 116, nn. 153-154 (età moderna).
334
AGDS I, 3, pp. 60-61, tav. 224, nn. 2466-2467 (II secolo d.C.), p. 80, tav. 243, n. 2620 (III secolo d.C.), p. 133, tav. 292, n. 2978
(età moderna [?]); Weber 2001, p. 183, n. 376 (primo terzo del XVII secolo), p. 191, n. 406 (secondo terzo del XVII secolo), p.
192, n. 408 (secondo quarto del XVII secolo).
335
Maaskant-Kleibrink 1986, p. 90, nn. 182-183 (XV-XVII secolo).
336
Gronovius 1695, p. 31, n. 292 (XVI-XVII secolo).
337
Zwierlein-Diehl 1991, p. 247, tav. 177, n. 2540/8, p. 284, tav. 206, n. 2672 (XVI - prima metà del XVII secolo).
338
Platz-Horster 1994, p. 225, tav. 71, n. 369 (probabilmente XVIII secolo).
319
320
GABRIELLA TASSINARI
96
citata anfora di smalto della metà del XVII secolo,
a Vienna, e altri appartenenti appunto alla produzione dei lapislazzuli e riuniti nel filone in esame;
questi secondi tanto omogenei che la studiosa li ritiene incisi probabilmente dalla stessa mano 339.
Prevalgono i lapislazzuli, seguono la sardonice,
l’agata, il granato.
Attestazioni
Verona, Civici Musei d’Arte 340 (Tav. XXXVIII a)
Amburgo, Museum für Kunst und Gewerbe 341
Colonia, Römisch-Germanisches Museum 342
Madrid, Museo Archeologico Nazionale 343
Valencia, Museo dell’Università 344
Vienna, Kunsthistorisches Museum 345 (Tav. XXXVIII b,
c)
Vienne, Musée des Beaux-Arts 346 (Tav. XXXVIII d)
Filone n. 6
Gli intagli di questo filone sono pochi e presentano meno accentuate le caratteristiche della produzione in esame. Tuttavia il particolare profilo del
volto, e in genere il rendimento stilistico, mostrano analogie con vari altri esemplari della produzione.
Sono raffigurati personaggi per lo più stanti o
avanzanti, spesso identificati con Amore, con il viso
di profilo, nudi, più di rado con un mantello; tra
le mani possono tenere vari oggetti: un frutto, una
palla, una freccia, un ramo, un tirso, un tridente,
uno strumento musicale; in qualche caso reggono
sul capo una patera con offerte, si avvicinano ad
un’ara accesa o sono chini su un bacile, in atto di
detergersi.
[RdA 34
Pressoché tutti gli intagli sono in lapislazzuli e
in corniola, di piccole dimensioni (non superano
1,4 × 1,1 cm) e hanno quasi sicuramente un uso decorativo.
Attestazioni
Bologna, Museo Civico Archeologico 347
Verona, Civici Musei d’Arte 348 (Tav. XXXVIII e, f )
Budapest, Museo Nazionale Ungarico 349 (Tav.
XXXVIII g)
Monaco, Staatliche Münzsammlung 350
Mosca, Museo Puskin 351
Ubicazione ignota 352
Vienna, Kunsthistorisches Museum 353
Filone n. 7
Un gruppo esiguo, di difficile identificazione e
delimitazione, è costituito da intagli che – per il
loro stile caratteristico – talvolta si considerano non
finiti. Le figure, stanti o incedenti, hanno il corpo
spesso reso in maniera sproporzionata, disorganica
e molto sommaria, a volte come fosse una massa
informe, il viso appena abbozzato o di profilo, delineato con due o tre tratti orizzontali; sono nude
o indossano lunghi abiti, portano in mano attributi
di frequente non identificabili, aste o bastoni. Talvolta sono identificate come Fortuna con cornucopia e timone, Cerere con fiaccola, Amore con arco
o davanti ad altare, uomo armato che si appoggia
ad un bastone.
Per i suoi caratteri non chiari e approssimativi, l’idea di lavoro non finito, questo filone si può
confondere con un piccolo gruppo di gemme individuato nella raccolta dei Civici Musei d’Arte di
Zwierlein-Diehl 1991, p. 249, n. 2540/24, p. 282, n. 2651.
Tassinari 2009, p. 156, tav. XLIV, n. 677 (XVI-XVII secolo).
341
AGDS IV Hamburg, p. 382, tav. 262, n. 62 (III secolo d.C.).
342
Krug 1981, p. 223, tav. 106, n. 274 (II-I secolo a.C.).
343
Inv. 1977/45/41/1. Inedito, cit. in Alfaro Giner 1996, p. 104, n. 44 (età moderna).
344
Alfaro Giner 1996, pp. 103-104, tav. X, n. 44 (XIX secolo?).
345
Zwierlein-Diehl 1991, pp. 247-249, tav. 177, n. 2540/10, tav. 178, n. 2540/24, pp. 281-282, tavv. 204-205, nn. 2650-2657 (n.
2657 = Zwierlein-Diehl 1993, fig. 31) (XVI - metà del XVII secolo).
346
Guiraud 1996, pp. 23, 25, figg. 5a-5b (già dato al I-II secolo d.C. in Guiraud 1988, p. 107, tav. XIII, n. 187) (XVI-XVII secolo).
347
Mandrioli Bizzarri 1987, p. 148, n. 290 (III-IV secolo o XVII-XVIII secolo?).
348
Tassinari 2009, p. 156, tav. XLIV, nn. 680-682 (XVI-XVII secolo).
349
Gesztelyi 2000, pp. 88, 169, nn. 308-310 (XVI-XVIII secolo).
350
Weber 1992, p. 205, n. 264 (I secolo a.C.), p. 227, n. 339 (II-III secolo d.C.); Weber 2001, pp. 175-176, 178-181, 196, nn. 349,
356-358, 360, 362-363, 366-367, 418 (prima metà e secondo quarto del XVII secolo).
351
Finogenowa 1993, p. 91, n. 71 (II secolo d.C.).
352
Gronovius 1695, p. 53, n. 608 (XVI-XVII secolo).
353
Zwierlein-Diehl 1991, p. 283, tav. 205, n. 2666 (XVI - metà del XVII secolo).
339
340
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
Verona, ascritto al XVI-XVII secolo 354 a cui è stato
unito – per le stesse caratteristiche tecniche e stilistiche – un altro al Museo Civico Archeologico di
Bologna, datato al III-IV secolo 355. Si tratta di un
insieme omogeneo, per lo più granati, contraddistinto appunto da personaggi non definibili e oggetti di incerta interpretazione, eseguiti in maniera
estremamente semplificata e sommaria.
Le pietre di questo filone sono tutte corniole.
Attestazioni
Bologna, Museo Civico Archeologico 356
Modena, Musei Civici 357 (Tav. XXXVIII h)
Ubicazione ignota, già collezione Vimercati Sozzi,
Bergamo 358
Budapest, Museo Nazionale Ungarico 359
Vienna, Kunsthistorisches Museum 360
Filone n. 8
Gli intagli di questo filone si staccano, in modo
più evidente, dalle gemme dei gruppi precedenti per il loro differente stile, goffamente e curiosamente rozzo. Essi presentano figure maschili stanti, incedenti o sedute; il corpo è sottile, le teste, di
profilo, sono piccoli globi da cui sporgono spesso
alcuni tratti ad indicare i lineamenti; in mano possono tenere uno strumento musicale (che suonano),
un elmo, un ramo, una serpe o un globo. Quando presente, la clamide forma grossolana velificatio resa con due linee parallele curve da cui fuoriescono una serie di raggi. A volte davanti può
esserci un’ara fiammeggiante, una colonnina o un
barile (?), l’incudine su cui la figura martella l’elmo, e dietro un albero. Di rado la scena è arricchita da una seconda persona; in un caso identificabili come Apollo e Marsia, in un altro come due
uomini intenti a tagliare e pigiare grappoli d’uva.
Eccezionale, dunque, è l’intaglio conservato a Pe-
97
rugia, con una composizione più complessa: l’imperatore seduto riceve l’omaggio di un barbaro inginocchiato di fronte a lui, che gli porge un globo,
accompagnato da un soldato appoggiato ad una
lancia (Tav. XXXIX i).
Caratteristici di questo gruppo sono gli alberisedile resi come tronchi spezzati da cui si protende un singolo ramo 361.
C’è una relativa varietà nelle pietre usate: lapislazzuli, corniole, agate zonate, diaspri (per lo più
verdi), plasmi e sardonici.
Questo è il filone produttivo che, seguendo la
Maaskant-Kleibrink, era probabilmente realizzato
nei Paesi Bassi, più tardi rispetto alla fabbricazione italiana, nel tardo XVI secolo e nella prima metà
del XVII secolo 362. A sostegno di questa tesi la studiosa adduce l’interesse per le gemme da parte dei
collezionisti nei Paesi nordici, interesse che è una
ragione sufficiente per la produzione in loco. Nei
Paesi Bassi molti collezionisti di gemme, monete,
amuleti erano orefici, argentieri, incisori: producevano intagli e li vendevano.
Ricordiamo ad esempio Jacob de Wilde (16451721), autore anche di un libro sulla sua collezione di gemme (1703), in contatto con altri conoscitori olandesi, tra cui Iacobus Gronovius, J. Georgius
Graevius e Johannes Smetius 363. Al filone n. 8 appartengono varie gemme della raccolta di de Wilde,
che fu venduta il 5 aprile 1741 e che in gran parte
è finita a L’Aja (Royal Coin Cabinet).
Dunque, mi pare si possa pienamente condividere l’opinione della Maaskant-Kleibrink di una
produzione nei Paesi Bassi. E si potrebbe avanzare la suggestiva ipotesi che se i lotti più cospicui
di questi intagli sono quelli del Museo Archeologico Nazionale di Madrid e dei Paesi Bassi la spiegazione va ricercata nel fatto di essere stati entrambi
possedimenti degli Asburgo?
Tassinari 2009, p. 163, tav. XLVII, nn. 725-728.
Mandrioli Bizzarri 1987, pp. 112-116, nn. 210-226.
356
Mandrioli Bizzarri 1987, pp. 111-112, nn. 206-209 (II-III secolo d.C.; III secolo d.C.; III-IV secolo d.C.).
357
Casarosa Guadagni 1993, pp. 111-112, n. 54 (post II-III secolo d.C.).
358
Tassinari c.s.a, n. 561 (XVI-XVII secolo).
359
Gesztelyi 2000, pp. 88, 169, n. 307 (XVI-XVIII secolo).
360
Zwierlein-Diehl 1991, pp. 283-284, tav. 205, n. 2665, tav. 206, nn. 2668-2669, 2671, 2676-2678 (XVI - prima metà del XVII secolo).
361
Ricordiamo un’osservazione della Zwierlein-Diehl (Zwierlein-Diehl 1991, p. 258, n. 2558) secondo cui questo particolare
tronco diviso in due è un tipico elemento delle gemme antichizzanti del XVI-XVII secolo.
362
Maaskant-Kleibrink 1997, pp. 238-241, ove un esame dei vari motivi per sostenere quest’ipotesi.
363
Per un esame di de Wilde, la sua opera e la sua collezione, v. Maaskant-Kleibrink 1978, pp. 15-21.
354
355
GABRIELLA TASSINARI
98
Attestazioni
Firenze, Biblioteca Marucelliana Firenze, Museo degli Argenti 365 (Tav. XXXIX d)
Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria 366 (Tav. XXXIX i)
Leida, Royal Coin Cabinet 367 (Tav. XXXIX b, f, h)
Londra, British Museum, collezione Sloane 368
Madrid, Museo Archeologico Nazionale 369 (Tav.
XXXIX c, e)
Monaco, Staatliche Münzsammlung 370
Ubicazione ignota, già collezione de Wilde 371 (Tav.
XXXVIII i; Tav. XXXIX a, g)
Ubicazione ignota 372
364
Filone n. 9
L’ultimo filone è quello che potremmo definire ‘classicistico’, ‘antichizzante’, cioè che si attiene
più fedelmente ai modelli antichi o rinascimentali
che gli antichi imitano o riecheggiano. I pezzi che
lo costituiscono si rifanno agli antichi, nella tematica e nello stile, talvolta così esattamente da poter ‘ingannare’.
In particolare per il gruppo D è arduo tracciare il
confine e distinguere quando si tratta di motivi effettivamente antichi o di una loro ripresa fedelissima, ma più tarda di vari secoli. Per individuare gli
intagli e attribuirli a questa produzione il filo conduttore rimane il lapislazzuli; ma si è perfettamente
consapevoli dei limiti di questa operazione.
Innanzi tutto il fatto di insistere sulla ‘modernità’ di tanti lapislazzuli non può deformare la realtà
a sfavore di una collocazione antica di vari esemplari. Inoltre, poiché non si hanno criteri precisi
per determinare con relativa sicurezza la cronologia, sono stati inseriti nell’ambito della produzione gli intagli con altre pietre solo quando vi fosse
strettissima somiglianza iconografica e/o stilistica.
[RdA 34
Ma con tale cautela, pur necessaria, non sono stati assegnati a questa produzione vari esemplari in
altre pietre che probabilmente vi rientrano. Tuttavia, adottare questo criterio empirico è sembrata,
per ora, l’unica alternativa possibile.
Gruppo A
In questo gruppo gli intagli riproducono più
o meno fedelmente e comunque si richiamano
all’opera delle prestigiose personalità di Valerio Belli e Giovanni Bernardi 373. Il Belli introdusse il canone formale classicistico, con la sua impronta di
armonia e di misura, il Bernardi si distingue per
maggior concitazione ed enfasi in scene movimentate e stipate di figure; ma frequenti sono i casi in
cui l’attribuzione proposta è tuttora discussa. Infatti entrambi furono fecondissimi e abilissimi incisori
in pietre dure e in cristallo di rocca, orefici, medaglisti; entrambi godettero di onori e di larga fama e
operarono in una simile atmosfera artistica, prima
in Italia settentrionale e poi a Roma. Entrambi erano orgogliosi di servirsi dell’ispirazione, puntuale
o vaga, e dell’imitazione dell’antico, di cui avevano
assimilato i principi formali. Entrambi utilizzarono
le placchette per documentare e diffondere le loro
opere e fornire un considerevole materiale di modello all’artigianato; e proprio grazie alle innumerevoli placchette di bronzo e piombo, spesso attestate
in più esemplari e con varianti, derivate dalle loro
incisioni, si conoscono la maggior parte delle numerose opere che sono oggi perdute o disperse.
Si tratta di soggetti classici, ‘all’antica’, religiosi
e profani: scene ispirate al mito, alla storia, sacrifici, raffigurazioni bacchiche, battaglie, cacce e lotte; frequenti sono le figure femminili, allegoriche o
Gori ectypa, tav. VIII, n. 33 (impronta inedita di un intaglio in plasma; visione autoptica) (XVI-XVII secolo).
Gennaioli 2007, p. 380, n. 530 (XVII secolo).
366
Vitellozzi 2010, p. 479, n. 582 (fine del XVI secolo - inizi del XVII secolo).
367
Maaskant-Kleibrink 1997, p. 241, fig. 14 (= De Wilde 1703, pp. 68, 70-71, tav. 21, n. 78; Maaskant-Kleibrink 1978, p. 17, fig.
2a-b), pp. 241-242, fig. 16 (= De Wilde 1703, pp. 6-8, tav. 3, n. 9), pp. 241-242, fig. 17, p. 247, nota 59; Maaskant-Kleibrink 1996,
p. 85, n. 69, p. 196, n. 120 (= De Wilde 1703, pp. 133-135, tav. 39, n. 145) (XVI-XVII secolo).
368
Inv. SL.A 102, inv. SL.A 184; inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo).
369
Casal García 1990, I, pp. 208-209, II, pp. 119-122, nn. 170-186 (età moderna).
370
Weber 2001, p. 190, n. 402 (secondo terzo del XVII secolo).
371
De Wilde 1703, pp. 68, 71, tav. 21, n. 81, pp. 127-129, tav. 37, n. 140, p. 136, tav. 39, n. 147 (XVI-XVII secolo).
372
Gronovius 1695, p. 38, n. 478, p. 49, n. 546 (XVI-XVII secolo).
373
Si danno qui solo alcune notizie sui due Maestri, essenziali allo scopo di questa ricerca.
Belli e Bernardi vantano un’ampia bibliografia; rimando solo ai seguenti contributi specifici, recenti: Donati 1989; Burns,
Collareta, Gasparotto 2000; Donati, Casadio 2004.
364
365
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
divinità greco-romane, di moduli allungati, di profilo, incedenti o danzanti, spesso con qualcosa in
mano, dai panneggi classicheggianti, a volte fluttuanti e con mantello piegato ad arco.
Assai complessi, problematici, ancora in parte
da chiarire, sono sia la circolazione delle gemme
dei due Maestri una volta immesse nel mercato, sia
l’intreccio delle interrelazioni nella trasmissione dei
motivi iconografici. Comunque, attraverso le placchette ricavate, calchi, repliche e copie, di tutti i formati e materiali, queste opere di successo continuavano a girare oltre l’epoca di esecuzione, venivano
più volte e a lungo riprodotte, in diverse dimensioni e con varianti, diffuse e rese popolari.
Proprio il processo di divulgazione e di volgarizzazione determina la produzione di molteplici repliche, con aggiunte o soppressioni di particolari,
semplificazioni o riduzioni nella qualità, adattamenti … Dunque le gemme di questo gruppo possono
esser redatte in aree culturali diverse dalla creazione del prototipo, e non in base alla sua conoscenza, in momenti differenti e anche molto distanziati nel tempo. Però forse non è scorretto ritenere che
siano precedenti, cioè più ‘antiche’, quelle gemme
che, con la loro qualità formale alta, sono fedeli al
modello. Invece dovrebbero esser relativamente più
tardi gli esemplari dove l’iconografia è più o meno
modificata e lo stile è impreciso e meno curato 374.
A questo proposito va specificato che se Belli e
Bernardi si giovavano delle composizioni antiche,
traendone iconografia e stile, è sembrato qui più
opportuno indicare non il prototipo originale antico, spesso di difficile individuazione, al di là dei
riferimenti generici, bensì la gemma del Belli o del
Bernardi, cioè il modello che l’incisore cinque-seicentesco più aveva ‘sottomano’.
Un’ultima osservazione. Tra le varie opere del-
99
la celebre e ricca collezione del Belli – sculture,
pitture, disegni, monete antiche, cristalli, intagli,
cammei – vi erano anche corniole e lapislazzuli,
purtroppo non meglio specificati 375.
In questo gruppo sono analizzati singolarmente i pezzi, spesso di dimensioni maggiori, e indicato il modello del Belli e/o del Bernardi. Sono tutti intagli in lapislazzuli, tranne i pochissimi casi
specificati.
Un intaglio con Vulcano barbato seduto, nudo
con la clamide svolazzante, che alza il braccio col
martello in atto di colpire un elmo, mentre sullo
sfondo si stagliano due lance, datato erroneamente
al II-III secolo d.C. 376 (Tav. XL a; Tav. LIII e), si differenzia dal modello – una gemma del Belli o del
Bernardi, dispersa, ma testimoniata da una placchetta di bronzo 377 – solo per lievi particolari, come
la mancanza delle ghirlande che ornano il sedile e
il basamento su cui è posta l’incudine.
Presentano un’interessante modifica della figurazione del Belli/Bernardi tre intagli: uno in lapislazzuli, della collezione Praun, testimoniato dai
calchi di Lippert 378 e di Tassie 379, e gli altri due, in
agata, del tutto simili tra di loro, uno già appartenente a Johann Friedrich Christ, a Lipsia, disperso, sempre documentato dai calchi di Lippert (Tav.
XL b) e Tassie 380, l’altro a Monaco, datato alla prima
metà del XVII secolo 381. Essi riflettono la commistione di due composizioni analoghe: uno ‘scambio’ di
attributi tra l’iconografia di Vulcano al lavoro su
un pezzo di armatura posto sull’incudine e quella
di Dedalo occupato a fabbricare l’ala. Infatti Vulcano seduto forgia all’incudine un’ala, tenendola
con una mano, come un pezzo di armatura. Nel
suo commento ai calchi del Lippert, Christ propone sia l’interpretazione di Vulcano intento alla sua
opera, sia quella di Dedalo. Invece il Lippert spie-
Si pone su questa direttrice l’osservazione della Maaskant-Kleibrink (Maaskant-Kleibrink 1997, p. 238): esaminando lo sviluppo dei due temi nelle gemme del ‘500 – Apollo e Marsia e Vulcano alla forgia (questo è il filone 1, gruppo D) – si nota che
gradualmente svanisce l’ “high taste”.
375
Cfr. Tassinari 1996, pp. 180-181, ove riferimenti bibliografici. Più in generale, Jestaz 2000 (in particolare per le gemme, pp.
164-165).
376
Tassinari 1996, pp. 164-165, fig. 9, ove correzione della datazione e bibliografia anteriore. È conservato a Roma, ai Musei
Capitolini.
377
Tassinari 1996, pp. 164-166, fig. 10 (impronta della gemma), p. 174, fig. 14 (placchetta di bronzo attribuita a Giovanni Bernardi); Gasparotto 2000, p. 363, n. 178 (data a Valerio Belli).
378
Lippert 1755, n. 137.
379
Raspe 1791, p. 381, n. 6459.
380
Tassinari 1996, pp. 165-167, fig. 11, ove bibliografia e discussione se questa gemma appartiene alla collezione dell’antiquario Alfonso Miliotti (la cui Description fu pubblicata nel 1803), ora a San Pietroburgo.
381
Weber 2001, p. 170, n. 333.
374
100
GABRIELLA TASSINARI
ga i due calchi della sua dattilioteca come Vulcano
che forgia un’ala per i calzari di Mercurio o per il
fulmine di Giove 382 (identificazione questa seguita
dal Raspe che non nomina Dedalo) e interpreta una
farfalla che vola sopra l’incudine nell’intaglio in lapislazzuli come l’immagine dell’anima e quindi del
Genio che mette il dio nel suo lavoro.
L’intaglio di Monaco è ascritto alla prima metà
del XVII secolo, mentre gli autori settecenteschi,
come di consueto, non avanzano datazioni per gli
altri due pezzi, che possono esser collocati nel XVI
secolo.
Manca appunto una divisione tra pezzi antichi
e moderni nella cospicua dattilioteca del tedesco
Philipp Daniel Lippert (1702-1785): tre serie ordinate di 1000 bei calchi da gemme, che egli stesso
realizzava, vendute nel 1755 e nel 1756 (con testo
latino del filologo Johann Friedrich Christ di Lipsia) e nel 1762 (commentata dal filologo Christian
Gottlob Heyne); seguirono una scelta di 2000 pezzi e un supplemento (1767; 1776) 383.
Gli esemplari della dattilioteca di Lippert sono
presenti anche nella straordinaria collezione di 15800
paste di vetro colorato, smalti bianchi e zolfi, accurate repliche di cammei e intagli, eseguite dal più famoso riproduttore di gemme James Tassie (1735-1799),
spiegate nel catalogo di Rudolf Erich Raspe 384.
Come spesso rilevato, la stessa composizione si
può trovare su esemplari in diverse pietre. È il caso
di una Diana incedente, che tiene al guinzaglio un
levriero e nell’altra mano una freccia, su un intaglio in lapislazzuli ascritto al XVII secolo 385 e su
uno in agata zonata dato ai primi del XVII secolo 386. Si tratta di un’imitazione fedele di un intaglio
di Giovanni Bernardi, documentato da una placchetta di piombo 387.
[RdA 34
In un intaglio del XVI-XVII secolo (Tav. XL c) 388
una figura femminile incedente, identificata come
la dea Roma, tiene in una mano un globo, nell’altra uno scettro; ai suoi piedi uno scudo e delle lance (?). Il soggetto deriva da un intaglio del Belli, ora
documentato da una placchetta di piombo, con Minerva, che nella mano sollevata ha l’elmo e non il
globo 389.
Punto di riferimento sono le figure femminili, tipiche del repertorio del Belli, di profilo, incedenti,
dai panneggi all’antica, spesso svolazzanti, di solito con qualcosa in mano, un piatto, un crivello, una
torcia, o che si avvicinano ad un altare, ripetute, in
molteplici versioni e con opportuni cambiamenti
per adattarle alle differenti composizioni, diversamente definite Salomé, Tuccia, baccante … 390
Riecheggiano in modo immiserito tali figure del
Belli (cfr. anche supra, filone 1, gruppo E) un intaglio in lapislazzuli di Madrid 391, due in corniola a
Bologna 392 e a Verona (Tav. XL d) 393, e un altro in lapislazzuli, pubblicato dal Gronovius (Tav. XL e) 394.
Sono appunto figure femminili, di profilo, con le
vesti fluttuanti e il mantello gonfiato ad arco, che
portano qualcosa in mano, incedenti, in un caso
verso un’ara, in un altro verso un vaso.
Un intaglio di Monaco, datato al secondo terzo del XVII secolo (Tav. XL f ) 395, raffigura un eroe
nudo seduto, nella mano protesa tiene una vittoria, ai suoi piedi elmo, corazza, scudi, lance. Sebbene vi sia un modello antico, come Minerva/Roma
con la vittoria, sembra più giustificato presupporre una derivazione – con varianti come le armi e
l’abbigliamento differenti – da un intaglio del Bernardi, un eroe con la Vittoria, documentato da una
placchetta di bronzo 396.
Pare lo confermi un particolare specifico, come
Tassinari 1996, p. 166.
Su Lippert, cfr. Zwierlein-Diehl 1986, pp. 13-17; Daktyliotheken 2006, ad indicem (bibliografia essenziale).
384
Sui Tassie cfr. Zwierlein-Diehl 1986, pp. 17-19; Daktyliotheken 2006, ad indicem (bibliografia essenziale).
385
Dalton 1915, p. 84, tav. XXI, n. 595 (British Museum).
386
Weber 1992, pp. 244-245, n. 377 (Monaco, Staatliche Münzsammlung).
387
Donati 1989, pp. 226-227, tav. CI.
