12 Tusa
Transcript
12 Tusa
RICERCHE ARCHEOLOGICHE SUBACQUEE A PANTELLERIA di Sebastiano Tusa Da poco meno di dieci anni Pantelleria è nuovamente oggetto di attenzione da parte di numerosi archeologi, appassionati e soprattutto delle istituzioni preposte alla ricerca, tutela e valorizzazione (Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Trapani, Gruppo d’Indagine Archeologica Subacquea Sicilia, Università degli Studi di Bologna, Archeoclub d’Italia ed altri). Ciò ha prodotto una gran massa di scoperte, dati e materiali, nonché l’acquisizione di conoscenze maggiori sulla storia dell’importante ruolo dell’isola che, com’è noto, ebbe quale tramite o frontiera tra Europa ed Africa. Ha anche prodotto l’allestimento (ancora provvisorio) nei locali del Castello di una mostra delle centinaia di anfore provenienti da recuperi, scoperte fortuite e sequestri per oltre cinquant’anni. È naturale che il mare abbia giocato un ruolo non indifferente nella sua millenaria antropizzazione, anche se l’isola dimostra anche un fortissimo carattere rurale che tende a farne un microcosmo caratterizzato da svariate forme adattive. La storia dell’isola non dimostra, per la verità, paradossalmente, una forte proiezione marinara. In tempi recenti, soltanto tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900, Pantelleria ebbe una discreta flotta mercantile con la quale esportava i propri preziosi prodotti agricoli, tra cui principalmente zibibbo e moscato. Anche nel passato più remoto non si hanno prove di intraprendenza marinara dell’isola che, tuttavia, fu sempre obbligato scalo intermedio tra Europa ed Africa. Le tracce dei passaggi panteschi le abbiamo in molteplici relitti mediterranei tra cui ricordiamo le macine di trachite di Pantelleria nel relitto del Sec di Maiorca e la zavorra della nave punica di Marsala. Quasi certamente la mancanza di approdi sicuri e di spiagge ebbe un ruolo fondamentale nella scelta agro-pastorale di Pantelleria. Inoltre, come emerge attraverso le più recenti ricerche e scavi, Pantelleria, in uno dei periodi più importanti della sua storia – quello compreso tra l’epoca ellenistica, punica e romana – divenne quasi un sobborgo di Cartagine e comunque ad essa legata da vincoli politici, militari, ma anche commerciali e funzionali, vivendo quasi sempre nell’orbita della potente vicina. Del periodo arcaico, per non parlare della preistoria (particolarmente presente a Pantelleria), non abbiamo alcuna testimonianza sottomarina certa che documenti un rapporto commerciale di scambio attivo né con il Nord-Africa né con la Sicilia, né tanto meno con la penisola italica. Abbiamo, come vedremo, soltanto alcuni lingotti in rame, fortuitamente rinvenuti, che potrebbero attribuirsi vagamente al periodo protostorico. Le anfore puniche più antiche rinvenute in mare sono del tipo T-4.2.1.5. Ma è a partire dalla fine del III sec. a.C. – gli anni della terza guerra punica – quando l’isola viene conquistata da Roma (217 a.C.), che si ha la massima documentazione dei relitti. La distruzione di Cartagine non sembra però mettere in crisi il rapporto commerciale tra Pantelleria ed il Nord-Africa, in quanto sono documentati abbondantemente relitti con anfore cartaginesi fino alla seconda metà del II secolo a.C. La presenza massiccia di relitti di età ellenistica, che associano anfore puniche cartaginesi a quelle romane tirreniche, documenta la probabile esistenza a Pantelleria di un emporio e un centro di smistamento di merci. In particolare gli abbondanti rinvenimenti di anfore puniche © 2004 Casa Editrice Edipuglia, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 125 Sebastiano Tusa 1. - Cala Gadir. 