capolavoro in bianco e nero
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capolavoro in bianco e nero
Saccargia, la più pisana delle chiese sarde CAPOLAVORO IN BIANCO E NERO Vicina a Sassari ma spersa in mezzo ai pascoli, l’affascinante abbazia romanica è diventata uno dei simboli artistici dell’isola DI MAURO LISSIA - FOTOGRAFIE DI GIANMARIO MARRAS I capitelli del portico dell’abbazia di Saccargia, che nonostante i pesanti restauri dei primi del ’900 rimane un pregevolissimo edificio romanico pisano. Un’abbazia di grande effetto scenografico A sinistra: la facciata a fasce di pietre nere basaltiche alternate ad altre bianche calcaree della chiesa, che è orientata verso Gerusalemme. Sotto: particolare decorativo. Nella pagina seguente in alto e in basso: il vasto interno a navata unica e con l’abside completamente affrescato da artisti del XIII secolo; e l’affresco che raffigura la sepoltura di Cristo nella fascia mediana dell’abside. La Santissima Trinità di Saccargia è aperta dalle 8,30 alle 12,30 e dalle 15,30 alle 19,30. Per informazioni, telefono 079/23.65.65. P ensate a una nave incagliata nella terraferma, come accade in certi deserti nati dove il mare s’è ritirato: trovarsela così, lontano dal suo ambiente naturale, provoca una grande impressione. Oppure pensate a un aereo adagiato sul fondale marino, o a una grande statua nel mezzo di una foresta, come capita d’imbattersi a chi cerca i resti delle città perdute Maya. Ecco: la chiesa della Santissima Trinità di Saccargia fa un po’ quest’effetto. Un monumento isolato nei campi, fra le colline, in un 52 tura è insolita, segnata inoltre da rifacimenti e da sofferenze visibili. Ma ciononostante Saccargia è divenuta negli anni un simbolo, da mostrare e diffondere, al di là dell’intrinseco valore artistico e di quello che in realtà l’abbazia rappresenta. Già il suo nome è un mistero che divide gli storici. Secondo alcuni deriverebbe da “s’acca argia”, la strana vacca col pelo maculato che si trova scolpita in un capitello del portico davanti alla chiesa. Altri leggono nel nome la corruzione di “sa baccarza”, la vaccheria. Sarebbe dunque un nome legato al luogo, dove nel Medioevo esisteva un podere con ricche terre da pascolo, un luogo rimasto tutto sommato lo stesso. Sull’anno della fondazione gli interrogativi lasciano spazio a riscontri storici più precisi: una bolla di Onorio II, che riporta la data 1125, attribuisce all’ordine Camaldolese il possesso di chiese e monasteri in Sardegna. Fra questi la Santissima Trinità di Saccargia, definita “ex dono Constantini iudicis consentientibus Attone archiepiscopo et coeteris episcopis”. Da qui i ricercatori hanno ricavato la data dell’edificazione. Infatti la basilica risulterebbe l’adempimento di un voto del giudice turritano Costantino I de Lacon e della consorte Marcusa de Gunale. A cominciare a costruirla furono maestranze pisane nel 1116, maestran- paesaggio rurale che non sembra dover annunciare sorprese. Un pezzo d’arte antica, gioiello unico nel suo genere, là dove non dovrebbe esserci che campagna bruciata dal sole. Forse anche per questo Saccargia è un’immagine diventata familiare per qualsiasi sardo. Un’immagine che ricorre su libri, dépliant, cartelloni turistici, qualsiasi pubblicazione sulla storia della Sardegna. Il monumento probabilmente meno sardo di tutti si è purtuttavia trasformato in icona dell’isola, rivaleggiando con i classici nuraghi. L’architet- 53 ze esperte, che scelsero la pianta a croce molto diffusa nel romanico di quei secoli, ma preferirono impiegare pietre piccole invece di quelle grosse più comuni. Usarono poi cantonetti bianchi e neri, sistemati un po’ alla rinfusa, com’era abitudine nel romanico arcaico. Di certo la costruzione è avvenuta in due fasi: la seconda, per lo studioso Delogu, si chiuse tra il 1180 e il 1200, quando fu ampliata l’aula e realizzato il campanile di altezza insolitamente elevata. Ma queste sono cose che riguardano soprattutto gli storici. Ai visitatori è più utile sapere che la chiesa, come la vedono oggi, è il risultato di una ricostruzione quasi