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09/05/2011
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Numero 25 del 03/05/2011
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Mazzarri si, Mazzarri no, la terra dei cachi
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MERCOLEDÌ, 04 MAGGIO 2011 00:49
NESSUN COMMENTO
Il Napoli si assicura, dopo più di vent’anni,
un posto nella tanto agognata zona
Champions’ League (o Coppa Campioni
per i nostalgici). Un grande risultato se si
va a considerare quelle che erano le
aspettative di inizio stagione; gli azzurri
partivano praticamente con la stessa
squadra dello scorso anno, con un unico,
rivelatosi fondamentale, diversivo: dentro
Cavani, fuori Quagliarella.
Quando il calciatore stabiese fu ceduto,
sgomento, rabbia e delusione si dipinsero
sui volti dei tifosi azzurri che erano stati
privati, di punto in bianco, del loro calciatore
più rappresentativo.
Nonostante il numero 7 uruguagio a suon
di gol faceva dimenticare il suo ex
La notizia del momento in casa azzurra non è la storica
compagno di squadra, più di qualcuno
qualificazione in Champions’, ma le sorti del futuro di Mazzarri
continuava a pensare (e probabilmente
che non solo ha acceso un incendio, ma ha anche provveduto
continua ancora oggi) che con Quagliarella
ad alimentarlo
il Napoli avrebbe potuto puntare ancora più
in alto. Ad esempio nelle partite contro il
Chievo o contro il Milan, dove Lavezzi non era presente, oppure nella partita di Europa League contro il
Villareal dove Cavani dovette riposare per stanchezza, Mazzarri avrebbe potuto avere a disposizione
un’alternativa di primo livello rispetto ai calciatori con cui s’è dovuto adattare: da Zuniga improvvisato
attaccante, a José Ernesto Sosa che ha dimostrato così tanto tutto il suo (non) “valore” che ormai risiede
stabilmente in tribuna.
Insomma qualche rimpianto c’è in chiave scudetto ed in chiave Europa League, ma, tutto sommato,
pensare che i partenopei si piazzeranno tra la seconda e la terza posizione fa venire i brividi a più di
qualcuno. Una stagione da dichiararsi assolutamente positiva allora?
Sembrerebbe di si anche se qualcuno pare pensarla diversamente. Chi? Walter Mazzarri.
Il mister azzurro (non si sa ancora per quanto) ha dichiarato, o meglio non ha dichiarato quale sarà il
suo futuro rinviando tutto “a posizione acquisita”. Non si capisce il perché di questa strategia del tecnico
di San Vincenzo. C’è chi pensa che sia perché ha già un accordo con la Roma o con la Juventus, c’è chi
invece dice che vuole un aumento, c’è chi dice che è solo un tira e molla col presidente per fargli aprire
maggiormente il portafogli e fare una squadra altamente competitiva per la massima competizione
europea.
Le voci sono tante, troppe, e proprio a causa di queste voci, che Mazzarri ha provveduto ad accendere ed
alimentare con la sua poca chiarezza, i tifosi azzurri, che stravedevano per il mister in camicia bianca,
stanno iniziando a spazientirsi e a perdere la stima nei suoi confronti.
L’ipotesi più accreditata sembra quella che mister Walter abbia perso gli stimoli qui a Napoli; certo di
non poter ripetere un’annata fantastica come questa, sia in cerca di una nuova avventura, una nuova
sfida che gli consenta di crescere maggiormente in quanto a blasone e in quanto a palmarès.
Se davvero fosse questo il pensiero del Mister, per il bene del Napoli sarebbe meglio cambiare e
prendere un allenatore pieno di stimoli con la voglia di voler migliorare ancora quanto fatto
precedentemente.
In ogni caso Mazzarri si contraddice: prima chiede un contratto triennale, così se le cose vanno male lui
sta al sicuro economicamente, e poi dice che “valuta a fine stagione anno dopo anno”. Se davvero così
fosse stato, avrebbe seguito la logica del tanto rimpianto Edy Reja che non ha mai voluto contratti più
lunghi di un anno, così da poter DAVVERO valutare a fine anno il da farsi. Fatto così invece sembra un
po’ il gioco del “se vado male mi paghi lo stesso per altri due anni, se vado bene me ne vado anche se
ho un contratto”. E questo non è giusto. Il tecnico potrebbe anche restare a fine stagione, ma questo
polverone innescato non verrà rimosso facilmente dalla memoria dei tifosi azzurri.
E’ davvero un peccato, sarebbe stato bello poter parlare, in questa fase, della splendida cavalcata
azzurra e magari già ipotizzare gli acquisti per la prossima stagione. Invece, ancor prima che i giochi
siano fatti, si sta parlando di tutt’altro senza neanche lasciare ai sostenitori partenopei la possibilità di
gioire a pieno del risultato della propria squadra.
Parafrasando Fabrizio Moro, un consiglio spassionato al mister azzurro: Mazzarri, prima di parlare
pensa!
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Bin Laden: il mistero della morte | La r…
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Bin Laden: il mistero della morte
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MARTEDÌ, 03 MAGGIO 2011 21:51
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Osama Bin Laden, definito negli ultimi dieci
anni come lo “sceicco del terrore”, simbolo
del terrorismo sinonimo di male assoluto,
è stato ucciso domenica scorsa a
Abbottabad, città pakistana nei pressi di
Islamabad, dove il leader di al-Qaeda
aveva trovato rifugio. A causarne la morte
pare sia stata una pallottola alla testa: ad
oggi non si sa ancora se a spararlo sia
stato uno dei Navy SEALs o una delle sue
guardie. A far sorgere il dubbio è il fatto che
Bin Laden fosse sempre scortato da due
guardie del corpo che avevano l’ordine di
sparare contro di lui ed ucciderlo qualora
La foto che ha ingannato i media internazionali è che, a quanto fossero stati circondati dai soldati nemici,
pare, era in rete già da tre anni
per evitare che il leader di al-Qaeda
venisse catturato e fatto prigioniero.
L’operazione dei servizi speciali USA, prevista da tempo, non ha richiesto l’intervento dell’esercito
pakistano; l’azione è stata messa appunto grazie alle informazioni di intelligence statunitensi. Il blitz è
durato quaranta minuti durante i quali sono stati uccise cinque persone: Bin Laden, uno dei suoi figli,
una donna e due miliziani. Il corpo del terrorista, che in un primo momento doveva essere sepolto
secondo il rito musulmano, è stato invece affidato alle acque dell’oceano, lanciato da una portaerei Carl
Vinson, per volere degli americani, al fine di evitare di far erigere un santuario, possibile meta di
pellegrinaggio per i jihadisti di tutto il mondo; ma anche perché paesi come il Pakistan e l’Arabia
Saudita non erano disposti ad accoglierne la salma.
