Dossier spettacolo - Teatro del Piccione
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Dossier spettacolo - Teatro del Piccione
“ASHKA della neve” spettacolo per voce, musica, oggetti e dolci assaggi di e con Simona Gambaro musiche originali dal vivo Cosimo Francavilla scene Alessandra Raggi - luci Paolo Piano Una storia di in un tempo e un luogo lontani, di neve e di lune nel cielo a segnare il passaggio dei mesi. Una fiaba che, come ogni fiaba, racchiude e svela metafore del vivere, del crescere, del cambiare. Evocata attraverso suoni, parole e musica, oggetti, odori e sapori. Tra ghiacci e boschi innevati Ashka, giovane donna dagli occhi di foca, compie il suo viaggio: un cammino avventuroso che la porterà in cima alla montagna fino alla tana del grande orso bruno, sorvegliata nei suoi passi dalla magica saggezza di una vecchia civetta guaritrice. All’entrata della tana Ashka affronterà poi la prova più difficile: la paziente conquista della fiducia dell’orso, al quale porterà cibo ogni giorno, mostrandosi e via via avvicinandosi, fino a poterlo guardare occhi negli occhi. Con questa amorosa sapienza tornerà finalmente a casa. Un’attrice agisce e parla dentro lo spazio magico del racconto, delimitato da un tappeto che raccoglie gli oggetti attraverso cui la storia viene rappresentata: ciotole, tazze, semi, acqua, cucchiai. I gesti quotidiani di una piccola mensa diventano trasposizioni per immagini di luoghi e personaggi della fiaba, dentro lo scorrere intenso di voce e musica, suonata dal vivo in puntuale e delicata simbiosi con il narrare. Così viene tessuto via via il filo della storia ma anche una relazione intima, di ascolto e accoglienza, con il pubblico, seduto vicino e intorno alla scena: come Ashka raccoglie, prepara e porta cibo all’orso per addomesticarlo, così la narratrice offre parole e un dolce dono condiviso (lo stesso cibo offerto all’orso) per incontrare e addomesticare i suoi spettatori, in un piccolo rito di ospitalità. Lo spettacolo è ideato, scritto e interpretato da Simona Gambaro, i cui gesti e voce sono accompagnati in un preciso e calibrato contrappunto dalle musiche originali, eseguite dal vivo, del musicista compositore polistrumentista Cosimo Francavilla. Il Teatro del Piccione si avvale per questo allestimento di una collaborazione d’eccezione: l’artista genovese Alessandra Raggi ne cura l’immagine scenica, elaborando una creazione ispirata alla storia e realizzata con la particolare tecnica da lei prediletta del collage con interventi pittorici. TEATRO DEL PICCIONE COMPAGNIA DI PRODUZIONE, ORGANIZZAZIONE E CREAZIONE DI TEATRO RAGAZZI sede organizzativa: via fracchia 10A, 16134 genova – tel.fax 010.2724046 – cell.347.4467008 indirizzo e-mail: [email protected] www.teatrodelpiccione.it APPROFONDIMENTI TRAMA In un villaggio tra le nevi, tutti gli uomini partono per la battaglia, pochi ritornano. Tra questi l’uomo amato da Ashka, giovane ragazza dagli occhi di foca. Ma il ritorno non è un momento di gioia: l’uomo pare in preda ad una follia che lo rende silenzioso e distante dalle persone e dal mondo. Per questo Ashka va a chiedere consiglio all’anziana curatrice del villaggio: lei saprà preparare la medicina necessaria a patto che la ragazza le porti l’ingrediente mancante, un pelo bianco del temibile orso della luna crescente, che abita in cima alla montagna. Ha qui inizio il viaggio di Ashka: molti gli ostacoli e le prove da superare lungo il cammino che la porta ad oltrepassare un lago, un bosco magico, una bianca distesa di neve, fino a condurla davanti alla tana dell’orso, al momento del suo risveglio dal lungo letargo invernale. Con pazienza Ashka conquista la fiducia dell’orso, portandogli cibo ogni giorno, mostrandosi e via via avvicinandosi, tanto da potergli chiedere un pelo bianco della sua folta pelliccia. Strappato il pelo inizia la fuga, giù per la montagna, inseguita dall’orso e aiutata da una civetta e dalle noci incantate che l’anziana maga le aveva dato per il viaggio. L’ingrediente è trovato, l’uomo è guarito, e la giovane Ashka ha imparato la sua forza, il suo coraggio e la strada meravigliosa e difficile dell’amore. Una storia ambientata in un tempo lontano, in luoghi di freddo, di neve e di lune nel cielo a segnare il passaggio dei mesi e delle stagioni