una modesta proposta per le librerie del nuovo secolo

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una modesta proposta per le librerie del nuovo secolo
UNA MODESTA PROPOSTA
PER LE LIBRERIE
DEL NUOVO SECOLO
Dott. Romano Montroni
Roma, 17 gennaio 2012
UNA MODESTA PROPOSTA
PER LE LIBRERIE DEL NUOVO SECOLO
A parere di molti, la chiave di volta per la libreria del futuro è il marketing.
Forse lo è per aziende di altro genere, ma non credo lo sia per la libreria.
Sono sempre stato e rimango dell’idea che il libro, per la sua stessa natura,
richiede per essere valorizzato iniziative che un bravo libraio mette già quotidianamente
in atto e che dunque non esiste strumento di marketing più potente di questo. Dare
valore, la questione è tutta qui. “Valore” dovrebbe diventare la parola d’ordine per la
libreria del futuro: valore nell’assortimento, nella proposta, nel servizio, nei librai.
Porsi il valore come linea di condotta e come obiettivo credo sia l’unico modo non solo
per raggiungere un equilibrio economico, ma anche per soddisfare davvero le esigenze
di chi ama i libri e per avvicinare alla libreria chi legge poco o niente.
Aprire una libreria continua a essere un atto di amore e fiducia nei confronti
della cultura, e in particolare di quel bene unico, meraviglioso e insostituibile che è il
libro. Che ad aprirla sia un libraio indipendente o siano i manager di una catena di
librerie non fa differenza. Purché, naturalmente, la libreria abbia un’anima! Colgo
l’occasione, a questo punto, per inserirmi molto brevemente nel dibattito che appassiona
editori, librai e lettori sul futuro del libro “di carta”: sono convinto che difficilmente il
libro potrà essere soppiantato dall’e-book. Il libro offre un’esperienza non soltanto
intellettuale ma anche sensoriale (le pagine da toccare, sfogliare, annusare, da
possedere) alla quale chiunque ami la lettura non intende rinunciare. Il libro è più
leggero, comodo, economico, fa buon odore e la qualità della lettura è
incomparabilmente più alta rispetto a quella di un testo su un display a cristalli liquidi
retroilluminato. È vero che la tecnologia ha fatto progressi enormi, ma la qualità del
libro tradizionale rimane a mio parere irraggiungibile. Non a caso, nel suo Non sperate
di liberarvi dei libri (Bompiani, 2008), scritto insieme a Jean-Claude Carrière, Umberto
Eco ha dichiarato: “Il libro è come il cucchiaio, il martello, la ruota, le forbici. Una volta
che li hai inventati non puoi fare di meglio”.
Senza dubbio l’e-book può essere utile come strumento di studio o di
lavoro, e dunque testi di saggistica specializzata possono risultare appetibili nel formato
elettronico; questo può valere anche per i manuali, ma – a mio parere – per i romanzi la
questione è più complessa, almeno allo stato attuale, anche se non escludo che tra dieci
anni potrei pensarla diversamente! E, per quanto riguarda più da vicino i librai, credo
che l’e-book non richieda una particolare riflessione circa la sua collocazione all’interno
della libreria: ha bisogno soltanto di essere sistemato nel suo settore di appartenenza,
perché l’acquisto non sarà mai dettato da un impulso emotivo bensì da ragioni di utilità.
In libreria, però, si potrebbe creare una “piattaforma” dalla quale il libraio scarica sull’ebook del cliente (acquistabile anche in loco) i titoli che lo interessano, assistendolo e
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dandogli suggerimenti: in questo modo, il cliente uscirebbe dalla libreria con un e-book
già almeno in parte pieno e il libraio non perderebbe il suo ruolo di “consigliere”. Ma,
credetemi, il libro è un’altra cosa!
Senza dubbio, la società cambia rapidamente: insieme a lei, cambiano anche
le sfide che siamo chiamati a sostenere e gli strumenti di cui ci armiamo per affrontarle.
Eppure, nelle librerie come in qualsiasi altro campo, i valori che ci permettono di
vincerle sono antichi: l’intensità del lavoro, la curiosità, l’etica comportamentale, la
forte motivazione, il rigore, la cura per i particolari. La passione. I librai, per quanto
sofisticati siano i mezzi informatici a loro disposizione (mezzi che senza dubbio, se
usati con giudizio, contribuiscono a rendere più snello il lavoro), non dovrebbero mai
perdere di vista questi valori, con il carico di responsabilità che essi portano con sé – un
carico impegnativo, perché la responsabilità che i librai sono chiamati a sostenere è
triplice: verso se stessi, verso la sigla che rappresentano (che sia il cognome della
propria famiglia o il marchio di una catena di librerie) e verso i clienti. Sembra
paradossale, ma è solo rimanendo ancorati a certi valori che si riesce a stare al
passo con i tempi.