2-3. - Anfore dalla zona del relitto di Cala Gadir. sottolineano lo stretto rapporto dell’isola con Cartagine e il legame culturale che continua anche dopo l’avvento del dominio romano. I relitti di queste navi con carico misto potrebbero riferirsi a delle imbarcazioni di dimensione medio-piccole che svolgevano traffici marittimi con rotte irregolari, facendo diverse soste negli emporia di varie località vendendo e comprando solo parte del carico. La chiave di lettura dell’isola dal punto di vista economico, in età ellenistica, porterebbe a definirla un luogo di smercio per navi provenienti principalmente dalle coste italiche tirreniche che esportavano vino e quelle africane che vendevano prodotti alimentari, come garum, pesce salato, carne salata e frutta secca. Tralasciando per un momento i relitti partiamo proprio dalla sua portualità, o meglio pseudo-portualità antica, per affrontare sommariamente quanto la ricerca archeologica subacquea ha prodotto recentemente. Tali ricerche hanno, infatti, avuto come oggetto principale le uniche tre aree portuali dell’isola, nonché una serie di luoghi di ancoraggio indiziati attraverso la localizzazione di ancore in pietra e piombo. I luoghi tradizionalmente dedicati all’ancoraggio e, quindi, anche all’approdo, sono stati sempre la piccola baia ove sorge l’attuale scalo principale e su cui si specchia il capoluogo dell’isola, sulla costa nordoccidentale, il sistema di approdi di Cala Gadir e Cala Levante, sulla costa orientale, e la baia di Scauri sull’opposta costa occidentale. Gadir A più riprese l’area marina di Cala Gadir era stata visitata sin dagli anni ’50 soprattutto da subacquei animati più da interessi depredatori che scientifici (fig.1). Le prime segnalazioni pseudo-scientifiche risalgono 126 © 2004 Casa Editrice Edipuglia, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Tipo greco-italico tardo tirrenica Tipo T – 5.2.3.1. Tipo T – 7.4.1.1. Tavola 1. - Anfore dal relitto di Cala Gadir (fine del III - inizi del II secolo a.C.). Tipo T – 5.2.3.2 Tipo T – 7.4.2.1. Tipo T – 7.3.1.1.. Tipo T – 7.4.3.1. agli anni ‘60 con i primi recuperi e la notizia di diverse centinaia di anfore giacenti sui fondali. La zona fu anche oggetto di attenzione di rapide ricognizioni effettuate da Lamboglia nel ‘72 e ’73 che portarono al recupero di oltre 100 anfore. Tuttavia nulla di scientificamente apprezzabile si portò a termine in questo luogo che può essere senza timore di smentite definito una delle miniere di anfore tra le più tragicamente ricche del Mediterraneo. Purtroppo l’emorragia anforacea si è articolata attraverso i rivoli di un mercato incontrollato che ha portato centinaia di anfore nei salotti di mezza Italia. Tuttavia ai reperti recuperati da Lamboglia altri se ne sono aggiunti grazie all’intercettazione di carichi in fuga da parte delle forze dell’ordine con la magra consolazione che almeno una selezione tipologica risulta salva. In tempi recenti anche Gadir è stato oggetto delle nostre attenzioni operandovi ricognizioni, rilievi e limitati recuperi indotti da esclusivi motivi di tutela (fig.2). Infine è proprio a Gadir che abbiamo realizzato il primo vero e proprio itinerario archeologico subacqueo d’Italia collegando e valorizzando, mediante didascalie, i numerosi reperti (anfore, ancore e paramezzali) ancora giacenti sui fondali della baia (fig.3). Lo studio delle anfore recuperate ha permesso di identificare almeno due relitti. Il primo relitto (Cala Gadir I) è databile alla fine III / prima metà II secolo a.C. con un carico misto di anfore puniche di tipo T-5.2.3.1., T-5.2.3.2, T7.2.1.1., T-7.3.1.1., T-7.4.1.1., T-7.4.2.1., T-7.4.3.1., prodotte a Cartagine e nei centri punici adiacenti, e greco-italiche tarde tirreniche (tav.1). La maggior parte delle anfore greco italiche presenta all’interno delle abbondanti tracce di residuo di pece, tipico rivestimento delle anfore vinarie romane. Il secondo relitto, © 2004 Casa Editrice Edipuglia, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 127 Tipo Dressel 1A Tipo Dressel 1B Tipo Lamboglia 2 Tipo T – 7.5.1.1. Tipo T – 7.5.2.2. Tipo T – 7.4.3.3. Tipo Dressel 1C Tipo T – 7.5.2.1. Tipo T – 7.6.1.1. Tavola 2. - Anfore dal relitto di Cala Gadir II (fine del II - inizi del I secolo a.C.). 128 © 2004 Casa Editrice Edipuglia, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 4. - Ceppi d’ancora in piombo recuperati dalla zona dei relitti di Cala Gadir. 