Questione di «feedback» | La macchina a vapore
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Questione di «feedback» | La macchina a vapore
La macchina a vapore Questione di «feedback» di Nicola Nosengo, 20 marzo 2012 TECNOLOGIA APPROFONDIMENTO Difficile pensare a una migliore rappresentazione della fine dello spirito degli anni Sessanta dell’entrata in borsa di Fender. Lo storico marchio di chitarre elettriche che ha fatto la storia della musica rock e della controcultura, lo strumento usato da Jimi Hendrix per strapazzare l’inno americano, va a finire a Wall Street, tempio dell’establishment per eccellenza. L’azienda americana, che lo scorso anno ha fatturato e 700 milioni di dollari e fatto utili per 3,2 milioni (per la prima volta dopo anni di perdite), conta di rastrellare almeno 120 milioni di dollari sul mercato azionario, per ripianare definitivamente i debiti e tornare a investire in nuovi modelli e personale. Certo fa effetto vedere la Stratocaster in giacca e cravatta, ma un posto tra i grandi marchi del capitalismo americano la Fender se lo è meritato tutto. Il suo fondatore, Leo Fender (1909-1991) è stato in un certo senso l’Henry Ford degli strumenti musicali. Fu infatti il primo a intuire e sfruttare il potenziale di mercato di uno strumento affidabile, economico e prodotto in serie. Che, proprio come la «Modello T» di Ford fece per la mobilità, doveva rivoluzionare la società in maniera profonda. Leo Fender nel 1978 (Immagine: Wikimedia Commons) Esperto di elettronica, alla fine degli anni ’30 il giovane Fender inizia a occuparsi di sistemi di amplificazione per gruppi musicali, il che lo porta a lavorare con i molti chitarristi che avevano bisogno di un sistema per farsi sentire in mezzo tra i fiati e le percussioni delle Big Band. Già da qualche anno i chitarristi jazz avevano a disposizione le chitarre elettroacustiche inventate da Gibson (l’altro storico marchio di chitarre americane): chitarre di grosse dimensioni e con una grossa cassa armonica, su cui veniva montato uno (o più) pickup: un magnete montato sotto le corde, che trasforma (ricordiamoci che elettricità e magnetismo sono due aspetti dello stesso fenomeno) le variazioni del campo magnetico provocate dalla vibrazione delle corde stesse (metalliche) in un segnale elettrico, che viene poi inviato a un amplificatore e quindi ritrasformato in suono. Schema della struttura di un pick-up ad avvolgimento singolo (o single coil) e di uno a doppio avvolgimento (Humbucker) (Immagine: Wikimedia Commons) Queste chitarre però erano ingombranti, costose, e tendevano al «feedback» se suonate a volumi troppo alti (è l’effetto che provoca un fastidiosissimo fischio quando il suono dell’amplificatore «rientra» nella cassa armonica). All’apparire dei primi gruppi di boogie-woogie e rhythm and blues, fatti di organici più piccoli e squattrinati, Fender intuì che c’era domanda per uno strumento più leggero, robusto, economico, che potesse essere amplificato al massimo senza «fischiare» per coprire l’assenza di altri strumenti, e magari fosse anche più facile da suonare, con una tastiera più sottile di quella degli strumenti jazz, che richiedevano al chitarrista una «mano» più allenata. Storica foto con Clarence Clemons (al sax) e Bruce Springsteen con la sua Fender Telecaster usata come copertina per l’album Born To Run del 1975 La soluzione era una chitarra «solid body»: senza cassa armonica, ma costituita da un blocco di legno «pieno» su cui tutto il lavoro fosse fatto dai pickup. Più sottile e leggera, più facile da costruire, senza feedback. Non era il primo in assoluto a pensarci. Esistevano già chitarre hawaiane solid body (ma quelle si suonano appoggiate sulle ginocchia, quindi possono anche essere pesanti). E un certo Les Paul, geniale inventore musicale che fu anche tra i padri della registrazione magnetica, aveva costruito le prime solid body su misura. Ma Fender, proprio come Ford, intuì il potenziale della produzione in massa. Disegnò una chitarra estremamente «basic» nella forma (un blocco di legno sottile al posto della cassa, il manico avvitato al corpo, un singolo pickup), abbastanza da essere prodotta in serie e venduta a prezzi economici. La chiamò «Esquire» e la mise sul mercato nel 1950. Cambiò presto il nome in Broadcaster (aggiungendo un secondo pickup per dare al musicista più scelta di suoni) e infine in Telecaster, nome che il modello porta tuttora. Fu un successo immediato, da lì a poco bissato e superato dall’introduzione, nel 1954, della Stratocaster: un design più sinuoso che dava accesso più facilmente alle note più alte in fondo al manico, tre pickup per aumentare ulteriormente la gamma dei suoni, un manico più confortevole. I due modelli Fender, tuttora in commercio e tuttora diffusissimi, sarebbero stati i ferri del mestiere di tutta la nuova musica che nasceva in quegli anni. Assieme, naturalmente, alle solid body della Gibson, a cominciare dal modello che la Gibson chiese a Les Paul di disegnare e trasformare in prodotto di massa, e che tuttora porta il suo nome. La rivalità Fender/Gibson, che nasceva in quegli anni, era in un certo senso simile a quella sfida Windows/Mac che anni dopo avrebbe animato il mercato dell’informatica. Perché era una rivalità tecnica, ma anche estetica e culturale. La chitarra scelta identificava già un’appartenenza: nessun chitarrista heavy metal userebbe mai una Telecaster, nessun musicista country si farebbe vedere con una Gibson Flying V. Jimi Hendrix nel periodo ’64 - ’65 con una Stratocaster dipinta a mano Non è esagerato dire che senza l’invenzione di Fender la cultura della seconda metà del XX secolo sarebbe stata molto diversa. Se migliaia di ragazzini con pochi soldi a disposizione non avessero potuto mettere le mani su una chitarra elettrica economica eppure affidabile, il rock e tutto quanto ha significato in termini di mutamenti sociali non sarebbe mai potuto avvenire. La chitarra elettrica è un caso da manuale di come una intuizione tecnica apparentemente banale, quando si sposa a un clima sociale particolarmente favorevole, può dare luogo a innovazione dirompente, e duratura. -- Per approfondire il rapporto tra elettricità, elettronica e musica: Rumore bianco. Introduzione alla musica digitale Il libro di Andrea Cremaschi e Francesco Giomi che analizza e spiega l¹ultima rivoluzione digitale in musica Prosegui la lettura 1. Alla spia piace il supercomputer 2. Dodici innovazioni su cui scommettere 3. Ti consiglio un libro: Volando si impara Tag: chitarra, chitarra elettrica, fender, gibson, musica © 2008 - 2014 Zanichelli Editore SpA