La contraccezione aspetti psicologici e sociologici

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La contraccezione aspetti psicologici e sociologici
LA CONTRACCEZIONE: ASPETTI PSICOLOGICI E SOCIOLOGICI
(Pubblicato sulla Rivista “Sociologia della Comunicazione” – Anno XIII n. 25 1997)
Nell'ultimo secolo la possibilità di regolare la fertilità è stata la base della partecipazione
femminile alla vita sociale.
Al di là di ogni discorso sull'emancipazione dall'uomo e dalla società maschilista, è stato
intrapreso un cammino che ha condotto al ruolo della donna come persona, un percorso in cui la
maternità consapevole e l'aborto sono stati i temi fondamentali.
Infatti, se negli ultimi vent'anni in particolare è cambiata nettamente l'immagine che
le donne hanno di se stesse, questa nuova percezione di sé è certamente legata anche
all'evolversi dei metodi contraccettivi e al diritto all'aborto.
Tuttavia ancora oggi, in molti strati sociali, per mancanza di cultura o di semplice
informazione, l'unica forma di contraccezione possibile, o "normale", è l'aborto.
In tempi recenti, la legge 194, che ne ha sancito la liceità, sia pure entro certi limiti, aveva
chiamato le istituzioni al compito importantissimo di informare sulla contraccezione, compito
assolto per un brevissimo periodo e poi totalmente trascurato, visto che il ricorso ad essa e
l'impiego corretto del metodo prescelto non sono ancora entrati nell'uso comune. La diffusa
ignoranza circa l'educazione sessuale, indipendente dalla frequenza e dalla durata dell'attività
sessuale, fa sì che soprattutto fra i giovani al di sotto dei vent'anni solo il 20% fa regolarmente uso
di un metodo contraccettivo, il 60% vi fa ricorso occasionalmente, mentre il restante 20% non lo
impiega mai.
Questi dati non possono stupirci, se sono ancora molti coloro che ignorano alcune realtà
basilari della sessualità, come i periodi di maggiore fertilità della donna o che le secrezioni pre
eiaculatorie contengono spermatozoi, e se si continua a credere all'esistenza di pericolosi effetti
collaterali legati all'uso dei contraccettivi, soprattutto della pillola. Esiste, tuttavia, una
motivazione psicologica di notevole incidenza sul rifiuto del metodo contraccettivo da parte dei
giovani. Nella fase adolescenziale il desiderio di autonomia dai genitori spesso è perseguito in
modo contraddittorio; si trasgrediscono le norme parentali, ma, assente il coraggio di
assumersene le responsabilità, l'inconscio va alla ricerca di un castigo per espiare "la colpa" e
riconfermare la propria dipendenza. Parallelamente, nell'ambito dei rapporti sessuali,
l'adolescente trasgredisce il divieto dei genitori, ma non al punto di valutarne le conseguenze e
rivelare quel senso di responsabilità che suggerisce l'adozione di un metodo contraccettivo
efficace. In tal caso un'eventuale gravidanza non rappresenterebbe altro che una giusta punizione
per "la colpa" commessa.
La contraccezione, dunque, implica l'attuazione completa di quel difficile cammino che ogni
adolescente deve percorrere per superare la propria dipendenza e diventare un adulto autonomo.
Di qui la necessità di riprendere il discorso sulla contraccezione e di diffonderlo il più
ampiamente possibile. Di qui la necessità di un'azione di supporto alle istituzioni pubbliche da
parte di ogni canale di comunicazione, dalla cultura e dai mass-media, dalle associazioni di
categoria, dal volontariato laico o cattolico; non per tutti i credenti, infatti, l'unica forma di
contraccezione possibile è l'astinenza.
Ma un'azione del genere non può e non deve esaurirsi, come spesso è avvenuto e accade
ancora, nella divulgazione di pratiche o formule anticoncezionali, nella ormai sterile riproposizione
della diatriba pillola sì - pillola no, nell'azione di rincalzo, semmai, a campagne pubblicitarie.