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Arriva dopo dieci anni di attesa la notizia del rintracciamento e dell’uccisione di Bin Laden, inserito nella
lista dei most wanted sin da Giugno ’99, le cui ricerche si sono però intensificate solo dopo il tragico
attentato alle Torri Gemelle, concentrandosi sulle montagne di Tora Bora. A darne l’annuncio un
soddisfatto presidente Obama che ha dichiarato: “In notti come queste, possiamo dire a quelle famiglie
che hanno perso i loro cari a causa del terrorismo di al-Qaeda: giustizia è stata fatta”. La notizia della
morte del leader di al-Qaeda ha portato gioia soprattutto nelle strade americane, ma ha sollevato diversi
dubbi: molti non credono nella sua morte, altri pensano che fosse già morto anni prima. E ad alimentare
i dubbi vi sono prove contrastanti: nessuna prova filmata o fotografata vera, notizie false, la sepoltura in
mare e le dichiarazioni rilasciate da Benazir Bhutto nel Novembre 2007, quando aveva praticamente
sottinteso la morte di Bin Laden, pronunciando ai microfoni della tv Al Jazeera la frase “l’uomo che
assassinò Osama Bin Laden”. Stranamente però, la notizia non ebbe seguito: nemmeno la Cia si
occupò di confermare o smentire le dichiarazioni della Bhutto, uccisa poi il 27 Dicembre da un
commando integralista.
I primi ad affermare che non ci siano sufficienti prove sulla morte di Osama Bin Laden sono stati i
talebani afghani. E, in effetti, i dubbi sono ben giustificati se si considera che l’unica testimonianza della
morte del leader di al-Qaeda sarebbe una fotografia clamorosamente ritoccata, girata su tutti i media del
mondo: si tratta di un immagine di Osama del Settembre ’06, ritoccata con un programma di editing di
immagini. Di filmati e fotografie relative al blitz dei Navi Seals e al rito funebre neanche l’ombra; l’agenzia
Associated Press, sulla base di informazioni raccolte presso funzionari del Pentagono, ha affermato che
a breve sarà reso pubblico un video del rito di sepoltura di Bin Laden, della durata di 40 minuti, e che le
immagini non sono state ancora diffuse solo per ridurre il più possibile la reazione del mondo islamico.
Si sa, infatti, che secondo l’Islam la sepoltura in mare non è contemplata e che per i musulmani essa
ha un carattere di umiliazione.
Al centro l'immagine del prigioniero da cui sarebbe stato
ricavato il fotomontaggio
Questo non fa che alimentare il dubbio sulla morte di Bin Laden, del quale non rimarrebbe alcuna
traccia. A confermare la morte del terrorista ci sarebbe l’analisi del DNA, corrispondente, a quanto
sembra, al 99,9%: ma, a ben guardare, questa notizia non fa che infittire il mistero, dato che, come è
risaputo, occorrono molti più giorni per isolare e identificare un campione di DNA estratto da un
cadavere. Ma, se la morte di Bin Laden resta un mistero, un rischio molto più concreto si profila
all’orizzonte, nel caso in cui la notizia dovesse rivelarsi vera: quello degli attentati di ritorsione da parte di
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Bin Laden: il mistero della morte | La r…
nuove cellule che potrebbero reagire alla notizia della morte del leader di al-Qaeda. Perché se il suo
leader è morto, al-Qaeda è ancora viva e vegeta.
Simona Esposito
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Papa Wojtyla: piegarsi alle regole dell…
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Papa Wojtyla: piegarsi alle regole della “santità”
Sezioni
MARTEDÌ, 03 MAGGIO 2011 19:23
NESSUN COMMENTO
Ciascuno di noi vive di poche, incrollabili
certezze. Tutti ne abbiamo bisogno, per
tirare avanti, e tentare di spiegarci un
mondo che ci appare continuamente
incomprensibile, deludente, di là dalle
aspettative. Oggi mi sento nostalgicamente
romantica (in senso letterario), e voglio farvi
un regalo: mi perdonerete se mi lascerò
andare a qualche speculazione. Oggi
voglio confidarvi una delle mie certezze, di
quelle che mi aiutano a districare i bandoli
anche delle più intricate, interrogative
matasse. Ebbene, una di queste certezze è
che, nella vita, per arrivare in alto, bisogna
acconsentire ai compromessi: siamo un
po’ come gli aquiloni, che per volare alto
devono accettare di essere legati a un filo.
Confessioni e segreti mai rivelati sugli intrighi e le grandi opere
La vita, e la società umana, seguono
del Papa forse più amato del secolo scorso
questa stessa regola: per raggiungere
grandi traguardi bisogna sporcarsi le mani,
e quando si taglia il nastro si è già corrotti al punto da aver dimenticato i nobili intenti della partenza,
quegli stessi che spingono a intraprendere la corsa. La diretta conseguenza storica di questo processo
è che tutti coloro che vediamo arrivare ai vertici di questo mondo, per arrivarci hanno dovuto mangiare
polvere e rotolare nel fango, insudiciandosi fin nel midollo; e, per raggiungere quegli obiettivi che si
erano in partenza prefissati, hanno dovuto cedere al compromesso. Con questa affermazione non
pretendo, è ovvio, di possedere l’assoluta verità: si tratta di una personale interpretazione della realtà,
come ne esistono altre migliaia e migliaia, probabilmente una per ogni persona su questa terra.
Prendetela dunque come bisognerebbe prendere una qualunque affermazione provenga da un essere
fallibile, quale l’essere umano è per antonomasia: cioè come una personale, opinabile certezza.
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Lo scorso primo Maggio Giovanni Paolo II è stato beatificato. Papa dal terzo pontificato più lungo della
storia, inferiore per durata solo a quello di Pio IX e a quello tradizionalmente attribuito a Pietro, Giovanni
Paolo II, al secolo Karol Wojtyla, ha così sfiorato, anche da morto, un nuovo record: quello della velocità
del processo di beatificazione, che dopo poco più di sei anni dalla sua morte già lo mette in corsa per la
santificazione, con grande disappunto di coloro che l’avrebbero voluto “Santo subito”, perché, già in vita,
Papa Wojtyla, con quell’alone circonfuso di grazia divina e di incrollabile fede, con quello sguardo
indulgente e pietoso, con quell’indiscusso carisma che conquistò gli italiani sin dalla sua prima frase
pronunciata da vescovo di Roma, quel “corrigerete” che fece lacrimare di commozione tanti occhi e
sorridere tante bocche, ebbene, già all’epoca quel Papa giovane e intraprendente era in odore di santità.
