Dottorato di Ricerca in Ingegneria Meccanica e Gestionale
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Dottorato di Ricerca in Ingegneria Meccanica e Gestionale XXVIII ciclo DIPARTIMENTO DI MECCANICA, MATEMATICA E MANAGEMENT Cantilever dynamics in Atomic Force Microscope (AFM) PhD STUDENT: Giuseppina Recchia TUTOR: Prof. Ing. Giuseppe Carbone 1 INTRODUZIONE La microscopia a scansione di sonda (SPM) è una delle più potenti tecniche di ricerca che permettono di studiare la morfologia e le proprietà locali delle superfici con alta risoluzione spaziale. Negli ultimi 10 anni la microscopia a scansione di sonda si è trasformata da una tecnica “esotica”, accessibile solo a pochi gruppi di ricerca, in uno strumento di indagine a disposizione di un vasto numero di ricercatori. Attualmente la maggior parte delle ricerche tribologiche fa uso delle tecniche SPM. La microscopia a scansione di sonda ha poi gettato le basi per lo sviluppo di nuovi metodi di analisi in nanotribologia, quali la tecnica di microscopia a forza atomica. Il Microscopio a Forza Atomica (AFM) permette, nelle più frequenti applicazioni, di leggere il profilo tridimensionale reale della superficie, o di studiare le interazioni tra superficie e probe. Uno dei vantaggi della tecnica, oltre alla sua elevatissima risoluzione, è quello di non richiedere alcun trattamento speciale (metallizzazione e grafitizzazione) dei campioni da analizzare. Ad esempio, mentre i microscopi elettronici richiedono, per un funzionamento corretto, il posizionamento del campione in vuoto spinto e la sua cosiddetta metalizzazione, la maggior parte delle modalità operative di un AFM funzionano perfettamente in aria e perfino in liquido. La microscopia a forza atomica, quando utilizzata per studiare i potenziali di superfici, richiede la conoscenza accurata e precisa della rigidezza del cantilever. Sono stati studiati molti metodi per determinare sperimentalmente le costanti elastiche dei cantilever AFM; uno dei più utilizzati è il metodo basato sull’analisi delle fluttuazione termica della travetta. Tale metodo viene utilizzato per caratterizzare la risposta della travetta prevalentemente in aria, laddove le dissipazioni e l’interazione fluido struttura sono molto limitate. Negli ultimi anni, però, si è osservato un sempre crescente utilizzo dell’AFM per caratterizzare campioni biologici in liquido. In tali condizioni la risposta del cantilever non può prescindere dagli effetti dovuti all’interazione fluido struttura e modelli vibrazionali dell’intero sistema liquido-travetta risultano particolarmente complessi e non sufficientemente accurati. L’obiettivo del progetto di ricerca è quello di definire il comportamento dinamico del cantilever in liquido in modo da migliorare le prestazioni dell’AFM. Occorre dapprima determinare il rumore termico in aria: ad oggi questo non è possibile perché è stato rilevato un errore nello script fornito dai produttori dello strumento. Nei prossimi mesi si prevede di acquisire direttamente il segnale DFL, determinare manualmente la costante elastica del cantilever e quantificare così il contributo delle fluttuazioni termiche. Giuseppina Recchia – PhD student XXVIII ciclo 2 1. Atomic Force Microscope Il microscopio a forza atomica (Atomic Force Microscope o AFM) è oggi impiegato per lo studio, alla scala delle dimensioni atomiche, delle superfici di composti di varia natura: film sottili o spessi di materiali ceramici, materiali amorfi, vetri, membrane sintetiche o biologiche, metalli, polimeri, semiconduttori, ecc. L’AFM è in grado di operare in aria, in UHV e in liquido (campioni biologici) e di analizzare sia materiali conduttori che isolanti; ha una risoluzione di 0.01-1 nm lungo gli assi x, y e di 0.01 nm lungo l’asse z e consente lo studio della microtopografia di un campione su una scala che varia tra i 100 nm e i 150 μm e fenomeni di abrasione, adesione, pulizia, corrosione, incisione, fotolitografia, attrito, lubrificazione. 