Il discorso sulla contraccezione deve recuperare la totalità del discorso sulla donna e sul
suo essere madre. Pochi altri temi sociali, sanitari, educativi e morali sono altrettanto coinvolgenti
per la coscienza che la donna deve avere di sé, del proprio corpo, del proprio rapporto con la vita e
con la società. Molteplici e interconnesse sono le implicazioni psicologiche e sociologiche che
questo tema presenta. Si tratta in buona sostanza di un discorso di libertà e di crescita individuale
e sociale, a partire dalla società nucleare costituita dalla coppia. L'uomo non deve essere tenuto
lontano o non deve escludersi da tale processo. La maternità consapevole della sua donna è un
suo problema. La procreazione libera da condizionamenti della donna deve avvenire anche come
frutto di un maturo rapporto di coppia.
L'obiettivo prioritario da raggiungere è quello di creare le condizioni per prevenire
l'interruzione della gravidanza senza mortificare la sessualità. Questo perché
l'ottenimento
dell'aborto legale come vittoria dei diritti femminili non è da confondersi con l'aborto in sé, che
resterà sempre espressione della passività, della irresponsabilità e dell'immaturità della donna.
L'interruzione volontaria della gravidanza è una scelta di retroguardia culturale e morale, la
contraccezione è una scelta di libertà e consapevolezza alla quale educare e preparare. Pertanto
la cultura abortista non si supera con la politica dei divieti, giuridici o morali, ma soltanto con
l'impegno comune per prevenire una maternità o una paternità non desiderata e per sostenere,
viceversa, una procreazione voluta. Il controllo delle nascite è entrato nel costume delle
popolazioni civilizzate da tre secoli. In Europa, all'avanguardia è stata la Francia, ma l'Italia è
venuta subito dopo, anche se proprio nel nostro paese i condizionamenti psicologici, sia per la
donna che per l'uomo, sono stati più marcati per la più diretta influenza della Chiesa.
Il raggiungimento del concepimento volontario testimonia anzitutto la maturità psicologica
degli individui. Lo sforzo compiuto dall'uomo per conoscere e dominare il mondo gli ha permesso
di conoscere meglio se stesso e di regolare i suoi istinti. Ma, se la capacità di evitare la
fecondazione rappresenta un grande progresso, non lo rappresenta invece l'aborto volontario,
proprio perché le società avanzate danno sempre maggior valore alla vita ed è ormai accertato e
dimostrato che essa comincia con la fecondazione. Unica condizione che può giustificare l'aborto è
la legittima difesa, la stessa che rende non punibile l'omicidio.
E in tale direzione vanno muovendosi le varie legislazioni, sia quelle che non hanno ancora
una normativa abortista, sia quelle che si apprestano a modificarla.
Ma l'aborto e la contraccezione sono problemi psicologici distinti tra loro. E devono
rimanere tali, anche se in talune fasce di sottosviluppo, al Nord e al Sud d'Italia, l'aborto è
ancora l'unica forma di contraccezione considerata e subìta.
Tuttavia la gravidanza consapevole è sempre più diffusa nelle nuove generazioni. Le coppie
giovani, eredi dell'esplosione tecnica e sociale di questo secolo, conoscono tutti i segreti del corpo
e sono perfettamente in grado di decidere quando avere un bambino. Superato ogni pregiudizio
sessuale, la ricerca del piacere è ormai una nozione radicata, un diritto acquisito. La
contraccezione ha separato la sessualità dalla riproduzione.
Le coppie moderne vedono il ruolo del genitore in modo diverso dal passato. Non sono più
disposte ad accettare tutti i figli che la natura consente loro di avere, ma preferiscono allevare
quelli desiderati nel modo migliore possibile.
Gli elementi che possono influenzare il desiderio di avere figli o la determinazione di quanti
averne sono molteplici: la situazione familiare presente, quella vissuta nell'infanzia, il senso
d'insicurezza e la paura di non poterli allevare o educare, le difficoltà economiche, l'aspirazione ad
una riuscita professionale libera da condizionamenti.