La passione, l’entusiasmo, lo spirito di squadra, la fantasia, la capacità di
relazione sono da sempre ingredienti indispensabili per essere bravi librai. La base sulla
quale costruire poi tutto il resto. Ma per dar vita a una libreria di qualità ci sono altri
talenti da coltivare, meno vistosi ma altrettanto essenziali: l’umiltà, la costanza e la
pazienza. Mi rendo conto che sono valori in controtendenza rispetto al clima che si
respira oggi nel nostro paese, ma proprio per questo, per scongiurare il rischio che
scompaiano come l’alce irlandese, la tigre della Tasmania e l’aquila di mare, andrebbero
preservati e alimentati il più possibile: ne trarremmo tutti giovamento, dentro e fuori
dalle librerie.
Ho sempre pensato, inoltre, che un libraio dovrebbe sapere, saper fare e saper
essere. Il sapere racchiude in sé l’insieme delle conoscenze acquisite attraverso
l’istruzione e l’educazione ricevute: ma se eventuali lacune possono essere colmate con
la volontà e il desiderio di migliorarsi, non c’è diploma o laurea che possa compensare
la mancanza di entusiasmo o di curiosità; il saper fare è l’esito di un processo di
apprendimento di conoscenze del mestiere che vengono dall’esperienza quotidiana, e
soprattutto è la capacità di lavorare costruttivamente con gli altri e di imparare da loro,
di individuare e risolvere i problemi, di cercare soluzioni senza arrendersi alla prima
difficoltà: la sintesi tra il sapere “sapienziale”, acquisito leggendo, studiando,
dialogando ecc. e il sapere “esperienziale”, derivante dalla conoscenza diretta, concreta,
dei fatti è completata e arricchita dal saper essere, cioè il modo in cui il libraio
contribuisce, con la sua personalità, a rendere vivace e stimolante l’ambiente della
libreria, mantenendo il più possibile elevato il livello di assortimento e di cura del
servizio.
Credo che, per quanto frenetici possano essere i ritmi di lavoro, un buon libraio
dovrebbe sempre saper essere, ovvero cercare di porsi di fronte al cliente con curiosità,
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con la voglia di scambiare emozioni, di stabilire un dialogo: davanti alla richiesta di un
titolo non china subito la testa sulla tastiera del computer ma va a scaffale con chi glielo
ha chiesto, per cercarlo insieme. Se poi è un ottimo libraio, si pone in ascolto dei
desideri del cliente e a poco a poco riesce a intuirli, o addirittura a crearli, suggerendogli
percorsi di lettura o accostamenti ai quali forse lui non aveva nemmeno pensato. Questo
è il modo migliore di farlo sentire riconosciuto e conquistarsi la sua fedeltà: è dunque
evidente che librai capaci di instaurare questo genere di relazione sono la più grande
ricchezza di una libreria.
Roberto Roversi diceva che la cultura è una sollecitazione, comune a tutti, a
cercare ciò che non si sa, è il bisogno dell’uomo di riempire i vuoti della
conoscenza. I libri non sono l’unico strumento per farlo, ma di certo sono uno dei più
importanti e dunque non credo di esagerare quando dico che vendere libri è un compito
fondamentale: ed è talmente bello che, una volta cominciato, smettere è praticamente
impossibile!
Vorrei adesso cercare di delineare un possibile format per la libreria del futuro.
Le mie considerazioni sono molto soggettive: non pretendono naturalmente di essere
indicazioni programmatiche, ma sono semplici suggerimenti, basati sull’osservazione di
quanto accade nelle librerie italiane e straniere e sull’ascolto di quanto mi è stato detto
da molti librai, sia indipendenti, sia di catena.
