Il metodo espositivo

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Il metodo espositivo
Il metodo espositivo
Questo è il metodo in assoluto più tradizionale ed antico tra tutti i metodi formativi, a tal punto che il concetto s’identifica con il
principio stesso dell’insegnamento. La definizione stessa del metodo indica già, come esso si basi fondamentalmente
sull’espressione verbale, quale strumento per l’acquisizione di specifiche conoscenze.
Come rilevano U. Corino e L. Napoletano1, per un’applicazione efficace di tale metodo è importante porre attenzione a due
particolari aspetti: il “contenuto” da trasmettere e il “linguaggio” con il quale trasmettiamo.
Il contenuto può essere suddiviso in unità pedagogiche semplici, a loro volta ordinate in una progressione logica che ne facilita
l’apprendimento. Per quanto riguarda il linguaggio, esso dovrebbe possedere caratteristiche, quali: chiarezza, semplicità e
precisione. In tal modo i destinatari dei messaggi saranno in grado di decifrare le espressioni trasmesse e recepire così il
messaggio del formatore.
Un’altra caratteristica del processo espositivo di tale metodo è di essere centrata sullo scarto da un modello.
L’insegnante che possiede un certo sapere o un modello e lo trasmette come contenuto informativo ad altri esemplifica tale
caratteristica. Naturalmente, la trasmissione del sapere implica un’informazione di ritorno da parte del discente su ciò che ha
appreso. L’insegnante può a questo punto misurare lo scarto tra il modello trasmesso e quello che il discente gli restituisce
come informazione di ritorno.
Riportiamo le sequenze di tale processo evidenziate da U. Corino e L. Napoletano:
“L’insegnante, detentore del proprio modello (Mod. Ins) espone la prima volta l’unità pedagogica A agli allievi,
favorendo la strutturazione del loro modello (Mod. All.): esso è atteso identico a quello dell’insegnante. Il successivo
momento di verifica (Mod. Ins.= Mod. All. ?) confermerà o disconfermerà tale attesa. Nel primo caso, conferma,
l’insegnante avrà il “consenso” per passare all’esposizione della successiva unità pedagogica B; nel secondo caso,
disconferma, l’insegnante dovrà ricodificare l’esposizione dell’unità pedagogica A e sottoporre a verifica il proprio
modello (Mod. Ins.) con quello degli allievi (Mod. All.). Il ciclo potrà quindi itinerarsi attraverso esposizioni, più o
meno ripetute (fenomeno della ridondanza), e verifiche della presenza o meno di scarti.”2
1
2
U. Corino, L. Napoletano, La formazione orientata sul gruppo di lavoro. Istituzioni, pedagogia e dinamiche di gruppo: esperienze, Angeli, Milano, 1994, p. 65
Ibidem, p. 67
Lo scopo dell’insegnante è, infatti, quello di ridurre al massimo lo scarto, fino alla completa acquisizione del modello. Per
raggiungere ciò, egli si preoccupa di sviluppare le condizioni necessarie e favorevoli a tale acquisizione, tra le quali: motivazione
sufficiente all’apprendimento, capacità di suscitare tali motivazioni mediante la competizione, ricompense e sanzioni.
Il processo non si riduce esclusivamente ad una semplice trasmissione di informazioni, ma si tratta di trasmettere modelli che
consentano di raggiungere una padronanza su qualche cosa, come ad esempio, riferisce P. L. Muti:
“l’insegnante di matematica non è semplicemente uno che fornisce informazioni sulla matematica, è una persona che
opera nel campo dei simboli matematici e trasmette quindi un “saper fare” nell’universo simbolico delle
matematiche.”3
Principi
Dopo aver esaminato gli aspetti significativi del metodo espositivo, possiamo considerare alcuni principi di rilievo che lo
contraddistinguono e sui quali si fonda in gran parte la pedagogia tradizionale.
Il primo principio, evidenziato da U. Corino e L. Napoletano, è quello della “semplicità – analisi – progressione”4.
Secondo tale principio, il contenuto dell’azione pedagogica, indipendentemente dalla complessità, può essere scomposto in unità
pedagogiche semplici. Tale suddivisione rende, infatti, più facile l’acquisizione degli elementi.
Il secondo principio è quello della “memorizzazione”5: la scomposizione in unità pedagogiche, sopra esposte, facilita la
memorizzazione da parte dell’allievo. Di quest’avviso non sono, come sottolineano gli autori, gli psicologi della Gestalt.