Eletto dal sinodo a soli 58 anni, primo Papa straniero dopo una interminabile serie di italiani, e in
assoluto primo Papa polacco della storia, Karol Wojtyla è stato un personaggio di spicco e di
indiscutibile prestigio sulla scena mondiale contemporanea: alcuni lo ricordano addirittura come un
Papa progressista, che tese una mano alle altre religioni aprendo ai loro rappresentanti le porte della
Chiesa Cattolica e chiedendo perdono per le stragi perpetrate in nome di Cristo; un Papa che avvicinò i
giovani alla profetica parola del Vangelo grazie all’istituzione della Giornata Mondiale della Gioventù; un
Papa viaggiatore, vicino ai poveri e ai sofferenti – come, d’altronde, ogni Papa che si rispetti dovrebbe
essere. Un Grande Papa, e insieme un uomo umile e compassionevole, che seppe imprimere
cambiamenti radicali in seno istituzioni ecclesiastiche. Qualcun altro (quasi per certo una minoranza),
ricorda Giovanni Paolo II come un Papa conservatore, quasi reazionario nell’intimo, che si batté sempre
con fervore contro la libertà sessuale, contro il divorzio, contro l’aborto e l’eutanasia, contro l’istituzione
del sacerdozio femminile. Ma quasi nessuno si ricorda, soprattutto in questi giorni di santità, di Karol
Wojtyla come incallito oppositore della Teologia della Liberazione, vigoroso nemico dell’aberrante
comunismo di stampo marxista tanto da giungere a sfiorare l’opposto estremo del filo-fascismo – che
poi, a ben guardare, non si sa quanto diverso sia dall’estremismo comunista. Nessuno, in questi giorni
di festa per Papa Wojtyla, vuole ricordare quella stretta di mano con Augusto Pinochet, e la cartolina
d’auguri che il Pontefice gli inviò in occasione delle sue nozze d’oro; e a nessuno va di rivangare le
beatificazioni di Pio Laghi, il cui nome resta ancora impronunciabile per le Madri di Plaza de Mayo che
ancora cercano le spoglie dei loro figli désaparecidos, di Josemaría Escrivà de Balaguer, accusato di
essere vicino al regime franchista, e di Alojzije Viktor Stepinac, accusato di collusione con il regime
ustascia di Ante Pavelić, fondatore del brevemente glorioso Stato Indipendente di Croazia. Né
tantomeno, oggi si vuole ricordare l’amicizia di Wojtyla con Marcial Maciel Degollado, fondatore dei
Legionari di Cristo e pedofilo conclamato, che sempre godette della copertura della Santa Sede, sin dal
pontificato di Pio XII, quando giunsero le prime imputazioni (1942), fino a quello di Wojtyla stesso, che in
prima persona rigettò come diffamatorie le accuse di molestie sessuali a carico del sacerdote
messicano, pervenute in Vaticano (1989) ad opera di oltre 30 seminaristi, all’epoca minorenni; accuse
tornate a galla solo con una seconda visita apostolica voluta da Benedetto XVI che portò, ironia della
sorte, proprio il 1° Maggio dello scorso anno, al commissariamento della congregazione da lui fondata.
Nessuno, in questi giorni di gloria, vuole ricordare l’altro lato della medaglia, quel “Wojtyla segreto” che
emerge dalla contro-inchiesta, resa pubblica proprio in questi giorni, con indiscutibile tempismo, di
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Papa Wojtyla: piegarsi alle regole dell…
Giacomo Galeazzi e Ferruccio Pinotti, che pongono l’accento soprattutto sui legami del Pontefice con
Solidarność, movimento sindacale polacco fondato da Lech Wałęsa in opposizione all’oppressione
comunista, che godette di ampi finanziamenti (1980-81) da parte del Banco Ambrosiano, presieduto da
Roberto Calvi (giustiziato il 17 Giugno 1982, presumibilmente dalle mafie, e questa non è un’altra
storia), Banco Ambrosiano controllato dallo IOR (Istituto per le Opere di Religione, n.d.r.), a sua volta
gestito dall’ambigua e inquietante figura di Marcinkus, guardia del corpo di Paolo VI prima e fidato
braccio destro di Giovanni Paolo II poi, che, secondo Galeazzi e Pinotti, non si fece scrupolo di finanziare
il sindacato polacco di Wałęsa con ingenti capitali provenienti dal riciclaggio di denaro sporco (fonte:
mafie) ripulito nei paradisi fiscali da società fantasma. Tenendone all’oscuro Papa Wojtyla (?). No.
Secondo Galeazzi e Pinotti Wojtyla sapeva, e taceva. Perché, scrivono gli autori, la lotta al comunismo
era per Wojtyla “una b attaglia da vincere con ogni mezzo”. Rivelazioni che gettano una luce nuova e
inquietante sulla figura di uno dei Pontefici forse più amati della storia.
Ma ritorniamo ora per un attimo alla riflessione iniziale: che Karol Wojtyla sia stato un grande Papa, oltre
che un uomo che ha lasciato un segno nella storia, in bene o in male, è fuori discussione. Mai come in
questo caso sarebbe appropriato dire: solo Dio conosce la verità, che a noi mortali non è dato sapere
con certezza. Ma di certezza, a me ne resta sempre una: per arrivare in alto, bisogna sporcarsi le mani,
accettare il compromesso, chiudere un occhio, e a volte tutti e due. Macchiarsi, irrimediabilmente, e
durante la scalata dimenticare i buoni propositi dell’ascesa iniziale. Ergo: chi siede ai vertici non veste
mai di bianco, metaforicamente parlando, non ha mai le mani pulite. Ma questa è la mia idea. La
giustificazione di quelli che arrivano in cima, dei grandi, che compiono grandi opere a costo di grandi
sacrifici è sempre la stessa: avere agito “per il bene comune”, o per una motivazione “superiore”, che dir
si voglia. Ai manzoniani “posteri” tocca decretare se e quanto ne sia valsa la pena. Ognuno è libero di
credere in ciò che vuole; e, per chi ci crede, spetta solo a Dio giudicare l’operato dell’uomo. Compreso
quello del suo sommo rappresentante. Come dice il proverbio: Stretta è la foglia, larga è la via…dite la
vostra, che io ho detto la mia.
Giuliana Gugliotti
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Bollettino dalle strade: 34 morti nel w…
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Bollettino dalle strade: 34 morti nel weekend pasquale,
un terzo neanche trentenne
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Attualità
MARTEDÌ, 03 MAGGIO 2011 19:25
Cinema
NESSUN COMMENTO
Trentaquattro vittime. Questo il bilancio dei
morti per il weekend di Pasqua. L’Italia ha
superato anche quest’anno il suo limite.
Sembra, infatti, che siano state ben dodici
le vittime in più rispetto al bollettino del
2010. Undici non avevano compiuto
neanche il trentesimo anno d’età.
Percentuali sconcertanti che devono far
riflettere.
E' vero che?