1.1 Principi di funzionamento L’AFM è un particolare SPMs (scanning probe microscopes) e si basa quindi sulle interazioni a corto raggio che realizzano una microscopia di superficie. Per ottenere le immagini non si utilizzano lenti, ma sensori costituiti da punte acuminate intimamente interagenti con la superficie del campione. Il modo sequenziale di ottenere l'immagine è simile per tutta questa famiglia di microscopi, le principali differenze sono nella natura della sonda e nella corrispondente interazione con il campione (campo elettromagnetico, corrente di tunnel, forze di Van der Waals,...). La risoluzione dipende dal tipo di interazione, dalla forma e dimensione della sonda e dalla struttura specifica del campione, ma è svincolata dai limiti della diffrazione. Il primo microscopio a forza atomica risale al 1986 quando Gerber e Quate calcolarono le forze tra gli atomi e trovarono che si poteva realizzare una leva con costante di forza più debole di quella dell'interazione atomo-atomo, quindi capace di curvarsi per effetto di una forza atomica. Nell'AFM la sonda viene collegata allora ad una leva che si deflette in conseguenza dell'interazione della punta con il campione. Poiché le forze interatomiche e intermolecolari dipendono dalla distanza, la forza sulla sonda, tenuta ad altezza costante, dipende dalla forma locale della superficie del campione e la deflessione della leva può essere usata per formare immagini di campioni conduttori e non conduttori. Un circuito di feedback basato sul segnale proveniente dal fotodiodo può regolare la distanza tra la superficie del campione e la punta in base al modo di acquisizione scelto. Tutti i movimenti della punta (o del campione a seconda del tipo di microscopio usato) sono realizzati tramite un attuatore piezoelettrico che assicura un'alta precisione negli spostamenti lungo i tre assi. 1.2 Costituenti principali dell'AFM Il cuore del microscopio è la punta, la sonda fisica che scandisce il campione lungo le direzioni x ed y, allocata sulla cima di una piccola leva. La punta deve essere acuminata per permettere un'alta risoluzione laterale; la leva deve avere una appropriata frequenza di risonanza ed elasticità per la modalità di operazione scelta. La deflessione registrabile della leva è dell'ordine delle frazioni di nanometro ed è dovuta a forze dell'ordine dei nanonewtons. Per registrare ed amplificare questi spostamenti è in genere utilizzato un sistema ottico. Un raggio laser colpisce la parte superiore della leva e il raggio riflesso raggiunge uno speciale fotodiodo che produce un segnale di uscita dipendente dalla posizione del raggio riflesso sulla sua superficie. Questo rende possibile rivelare spostamenti verticali e torsionali della sonda. Giuseppina Recchia – PhD student XXVIII ciclo 3 Fig. 1.2.a Costituenti principali dell’AFM 1.3 Modalità di funzionamento Contact mode (Fig. 1.3.a, Fig. 1.3.b). La punta è in contatto fisico con la superficie del campione; responsabili della deflessione della leva sono le forze repulsive di Van der Waals. La modalità in contatto può essere eseguita sia a forza che a distanza costante. Nel modo ad altezza costante utilizzabile solo nel caso di rugosità del campione particolarmente contenuta, si lavora in anello aperto: la sonda viene fatta scorrere sul campione a distanza costante e l’immagine topografica è ottenuta tramite il campionamento del valore di deflessione del cantilever, che segnala presenza di picchi e valli, e la memorizzazione dei suddetti