388
Gesztelyi 2000, pp. 87, 168, n. 299 (Budapest, Museo Nazionale Ungarico).
389
Gasparotto 2000, pp. 353, 516, n. 134. Cfr. anche molto simile, ibidem, n. 133. L’intaglio n. 134 è spiegato come figura allegorica di guerriera in Donati, Casadio 2004, p. 161, n. 178.
390
Gasparotto 2000, pp. 343, 353-355, 506, 516-518, nn. 96, 132, 137-139, 144 (placchette di bronzo e di piombo).
391
Casal García 1990, I, p. 97, II, p. 22, n. 84 (dato al I secolo a.C.).
392
Mandrioli Bizzarri 1987, p. 110, n. 202 (ascritto al II-III secolo d.C.).
393
Tassinari 2009, pp. 156-157, tav. XLIV, n. 683 (XVI-XVII secolo).
394
Gronovius 1695, p. 50, n. 563 (XVI-XVII secolo).
395
Weber 2001, pp. 183-184, n. 377.
396
Donati 1989, pp. 230-231, tav. CVII.
382
383
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
il pilastro (a cui sono sospese armi) con in cima un
globo, presente appunto nella placchetta del Bernardi, che ritorna in intagli, sempre di dimensioni notevoli, del tutto simili all’esemplare di Monaco, dove cambiano alcuni dettagli: uno in agata,
ascritto probabilmente al XVII secolo (Tav. XL g) 397
e l’altro tra i calchi del Tassie, senza indicazione
di pietra, ma di cui Raspe sospetta l’antichità (Tav.
XL h) 398. Su un esemplare al Museo Archeologico
di Napoli, anch’esso di grande formato, databile
agli anni iniziali del XVII secolo 399, con un cammeo inciso sull’altro lato, ritorna la stessa composizione con alcune innovazioni come la figura che
regge un vaso, il mantello gonfiato ad arco, la colonna su cui arde un fuoco.
Anche nel caso di un intaglio in lapislazzuli disperso, noto solo dalla tavola che ne dà Gronovius 400 (Tav. XL i), sembra più corretto individuare
come modello non i prototipi antichi, ma gli intagli del Belli, che a quelli si ispirano, con la Pace che
brucia le armi. Una figura femminile stante, panneggiata, tiene in una mano un grande ramo d’olivo o una cornucopia mentre con l’altra dà fuoco
con una face accesa ad un trofeo di armi di fronte a lei. Si tratta di uno dei motivi tipici del repertorio del Belli che ritorna su intagli, come uno in
cristallo di rocca conservato a Braunschweig (Herzog Anton Ulrich Museum) 401, su placchette e su
medaglie con varianti relative all’abbigliamento
(mantello svolazzante o no), alle armi (lance, scudi, elmo, corazza), al pilastrino e alla cornucopia al
posto del ramo d’ulivo 402, come nell’intaglio pubblicato dal Gronovius. Purtroppo solo dalla tavola del Gronovius non si può giudicare se e quanto
101
l’intaglio in esame sia modificato rispetto all’esemplare belliniano 403.
Una semplificazione e riduzione nella qualità di
un intaglio del Belli 404, nonché alterazione iconografica, è testimoniata da un intaglio del Museo
degli Argenti a Firenze (XVII secolo) (Tav. XLI a) 405,
dove Apollo sta per prendere Dafne che ha le braccia alzate già in parte tramutate in rami d’alloro,
così come i capelli. Alcuni particolari dell’analogo
intaglio del Belli sono stati soppressi – come l’arco
e la faretra sulle spalle di Apollo – e altri aggiunti, pittorici, come i ciuffi d’erba e le pianticelle che
si è visto elementi tipici del gruppo F del filone 1.
Così – ovvio ‘errore’ – anche le dita di una mano
di Apollo vengono mutate in rami.
Analogamente un intaglio con Venere incedente di profilo, con il panneggio al vento, che tiene
una corona che Cupido stante di profilo afferra per
i nastri, della collezione di Brandeburgo, ora ai Musei di Berlino, inserita dal Furtwängler tra le pietre del XVI-XVII secolo 406, richiama una gemma del
Belli o del Bernardi, testimoniata da una placchetta di bronzo 407.
Così, l’intaglio con Apollo stante che tiene una
mano sulla lira appoggiata a terra e guarda Marsia seduto mentre suona il flauto, appartenente alla
collezione Di Castro (Roma) 408, si differenzia solo
per lievi particolari da un intaglio in calcedonio del
Museo degli Argenti a Firenze, già ritenuto un lavoro fiorentino anonimo della metà del XVI secolo
e ora ricondotto al Bernardi 409; del resto attribuita
al Bernardi è l’analoga placchetta di bronzo 410.
Un altro intaglio in calcedonio, appena diverso in qualche dettaglio dall’esemplare fiorentino, è
Wagner, Boardman 2003, p. 94, tav. 90, n. 659 (collezione privata).
Raspe 1791, p. 456, n. 7846.
399
Gasparri 1995a, pp. 421-422, n. 200.
400
Gronovius 1695, p. 23, n. 198.
401
Gasparotto 2000, pp. 228, 319, n. 18.
402
Per gli esemplari del Belli, la produzione artistica a lui contemporanea con questo soggetto, nonché il riferimento ai modelli antichi, Gasparotto 2000, p. 319, n. 18, p. 341, n. 90, p. 355, nn. 141-142, p. 374, n. 209.
403
Analogamente, per quell’intaglio in lapislazzuli, non documentato da immagini, con la Pace che appicca il fuoco alle armi,
sul retro di un medaglione che reca sul lato anteriore una testa femminile in rilievo, già nella collezione Crozat e ora al Museo Statale dell’Ermitage, a San Pietroburgo (?): Mariette 1741, p. 81, n. 1266.
404
Gasparotto 2000, pp. 352, 515, n. 129 (placchetta di piombo).
405
Gennaioli 2007, p. 389, n. 556.
406
Begerus 1696, pp. 42-43 = Furtwängler 1896, p. 323, tav. 63, n. 8853.
407
Donati 1989, p. 232, tav. CIX (attribuita al Bernardi); Gasparotto 2000, pp. 363, 526, n. 174 (data al Belli).
408
Pirzio Biroli Stefanelli 2009 (datato alla seconda metà del XVI secolo).
409
Gennaioli 2007, pp. 365-366, n. 493, tav. XLIII. Per un esame della questione cfr. anche Maaskant-Kleibrink 1997, pp. 241,
246-247, nota 57.
410
Donati 1989, pp. 216-217, tav. XCII.
397
398
102
GABRIELLA TASSINARI
considerato un originale del Bernardi o di un atelier vicino all’artista 411.
E anche la già citata agata zonata con Ercole
contro Cerbero, a Berlino, prima datata al più tardo III secolo d.C. ma poi giustamente ricondotta
alla produzione in questione 412, si può confrontare
(ad esempio per l’atteggiamento di Ercole e il solito panneggio impoverito e schematizzato) con una
gemma del Belli o del Bernardi con Ercole e l’idra,
documentata da una placchetta di piombo 413.
È ancora una placchetta di piombo sicuramente
del Bernardi (all’esergo vi è la scritta IO.BER.F.) 414 a
testimoniare il modello di un intaglio in eliotropio
di Monaco, assegnato ai primi del XVII secolo 415,
dove Marte siede, vicino alle sue armi, abbracciato da Venere, accompagnata da Amore (Tav. XLI b).
Naturalmente l’esemplare di Monaco è diverso dal
pezzo del Bernardi, sia per lo stile, sia per alcune
incomprensioni iconografiche: si veda solo Amore
che nella placchetta del Bernardi sospinge Venere
verso Marte, mentre nell’intaglio di Monaco mette
un ramoscello tra le gambe della dea. A proposito
della diffusione di questa composizione attraverso
le placchette, va ricordato un cammeo in onice, privo di firma (seconda metà del XVI secolo; Vienna,
Kunsthistorisches Museum), con lo stesso soggetto ma diverso stilisticamente tanto da far ritenere
probabile sia stato inciso non dal Bernardi, ma da
un’altra mano 416.
Già Mariette sospettava fosse una copia dall’antico, eseguita da un incisore del XV o XVI secolo 417,
un intaglio del Gabinetto del Re, ora al Cabinet des
médailles, a Parigi, documentato da un calco nella
[RdA 34
collezione del Tassie 418, con Apollo seduto su una
roccia, tenendo una lira appoggiata alla gamba, dietro di lui la faretra con le frecce, davanti due flauti
piantati nel terreno (Tav. XLI c). L’espressione del
viso ha perso quel tocco ‘classico’, presente nel suo
diretto modello, un intaglio del Belli o del Bernardi,
documentato da una placchetta di piombo 419.
Allo stesso intaglio del Belli/Bernardi si rifà,
con minime varianti, l’Apollo citaredo seduto di
un intaglio, ipotizzato come moderno, al Museo Archeologico di Firenze 420.
In un intaglio di Monaco, datato ai primi del
XVII secolo e interpretato come Ercole e Onfale (?)
(Tav. XLI d) 421, la figura di Ercole seduto ripete –
immiserita – una composizione del Belli, che riscosse successo, come si vede dal gran numero di
placchette: Ercole al bivio, con Minerva, Venere e
Cupido 422. Ercole è l’esatta citazione dell’Ignudo a
destra del profeta Gioele nella cappella Sistina, secondo la convincente connessione con Michelangelo, notata dal Kris 423. Analoga è la figura di Orfeo
su una corniola a Vienna, già creduta antica e ora
data alla prima metà del XVI secolo 424. Nell’intaglio di Monaco la donna, che stante guarda Ercole
e tiene un ramo, è simile a varie figure femminili
del Belli: a Venere, nella citata placchetta di Ercole al bivio (principale differenza è che la dea porge
una mano al piccolo Cupido e nell’altra, abbassata, non ha nulla), e a una delle due donne che regge un serpente avvolto nel braccio sinistro, in una
scena di discussa interpretazione 425 di una famosa
placchetta in cui la figura maschile è ripresa da un
altro schiavo della Sistina 426.
Maaskant-Kleibrink 1997, pp. 240-241, figg. 12, 13, pp. 246-247, nota 57. L’intaglio è conservato a Leida (Royal Coin Cabinet).
412
Cfr. note 26 e 28.
413
Donati 1989, p. 230, tav. CVI (data al Bernardi); Gasparotto 2000, p. 364, n. 184 (data al Belli).
414
Bange 1922, p. 119, tav. 72, n. 898; Donati 1989, pp. 94-95, tav. XXIV.
415
Weber 1992, p. 244, n. 376.
416
Eichler, Kris 1927, p. 107, fig. 53, tav. 25, n. 169.
417
Mariette 1750, vol. II, tav. XII. L’intaglio è pubblicato tra i moderni in Chabouillet 1858, p. 317, n. 2298 (senza immagine)
e tra le gemme problematiche e moderne in Richter 1971, p. 156, n. 729.
418
Raspe 1791, p. 208, n. 2987, dove l’intaglio è ascritto al ‘500.
419
Donati 1989, pp. 216-217, tav. XCI (Bernardi); Gasparotto 2000, p. 363, n. 177 (Belli).
420
Tondo, Vanni 1990, p. 170, n. 53, p. 198.
421
Weber 2001, p. 162, n. 310.
422
Gasparotto 2000, pp. 350-351, 514, n. 124.
423
Kris 1929, I, p. 49, II, tav. 35, nn. 154, 156 (disegno di Michelangelo).
424
Zwierlein-Diehl 1991, p. 266, tav. 193, n. 2594; Zwierlein-Diehl 1993, pp. 378-379, 381-382, fig. 8.
425
Gasparotto 2000, pp. 336-337, 501, n. 81.
426
Kris 1929, I, p. 49, II, tav. 35, n. 153 (placchetta), n. 155 (disegno di Michelangelo).
411
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
Edito dal Maffei (Tav. XLI e) 427, presente nelle
raccolte di calchi del Lippert, del Tassie (Tav. XLI f ),
del Cades 428, documentato dalle placchette di bronzo 429, ma non rintracciato è un intaglio in lapislazzuli con una scena di sacrificio all’antica: una fanciulla ammantata, accompagnata da un sacerdote
barbato, sacrifica sopra un altare su cui arde la
fiamma; in secondo piano altre due figure, una maschile, l’altra femminile; nel campo un albero.
Se Maffei si giustifica di pubblicare un intaglio
(in possesso del Signor Carlo Albani), perché lodevole e di perfetto disegno, ma in cui l’artista moderno non ha imitato bene il costume antico e il rito
dei sacrificanti, Raspe giustamente osserva che stile e maniera sono del Belli. Infatti l’intaglio ripete
– cambiando solo alcuni particolari – una composizione del Belli, documentata da una placchetta di
bronzo 430. Del tutto simile a entrambi gli intagli una
sardonice conservata a San Pietroburgo, al Museo
Statale dell’Ermitage 431.
Un’altra scena di sacrificio all’antica compare su
un intaglio in lapislazzuli disperso, già del Cardinale Albani, documentato nelle raccolte di impronte del Lippert e del Tassie (Tav. XLI g) 432. Un gruppo di sei figure (tra cui un giovane che porta una
patera, un uomo barbuto con un’ascia sulla spalla, un altro col capo velato e una donna ammantata) accompagnano un toro al sacrificio, in direzione di un’ara raffigurata sulla destra; sullo sfondo
un tempio con quattro colonne. Raspe osserva che
l’intaglio è nello stile del Belli. In effetti una placchetta di bronzo del Belli 433 è del tutto simile: principale differenza è il tempio, sempre tetrastilo ma
con timpano triangolare. Secondo Gasparotto 434 la
placchetta deriva dal calco modificato di un bell’intaglio in diaspro sanguigno conservato al British
Museum che lo studioso crede possa esser del Belli. Invece Dalton, che pubblica l’intaglio del British
Museum come eliotropio, lo dà al XVI secolo e a
produzione italiana ma non lo attribuisce al Bel-
li 435. Comunque l’intaglio in lapislazzuli del calco
del Tassie sembrerebbe uguale all’intaglio del British Museum.
Gruppo B
Gli intagli di questo gruppo non suscitano dubbi riguardo alla loro ‘modernità’.
La maggior parte di questi esemplari sono famosi o sono famosi i modelli; spesso sono presenti
nelle più note raccolte di impronte e talvolta hanno
riscontro nelle placchette e/o nelle medaglie.
Il Trattato sulle pietre incise (1750) di PierreJean Mariette – collezionista, conoscitore di storia
dell’arte e uno dei più celebri esperti di gemme del
XVIII secolo –, un influente e imprescindibile punto
di riferimento, raccoglie le più belle e interessanti
pietre incise del Gabinetto del re di Francia. Tra di
es­se vi è un intaglio, al Cabinet des Médailles, noto,
per ora, solo dalla tavola del Mariette (Tav. XLII a) e
dal calco nella collezione del Tassie (Tav. XLII b) 436;
infatti Chabouillet, che giustamente lo colloca tra
gli intagli moderni, non ne dà l’immagine 437. Mariette spiega la scena: Caco, famoso brigante, tira
un bue per la coda, facendolo entrare nella sua caverna. Con questa astuzia egli svia i derubati, perché più essi seguono le tracce che sembrano loro
indicare il cammino dei loro buoi, più essi si allontanano da dove gli animali sono stati condotti.
Ercole scopre lo stratagemma e libera il mondo da
quell’insigne ladro. Secondo il Mariette (ricordiamo
la sua autorità indiscussa) è un lavoro assai mediocre, concepito interamente nel modo di pensare degli artisti di questi ultimi secoli; le figure principali
sono copie, ma molto imperfette, dall’antico. E lo
studioso sottolinea proprio quei particolari pittorici e/o narrativi, indizi appunto di modernità; qui
una volpe, simbolo della frode, che si vede da lontano, e il fondo di paesaggio.
Probabilmente questo intaglio apparteneva alla
Maffei 1707-1709, vol. IV, p. 150, tav. XCVII.
Rispettivamente Lippert 1755, n. 955; Raspe 1791, p. 493, n. 8390; Cades, libro 61, n. 5, Inst. Neg. 61.2053.
429
Molinier 1886, p. 80, n. 302; Bange 1922, p. 113, tav. 71, n. 846.
430
Gasparotto 2000, pp. 347-348, 510, n. 113.
431
Gasparotto 2000, pp. 347, 510.
432
Rispettivamente Lippert 1755, n. 965; Raspe 1791, p. 500, n. 8501.
433
Gasparotto 2000, pp. 357, 520, n. 151.
434
Ibidem.
435
Dalton 1915, p. 121, tav. XXX, n. 831. Un’ottima immagine in Burns, Collareta, Gasparotto 2000, p. 245.
436
Raspe 1791, p. 346, n. 5784.
437
Mariette 1750, vol. II, tav. LXXXIX; Chabouillet 1858, p. 328, n. 2379 (senza immagine; tra gli intagli moderni).
427
428
103
104
GABRIELLA TASSINARI
collezione di gemme di Nicolas-Claude Fabri de
Peiresc (1580-1637), studioso famoso per la sua vasta conoscenza dell’antichità. Infatti Peiresc in un
suo manoscritto descrive un intaglio con questo
soggetto 438.
Va rilevato che l’episodio era notissimo grazie
a Virgilio che lo pone in relazione con la fondazione di Roma. E infatti lo stesso motivo di Caco che
ruba i buoi di Ercole tirandoli per la coda, inserito
in una scena più complessa di paesaggio, con alberi, una città murata, un’altra testa di bue che fa capolino e in primo piano Ercole che dorme, ritorna
in placchette di bronzo di forme diverse e con varianti, firmate e non, del Moderno (Galeazzo Mondella; Verona 1467-Roma 1528) 439.
Un intaglio del tutto particolare e strano (Tav.
XLII e) è presente nella serie di calchi di cammei e
intagli in zolfo rosso – esemplari tratti dalle più celebri raccolte italiane ed europee, tra cui la Stosch,
ma anche dalle minori – prodotta dalla famosa manifattura romana Dehn-Dolce, una delle quali, cui
si farà qui riferimento, terminata entro la fine del
1772, è conservata presso il Gabinetto Numismatico delle Raccolte Artistiche di Milano 440. Francesco Maria Dolce nel suo catalogo, indispensabile accompagnamento dei calchi, spiega la scena in modo
ridondante e appesantito, come spesso, da notazioni erudite. Piritoo, amico di Teseo, dopo aver ripudiato la moglie Ippodamia, fece voto di non prenderne nessun’altra, se non era figlia di Giove. Così,
Piritoo e Teseo scesero all’Inferno per rapire Proserpina, l’unica rimasta. Piritoo venne ucciso e divorato dal cane Cerbero e Teseo rimase prigioniero di Plutone, finchè venne liberato da Ercole 441. Il
calco di questo intaglio – che il Dolce definisce un
originale antico, nel museo Dehn – è presente nelle raccolte di impronte del Tassie 442 e dei Paoletti,
cioè di Bartolomeo e del figlio Pietro, famosi per
[RdA 34
produrre e commerciare serie di calchi di intagli e
cammei, antichi e moderni 443.
Alcuni intagli in lapislazzuli sono pubblicati
da Leonardo Agostini, esperto e famoso antiquario, commissario delle Antichità di Roma e del Lazio, collezionista, che organizzava e dirigeva scavi
e commerciava in oggetti antichi. Il suo “Le gemme
antiche figurate” – primo volume edito nel 1657,
secondo nel 1669; i due volumi sono riuniti e riorganizzati nell’edizione del 1686 –, con la collaborazione del suo amico, il celebre storiografo dell’arte,
antiquario, erudito Giovanni Pietro Bellori, incontrò una straordinaria fortuna e divenne opera di riferimento, grazie anche al prestigio e all’autorità di
cui godevano Agostini e Bellori. Tradotta in latino
dal Gronovius, l’opera fu ristampata nel 1685, nel
1694 e nel 1699; sono queste le edizioni più diffuse 444. Infine vi è una ristampa allargata e arricchita
delle più belle gemme dai musei romani o stranieri, con le spiegazioni dell’Agostini a cui Paolo Alessandro Maffei ha aggiunto le sue osservazioni 445.
Tipico esempio di una raffigurazione che dà adito a dotte esegesi, interpretazioni, riferimenti eruditi, citazioni di fonti letterarie e iconografiche, è un
intaglio con una composizione complessa 446 (Tav.
XLII c, d). Una figura con in capo la sacra mitra
con il fiore del loto, sedente in riva al fiume, che
Agostini pensa sia il genio di Alessandria di Egitto in forma di donna, appoggia il gomito sulla testa del Nilo, tenendo lo scettro con una mano e
posando l’altra sopra un paniere, pieno di grano,
simbolo della fertilità di quella regione. Il fanciullo, che pone la mano sul paniere, denota l’alimento del grano, necessario alla vita; dietro la testa del
Nilo c’è uno scorpione, per indicare che a novembre comincia la fecondità dell’Egitto. Sullo sfondo
sono situati tre edifici, che possono esser sia i tre
templi, dedicati a Iside, Osiride, Arpocrate, sia i fa-
Van Der Meulen 1997, pp. 198-199, fig. 6, pp. 222-223, App. 2.12.7.
Da ultimo, Rossi 2007, ove esame della scena e sua interpretazione, elenco degli esemplari e bibliografia precedente. Rossi
ritiene che questa placchetta sia stata eseguita intorno al 1487.
440
Sostanzialmente inedita, la collezione milanese è in corso di studio da parte della scrivente. La divisione della raccolta corrisponde alla descrizione e sistemazione del catalogo del Dolce (che però manca). Sulla manifattura Dehn-Dolce, cfr. Daktyliotheken 2006, ad indicem; Tassinari c.s., ove bibliografia.
441
Dehn, Dolce 1772, tomo II, P, p. 49, n. 53; cassetta P (15), zolfo n. 53.
442
Raspe 1791, p. 512, n. 8680.
443
Pirzio Biroli Stefanelli 2007, p. 133, tomo II, n. 183. Sui Paoletti e la loro collezione, cfr. da ultimo, ibidem, pp. 13-24.
444
Sull’Agostini, sull’intricato problema delle varie edizioni dell’opera, Tassinari 1994, pp. 41-43, ove bibliografia anteriore.
Cfr. inoltre Agostini 1960; Tondo 1993, pp. 244-248.
445
Maffei 1707-1709.
446
Agostini 1686, vol. II, pp. 54-55, n. 87.
438
439
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
mosi granai di Alessandria, che provvedevano al
mantenimento di Roma. Le barche in acqua indicano la particolare posizione di quel porto ricco e
importante. Vi sono incisi anche vari animali con
un pastore (essi significano gli armenti, i pascoli e
l’opulenza della regione), e un coccodrillo, sacro,
simbolo del Nilo e dell’Egitto. Agostini conclude
che, se altri vuol interpretare i vari simboli e riconoscere la fertilità dell’Africa lascia a ciascuno il
proprio parere. Maffei (Tav. XLII c) 447 aggiunge le
sue osservazioni relative ai tre edifici (che secondo
il Raspe sono alveari) come templi e da chi furono
fabbricati, esaminando il culto di Arpocrate, il simbolo del coccodrillo, le diverse raffigurazioni nelle
medaglie di Alessandria.
Appartenevano all’Agostini quegli esemplari
privi della menzione del possessore e quindi anche questo. Esso è stato pubblicato dal Gori come
diaspro blu 448, è presente nelle collezioni di calchi
del Lippert 449, del Dehn (Dolce nel suo prolisso ed
erudito commento, menziona e riprende l’Agostini) (Tav. XLII d) 450, del Tassie 451, del Cades e dei
Paoletti 452.
Nessuno mette in dubbio l’antichità di questo
intaglio – pastiche; anzi lo si considera prezioso e
tra i più curiosi dell’antichità. E infatti il problema cronologico, che ci assilla, non è generalmente
motivo di preoccupazione per gli studiosi dei secoli XVI-XVIII: prioritario è il soggetto rappresentato e la sua identificazione. Così per un’esposizione adeguata di un intaglio pubblicato dall’Agostini
(Tav. XLII f ) 453 che raffigura Venere o una Nereide
che nella destra sollevata tiene un ramo, portata da
un mostro marino tra i flutti del mare, mentre un
amorino la segue, sollecitando l’animale, l’Agostini e il Maffei sfoggiano erudite spiegazioni, osservazioni e citazioni di fonti.
105
Analogamente Domenico Augusto Bracci non
fornisce una collocazione temporale dell’intaglio,
che pubblica nel secondo volume (1786) della sua
opera sulle gemme antiche firmate 454 (Tav. XLIII a).
Bracci ha donato in segno di gratitudine e amicizia al conte Alessandro di Voranzoff l’intaglio ‘di
elegante lavoro’ che rappresenta, secondo i versi
di Virgilio, riportati, Vulcano che alle preghiere di
Venere comanda a un ciclope di forgiare le armi di
Enea. In questo intaglio Vulcano siede sopra una
corazza, dietro alla quale vi è uno scudo, abbracciando Venere, nuda, in piedi a guardare il Ciclope
che siede e tiene il martello in atto di colpire l’oggetto che sta fabbricando, posto sopra un’incudine; sotto il sedile del Ciclope sta Cupido con l’arco tra le mani.
La scena di Vulcano, in diverse versioni, che forgia armi o frecce per Cupido, spesso alla presenza
di Venere stante, che di frequente tiene la mano di
Cupido, di rado con altri dei, ricorre ripetutamente
nella glittica, nelle placchette e in altre opere; è infatti una delle favorite in quel mondo rinascimentale di emblemi e personificazioni, caricandosi di
valenze allegoriche e simboliche 455.
Più semplice la composizione di un altro intaglio che raffigura Vulcano con il suo berretto e il
martello, seduto sopra il tronco di un albero, e Minerva stante armata accanto a lui. Questo esemplare compare nella dattilioteca di Lippert e tra le riproduzioni del Tassie; Raspe nel suo catalogo lo definisce una bella incisione (Tav. XLIII b) 456.