5. - (a destra) Probabile paramezzale nella zona dei relitti di Cala Gadir. Tavola 3. - Vomere in ferro rinvenuto nell’area dei relitti di Cala Gadir. (Cala Gadir II) è databile tra la fine del II e gli inizi del I secolo a.C. con anfore romane del tipo Dressel 1 (nelle tre varianti A,B,C) e Lamboglia 2, associate a quelle puniche del gruppo T7.0.0.0.(T-7.5.1.1., T-7.5.2.1., T7.5.2.2., T-7.4.3.3., T-7.6.1.1.) prodotte nell’area cartaginese (tav.2). Abbondanti tracce di pece si trovano nelle Dressel 1, A,B,C ed in alcuni tipi di anfore puniche. Le recenti ricognizioni nell’area hanno verificato la presenza ancora di numerosi reperti le cui caratteristiche tipologiche ben poco aggiungono a quanto già evidenziato dagli studi precedenti. In particolare sono stati individuate anfore di tipo greco–italico, punico e romano dei tipi già noti. È stata anche localizzata una grossa marra in piombo (fig.4) e una punta di vomere in ferro probabilmente pertinente la dotazione votiva di uno dei due relitti (tav.3). Sul fondale sabbioso sono anche stati identificati tre probabili paramezzali pertinenti i relitti in questione (fig.5). Nella stessa zona, al fine di verificare l’estensione del sito, si è effettuata un’ampia ricognizione con il veicolo filoguidato Pluto sui fondali che vanno dalla Cala Gadir verso Nord fino alla Punta ‘Armani’. Si sono ispezionati fondali che vanno tra m 50 ed i 120 di profondità per un'estensione totale di circa mq 40.000. Il fondale è caratterizzato da una scarpata che scende con lieve pendio fino a circa m 50 di profondità per poi precipitare fino ad oltre m 100. Si è constatata la presenza di anfore integre in vari punti fino alla profondità massima raggiunta. Le anfore individuate attraverso le immagini video comprendono le consuete tipologie definibili genericamente Maña C 1, Maña C 2, greco-italiche, Dressel 1 A 1, 1 A 2, 1 B, 1 C, 2, 4, 18. Ciò che di nuovo si può dire a proposito di Gadir è che, oltre ad essere sede di almeno due relitti, fu anche un luogo di ancoraggio. E si può anche aggiungere che la dinamica degli affondamenti © 2004 Casa Editrice Edipuglia, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 129 Sebastiano Tusa desunta dalla dispersione dei reperti ancora in situ indica che essi avvennero ad una discreta distanza dalla costa a giudicare dallo scivolamento verso l’alto fondale. 6. - Il porto di Scauri. Scauri 7. - L’area del relitto di Scauri in corso di scavo. 8. - Frammento ligneo e ceramiche nell’area del relitto di Scauri. 130 Nel 1997 una campagna di ricerche effettuate dal GIASS in collaborazione con la Stazione Navale della Guardia di Finanza di Palermo, su segnalazione di Piero Ferrandes, portò alla identificazione, nelle acque antistanti il porticciolo di Scauri, di una vasta concentrazione di materiale ceramico (fig.6). Si trattava principalmente di ceramiche da cucina (pentole, scodelle e coperchi), inquadrabili nella c.d. ‘pantellerian ware’, rinomata e diffusa produzione artigianale di epoca tardoromana imperiale (V sec.d.C.). Da allora si sono effettuate tre campagne di scavo (1999, 2000, 2001) finalizzate alla comprensione dell'esatta natura del contesto mediante scavo estensivo. Con lo scavo sono venuti in luce abbondanti ceramiche del tipo già noto, anche integre, nonché una ricca varietà di reperti di vario tipo e natura (fig.7). I reperti recuperati consistono nella quasi totalità in tre tipologie di oggetti: pentole cilindriche a fondo arrotondato e lati convessi con prese ad orecchia, scodelle tronco-coniche con base piatta ed orlo rivoltato e coperchi con presa a disco (tav.4). In misura molto minore figurano alcune anfore del tipo ‘late roman’ 2 ed africane grandi, alcuni frammenti di piatti in ceramica ‘sigillata africana D’ con decorazione stampigliata a palmette e segmenti paralleli ed © 2004 Casa Editrice Edipuglia, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Tavola 4. - Ceramiche di Pantelleria (Pantellerian ware) rinvenute nel relitto di Scauri. alcuni frammenti di lucerne africane con decorazione a