dati in una matrice rettangolare di punti. Nel modo operativo a forza costante, invece, la forza di contatto tra sonda e campione è mantenuta costante da un meccanismo di feedback elettronico. In pratica, la sonda viene abbassata sulla superficie fino a che la leva non assume una deflessione fissata in modo arbitrario dall’operatore. Quando durante la scansione la sonda incontra un picco (una valle), il cantilever s’inflette verso l’alto (il basso) ed il fotodiodo emette un segnale. Proprio il segnale errore è utilizzato per pilotare la contrazione dello scanner Z in modo da riportare la distanza sonda-campione a quella prefissata e mantenere così la deflessione costante. L’immagine AFM è costruita attraverso il campionamento del valore di Z e l’immagazzinamento degli stessi in una matrice rettangolare di punti. Questa modalità operativa è quella più frequentemente usata in contact - mode. Il contact - mode produce immagini stabili e ad alta risoluzione, ma l’interazione meccanica diretta tra punta e campione produce il danneggiamento della sonda o della superficie del campione. Si tratta quindi di tecniche non adatte a studiare campioni soffici, quali sono ad esempio i materiali organici o biologici, per i quali si preferisce operare con procedure di leva oscillante. Non contact mode. Tenendo la punta a pochi nanometri dalla superficie del campione si riducono gli effetti delle forze laterali e delle forti interazioni che danneggiano i campioni soffici. La punta vibra vicino alla sua naturale frequenza di risonanza ed è preferibile una elevata costante elastica. In queste condizioni agiscono le forze attrattive di Van der Waals che sono debolmente dipendenti dalla distanza e quindi non permettono un'alta risoluzione laterale (10 nm). Per ricostruire l'immagine si osservano le variazioni della frequenza di oscillazione. Giuseppina Recchia – PhD student XXVIII ciclo 4 Fig. 1.3.a Schema di funzionamento il Contact Mode a distanza costante Fig. 1.3.b Schema di funzionamento il Contact Mode a forza costante Tapping mode. Questo metodo permette un miglioramento della risoluzione perché interviene un'interazione più dolce tra punta e campione. La leva è fatta oscillare alla sua frequenza di risonanza o vicino ad essa in modo che la punta abbia solo un contatto transiente con la superficie. La forza applicata dalla punta può essere assorbita dalla maggior parte dei campioni senza danneggiamenti. E' richiesta una elevata costante elastica in modo che la leva abbia la necessaria energia potenziale per ritrarsi dal campione dopo averlo toccato. Per ottenere l'immagine vengono registrati i cambiamenti nell'ampiezza di oscillazione. Fig. 1.3.c Schema di funzionamento dell’AFM 1.4 Applicazioni Durante il lavoro di ricerca è stato prodotto un articolo [1] sul tema della superidrorepellenza in cui si è mirato ad analizzare sperimentalmente la rugosità delle superfici attraverso l’AFM per la caratterizzazione topografica di superfici polimeriche nano strutturate via plasma. In particolare l’acquisizione dei dati x,y e z di queste superfici è servita a calcolare un parametro topografico Giuseppina Recchia – PhD student [1] Fakir state stability of plasma generated randomly rough surfaces Rosa Di Mundo, Giuseppe Carbone, Giuseppina Recchia, Fabio Palumbo, Riccardo d'Agostino XXI Congresso Associazione Italiana di Meccanica Teorica e Applicata, Torino, 17-20 Settembre 2013 XXVIII ciclo 5 fondamentale per le prestazioni di bagnabilità, quale è il fattore di Venzel rw (rapporto tra la superfiicie reale e la sua proiezione). Fig. 1.4.a AFM dell’azienda NT-MDT utilizzato nel laboratorio di tribologia del Politecnico di Bari Giuseppina Recchia – PhD student Fig. 1.4.b Misure effettuate nel TRIBOLAB su