Un intaglio conservato a San Pietroburgo, al
Museo Statale dell’Ermitage, datato al XVII secolo
(Tav. XLIII c; Tav. LIII f ) 457, reca un’inconsueta scena di sacrificio: una figura femminile panneggiata
stante immola su un’ara fiammeggiante un ariete;
accanto a lei un amore tiene una torcia accesa volta
Maffei 1707-1709, vol. IV, pp. 42, 44-45, n. XXX.
Reinach 1895, p. 61, tav. 60, n. 52 (= Gori 1731-32, II, n. 52).
449
Lippert 1762, n. 410.
450
Dehn, Dolce 1772, tomo II, O, p. 31, n. 33; cassetta O (14), zolfo n. 33.
451
Raspe 1791, p. 471, n. 8052, che dà un commento eccezionalmente lungo.
452
Pirzio Biroli Stefanelli 2007, tomo I, p. 77, n. 709.
453
Agostini 1686, vol. II, pp. 25-26, n. 48 = Maffei 1707-1709, vol. III, pp. 13-14, n. 6.
454
Bracci 1786, p. 231, tav. XVIII, n. II. Sul Bracci (Firenze 1717-1795), erudito mediocre, privo di capacità di giudizio e di nozioni storiche, ma con il merito di insistere sugli inganni delle false firme sulle gemme, e sulla sua opera, si rimanda a Parise 1971.
455
Per alcuni dei molteplici livelli di lettura del ‘successo’ del motivo iconografico di Vulcano nel Rinascimento, v. Tassinari
1996, pp. 186-187.
456
Lippert 1762, n. 97; Raspe 1791, p. 383, n. 6474.
457
Splendeurs 2000, p. 77, n. 32/13.
447
448
106
GABRIELLA TASSINARI
verso l’alto. Tralasciando le solite considerazioni ed
elucubrazioni a proposito dell’amore da parte del
Beger, che per primo pubblica l’intaglio, appartenente alla raccolta nel castello di Heidelberg 458, per
meglio comprendere la scena ricordiamo la sua interpretazione della gemma come sacrificio della cupidine, considerata la natura libidinosa dell’ariete;
premio alla pietas della donna è l’amore onesto.
Priva di qualunque indicazione, la gemma è
pubblicata anche da Michel Philippe Lévesque de
Gravelle, nella sua Recueil de pierres gravées antiques
(Paris 1732, 1737) 459.
Un’altra gemma edita da Lévesque de Gravelle
nella sua Recueil, e sulla cui antichità Reinach nutriva dubbi 460, apparteneva alla collezione Arundel,
poi passata nella Marlborough e ora pubblicata 461.
Si tratta di un intaglio con Mercurio nudo, con petaso, mantello e caduceo, che offre una borsa ad una
donna drappeggiata, velata, seduta su una base di
colonna, con una mano alzata. Se Lévesque de Gravelle osservava che la donna non era caratterizzata, anche di recente si sottolinea che rimane oscuro il soggetto di questo intaglio, ascritto agli inizi
del XVII secolo 462.
Un intaglio di Monaco, dato a produzione italiana e al XVI secolo, raffigura una menade danzante, un pugnale nel petto, la testa piegata all’indietro, in atteggiamento estatico, con capelli, chitone
e mantello al vento (Tav. XLIII d) 463. Del tutto analogo un altro intaglio (impossibile stabilire, in base
al disegno, se si tratta dello stesso) in lapislazzuli,
pubblicato dall’Agostini e riedito dal Maffei (Tav.
XLIII e) 464, conservato nel Museo di Marco Antonio
Sabbatini, famoso antiquario, erudito e abile commerciante, proprietario di pietre incise di altissima
qualità 465. Agostini lo definisce un eccellente lavo-
[RdA 34
ro, spiega la scena, racconta il mito, citando la fonte antica. Coreso non riuscendo in nessun modo
a far sì che Calliroe, vergine della Calidonia, ricambiasse il suo amore, pregò Bacco che la punisse. Per far cessare la morte dei Calidoni, l’oracolo rispose che Calliroe doveva esser sacrificata da
Coreso all’altare di Bacco, se non si fosse offerto
in sacrificio nessuno al posto suo. Quando la fanciulla aspettava il colpo sull’altare, Coreso, vinto
dall’amore e dalla compassione, si uccise. Calliroe
pentita, volendo seguire nella morte quell’amante
così fedele, si ferì il petto, come appunto nella gemma. Nelle sue osservazioni Maffei ricorda un’altra
differente versione.
Questa raffigurazione (la qualità dell’immagine
non consente di definire se è la stessa) compare in
una placchetta di piombo ascritta agli inizi del XVI
secolo 466 e, diversa solo per minimi particolari, su
una matrice vitrea della collezione Paoletti, spiegata appunto come Calliroe che si uccide per amore di Correso 467.
Il riferimento più diretto dell’intaglio di Monaco
e dell’Agostini – unica differenza che la figura non
ha il pugnale piantato nel petto – è un bell’intaglio
in corniola, nella raccolta medicea, pubblicato dal
Gori erroneamente come giacinto 468, al Museo Archeologico di Firenze, datato al I secolo a.C. - I secolo d.C. 469.
Questo preciso tipo iconografico della Menade danzante in atteggiamento estatico non è diffuso solo in antico 470, come dimostrano due intagli
(non appartenenti alla produzione in esame) del
tutto simili al già citato intaglio antico fiorentino:
uno, ritenuto appunto una sua copia, in calcedonio, probabilmente della fine XVII - inizi del XVIII
secolo, del Museo degli Argenti di Firenze 471, l’al-
Begerus 1685, p. 106, tav. XLVIII.
Reinach 1895, p. 77, tav. 77, n. 84. Giustamente Reinach sospetta dell’antichità di questa pietra.
460
Reinach 1895, p. 78, tav. 78, n. 9.
461
Marlborough Gems 2009, p. 85, n. 134.
462
Marlborough Gems 2009, ibidem.
463
Weber 1992, p. 236, n. 361.
464
Rispettivamente, Agostini 1686, vol. II, p. 72, n. 17; Maffei 1707-1709, vol. IV, p. 48, n. XXXIII.
465
Su Sabbatini cfr. ad es. Micheli 2000, p. 545; Guerrieri Borsoi 2004, p. 168.
466
Bange 1922, p. 15, tav. 22, n. 107.
467
Pirzio Biroli Stefanelli 2007, tomo I, p. 66, n. 538.
468
Reinach 1895, p. 44, tav. 42, 871 (= Gori 1731-32, I, 871) = Furtwängler 1900, pp. 196-197, tav. XLI, n. 28.
L’Antiquario granducale Giovanni Battista Zannoni rileva (Zannoni 1824, vol. I, pp. 259-260, tav. 33, n. 3) che lo stile di questo
intaglio è veramente egregio e la pietra – una corniola – è così bella e pura che il Gori l’ha reputata un giacinto.
469
Tondo, Vanni 1990, p. 168, p. 192, n. 34.
470
Confronti puntuali, ad es., in Vollenweider 1966, pp. 34-35, 101, tav. 26, n. 3, n. 4 (= n. 7).
471
Gennaioli 2007, p. 406, n. 606.
458
459
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
tro in sardonice, del XVI secolo, al Museo Statale
dell’Ermitage 472.
Posto al centro – e quindi in una posizione preminente – del pettorale della parure Devonshire,
conservata a Chatsworth, è un grande intaglio, dato
al XVI secolo d.C., con un guerriero stante armato
che appoggia sulle spalle la spada, tiene una clessidra e ha un leone accucciato ai suoi piedi 473: il
soggetto enigmatico può esser un emblema personale che si riferisce al valore strategico della pazienza e della forza.
Al XVII secolo è datato un intaglio al British
Museum, con un satiro che afferra una ninfa, che
allunga il suo braccio verso un albero attorno a cui
è un serpente 474.
Un intaglio con i busti accollati di profilo di Ercole e Onfale (o Jole), ascritto a produzione italiana
e al XVI secolo, al Museo Statale dell’Ermitage (Tav.
XLIII f; Tav. LIII g) 475, il cui calco è presente nella
collezione del Tassie 476, rappresenta una variazione
di un intaglio noto. Infatti in questo pezzo sono aggiunte la clava e la pelle di leone sulla schiena di
Ercole, ma è assente l’iscrizione, rispetto a un intaglio in corniola, firmato KARPO, a Firenze, nella collezione granducale 477. Questo intaglio fiorentino era noto tramite paste vitree e calchi nelle più
famose collezioni, come quella di Stosch 478, di Lippert 479, di Tassie 480, di Cades, dei Paoletti 481; era anche riprodotto nei medaglioni in avorio 482; assai simile, ma senza la firma, una placchetta di bronzo
data al XVI secolo 483.
Un intaglio, giustamente considerato moderno,
a New York, The Metropolitan Museum of Art 484,
è inciso su entrambi i lati: da una parte il busto to-
107
gato di Alessandro Magno di profilo con le corna
di Zeus Ammone; dall’altra Apollo e Venere stanti
vicini, nudi; Apollo tiene la lira e si appoggia a un
tronco d’albero, mentre un altro albero gli è accanto; Venere sta accarezzando Amore al suo fianco.
Particolarmente interessante e complesso è il
caso di un intaglio con Mercurio con il caduceo in
mano e Fortuna con la cornucopia, stanti uno accanto all’altro nell’atto di stringersi la mano, datato al XVII secolo, al Museo Statale dell’Ermitage
(Tav. XLIII g; Tav. LIII h) 485. Il pezzo è pubblicato
dal Beger 486 che nel suo solito prolisso commento sottolinea che la dextrarum iunctio indica la concordia, il caduceo la pace e la cornucopia la felicità che da essa nascono; in base alle monete egli
riconosce Marco Aurelio e Faustina, simbolo della concordia maritale. La stessa raffigurazione, con
varianti – ad esempio è assente il timone di Fortuna, mentre la figura maschile è identificabile come
l’imperatore, laureato – è riprodotta sul retro di una
medaglia di bronzo firmata da Cristoforo di Geremia 487, orafo e medaglista, di Mantova, che svolse
la sua attività a Roma, dal 1456 alla morte, avvenuta prima del 22 febbraio 1476. Si presume sia stata
eseguita nel 1468 in occasione della visita a Roma
dell’imperatore Federico III, per commemorare la
pace della Chiesa (rappresentata dalla figura femminile), come testimoniano le scritte CONCORDIA
AVG. e PAX (?), racchiusa entro il caduceo; sul diritto il busto dell’imperatore diversamente identificato con Augusto o Costantino.
La figurazione in esame ha avuto una discreta
‘fortuna’. Infatti si ritrova anche sul rovescio di una
medaglia di papa Sisto IV attribuita a Andrea Gua-
Splendeurs 2000, p. 120, n. 120/27.
Scarisbrick 1986, pp. 243, 248, tav. XCIb, n. 26.
474
Dalton 1915, p. 105, tav. XXVI, n. 727.
475
Splendeurs 2000, p. 109, n. 94/1.
476
Raspe 1791, p. 784, n. 15342.
477
Pirzio Biroli Stefanelli 2007, tomo I, p. 73, n. 636. Però l’intaglio non figura in nessuna delle recenti pubblicazioni delle
collezioni fiorentine.
478
Winckelmann 1760, II, pp. 292-293, n. 1796 = Furtwängler 1896, p. 341, n. 9849.
479
Zwierlein-Diehl 1986, p. 287, tav. 150, n. 867.
480
Raspe 1791, p. 208, n. 6019.
481
Pirzio Biroli Stefanelli 2007, tomo I, p. 73, n. 636, ove riferimento anche alla collezione di calchi Cades.
482
Pirzio Biroli Stefanelli 1993, pp. 31-32, n. 7, fig. 38 (Pesaro, Museo Oliveriano), fig. 61 (già a Castle Howard).
483
Bange 1922, p. 17, tav. 22, n. 124.
484
Richter 1920, pp. 201-202, tav. 84, n. 431.
485
Splendeurs 2000, p. 75, n. 28/9.
486
Begerus 1685, pp. 86-87, tav. XXVII.
487
Hill 1930, p. 197, tav. 127, n. 755. Su Cristoforo di Geremia, ibidem, pp. 195-201.
472
473
108
GABRIELLA TASSINARI
cialoti o Guazzalotti (1435-1495) 488, che la riprende esattamente da Cristoforo di Geremia, dove la
figura allegorica femminile rappresenta la Chiesa,
come anche dichiarato dalla scritta ECCLESIA, così
come su una medaglia, realizzata da un anonimo
artista romano per Guillaume de Poitiers, ambasciatore francese presso papa Innocenzo VIII (1489),
dove l’Imperatore è sostituito da Mercurio nudo
con caduceo 489.
Derivano dal retro della medaglia di Cristoforo
di Geremia una serie di placchette di bronzo, che
ne differiscono per l’aggiunta di un tripode tra le
due figure e per la forma quadrangolare (forma che
insieme alla cornice modanata suggerisce dovessero ornare un calamaio o uno scrigno), diversamente definite come Augusto e l’Abbondanza, Augusto o un imperatore e la Concordia, allegoria della
Pace della Chiesa 490.
Leggermente diverso dall’intaglio dell’Ermitage
è l’esemplare testimoniato dai calchi Dehn-Dolce
(La Pace e l’Abbondanza; da un intaglio antico) 491
(Tav. XLIII h), Tassie (spiegato come l’Abbondanza
dà la mano a un imperatore romano in toga, che
tiene un caduceo) 492, Cades e Paoletti (La Pace e
l’Abbondanza) 493.
Documentati dai calchi nella collezione del Tassie sono un intaglio inciso su un lato con Nettuno stante nel suo carro tirato da due cavalli, e
dall’altro due mani unite con in mezzo un caduceo, due cornucopie e al di sotto l’iscrizione PAX
(Tav. XLIV a) 494; un intaglio con Venere e Adone (?)
stanti che si abbracciano (entrambi i pezzi appartenevano al barone von Gleichen) (Tav. XLIV b) 495; un
intaglio con una donna stante orante verso Artemide Efesia, senza attributi (Tav. XLIV c) 496.
Testimoniato solo dalla tavola di Jacob de Wil-
[RdA 34
de 497, prima nella sua collezione e ora disperso (?),
è un intaglio con Muzio Scevola in piedi, coronato
dalla Vittoria, una lancia in una mano pone l’altra
sul braciere ardente di fronte al re Porsenna, seduto
con scettro e una mano alzata (Tav. XLIV d).
Gruppo C
Anche questi intagli sono agevolmente riconoscibili come moderni. Infatti l’iconografia antica
è ripresa, ma a volte non pienamente compresa,
è stata alterata o un po’ deformata; sono presenti
particolari non documentati sugli analoghi esemplari antichi, la resa stilistica è di solito meno curata, sono aggiunte iscrizioni non chiare: indizi tutti, questi, che depongono appunto a favore della
modernità.
Comunque si tratta di formule figurative antiche e schemi iconografici di solito noti: Afrodite seduta su una roccia ed Eros che vola verso lei con
le braccia aperte, nel campo le lettere G.P.Ω.; Apollo; Hermes incedente con caduceo e un grande cerchio; Dioniso si appoggia al tirso; Serapide stante
con lo scettro; Ercole contro Anteo; Icaro vola sulle acque; Eroti seduti, stanti (in un caso che ruba
il miele, circondato da api) o correnti verso un’ara;
figure maschili e femminili che tengono un ramo,
un globo o un oggetto non ben definito; un vecchio
astronomo seduto con una sfera davanti a sé e un
compasso, che guarda il firmamento in cui la pirite rende il sole, la luna e le stelle.
Attestazioni
Ferrara, Museo Civico 498
Padova, Museo Archeologico 499
Roma, collezione Di Castro 500
Hill 1930, p. 195, tav. 127, n. 753. Per un esame di Guacialoti, ibidem, pp. 192-195.
Hill 1930, p. 224, tav. 139, n. 864.
490
Molinier 1886, pp. 59-60, n. 90; Bange 1922, p. 83, tav. 41, n. 611; Maclagan 1924, pp. 46-47, tav. XI, 7496-1881; Rossi 1974,
pp. 14-15, n. 20, fig. 24; Toderi, Vannel Toderi 1996, p. 58, n. 95, ove ulteriore bibliografia e esemplari.
491
Dehn, Dolce 1772, tomo I, K, p. 109, n. 70; cassetta K (10), zolfo n. 70.
492
Raspe 1791, p. 486, n. 8280.
493
Pirzio Biroli Stefanelli 2007, tomo I, pp. 74-75, n. 669.
494
Raspe 1791, p. 183, nn. 2577-2578.
495
Raspe 1791, p. 384, n. 6501. Citando un bel cammeo del barone von Gleichen, Winckelmann ricorda che era il Ciambellano
del sovrano danese (Winckelmann 1760, p. 139).
496
Raspe 1791, p. 153, n. 2077.
497
De Wilde 1703, p. 99, tav. 28, n. 105.
498
D’Agostini 1984, p. 30, n. 30 (II-III secolo d.C.).
499
Seidmann 1997, p. 152, n. 298 (XVI - prima metà del XVII secolo).
500
Pirzio Biroli Stefanelli 2009 (seconda metà del XVI secolo).
488
489
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
Verona, Civici Musei d’Arte 501 (Tav. XLIV e, f; Tav.
LIII i; Tav. LIV a)
Berna, Università, Antikensammlung 502
Budapest, Museo Nazionale Ungarico 503
Londra, British Museum 504
Madrid, Museo Archeologico Nazionale 505
Monaco, Staatliche Münzsammlung 506
Tours, Musée des Beaux-Arts 507
Ubicazione ignota, già collezione Arundel, poi Marlborough 508
Ubicazione ignota, già collezione Montigny, poi Southesk 509
Ubicazione ignota, già collezione Praun, poi StoryMaskelyne 510
Vienna, Kunsthistorisches Museum 511
Gruppo D
Più difficile è provare i sospetti di non antichità
di queste gemme, perché si attengono fedelmente
agli antichi modelli, nella tematica e nello stile, accurato. Per identificare i pezzi come non antichi e
attribuirli a questa produzione rimane per lo più,
come unico rilevante indizio, il lapislazzuli, con tutti i limiti già esplicitati.
Significativo esempio di come non sono sicuri i criteri per distinguere gemme antiche/non antiche sono tre intagli, a Copenaghen, a Verona e a
Monaco 512, con la cosiddetta Venus victrix, nel consueto schema iconografico: la dea stante seminuda, con le gambe avvolte in un mantello panneggiato, effigiata di spalle, con il gomito appoggiato
a una colonnina, tiene in una mano un elmo o un
109
ramo di palma, mentre con l’altra regge una lancia o un elmo, ai piedi della dea può esserci uno
scudo; nell’intaglio di Monaco due eroti ai fianchi
di Venere le offrono uno un elmo, l’altro una mela.
Gli intagli di Verona e Monaco sono incisi su due
lati; sul retro recano il primo un fascio di fulmini,
legato nel mezzo, il secondo l’iscrizione VENVS/
VIC/TRIX (Tav. XLIV g; Tav. LIV b).
Tenendo presente che il soggetto di Venere vincitrice è attestato e frequente da età cesariana per
tutta l’età imperiale ed ancora nel III secolo d.C., e
tutto quanto sopra osservato sull’associazione lapislazzuli – Venere – talismani d’amore, non è escluso che questi tre intagli, qui inseriti nella produzione, possano esser antichi 513.
Analogo è l’esempio costituito da un intaglio in
lapislazzuli, con Venere nuda stante di profilo, piegata a scherzare con Cupido in passo di danza vicino a lei (Tav. XLIV h). Il pezzo apparteneva alla
raccolta di Paolo II. Praun che, si è già specificato,
era formata da molte gemme non antiche. L’originale, disperso, è documentato da una pasta vitrea
del Lippert ora a Würzburg (Martin-von-WagnerMuseum der Universität) 514, da un calco nella collezione del Tassie 515 e forse è la gemma pubblicata,
senza indicazioni, da Lévesque de Gravelle, nella sua Recueil 516. La Zwierlein-Diehl data l’intaglio
al I secolo a.C. - I secolo d.C. 517, Reinach sospetta
dell’antichità della gemma edita da Lévesque de
Gravelle 518. A mio parere la fortuna nel mondo rinascimentale del soggetto di Venere con Cupido,
Tassinari 2009, p. 157, tav. XLIV, nn. 686-687 (XVI-XVII secolo).
Vollenweider 1984, pp. 274-275, n. 477 = Götter und Heroen 2003, pp. 70-71, n. 13 (D. Willers) (IV secolo d.C.).
503
Gesztelyi 2000, pp. 87, 168, n. 301 (XVI-XVII secolo).
504
Walters 1926, p. 157, tav. XIX, n. 1397, con iscrizione sul retro: ORCRAQOMCA NICAROPHS, p. 191, tav. XXIII, n. 1779,
con iscrizione AIEI/NEIKA (tra le gemme greco-romane) (= Veymiers 2009, p. 297, III. C19, tav. XV: età imperiale).
505
Casal García 1990, I, pp. 153-154, II, p. 53, n. 333 (II-III secolo d.C.); I, p. 206, II, p. 113, n. 142 (età moderna).
506
AGDS I, 3, p. 58, tav. 222, n. 2453 (tardo III secolo d.C.), p. 72, tav. 235, n. 2556 (I-II secolo d.C.); Weber 1992, p. 215, n. 303
(età tardoantica); Weber 2001, p. 184, n. 378 (prima metà del XVII secolo).
507
Collection Signol 1997, p. 16, n. 6 (età ellenistica o imperiale?).
508
Marlborough Gems 2009, p. 101, n. 171 (età rinascimentale).
509
Carnegie 1908, vol. I, pp. 42-43, tav. IV, C 23 (età antica).
510
Catalogue 1921, p. 27, tav. III, n. 176 (tra le gemme ellenistiche e greco-romane).
511
Zwierlein-Diehl 1991, p. 258, tav. 188, n. 2558, p. 267, tav. 194, n. 2599 (XVI - prima metà del XVII secolo; XVII secolo).
512
Rispettivamente Fossing 1929, p. 232, tav. XIX, n. 1724; Tassinari 2009, p. 157, tav. XLIV, n. 685; AGDS I, 3, p. 64, tav. 227,
n. 2491.
513
L’intaglio di Verona è stato pubblicato da Attilio Mastrocinque come antico, tra le gemme magiche: Sylloge 2007, p. 190, n. 13.
514
Zwierlein-Diehl 1986, p. 156, tav. 61, n. 334.
515
Raspe 1791, p. 373, n. 6334.
516
Reinach 1895, p. 75, tav. 75, n. 16.
517
Zwierlein-Diehl 1986, p. 156, n. 334; Zwierlein-Diehl 1994a, p. 378, n. 202.
518
Reinach 1895, p. 75, tav. 75, n. 16.
501
502
110
GABRIELLA TASSINARI
che ricorre ripetutamente e in scene diverse, caricandosi di valenze simboliche, nonché la presenza del lapislazzuli, induce ad ascrivere questo intaglio al XVI secolo.
Gli intagli di questo gruppo, dunque, si collocano perfettamente nell’ambito del repertorio figurativo ‘classico’, riprendendo accuratamente un modello, antico, ma anche quattro-cinquecentesco. Si
tratta di soggetti diffusi, di divinità rappresentate
con i loro attributi canonici, come Venere, Zeus seduto, Apollo citaredo stante o seduto, Poseidone
seduto, Mercurio seduto o incedente, Marte con le
armi o incoronato dalla Vittoria, Minerva armata
seduta o stante che in mano solleva una Nike o tiene una lancia o una coppa, Amore con arco e freccia, tauroctono o che brucia con una fiaccola le ali
di una farfalla, Leda e il cigno, le tre Grazie, guerrieri stanti con le armi, o più generiche figure stanti, talvolta con oggetti non chiari in mano.
A volte tradiscono l’innovazione (pur lieve) moderna alcuni particolari. È il caso, ad esempio, di
un intaglio di Vienna, datato al XVII-XVIII secolo 519, con Onfale incedente con la testa abbassata,
in parte coperta dalla pelle di leone, con gli attributi di Ercole, la pelle di leone e la clava, motivo
comunissimo sulle gemme, soprattutto nel I secolo
a.C. - I secolo d.C. 520.
L’esemplare riprodotto può esser assai noto,
come l’intaglio in corniola 521, ascritto con grandi
probabilità a Felix, incisore di età augustea, con
Mercurio stante nudo, in parte coperto da un pan-
[RdA 34
neggio, il viso di profilo, la destra alla bocca, nella sinistra abbassata il caduceo; perduto, già della
collezione Strozzi, era stato pubblicato dal Gori 522;
secondo Furtwängler 523 vi sono varie repliche su
gemme molto ‘sospette’. E tra queste si può annoverare un intaglio inedito, in lapislazzuli, della collezione Sloane, al British Museum 524.
Una composizione famosa, imitata e replicata
nel Rinascimento 525 è l’Apollo e Marsia, già della
collezione Medici, poi Farnese, ora al Museo Archeologico di Napoli, un intaglio in corniola datato
all’ultimo quarto del I secolo a.C. Una modificazione e probabilmente semplificazione si ha con l’iconografia di Marsia stante che suona i flauti davanti
ad Apollo con la lira, seduto su un tronco d’albero,
come si riscontra su un intaglio, in lapislazzuli, già
della collezione de Wilde 526 (Tav. XLV a).
Un ultimo indizio depone a favore della non antichità di alcuni di questi pezzi: essi presentano dimensioni maggiori degli analoghi antichi.
Attestazioni
Collezione privata 527
Firenze, Museo degli Argenti 528
Verona, Civici Musei d’Arte 529 (Tav. XLIV g; Tav.
XLV c, d; Tav. LIV b, d, e)
Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung 530
Copenaghen, Thorvaldsen Museum 531
Madrid, Museo Archeologico Nazionale 532
Madrid, Museo Nazionale del Prado, Tesoro del Delfino 533
Monaco, Staatliche Münzsammlung 534
Zwierlein-Diehl 1991, p. 268, tav. 195, n. 2604.