e che, come ogni fiaba, nella semplicità di narrazione e d’immagine nasconde metafore del vivere, del crescere, del cambiare. FORMA Un’attrice agisce e parla dentro lo spazio magico del racconto, delimitato da un tappeto che raccoglie i piccoli oggetti attraverso cui la storia viene rappresentata: ciotole, tazze, semi, acqua, cucchiai. I gesti di un semplice rito quotidiano legato alla preparazione di una piccola mensa diventano trasposizioni per immagini di luoghi e personaggi della storia, dentro lo scorrere intenso di parole e musica: una teiera dà voce ad una civetta, acqua colata in una tazza diventa un lago, lo zucchero a velo versato sulla torta ben ricorda lo scendere lieve della neve. Dentro questa gestualità e questo spazio raccolti, l’attrice tesse via via il filo della fiaba ma anche una relazione vera e intima con il pubblico, seduto vicino e intorno a lei: piccole aperture coinvolgono direttamente gli spettatori, chiamati ad intervenire, a dare la propria voce e il proprio aiuto. Come si racconta della paziente conquista della fiducia dell’orso, così si mette in pratica la ricerca di una fiducia e un legame tra chi racconta e chi ascolta: condivisione di una storia e di un dolce dono (il cibo preparato per l’orso), offerto e mangiato tutti insieme. Ad accompagnare e sostenere la narrazione si snoda un delicato racconto per musica, suonata dal vivo in puntuale simbiosi con gesti e parole del racconto. CONTENUTI Varie le tematiche che si possono estrapolare da una lettura orientata della storia: riportiamo qui una serie di spunti che suggeriscono approfondimenti o rendono esplicito il percorso creativo che ha condotto alla scelta delle immagini e azioni che ne compongono la trama. Utile precisare però che l’ascolto di una fiaba non presuppone necessariamente una sua ricezione analitica: il valore profondo e peculiare della fiaba risiede proprio nella sua capacità evocativa, nel permettere un’immedesimazione individuale per ognuno diversa, nel suo saper risuonare di ricordi antichi e visioni dell’inconscio, pur nella leggerezza e nella semplicità del suo fluire. Il viaggio E’ un viaggio che ritorna su se stesso, andata e ritorno ripercorrono lo stesso tragitto, gli stessi luoghi, ma in due prospettive diverse e in due altrettanto diverse disposizioni d’animo: una montagna scalata e ridiscesa. L’andata è una lenta e faticosa salita, espressione figurata di un cammino di crescita che ha bisogno di tempo e di coscienza. I luoghi da oltrepassare lungo il salire sono prove da superare, cambiamenti del corpo e dello spirito. Il lago, il bosco, la neve: ognuno di questi appare come ostacolo a fermare il passo, ma ogni volta un disvelare, un abbandonare qualcosa di sè per conquistare uno sguardo nuovo, ne permettono il superamento. La cima della montagna è il luogo centrale della storia, la tana dell’orso. Lì si affronta l’ultima, più difficile, prova. Superato l’ostacolo, raggiunto l’obbiettivo verso cui tendeva il cammino e la pienezza della maturazione emotiva, non resta che ridiscendere la montagna. Apparentemente non è facile neppure il percorso di ritorno: una fuga concitata dall’orso furente e inferocito. In realtà altro non è che la possibilità di mettere in pratica le conoscenze acquisite durante l’andata, di dare ad esse la forza necessaria perchè vengano riconosciute come tali. Perchè è questa coscienza il vero obbiettivo che l’anziana curatrice pone alla giovane protagonista, a sua insaputa: l’ingrediente magico per prendere il quale Ashka ha compiuto il faticoso viaggio viene alla fine bruciato nel fuoco, tu hai già imparato le dice la vecchia saggia. - il lago: è un’immobilità insuperabile che ferma letteralmente il cammino, al pari della follia che immobilizza l’uomo amato da Ashka. Per oltrepassarlo lei deve mettere in azione l’intuito, rispondere agli indovinelli di due uccelli nero e bianco che parlano di coscienza, di vita e morte. Un primo passo, ancora legato al razionale (risolvere un quesito), verso l’interiorizzazione del viaggio. - il bosco: è un bosco che cresce all’infinito, labirintico e intricato. Non serve cercare la strada con spirito pratico, misurare i passi e le distanze: Ashka si perde, presa dalla paura e dalla confusione. Capisce allora che è nel respiro la