due campioni di policarbonato trattati al plasma in due diverse modalità XXVIII ciclo 6 2. Dinamica del cantilever e rumore termico 2.1 Vibrazioni flessionali della sonda Le sonde per AFM sono di solito microscopiche leve elastiche dotate di una sottile punta all’estremità, prodotte mediante fotolitografia ed attacco chimico di strati di silicio, SiO2 o Si3N4, depositati su un wafer di silicio. Fig. 2.1.a Schema di una sonda AFM Un’estremità della leva è bloccata alla base di silicio, e la punta è collocata all’estremità libera (Figura 2.1.a). Il raggio di curvatura dell’apice di una punta AFM è dell’ordine di 1 ÷ 50 nanometri, a seconda del tipo di punta e di tecnologia di produzione. L’angolo di apertura all’apice si aggira circa sui 10 ÷ 20º. La forza F d’interazione può essere stimata tramite la legge di Hooke: F = k Z (2.1.i); ove k ([N/m]) è la costante elastica della leva e Z ([m]) lo spostamento della punta dovuto alla flessione della leva per effetto della interazione con il campione. Il valore di k varia nell’intervallo [10-3, 10] N/m a seconda del materiale e della geometria della leva. Le frequenze dei modi normali di oscillazione di una leva sono forniti dalla seguente relazione: ri = i EJ l 2 A (2.1.ii). l indica la lunghezza della leva, [m]; E e rappresentano rispettivamente il modulo di Young ([Pa]) e la densità del materiale del cantilever ([Kg/m3]); J il momento di inerzia ([m4]) della sezione trasversale A ([m2]) della leva; i un coefficiente numerico (nell’intervallo 1÷100) che dipende dal modo di oscillazione, come illustrato in figura 2.1.b. Fig. 2.1.b Principali modi vibrazionali della mensola Giuseppina Recchia – PhD student XXVIII ciclo 7 2.2 Vibrazioni random Il profilo longitudinale di una superficie può essere ricondotto ad un processo aleatorio. L’aspetto peculiare dello studio di tale fenomeno è la dinamica vibrazionale della micro-trave. Alle vibrazioni deterministiche infatti si sovrappongono delle vibrazioni casuali, da considerarsi come disturbi (o rumore). I segnali di vibrazione, deterministici o random, presentano solitamente molteplici componenti armoniche aventi differente frequenza e fase; la rappresentazione di una vibrazione nel dominio del tempo consente solo di stimare alcuni parametri di sintesi (picco, picco-picco, RMS, etc.) e l’analisi in frequenza si rende indispensabile per potere stimare il contributo fornito dalle singole armoniche. Alla base del funzionamento dell’AFM vi è dunque la presenza di un segnale random (rappresentato dal rumore termico) che si sovrappone, degradandone le caratteristiche, alla trasmissione del segnale che porta informazione. Si parla a tal proposito di risonanza stocastica. 2.3 Moto Browniano Il “rumore termico” (o “rumore bianco gaussiano”, o “rumore Johnson-Nyquist”) è causato dall’agitazione termica degli elettroni, che si muovono in direzione casuale con velocità elevata provocando fluttuazioni istantanee delle grandezze elettriche. L’elevata velocità degli elettroni rende il valore istantaneo del rumore termico praticamente scorrelato dai valori precedenti. La teoria del rumore termico si basa sul concetto di moto Browniano. Nel 1827, il botanico scozzese Robert Brown osservò al microscopico che i grani di polline posti in sospensione in acqua presentavano un moto rapido ed irregolare. Dapprima, si ritenne che il fenomeno fosse legato alla natura organica dei grani di polline; ben presto, però, ci si rese conto che lo stesso fenomeno si manifestava anche per piccole particelle di vetro o pietra e si attribuì successivamente una connessione del problema con la termodinamica. In particolare, si notò come la velocità del moto cresceva all’aumentare della temperatura ed al diminuire della grandezza