Per un esame di questo motivo, della sua diffusione nella glittica antica e del XVIII secolo, v. da ultimo Tassinari 2009a,
pp. 196-198, tav. LV, nn. 854-859.
521
Furtwängler 1900, p. 210, tav. XLIII, n. 71 (ove bibliografia precedente); Vollenweider 1966, p. 44, tav. 39, fig. 5.
522
Reinach 1895, p. 37, tav. 34, 702 (= Gori 1731-32, I, 702).
523
Furtwängler 1900, p. 210.
524
Inv. 1959, 0209.52; visione autoptica.
525
Per un esame della fortuna di questo famoso intaglio nelle gemme e nelle placchette del Rinascimento, rimandiamo solo a
Caglioti, Gasparotto 1997; Maaskant-Kleibrink 1997, pp. 238-241 (con particolare riferimento alle gemme dei Paesi Bassi).
526
De Wilde 1703, pp. 155-156, tav. 44, n. 164. Per un esame, Maaskant-Kleibrink 1997, pp. 240-241.
527
Wagner, Boardman 2003, p. 59, tav. 58, n. 415 (I secolo d.C.).
528
Casazza, Gennaioli 2005, p. 305, n. 184 = Gennaioli 2007, p. 388, n. 554 (prima metà del XVII secolo).
529
Tassinari 2009, p. 157, tav. XLIV, n. 684, n. 685, n. 688 (= Sena Chiesa 1996, p. 485, tav. IV, n. 10), n. 689 (XVI-XVII secolo).
L’intaglio n. 688 è pubblicato come antico in Sylloge 2007, p. 193, n. 24 [A. Mastrocinque].
530
Furtwängler 1896, p. 321, tav. 62, n. 8765 (già considerato antico, poi ricondotto alla produzione dei lapislazzuli).
531
Fossing 1929, p. 232, tav. XIX, n. 1724 (età tardoromana).
532
Casal García 1990, I, pp. 115-116, II, p. 33, n. 167 (I-II secolo d.C.).
533
Iñiguez 1989, pp. 64, 66, n. 27 (non datato).
534
AGDS I, 3, p. 57, tav. 221, n. 2445 (II secolo d.C.), p. 64, tav. 227, n. 2491 (II-III secolo d.C.); Weber 1992, p. 236, n. 361 (XVI
secolo); Weber 2001, pp. 162-163, n. 311, pp. 183-185, nn. 375, 379-380, p. 223, n. 516 (ultimo quarto del XVI - secondo quarto
del XVII secolo; intorno al 1700).
519
520
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
New York, The Metropolitan Museum of Art 535
San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage 536 (Tav.
XLV b; Tav. LIV c).
Ubicazione ignota, già collezione de Wilde 537 (Tav.
XLV a)
Ubicazione ignota, già collezione Pullini, Torino 538
Ubicazione ignota, già collezione Praun, poi MertensSchaaffhausen 539 (Tav. XLIV h)
Vienna, Kunsthistorisches Museum 540
Xanten, collezione privata 541
10.2. Le teste
Assai vasto è l’insieme di intagli costituito da
teste maschili e femminili, di profilo, collocabili
nell’ambito di una produzione ‘all’antica’, classificate come filosofi, poeti, sovrani/e, apostoli … La
serie è numerosissima, con altrettante numerosissime varianti, sia stilistiche, sia relative ai tratti somatici, la pettinatura, i baffi e la barba; le teste possono esser assai vicine al modello classico, tanto da
esser credute antiche, o discostarsene, più o meno
decisamente, trasformandolo, con un effetto complessivo sempre diverso.
Allo stato attuale degli studi questa serie non
risulta avere connotati ben definiti. Infatti in particolare per questo folto gruppo si rileva una mancanza di suddivisione.
Solo in parte è stata risolta 542 la questione antico/non antico che, nel caso degli intagli con le teste, è particolarmente delicata e complicata dalla
dipendenza e dall’imitazione del modello e dai cosidetti ritratti di ricostruzione: cioè tipi creati e diffusi in antico spesso difficilmente si distinguono da
riprese ‘moderne’, eseguite in base alla conoscenza
o all’ispirazione dei pezzi antichi. Così, per molte
gemme l’analisi stilistica non può fare chiarezza e
resta aperto o dubbio l’inquadramento cronologico.
Sembra ora necessario il tentativo di suddivi-
111
dere gli esemplari, raggruppare quelli simili, individuare vari insiemi omogenei, dal punto di vista
stilistico e iconografico (a volte i pezzi sono tanto
simili che sembrano davvero incisi ‘da una stessa
mano’), e definirne i caratteri. In questa fase della
ricerca spesso non si riesce a cogliere pienamente il
significato di analogie e differenze e si stenta a stabilire se esse possano o no esser ricondotte a eventuali diversi ateliers.
E infatti per quanto riguarda le officine produttrici di alcuni di questi intagli sembra lasciato
aperto il discorso. Le loro strette affinità inducono
a supporre che essi provengano dallo stesso atelier o
comunque da ateliers vicini 543. Ricordiamo che le teste radiate (filone 10, gruppo A) appartengono alla
produzione dei lapislazzuli e dovrebbero quindi venire dalle stesse officine. Giustamente la ZwierleinDiehl 544 rileva una somiglianza di stile tra le teste
radiate e le teste di filosofi (filone 12, gruppo A) e
anche alcune teste di sovrani con corona o con la
tenia (filone 11, gruppo B). La studiosa ritiene probabile vengano dalle stesse o simili officine.
Si porrebbe nella stessa ottica la Maaskant-Kleibrink 545 quando, accennando ai molti intagli raffiguranti teste in questa produzione dei lapislazzuli,
considera insieme le teste radiate (filone 10, gruppo
A) e quelle dei filosofi (filone 12, gruppo A).
Tuttavia, come precedentemente specificato, ancora più complesso che per le figure si rivela il tentativo di estrapolare dalla cospicua serie degli intagli con le teste quelli appartenenti alla produzione
in esame. Il solito criterio empirico – aver come
filo conduttore il lapislazzuli – è qui particolarmente limitante e condizionante, poiché numerosissime
sono le attestazioni in corniola.
Comunque, si è scelto di presentare alcuni insiemi più o meno ben definiti, che sembrano inquadrabili sicuramente nella produzione.
Richter 1920, pp. 190-191, tav. 81, n. 405 (età moderna).
Splendeurs 2000, p. 116, n. 111/18 (fine del XVI - inizi del XVII secolo).
537
De Wilde 1703, pp. 155-156, tav. 44, n. 164 = Maaskant-Kleibrink 1997, p. 239, fig. 11 (XVI-XVII secolo).
538
Micheli 1994, p. 117, pp. 173-174, n. 273 (considerato antico dal Pullini, moderno dalla Micheli).
539
Zwierlein-Diehl 1986, p. 156, tav. 61, n. 334; Zwierlein-Diehl 1994a, p. 378, n. 202 (I secolo a.C. - I secolo d.C.).
540
Zwierlein-Diehl 1991, p. 268, tav. 195, nn. 2603-2604 (XVII secolo; XVII-XVIII secolo).
541
Platz-Horster 1994, p. 224, tav. 71, n. 367 (XVII secolo [?]).
542
Per la discussione sulla collocazione cronologica di questi intagli, cfr. ad es. Sena Chiesa 1978, pp. 102-103; Tamma 1991, p.
79; Zwierlein-Diehl 1991, pp. 287-288.
543
La Weiss (Weiss 1996, pp. 165-166) giustamente ritiene vengano da officine simili alcuni degli intagli qui citati.
544
Zwierlein-Diehl 1991, pp. 248-249, 287-288; Zwierlein-Diehl 1993, p. 390.
545
Maaskant-Kleibrink 1997, p. 237.
535
536
GABRIELLA TASSINARI
112
Le classificazioni possono risultare a volte un
po’ fittizie: le analogie, gli scambi, le strette interdipendenze, la molteplicità di ‘varianti’, fanno sì
che i contorni di alcuni insiemi siano incerti e sfuggenti; e infatti l’assegnazione di un intaglio all’uno
o all’altro gruppo può anche incontrare difficoltà,
come già sottolineato per gli intagli con le figure.
Filone n. 10
È un filone cospicuo di intagli, con teste di profilo, con i lineamenti del viso più o meno semplificati e marcati, i capelli resi a trattini obliqui, mediante solchi paralleli più o meno profondi, e cinti
da una corona radiata.
Merita riproporre all’attenzione come le gemme con questo soggetto venivano spiegate dal Gronovius, un autore in un certo senso rappresentativo della cultura del tempo. Le interpretazioni sono
differenti, anche se gli intagli hanno tutti la stessa
raffigurazione: “Videtur Antiochi Evergetae, qui e
Sidetes, caput”; “Regum externorum vultus radiati IV radiis; ad quorum tamen alterum accedit Victorinus junior. An Orientis, vel providentiae typos
dicemus? Quales sunt in Tristan. I, 464 6 2, 162”;
“Caput Regis radiatum, altero oculo capti, certe obducti”.
Gruppo A
Questo è il gruppo più consistente e, nonostan-
[RdA 34
te le leggere molteplici varianti 546, il più omogeneo e standardizzato, come iconografia e come stile.
Le più numerose sono le teste radiate di profilo,
con i tratti del viso molto schematici e spesso marcati; il busto, quando presente, è nudo e talvolta è
reso con due-tre grossi incavi tondeggianti. Sono
spiegate come teste di reali o di Helios-Sole.
Più di rado la caratteristica testa radiata è impostata su un busto, con un panneggio segnato a
grosse pieghe; a volte i capelli, sempre resi a trattini obliqui paralleli, scendono sulla nuca.
Questi soggetti sono definiti giovani imperatori
o semplicemente armati.
Le pietre sono per lo più corniole e lapislazzuli,
seguite a distanza da agate e diaspri verdi.
Attestazioni
Bologna, Museo Civico Archeologico 547 (Tav. XLV i)
Ferrara, Museo Civico 548
Firenze, Museo degli Argenti 549
Torino, Museo Civico d’Arte Antica 550
Verona, Civici Musei d’Arte 551 (Tav. XLV e-h; Tav.
LIV f, g)
Bonn, Rheinisches Landesmuseum 552
Budapest, Museo Nazionale Ungarico 553
Colonia, Römisch-Germanisches Museum 554
Francoforte, Historisches Museum 555
Hyères, Musée 556
Londra, British Museum, collezione Sloane 557
Madrid, Museo Archeologico Nazionale 558
Monaco, Staatliche Münzsammlung 559
Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 560
A quanto mi è noto, l’unico intaglio che si distacca fortemente (e che perciò si è preferito non inserire nelle attestazioni)
è costituito da una corniola, non datata, con una testa di profilo, talmente schematica e stilizzata che la corona (?) e la barba
sono rese a tratti: Del Bufalo 2009, p. 18, n. 47/27g (Roma, collezione Santarelli).
547
Mandrioli Bizzarri 1987, p. 124, nn. 252-253, p. 155, n. 312 (III-IV secolo d.C.; età antica?).
548
D’Agostini 1984, p. 40, n. 59 (III-IV secolo d.C.).
549
Gennaioli 2007, p. 377, n. 520, p. 446, n. 716, p. 453, n. 741, p. 501, n. 881 (XVII secolo).
550
Bollati, Messina 2009, pp. 201-202, n. 153 (XVII?-XIX secolo).
551
Tassinari 2009, p. 157, tav. XLIV, nn. 690-691, tav. XLV, nn. 692-694 (XVI-XVII secolo).
552
Platz-Horster 1984, p. 119, tav. 32, n. 133 (non antico? IV secolo d.C.?).
553
Gesztelyi 2000, pp. 92, 175, n. 335 (XVI-XVII secolo).
554
Krug 1981, p. 170, tav. 136, n. 4, tav. 137, n. 6 (non antico).
555
Förschner 1984, p. 44, nn. 17-19 (XIX secolo).
556
Guiraud 1988, p. 92, tav. IV, n. 53 (III secolo d.C.).
557
Inv. SL.A 31, inv. SL.A 47, inv. SL.A 60, inv. SL.A 61, inv. SL.A 77, inv. SL.A 85, inv. SL.A 86, inv. SL.A 156, inv. SL.A 158,
inv. SL.A 173, inv. SL.A 180; inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo).
558
Casal García 1990, I, pp. 195-197, II, pp. 87-92, nn. 1-33 (età moderna).
559
Weber 1992, p. 228, n. 343 (la datazione al II-III secolo d.C. è stata corretta dalla Weber (Weber 2001, p. 185, n. 384) al XVII
secolo; Weber 2001, pp. 185, 187-189, nn. 384, 390-391, 394-398 (secondo quarto - metà del XVII secolo).
560
Maaskant-Kleibrink 1986, pp. 88-89, nn. 175, 176 (XVI-XVII secolo). Cfr. ibidem, p. xii, fig. 6, una di queste teste radiate pubblicate da Gronovius.
546
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
Norimberga, Germanisches Nationalmuseum 561
Poitiers, Musée Sainte-Croix 562
Rennes, Musée des Beaux-Arts 563
San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage 564
Tours, Musée des Beaux-Arts 565
Ubicazione ignota 566
Vienna, Kunsthistorisches Museum, da Carnuntum 567
Vienna, Kunsthistorisches Museum 568
Gruppo B
In alcuni intagli le fattezze dei visi sono più
‘umane’, assomigliando così a vere teste di reali; di rado sono impostate su un busto panneggiato.
Da notare che cambia anche la percentuale delle
pietre e sono assenti i lapislazzuli: sono agate, corniole, un’ametista e – caso assai raro – un nicolo.
Attestazioni
Udine, Civici Musei 569 (Tav. XLVI a)
Alessandria, Museo 570
Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung 571
Berna, Università, Antikensammlung 572
Bonn, Rheinisches Landesmuseum 573
Cambridge, Fitzwilliam Museum 574 (Tav. XLVI b)
Francoforte, Historisches Museum 575
Monaco, Staatliche Münzsammlung 576
Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 577
Parigi, Museo del Louvre 578
Ubicazione ignota, trovato a Chersoneso 579
113
Filone n. 11
L’insieme più numeroso è costituito dalle teste
cinte da una corona di lauro o da lunghe tenie o
da nastri.
Gruppo A
Le più vicine alle teste radiate sono le teste con
i capelli resi a fitte striature parallele, talvolta disposte a spina di pesce sulla calotta cranica, raccolti
con lunghe tenie o nastri; ciocche ondulate possono circondare il viso, sempre sbarbato. I tratti fisionomici, maschili e femminili, di rado sono regolari,
quasi sempre disorganici e schematici, a volte sommari, col naso molto pronunciato e grandi labbroni; il busto può essere tagliato, accennato o terminare con due-tre strane protuberanze; è nudo, solo
in due casi è indicato il panneggio a grossi e sommari segmenti.
Nell’ambito di una relativa varietà, alcune teste
sono molto simili e quasi uguali.
Prevale nettamente la corniola; le altre pietre
sono: lapislazzuli, agate zonate, diaspri, eliotropi,
sardonici.
Attestazioni
Bologna, Museo Civico Archeologico 580
Cambridge, Fitzwilliam Museum 581 (Tav. XLVI c)
Colonia, Römisch-Germanisches Museum 582
Weiss 1996, p. 165, n. 471 (XVI - prima metà del XVII secolo).
Guiraud 1988, p. 92, tav. IV, n. 54 (III secolo d.C. [?]).
563
Robien 1972, pp. 24-25, n. 24 (III-IV secolo d.C.).
564
Inediti, citati in Weber 2001, p. 185, n. 384.
565
Collection Signol 1997, p. 22, n. 31 (epoca imperiale?).
566
Gronovius 1695, p. 24, n. 214, p. 27, nn. 236, 237, p. 30, n. 275 (XVI-XVII secolo).
567
Dembski 2005, p. 123, tav. 70, n. 699 (III secolo d.C.).
568
Zwierlein-Diehl 1991, pp. 248-249, tav. 178, n. 2540/17, tav. 179, n. 2540/25; Zwierlein-Diehl 1991, p. 390, fig. 26 (XVI - prima metà del XVII secolo).
569
Inv. n. 755, inv. n. 833, inv. n. 1024; inediti; visione autoptica (XVI-XVII secolo).
570
Boussac, Starakis-Roscam 1983, p. 492, n. 102, fig. 101 (IV secolo d.C. o moderno?).
571
Furtwängler 1900, p. 309, tav. LXVII, n. 31 (XVI-XVII secolo).
572
Götter und Heroen 2003, pp. 182-183, n. 640.23 (M. Müller) (II-III secolo d.C., antico?).
573
Platz-Horster 1984, p. 120, tav. 33, n. 134 (non antico? IV secolo d.C.?).
574
Henig, Scarisbrick, Whiting 1994, p. 318, n. 665 (1600 circa?).
575
Förschner 1984, p. 55, n. 80 (XIX secolo).
576
Weber 2001, p. 210, n. 457 (secondo terzo - metà del XVII secolo).
577
Maaskant-Kleibrink 1986, p. 88, n. 177, p. 93, n. 191 (XVI-XVII secolo).
578
Alcouffe 2001, pp. 398-399, n. 191 (pietra e montatura verso 1640).
579
Kibaltchitch 1910, p. 44, tav. VI, n. 190 (età greco-romana).
580
Mandrioli Bizzarri 1987, p. 126, n. 257 (III-IV secolo d.C.).
581
Henig, Scarisbrick, Whiting 1994, p. 287, n. 598 (XVI-XVII secolo).
582
Krug 1981, p. 170, tav. 136, n. 1 (non antico).
561
562
GABRIELLA TASSINARI
114
Debrecen, Déri Múzeum 583
Madrid, Museo Archeologico Nazionale 584
Praga, Museo di letteratura ceca 585
Siviglia, collezione privata 586
Ubicazione ignota, da Olbia 587
Gruppo B
Questo insieme è analogo al precedente ma le
fattezze sono meno stilizzate, più umane, a volte
ben delineate, con un effetto finale di buona qualità. Il gruppo è estremamente variato ed eterogeneo. Il volto, maschile, sempre privo di barba, può
presentar lineamenti classici, più o meno dettagliati, o stilizzati e grossolani, con profilo schematico e
grandi labbroni. I capelli, cinti da una corona d’alloro o da tenia che termina con nastri talvolta svolazzanti, sono indicati mediante le solite striature
parallele (ma a volte sono molto più regolari e lisci) e talora sono lunghi e ricadenti a ciocche sul
collo. Il busto è tagliato sotto il collo e non finisce
mai con quelle particolari protuberanze del gruppo precedente.
Vengono identificate come teste di Cesare, di un
imperatore romano, di Zeus, di Mercurio, di Apollo.
[RdA 34
Le corniole sono prevalenti; seguono le agate zonate, i diaspri verdi e rossi, i lapislazzuli, gli eliotropi, le ametiste, i plasmi.
Attestazioni
Bari, Museo Archeologico 588
Bologna, Museo Civico Archeologico 589
Firenze, Museo degli Argenti 590
La Spezia, Museo Civico 591
Modena, Musei Civici 592 (Tav. XLVI g)
Roma, collezione privata 593
Trieste, Civici Musei di Storia ed Arte 594
Udine, Civici Musei 595 (Tav. XLVI e, h-i)
Verona, Civici Musei d’Arte 596 (Tav. XLVI f )
Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung 597
Budapest, Museo Nazionale Ungarico 598
Cambridge, Fitzwilliam Museum, collezione Lewis 599
Cambridge, Fitzwilliam Museum, collezione Wellcome 600
Francoforte, Historisches Museum 601
Le Fief-Sauvin, La Ségourie, collezione privata 602
Londra, British Museum, collezione Sloane 603
Londra, collezione Phillips Ltd, già collezione Harari 604
Madrid, Museo Archeologico Nazionale 605
Monaco, Staatliche Münzsammlung 606
Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 607
Norimberga, Germanisches Nationalmuseum 608
Gesztelyi 1987, pp. 173-174, n. 102 (non antico).
Casal García 1990, I, pp. 197-201, II, pp. 92-93, 97-101, nn. 34, 40, 60-85 (età moderna).
585
Orlinski-Raidl 2000-2001, pp. 96-97, figg. 1/1, 1/7 (II secolo d.C.).
586
Lopez De La Orden 1990, p. 137, tav. X, n. 95 (fine I secolo a.C. - 30 d.C.).
587
Kibaltchitch 1910, p. 43, tav. VI, nn. 175, 177 (non datati).
588
Tamma 1991, pp. 84-85, n. 123 (età antica?).
589
Mandrioli Bizzarri 1987, p. 125, n. 255 (II-III secolo d.C.).
590
Gennaioli 2007, p. 453, nn. 738-739 (XVII secolo).
591
Sena Chiesa 1978, pp. 108-109, tav. XVI, n. 111 (fine I secolo a.C. - inizi I secolo d.C.). Per una datazione non antica di questo intaglio e dei nn. 91, 100-102, 107-108, 110, 112-116 (v. oltre), cfr. Henig 1979, p. 218.
592
Casarosa Guadagni 1993, pp. 107-108, n. 34 (I-II secolo d.C.).
593
Inedito, visione autoptica (XVI-XVII secolo).
594
Ciliberto 2008-2009, p. 132, fig. 2 (non datato).
595
Inv. n. 83, inv. n. 688, inv. n. 692, inv. n. 717, inv. n. 718, inv. n. 806, inv. n. 834, inv. n. 856, inv. n. 897, inv. n. 946, inv. n.
985, inv. n. 1038, inv. n. 1044, inv. n. 1109, inv. n. 1115; inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo).
596
Tassinari 2009, p. 157, tav. XLV, n. 696 (XVI-XVII secolo).
597
Furtwängler 1896, p. 322, tav. 62, n. 8795 (già considerato antico, poi ricondotto alla produzione dei lapislazzuli).
598
Gesztelyi 2000, pp. 92, 174, nn. 330, 334 (XVI-XVIII secolo).
599
Henig 1975, p. 79, tav. 22, n. 370 (età moderna).
600
Nicholls 1983, pp. 44-45, n. 201 (XVI-XVIII secolo).
601
Förschner 1984, p. 44, n. 16 (non datato).
602
Guiraud 1988, p. 91, n. 42, fig. 5 (I secolo a.C.).
603
Inv. SL.A 152; inedito, visione autoptica (XVI-XVII secolo).
604
Boardman, Scarisbrick 1977, pp. 65-66, n. 151 (XVI secolo).
605
Casal García 1990, I, pp. 197-199, II, pp. 93-96, nn. 36-39, 41-57 (età moderna).
606
Weber 1992, p. 217, nn. 308-310 (II-III secolo d.C.); Weber 2001, p. 186, n. 387 (secondo terzo del XVII secolo).
607
Maaskant-Kleibrink 1986, pp. 87-89, nn. 172-174, 178 (XVI-XVII secolo).
608
Weiss 1996, p. 166, tav. 64, n. 473 (XVI - prima metà del XVII secolo).
583
584
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
Ouveillan, collezione privata 609
Parigi, Museo del Louvre 610
Saint-Denis, tesoro 611
Tours, Musée des Beaux-Arts 612
Ubicazione ignota, già collezione Vimercati Sozzi,
Bergamo 613 (Tav. XLVI d)
Ubicazione ignota, trovati a Panticapeo (Kertsch) e a
Olbia, Ponto Eusino 614
Xanten, collezione privata 615
Xanten, Regionalmuseum 616
Gruppo C
Questi intagli hanno le stesse caratteristiche
del gruppo precedente, ma sono anche, sebbene
di rado, femminili e soprattutto presentano una
porzione più o meno ampia del busto, nudo, più
spesso armato o con mantello drappeggiato, oppure indicato in modo sommario a grossi segmenti
orizzontali e/o arrotondati: essi richiamano ritratti
imperiali o di principi.
Vengono definiti come busti di Apollo, di armati, di Cesare, di uno dei dodici Cesari, di un imperatore romano.
Le pietre sono varie: corniole, agate, lapislazzuli, eliotropi.
115
Attestazioni
Aquileia, Museo Nazionale 617
Firenze, Museo degli Argenti 618 (Tav. XLVII a)
Modena, Musei Civici 619 (Tav. XLVII f )
Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria 620 (Tav. XLVII e)
Roma, collezione Santarelli 621
Udine, Civici Musei 622 (Tav. XLVII b-d)
Francoforte, Historisches Museum 623
Londra, British Museum 624
Madrid, Museo Archeologico Nazionale 625
Monaco, Staatliche Münzsammlung 626
Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 627
Parigi, Museo del Louvre 628
Tours, Musée des Beaux-Arts 629
Ubicazione ignota 630
Vienna, Kunsthistorisches Museum 631
Xanten, collezione privata 632
Gruppo D
Nonostante le varianti, questo gruppo è così
standardizzato e omogeneo che si può pensare ad
un’unica officina. Perciò non si sono operate distinzioni, come invece in altri gruppi.
Si tratta di teste maschili e femminili di profilo, con barba o senza, il naso pronunciato, le lab-
Guiraud 1988, p. 143, tav. XXXIII, n. 481 (-50 a.C. / +50 d.C.).
Alcouffe 2001, pp. 184-186, n. 63, pp. 398-399, n. 191 (XVI secolo; pietra e montatura verso 1640).
611
De Montesquiou-Fezensac, Gaborit-Chopin 1975, p. 154, n. 29, p. 162, fig. 54 (non datato).
612
Collection Signol 1997, p. 15, n. 4 (epoca imperiale o imitazione moderna?).
613
Tassinari c.s. a, n. 383 (XVI-XVII secolo).
614
Kibaltchitch 1910, p. 43, tav. VI, nn. 183, 185 (non datati).
615
Platz-Horster 1994, p. 230, tav. 74, n. 386 (XVI secolo?).
616
Platz-Horster 1987, p. 41, tav. 14, n. 73 (prima metà del I secolo d.C.). Per una più corretta datazione al XVI-XVII secolo,
v. nota 110.
617
Sena Chiesa 1966, p. 323, tav. XLVII, n. 928b (III o IV secolo d.C.).