soluzione, nell’abbandono delle difese, nel riconoscimento della nostra natura animale, nell’ascolto di quel bosco: ascoltare le voci degli alberi equivale ad ascoltare l’intimo parlare del proprio cuore, le più profonde esigenze, i desideri più veri. - la neve: scende lenta e silenziosa, non è un pericolo, non ha durezza d’ostacolo. Eppure Ashka si trova a rallentare l’andatura, a sprofondare, presa dentro quest’apparentemente innocuo manto bianco che tutto copre, tutto nasconde, tutto mette a tacere, come un sonno della ragione e dell’istinto. Cosa Ashka abbandoni lungo la strada, per conquistare la leggerezza d’animo necessaria a camminare sulla neve, non è dato di sapere con precisione da inventario: del cibo, una collana, i suoi lunghi capelli sono forse un passato, forse un rancore, forse un peso di memoria antica, riconosciuti e lasciati dietro di sè. La tana dell’orso Arrivata alla tana dell’orso Ashka inizia la danza: raccoglie cibo per l’orso affamato e lo porta davanti alla sua tana. Via via si mostra, si fa vedere, si avvicina sempre più, si lascia annusare e conoscere: finchè l’orso sente crescere un legame di fiducia e gratitudine che gli fa riconoscere la piccola donna come un essere a lui amico, nè preda nè cacciatrice. Ashka allora si trova a guardare l’orso negli occhi, ad aver domato la bestia e altrettanto la propria paura, ad essere disarmata di fronte a lui eppure forte come non mai. Nemmeno si conosce la durata della paziente conquista della fiducia dell’orso, educazione della parte più profonda di sè. E’ un tempo personale e sospeso, il tempo ogni volta imprevedibile dell’incontro, che ha bisogno di una dedizione incondizionata. La civetta curatrice A indicare la via del rimedio ad Ashka, seguendola in forma di civetta lungo il cammino, è l’anziana del villaggio, curatrice, creduta strega da alcuni eppure depositaria di una saggezza antica e ancestrale, di un tempo lento a ritmo di natura. Così viene suggerito un modo di relazionarsi tra giovani e anziani che si è purtroppo perso nella società attuale, incapace di riconoscere il valore dell’esperienza di chi, ormai fuori dal ciclo produttivo, ha ancora invece molto da insegnare, raccontare, tramandare da generazione in generazione. Il mostro e l’orso Rappresentano due immagini opposte del cattivo, due polarità tra le quali si delinea l’andare e tornare della storia. Il mostro iniziale è un mostro solo evocato, non descritto: è senza nome e senza volto, è l’essenza stessa della battaglia, della guerra contro un qualsiasi odiato nemico. Rappresenta il pericolo indistinto, la paura e la rabbia, è un mostro che si alimenta di odio, perchè questo è da sempre la guerra: odio che alimenta altro odio. E’ un drago che credi di poter domare, e che invece ti travolge e divora. Al contrario l’orso dichiara la sua ferinità e voracità animale, e quello è: nella sua natura di bestia non nasconde inganni, la sua ferocia rientra nell’ordine naturale del mondo vivente. Per questo è un pericolo che puoi incontrare, conoscere, guardare negli occhi. L’incontro e la fiducia Di fatto la ricerca e conquista della fiducia nell’incontro di Ashka con l’orso si mette in pratica nella rappresentazione come la stessa ricerca e conquista della fiducia nell’incontro della narratrice con il pubblico. Il raccontare la storia diventa tramite di questo tessere relazioni di parola e di sguardi, di questo accorciare le distanze, passo dopo passo, costruire un’intimità, aprendo spazi di comunicazione diretta nel racconto, fino all’azione che suggella il parallelismo e rende concreta la metafora: come Ashka offre cibo all’orso dalle proprie mani, così la narratrice offre cibo al pubblico, uscendo dal luogo della narrazione per passare di spettatore in spettatore con il suo dolce dono. La vicinanza è la stessa, lo stesso il patto sottile di fiducia. Questo è il teatro e la sua peculiarità, distintiva da ogni altra arte: un luogo e un’ora in cui si incontrano delle persone, chi parla e chi ascolta, chi guarda e chi è guardato, un dono condiviso. TEATRO DEL PICCIONE COMPAGNIA DI PRODUZIONE, ORGANIZZAZIONE E CREAZIONE DI TEATRO RAGAZZI sede organizzativa: via fracchia 10A, 16134 genova – tel.fax 010.2724046 – cell.347.4467008 indirizzo e-mail: [email protected] www.teatrodelpiccione.it