dei grani, mentre diminuiva aumentando la viscosità del fluido. La dipendenza della velocità dei grani dalla temperatura suggeriva una possibile relazione del moto browniano con la teoria cinetica del calore. D’altro canto, si doveva escludere una spiegazione semplicistica del moto irregolare dei grani come effetto degli urti con una molecola del fluido; infatti anche la più piccola delle particelle osservabili è sempre di gran lunga più pesante della singola molecola e quindi il singolo urto non potrebbe dare effetti osservabili. Giuseppina Recchia – PhD student XXVIII ciclo 8 A questo punto è giunto il contributo rivoluzionario di Einstein e Smoluchowski, la teoria venne poi rielaborata da Langevin per mezzo di equazioni differenziali stocastiche. In poche parole, seguendo l’ impostazione di Langevin (e non quella originaria di Einstein e Smoluchowski che presenta maggiori difficoltà di esposizione), l’idea è la seguente. Il moto del grano di polline è determinato da due forze: a) quella di attrito con il fluido b) quella impulsiva, data dagli urti con le molecole. Il contributo a) è facilmente determinabile dalla legge di Stokes e, se si assume il grano di polline sferico, vale − 6Rv ove la viscosità del fluido, R il raggio della particella e v la sua velocità. In presenza del solo contributo a), un grano di massa m si dovrebbe fermare in un tempo dell’ordine di m . 6R Per quanto riguarda il contributo b), si assume che esso sia descritto da un processo gaussiano, con un’opportuna varianza (ottenibile dalla teoria cinetica), e con correlazione temporale nulla. L’ipotesi di gaussianità e correlazione nulla è fisicamente giustificabile con il fatto che il rapporto tra il tempo tipico del contributo del termine di Stokes e quello microscopico è molto grande. 2.4 Processi stocastici Il moto Browniano rappresenta un importante esempio di processo stocastico inteso come un insieme ordinato di variabili casuali, indicizzate dal parametro t, spesso detto tempo. Per un processo stocastico non è definibile, e dunque calcolabile, la trasformata di Fourier. La ragione di ciò è qualitativamente evidente: la trasformata di Fourier presuppone la conoscenza (se non in forma analitica esplicita, almeno in termini di sequenza numerica) dell’andamento del segnale. Questo è sempre possibile, fermi restando i limiti di applicabilità della trasformata, per un segnale determinato, la cui evoluzione temporale è nota ed univocamente assegnata, mentre non è possibile per un processo stocastico, la cui evoluzione temporale può solo essere descritta statisticamente. Quanto sopra osservato, comunque, non implica che per un processo stocastico non sia individuabile una descrizione in frequenza; semplicemente non si tratterà della trasformata di Fourier del segnale ma di un’altra funzione, che chiameremo “spettro di potenza del processo”, e la cui utilizzazione pratica, ha molte similitudini con quella della classica trasformata. Si consideri un generico processo stocastico x(t). Fissando l’attenzione sul valore assunto da x(t) in un generico istante (ad esempio t1), si può valutare la densità di probabilità p (x1; t1) della variabile aleatoria estratta x1 = x(t1). Allo stesso modo si può considerare un altro istante (ad esempio t2) e valutare la corrispondente p (x2; t2) che in questo caso rappresenterà la densità di probabilità della variabile aleatoria estratta x2 = x(t2). La procedura può ovviamente essere estesa ad un numero arbitrario di istanti (e quindi di variabili aleatorie estratte). La conoscenza delle densità di probabilità del primo ordine costituisce una prima e più semplice descrizione statistica del processo stocastico. Una descrizione più accurata si ottiene prendendo in