618
Gennaioli 2007, p. 449, n. 723, p. 467, n. 789 (XVII secolo; fine del XVII - inizio del XVIII secolo?).
619
Casarosa Guadagni 1993, pp. 108-109, n. 39 (XVIII-XIX secolo).
620
Vitellozzi 2010, p. 487, n. 596 (XIX secolo d.C.).
621
Del Bufalo 2009, p. 32, n. 47/104g (non datato).
622
Inv. n. 683, inv. n. 684, inv. n. 685, inv. n. 707, inv. n. 763, inv. n. 768, inv. n. 769, inv. n. 799, inv. n. 1046, inv. n. 1050, inv.
n. 1065; inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo).
623
Förschner 1984, p. 44, n. 21 (non datato).
624
Henig 1978, p. 247, tav. XV, n. 481 (già datato al I secolo a.C. o più tardi). Per la correzione della datazione v. nota 111.
625
Casal García 1990, I, p. 199, II, p. 96, nn. 58-59 (età moderna).
626
Weber 2001, pp. 185-186, 209, nn. 381-383, 385, 453 (secondo terzo - seconda metà del XVII secolo).
627
Maaskant-Kleibrink 1986, pp. 93-94, n. 194 (XVIII secolo?).
628
Alcouffe 2001, pp. 421-422, n. 203, primo a sinistra in basso (pietra e montatura verso 1655-1660).
629
Collection Signol 1997, p. 69, n. 197 (età moderna).
630
Gronovius 1695, p. 53, n. 607 (XVI-XVII secolo).
631
Zwierlein-Diehl 1991, pp. 248-249, tav. 178, n. 2540/23, tav. 179, n. 2540/28 (XVI - prima metà del XVII secolo).
632
Platz-Horster 1994, pp. 229-230, tav. 74, n. 383 (XVIII secolo).
609
610
GABRIELLA TASSINARI
116
bra sproporzionate, espresse con grosse linee, il collo robusto, che prosegue nell’accenno del busto, a
volte panneggiato; i capelli resi a solchi paralleli,
spessi o radi, possono esser cinti da una tenia, terminare in una crocchia in alto, in una coda o in
una treccia sulla nuca; a volte la testa è coperta da
un elmo, spesso con lungo lophos; di rado c’è una
spada nel campo.
La pietra è la corniola.
Attestazioni
Bari, Museo Archeologico 633 (Tav. XLVII g)
La Spezia, Museo Civico 634
Udine, Civici Musei 635 (Tav. XLVII h)
Bucarest, Gabinetto Numismatico dell’Accademia
Rumena 636
Londra, Freud-Museum, collezione Freud 637
Ubicazione ignota, da Olbia 638
Gruppo E
Le teste di questo gruppo, sempre maschili e di
rado con la barba, hanno i capelli resi a striature
parallele, cinti sia da una corona radiata stilizzata
sia da una tenia con le estremità svolazzanti. I lineamenti sono piuttosto regolari o stilizzati e sommariamente trattati; il busto è tagliato sotto il collo, più di rado panneggiato.
Le pietre sono la corniola (prevalente), l’agata,
l’onice e il diaspro.
Attestazioni
Firenze, Biblioteca Marucelliana 639
Modena, Musei Civici 640 (Tav. XLVII i)
Udine, Civici Musei 641
Autun, Musée Rolin 642
Bucarest, Gabinetto Numismatico dell’Accademia
Ru­mena 643
[RdA 34
Monaco, Staatliche Münzsammlung 644
Xanten, collezione privata 645
Filone n. 12
Questo insieme risulta numeroso e piuttosto caratterizzato, dal punto di vista iconografico e stilistico, per la peculiare resa della pettinatura e dei
lineamenti fisionomici. Le variazioni dallo schema
compositivo e stilistico sono molteplici, ma circoscritte entro margini tali da poter riunire gli intagli in un solo filone.
Gruppo A
Le teste, sempre maschili, generalmente hanno
il profilo a tratti marcati, il naso evidenziato, le labbra più o meno pronunciate; i capelli, spesso cinti da una corona d’alloro, un diadema, una benda
o una tenia, con nastri pendenti o fluttuanti, sono
espressi con sottili linee parallele (assai di rado anche concentriche), lisci sulla calotta cranica e a ciocche, piatte o rilevate, dalle tempie alla nuca; oppure
la testa è quasi calva, con pochi capelli resi mediante file di segmenti, formanti una corona dalle tempie alla nuca; la barba e i baffi (spesso presenti)
sono resi a fitti trattini paralleli, o la barba è folta, di
solito costituita da due o più ordini di ricci, talvolta termina con uno strano pizzetto o con una ciocca scomposta; il busto è tagliato alla fine del collo
o è accennato o ne è data un’ampia porzione, dove
spesso è indicato il panneggio della veste o il mantello, a volte reso con un ampio sinus.
Gli intagli di questo insieme sono interpretati
come teste di filosofi (a volte con una ulteriore specificazione di ‘Socrate’ poiché lo si considera un
Tamma 1991, pp. 85-90, nn. 125-140, 142-156 (età antica?).
Formentini 1975, p. 71 (età romana).
635
Inv. n. 789, inv. n. 954, inv. n. 1083, inv. n. 1087, inv. n. 1105, inv. n. 1116, inv. n. 1118; inediti, visione autoptica (XVI-XVII
secolo).
636
Gramatopol 1974, p. 72, tav. XXI, n. 430 (età antica).
637
Weiss 2011, pp. 80-81, figg. 12-13, p. 112, nn. 42-43 (XVI-XVIII secolo)
638
Kibaltchitch 1910, p. 43, tav. VI, n. 179 (non datato).
639
Gori ectypa, tav. VI, n. 46 (impronta di ceralacca inedita; visione autoptica) (XVI-XVII secolo).
640
Casarosa Guadagni 1993, p. 108, n. 37 (XVIII secolo).
641
Anceschi 2006, pp. 119-120, figg. 14-15 (XVII-XVIII secolo?); inv. n. 808, inv. n. 1092; inediti, visione autoptica (XVI-XVII
secolo).
642
Guiraud 1988, p. 144, tav. XXXIII, n. 490 (età antica?).
643
Gramatopol 1974, p. 71, tav. XX, nn. 415-416 (età antica). V. anche Krug 1976, p. 483.
644
Weber 2001, p. 216, nn. 486-487 (tardo XVII secolo).
645
Platz-Horster 1994, p. 232, tav. 76, n. 391 (XVII-XVIII secolo?).
633
634
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
tipo ispirato ai ritratti del filosofo), di apostoli (in
particolare Pietro e Paolo), in rarissimi casi come
imperatori, re o Zeus.
La pietra impiegata risulta in prevalenza assoluta la corniola; rari sono l’agata zonata, il diaspro,
l’eliotropio.
Attestazioni
Adria, Museo Nazionale 646
Aquileia, Museo Nazionale 647
Bari, Museo Archeologico 648
Bologna, Museo Civico Archeologico 649
Como, Museo Civico Archeologico “Giovio” 650 (Tav.
XLVIII c)
Firenze, Biblioteca Marucelliana 651
La Spezia, Museo Civico 652
Milano, basilica di Sant’Ambrogio, Altare d’oro 653
Modena, Musei Civici 654 (Tav. XLVIII d)
Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria 655 (Tav. XLVIII f, g)
Roma, collezione Santarelli 656
117
Roma, collezione privata 657
Roma, Museo Nazionale Romano 658
Torino, Museo Civico d’Arte Antica 659
Udine, Civici Musei 660 (Tav. XLVIII e, h)
Venezia, Museo Archeologico Nazionale 661
Verona, Civici Musei d’Arte 662 (Tav. XLVIII a, b)
Bucarest, Gabinetto Numismatico dell’Accademia
Rumena 663
Cambridge, Fitzwilliam Museum 664 (Tav. XLVIII i;
Tav. XLIX a-b)
Collezione privata 665
Colonia, Duomo, Altare dei tre re magi 666
Colonia, Römisch-Germanisches Museum 667
Exeter, Royal Albert Memorial Museum 668
Londra, British Museum, collezione Sloane 669
Londra, mercato antiquario 670
Lubiana, Museo Nazionale di Slovenia 671
Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 672
Norimberga, Germanisches Nationalmuseum 673
Saarbrücken 674
Spalato, Museo Archeologico 675
Tarragona, Museo Nazionale Archelogico 676
Tours, Musée des Beaux-Arts 677
Inv. 21185. Inedito, cit. in Weiss 1996, p. 166, n. 472.
Inv. 47878. Inedito, cit. in Sena Chiesa 1978, p. 103.
648
Tamma 1991, pp. 78-82, 99-101, nn. 101-103, 105-114 (età antica?), nn. 198, 200-201, 203 (età moderna).
649
Mandrioli Bizzarri 1987, p. 66, nn. 71-72 (seconda metà e fine del I secolo a.C.), p. 168, n. 345 (età moderna).
650
Tassinari 2010b, pp. 171-173, fig. 15; D3075 (inedito, visione autoptica) (XVI-XVII secolo).
651
Gori ectypa, tav. XV (impronte di ceralacca inedite; visione autoptica) (XVI-XVII secolo).
652
Sena Chiesa 1978, p. 96, tav. XIV, n. 91 (II secolo d.C.), pp. 101-103, tav. XV, nn. 100-102 (metà e seconda metà del I secolo a.C.).
653
Gagetti 2002, pp. 78-79, 83, nn. 7, 11; Gagetti 2002b, pp. 29-30, figg. 4-5, nn. 9, 13 (XVII - prima parte del XIX secolo).
654
Casarosa Guadagni 1993, p. 107, n. 31 (I secolo a.C.).
655
Vitellozzi 2010, pp. 482-483, nn. 588-589 (XVI-XVII secolo d.C.).
656
Del Bufalo 2009, p. 33, n. 47/26g (non datato).
657
Inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo).
658
Inv. 126316. Inedito, cit. in Sena Chiesa 1978, p. 103.
659
Bollati, Messina 2009, pp. 209-211, nn. 168, 171, pp. 227-228, n. 203 (XVIII-XIX secolo).
660
Anceschi 2006, pp. 120-121, fig. 16. Inv. n. 720, inv. n. 756, inv. n. 767, inv. n. 798, inv. n. 812, inv. n. 944, inv. n. 1017, inv.
n. 1078, inv. n. 1081, inv. n. 1088; inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo).
661
De Paoli 2003 (XVIII secolo?).
662
Tassinari 2009, p. 157, tav. XLV, nn. 699-700 (XVI-XVII secolo).
663
Gramatopol 1974, p. 71, tav. XX, nn. 409, 413 (età antica).
664
Henig, Scarisbrick, Whiting 1994, p. 286, n. 597, pp. 297-298, n. 626 (XVII-XVIII secolo).
665
Martin, Höhne 2005, pp. 89-90, n. 139 (XVIII-XIX secolo).
666
Zwierlein-Diehl 1998, pp. 381-382, nn. 294-295 (XVI - prima metà del XVII secolo).
667
Krug 1981, p. 170, tav. 136, n. 2 (non antico).
668
Hoey Middleton 1998, p. 104, n. 84 (XVI-XVIII secolo?).
669
Inv. SL.A 153, inv. SL.A 154, inv. SL.A 159, inv. SL.A 175, inv. SL.A 176; inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo).
670
Inediti; visione autoptica (XVI-XVII secolo).
671
Nestorovič 2005, pp. 37-38, tavv. 8, 15, n. 82 (probabilmente XVI-XVII secolo).
672
Maaskant-Kleibrink 1986, pp. 94-96, nn. 198, 203 (XVI-XVIII secolo).
673
Weiss 1996, pp. 165-166, tav. 64, n. 472 (XVI - prima metà del XVII secolo).
674
Henkel 1913, p. 125, n. 1360, tav. LXXVI, n. 222, tav. LII, n. 1360a (non datato).
675
Antički Portret 1987, p. 189, n. 130 (II secolo d.C.).
676
Recoma I Vallhorat 1982, pp. 38-39, n. 9 (II-III secolo d.C.).
677
Collection Signol 1997, p. 16, n. 5, p. 63, n. 175 (epoca imperiale o imitazione moderna?).
646
647
GABRIELLA TASSINARI
118
Ubicazione ignota, già collezione Vimercati Sozzi,
Bergamo 678
Ubicazione ignota 679
Ubicazione ignota 680
Ubicazione ignota, acquistato a Kichinev 681
Valencia, Università 682
Vienna, Kunsthistorisches Museum 683
Xanten, collezione privata 684
Zagabria, Museo Archeologico 685
Gruppo B
Questo gruppo è variato. Si tratta di teste con
capelli, spesso cinti da tenia e in un caso raccolti in
un ciuffo sulla sommità del capo, a linee parallele
sulla nuca, di solito lunghi e fluenti, talvolta scompigliati, così come la barba. Quando il modellato è
più regolare questi intagli sono assai vicini ai busti ‘classicistici’ (filone 13).
Le teste di questo gruppo non sono identificate o ipoteticamente considerate come Omero, Giove, apostolo, barbaro.
Le pietre sono corniole, agate e lapislazzuli.
Attestazioni
Verona, Civici Musei d’Arte 686 (Tav. XLIX c)
Cambridge, Fitzwilliam Museum 687 (Tav. XLIX d)
Colonia, Duomo, Altare dei tre re magi 688
[RdA 34
Colonia, Römisch-Germanisches Museum 689
Karlsruhe, Badisches Landesmuseum 690
Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 691
Tours, Musée des Beaux-Arts 692
Zagabria, Museo Archeologico 693
Gruppo C
Alcune teste per lo più giovanili – maschili e
femminili – presentano la tipica pettinatura a sottili linee parallele cinta da una tenia e il profilo più
o meno schematico, ma non la barba che invece figura sempre nei gruppi precedenti.
Gli intagli non sono assolutamente uniformi: variano i lineamenti, i capelli, talvolta lunghi, e il busto, nudo, in qualche caso panneggiato.
Le pietre sono corniole, agate e diaspri.
Attestazioni
Bari, Museo Archeologico 694
Como, Museo Civico Archeologico “Giovio” 695 (Tav.
XLIX e; Tav. L c)
La Spezia, Museo Civico 696
Udine, Civici Musei 697 (Tav. L a, d, e)
Verona, Civici Musei d’Arte 698 (Tav. L b)
Bonn, Rheinisches Landesmuseum 699
Budapest, Museo Nazionale Ungarico 700
Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 701
Tours, Musée des Beaux-Arts 702
Tassinari c.s.a, nn. 371, 381-382 (XVI-XVII secolo).
Sternberg 1988, p. 110, tav. XXXVIII, n. 772 (primi del XVIII secolo).
680
Camées-Scarabées 1926, p. 22, tav. IX, n. 303, p. 23, tav. X, n. 325 (XVIII secolo).
681
Kibaltchitch 1910, p. 47, tav. VII, n. 235 (non datato).
682
Alfaro Giner 1996, pp. 44-45, tav. II, n. 8 (I secolo a.C.?).
683
Zwierlein-Diehl 1991, pp. 287-288, tav. 208, nn. 2694-2695 (= Zwierlein-Diehl 1991, pp. 390-391, figg. 27-28) (XVI - prima
metà del XVII secolo).
684
Platz-Horster 1994, pp. 231-232, tav. 75, n. 389 (XVI - prima metà del XVII secolo).
685
Antički Portret 1987, p. 190, n. 131; Arte e cultura 1993, p. 167, n. 240 (A. Rendić -Miočević ) (II secolo d.C.).
686
Tassinari 2009, p. 157, tav. XLV, n. 697 (XVI-XVII secolo).
687
Henig, Scarisbrick, Whiting 1994, p. 317, n. 661 (XVIII secolo).
688
Zwierlein-Diehl 1998, p. 383, n. 296 (XVIII secolo).
689
Krug 1981, p. 209, tav. 94, n. 189 (I secolo d.C.).
690
Antike Gemmen 1968, pp. 77-78, n. 4, fig. 7 (età antica).
691
Maaskant-Kleibrink 1986, p. 94, nn. 196-197 (XVII-XVIII secolo?; XVI o XVIII secolo?).
692
Collection Signol 1997, p. 63, n. 174 (non datato).
693
Arte e cultura 1993, p. 161, n. 216 (D. Nemeth-Ejrlich) (I secolo d.C.).
694
Tamma 1991, p. 84, nn. 121-122 (età antica?).
695
Tassinari 2010b, pp. 171-173, fig. 13, fig. 14 (XVI-XVII secolo).
696
Sena Chiesa 1978, pp. 109-110, tav. XVI, n. 113 (fine del I secolo a.C.).
697
Inv. n. 864, inv. n. 879, inv. n. 1036, inv. n. 1040, inv. n. 1047; inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo).
698
Tassinari 2009, p. 157, tav. XLV, n. 698 (XVI-XVII secolo).
699
Platz-Horster 1984, p. 119, tav. 32, n. 132 (non antico?).
700
Gesztelyi 2000, pp. 92, 174, n. 332 (XVI-XVIII secolo).
701
Maaskant-Kleibrink 1986, p. 93, n. 192 (XVI secolo?).
702
Collection Signol 1997, p. 43, n. 107 (epoca imperiale o imitazione moderna?).
678
679
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
Ubicazione ignota, già collezione Vimercati Sozzi,
Bergamo 703
Ubicazione ignota, acquistato a Kertch 704
Vienne, Musée des Beaux-Arts 705
Xanten, collezione privata 706
Zagabria, Museo Archeologico 707
Gruppo D
Questi intagli presentano teste, maschili e femminili, che indossano un copricapo o un elmo, solcato da linee, a volte concentriche; talvolta fuoriescono dall’elmo nastri, pendenti o svolazzanti. I
lineamenti possono esser regolari o schematici e
marcati, con o senza baffi e barba, i capelli, a volte
lunghi, sono resi a ciocche o a tratti paralleli, anche
grossi e rilevati, il busto è tagliato o panneggiato.
Alcuni intagli sono identificati come Ares/Marte e Atena/Roma.
Le pietre sono corniole e lapislazzuli; più di
rado agate zonate e ametiste.
Attestazioni
Bari, Museo Archeologico 708
La Spezia, Museo Civico 709
Modena, Musei Civici 710 (Tav. L f )
Padova, Museo di Mineralogia dell’Università 711
Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria 712 (Tav. LI c)
Udine, Civici Musei 713 (Tav. L g, h)
Verona, Civici Musei d’Arte 714 (Tav. LI a-b; Tav. LIV
h, i).
Autun, Musée Rolin 715
Bucarest, Gabinetto Numismatico dell’Accademia
Rumena 716
Budapest, Museo Nazionale Ungarico 717 (Tav. LI d)
Cambridge, Fitzwilliam Museum 718 (Tav. LI e)
Exeter, Royal Albert Memorial Museum 719
Ubicazione ignota, già collezione Pullini, Torino 720
Ubicazione ignota, già collezione Vimercati Sozzi,
Bergamo 721
Ubicazione ignota 722
Ubicazione ignota 723
Ubicazione ignota 724
Filone n. 13
Sono pochissimi gli intagli in lapislazzuli che
raffigurano teste, da inserire nel filone qui definito
‘classicistico’, ‘antichizzante’, cioè che riprende fedelmente i modelli antichi o vi si attiene.
Si tratta di: un busto di giovane panneggiato,
al British Museum 725; due teste femminili di profilo con i capelli raccolti, a Bologna, Museo Civico Archeologico 726, e a Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 727; Ercole barbato (o Commodo)
con la leontea, inciso sul retro con uno scarabeo e
la formula ABRAXAS, nella collezione Devonshire,
Tassinari c.s.a, n. 384 (XVI-XVII secolo).
Kibaltchitch 1910, p. 45, tav. VI, n. 206 (età antica).
705
Guiraud 1988, p. 145, tav. XXXIV, n. 501 (III-IV secolo d.C.).
706
Platz-Horster 1994, p. 233, tav. 76, nn. 392-393 (XVI-XVII secolo?).
707
Antički Portret 1987, p. 189, n. 128; Arte e cultura 1993, p. 167, n. 241 (A. Rendić -Miočević ) (II secolo d.C.).
708
Tamma 1991, p. 77, nn. 95-96, p. 80, n. 104, pp. 83-84, n. 119, p. 88, n. 141 (età antica?).
709
Sena Chiesa 1978, p. 110, tav. XVI, n. 114, tav. XVII, n. 115 (fine del I secolo a.C.).
710
Casarosa Guadagni 1993, p. 107, n. 32 (XVIII secolo).
711
Zanettin 2003, p. 99, fig. 15, in alto a sinistra (non datato).
712
Vitellozzi 2010, p. 484, n. 591 (XVI-XVII secolo d.C.).
713
Inv. n. 694, inv. n. 842, inv. n. 859, inv. n. 1018, inv. n. 1058; inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo).
714
Tassinari 2009, p. 157, tav. XLV, n. 695 (XVI-XVII secolo).
715
Guiraud 1988, p. 144, tav. XXXIV, n. 492 (non datato).
716
Gramatopol 1974, p. 66, tav. XVII, n. 350 (sul retro iscrizione), p. 72, tav. XXI, n. 430 (età antica).
717
Gesztelyi 2000, pp. 91, 174, nn. 328-329 (XVI-XVIII secolo).
718
Henig, Scarisbrick, Whiting 1994, pp. 335-336, n. 704 (XVII-XVIII secolo).
719
Hoey Middleton 1998, p. 105, n. 85 (XVIII secolo?).
720
Palma Venetucci 1994, p. 26, figg. 16-17; Micheli 1994, p. 119 (considerato antico dal Pullini, moderno dalla Micheli).
721
Tassinari c.s.a, n. 496 (XVI-XVII secolo).
722
Gronovius 1695, p. 56, n. 651 (XVI-XVII secolo).
723
Kibaltchitch 1910, p. 66, tav. XIX, n. 509 (età moderna).
724
Camées-Scarabées 1926, p. 21, tav. VIII, n. 286 (età moderna).
725
Dalton 1915, p. 156, tav. XXXVI, n. 1091 (XVI secolo).
726
Mandrioli Bizzarri 1987, p. 126, n. 259 (III-IV secolo d.C.).
727
Maaskant-Kleibrink 1986, p. 89, n. 179 (XVI-XVII secolo).
703
704
119
120
GABRIELLA TASSINARI
a Chatsworth 728; un busto coperto da elmo, da cui
fuoriescono i lunghi capelli, con una maschera sulla visiera (Minerva? Alessandro Magno?), dalla collezione Stosch, ora ai Musei di Berlino 729; un busto
di Atena elmata a Rennes, Musée des Beaux-Arts 730.
A Firenze, al Museo degli Argenti, sono conservati un intaglio con una figura femminile effigiata a metà, la cornucopia tra le mani e il chitone allacciato sulla spalla, variamente interpretata come
baccante, Cerere, personificazione dell’Abbondanza 731, e un altro busto panneggiato, di profilo, di
baccante, con corona di foglie tra i lunghi capelli 732
(Tav. LI f ). Nonostante l’identificazione non compaia nella scheda relativa, si può affermare che la
seconda gemma è uno di quegli intagli dell’Agostini 733, già appartenente alla sua raccolta, quindi
passato in quella granducale.
Invece non figura nelle pubblicazioni delle collezioni medicee un altro intaglio edito dall’Agostini 734
e poi dal Maffei (Tav. LI g) 735 che merita un’attenzione particolare: due teste affrontate, identificate e
commentate come Germanico e Agrippina, simbolo dell’amore coniugale tenace, una coppia d’eroi,
unita da egual valore e dalla fine infelice, bersaglio
della tirannide. Le due teste sono copiate da una
moneta – un aureo dell’ottobre-dicembre 54 d.C. –
con Nerone e sua madre Iulia Agrippina 736. Ma Nerone certo ha brutta fama; perciò si è scelto di definirlo Germanico, aggiungendogli la barba, per dar
l’idea di ‘anzianità’.
Non è chiaro il rapporto tra questo intaglio e
un altro pezzo, già della collezione Stosch, descritto dal Winckelmann, come un intaglio in lapislazzuli con due teste, di Nerone giovane e della madre
[RdA 34
Agrippina 737 e dal Furtwängler come una pasta vitrea blu con due punti d’oro, imitante il lapislazzuli, con una testa di un romano non barbato di fronte
ad una testa femminile con pettinatura all’Agrippina 738.
10.2.1. Gli altri intagli con teste
Sono stati qui riuniti quegli intagli che presentano caratteristiche tali da non poter esser inseriti
in nessun gruppo, ma che tuttavia, in alcuni casi,
condividono elementi dei filoni n. 11 e n. 12.
Un gruppo esiguo di intagli con teste femminili e maschili, imberbi, presenta una pettinatura
variata, ma sempre resa con le solite striature più
o meno evidenti e grosse, senza corona, né tenia;
i profili sono più o meno schematici e marcati, di
solito il busto è tagliato, in qualche caso è loricato. Le pietre sono: corniola, lapislazzuli, agata, eliotropio, plasma. Sono attestati a Ferrara, Museo Civico 739, a Roma, collezione Santarelli 740, a Madrid,
Museo Archeologico Nazionale 741 e a Monaco, Staa­
tliche Münzsammlung 742.
Un rendimento a linee parallele e incrociate caratterizza un intaglio in lapislazzuli, con un busto
maschile di tre quarti con i capelli pettinati all’indietro, la barba a pizzetto, il vestito guarnito di
pelliccia (Monaco, Staatliche Münzsammlung). La
Weber ipotizza sia il ritratto del re Carlo I di Inghilterra e lo data al secondo quarto del XVII secolo 743.
La stessa resa a linee grosse e rilevate si riscontra nella barba, capelli, cresta dell’elmo e panneggio
Scarisbrick 1979, fig. 4; Scarisbrick 1986, p. 251, n. 79 (dato al Rinascimento).
Furtwängler 1896, p. 325, tav. 63, n. 8903 (XVI-XVII secolo).
730
Robien 1972, pp. 43-44, n. 24 (non antico).
731
Gennaioli 2007, p. 387, n. 550 (XVII secolo).
732
Gennaioli 2007, p. 391, n. 562 (XVII-XVIII secolo).