Per la donna, in particolare, la scelta di un figlio può essere la causa di gravi conflitti, in
quanto è posta di fronte ad alternative ancora più nette di quelle che si pongono all'uomo di
fronte alla prospettiva della paternità.
Nel controllo delle nascite intervengono infatti ad influenzare il comportamento, oltre a
motivazioni razionali, fattori inconsci legati alla sfera emotiva.
Come, tra gli altri, rileva la Montefeschi, la gravidanza può rappresentare il momento
realizzativo dei desideri più profondi e più forti della donna, l'espressione migliore della propria
realizzazione, l'atto creativo per eccellenza. Privarsene o rimandarla, anche se per libera scelta,
può provocare in lei contraccolpi non indifferenti, soprattutto allo stato inconscio.
Considerando la gravidanza come concretizzazione della funzione riproduttiva, si può
individuare in essa una emozionalità psicobiologica di base, che gli studiosi ascrivono alla "preservation of species drive", che e' in rapporto diretto con la "self-preservation". In questo
contesto si elencano fattori individuali, genetici, culturali e sociali. L'emozionalità riproduttiva, con
i suoi meccanismi neuroendocrini e i comportamenti a questi correlati, agisce quasi da "tutore" del
prodotto del concepimento e riduce di molto la possibilità d'interferenza dell'emozionalità
individuale, non al punto però da farla tacere del tutto. I fattori di tipo psicosociale possono
dunque interferire nell'ordine geneticamente programmato.
Quando il grado di consapevolezza sociale della donna è alto, l'erosione della sua
emozionalità riproduttiva risulta più marcata. In questo senso, l'aborto e la contraccezione
esprimono anche l'aspetto culturale della maternità. l'uno è il rifiuto culturale di un processo
biologico già iniziato, l'altra manifesta la raggiunta maturità della donna che non vuole porsi solo
come riproduttrice, ma come soggetto sessuale. Con la limitazione della maternità essa accetta e
pratica il principio dell'uso della sua sfera sessuale a scopo non riproduttivo. Ma in molte donne,
anche culturalmente evolute, la maternità continua ad essere considerata la realizzazione
essenziale della propria femminilità. Per loro, come nota Willy Pasini, la contraccezione, anche se
razionalmente scelta ed accettata, diventa una castrazione simbolica. Risulta dunque anche da
questo verso l'estrema importanza che la società dovrebbe annettere ad una adeguata
informazione contraccettiva ed al superamento del concetto patriarcale del corpo femminile.
Infatti, ancora oggi, la prospettiva dalla quale la donna guarda alla propria sessualità spesso è
influenzata dall'ottica maschile.
L'etica giudaico-cristiana, che è tanta parte della nostra cultura, ha contribuito non poco
alla diffusione dei due modelli con cui nei secoli è stata definita la donna: la madre casta e la
prostituta indegna di essere madre.
L'interiorizzazione dei due modelli è una delle cause non secondarie della resistenza
femminile alla contraccezione. Troppo spesso un figlio rappresenta per la donna l'unico o il più
alto mezzo di realizzazione personale o di approvazione sociale. E quasi sempre la disponibilità del
proprio sesso al di fuori della procreazione è considerata dalla donna e dalla società una
inequivocabile propensione al libertinaggio.
Pertanto, è ancora ingiustamente attuale la considerazione della Deutsch secondo la quale
" nell'uomo la funzione riproduttiva è annessa al piacere sessuale, nella donna invece l'atto
sessuale è un piacere annesso come ricompensa al compito che essa assolve al servizio della
specie"i.
L'uomo, dal suo canto, è stato abituato a rispettare la propria compagna come madre
potenziale. Inibendo alla donna, con la contraccezione, la funzione procreativa, la figura della
madre è sostituita da quella della donna desiderosa di piacere, oggetto di piacere, ma anche di
disprezzo e di paura.
La contraccezione, inoltre, nega la posizione privilegiata dell'uomo della società patriarcale,
che in molti casi perdura in quella moderna, in cui il potere attivo e fecondante del maschio è
considerato superiore a quello passivo di procreare della femmina. Impedendole l'uso del
contraccettivo, l'uomo vuole conservare il proprio controllo riproduttivo sulla donna.