Il terzo principio è quello della “autorità”6: il gruppo d’apprendimento è un’entità organizzata che poggia da un lato
sull’autorità dell’insegnante, e dall’altro sulle sue conoscenze e esperienze.
Egli, infatti, organizza, programma e controlla l’azione pedagogica, sia dal lato tecnico, sia dal lato motivazionale, tenendo
sempre i due aspetti ben distinti.
3
P.L Muti., Organizzazione e formazione, Angeli, Milano, 1988, p. 46
U. Corino, L. Napoletano, op. cit., 1994, p. 68
5
Ibidem, p. 68
6
Ibidem, p. 68
4
“Per la realizzazione di tali obiettivi, l’insegnante utilizza l’autorità nell’ottica di sviluppare nell’allievo una motivazione
esterna nei confronti dell’apprendimento, mentre sappiamo, non sempre questa coincide con la motivazione interna
dell’allievo”7
Il quarto principio è quello della “emulazione”8. Tale principio integra e rafforza quello dell’autorità: l’emulazione comporta a
livello individuale un istinto d’imitazione ed un bisogno di approvazione.
Quando, ad esempio, il formatore concretizza il suo potere formale in termini di premi, sanzioni e voti, egli non fa altro che
rafforzare negli allievi il loro bisogno d’approvazione, eleggendo così nell’“elemento di merito” l’elemento fondamentale del
processo formativo.
In conclusione, il quinto principio: l’“intuizione”9. Abbiamo sottolineato precedentemente, che l’insegnante, per facilitare
l’apprendimento, deve adottare un certo linguaggio, ma deve inoltre utilizzare degli accostamenti tra immagini dirette, reali ed i
concetti astratti che ha intenzione di trasmettere:
“si tratta, in sostanza, di facilitare l’acquisizione di unità pedagogiche astratte, cercando, nella realtà circostante
aspetti, oggetti e situazioni che possano, con la loro evidenza concreta, integrare il simbolismo verbale (linguaggio)
sul quale si fonda il metodo espositivo.”10
Conclusioni critiche
Dall’analisi dei principi caratterizzanti tale metodo, si possono evidenziare criticamente quegli aspetti che possiamo ritenere
“negativi” per l’apprendimento. Ciò senza sottovalutare l’importanza del metodo nel trasferire delle nozioni ad un soggetto,
anche soltanto attraverso un processo d’intuizione.
Una prima critica, focalizzata anche da U. Corino e L. Napoletano, risiede nel fatto che il metodo espositivo richiede all’allievo un
modesto utilizzo dell’“attività di pensiero” propriamente detta (ragionamento, logica, critica, analisi, sintesi, inventiva, etc.).
7
Gli autori evidenziano inoltre differenti tipi d’autorità basati ciascuno su elementi diversi, per approfondimenti cfr. U. Corino, L. Napoletano, op. cit., 1994, p. 69
Ibidem, p. 70
9
Ibidem, p. 70
10
Ibidem, p. 70
8
Inoltre, il potere autoritario e formale della figura del formatore, centrata soprattutto su elementi formali, determina il pericolo
che il gruppo d’apprendimento attui comportamenti di dipendenza, provocando, nel lungo periodo, una diminuzione di
creatività, obiettività e realismo.
Per quanto riguarda la suddivisione dei contenuti in unità pedagogiche, se da un lato questa facilita un’acquisizione più rapida,
dall’altro può determinare una difficoltà nel vedere il “senso d’insieme”, ossia il rapporto della parte al tutto.
Inoltre, come evidenziano gli autori:
“l’acquisizione di criteri, principi, regole, procedure di lavoro in modo parcellizzato, può, infatti, determinare
nell’allievo difficoltà e resistenze allorquando si trova poi ad affrontare una situazione operativa nella quale deve
saper individuare l’insieme delle regole, procedure o principi da utilizzare e che si presenta complessa rispetto a
quelle sperimentate nel processo di apprendimento proposto.”11
Per concludere la trattazione di questo metodo dobbiamo sottolineare che all’interno di questo metodo si annovera come
principale tecnica didattica, la lezione. Dobbiamo sottolineare che alcuni autori evidenziano anche delle tecniche di lezione
attiva che diventa quindi un “contenitore” di metodi e di tecniche diverse. Tale tecnica e le possibili varianti saranno affrontate
nella sezione “tecniche didattiche”.
11
Ibidem, p. 71