Economia
Editoriale
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Eppure l’incidente stradale ha radici
lontane. Il termine sembra, infatti, essere
stato coniato nel 1968 alla Convenzione di
Vienna (“evento in cui rimangano coinvolti
L’alcol, la stanchezza e l’eccessiva allegria hanno ucciso
veicoli, esseri umani o animali fermi o in
anche tra Pasqua e Pasquetta. Velocità, alcol e
movimento e dal quale derivino lesioni a
cose, animali, o persone”). Nonostante le
campagne di prevenzione di questi anni, le discutibili decisioni ministeriali a scapito della velocità in
alcuni tratti stradali e delle quantità di alcol consentite per poter guidare, e gli accorgimenti consigliati
dalle più alte cariche dello Stato e dal mondo dello spettacolo, l’incidente stradale resta in vetta per la
mortalità giovanile. Le cause sono molteplici: eccessiva velocità, abuso di alcol e abuso di droghe sono
quelle più diffuse, insieme alla stanchezza fisica. La prima riguarda una mal gestione del veicolo e delle
sue potenzialità, nonché i riflessi del conducente e l’attenzione che quest’ultimo pone alla guida. Gli
abusi, purtroppo, sono la causa di morte definibili “da suicida”. Sì perché, nella consapevolezza di chi si
mette al volante, a rischio c’è la vita di colui che ha ecceduto e quella degli altri. Il consumo eccessivo di
alcol provoca sbandamento e annebbiamento della vista. La scarsa attenzione è solo la più blanda
delle conseguenze. Il decesso è assicurato per il 40% dei casi, con un aumento registrato del 5,9%
rispetto agli anni passati.
Non da meno è l’uso di droghe, il cui controllo è circoscritto e non diffuso come dovrebbe. Purtroppo i
giovani facilmente si lasciano influenzare dalle mode provenienti dagli altri Paesi, europei e non.
L’ultima in ordine di tempo è lo sballo provocato dal versare vodka direttamente negli occhi. Secondo i
dati della Commissione Europea, l’Italia può contare sul 30% dei decessi per incidenti stradali e del
50% di quelli non mortali, ma con conseguenze irreversibili sul corpo (da paralisi parziali o totali ad
ustioni estese). Secondo i dati del rapporto Aci ed Istat, nel 2010 hanno perso la vita 4.237 persone per
incidente stradale e 215.405 hanno riportato lesioni più o meno gravi. Sicuramente i dati sono
confortanti se paragonati a quelli del 2001 in cui i morti erano il 40% in più (circa 7.096) ed i feriti
impennavo del più 18%.
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Politica
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Ma non siamo gli unici. Secondo le percentuali di mortalità medie riportate dall’International Road Traffic
and Accident Database (IRTAD), in Europa si possono contare circa 10.000 incidenti ogni anno. Uno su
quattro causato dall’alcol. Sessualmente si dividono con un morto su quattro incidenti per i maschi (con
una percentuale del 38,1% da attribuire ai superalcolici e alle droghe) e un decesso su dieci tra le
femmine (con il 18,4%). Tutti giovani con un’età compresa tra 15 e 29 anni.
Roberta Santoro
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Drunkoressia: disturbo alimentare firmato USA
Sezioni
MARTEDÌ, 03 MAGGIO 2011 19:25
Attualità
NESSUN COMMENTO
Le mode statunitensi modificano, da
sempre, il profilo del contesto sociale
giovanile del nostro Paese. Nel bene e nel
male, i ragazzi italiani assorbono come
spugne usanze e strane tendenze. È il
caso della drunkoressia che sta già
spopolando tra gli adolescenti. Un cocktail
e poi un cicchetto. Dopo si ricomincia con
un altro drink fino a collassare. Tutto
questo a scapito del fegato, ma non della
linea.
Ogni bicchiere può contenere fino a
cinquecento calorie. Al risultato del rapido
Bere senza toccare cibo per giorni. Ecco l’ultima trovata delle
calcolo sono giunte anche le ragazze
giovanissime per sballarsi restando in linea
italiane che, a suon di click, si scambiano
informazioni su questa nuova pericolosa
trovata firmata USA. In cosa consiste nel concreto? Nel non ingerire cibo di alcun genere per potersi
permettere alcol in discoteca. Il risultato è semplice. Il corpo esteticamente rimane filiforme (almeno per
il momento), ma del fegato non si può dire lo stesso. Dall’epatite alcolica alla cirrosi, per non voler citare
tutti gli effetti devastanti su cuore, reni, circolazione sanguigna ed esofago. Intaccato è anche il sistema
nervoso certrale le cui reazioni possono essere molteplici.
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Nessuno vuole bacchettare. Le nuove direttive del codice della strada risultano eccessive a chiunque.
Neanche una birra può essere tollerata. Ma qui il discorso è differente. Non si tratta di bere un cocktail in
compagnia, magari dopo una cena leggera. Il digiuno assoluto con l’ingestione unicamente di alcol è
un vero suicidio. Purtroppo è la strana concezione in voga negli ultimi anni: per andare in discoteca devi
indossare abiti vertiginosamente ridotti; per la minigonna necessiti di un fisico mozzafiato; per divertirti
hai bisogno di sballarti; per sballarti necessiti di almeno tre drink. Unica soluzione? Bere senza
mangiare. Come spiega Monia Napolitano, sociologa di Codici, la taglia 38 è il caposaldo per essere
accettata,; l0 stesso vale per il consumo di alcolici. Non a caso, sottolinea la dottoressa, si va ad
incrementare ogni anno di più il bilancio delle vittime dei disturbi alimentari.
La drunkoressia è una delle molteplici facce dell’anoressia. L’analogia con quest’ultima riguarda il
rifiuto del cibo e il relativo calo di peso corporeo. La diagnosi è piuttosto semplice qualora si decida di
affidarsi ad un medico. Una delle prime cose che l’esperto controllerà è l’Indice di Massa Corporea
(IMC). Quest’ultimo non deve andare sotto il valore di 17,5 (il normopeso di una donna deve essere
compreso tra 19 e 24,5). Il secondo dato da valutare è l’amenorrea, ovvero la mancanza di mestruazioni
per un periodo di almeno sei mesi. Le terapie sono le stesse per entrambi i disturbi: psicoterapia
individuale e di gruppo, farmaci in caso di dipendenza e ricovero in centri specializzati qualora la
nutrizione forzata sia una prescrizione difficile da realizzare.
Le adolescenti italiane sono, oramai, senza controllo. “Nonostante, in Italia molte realtà comunali
ab b iano previsto delle restrizioni al consumo di alcol, il fenomeno non semb ra arrestarsi. Oltre a
un’adeguata campagna di prevenzione - commenta la Napolitano – prob ab ilmente b isognereb b e
adottare nuove misure contro le pub b licità e i messaggi televisivi che veicolano stili di vita e modelli
sb agliati”. Dello stesso parere anche la dottoressa Maria Cristina Campanini la quale, in un convegno a
Milano, ha spiegato come solo il 16% delle adolescenti si salva dall’impressione di inadeguatezza
fisica. Purtroppo, avverte, esiste troppo disinteresse verso il problema. La responsabilità genitoriale
sembra essere impotente davanti a ragazzine che si sostengono con acqua, caffè, sigarette e gomme
da masticare. Il consiglio della dottoressa Campanini? “Dovreb b ero cercare di mangiare con loro,
informarle sui pericoli che corrono, sottolineando come anoressia e alcolismo fanno solo diventare
b rutti, con la pelle spenta, i capelli opachi e i denti rovinati”.