palmette (tav.5). Sono presenti anche numerose tessere di mosaico di varia natura, macine piatte con foro centrale in pietra bianca porosa estranea all'isola di Pantelleria, numerosi resti di fauna (soprattutto denti) pertinenti ad ovicaprini, alcuni frammenti di legno dello scafo e del sistema di ammortizzamento del carico (fig.8). © 2004 Casa Editrice Edipuglia, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 131 a b Interessante un'epifisi di bovino fortemente levigata, attraversata da incisioni distali e decorata da tre fori simmetrici per lato. L'interpretazione dell'oggetto non è possibile con certezza anche per la mancanza di confronti. Tuttavia è probabile che si tratti di un elemento utilizzato per effettuare un gioco (del tipo di quello che si fa con i dadi) o di un amuleto. In entrambe i casi si tratta di un elemento che ben si accorda con il contesto navale dal quale proviene trattandosi di oggetto facente parte del corredo personale da marinaio, funzionale ad ingannare le lunghe ed estenuanti ore e giornate di navigazione. Sono presenti anche numerosissimi frammenti di vasi, bottiglie e bicchieri in vetro. Tra i reperti particolari da segnalare un anellino d’argento con castone di corniola decorato da freccia incisa (fig.9) ed un vago di collana in vetro verde. Ad un esame preliminare i dati raccolti ci inducono a ritenere ormai certa l'attribuzione del contesto sondato ad un relitto di imbarcazione affondata intorno alla fine del V secolo d.C.. Verosimilmente si trattava di una grossa imbarcazione (a giudicare dal c Tavola 5a-c. - Cermiche del tipo sigillata africana e lucerne del relitto Scauri. 132 9. - Anello argenteo con castone di corniola inciso rinvenuto nell’area del relitto di Scauri. © 2004 Casa Editrice Edipuglia, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Ricerche archeologiche subacquee a Pantelleria vasto areale di dispersione dei materiali, esteso per oltre m 50 parallelamente ed esternamente al molo di ponente del porto di Scauri) (fig.10). Tale imbarcazione doveva aver caricato, o stava caricando, le ceramiche da cucina sopra descritte probabilmente prodotte nelle contigue installazioni artigianali. Per cause oggi imprecisabili l'imbarcazione dovette incendiarsi e, per tale motivo, affondare. Che la causa del disastro sia stato un incendio risulta altamente probabile poiché le ceramiche sono state spesso trovate a gruppi, inserite in sedimento cinereo e, talvolta anche con presenza di tracce di paglia bruciata e sostanza bitumosa. Inoltre le tracce di annerimento sono estesamente presenti sui reperti recuperati. Non possiamo ancora con precisione stabilire la rotta di questa imbarcazione anche se la presenza di frammenti di piatti di ‘sigillata africana’ potrebbe indicare un porto di partenza africano, uno scalo a Pantelleria per caricare una consistente partita di ‘pantellerian ware’, ed un probabile proseguimento verso la Sicilia. Ipotesi probabile e logica quanto ancora non accertabile per la preliminarietà dell'indagine. I legni recuperati, pertinenti probabilmente al fasciame o ad altre parti del relitto, sono stati identificati come pertinenti a Pinus pinaster. Questo relitto contribuisce non poco a chiarire la problematica connessa con la peculiare produzione della ‘pantellerian ware’ che fu identificata anni or sono da Peacock e che, più recentemente, Sara Santoro, oltre ad avere impostato un vasto progetto di ricerca basato principalmente su analisi degli impasti, ne ha analizzato i possibili centri di produzione e immagazzinamento proprio sulla costa antistante la baia di Scauri dove sono state identificate una struttura residenziale del tipo ‘villa’ di epoca romana, funzionante fino al IV sec. d.C., edifici artigianali di epoca successiva ed una vasta necropoli rupestre di epoca post-imperiale. La ‘pantellerian ware’ è un vasellame ‘da cucina’ grossolano e poco differenziato tipologicamente (pentole, coperchi, teglie, tegami) che venne identificata a Cartagine in strati di V sec. d.C. e, successivamente, in molti altri