esame, contemporaneamente, due istanti generici (ad esempio t1 e t2) e valutando la densità di probabilità congiunta p (x1, x2; t1, t2). Anche in questo caso, può essere in tal modo costruito un numero arbitrario di funzioni densità di probabilità del secondo ordine. Per le variabili aleatorie estratte dal processo sono calcolabili le medie d’insieme in accordo con le definizioni più generali. Così il valore medio di x1 (o valore atteso del primo ordine) sarà dato da: E( x )= x1 = x1 p( x1 ; t1 )dx1 (2.4.i). Analogamente, il momento congiunto di ordine (1, 1) delle variabili x1 e x2 si otterrà come: Giuseppina Recchia – PhD student XXVIII ciclo 9 x1 x 2 = x x 1 2 p( x1 , x 2 ; t1 , t 2 )dx1 dx 2 (2.4.ii). Dalla (2.4.ii) si ottiene il valore quadratico medio della variabile aleatoria come E( x 2 )= x 2 . Il momento congiunto di ordine (1, 1) prende anche il nome di autocorrelazione statistica. Si noti che nelle definizioni delle densità di probabilità, e delle medie d’insieme (2.4.i) e (2.4.ii), le variabili aleatorie sono le x1 mentre il tempo svolge il ruolo di parametro. In generale, le densità di probabilità del primo ordine sono diverse al variare dell’istante t1 considerato e le densità di ordine superiore dipendono singolarmente dagli istanti ti , t j ....tk . In molti processi fisici, sulla base della storia conosciuta del processo o di un ragionevole esame delle condizioni sperimentali, si possono fare delle ipotesi semplificative. Il processo viene definito stazionario se i valori attesi risultano essere indipendenti dall’origine dei tempi ed indipendenti tra loro: E( x0 )= E( x1 ). Dalla definizione segue che per caratterizzare un fenomeno basterà conoscere, per ogni funzione campione, la funzione di densità di probabilità ad un solo istante. Lo studio del processo può poi essere drasticamente semplificato introducendo un’altra ipotesi, quella di ergodicità, secondo la quale la media temporale (misurata su qualunque campione xi (t ) coincide con la media d’insieme (calcolata su qualunque istante). Un fenomeno ergodico è necessariamente stazionario, ma non vale il viceversa. Accanto alle medie statistiche (2.4.i) e (2.4.ii) è sempre possibile, per un processo stocastico, considerare anche le medie temporali; arrestandoci alle medie del primo e del secondo ordine, il valore medio temporale di una generica realizzazione del processo x (t ) è definito come: T 1 x (t ) lim x(t )dt (2.4.iii) T 0 T mentre la sua autocorrelazione temporale vale: T 1 Rx lim x (t ) x (t )dt (2.4.iv). T T 0 La (2.4.iv) esprime il valore atteso della funzione di correlazione in un processo stocastico ergodico e indica quanto il segnale acquisito ad istanti diversi sia correlato con sé stesso. A prima vista sembrerebbe impossibile applicare la trasformata di Fourier, avendo il segnale un’energia infinita proprio in virtù dell’ipotesi di stazionarietà. L’ostacolo tuttavia può essere agevolmente superato eseguendo un troncamento dello stesso. T T xT (t ) x(t ); t ; 2 2 (2.4.v). T T xT (t ) 0; t ; Vt 2 ; 2 Il segnale, dunque, ha ora energia finita e può essere convertito nel dominio delle frequenze. Energia= x T / 2 2 (t )dt x T / 2 2 (t )dt (2.4.vi) T La (2.4.vi) risulta essere pari a: Giuseppina Recchia – PhD student XXVIII ciclo 10 T / 2 1 x T (t )dt 2 T / 2 2 x (2.5.vii). 