Roberta Santoro
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MARTEDÌ, 03 MAGGIO 2011 19:24
Attualità
NESSUN COMMENTO
Fare musica nelle nostre zone più essere
una vera e propria mission impossible.
Ancora di più se rappi. Generi come il Rap
o l’Hip Hop vedono pochi rappresentanti in
giro, e la fine degli anni ‘90 si portò via o
quasi un discreto movimento rap specie a
Napoli città, purtroppo molto legato a
movimenti politici senza mai imparando a
camminare da solo.
Big Mo, a.k.a. Marcello Ferrara, è un rapper
che alla fine degli anni ‘90 amò e pianse le
morti di Tupac Amaru Shakur (2Pac) e The
Notorius B.I.G. (Biggie). Muove i suoi passi
con skc e blunt smokerz gang. Da poco
gira con la sua nuova squadra, la Bossolini
Fam, promuovendo la sua ultima fatica,
“Profondo South”.
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Allora Big Mo, di cosa si contamina
“Profondo South”?
aversano
Sicuramente “Profondo South” è il prodotto
a cui ho apportato piu’ idee e che mi ha
portato via piu’ sudore, anche per via delle numerose collaborazioni oltreoceano, ma fortunatamente
tutto il tempo dedicato ha avuto un suo ritorno, in quanto abbiamo finito tutte le copie che ci eravamo
prestabiliti di vendere. Dal punto di vista delle contaminazioni e’ un album che rispecchia il trend del
momento, non perchè’ seguo le mode, ma perché era da anni che avevo intenzione di sviluppare un
album con un sound prettamente elettronico, e di conseguenza in questo album c’è poco spazio per
sonorità funky come avevo fatto in passato.
La copertina dell'album Profondo South di Big Mo, rapper
Raccontaci un pò del Big Mo di qualche anno fa.
Beh, immagino ti riferisci al Big Mo degli inizi, quello degli anni novanta, che girava per la città cercando
di farla diventare un po’ come Los Angeles. Diciamo che tutti i tentativi furono vani, ovviamente, anche se
sarebbe bello girare per la città e vedere macchine saltare con le sospensioni automatiche. Il Big Mo del
passato era diverso da quello di oggi perché era un sognatore, anche per via della giovane età, oggi
analizzo le cose per quelle che sono senza quell’atteggiamento diciamo “gangsta rap” che mi
contraddistingueva.
Aversa ha un suo “ghetto”, oppure bisogna lavorare molto di fantasia?
Il ghetto e’ un concetto surreale, molti artisti anche hip hop italiani parlano di ghetto riferendosi non ad
un quartiere un po’ degradato, ma a situazioni della vita che ti lasciano solo ed a cui devi reagire. Per
quanto mi riguarda non ho mai ritenuto che per fare rap ci fosse bisogno di appartenere ad un ghetto o
parlare sempre di questo, e’ uno stereotipo molto anni ’90, anche negli States hanno capito che è un
discorso fine a se stesso e che ti chiude in confini molto stretti. Ad Aversa non esiste penso un ghetto o
una zona che può chiamarsi tale, chi vuole parlare di ghetto ad Aversa dovrà lavorare molto di fantasia…
Quali sono gli artisti da cui hai tratto ispirazione nel corso degli anni? Ovviamente parliamo di U.S.A.,
giusto?
Sono molti gli artisti che mi hanno influenzato e a cui devo forse un po’ del mio rap di oggi, negli anni
novanta oltre ai defunti Biggie e Pac mi prendevano molto Snoop, Dre, Jay z, Ice Cube, oggi mi
influenzano come già detto prima quelli un po’ più “fresh” come sound: Rick Ross, Lil’ Wayne, T.I.,
Drake. In sostanza comunque tutti artisti americani perché insomma, diciamocela tutta, questa è roba
loro e come lo fanno loro noi ci arriviamo sempre dopo un po’ di anni.
Ce la spari una rima a noi lettori de “La Rosa Nera”?
Se Big Mo e’ un must per la gente vera
the best per le news è ancora la Rosa Nera!
Marco Della Gatta
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Sofia Loren, Hollywood celebra la nos…
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Sofia Loren, Hollywood celebra la nostra diva
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MARTEDÌ, 03 MAGGIO 2011 19:24
Attualità
NESSUN COMMENTO
Dici “Italia” e uno pensa subito alla cucina,
all’arte e…. a Sophia Loren, al secolo Sofia
Villani Scicolone, l’attrice simbolo dell’
italianità nel mondo e nel grande cinema.
Da Pozzuoli all’Oscar, la storia di Sofia ha il
sapore di una favola. Un’infanzia difficile
senza un padre, la guerra, la fame e le
difficoltà economiche, poi l’arrivo a
Cinecittà e il difficile inizio di carriera tra
fotoromanzi e piccole comparsate fino
all’incontro con Carlo Ponti che le aprirà le
tanto sospirate porte del successo,
rendendola un mito del cinema mondiale.
“The Italian Cinderella”. Così gli americani
ribattezzarono quell’esplosiva e sensuale
ragazza di Pozzuoli che a soli 25 anni riuscì
a vincere un Oscar, prima attrice in
assoluto nella storia di questo premio a
imporsi con un ruolo non recitato in
inglese.
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Sofia Loren in una scela del film "La Ciociara" di Vittorio De
Sica grazie al quale vince il suo primo Oscar nel 1962
Quintessenza della donna del sud,
caparbia, sfrontata e indomabile, Sophia
Loren – romana di nascita ma napoletana per origini e nel cuore – è stata per anni un’icona sensuale
della bellezza e dell’eleganza italiana nel mondo. Ma il suo fascino prorompente non ha mai rischiato di
offuscarne l’indiscutibile talento. Un talento che l’America continua ad invidiarci tanto da volergli rendere
il giusto tributo in quello che è già stato definito come il “Sophia Day”. L’omaggio dell’ Academy of Motion
Pictures and Arts (l’organizzazione che ogni hanno decide l’assegnazione dei premi Oscar) a nostra
signora del cinema italiano, andrà in scena il 4 maggio presso il Samuel Goldwyn Theater di Beverly
Hills, in una serata evento intitolata “An Academy Trib ute to Sophia Loren”. Amici e colleghi di lavoro –
come John Travolta, Jo Champa, Meg Ryan, Christian De Sica, Roberto Benigni e Rob Marshall –
parteciperanno, di persona o attraverso video-messaggi, a questa grande celebrazione popolare della
vita e della carriera dell’attrice italiana che più di ogni altra ha conquistato Hollywood. Verranno riproposti
i film che ne hanno decretato il successo a partire da La Ciociara di Vittorio De Sica che nel 1962 fruttò
ad una giovanissima Sophia il suo primo Oscar per la vibrante e passionale interpretazione di Cesira.