insediamenti costieri del Mediterraneo centrale (Sabratha, Leptis, Djerba, Tharros, Luni, Cosa, Ostia). Il quadro si è notevolmente arricchito sia geograficamente che cronologicamente in seguito a recenti indagini condotte su siti siciliani (Agrigento, Segesta e Termini Imerese) che hanno dimostrato la sua presenza già in epoca ellenistica. È, comunque, segnalata anche in Sardegna (Tharros, Turris Libisonis), e ad Albintimilium (IV e V sec.d.C.). La sua produzione maggiore abbraccia, tuttavia, un ambito cronologico che oscilla tra l’età augua 10. - L’area del relitto di Scauri in corso di scavo. © 2004 Casa Editrice Edipuglia, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 133 Sebastiano Tusa stea e l’epoca bizantina. Peacock e Fulford riconobbero l’impronta pantesca grazie alle analisi mineralogiche. La presenza di feldispati anortoclastici, augite di egirina, ossidiana verde e lava li indussero a collegare questa ceramica con Pantelleria dove il vulcanesimo presente si manifesta proprio con caratteristiche chimico-fisiche analoghe. Le analisi archeometriche condotte dall’Istituto di Mineralogia dell’Università di Palermo su tale tipo di ceramica rinvenuta in Sicilia hanno, però, mostrato una composizione mineralogico-petrografica compatibile con numerose altre provenienze siciliane. La diffusione di questa ceramica nel Mediterraneo centrale fu interpretata da Peacock come effetto della continua frequentazione di Pantelleria quale scalo intermedio nelle rotte dalla Sicilia a Cartagine, di cui potrebbe averne costituito una sorta di hinterland per la notevole vicinanza. Secondo Peacock l’insularità favorirebbe lo sviluppo di un’industria di tipo domestico-familiare che avrebbe prodotto tale ceramica come merce di scambio con derrate alimentari indispensabili e non prodotte sull’isola. La relativa ‘fortuna’ di questa ceramica dipenderebbe, secondo taluni, dalle caratteristiche meccaniche del prodotto che lo renderebbero resistente agli shock termici e perciò preferibile ai prodotti locali a parità di costo. Aggiungerei a tale ipotesi anche una probabile maggiore economicità del prodotto pantesco dovuta a minori costi produttivi e maggiore disponibilità di componenti naturali. L’ipotesi che tali grandi contenitori di ceramica pantesca siano stati utilizzati per preparare la pece vegetale adoperata per calafatare le barche, proponibile anche per taluni contenitori rinvenuti nel relitto di Scauri con pece al loro interno, viene corroborata dal rinvenimento effettuato nel corso della discussa spedizione di Ballard presso il Banco Skerki, riferito dalla McCann, di una pentola di ‘pantellerian ware’ contenente pece, nello stesso relitto da cui proviene una moneta di Costanzo II (354 d.C.). Le analisi condotte sulla pece hanno identificato una miscela di resine di pino ed erbe cotta ad alta temperatura (fino a 300°), per la cui preparazione era dunque necessario un contenitore da fuoco di particolare resistenza. Le indagini collegate effettuate a Pantelleria hanno permesso di individuare le antiche cave di argilla nella valle di Nikà ed in località Rakale, sul versante occidentale dell’isola non lontano da Scauri, dove questa coesiste con la sabbia lavica e l’acqua dolce raccolta per sublimazione fumarolica e canalizzata in cisterne. È interessante notare che questi sistemi di vasche e canali si trovano soprattutto nelle aree di Monastero, Serraglia e Ghirlanda dove si registrano i segni del popolamento, anche centuriato, in forma di fattorie di epoca punicoellenistica, romana e bizantina, controllate da insediamenti fortificati. Il popolamento espanso nella pianura di Ghirlanda, che taglia l’isola da Est ad Ovest, permetteva l’agevole utilizzazione complementare dei due scali naturali di Scauri a Ovest e Gadir ad Est, utilizzabili a seconda delle condizioni meteomarine. Proprio sul lato orientale della baia di Scauri la ricognizione ha permesso l’individuazione di vasti areali di frammenti ceramici di varie epoche e produzioni (dalla vernice nera alla sigillata aretina, alla sigillata