733
Agostini 1686, vol. I, p. 32, n. 32.
734
Agostini 1686, vol. I, p. 44, n. 81.
735
Maffei 1707-1709, vol. I, p. 26, n. 20.
736
Sutherland 1984, I, p. 150, n. 1.
737
Winckelmann 1760, IV, p. 444, n. 240.
738
Furtwängler 1896, p. 142, tav. 26, n. 3187.
739
D’Agostini 1984, p. 40, n. 58 (III-IV secolo d.C.).
740
Del Bufalo 2009, p. 19, n. 47/86g (non datato).
741
Casal García 1990, I, pp. 201-202, II, pp. 101-103, nn. 86-96 (età moderna).
742
Weber 1992, p. 229, n. 344 (II-III secolo d.C.); Weber 2001, p. 187, nn. 392-393 (prima metà - secondo quarto del XVII secolo).
743
Weber 2001, pp. 31, 34, 186, n. 388.
728
729
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
in un busto di armato, dal profilo regolare, identificato con Ares, di un intaglio in lapislazzuli, ascritto
a epoca moderna, in una collezione privata 744.
Due intagli quasi uguali, uno in agata, l’altro in
lapislazzuli (moderni; Madrid, Museo Archeologico Nazionale), recano un busto di armato di profilo,
senza barba, a tratti pronunciati, uno strano elmo
dal pennacchio reso come una fronda d’albero, la
corazza a linee grosse (Tav. LII a) 745.
Singolare l’intaglio in diaspro variegato (New
York, The Metropolitan Museum of Art) 746 con due
teste barbate unite, di profilo, una a sinistra, l’altra
a destra, impostate su un solo busto togato; il profilo è regolare ma i capelli e la barba sono resi con le
solite linee parallele e fitte. Uno zolfo di questo intaglio, già nella collezione Stosch, poi in quella del
Tassie, è spiegato come Giano (Tav. LII b) 747.
11. Gli intagli di soggetto cristiano
Sono pochi gli intagli cristiani sicuramente attribuibili alla produzione in lapislazzuli.
Pressoché identici sono gli intagli con la Madonna stante con in braccio Gesù bambino benedicente: due intagli in lapislazzuli, uno a Firenze,
Museo degli Argenti (seconda metà del XVI secolo) 748, l’altro a Monaco, Staatliche Münzsammlung
(ultimo quarto del XVI o primo quarto del XVII secolo) 749 (Tav. LII c), e uno in diaspro verde a Madrid (Museo Archeologico Nazionale) 750 che la Casal Garcia situa non prima del XVII secolo e ritiene
giustamente opera dello stesso incisore di un intaglio in corniola con S. Francesco che riceve le stig-
mate 751. Ad essi assai probabilmente se ne può aggiungere un altro in lapislazzuli 752.
Del tutto simile alla Madonna è un intaglio in
corniola con S. Andrea (seconda metà del XVI - prima metà del XVII secolo; Vienna, Kunsthistorisches
Museum) 753 (Tav. LII d).
Tutti questi intagli sono inseribili nel filone n.
2.
Ricordiamo un intaglio in agata con la Crocefissione, ascritto al XVII secolo 754, affine al gruppo
F del filone n. 1, e quegli intagli con raffigurazioni cristiane, del XVI-XVII secolo, stilisticamente simili al filone n. 3.
Non rientrano in nessuno dei filoni individuati
altri esemplari in lapislazzuli: un intaglio con una
figura maschile in tunica corta che minaccia con il
sacro labaro un serpente antropomorfico, che alza
le braccia in gesto di sottomissione, dalla collezione Lewis, al Fitzwilliam Museum di Cambridge,
datato al IV secolo d.C. 755 o al XIX secolo 756, un altro intaglio non antico, acquistato insieme al precedente, nella stessa collezione Lewis, ma ora non
più a Cambridge, con una figura inginocchiata che
alza una croce e alcune scritte 757; un rilievo rettangolare con Cristo in trono in maestà, con il vangelo
e ai lati della testa le lettere greche IC XC (XI-XIII
secolo; collezione Guy Ladrière) 758; un’altra placca
non antica in rilievo con il monogramma di Cristo
e pesci (New York, The Metropolitan Museum of
Art) 759; il cosiddetto ‘Phocas’, il busto di fronte di
un imperatore barbato e coronato, con una mano
alzata a reggere un globo con una croce, classificato come un ritratto moderno copiato dalle monete,
già nella collezione Montigny 760; un intaglio con il
Henig, Whiting 1987, p. 43, n. 472.
Casal García 1990, I, p. 203, II, p. 107, nn. 107-108.
746
Richter 1920, p. 184, tav. 80, n. 388 (III secolo d.C.).
747
Raspe 1791, p. 78, n. 773.
748
Gennaioli 2007, pp. 480-481, n. 834. Sull’altro lato di questo intaglio è incisa una crocefissione.
749
Weber 2001, p. 163, n. 312.
750
Casal García 1990, I, pp. 74, 210, II, p. 124, n. 200.
751
Casal García 1990, I, pp. 74, 210, II, p. 124, n. 201.
752
Gronovius 1695, p. 49, n. 547.
753
Zwierlein-Diehl 1991, p. 287, tav. 208, n. 2690 = Zwierlein-Diehl 1993, pp. 392-393, fig. 33.
754
San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage: Kagan 1996, p. 79, fig. 66, p. 190, n. 107.
755
Henig 1975, p. 39, tav. 9, n. 141.
756
Spier, Vassilika 1995, p. 91, fig. 7.
757
Spier 2007, p. 179, tav. 134, X 96.
758
The Art of Gem 2008, pp. 175, 348-349, n. 201.
759
Spier 2007, p. 182, tav. 136, X 141.
760
Spier 2007, p. 173, tav. 130, X 23.
744
745
121
122
GABRIELLA TASSINARI
monogramma del nome di Gesù con sopra la croce
e sotto tre chiodi della Crocefissione (problematico
o non antico; Museo Civico di Ferrara) 761.
12. Gli intagli in lapislazzuli di età ‘antica’
Si è già sottolineato come non è assolutamente agevole, quando proprio nulla depone a favore
della non antichità, distinguere gli intagli in lapislazzuli di età romana. Il problema è più spinoso e
complicato da affrontare di quanto possa sembrare. Infatti non è corretto stabilire una correlazione
diretta lapislazzuli – produzione di massa/moderna, né giudicare tutte erronee le datazioni antiche
e ascrivere le attestazioni appunto a questa produzione e al XVI-XVII secolo. Perciò appare veramente arbitrario assegnare tutti gli intagli in lapislazzuli alla produzione in esame.
Innanzi tutto ricordiamo che intagli in lapislazzuli – senza dubbio pochissimi, ma questa è la sorte comune a tutta la glittica – sono stati ritrovati in
contesti da scavo, antichi 762.
Inoltre teniamo presente tutto quanto sopra
sottolineato in relazione al lapislazzuli. Il carattere
propiziatorio e profilattico attribuito al lapislazzuli
può costituire un indizio appunto di antichità; ma
tale valore non sempre è evidente.
Il lapislazzuli, raramente impiegato per le piccole sculture antiche, è comunque e non a caso riservato quasi esclusivamente all’ambito imperiale
(cfr. supra paragrafo 4). Questa connessione non va
dimenticata e induce ad una certa attenzione a determinare la datazione delle teste di reali o principi in lapislazzuli.
Un caso emblematico è un bell’intaglio in lapislazzuli, con un busto femminile panneggiato,
[RdA 34
dall’elaborata acconciatura, guarnita da un diadema, conservato a Firenze, al Museo degli Argenti 763
(Tav. LII e). L’intaglio è pubblicato dal Gori che lo
definisce “diaspro blu” e Giulia, figlia di Tito (?) 764.
Creduto antico da Sebastiano Bianchi e Giuseppe
Pelli Bencivenni (ricordiamo: esperti studiosi e custodi del medagliere e della dattilioteca granducale) che identificarono il busto con Giulia, figlia di
Tito, la resa dell’incisione e la pietra fanno propendere Gennaioli per una datazione intorno ai primi decenni del XVII secolo. Molto probabilmente
lo studioso ha ragione, ma a mio avviso non è da
escludere si tratti di un lavoro antico, sulla base appunto di quanto rilevato a proposito delle piccole
sculture di principesse realizzate in lapislazzuli e
la loro assimilazione a Venere.
Un altro esempio significativo è un intaglio in
lapislazzuli con una testa di profilo coronata, già
conservato nella dattilioteca dell’erudito e collezionista Carlo Antonio Pullini (Torino 1746-1816) 765.
Pullini specifica che esso compariva tra le impronte di Federico Dolce 766, cioè del figlio di Francesco Maria Dolce, erede della manifattura Dehn-Dolce, in Roma. Nella sua lunga spiegazione erudita,
Francesco Maria Dolce definisce il calco in zolfo
rosso Dehn-Dolce tratto da un antico intaglio in
lapislazzuli e lo identifica come la testa dell’imperatore M. Aurelio Claudio, detto il Gotico, mentre
non sa cosa significano le due lettere male incise,
A D 767 (Tav. LII f ). Invece Federico Dolce, nel suo
testo che accompagna l’impronta in scagliola della gemma in esame, riconosce l’effigie di Claudio
il Gotico, ipotizza che le due lettere potrebbero significare il titolo ‘Divo Augusto’ e osserva che il lavoro senza espressione e il cattivo disegno evidenziano quanto fossero infelici le belle arti nei tempi
di tale imperatore 768.
D’Agostini 1984, p. 51, n. 90.
Ad es. Schmidt 1971, pp. 219-220, tav. 20, n. 5 (Satiro nudo; seconda metà del II - prima metà del III secolo d.C.); Guiraud
1988, p. 157, tav. XLI, n. 586 (cacciatore con un bastone sulla spalla a cui sono sospesi i suoi trofei; da un tesoro sotterrato
nella seconda metà del III secolo d.C.).
Ricordiamo anche un frammento subcilindrico di lapislazzuli, purtroppo di età indefinita, tra le 28 gemme provenienti dall’area
della Crypta Balbi, a Roma; il materiale è stato sepolto nel VII secolo d.C. (più precisamente tra 650 e 700 d.C.), ma le gemme sono più antiche, collocabili tra la fine dell’età repubblicana e il VII secolo d.C. Cfr. Andreozzi, Graziani, Saguì 1996, pp.
175-188, in particolare p. 178, n. 16.
763
Gennaioli 2007, pp. 426-427, n. 670.
764
Gori 1731-32, I, 6 (= Reinach 1895, p. 18, tav. 7, 6).
765
Micheli 1994, pp. 111, 117, 125; Pullini 1994, p. 260, n. 37 (senza immagine).
766
Sull’opera di Federico Dolce, cfr. da ultimo Tassinari c.s.
767
Dehn, Dolce 1772, tomo III, pp. 52-53, n. 191; cassetta AA (25), zolfo n. 191.
768
Descrizione 1792, IV, n. 177.
761
762
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
Il calco di questo intaglio è presente anche nelle
raccolte di impronte del Tassie 769 e dei Paoletti 770,
sempre definito Claudio il Gotico, mentre è spiegato come Appio Claudio nella collezione Cades
conservata al Gabinetto Numismatico delle Raccolte Artistiche di Milano 771.
Il Pullini ritiene l’intaglio la testa di Decio Traia­
no e lo crede antico; la Micheli lo considera moderno 772 ed è presumibile lo sia, anche se, in effetti, nulla lo svela.
Così, un intaglio con la testa di un imperatore
romano di profilo, laureato, dallo stile squadrato e
rude, tipico dell’età tetrarchica, datato appunto dal
Furtwängler intorno al 300 d.C. 773, viene da Spier 774
classificata come un’opera moderna che copia un
ritratto di una moneta.
Analogamente un altro intaglio con la testa di
un imperatore romano improntata dallo stile caratteristico dei successori di Costantino (identificato
come Costante II, Graziano, Onorio, Valente o Valentiniano) è considerato antico dal Furtwängler 775,
non antico e basato su una moneta da Spier 776.
Vi sono intagli in lapislazzuli di cui non è mai
stata messa in discussione l’antichità.
Va sottolineato – e non sembra casuale in base a
quanto osservato sul lapislazzuli – che questi esemplari sono riservati alla sfera reale/imperiale o sono
connessi in modo più o meno diretto con l’Egitto,
per soggetto o ambito culturale.
Proviene appunto dall’Egitto l’intaglio a Parigi,
al Cabinet des médailles, identificato dal Plantzos
come il consueto busto di Ercole con il capo coperto
123
dalla pelle di leone 777 e dalla Vollenweider come un
giovane principe assimilato a Alessandro Magno e
datato agli inizi del I secolo a.C. 778. Sempre al Cabinet des médailles sono conservati l’intaglio con
il ritratto di Juba I, re di Numidia (60-46 a.C.), con
tenia, clamide e lo scettro sulla spalla 779, e quello
con la testa di un imperatore romano di profilo, laureato, con lettere al di sotto del busto, II, e davanti, OA, ascritto probabilmente a dopo il IV secolo
d.C.: si rileva che questo pezzo, dall’incisione rude
e sommaria, si inserisce nel quadro dei contorniati
e degli intagli tardi, attraverso cui l’aristocrazia romana ricordava il buon tempo antico 780.
D’altra parte è risaputo come l’artista ‘moderno’ possa imitare in modo preciso l’iconografia antica, evitando alterazioni, rielaborazioni, fraintendimenti, cioè quegli ‘errori’ che lo svelano. È questo
il caso di un intaglio in lapislazzuli con un motivo
antico – Ercole in lotta con il leone nemeo – nella
collezione di W. Gedney Beatty, a New York 781. Saremmo stati ‘traditi’ senza la preziosa testimonianza di Osborne 782, che dichiara l’intaglio esser opera di Mariano Macceroni, un incisore della seconda
metà dell’800, che, copiando dalla serie di calchi
Cades di intagli e cammei, incideva seguendo fedelmente iconografia e stile antichi 783.
Un caso ancora più problematico e non facilmente risolvibile è costituito dagli intagli in lapislazzuli con animali, oggetti e lettere. Se mancano indizi connotanti non si riesce a classificare tali
esemplari. Ed infatti nei testi si verifica una gamma di datazioni – quando vengono fornite 784 –: età
Raspe 1791, p. 663, n. 12101.
Pirzio Biroli Stefanelli 2007, tomo III, p. 227, n. 285.
771
Tra i calchi della maniera latina, seconda epoca, cassetta 40, n. 1996.
772
V. nota 765.
773
Furtwängler 1900, p. 231, tav. XLVIII, n. 34.
774
Spier 2007, p. 172, tav. 130, X 15.
775
Furtwängler 1900, p. 231, tav. XLVIII, n. 38. Di entrambi i pezzi non è specificata l’attuale collocazione.
776
Spier 2007, p. 173, tav. 130, X 18.
777
Plantzos 1999, p. 127, tav. 59, n. 393.
778
Vollenweider 1995, vol. I, pp. 52-53, n. 34, vol. II, p. 29, n. 34.
779
Mariette 1750, vol. II, n. 91; Raspe 1791, p. 562, n. 9653; Chabouillet 1858, p. 268, n. 2062; Richter 1968, p. 166, n. 668; Plantzos 1999, p. 117, tav. 23, n. 130.
780
Vollenweider, Avisseau-Broustet 2003, vol. I, p. 60, n. 63, vol. II, p. 55, n. 63.
781
Osborne 1912, p. 195, p. 389, tav. XXXII, n. 3.
782
Ibidem.
783
Di Macceroni non è noto nulla. Oltre alla menzione in Osborne, viene citato solo come incisore di gemme contemporaneo
a Roma, in Forrer 1930, vol. VIII, suppl., p. 1.
784
Non vengono datati i seguenti esemplari. Maschera satirica, con zampogna (Firenze, già collezione granducale: Zannoni
1824, vol. II, pp. 36-37, tav. 40, 3); Reinach 1895, p. 29, tav. 23, 471 (= Gori 1731-32, I, 471); maschera di commedia (Gergovia:
Guiraud 1988, p. 189, tav. LVIII, n. 893); uno scorpione, un uccello davanti a una croce (da ana e da Panticapeo (Kertsch):
769
770
GABRIELLA TASSINARI
124
repubblicana 785, II-IV secolo d.C. 786, XVI-XVII secolo 787, età moderna 788.
Concludendo, in assenza di elementi sicuri e/o
di particolari significativi, è sembrata la più corretta
una cauta posizione: semplicemente qui di seguito
elencare, indicando i soggetti, non distinguendo figure/teste, una serie di intagli in lapislazzuli, per i
quali il tentativo di classificazione antico/moderno
apparirebbe infondato e azzardato.
Attestazioni
Collezione privata Yüksel Erimtan: divinità femminile non identificata, stante, con un ramo in mano
(II secolo d.C.) 789
Collezione privata: Fortuna con modius e cornucopia
(fine del I secolo d.C.) 790
Collezione privata: busto di un’imperatrice romana,
con corona (non datato) 791
[RdA 34
Firenze, Museo degli Argenti: busto femminile panneggiato (antico o inizi del XVII secolo) 792 (Tav.
LII e)
Firenze, già collezione granducale: testa di satiro con
siringa (non datato) 793
Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria: Minerva Pròmachos; Vittoria alata (II-III secolo d.C.; I-II secolo d.C.) 794 (Tav. LII g, h)
Alnwick Castle, collezione duca di Northumberland:
eroe nudo inginocchiato, con scudo e una corta
spada (IV secolo a.C. o non datato) 795
Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung: Marte stante tiene una lancia, nella mano sollevata
un globo (?), per terra elmo e scudo (età imperiale) 796
Bloomington, Indiana University Art Museum: Mercurio stante, con caduceo e borsa; ai piedi un gallo, ai lati una stella e un crescente lunare (I-IV secolo d.C.) 797
Chabournay, collezione Laurent Bricault: busto di Se-
Kibaltchitch 1910, p. 33, tav. II, n. 39, p. 53, tav. X, n. 315); melograno (già collezione Vimercati Sozzi, Bergamo: Tassinari c.s.a,
n. 473); un pesce, uno scorpione, un vaso con fiori, un uccello sopra una tartaruga (?) (Gronovius 1695, p. 23, n. 199, p. 54, nn.
618-619, p. 57, n. 655); questi ultimi tutti di ubicazione ignota.
785
Scrofa (Tours, Musée des Beaux-Arts: Collection Signol 1997, p. 78, n. 237); montone davanti a due spighe (Philadelphia,
Università della Pennsylvania, Museum of Archaeology and Anthropology: Berges 2002, p. 35, tav. 22, n. 103; I secolo a.C. - I
secolo d.C.).
786
Albero su cui si attorciglia una vite o un serpente; due forconi incrociati; un papavero (?) (Monaco, Staatliche Münzsammlung: AGDS I, 3, p. 45, tav. 212, n. 2368; I secolo d.C.; Weber 1992, p. 222, nn. 325-326; età imperiale; II secolo d.C.); montone
(Malibu, J. Paul Getty Museum: Spier 1992, p. 140, n. 384; II-III secolo d.C.); oca presso un altare; vasi (Bologna, Museo Civico
Archeologico: Mandrioli Bizzarri 1987, pp. 118, 122, nn. 235, 245-246; II-IV secolo d.C.); leoni; due topolini (Madrid, Museo
Archeologico Nazionale: Casal Garcia 1990, I, pp. 169, 177, II, pp. 64, 70, nn. 405-406, 448; III-IV secolo d.C.); nave (Berlino,
Staatliche Museen, Antikensammlung: Furtwängler 1896, p. 320, tav. 62, n. 8730; età imperiale); uccello (Copenaghen, Thorvaldsen Museum: Fossing 1929, p. 244, tav. XXI, n. 1827; età tardoromana); due pesci affrontati e un’ancora; lettere; monogramma (Berlino, Staatliche Museen; collezione privata; ubicazione ignota: Spier 2007, p. 43, tav. 29, n. 231, p. 84, tav. 59, n. 481, p.
195, M 38, tav. 151, M 39 (senza figura); età tardoantica-protocristiana); due pesci (Tours, Musée des Beaux-Arts: Collection Signol 1997, p. 84, n. 264; età imperiale?).
787
Aquila con le ali aperte su una colonna tuscanica, fiancheggiata da due stelle e l’iscrizione IVLIVS CESAR (Chatsworth,
collezione Devonshire: Scarisbrick 1986, pp. 250-251, n. 67, tav. XCIIId; XVI secolo); lepre; anatre; tazze con foglie (Monaco,
Staatliche Münzsammlung: Weber 2001, pp. 163-164, nn. 314-316, pp. 166-167, nn. 326-327 (il n. 327 è una corniola, ma è identica al n. 326); ultimo quarto del XVI secolo - prima metà del XVII secolo); fallo alato; brocca fallica (Padova, Museo Archeologico: Seidmann 1997, pp. 152-153, nn. 304-305; XVII secolo).
788
Lettera W sormontata da una stella (Bologna, Museo Civico Archeologico: Mandrioli Bizzarri 1987, p. 167, n. 340); tre frecce incrociate rivolte verso il basso dove è un cuore, ai lati due stelle (Ferrara, Museo Civico: D’Agostini 1984, p. 50, n. 89);
uccello; papaveri; stella a sei punte; stella e cuore; lettere; anagramma (Madrid, Museo Archeologico Nazionale: Casal Garcia
1990, I, pp. 185-186, 209-210, II, pp. 75-76, nn. 488-491, pp. 122-123, nn. 190, 193-197).
789
Konuk, Arslan 2000, p. 119, n. 95.
790
Chaves Tristan, Casal García 1993, pp. 330-331, n. 75, fig. 3, n. 75.
791
El-Mohsen El-Khachab Abd 1963, p. 155, n. 24, tav. XXVI, 7.
792
Gennaioli 2007, pp. 426-427, n. 670.
793
Zannoni 1824, vol. II, pp. 36-37, tav. 40, 3; Reinach 1895, p. 29, tav. 23, 471 (= Gori 1731-32, I, 471).
794
Vitellozzi 2010, pp. 228-229, n. 242, p. 259, n. 287.
795
Raspe 1791, p. 436, n. 7481; Knight 1921, p. 20, tav. IV, n. 90 (IV secolo a.C.); Pirzio Biroli Stefanelli 2007, tomo II, p. 126,
n. 67 (spiegata come Achille ferito).
796
Furtwängler 1896, p. 320, tav. 62, n. 8727. Del tutto probabile sia l’intaglio pubblicato dal Beger, che lo interpreta come imperatore (Begerus 1696, pp. 133-134). Cfr. anche ibidem, p. 136, n. 3045: Eros davanti a un albero spoglio; datato dal Furtwängler a età romana, privo di illustrazione.
797
Berry 1968, p. 61, n. 111.
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
rapide e busto di Iside; al di sopra una stella e
un crescente lunare, al centro un sistro (II-III secolo d.C.) 798
Copenaghen, Thorvaldsen Museum: Atena armata e
un’altra dea si tengono le mani, tra di esse un
maia­le; pastore stante si appoggia al suo bastone, accompagnato da una capra rampante su un
albero (tra le gemme tardoromane) 799
Londra, British Museum: busto maschile barbato,
laureato, panneggiato (tra le gemme greco-romane) 800
Madrid, Museo Archeologico Nazionale: scena di sacrificio con due eroti; Vibia Sabina; Antonino Pio;
atleta (I secolo d.C.; III secolo d.C.) 801
Madrid, Museo Nazionale del Prado, Tesoro del Delfino: busto femminile (non datato) 802
Péronne, Museo, collezione Danicourt: un satiro tiene un tirso e un grappolo, dietro di lui un albero di vite, davanti un cesto pieno di grappoli (III secolo d.C.) 803
San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage: busto
di Serapide (età imperiale) 804
Tours, Musée des Beaux-Arts: busto di imperatore
(età imperiale?) 805
Ubicazione ignota, già collezione Pullini, Torino: testa di Decio Traiano o Claudio il Gotico; busto di
baccante coronata d’edera (considerati antichi dal
Pullini, moderni dalla Micheli) 806 (Tav. LII f )
Ubicazione ignota, già collezione Rothschild: Giove
fiancheggiato da due divinità, al di sotto Poseidone emerge dall’oceano, bordo con i simboli dello
zodiaco (II-III secolo d.C.) 807
Ubicazione ignota, già collezione Seriman, Venezia:
buon pastore con dodici figure e scritte, tra cui
probabilmente ICQC (gemma cristiana) 808
Ubicazione ignota, già collezione von Gleichen: Marte gradivo che porta un trofeo (non datato) (Tav.
LII i) 809
Ubicazione ignota, già collezione Wellington: Melpomene tiene una maschera tragica; Iside con il suo
scettro (età romana) 810
Ubicazione ignota: Zeus-Serapide stante (II secolo
d.C.) 811
Ubicazione ignota: busto di donna velato (tra le gemme greco-romane) 812
Ubicazione ignota (San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage?): due busti maschili identificati
come Crisippo e come Vitellio (non datati) 813
Ringraziamenti
Desidero esprimere la mia riconoscenza a Adriano Maggiani e Luigi Sperti, che hanno accolto questo studio, nonostante sia un po’ eccentrico rispetto
alla linea della “Rivista di Archeologia”, accettando così di superare quella barriera antico/non antico, comoda, ma spesso, soprattutto nel caso delle gemme, artificiosa.
Per aver autorizzato l’utilizzo a fini scientifici
delle fotografie delle gemme ringrazio Paola Marini, Direttore dei Musei Civici di Verona, Margherita Bolla, Curatore del Museo Archeologico al Teatro
romano e del Museo Maffeiano di Verona, Denise Modonesi, già Conservatore della Sezione numismatica dei Civici Musei d’Arte di Verona, Lanfredo Castelletti, già Direttore dei Musei Civici di
Como, Isabella Nobile e Marina Uboldi, Conservatori del Civico Museo Archeologico “Giovio” di
Como.
Sono grata a Maurizio Buora, già Direttore dei
Civici Musei di Udine, per avermi affidato lo studio
delle gemme post-classiche conservate negli stessi Musei, per avermi permesso di citarle e pubblicarle, nonché per avermi inviato le fotografie delle
gemme edite in Tomaselli 1993.