La star non andò a ritirare quel premio, restò a Roma perché “certa che avrei perso e non sapevo come
avrei reagito alla delusione”. Era invece a Los Angeles trent’anni dopo per la sua seconda statuetta, un
Oscar per onorare la carriera di “uno dei tesori più genuini del cinema che, con memorab ili
rappresentazioni ha portato grande lustro a questa forma d’arte”.
Nei suoi 80 e passa film, la Loren ha recitato accanto ad alcuni tra i più famosi divi del cinema
americano da Cary Grant a Clark Gable, da Gregory Peck a Marlon Brando, sotto lo sguardo attento di
registi come Lumet, Cukor, Altman, Chaplin. Ma il meglio di sé Sophia lo dà in patria, dove ha scritto
alcuni tra i capitoli più importanti della storia del cinema italiano con film capolavoro come Ieri, oggi e
domani (1963) o Matrimonio all’italiana (1964) diretta dal maestro De Sica, e il film della maturità che
forse costituisce la sua performance migliore, Una giornata particolare (1977) di Ettore Scola, sempre al
fianco di Marcello Mastroianni, suo partner storico in uno tra i sodalizi artistici più riusciti. Oggi Sophia
non sembra trovare più ruoli adatti al suo talento ma nonostante l’età, è ancora talmente diva da posare,
settantenne, per il calendario Pirelli. Il suo mito dura solidamente da oltre cinquant’anni. La sua veracità
tutta napoletana ha lasciato un’impronta indelebile e il suo nome continua a renderci fieri di essere
italiani.
Enrica Raia
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Maghi o vampiri? Socializzare con un …
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Maghi o vampiri? Socializzare con un libro
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MARTEDÌ, 03 MAGGIO 2011 19:25
NESSUN COMMENTO
Negli ultimi anni le saghe fantasy di Harry
Potter e Twilight hanno davvero spopolato:
grandi e piccini cresciuti con Harry Potter
hanno seguito la storia del giovane mago
creato dalla Rowling per sette lunghi
volumi (il primo uscito nell’ormai lontano
1997), mentre tra i fan di Twilight si
annovera soprattutto
la popolazione
femminile, innamorata dell’affascinante
vampiro protagonista e sognatrice di una
storia d’amore che abbia la stessa
intensità di quella narrata dalla Meyer.
Grande è il tumulto che si è creato intorno
ad ognuna di queste saghe: i fans si
Una recente ricerca dimostra che la lettura soddisfa il bisogno
incontrano all’interno di community virtuali
primario di socializzazione dell’essere umano,
dove, grazie alla passione comune per i
propri beniamini di carta e inchiostro,
instaurano legami di amicizia reali; in rete si battaglia per stabilire quale delle due vicende sia più
emozionante ed entrambe le fazioni sono attualmente in attesa della trasposizione cinematografica
dell’epilogo della saga prediletta (Harry Potter e i doni della morte - Parte 2 in uscita Luglio e Breaking
Dawn – parte 1 e parte 2 attesi rispettivamente a Novembre 2011 e Novembre 2012). Tuttavia appare
evidente che, nonostante le differenze tra le storie, la caratteristica che accomuna le saghe sia
l’impronta indelebile lasciata nell’animo e nella vita dei lettori.
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Da anni la psicologia indaga la relazione che si costruisce tra il libro e il lettore, quel rapporto di
reciproca influenza in cui l’impegno del lettore va ben oltre la semplice elaborazione dell’informazione
ed il suo coinvolgimento è tale da generare la proiezione delle proprie concezioni sul testo e, nel
contempo, la partecipazione emotiva a quanto letto: i testi narrativi, per le loro peculiarità, sono i testi che
più di ogni altro chiamano in gioco l’affettività e le emozioni in tutte le loro possibili sfaccettature;
“ovviamente, non si può tenere la mano ad un lib ro, né un lib ro può asciugarti le lacrime quando sei
triste. Eppure sperimentiamo un legame umano, senza relazione reale, attraverso la lettura” ha
dichiarato la dr.ssa Gabriel presentando la sua recente ricerca, “Come diventare un vampiro senza
essere morso”, condotta con la dottoranda Ariana Young.
La ricerca, di prossima pubblicazione sulla rivista Psychological Science della Association for
Psychological Science, ha analizzato un campione di 140 soggetti – tutti studenti universitari – cui, dopo
essere stati divisi in due gruppi è stato richiesto di dedicare 30 minuti ad una piacevole lettura: un
gruppo ha letto un brano estratto da Twilight, in cui Edward, il vampiro protagonista, parla del suo
interesse romantico per Bella Swan e di quanto l’essere un vampiro condizioni la loro unione; mentre al
secondo gruppo è stato consegnato un brano estratto da Harry Potter e la pietra filosofale, in cui è
descritto il momento dello “smistamento”, ovvero l’arrivo di Harry alla Scuola di Magia e Stregoneria di
Hogwarts, il suo ingresso nella casa di Grifondoro e il primissimo incontro con il professor Piton. La
lettura aveva come unico scopo il puro, personale piacere del lettore.
Ai soggetti sono stati, poi, somministrati alcuni compiti per valutare la connessione psicologica con i
personaggi della vicenda letta, dunque con la categoria “vampiri” e la categoria “maghi”. In questa fase,
è stato chiesto loro di classificare le parole fatte apparire dalle ricercatrici su uno schermo, al Sé (io,
mio, ecc…) e alla categoria “mago” (bacchetta, pozioni, magia, ecc…), utilizzando un bottone specifico,
oppure alla categoria “non- Sé” (essi, loro, ecc…) e alla categoria “vampiro” (sangue, denti, non-morti,
ecc…), utilizzando un diverso bottone. L’esercizio è stato ripetuto, con le istruzioni invertite, con il gruppo
di lettori di Twilight. In entrambi i casi le parole sono state riconosciute, in modo molto più rapido, come
appartenenti al Sé quando erano relative al gruppo di appartenenza del personaggio del proprio libro.
In una seconda fase, ai soggetti coinvolti è stato somministrato un questionario, definito Twilight/Harry
Potter Narrative Collective Assimilation Scale, per valutare il grado di identificazione con i personaggi dei
brani letti, attraverso domande quali “Credi che i tuoi denti siano affilati?” oppure “Credi di poter
scomparire e poi riapparire in un posto diverso?”; mentre la terza fase è stata riservata alla condizione
personale dei singoli partecipanti, con un questionario riguardante il grado di soddisfazione circa la
propria vita e il proprio stato d’animo.