chiara africana ed alla ‘pantellerian ware’, con prevalenza di queste ultime due classi, nonché di 134 © 2004 Casa Editrice Edipuglia, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Ricerche archeologiche subacquee a Pantelleria 11. - Resti visibili in superficie delle strutture di epoca romana nell’area di Scauri. frammenti anforacei). Sono state anche localizzate strutture edilizie allineate, con pareti intagliate nella roccia, interpretate come magazzini o edifici artigianali di lunga durata (dall’epoca punico-ellenistica a quella tardo-antica di IV-VI sec.d.C.) da porre in relazione funzionale con un approdo a scalea intagliato nella roccia, che trovano singolare confronto con i magazzini realizzati da Agrippa a Ventotene. Si è anche identificata una fornace in uso tra il IV ed il V secolo d.C. C’è da segnalare, infine, che nei pressi della fonte termale ancora oggi attiva (in posizione ancora più prossimale rispetto all’approdo) è stata indiziata la presenza di una struttura a peristilio da interpretare come villa marittima databile tra il IV ed il V secolo d.C. (piatti di ceramica africana D, forme Hayes 67 e 76) con annesse grandi cisterne da dove provengono elementi architettonici decorativi di pregio, in terracotta, e frammenti di mosaico (fig.11). È probabile che tale struttura residenziale ed anche le altre precedentemente descritte vivano una trasformazione in senso produttivo intorno al V sec d.C. proprio nel periodo di maggiore successo internazionale della ‘pantellerian ware’. Estendendo la ricognizione nei fondali della baia di Scauri si sono evidenziati reperti ceramici pertinenti varie epoche (dall’epoca punico-ellenisticoromana a quella bizantina e medievale) a testimonianza della sua prolungata funzione di approdo. Porto di Pantelleria Nell’ambito dell’infinita storia del porto di Pantelleria, opera incompiuta da numerosi decenni e tanto attesa ed utile per gli abitanti dell’isola, vi è anche un capitolo archeologico che si aprì e si richiuse nella tarda estate del 1994 e che vide protagonista Fabio Faccenna. Nel corso dei lavori di sistemazione dell’area portuale pervenne la richiesta progettuale di rimuovere i resti di una scogliera rettilinea che erroneamente negli ultimi decenni era stata definita ‘molo cartaginese’. Tale scogliera partiva dalla costa interna al porto attuale, sul lato di ponente, e puntava verso un affioramento roccioso anch’esso interno al porto, detto Scoglio Tre Colonne. Risultava ovvio che tali affioramenti costituissero, ed ancora costituiscono, fonte di pericolo e grave impedimento alla navigazione all’interno del porto. Ma era altrettanto ovvio che l’indubbio potere evocativo del nome, quand’an© 2004 Casa Editrice Edipuglia, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 135 Sebastiano Tusa Tavola 6. - Geografia dell’area del porto di Pantelleria nella cartografia di W.H.Smyth (1814-1816). Tavola 7. - Geografia dell’area del porto di Pantelleria nella tavoletta dell’I.G.M. del 1877-78 136 che usurpato, inducesse cautela e rendesse necessario un intervento di scavo presso questa scogliera onde chiarirne l’esatta identità. L’intervento fu condotto tra il 7 ed il 20 settembre 1994 da Fabio su nostra richiesta nell’ambito del progetto ‘Porti e approdi nell’antichità’ diretto da Francisca Pallarés. Furono scavate tre trincee delle quali due presso il c.d. molo cartaginese ed una terza nell’area più interna del porto. Dai due primi saggi risultò chiaro stratigraficamente che la scogliera fu realizzata in due momenti diversi dei quali quello superficiale certamente posteriore alla costruzione del molo di ponente avvenuta nel 1929. Pochi massi, a diretto contatto con il fondo roccioso potevano stratigraficamente dimostrare l’esistenza di una qualche struttura preesistente al molo Nasi costruito nel 1929. Gli scavi evidenziarono, quindi, con chiarezza che questo allineamento di scogli non poteva essere interpretato come struttura portuale antica risalente all’occupazione cartaginese di Pantelleria. Questi dati ci indussero