Le dimensioni. In tutto il mondo si sta affermando con sempre maggior forza una
nuova tendenza: le librerie sono grandi. Le librerie grandi – e quando dico “grandi”
intendo grandi, non dispersive, tanto meno anonime – permettono ai librai di creare
assortimenti più ampi e profondi (dai quaranta-cinquantamila titoli in su), in grado di
soddisfare anche i clienti più esigenti e di invogliarli a curiosare, sfogliare, leggere, fare
acquisti (in maniera più confortevole, oltretutto). Senza contare la possibilità di lanciare
offerte più convenienti. Il primo requisito che oggi si richiede a una libreria per essere
competitiva sul mercato è proprio la grandezza (fanno storia a sé, naturalmente, le
librerie specializzate). Anche un libraio indipendente – piccolo, medio o grande – deve
a mio parere muoversi in questa direzione, se vuol battersi ad armi pari con le librerie di
catena: deve credere nel progetto e avere il coraggio di rischiare con un investimento di
una certa entità. Probabilmente gli ci vorrà un po’ per recuperare il denaro
investito, ma se il luogo è stato ben scelto e le dimensioni sono adeguate il risultato
non potrà che essere positivo. Con questo non voglio certo incitare nessuno a fare il
passo più lungo della gamba, né istigare alla megalomania! Bisogna però essere
lungimiranti, saper considerare le cose in una prospettiva ampia con un piccolo sforzo di
immaginazione e non aver paura di rischiare un po’. Se non si ritiene di poterlo fare, è
molto più prudente e saggio non investire affatto. Dopo tutto, un bravo libraio può
svolgere il proprio mestiere con grandissima soddisfazione anche da dipendente e non
per forza da imprenditore.
I “prodotti diversi” e l’atmosfera. Dato che in Italia si legge poco, insieme alla
superficie bisognerebbe aumentare la capacità di attrazione della libreria: ferme
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restando le considerazioni sulla necessità di veri librai per dar vita a una vera libreria,
l’offerta dei libri si potrebbe integrare con quella di prodotti diversi; il cliente
dev’essere incuriosito da qualcos’altro, oltre che dai libri. Non nego che una parte di me
freme all’idea che il libro abbia perduto il suo ruolo privilegiato, ma proprio per il bene
del libro penso che sarebbe sbagliato far finta di nulla. Molto più costruttivo prenderne
atto e apportare le correzioni necessarie per continuare a diffondere libri e far vivere le
librerie.
Personalmente, ritengo che il partner ideale del libro sia il cibo. È evidente
che la condizione per la riuscita del progetto è la ricerca della qualità, unita però a
prezzi competitivi. Il tutto, in uno spazio adeguato per dimensioni e cura dei dettagli,
pensato per rappresentare, produrre e ispirare relazioni: all’opposto di quelli che Marc
Augé chiama “non luoghi”, spazi in cui gli individui si incrociano senza entrare in
relazione, sospinti dal desiderio di consumare o di accelerare le operazioni quotidiane.
È importante infatti che chi entra in libreria si senta accolto. Se i librai sanno
creare un’atmosfera stimolante, scegliere libri da acquistare e regalare diventa una gioia.
Adorno scriveva nei Minima Moralia che “il vero regalare è provare felicità
nell’immaginare la felicità di colui che riceverà. Significa scegliere, sprecare le ore nella
scelta, dunque elucubrare, fantasticare sull’altro e su come è fatto. In fondo significa
regalare tempo, oltre a oggetti, e questo tempo sperperarlo”: diventa allora chiaro che la
libreria non può, non deve, essere un posto dove si entra e si compra, bensì un posto in
cui si guarda, si tocca, si sfoglia, si pensa e, solo alla fine, si sceglie. Un posto in cui è
piacevole intrattenersi, in cui si dedica tempo a se stessi (o se ne regala ad altri),
esercitando l’immaginazione. Creare un’atmosfera che predisponga il cliente-lettore a
questo tipo di esperienza è l’obiettivo a cui dovrebbe tendere il libraio.
E per attirare i giovani si potrebbe installare una rete wireless per connettersi a
internet, scrivere e-mail ecc., o anche mettere a disposizione postazioni dotate di
computer. Tornando poi ai regali, considerata l’attuale tendenza a regalare “esperienze”
anziché oggetti, le librerie con ampie superfici potrebbero ospitare corner di pacchetti
regalo: insomma, si entra per regalare a un amico un volo in aliante e magari si
acquistano anche un paio di libri!
Insomma, la definizione di Umberto Saba, “la libreria è un buco con un genio
dentro” oggi non è più attuale ed è indispensabile attivare tutte le relazioni orientate
allo scambio di informazioni ed esperienze e allo sviluppo di attività collaterali.
Credo infatti che oggi il cliente cerchi una libreria “di fiducia”: che offra molti libri e a
prezzi vantaggiosi, con un servizio impeccabile, ma soprattutto che abbia librai e
assortimenti di qualità, che sia un punto di ritrovo con gli amici e sede di incontri con
autori ed editori legati ai libri e a temi di interesse e attualità. Una libreria, insomma,
che stimoli la curiosità e allarghi gli orizzonti.
Valori che condivido in pieno e che è compito di tutti noi operatori del settore
tradurre in realtà, trasformandoli in pratiche quotidiane.
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