integrale, avvenuta tra il 1903 e il 1906. Un intervento nato come restauro, ma divenuto poi talmente pesante e invasivo da stravolgere l’aspetto originario delle parti più importanti dell’abbazia: dalla facciata al portico, fino al campanile. Una trasformazione così drastica da rendere estremamente complicato il lavoro degli storici dell’arte, costretti a lunghe ricerche per individuare quanto resta di originale e quanto è stato cambiato o aggiunto a posteriori. Gli studiosi più moderni hanno dovuto fare i conti addirittura con la demolizione di intere strutture dell’edificio originale, una su tutte il porticato che si trovava sul lato sud della chiesa. Mentre i resti del monastero sono ancora lì, ma finora non sono stati rilevati sino in fondo né tantomeno restaurati come meriterebbero. Nonostante tutto però, l’effetto scenografico della chiesa resta straordinario e la sua facciata bicolore continua a richiamare l’attenzione di chiunque abbia a cuore la storia e la cultura dell’isola. L’interno della Santissima Trinità di Saccargia è d’altronde fra i più Gli storici ne fanno risalire la fondazione agli inizi del 1100, ed esattamente al 1116 54 Nella pagina precedente: un dettaglio delle sculture zoomorfe dei capitelli nel protiro della chiesa. Presso l’abbazia vengono celebrate importanti ricorrenze come quella dei “sette sabati”, quando in chiesa vengono intonati i gosos, i canti della tradizione, e poi la festa annuale della Santissima Trinità, che cade esattamente sessanta giorni dopo Pasqua. Nella foto qui sopra : uno scorcio del complesso abbaziale fondato dai monaci camaldolesi. Del monastero, che era molto grande, restano alcuni ruderi. Eretta da maestranze pisane a partire dal 1116, la chiesa sorge nel territorio del comune di Codrongianos, al centro adesso come allora di una fertile area agricola. 55 Influssi pisani e lombardi si mescolano negli elementi decorativi ricchi e suggestivi di quanto rimane dell’architettura e dell’arte medievale in Sardegna. Prima di tutto perché contiene un ciclo di affreschi di raro interesse, uno dei pochissimi sopravvissuti dall’epoca romanica. Un ciclo nettamente suddiviso in quattro zone, che nell’insieme occupano interamente l’abside. Le immagini rappresentano scene della vita di Cristo, dall’Ultima Cena alla discesa negli inferi. L’origine artistica dell’insieme pittorico è controversa. Indiscutibile è invece il suo straordinario valore di testimonianza culturale che mette l’abbazia di Saccargia ai primissimi posti fra i monumenti romanici della Sardegna, in primo piano anche nei manuali che trattano questo importante periodo in Italia. Oggi la chiesa è un patrimonio turistico fondamentale, ma rappresenta anche un riferimento religioso molto sentito. I “sette sabati” di Saccargia, vissuti dai fedeli senza alcun compromesso turistico, sono un Nella foto in alto: un particolare delle quattro colonne che sorreggono il porticato antistante l’ingresso della chiesa. A destra: un altro dettaglio della decorazione scolpita nella pietra locale che orna il pilastro di sinistra del protiro. La chiesa abbaziale di Saccargia dista 16 chilometri da Sassari. 56 punto fermo per chi abita nel Sassarese. I fedeli si recano a piedi alla Santissima Trinità, partendo da paesi anche lontani. E nella chiesa antica recitano i gosos, canti tradizionali rivolti alla Madonna e dedicati alla Pasqua. Ascoltarli è un’emozione indescrivibile, perché l’impressione alimentata anche dall’ambiente così tipicamente spoglio della chiesa medievale è di vivere un’altra epoca fra rituali rimasti immutati nei secoli. Saccargia ha la sua festa annuale, che cade esattamente sessanta giorni dopo la Pasqua. Ma i responsabili della chiesa tengono a sottolineare che si tratta di una festa povera, riservata ai fedeli del monumento religioso. Cioè alla gente di Codrongianos, il comune in cui Saccargia si trova, e a quelli dei centri vicini e a tutti coloro che sentono questo posto prima di tutto come un luogo sacro. Lontano dai circuiti turistici estivi ma immerso in quella Sardegna d’altri tempi sempre più difficile da rintracciare.