ad effettuare un riscontro cartografico con due indicative carte della zona. La più antica risale al 1839 ed è opera del Reale Ufficio Topografico di Napoli, ma si basa sul rilievo dei porti e delle coste siciliane effettuato tra il 1814 ed il 1816 dal Capitano W.H.Smyth per conto della Regia Marina Britannica (tav.6). La più recente è la tavoletta I.G.M. nella versione del 1877 / 78 (tav.7). In entrambe le carte si nota effettivamente un singolare allineamento di scogli che si attesta sulla costa e punta in direzione nord-est. Fu questo allineamento che, nella carta angloborbonica, evidenzia la netta traccia di una struttura portuale in una baia priva di alcuna struttura in uso, ed in quella del 1877/78 si colloca, invece, a ponente di un esile molo parallelo, ad avere generato, a © 2004 Casa Editrice Edipuglia, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 12. - (a sinistra) Ancora litica nell’area di ancoraggio di Punta Limarsi 13. - (a destra) Lastra litica usata per trebbiare e probabilmente riutilizzata come ancora nell’area di ancoraggio di Punta Limarsi nostro avviso una certa confusione assimilando questa struttura cartografata certamente antica e da riferire almeno al periodo pre-medievale poiché non vi è traccia alcuna nelle fonti storiche di caricatore o quant’altro nell’isola di Pantelleria, con la scogliera presso la quale effettuammo i saggi. Sorse naturale l’interrogativo su dove fosse quella struttura certamente antica così ben definita cartograficamente. Sulla base di riscontri metrici effettuati sui luoghi risultò altamente probabile che quella struttura fosse stata inglobata nel rifacimento portuale che portò nel 1929 alla costruzione del molo Nasi. La nostra scogliera si rivelava quello che alcuni da tempo asserivano, cioè il residuo di una rampa realizzata dopo il pauroso bombardamento di Pantelleria nel corso della seconda guerra mondiale per evacuare le macerie del paese. Tuttavia dai due saggi e, soprattutto, dal terzo venivano abbondanti ceramiche (circa 3000 frammenti) databili tra il III secolo a.C. e l’epoca attuale, con picchi di presenze da collegare all’età alto imperiale (sigillata italica, gallica, anfore spagnole Dressel 2/4 e 20) e tardo-romana e bizantina (sigillata africana e anforette scanalate orientali). Tale dato, collegato con quanto emerso attraverso l’osservazione dei lavori di rifacimento delle banchine portuali, nel cui materiale di risulta abbondavano ceramiche delle medesime epoche, provava la frequentazione dell’area portuale con varia intensità a partire dall’epoca tardo ellenistica (anche se un frammento attribuibile all’età del bronzo ci fece intravedere interessanti proiezioni più antiche della funzione portuale di quest’area di Pantelleria). Zone di ancoraggio Grazie ad un programma sistematico di ricognizioni effettuato in collaborazione con Maria Ghelia è stato possibile identificare due zone di ancoraggio intensivo rispettivamente presso Punta Tre Pietre, sulla costa occidentale, e Punta Limarsi, sulla costa meridionale. A Punta Tre Pietre si localizzarono due ancore litiche trapezoidale e rettangolare a tre fori nei pressi di frammenti di anfore greco-italiche. A Punta Limarsi sono state identificate numerose ancore litiche (rettangolare a tre fori, rettangolare con due scanalature passanti, ovale con grande foro eccentrico, a contorno triangolare con foro centrale, trapezoidale con foro eccentrico) e frammenti di anfore del tipo Keay 25 e Dressel 2/4 e 1. Nella stessa zona si sono localizzati un lingotto ed una marra in piombo (fig.12). Interessante anche a Punta Limarsi la localizzazione di un blocco parallelepipedo forato con la superficie attraversato da fitte scanalature parallele interpretabile come strumento per trebbiare e diversi frammenti di fistole in piombo relativi probabilmente ad un relitto non meglio identificabile al momento (fig.13). © 2004 Casa Editrice Edipuglia, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 137 Sebastiano Tusa Arco dell’Elefante Infine segnaliamo un rinvenimento del