2 T ( ) d Per il segnale troncato, il valore atteso Rx ( ) sarà dunque: T E Rx ( ) Rx T T 1 T T / 2 x T (t )xT (t )dt (2.5.viii) T / 2 Applicando l’operatore trasformata di Fourier ad entrambi i membri, si ottiene: 1 2 T T Rx xT ( ) S x ( ) (2.5.ix). T Analogamente al caso dei segnali deterministici, è possibile calcolare la densità spettrale di potenza T S x (PSD) a partire dalla funzione di correlazione. PSD e modulo quadro della trasformata di Fourier del segnale differiscono di un fattore moltiplicativo pari all’ampiezza della banda temporale arbitrariamente scelta per il troncamento. Ancora in analogia ai segnali deterministici, il PSD si presenta come funzione reale contenente informazioni solo sulle frequenze di x (t ) , ma non sulle fasi. T Volendo definire la risposta di correlazione attesa R y di un sistema meccanico ad un’eccitazione di tipo random stazionaria, è necessario ricordare che, come già nel transito di un segnale di potenza determinato attraverso un sistema lineare, anche lo spettro di potenza di un processo stocastico ergodico viene alterato in ragione del modulo al quadrato della funzione di trasferimento h ( t ) del sistema che attraversa. Indicando con y (t ) il processo in uscita e con x (t ) il processo in ingresso si ha infatti: S y ( ) S x ( ) h ( ) 2 2.5 Interazione cantilever-fluido Una conoscenza approfondita del grado di interazione tra la dinamica del cantilever di un Microscopio a Forza Atomica e il fluido in cui è immerso è estremamente importante per evitare informazioni fuorvianti. A causa delle micrometriche dimensioni del cantilever, il rumore termico dovuto alla forza Browniana delle particelle liquide non può essere trascurato. I due effetti più conosciuti sulla dinamica del cantilever alla presenza di liquido sono l’ampliamento dello spettro di frequenza e lo spostamento del picco della frequenza di risonanza verso valori più bassi. Questo è chiaramente osservabile quando si va a misurare la risposta termica del cantilever. Queste fluttuazioni sono erroneamente considerate come rumore bianco che contamina la dinamica dell’AFM. Sebbene questa sia una buona approssimazione quando si opera in aria, la presenza di termini inerziali, smorzanti e diffusivi in ambiente liquido influenzano l’eccitazione termica. Le sorgenti di rumore sono i maggiori ostacoli per raggiungere una buona risoluzione su AFM, poiché livelli di segnale più bassi, che possono essere considerati una valida informazione, non possono essere alterati da rumore esterno. Il moto termico del cantilever è utilizzato per calibrare la sua rigidezza e calcolare la frequenza di risonanza e il fattore di qualità. Il modello utilizzato per descrivere la dinamica del cantilever presenta una trave immersa in un liquido viscoso come mostrato in Figura 2.5.a. Giuseppina Recchia – PhD student XXVIII ciclo 11 Fig. 2.5.a Modello del microcantilever L, B e H sono rispettivamente la lunghezza, la larghezza e lo spessore della microtrave. Si assume che L>>B>>H, così come lo spostamento trasversale w( x , t ) L Questa assunzione permette di utilizzare la teoria di Bernoulli. L’equazione del moto del cantilever sarà: 4 w( x , t ) 2 w( x , t ) EJ f B ( x, t ) f L ( x, t ) (2.5.i). x 4 t 2 Dove μ=ρA, ρ è la densità del materiale di cui è fatto il cantilever, E è il modulo di Young e A è l’area della sezione trasversale della trave. fB (x,t) è la forza caotica per unità di lunghezza agente sulla trave come conseguenza della fluttuazione termica delle molecole costituenti il liquido: forza Browniana. fL(x,t) è la forza per unità di lunghezza esercitata dal liquido sulla trave e deve essere tenuta in conto per descrivere accuratamente la dinamica del cantilever. Anche se la grandezza delle molecole del fluido è molto più piccola delle dimensioni della microtrave, la dinamica del cantilever è affetta dalle fluttuazioni Browniane. Gli stessi processi molecolari sono responsabili della dissipazione di energia dovuta sia agli urti delle molecole di liquido tra di loro sia con il cantilever. Per calcolare la risposta termica del cantilever bisogna ricorrere al Fluctuation Dissipation Theorem (FDT), il quale asserisce che, per un