E come la sessualità femminile, anche il cosiddetto istinto materno è frutto di una
elaborazione culturale, se inteso come "istinto naturale" della donna. Infatti, sempre secondo la
Deutsch
" è difficile
stabilire fino a che punto l'aspirazione della donna alla maternità è
influenzata da circostanze esterne, fino a qual punto si è passivamente e plasticamente adattata
alla volontà e al volere dell'uomo durante le varie fasi della civiltà e fino a qual punto essa
corrisponde a una tendenza primitiva basata su motivi coscienti e inconsci ".
Con la contraccezione, dunque, la riproduzione da atto involontario e biologico diviene
atto consapevole e gestibile.
Riflettendo sul valore che le donne in particolare attribuiscono alla maternità, come
principale realizzazione della propria natura femminile, è facilmente deducibile come possano
vivere negativamente la contraccezione. Oltre agli effetti secondari di carattere somatico o
psichico, indici del loro rifiuto, per alcune donne il fallimento della contraccezione ed il
conseguente concepimento accidentale sono l'esito di una distorsione del concetto di gravidanza,
valutata come compensazione del piacere sessuale inteso come sterile ed egoistico.
Si può persino ipotizzare che più il desiderio di maternità è vissuto in maniera conflittuale,
più il ricorso a mezzi anticoncezionali può risultare inefficace o determinare psicopatologie.
In tali circostanze l'aborto risulta l'unico rimedio per ristabilire l'equilibrio infranto da una
gravidanza indesiderata, ovvero la soluzione passiva a posteriori.
Preferire l'aborto alla contraccezione può anche indicare un appagamento di bisogni
patologici di tipo sadomasochistico. E' il caso di quelle donne che con l'interruzione di gravidanza
soddisfano la loro ostilità verso l'embrione, simbolo dei fratelli, loro rivali durante la prima infanzia.
Altre volte l'aborto può addirittura rappresentare l'epifenomeno del fallimento di una vita.
Per una donna la scelta di abortire può anche avere radici nella qualità del rapporto
instauratosi con la propria madre.
Se durante la maternità si verifica una modificazione dell'equilibrio psicologico, dovuta ad
una tendenziale identificazione della donna con la propria madre, il passaggio di ruolo, da figlia a
madre, comporta conflitti determinati dal vissuto della donna riguardo alla figura materna. Quanto
più quest'ultima avrà avuto le caratteristiche di madre insoddisfatta, oppressa dal marito, vittima
di maternità sofferte e vissute negativamente, tanto più il rifiuto ad identificarsi con un simile
modello di madre sarà rifiuto verso la maternità.
Un tal genere di ribellione può, tuttavia, manifestarsi anche durante la gravidanza, quando
questa è vissuta dalla donna come momento della compiuta indipendenza dalla madre attraverso
la capacità di diventare genitrice lei stessa. In questi casi, però, il desiderio di indipendenza è
associato all'incapacità di assumersi le proprie responsabilità di madre, ed il bambino inspessirà,
anziché eliminare, la dipendenza della donna dalla propria madre.
Di qui l'aborto, specie nei casi in cui si è inasprito il conflitto madre - figlia. Se il bambino
aumenta il pericolo di una dipendenza dalla madre, la donna preferisce la morte del proprio figlio
alla prospettiva di continuare ad essere figlia lei stessa.
In definitiva, la contraccezione rappresenta per la donna una demitizzazione della
maternità; ciò comporta una negazione di potere, se tramite la maternità la donna esercita il
proprio potere sull'uomo, ma anche di sottomissione, se così diviene finalmente padrona del
proprio corpo e della propria sessualità. Questo, però, vuol dire porre la donna di fronte ad una
libertà alla quale non è preparata e che spesso può generare stati d'angoscia, nei quali forse
risiede quella paura del piacere sessuale mai liberamente concesso al mondo femminile.
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