Dai risultati è emerso che i lettori del brano di Harry Potter e la pietra filosofale sembravano aver
assimilato e fatto propri, i tratti tipici della popolazione magica, mentre lo stesso accadeva con le
caratteristiche vampiresche per i lettori di Twilight. L’assimilazione sembra più forte in persone che
riescono a sperimentare un alto grado di identificazione se inseriti all’interno di un gruppo, come se le
caratteristiche psicologiche individuali potessero orientare la lettura e renderla un’esperienza unica.
Ovviamente, nonostante il titolo della ricerca sia molto evocativo, i lettori non si “sentono realmente”
maghi o vampiri, ma riescono piuttosto ad assimilare nel proprio stato cognitivo ed emotivo le
caratteristiche del gruppo di appartenenza del personaggio della storia letta perché è con questo che si
sono identificati.
L’identificazione nell’ambito della lettura è, infatti, resa possibile dall’universale tendenza dell’essere
umano a categorizzare ciò che lo circonda, ad inserire persone e fenomeni in categorie specifiche che
http://www.larosanera.it/?p=2484
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09/05/2011
Maghi o vampiri? Socializzare con un …
ne definiscano i principali tratti e le caratteristiche. Lettore e autore condividono questa tendenza che, a
prescindere dall’esistenza fittizia del personaggio, permette di riconoscere le peculiarità altrui nonché di
rafforzare la propria identità sociale, rendendo il singolo individuo parte di un gruppo con il quale si
condividono degli aspetti e degli atteggiamenti.
Ancora una volta, la psicologia dimostra che la lettura non può essere considerata uno strumento
meramente formativo e che il piacere di leggere risiede nella possibilità di soddisfare, attraverso questa
attività, bisogni psicologici molto profondi, quali il desiderio di entrare in relazione con gli altri e di
appartenere alla comunità/gruppo di cui si “vivono” le vicende scritte. Non significa “essere” vampiri o
maghi, ma entrare in empatia con il personaggio, al punto da comprenderne lo stato mentale e
psicologico, fino a sperimentarne le emozioni così come descritte nel testo. Questo fenomeno è molto
articolato perché permeato da una doppia componente: da un lato la componente emotiva, che orienta il
processo, dall’altro quella concettuale, che implica la possibilità di riconoscere nell’altro le proprie
concezioni del mondo e del Sé e, in virtù di tale riconoscimento, di sentirsi a tutti gli effetti “protagonista”
della storia.
Sara Di Somma
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George Martin, il “quinto” Beatles | La…
Numero 25 del 03/05/2011
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George Martin, il “quinto” Beatles
Sezioni
MARTEDÌ, 03 MAGGIO 2011 20:43
Attualità
NESSUN COMMENTO
George Martin, il "vero" quinto Beatles
Paolo Maurensig ha scritto: “La musica eleva i sentimenti
e la stessa natura dell’uomo, ma le vie per arrivarci
devono passare attraverso lo stridore, il fragore, la
dissonanza. Dietro la musica, eseguita con levità e
perfezione, come la possiamo ascoltare nell’esecuzione
raffinata di un quartetto d’archi, c’è l’attrito dei nervi che si
contraggono, il fiotto del sangue, il tumulto dei cuori”
(Canone Inverso, 1996). Parafrasandolo potremmo dire:
dietro la musica dei Beatles, geniale e rivoluzionaria, si
cela la figura di George Martin, produttore discografico
della EMI che, pur restando sempre nell’ombra della sala
di registrazione, contribuì incisivamente al successo del
quartetto di Liverpool. E d’altronde si tratta di un processo
che si ripete costantemente nella storia: dietro ogni
grande figura di spicco si nasconde un manager, un
motivational man, un sostenitore segreto che
sapientemente miscela nelle giuste quantità quegli
ingredienti che poi portano al successo. Questo fu il ruolo
di George Martin per i Beatles: quello di un abile chef in
grado di affinare, mescolare, togliere e aggiungere dove
necessario quelle spezie indispensabili a trasformare un
piatto grezzo in un raffinato capolavoro, in questo caso
musicale.
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Uomo di formazione classica – aveva studiato oboe e pianoforte – e di grande cultura, George Martin è
stato un po’ il Socrate della “filosofia” beatlesiana: è una dote naturale, la sua, quella di vedere la statua
laddove tutti non vedono altro che un pezzo di marmo, e di tirare fuori il meglio, maieuticamente
parlando, da quei talenti grezzi e completamente a digiuno di teoria musicale, che erano i quattro
ragazzini di Liverpool al loro esordio, prima di diventare famosi, come (blasfemo!) dichiarò John Lennon,
“più di Gesù Cristo”. E, proprio come Gesù, per riprendere l’analogia della scandalistica affermazione
lennoniana, anche i Beatles ebbero un padre spirituale, che quasi tutti gli amatori e gli storici della
Beatlemania fanno coincidere con George Martin: è lui che si cela dietro i preziosi arrangiamenti di
canzoni senza tempo come Yesterday, Eleanor Rigb y e Penny Lane; fu George Martin che
pazientemente, su insistenza di Brian Epstein, ascoltò le prime produzioni inedite dei Four, quando
ancora non erano Fab , e seppe leggere, e poi trascrivere sugli spartiti, tra quei suoni sporchi e rozzi,
melodie destinate a divenire intramontabili. Considerato a buon diritto il “quinto beatle”, George Martin fu
l’artefice silente del successo dei Beatles, al cui servizio mise tutta la sua esperienza e conoscenza
musicale. E i Beatles, insperatamente – non si aspettava, George Martin, di poterci ricavare più di un
paio di singoli prima che i quattro cadessero nel dimenticatoio – ricambiarono il favore, trasformando
George Martin, da produttore di una piccola affiliata della EMI, la Parlophone, destinata all’epoca alla
produzione di artisti minori, in affermato manager del gruppo più famoso al mondo, che con lui incise
tutti i suoi lavori, compreso Abbey Road, ultimo album da studio dei mitici quattro, che all’uopo
richiamarono George Martin (che li aveva abbandonati dopo il White Album, stanco dei continui litigi
interni alla band), a testimonianza di quanto il suo apporto fosse fondamentale in fase di raffinazione e
incisione dei, seppur talentuosi, visionari pezzi ideati dai Beatles.