sistema lineare, la funzione di suscettività ( x1 , x2 , x3 ) del cantilever, che è lo spostamento w(x1,t) al punto x1 dovuto all’unità di forza concentrata nel punto x2, è proporzionale alla derivata nel tempo della funzione di autocorrelazione delle fluttuazioni termiche degli spostamenti della microtrave: ( x1 , x 2 , t ) d w ( x1 ,0 ) w ( x 2 , t ) (2.5.ii). dt Dove ( k BT ) 1 e kB è la costante di Boltzmann, T è la temperatura assoluta. La funzione di suscettività è semplicemente la funzione di Green e soddisfa la relazione: w( x , t ) t L 0 d d ( x, x' , t ) f B ( x' , ) (2.5.iii). La relazione tra Cross Power Spectral Density (CPSD) S ( x1 , x2 , ) dt w( x1 ,0) w( x2 , t ) e it delle fluttuazioni termiche del cantilever e la parte immaginaria della trasformata di Fourier della funzione di suscettività ( x1 , x2 , ) dt ( x1 , x2 , t )e it può essere facilmente derivata: 2k BT lm ( x1 , x 2 , ) (2.5.iv). Si può dimostrare che attraverso il Fluctuation Dissipation Theorem (FDT) si perviene alla stessa relazione ottenibile con il teorema di equiripartizione dell’energia: K h 2 k B T (2.5.v). S ( x1 , x 2 , ) Giuseppina Recchia – PhD student XXVIII ciclo 12 Partendo dall’equazione (2.5.i), si vx , f L x, t dt dx G x, x , t d , dove 0 G x, t c L x L x t 1 / 2 L x t ; t 0 G x, t 0; t 0 t noti che fL(x,t) può essere scritta come L Dove c L x rappresenta la viscosità, L la diffusività e L l’inerzia del liquido. Questa equazione ci consente di conoscere il la forza esercitata dal liquido sul cantilever. 2.6 Studio sperimentale delle fluttuazioni termiche Come si è già accennato, è possibile descrivere il profilo attraverso la media di una funzione densità spettrale di potenza (PSD) degli spostamenti verticali del profilo, ottenuta attraverso la trasformata di Fourier della funzione autocorrelazione del processo stocastico che descrive il profilo del materiale. Secondo il teorema di equiripartizione, per ogni grado di libertà quadratico che compone il moto complessivo di una particella, esiste un contributo di energia pari a 1 k bT . Idealizzando il 2 cantilever come un solido elastico omogeneo, la sua energia potenziale elastica è pari a: U el 1 K termica z 2 dove 2 z 2 è la deflessione quadratica media. La rigidezza termica è stata misurata tramite l’AFM del TRIBOLAB utilizzando uno script fornito dall’azienda NT-MDT (Fig. 2.6.a). Fig. 2.6.a Screenshot della prova di laboratorio per il calcolo della rigidezza termica 3. Conclusioni Giuseppina Recchia – PhD student XXVIII ciclo 13 Essendo lo scopo della prima fase del lavoro di ricerca quello di determinare il PSD del segnale DFL e dunque la deflessione quadratica media della micro-trave, è stata dapprima intrapresa la via sperimentale attraverso il ThermoKsample Script fornito al TRIBOLAB dalla NT-MDT. Questo primo approccio ha visto l’utilizzo sia della Sader theory che del Teorema di Equiripartizione (per il calcolo della Thermo Stiffness). Passando poi ad un approccio analitico, si è calcolata manualmente la rigidezza della travetta attraverso il Teorema di Equiripartizione (2.5.v) inserendovi come h 2 , il quadrato dello scarto quadratico medio (RMS2) del segnale DFL letto sull’oscillografo attraverso il software NOVA. Si è notato un errore nello Script che è in fase di correzione al Tribolab, e si riportano qui di seguito dei test eseguiti con due diverse sonde. NOMINAL STIFFNESS TYPICAL VALUE 1,45-5,1 N/m 5,1 N/m THERMO STIFFNESS 13,783 N/m SADER STIFFNESS 3,565 N/m STIFFNESS 3,47 N/m calcolata manualmente NOMINAL STIFFNESS 0,003-0,13 N/m TYPICAL VALUE 0,14 N/m THERMO STIFFNESS 0,14 N/m SADER STIFFNESS 0,008 N/m STIFFNESS 0,0175 N/m calcolata manualmente Giuseppina Recchia – PhD student NSG01 PROBE CSG01 PROBE XXVIII ciclo