tutto eccezionale poiché estremamente raro ed unico per quanto attiene alla Sicilia. Si tratta di cinque lingotti in rame inquadrabili nel tipo cosiddetto ‘a panella’ dal contorno irregolarmente circolare, talvolta molto articolato tendente al triangolare, di considerevoli dimensioni, dal peso oscillante tra kg 6,5 e 20 e dal diametro compreso tra i 20 ed i 25 centimetri (fig.14). Presentano una sezione lenticolare con una faccia irregolarmente liscia e convessa e l’altra fortemente articolata con vistosi inclusi ghiaiosi. Il più piccolo presenta sulla faccia liscia alcuni evidenti marchi in forma di impressioni non molto profonde a punzone quadrangolare (tav.8). Trattandosi di materiali consegnati non sappiamo alcunché sulla giacitura originale che viene riportata in sabbia tra scogli, non lontano dal ben noto Arco dell’Elefante sulla costa orientale dell’isola, poco a Sud di Gadir. Nella zona effettuammo ripetute ricognizioni senza alcun esito al di là dell’identificazione di un’ancora in ferro del tipo ammiragliato di epoca post-medievale. Pur essendo la forma tipologicamente inquadrabile nell’ambito della produzione di lingotti dell’età protostorica (si veda il ripostiglio del Mendolito di Adrano più contiguo geograficamente e tipologicamente), gli esemplari di Pantelleria ne differiscono per le dimensioni ed il peso. I valori espressi dagli esemplari panteschi sono, infatti, pressoché doppi rispetto a quelli noti da vari siti protostorici. Tuttavia la loro attribuzione al medesimo periodo appare probabile. Bibliografia Tavola 8. - Lingotti in rame provenienti dalle acque di Cala Levante - Arco dell’Elefante. 138 R. M. Bonacasa Carra, Segesta SAS 5. Aspetti della ceramica da fuoco e della ceramica da cucina, in Atti delle Giornate internazionali di studi sull’area Elima, CESDAE GibellinaPisa, 1994 ,(1997), pp.173-181 F. Cantarella, Le possibilità insediative e produttive dell’isola di Pantelleria dalla preistoria alla romanizzazione. Aspetti storici e proposte di riconoscimento di una limitatio, in «Studi di Antichità in memoria di C. Gatti », Quaderni di Acme 9, 1987, 47-65 J. Dore, N. Keay, Excavations at Sabratha 1948-1951, II,1, Gloucester 1989, pp.223. M.G. Fulford, D.P.S. Peacock, Excavations at Carthage: the British Mission, I,2, Schieffield 1984, pp.157 ss. © 2004 Casa Editrice Edipuglia, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Ricerche archeologiche subacquee a Pantelleria A. Mc Cann, J. Freed (eds.), Deep water archaeology. A late roman ships from Carthage and ancient trade route near Skeski Bank off North west Sicily, in «Journal of Roman Archaeology», Suppl. 13, 1994. A. Mosca, Cossyra fra Africa e Sicilia. Aspetti della sua economia, in L’Africa romana, Atti del XII convegno di studio, Olbia 12-15 dicembre 1996, Sassari 1998, vol. III, 1469-1478. D.P.S. Peacock, Pottery in Roman Word: an Ethnoarchaeological Approach, London New York 1982. G. Purpura, Alcuni rinvenimenti sottomarini lungo le coste della Sicilia Nord-Occidentale, in «Sicilia Archeologica», pp. 57-84. S. Santoro Bianchi, (Università di Parma) ‘Pantellerian ware’: il progetto di ricerca (1998-2000), in Atti del Convegno RCRF, Efeso 1998, c.s. S. Santoro Bianchi, La tradizione fenicio-punica nella Pantellerian Ware: il progetto di ricerca 1998-2000, in E. Acquaro e B. Fabbri (a cura di), Produzione e circolazione della ceramica fenicia e punica nel Mediterraneo: il contributo delle analisi archeometriche, Atti della Giornata di archeometria della ceramica, Ravenna, 14 maggio 1998, Bologna 1998, 117-120. J.R. Torres, Las anforas fenicio-punicas del Mediterraneo central y occidentale, Barcelona 1995, p.133 M. Tosi, B. Cerasetti, M. Cattani et al., Carta Archeologica dell’isola di Pantelleria in «OCNUS. Quaderni della Scuola di Specializzazione in Archeologia dell’Università degli Studi di Bologna » 5, 1997, pp. 93-102. 14. - Lingotti in rame provenienti dalle acque di Cala Levante - Arco dell’Elefante. © 2004 Casa Editrice Edipuglia, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 139