Una particolare menzione, gradita e doverosa,
Veymiers 2009, p. 309, V.AAB 6, tav. XVII.
Fossing 1929, p. 226, tav. XIX, n. 1669, p. 238, tav. XX, n. 1768.
800
Walters 1926, p. 213, tav. XXVI, n. 2039.
801
Casal Garcia 1990, I, pp. 135, 157-158, 162, II, pp. 44, 56, 59, 122-123, nn. 256, 350-351, 369.
802
Iñiguez 1989, pp. 64, 66, n. 25.
803
Boardman 2003, n. 65.
804
Veymiers 2009, p. 278, I.G 4, tav. 31.
805
Collection Signol 1997, p. 68, n. 194.
806
Micheli 1994, pp. 116-117, 260, n. 37 (senza immagine), pp. 195-196, n. 19 (24).
807
Treasures 2003, p. 20, n. 5.
808
Spier 2007, p. 82, n. 467.
809
Raspe 1791, p. 426, n. 7351 (ma è stato scritto, errato, n. 7451).
810
Scarisbrick 1977, p. 12, n. 145, p. 24, n. 391.2.
811
Veymiers 2009, p. 359, VI. DA 12, tav. 66.
812
Camées-Scarabées 1926, p. 11, tav. III, n. 137.
813
Begerus 1685, pp. 67-68, tav. X, pp. 83-84, tav. XXIV.
798
799
125
126
GABRIELLA TASSINARI
spetta a Rodolfo Martini, Conservatore del Gabinetto Numismatico delle Raccolte Artistiche di Milano, per la Sua consulenza numismatica, per facilitarmi in ogni modo lo studio delle collezioni di
calchi ivi conservate e per avermene consentito la
pubblicazione.
Ringrazio sentitamente Judy Rudoe (Assistant
Keeper, Department of Medieval and Modern Europe, British Museum), che mi ha permesso l’esame
della collezione Sloane al British Museum.
Con grande gentilezza Tamás Gesztelyi (Università di Debrecen) mi ha inviato le fotografie delle
gemme da lui pubblicate (Gesztelyi 2000), fornendomi l’informazione che nel Museo Nazionale Ungarico di Budapest vi sono parecchi intagli, con teste, della produzione dei lapislazzuli.
Con altrettanta squisita cortesia Claudia Wagner
(FSA Beazley Archive, Classics Centre, Oxford), mi
ha mandato le fotografie delle gemme nel Fitzwilliam Museum di Cambridge (edite in Henig, Scarisbrick, Whiting 1994), dell’intaglio in collezione
privata (pubblicato in Wagner, Boardman 2003),
nonché dei calchi di gemme della collezione di James Tassie (Beazley Archive: http://www.beazley.
ox.ac.uk) con il relativo permesso di pubblicarle.
Devo alla disponibilità di Sveta Kokareva (Department of Western European Decorative Art, Museo Statale dell’Ermitage, San Pietroburgo) le informazioni riguardo ai pezzi, inediti, di questa
produzione conservati in quel Museo.
Per l’autorizzazione alla pubblicazione delle fotografie di gemme edite, ringrazio Alfred BernhardWalcher (Stv. Direktor, Kunsthistorisches Museum,
Antikensammlung, Vienna), Virgine Durand (Vienne, Musée des Beaux-Arts), Vladimir Matveyev
(Deputy Director, Museo Statale dell’Ermitage, San
Pietroburgo), Olga Novoseltseva (Manager Rights
and Reproductions Office, Museo Statale dell’Ermitage, San Pietroburgo), Francesca Piccinini (Di-
[RdA 34
rettrice, Museo Civico d’Arte di Modena), Cristina Stefani (Archivio fotografico del Museo Civico
d’Arte di Modena).
Desidero esprimere i miei più vivi ringraziamenti ad Annalisa Zanni (Direttrice del Museo Poldi Pezzoli di Milano) e Andrea Di Lorenzo (Conservatore di Pittura e Arti Decorative dello stesso
Museo) per avermi affidato lo studio e la pubblicazione del taccuino di disegni, conservato al Museo
Poldi Pezzoli, che documenta parte della collezione glittica del conte Paolo Vimercati Sozzi (18011883).
Ho avuto la possibilità di fotografare e pubblicare le gemme edite da Iacobus Gronovius nella sua
opera (Gronovius 1695) grazie alla cortesia di Rina
La Guardia (Direttore del Centro di Alti Studi sulle Arti Visive, della Biblioteca d’Arte, della Biblioteca Archeologica e Numismatica di Milano), nonché la gemma edita in Bracci 1786, grazie a Isabella
Fiorentini (Direttore della Biblioteca Trivulziana di
Milano).
Ringrazio Riccardo Gennaioli per le fotografie tratte dal suo libro (Gennaioli 2007); Giovanni
Frumusa per la fotografia e le indicazioni relative
all’intaglio pubblicato dal Formentini, conservato
al Museo Civico di La Spezia; Elisabetta Gagetti
per le scannerizzazioni di fotografie dai libri della
sua ricca biblioteca.
Molto del mio lavoro di questi anni non sarebbe stato possibile senza Fabrizio Slavazzi, per il suo
aiuto costante e amichevole, lo scambio di idee,
l’accesso alla sua eccezionale biblioteca.
Infine un particolare ringraziamento a Paolo
Vitellozzi, affascinato come me dallo straordinario
mondo delle gemme, che mi ha consentito sia la visione della sua opera mentre era in corso di stampa (Gemme e Cammei della Collezione Guardabassi nel
Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria a Perugia)
sia la pubblicazione di alcune fotografie.
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
127
Elenco delle tavole
Tav. XXXI
a) intaglio in lapislazzuli. Figura maschile, seduta su di un trofeo di armi (corazza, due lance e scudo) a cui si appoggia
con una mano; con l’altra protesa tiene un elmo. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 661 (Foto E.
Ceolin); b) intaglio in lapislazzuli. Figura maschile, seduta su di un trofeo di armi (corazza, tre lance e scudo?) a cui si
appoggia con una mano; con l’altra protesa tiene un elmo. Cambridge, Fitzwilliam Museum. Beazley Archive (Foto B.
Wilkins); c) intaglio in lapislazzuli. Figura maschile, seduta su di un tronco d’albero, tiene nella mano protesa un elmo.
Madrid, Museo Archeologico Nazionale. Da Casal García 1990, II, p. 118, n. 166; d) intaglio in lapislazzuli. Figura maschile, seduta su di un tronco d’albero, tiene nella mano protesa una Vittoria. Ubicazione ignota, già collezione Macgowan. Calco nella raccolta Tassie. Raspe 1791, n. 12655. Beazley Archive, Oxford University; e) intaglio in lapislazzuli. Figura maschile stante si appoggia ad una colonnina e tiene un elmo nella mano protesa; dietro la colonnina alcune
armi (?). Ubicazione ignota. Da Gronovius 1695, pp. 53-54, n. 615; f ) intaglio in corniola. Erote incedente con clamide
svolazzante e arco imbracciato nell’atto di scoccare la freccia. Bologna, Museo Civico Archeologico. Da Mandrioli Bizzarri 1987, p. 90, n. 143; g) intaglio in lapislazzuli. Erote incedente con clamide svolazzante e arco imbracciato nell’atto di scoccare la freccia. Ubicazione ignota, già collezione Vimercati Sozzi, Bergamo. Tassinari c.s.a, n. 395; h) intaglio
in lapislazzuli. Erote stante con arco (?) e freccia (?). Udine, Civici Musei. Foto Musei; i) intaglio in lapislazzuli. Erote stante mette una mano sull’arco poggiato a terra, mentre tiene una freccia (?) nell’altra. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 663 (Foto E. Ceolin).
Tav. XXXII
a) intaglio in corniola. Erote stante mette una mano sull’arco poggiato a terra, mentre tiene nell’altra una freccia. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 664 (Foto E. Ceolin); b) intaglio in agata zonata. Erote stante mette una mano sull’arco poggiato a terra, mentre tiene nell’altra una freccia. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009,
tav. XLIII, n. 665 (Foto E. Ceolin); c) intaglio in corniola. Vulcano (o un fabbro) sembra ma non è seduto, poggia solo
l’ampia curva del suo mantello; alza il braccio col martello (?) in atto di colpire un oggetto, non chiaro, poggiato su un
podio cilindrico; sullo sfondo due lance oblique e una serie di ghirlande (?) dritte e capovolte. Cambridge, Fitzwilliam
Museum. Da Tassinari 1996, p. 163, n. 7, fig. 6; d) intaglio in agata zonata. Vulcano (o un fabbro), con la clamide che
forma un’ampia curva, seduto di profilo, alza il braccio col martello in atto di colpire un elmo poggiato su un podio
cilindrico. Madrid, Museo Archeologico Nazionale. Da Tassinari 1996, pp. 161-162, n. 1, fig. 1; e) intaglio in corniola.
Vulcano seduto di profilo, con la clamide che forma un’ampia curva, alza il braccio col martello in atto di colpire un
elmo poggiato su un podio e tenuto da un erote. Madrid, Museo Archeologico Nazionale. Da Tassinari 1996, p. 162, n.
3, fig. 3; f ) intaglio in agata zonata. Vulcano seduto di profilo, con la clamide che forma un’ampia curva, alza il braccio col martello in atto di colpire un elmo (?) poggiato su un podio. Sullo sfondo una figura maschile nuda (Achille?
Enea? Un guerriero?) stante, di profilo, una lancia in una mano, tocca con l’altra uno scudo verticale. Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam. Da Tassinari 1996, pp. 162-163, n. 5, fig. 4; g) intaglio in corniola. Figura femminile stante,
con panneggio ad arco, tiene nella mano protesa un ramo di palma; nel campo in basso una stella. Udine, Civici Musei. Foto Musei; h) intaglio in corniola. Figura femminile, con panneggio ad arco, incedente, tiene nella mano protesa
una patera (?) sopra una face accesa, nell’altra mano uno scettro e un ramo. Ubicazione ignota, già collezione de Wilde. Da De Wilde 1703, tav. 28, n. 108; i) intaglio in agata. Amore inginocchiato davanti ad un’ara sopra cui egli pone
una pianta germogliante da un cuore; in alto un altro Amore vola portando una corona, in basso piante e ciuffi d’erba. Vienna, Kunsthistorisches Museum. Da Kris 1929, tav. 99, n. 421.
Tav. XXXIII
a) intaglio in agata. Amore inginocchiato davanti ad un’ara sopra cui egli pone una pianta germogliante da un cuore;
sul suolo piante e ciuffi d’erba. Firenze, Museo degli Argenti. Da Gennaioli 2007, p. 376, n. 516 (Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali); b) intaglio in agata zonata. Amore inginocchiato davanti ad un’ara sopra cui
egli pone una pianta germogliante da un cuore; in alto una stella in mezzo alle nuvole, sul suolo ciuffi d’erba. Monaco, Staatliche Münzsammlung. Da Weber 2001, p. 192, n. 407; c) intaglio in agata zonata. Amore inginocchiato accosta
una fiaccola ad un prisma posto su un basamento; in alto il sole tra le nuvole, in basso ciuffi d’erba. Firenze, Museo
degli Argenti. Da Gennaioli 2007, p. 376, n. 517 (Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali); d) intaglio in corniola. Apollo con la lira incede verso Marsia seduto e legato ad un albero. Firenze, Museo degli Argenti.
Da Gennaioli 2007, p. 389, n. 557 (Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali); e) intaglio in diaspro.
Apollo con la lira incede verso Marsia seduto e legato ad un albero. Madrid, Museo Archeologico Nazionale. Da Ca-
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GABRIELLA TASSINARI
[RdA 34
sal García 1990, II, p. 104, n. 99; f ) intaglio in diaspro. Apollo con la lira incede verso Marsia seduto e legato ad un
albero. Monaco, Staatliche Münzsammlung. Da Weber 2001, p. 193, n. 410; g) intaglio in corniola. Amore stante su un
podio posa una corona sopra la testa di un giovane stante, che tiene in una mano un ramo, nell’altra una lancia. Budapest, Museo Nazionale Ungarico. Gesztelyi 2000, p. 86, n. 295; h) intaglio in lapislazzuli. Marte (?) stante su un podio posa una corona (?) sopra la testa di un giovane stante, che tiene in una mano un ramo, nell’altra una lancia; tra
di essi un’ara fiammeggiante. Madrid, Museo Archeologico Nazionale. Da Casal García 1990, II, p. 104, n. 100; i) intaglio in agata. Amore stante su un podio posa una corona sopra la testa di un giovane stante, che tiene in una mano
una freccia, nell’altra una lancia; tra di essi un’ara. Ubicazione ignota. Da Kibaltchitch 1910, tav. IX, n. 290.
Tav. XXXIV
a) intaglio in lapislazzuli. Un amore vola portando una corona verso un personaggio adagiato su una roccia (?) tra elementi vegetali. Madrid, Museo Archeologico Nazionale. Da Casal García 1990, II, p. 105, n. 102; b) intaglio in lapislazzuli. Venere nuda stante abbraccia Amore in piedi su un’ara, tra piante e ciuffi d’erba; nel cielo una stella tra le nuvole. Madrid, Museo Archeologico Nazionale. Da Casal García 1990, II, p. 105, n. 101; c) intaglio in agata. Venere nuda
stante abbraccia Amore in piedi su un’ara, tra piante e ciuffi d’erba; nel cielo una stella tra le nuvole. Firenze, Museo
degli Argenti. Da Gennaioli 2007, p. 385, n. 543 (Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali); d) intaglio in agata zonata. Guerriero, seduto su un trofeo, afferra con una mano la lancia e tiene nell’altra un elmo; in alto
una stella tra le nuvole, in basso ciuffi d’erba. Cambridge, Fitzwilliam Museum. Beazley Archive (Foto B. Wilkins);
e) intaglio in agata zonata. Guerriero stante si appoggia col gomito ad una colonnina e tiene nella mano protesa un
elmo; in alto una stella tra le nuvole, in basso sul suolo erboso corazza, scudo e lance. Tours, Musée des Beaux-Arts.
Da Collection Signol 1997, p. 59, n. 161; f ) intaglio in agata. Guerriero, seduto su di un trofeo di armi, tiene nella mano
protesa un elmo e nell’altra un’asta; in alto una stella tra le nuvole, in basso ciuffi d’erba. Firenze, Museo degli Argenti. Da Gennaioli 2007, p. 375, n. 514 (Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali); g) intaglio in lapislazzuli. Apollo tende la mano verso Dafne che si sta trasformando in albero. Monaco, Staatliche Münzsammlung.
Da Weber 1992, pp. 190-191, n. 243; h) intaglio in agata zonata. Eros e Anteros (?) colgono e tengono in mano alberelli e rami Monaco, Staatliche Münzsammlung. Da Weber 2001, pp. 160-161, n. 306; i) intaglio in agata. Figura maschile, seduta su un tronco d’albero, tiene nella mano cinque serpenti davanti a un’ara accesa; nel campo due scorpioni e
dei segni, in alto corre sulle nuvole un’altra figura maschile con il dito alzato. Monaco, Staatliche Münzsammlung. Da
Weber 2001, pp. 177-178, n. 355.
Tav. XXXV
a) intaglio in corniola. Due figure maschili, una seduta su una roccia (?) dietro la quale vi è un albero, un’altra stante
con una freccia in mano. Ubicazione ignota. Da Kibaltchitch 1910, tav. IX, n. 286; b) intaglio. Una coppia è aggiogata
ad un carro sul quale sta in piedi Amore con una spada in mano e nell’altra una bilancia; nel campo un cuore trafitto da frecce, sul suolo fiori e ciuffi d’erba. Vienna, Kunsthistorisches Museum. Da Kris 1929, tav. 99, n. 420; c) intaglio
in corniola. Figura maschile nuda stante tiene una freccia in una mano. Como, Museo Civico Archeologico “Giovio”.
Tassinari 2010b, p. 172, fig. 12; d) intaglio in corniola. Guerriero nudo stante si appoggia all’asta e tiene forse un arco
nella mano abbassata. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 666 (Foto E. Ceolin); e) intaglio in corniola. Guerriero nudo stante si appoggia alla lancia e posa una mano sullo scudo. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 667 (Foto E. Ceolin); f ) intaglio in corniola. Guerriero nudo stante si appoggia all’asta e tiene
una frusta (?) nella mano. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 668 (Foto E. Ceolin); g) intaglio in
corniola. Guerriero nudo stante si appoggia all’asta e posa la mano abbassata sullo scudo. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 671 (Foto E. Ceolin); h) intaglio in corniola. Ercole stante impugna l’arco con una mano
e poggia l’altra sulla clava a terra. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 672 (Foto E. Ceolin); i) intaglio in corniola. Armato stante con asta in una mano, braccio al fianco, manto rigonfio ad arco. Verona, Civici Musei
d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 673 (Foto E. Ceolin).
Tav. XXXVI
a) intaglio in lapislazzuli. Figura maschile stante, nuda, con un braccio flesso e alzato e in mano un oggetto tondo, l’altro abbassato tiene un ramo con foglie; per terra è ritta una fiaccola (?). Udine, Civici Musei. Foto Musei; b) intaglio
in lapislazzuli. Figura maschile stante, nuda, tiene nelle mani due attributi non chiari. Udine, Civici Musei. Foto Musei; c) intaglio in lapislazzuli. Muzio Scevola stante tiene una mano sulla fiamma di un’ara e con l’altra stringe un’asta.
Firenze, Museo degli Argenti. Da Gennaioli 2007, p. 415, n. 637 (Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività
Culturali); d) intaglio in lapislazzuli. Muzio Scevola stante tiene una mano sulla fiamma di un’ara e con l’altra stringe un’asta. Ubicazione ignota. Da Gronovius 1695, p. 23, n. 207; e) intaglio in eliotropio. Muzio Scevola stante tiene la
mano sulla fiamma di un’ara e con l’altra stringe un’asta. Bologna, Museo Civico Archeologico. Da Mandrioli Bizzarri
1987, p. 147, n. 287; f ) intaglio in corniola. Apollo citaredo incedente, con un lungo mantello sulle spalle. Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria. Vitellozzi 2010, p. 468, n. 566 (Foto P. Vitellozzi); g) intaglio in lapislazzuli.
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
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Figura femminile stante, in un lungo chitone, tiene un bastone in una mano e una spiga o una fronda nell’altra. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 662 (Foto E. Ceolin); h) intaglio in corniola. Cerere stante, con scettro e fiaccola o Tyche con timone. Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria. Vitellozzi 2010, pp. 469-470, n.
568 (Foto P. Vitellozzi); i) intaglio in agata. Figura femminile incedente porta tra le mani una patera con offerte (?) verso un’altra figura femminile (?) stante che ha in mano una freccia e nell’altra un ramo; tra le due figure un vaso con
rami; in alto delle stelle, in basso ciuffi d’erba. Vienna, Kunsthistorisches Museum. Da Kris 1929, tav. 99, n. 427.
Tav. XXXVII
a) intaglio in eliotropio, frammentario. Fortuna-Minerva stante, con elmo e chitone, tiene in una mano la cornucopia,
nell’altra il timone. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 675 (Foto E. Ceolin); b) intaglio in agata. Fortuna-Minerva stante, con elmo e chitone, tiene in una mano un ramo, nell’altra il timone. Ubicazione ignota, già
collezione de Wilde. Da De Wilde 1703, tav. 27, n. 104; c) intaglio in lapislazzuli. Vulcano seduto, in atto di martellare un oggetto che però manca; accanto a lui Atena stante. Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung. Da Tassinari 1996, pp. 163-164, n. 8, fig. 8; d) intaglio in corniola. Figura femminile, incedente di profilo, porta un ramo in una
mano. Ubicazione ignota. Da Gronovius 1695, p. 31, n. 292; e) intaglio in corniola. Mercurio stante solleva una patera e stringe il caduceo (?). Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 678 (Foto E. Ceolin); f ) intaglio in
corniola. Minerva (?) stante, con chitone e himation, in una mano sollevata tiene la lancia, nell’altra un frutto. Verona,
Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 679 (Foto E. Ceolin, G. Fogliata); g) intaglio in corniola. Figura femminile stante posa una mano su un’ancora, tiene l’altra sollevata con un dito puntato verso l’alto. Cambridge, Fitzwilliam Museum. Beazley Archive (Foto B. Wilkins); h) intaglio in corniola. Figura femminile seduta che nella mano protesa tiene un ramo di palma. Budapest, Museo Nazionale Ungarico. Gesztelyi 2000, p. 169, n. 305; i) intaglio in agata
striata. Venere-Roma, seduta su una corazza cui sono appoggiati due scudi, alza le braccia e posa la mano sulla lancia; davanti a lei una fiiaccola accesa. Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria. Vitellozzi 2010, p. 472, n.
572 (Foto P. Vitellozzi).
Tav. XXXVIII
a) intaglio in agata. Guerriero nudo, stante, si appoggia alla lancia e posa una mano sullo scudo. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 677 (Foto E. Ceolin); b) intaglio in lapislazzuli. Figura femminile incedente, nella mano protesa tiene una tazza (?) sopra un altare a forma di colonna (?) e nell’altra mano una fiaccola (?). Vienna,
Kunsthistorisches Museum. © Kunsthistorisches Museum Wien, Antikensammlung (Foto I. Luckert); c) intaglio in lapislazzuli. Figura maschile, seduta, protende una mano verso un sostegno non precisabile e appoggia l’altra al sedile.
Vienna, Kunsthistorisches Museum. © Kunsthistorisches Museum Wien, Antikensammlung (Foto I. Luckert); d) intaglio in agata zonata. Figura maschile, seduta, in una mano protesa tiene una patera (?); dietro un caduceo (?). Vienne,
Musée des Beaux-Arts. Foto Musées de Vienne; e) intaglio in corniola. Personaggio stante nudo, di profilo, con un oggetto non definibile. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 680 (Foto E. Ceolin); f ) intaglio in corniola. Eros avanzante, di profilo, tra le mani tiene un frutto o una palla. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009,
tav. XLIV, n. 682 (Foto E. Ceolin); g) intaglio in corniola. Amore stante, di profilo, con le mani stese tiene un tridente.
Budapest, Museo Nazionale Ungarico. Gesztelyi 2000, p. 169, n. 310; h) intaglio in calcedonio. Figura stante con un’asta
in una mano e un bastone (?) nell’altra. Modena, Museo Civico d’Arte. Modena, Archivio fotografico del Museo Civico d’Arte (Foto G. Roncaglia); i) intaglio in agata zonata. Figura maschile seduta su un tronco d’albero su cui appoggia una mano; nell’altra protesa tiene un elmo. Madrid, Museo Archeologico Nazionale. Da Casal García 1990, II, p.
119, n. 171.
Tav. XXXIX
a) intaglio in corniola. Figura maschile seduta su un tronco d’albero in atto di suonare uno strumento. Ubicazione ignota, già collezione de Wilde. Da De Wilde 1703, tav. 39, n. 147; b) intaglio in agata. Figura maschile inginocchiata, con
panneggio ad arco, in atto di suonare uno strumento. Leida, Royal Coin Cabinet. Da De Wilde 1703, tav. 3, n. 9; c) intaglio in diaspro zonato. Figura maschile seduta su un tronco d’albero con un albero tra le mani. Madrid, Museo Archeologico Nazionale. Da Casal García 1990, II, p. 120, n. 176; d) intaglio in corniola. Mercurio seduto su un tronco
d’albero su cui appoggia una mano; nell’altra protesa tiene il caduceo; al di sotto un elemento vegetale. Firenze, Museo degli Argenti. Da Gennaioli 2007, p. 380, n. 530 (Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali);
e) intaglio in diaspro. Figura maschile seduta su un tronco d’albero con un globo tra le mani. Madrid, Museo Archeologico Nazionale. Da Casal García 1990, II, p. 120, n. 177; f ) intaglio in agata verde (?). Una figura maschile stante taglia uno dei grappoli d’uva, un’altra li pigia in una tinozza. Leida, Royal Coin Cabinet. Da De Wilde 1703, tav. 39, n.
145; g) intaglio in lapislazzuli. Figura maschile incedente, con panneggio ad arco, tiene in mano una serpe. Ubicazione ignota, già collezione de Wilde. Da De Wilde 1703, tav. 37, n. 140; h) intaglio in corniola. Apollo stante posa una
mano sulla lira e l’altra su un tronco d’albero; Marsia suona, seduto su un tronco d’albero. Leida, Royal Coin Cabinet.
Da De Wilde 1703, tav. 21, n. 78; i) intaglio in sardonice. L’imperatore, seduto, riceve l’omaggio di un barbaro inginoc-
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GABRIELLA TASSINARI
[RdA 34
chiato che gli porge un globo; sulla destra un soldato; sullo sfondo un albero. Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria. Vitellozzi 2010, p. 479, n. 582 (Foto P. Vitellozzi).
Tav. XL
a) intaglio in lapislazzuli. Vulcano barbato, seduto di profilo, alza il braccio col martello in atto di colpire un elmo collocato su una piccola incudine posta su un basamento cilindrico; sullo sfondo si stagliano due lance. Roma, Musei Capitolini. Da Tassinari 1996, pp. 164-165, n. 9, fig. 9; b) intaglio in agata. Figura maschile (Vulcano o Dedalo) barbata,
seduta di profilo, alza il braccio col martello per forgiare un’ala collocata su una piccola incudine posta su una roccia.