Eppure, George Martin fu sempre molto modesto quando gli fu fatto notare il suo indispensabile
contributo alla nascita della stella beatlesiana: “I Beatles erano una fantastica b and di quattro elementi
che funzionavano magicamente insieme, molto di più che da soli. Uno finiva quello che l’altro aveva
iniziato. Erano quattro menti inseparab ili che facevano concerti, televisione, radio e ogni tanto andavano
anche in studio. Dove c’ero io, che in quel momento ero parte della squadra. Senz’altro la mia opinione
sui pezzi contava quanto la loro. Ma ero solo un piccolo ingranaggio di una grande macchina” ha
dichiarato qualche anno fa il produttore in un’intervista per Vanity Fair, in occasione dell’uscita del disco
tratto dal musical Love, nato dall’incontro tra 30 canzoni dei Beatles e il Circ du Soleil. Forse perché, ab
originem, se fosse stato per lui, George Martin, non ci sarebbero stati i Beatles. Al loro primo incontro a
Abbey Road, ennesima audizione per i quattro, già scartati da numerose altre e più influenti case
discografiche, George Martin li ricorda come dei performer abbastanza scadenti. “La maggior parte dei
loro pezzi era spazzatura, la cosa migliore – detto oggi fa un po’ ridere – era Love Me Do”. Ma George
Martin, con fiuto infallibile poi rivelatosi estremamente prolifico, li scritturò ugualmente. Perché? Perché
avevano “carisma, molto senso dell’umorismo, ed erano terrib ilmente affascinanti”. Oggi, a distanza di
quella che sembra un’eternità dallo scioglimento dei Beatles, dalla morte di John Lennon e anche da
quella più recente di George Harrison, George Martin, 84enne ancora attivo in ambito musicale, grazie
anche all’aiuto del figlio Gilles, produttore come lui, è un po’ la memoria storica, insieme a Paul e Ringo,
un rappresentante vivente della leggenda dei Beatles. Per i quali, anche nel ricordo, non smette di avere
parole di affetto e di stima: “Non avevo preferenze, erano tutti molto diversi. Paul e John erano
b ravissimi compositori, si piacevano, erano come fratelli e contemporaneamente molto rivali tra loro.
Ognuno voleva sempre superare l’altro. Ringo era una sicurezza, e George adorab ile. Mi manca
moltissimo”. Parole grazie alle quali i Beatles sembrano rivivere, oggi come allora, come erano
all’epoca: quattro ragazzi con un sogno nel cassetto e la musica nel cuore.
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Rifiuti, allarme Dipartimento Igiene | L…
Numero 25 del 03/05/2011
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Rifiuti, allarme Dipartimento Igiene
Sezioni
LUNEDÌ, 09 MAGGIO 2011 15:31
Attualità
NESSUN COMMENTO
NAPOLI – «È a rischio la salute dei cittadini con i
rifiuti in strada, anche se si tratta di
un’emergenza che è come un’epidemia, cioè
non prevedibile».
Lo ha detto Maria Triassi, del Dipartimento di
Igiene della Federico II, a margine della
presentazione del Regolamento del Comune di
Napoli in tema di ambiente e igiene della città.
«Anche le disinfezioni lascian o il tempo che
trovano – ha affermato – perchè si continua
comunque a dare da mangiare a blatte, topi,
gabbiani. L’unica cosa da fare è ripulire le
strade».
«Il rimpallo delle responsabilità a cui assistiamo – ha concluso – dipende dalla campagna elettorale
perchè chi dovrebbe occuparsi di queste cose pensa, invece, alla campagna elettorale».
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Fonte: ilMattino.it
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Nuovo strappo Confindustria-Govern…
Numero 25 del 03/05/2011
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Nuovo strappo Confindustria-Governo Calderoli:
Marcegaglia arrogante
LUNEDÌ, 09 MAGGIO 2011 15:34
Sezioni
Attualità
NESSUN COMMENTO
Cinema
ROMA – Confindustria e Governo di nuovo ai ferri
corti. Tutta colpa dell’assemblea degli industriali
durante la quale Emma Marcegaglia ha
continuato a chiedere riforme. L’occasione del
nuovo strappo è stato un applauso rivolto dalla
platea a un dirigente della Thyssen, società
condannata per la morte di sette operai. «Ho
trovato davvero fuori luogo l’applauso al dirigente
della Thyssen visto che la sicurezza sul lavoro è
un problema vero che interessa tutti i lavoratori e
i cittadini. E poi ho trovato una certa arroganza
professorale nell’intervento della leader di
Confindustria, secondo uno stile, non rimpianto, che fu del suo predecessore Montezemolo, che quello
stesso stile adesso vorrebbe portarlo in politica». Lo dice il ministro per la semplificazione Roberto
Calderoli.
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Calderoli: Confindustria come Cgil. «Non vorrei che la Confindustria si stesse trasformando in una
sorta di Cgil degli imprenditori, ovvero in una forza espressione di una oligarchia convinta oltretutto di
essere l’unica detentrice della verità», ha aggiunto il ministro.
Pirani: gravi applausi a Thyssen. «Un applauso assolutamente fuori luogo»: stigmatizza così il
battimani che ha accolto ieri l’ad della Thyssen, Harald Espenhahn, all’assise di Confindustria a
Bergamo, il segretario confederale della Uil, Paolo Pirani, che parla di «caduta si stile da parte della
platea degli industriali». «Al di là dei giudizi che si possono dare sulla sentenza – spiega il sindacalista
– credo che vada fatto ogni sforzo per favorire gli investimenti e la sicurezza. Non possiamo pensare che
gli investimenti possano venire perchè c’è poca sicurezza. Nel caso della Thyssen, la strada è stata fatta
dopo quella tragica giornata e i livelli di sicurezza e di collaborazione tra sindacati e impresa sono
cresciuti e possono svilupparsi ancora».
Casini: insopportabile isterismo del governo. «Sta veramente diventando insopportabile l’isterismo con
cui da parte degli esponenti del Governo si reagisce a qualsiasi critica, anche la più educata e
rispettosa». Così il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini. «Oggi è incorsa nel peccato di lesa maestà
la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia – sottolinea Casini – rea di aver fatto alcune
rispettose riflessioni sulla necessità di dare maggior impulso alla crescita del Paese. Non riesco a
capire per quanto tempo le espressioni della società civile sopporteranno questa arroganza e queste
intimidazioni».
Bocchino: ha ragione Marcegaglia, servono riforme. «La Marcegaglia ha posto problemi molto seri.
Non ha chiesto lo stanziamento di fondi e quindi assistenzialismo come spesso anche gli industriale
hanno fatto ma ha chiesto riforme, ha perfettamente ragione». A dirlo è stato il vicepresidente del Fli Italo
Bocchino.
Sacconi: riforme già avviate. «Gli aiuti non ci sono consentiti nè dalla Ue nè dai vincoli di bilancio. Le
riforme, come quelle della scuola e dell’Università, della pubblica amministrazione, dello Statuto dei
lavoratori, della previdenza, del federalismo fiscale, della giustizia sono tutte realizzate, in cantiere o
avviate». Per il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia,
ha sbagliato sollecitare ieri, nell’assise di Bergamo, riforme e non aiuti.
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