Disperso, già appartenente a Johann Friedrich Christ, a Lipsia. Calco nella collezione di Philipp Daniel Lippert (Foto
Istituto Archeologico Germanico, Roma); c) intaglio in lapislazzuli. Figura femminile incedente, con mantello ad arco,
tiene in una mano protesa un globo e nell’altra uno scettro (?); ai suoi piedi uno scudo e delle lance. Budapest, Museo Nazionale Ungarico. Gesztelyi 2000, p. 168, n. 299; d) intaglio in corniola. Figura femminile, di profilo, con veste
svolazzante e mantello ad ampio arco, incedente a braccia tese in avanti, porta una benda (?) tra le mani; davanti a lei
un’asta (?) o una colonnina (?). Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 683 (Foto G. Fogliata); e) intaglio in lapislazzuli. Figura femminile, incedente di profilo, con veste svolazzante e mantello ad ampio arco, porta nella
mano protesa un fiore (?); davanti a lei un vaso di fiori. Ubicazione ignota. Da Gronovius 1695, p. 50, n. 563; f ) intaglio
in lapislazzuli. Eroe nudo seduto, nella mano protesa tiene una Vittoria; ai suoi piedi elmo, corazza, scudi, lance; davanti un pilastro con in cima un globo. Monaco, Staatliche Münzsammlung. Da Weber 2001, pp. 183-184, n. 377; g) intaglio in agata. Eroe nudo, seduto, nella mano protesa tiene una Vittoria; dietro di lui un elmo, davanti un pilastro
con in cima un globo e sotto corazza, scudi, lance. Collezione privata (Foto C. Wagner); h) intaglio. Eroe nudo, seduto, nella mano protesa tiene una Vittoria; davanti un pilastro con in cima un globo. Ubicazione ignota. Calco nella raccolta Tassie. Raspe 1791, n. 7846. Beazley Archive, Oxford University; i) intaglio in lapislazzuli. Figura femminile stante, panneggiata, appoggiata ad un pilastrino, tiene una cornucopia mentre con l’altra mano brucia con una face accesa
un trofeo di armi di fronte a lei. Ubicazione ignota. Da Gronovius 1695, p. 23, n. 198.
Tav. XLI
a) intaglio in lapislazzuli. Apollo stante sta per prendere Dafne con le braccia alzate già in parte mutate in rami di alloro. Firenze, Museo degli Argenti. Da Gennaioli 2007, p. 389, n. 556 (Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali); b) intaglio in eliotropio. Venere abbraccia Marte seduto, Amore tiene in mano un ramo; una corazza
è appesa ad un albero. Monaco, Staatliche Münzsammlung. Da Weber 1992, p. 244, n. 376; c) intaglio in lapislazzuli.
Apollo seduto tiene una lira appoggiata alla gamba; dietro di lui la faretra con le frecce; davanti due flauti piantati nel
terreno. Parigi, Cabinet des médailles. Calco nella raccolta Tassie. Raspe 1791, n. 2987. Beazley Archive, Oxford University; d) intaglio in lapislazzuli. Una figura femminile stante (Onfale?) tiene un ramo e guarda Ercole seduto con la
clava. Monaco, Staatliche Münzsammlung. Da Weber 2001, p. 162, n. 310; e) intaglio in lapislazzuli. Scena di sacrificio:
una fanciulla ammantata e un sacerdote barbato sacrificano sopra la fiamma di un altare; in secondo piano due figure, una maschile e una femminile; nel campo un albero. Disperso. Da Maffei 1707-1709, vol. IV, tav. XCVII; f ) intaglio
in lapislazzuli. Scena di sacrificio: una fanciulla ammantata e un sacerdote barbato sacrificano sopra la fiamma di un
altare; in secondo piano due figure una maschile e una femminile; nel campo un albero. Disperso. Calco nella raccolta
Tassie. Raspe 1791, n. 8390. Beazley Archive, Oxford University; g) intaglio in lapislazzuli. Scena di sacrificio: un gruppo di sei figure (tra cui un giovane con una patera, un uomo barbuto con un’ascia sulla spalla, un altro col capo velato
e una donna ammantata) accompagnano verso un’ara un toro al sacrificio; sullo sfondo un tempio tetrastilo. Disperso,
già del cardinale Albani. Calco nella raccolta Tassie. Raspe 1791, n. 8501. Beazley Archive, Oxford University.
Tav. XLII
a) intaglio in lapislazzuli. Il brigante Caco tira un bue per la coda; sullo sfondo un paesaggio con una volpe e degli alberi. Parigi, Cabinet des médailles. Da Mariette 1750, vol. II, tav. LXXXIX; b) intaglio in lapislazzuli. Il brigante Caco
tira un bue per la coda; sullo sfondo un paesaggio con una volpe e degli alberi. Parigi, Cabinet des médailles. Calco nella raccolta Tassie. Raspe 1791, n. 5784. Beazley Archive, Oxford University; c) intaglio in lapislazzuli. Una figura
femminile (il genio di Alessandria di Egitto?), sedente in riva al fiume, appoggia il gomito sulla testa del Nilo, tiene
lo scettro con una mano e posa l’altra sopra un paniere, pieno di grano, su cui pone la mano anche un fanciullo; sullo
sfondo tre edifici (templi o i granai di Alessandria), un coccodrillo e vari animali con un pastore; in basso barche in acqua. Disperso, già della collezione di Leonardo Agostini. Da Maffei 1707-1709, vol. IV, n. XXX; d) intaglio in lapislazzuli. Una figura femminile (il genio di Alessandria di Egitto?), sedente in riva al fiume, appoggia il gomito sulla testa
del Nilo, tiene lo scettro con una mano e posa l’altra sopra un paniere, pieno di grano, su cui pone la mano anche un
fanciullo; sullo sfondo tre edifici (templi o i granai di Alessandria), un coccodrillo e vari animali con un pastore; in basso barche in acqua. Disperso, già della collezione di Leonardo Agostini. Calco in zolfo rosso Dehn-Dolce, Milano, Gabinetto Numismatico, Raccolte Artistiche, cassetta O (14), n. 33. Foto Gabinetto Numismatico; e) intaglio in lapislazzuli. Piritoo, amico di Teseo, viene ucciso e divorato dal cane Cerbero, all’inferno. Disperso, già del museo Dehn. Calco
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
131
in zolfo rosso Dehn-Dolce, Milano, Gabinetto Numismatico, Raccolte Artistiche, cassetta P (15), n. 53. Foto Gabinetto
Numismatico; f ) intaglio in lapislazzuli. Venere o una Nereide tiene un ramo, portata da un mostro marino tra i flutti del mare; un amorino la segue, sollecitando l’animale. Disperso, già della collezione di Leonardo Agostini. Da Maffei 1707-1709, vol. III, pp. 13-14, n. 6.
Tav. XLIII
a) intaglio in lapislazzuli. Vulcano seduto sopra una corazza, dietro alla quale vi è uno scudo, abbraccia Venere, nuda,
in piedi a guardare il Ciclope seduto a forgiare un’arma (?) posta sopra un’incudine; sotto il sedile del Ciclope sta Cupido con l’arco. Già del Conte Alessandro di Voranzoff. Da Bracci 1786, tav. XVIII, n. II; b) intaglio in lapislazzuli.
Vulcano con il martello, seduto sopra il tronco di un albero, Minerva stante armata accanto a lui. Calco nella raccolta
Tassie. Raspe 1791, n. 6474. Beazley Archive, Oxford University; c) intaglio in lapislazzuli. Figura femminile stante sacrifica su un’ara fiammeggiante un ariete; accanto a lei un amore tiene una torcia accesa. San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage. Foto Museo; d) intaglio in lapislazzuli. Menade incedente, con un pugnale nel petto, la testa piegata
al­l’indietro, in atteggiamento estatico. Monaco, Staatliche Münzsammlung. Da Weber 1992, p. 236, n. 361; e) intaglio in
lapi­slazzuli. Menade incedente, con un pugnale nel petto, la testa piegata all’indietro, in atteggiamento estatico (Calliroe si ferisce il petto). Già nel Museo di Marco Antonio Sabbatini. Disperso (o forse da identificare con l’intaglio precedente). Da Maffei 1707-1709, vol. IV, n. XXXIII; f ) intaglio in lapislazzuli. Busti di profilo di Ercole e Onfale (o Jole).
San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage. Foto Museo; g) intaglio in lapislazzuli. Mercurio con il caduceo in mano
e Fortuna con la cornucopia, stanti uno accanto all’altro, si stringono la mano. San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage. Foto Museo; h) intaglio in lapislazzuli. La Pace e l’Abbondanza. Calco in zolfo rosso Dehn-Dolce, Milano, Gabinetto Numismatico, Raccolte Artistiche, cassetta K (10), n. 70. Foto Gabinetto Numismatico.
Tav. XLIV
a) intaglio in lapislazzuli. Su un lato Nettuno stante nel suo carro tirato da due cavalli; sull’altro lato due mani unite con in mezzo un caduceo, due cornucopie e al di sotto l’iscrizione PAX. Calco nella raccolta Tassie. Raspe 1791, nn.
2577-2578. Beazley Archive, Oxford University; b) intaglio in lapislazzuli. Una figura femminile e un’altra maschile
stanti si abbracciano (Venere e Adone?). Calco nella raccolta Tassie. Raspe 1791, n. 6501. Beazley Archive, Oxford University; c) intaglio in lapislazzuli. Una figura femminile stante, orante verso Artemide Efesia. Calco nella raccolta Tassie. Raspe 1791, n. 2077. Beazley Archive, Oxford University; d) intaglio in lapislazzuli. Muzio Scevola in piedi tiene
una lancia in una mano e pone l’altra sul braciere ardente di fronte al re Porsenna, seduto con scettro e una mano alzata; in alto vola una Vittoria con una corona su Muzio Scevola. Disperso, già collezione de Wilde. Da De Wilde 1703,
tav. 28, n. 105; e) intaglio in lapislazzuli. Figura maschile incedente tiene un oggetto indefinito in una mano protesa;
accanto un albero. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 686 (Foto E. Ceolin); f ) intaglio in lapislazzuli. Roma (?), con elmo, regge un globo; un braccio e una gamba sono tese in avanti. Verona, Civici Musei d’Arte.
Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 687 (Foto E. Ceolin); g) intaglio in lapislazzuli. Venere vincitrice stante, di spalle, seminuda, con il gomito si appoggia a una colonnina; tiene in una mano un elmo, mentre con l’altra regge una lancia, ai piedi della dea uno scudo. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 685 (Foto E. Ceolin, G. Fogliata); h) intaglio in lapislazzuli. Venere nuda stante, di profilo, piegata a scherzare con Cupido. Disperso, già collezione Praun. Calco nella raccolta Tassie.
Raspe 1791, n. 6334. Beazley Archive, Oxford University.
Tav. XLV
a) intaglio in lapislazzuli. Marsia stante suona i flauti davanti ad Apollo con la lira, seduto su un tronco d’albero. Ubicazione ignota, già collezione de Wilde. Da De Wilde 1703, pp. 155-156, tav. 44, n. 164; b) intaglio in lapislazzuli. Le tre Grazie. San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage. Foto Museo; c) intaglio in lapislazzuli, spezzato. Minerva stante, con
elmo e lungo chitone, solleva in una mano una Nike, nell’altra abbassata tiene l’asta. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 684 (Foto E. Ceolin); d) intaglio in lapislazzuli. Un erote o una Vittoria sacrifica un toro, sollevandone la gola. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 689 (Foto E. Gagetti); e) intaglio in corniola, scheggiato. Testa di re con corona o di Helios, di profilo. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 691 (Foto E.
Gagetti); f ) intaglio in corniola. Testa di re con corona o di Helios, di profilo. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009,
tav. XLV, n. 692 (Foto E. Gagetti); g) intaglio in lapislazzuli. Testa di re con corona o di Helios, di profilo. Verona, Civici
Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLV, n. 693 (Foto E. Gagetti); h) intaglio in lapislazzuli. Testa di re o di Helios, di profilo. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLV, n. 694 (Foto E. Gagetti); i) intaglio in agata zonata. Busto maschile armato con testa radiata di profilo. Bologna, Museo Civico Archeologico. Da Mandrioli Bizzarri 1987, p. 155, n. 312.
Tav. XLVI
a) intaglio in corniola. Busto maschile panneggiato con testa di profilo con corona. Inv. n. 1024; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei; b) intaglio in corniola. Testa maschile di profilo con corona. Cambridge, Fitzwilliam Museum.
132
GABRIELLA TASSINARI
[RdA 34
Beazley Archive (Foto B. Wilkins); c) intaglio in lapislazzuli. Testa di profilo con i capelli cinti da una tenia. Cambridge, Fitzwilliam Museum. Beazley Archive (Foto B. Wilkins); d) intaglio in corniola. Testa maschile di profilo con i capelli cinti da una corona di alloro. Ubicazione ignota, già collezione Vimercati Sozzi, Bergamo. Tassinari c.s.a, n. 383;
e) intaglio in corniola. Testa maschile di profilo con i capelli cinti da una tenia. Inv. n. 717; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei; f ) intaglio in lapislazzuli, scheggiato. Testa maschile di profilo con i capelli cinti da una corona di alloro. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLV, n. 696 (Foto G. Fogliata); g) intaglio in diaspro rosso. Testa
maschile di profilo con i capelli cinti da una tenia; nel campo un caduceo (?). Modena, Museo Civico d’Arte. Modena,
Archivio fotografico del Museo Civico d’Arte (Foto G. Roncaglia); h) intaglio in corniola. Testa maschile di profilo con
i capelli cinti da una tenia. Inv. n. 83; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei; i) intaglio in corniola. Testa maschile
di profilo con i capelli cinti da una tenia. Inv. n. 806; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei.
Tav. XLVII
a) intaglio in eliotropio. Busto maschile di profilo armato, con i capelli cinti da una corona di alloro. Firenze, Museo
degli Argenti. Da Gennaioli 2007, p. 449, n. 723 (Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali); b) intaglio in corniola. Busto maschile di profilo panneggiato, con i capelli cinti da una corona di alloro. Inv. n. 763; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei; c) intaglio in corniola. Busto maschile di profilo panneggiato, con i capelli cinti da
una corona di alloro. Inv. n. 1065; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei; d) intaglio in corniola. Busto maschile di
profilo panneggiato, con i capelli cinti da una corona di alloro. Inv. n. 769; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei);
e) intaglio in corniola. Busto femminile di profilo, con i capelli raccolti dietro la nuca in uno chignon da cui discende
un doppio nastro. Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria. Vitellozzi 2010, p. 487, n. 596 (Foto P. Vitellozzi); f ) intaglio in corniola, scheggiato. Busto femminile di profilo, con i capelli che terminano in un alto chignon e cinti da un diadema (?). Modena, Museo Civico d’Arte. Modena, Archivio fotografico del Museo Civico d’Arte (Foto G.
Roncaglia); g) intaglio in corniola. Testa femminile di profilo, con i capelli che terminano in una crocchia in alto e cinti
da una tenia. Bari, Museo Archeologico. Da Tamma 1991, p. 90, n. 152; h) intaglio in corniola. Testa maschile di profilo, coperta da un elmo. Inv. n. 1118; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei; i) intaglio in calcedonio. Testa maschile
di profilo con corona stilizzata e capelli avvolti intorno ad un cercine (?). Modena, Museo Civico d’Arte. Modena, Archivio fotografico del Museo Civico d’Arte (Foto G. Roncaglia).
Tav. XLVIII
a) intaglio in corniola. Busto maschile panneggiato di profilo, con barba e baffi; la testa è quasi calva, con pochi capelli. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLV, n. 699 (Foto E. Gagetti); b) intaglio in agata zonata, scheggiato.
Busto maschile panneggiato di profilo, con barba e baffi; la testa è quasi calva, con pochi capelli. Verona, Civici Musei
d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLV, n. 700 (Foto E. Gagetti); c) intaglio in corniola. Busto maschile panneggiato di profilo,
con barba, baffi e capelli cinti da un nastro. Como, Museo Civico Archeologico “Giovio”. Tassinari 2010b, p. 172, fig.
15; d) intaglio in diaspro rosso. Busto maschile panneggiato di profilo con barba, baffi e capelli cinti da un nastro. Modena, Museo Civico d’Arte. Modena, Archivio fotografico del Museo Civico d’Arte (Foto G. Roncaglia); e) intaglio in
corniola. Busto maschile panneggiato di profilo con barba, baffi e capelli cinti da un nastro. Inv. n. 190; inedito. Udine,
Civici Musei. Foto Musei; f ) intaglio in corniola. Busto maschile panneggiato di profilo, con barba e baffi; la testa è in
parte calva, con ciocche di riccioli che circondano la nuca. Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria. Vitellozzi 2010, pp. 482-483, n. 588 (Foto P. Vitellozzi); g) intaglio in corniola. Busto maschile di profilo con barba e capelli cinti da un diadema. Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria. Vitellozzi 2010, p. 483, n. 589 (Foto P. Vitellozzi); h) intaglio in corniola. Busto maschile di profilo con barba e baffi. Inv. n. 1081; inedito. Udine, Civici Musei.
Foto Musei; i) intaglio in calcedonio. Busto maschile di profilo con barba, baffi e capelli cinti da una tenia. Cambridge,
Fitzwilliam Museum. Beazley Archive (Foto B. Wilkins).
Tav. XLIX
a-b) intaglio in corniola. Busto maschile panneggiato di profilo con barba, baffi e capelli cinti da una tenia; sul retro le
insegne della famiglia Johnson. Cambridge, Fitzwilliam Museum. Beazley Archive (Foto B. Wilkins); c) intaglio in lapislazzuli. Busto maschile panneggiato, testa di profilo, con barba fluente e capelli lunghi e raccolti in parte in un ciuffo sulla sommità del capo. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLV, n. 697 (Foto E. Gagetti); d) intaglio in
agata. Testa maschile di profilo, con barba fluente e capelli lunghi cinti da un nastro. Cambridge, Fitzwilliam Museum.
Beazley Archive (Foto B. Wilkins); e) intaglio in corniola. Testa maschile giovanile di profilo con folti capelli. Como,
Museo Civico Archeologico “Giovio”. Tassinari 2010b, p. 172, fig. 13.
Tav. L
a) intaglio in corniola. Testa maschile giovanile di profilo con folti capelli. Inv. n. 1047; inedito. Udine, Civici Musei.
Foto Musei; b); intaglio in corniola. Testa maschile giovanile di profilo con capelli cinti da una tenia. Verona, Civici
2010]
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
133
Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLV, n. 698 (Foto E. Gagetti); c) intaglio in corniola. Testa giovanile di profilo con
lunghi capelli cinti da una tenia. Como, Museo Civico Archeologico “Giovio”. Tassinari 2010b, p. 172, fig. 14; d) intaglio in corniola. Testa giovanile di profilo con lunghi capelli cinti da una tenia. Inv. n. 864; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei; e) intaglio in corniola. Testa di giovane di profilo con i capelli cinti da una tenia e raccolti in uno chignon. Inv. n. 879; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei; f ) intaglio in corniola. Busto panneggiato, testa maschile di
profilo con baffi e barba, coperta da un elmo. Modena, Museo Civico d’Arte. Modena, Archivio fotografico del Museo
Civico d’Arte (Foto G. Roncaglia); g) intaglio in corniola. Busto panneggiato, testa maschile di profilo con baffi e barba, coperta da un elmo. Inv. n. 1018; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei; h) intaglio in agata zonata, mancante di
una parte inferiore. Busto panneggiato, testa di profilo che indossa un elmo, da cui fuoriescono lunghi capelli. Inv. n.
694; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei.
Tav. LI
a-b) intaglio in lapislazzuli esagonale con un foro, inciso su entrambi i lati con una testa maschile di profilo con elmo (?).
Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLV, n. 695 (Foto E. Gagetti); c) intaglio in corniola. Testa maschile di
profilo, barbata, con elmo. Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria. Vitellozzi 2010, p. 484, n. 591 (Foto P.
Vitellozzi); d) intaglio in corniola. Busto panneggiato, testa maschile di profilo coperta da un particolare copricapo. Budapest, Museo Nazionale Ungarico. Gesztelyi 2000, p. 174, n. 328; e) intaglio in corniola, frammentario. Testa maschile di profilo con elmo. Cambridge, Fitzwilliam Museum. Beazley Archive (Foto B. Wilkins); f ) intaglio in lapislazzuli. Busto femminile panneggiato, di profilo, con corona di foglie tra i lunghi capelli. Firenze, Museo degli Argenti. Da
Gennaioli 2007, p. 391, n. 562 (Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali); g) intaglio in lapislazzuli. Una testa maschile e una femminile affrontate, identificate come Germanico e Agrippina. Disperso, già della collezione di Leonardo Agostini. Da Maffei 1707-1709, vol. I, p. 26, n. 20.
Tav. LII
a) intaglio in lapislazzuli. Busto maschile armato di profilo, con uno strano elmo e pennacchio. Madrid, Museo Archeo­
logico Nazionale. Da Casal García 1990, II, p. 107, n. 108; b) intaglio in diaspro variegato. Due teste barbate unite, di
profilo, una a sinistra, l’altra a destra, impostate su un busto togato (Giano?). New York, The Metropolitan Mu­seum
of Art. Calco nella raccolta Tassie. Raspe 1791, n. 773. Beazley Archive, Oxford University; c) intaglio in lapislazzuli. La
Madonna stante con in braccio Gesù bambino benedicente. Monaco, Staatliche Münzsammlung. Da Weber 2001, p. 163,
n. 312; d) intaglio in corniola. S. Andrea stante. Vienna, Kunsthistorisches Museum. © Kunsthistorisches Mu­seum Wien,
Antikensammlung (Foto I. Luckert); e) intaglio in lapislazzuli. Busto femminile panneggiato, di profilo, con un’elaborata pettinatura. Firenze, Museo degli Argenti. Da Gennaioli 2007, pp. 426-427, n. 670 (Su concessione del Ministero per
i Beni e le Attività Culturali); f ) intaglio in lapislazzuli. Busto maschile con barba e baffi, panneggiato, di profilo, con
corona; al di sotto due lettere A D (imperatore M. Aurelio Claudio, il Gotico). Disperso. Calco in zolfo rosso Dehn-Dolce, Milano, Gabinetto Numismatico, Raccolte Artistiche, cassetta AA (25), n. 191. Foto Gabinetto Numismatico; g) intaglio in lapislazzuli. Minerva incedente, con elmo corinzio e lungo peplo, impugna la lancia, mentre l’altro braccio proteso sorregge lo scudo. Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria. Vitellozzi 2010, pp. 228-229, n. 242 (Foto
P. Vitellozzi); h) intaglio in lapislazzuli. Vittoria alata incedente, con lungo chitone, con una mano sorregge una corona,
con l’altra impugna una fronda di palma che porta in spalla. Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria. Vitellozzi 2010, p. 259, n. 287 (Foto P. Vitellozzi); i) intaglio in lapislazzuli. Marte gradivo che porta un trofeo; nel campo
una stella. Ubicazione ignota, già collezione von Gleichen. Calco nella raccolta Tassie. Raspe 1791, n. 7351 (ma è scritto, errato, n. 7451). Beazley Archive, Oxford University.
Tav. LIII
a) intaglio in lapislazzuli. Figura maschile, seduta su di un trofeo di armi (corazza, due lance e scudo) a cui si appoggia con una mano; con l’altra protesa tiene un elmo. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 661 (Foto
E. Ceolin); b) intaglio in lapislazzuli. Erote stante mette una mano sull’arco poggiato a terra, mentre tiene una freccia (?) nell’altra. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 663 (Foto E. Ceolin); c) intaglio in lapislazzuli. Figura maschile stante, nuda, con un braccio flesso e alzato e in mano un oggetto tondo, l’altro abbassato tiene
un ramo con foglie; per terra è ritta una fiaccola (?). Udine, Civici Musei. Foto Musei; d) intaglio in lapislazzuli. Figura femminile stante, in lungo chitone, tiene un bastone in una mano e una spiga o una fronda nell’altra. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 662 (Foto E. Ceolin); e) intaglio in lapislazzuli. Vulcano barbato, seduto di
profilo, alza il braccio col martello in atto di colpire un elmo collocato su una piccola incudine posta su un basamento cilindrico; sullo sfondo si stagliano due lance. Roma, Musei Capitolini. Da Tassinari 1996, pp. 164-165, n. 9, fig. 9;
f ) intaglio in lapislazzuli. Figura femminile stante sacrifica su un’ara fiammeggiante un ariete; accanto a lei un amore tiene una torcia accesa. San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage. Foto Museo; g) intaglio in lapislazzuli. Busti
di profilo di Ercole e Onfale (o Jole). San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage. Foto Museo; h) intaglio in lapislazzuli. Mercurio con il caduceo in mano e Fortuna con la cornucopia, stanti uno accanto all’altro, si stringono la mano.
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GABRIELLA TASSINARI
[RdA 34
San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage. Foto Museo; i) intaglio in lapislazzuli. Figura maschile incedente tiene
un oggetto indefinito in una mano protesa; accanto un albero. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV,
n. 686 (Foto E. Ceolin).
Tav. LIV
a) intaglio in lapislazzuli. Roma (?), con elmo, regge un globo; un braccio e una gamba sono tese in avanti. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 687 (Foto E. Ceolin); b) intaglio in lapislazzuli. Venere vincitrice stante,
di spalle, seminuda, con il gomito si appoggia a una colonnina; tiene in una mano un elmo, mentre con l’altra regge
una lancia, ai piedi della dea uno scudo. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 685 (Foto E. Ceolin, G. Fogliata); c) intaglio in lapislazzuli. Le tre Grazie. San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage. Foto Museo; d)
intaglio in lapislazzuli, spezzato. Minerva stante, con elmo e lungo chitone, solleva in una mano una Nike, nell’altra
abbassata tiene l’asta. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 684 (Foto E. Ceolin); e) intaglio in lapislazzuli. Un erote o una Vittoria sacrifica un toro, sollevandone la gola. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009,
tav. XLIV, n. 689 (Foto E. Gagetti); f ) intaglio in lapislazzuli. Testa di re con corona o di Helios, di profilo. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLV, n. 693 (Foto E. Gagetti); g) intaglio in lapislazzuli. Testa di re o di Helios, di
profilo. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLV, n. 694 (Foto E. Gagetti); h-i) intaglio in lapislazzuli esagonale con un foro, inciso su entrambi i lati con una testa maschile di profilo con elmo (?). Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLV, n. 695 (Foto E. Gagetti).
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ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA
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