Morte del padre Dehon
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Morte del padre Dehon
LA MORTE DI P. DEHON NEI RICORDI DI MONS. PHILIPPE Il 12 agosto 1925, verso l’ora meridiana, il Rev. P. Fondatore, dopo breve malattia, rese l’anima ricca di opere e di meriti al Creatore. Secondo il suo desiderio, i figli pienamente uniti diedero sepoltura alla spoglia mortale nel cimitero di S. Quintino nella Francia Settentrionale. Nel trentesimo anniversario della sua morte accetta a Dio, l’ultimo testimonio principale di questi giorni difficili, narrerà brevemente, a edificazione del lettore, il decorso della malattia di P. Dehon. PRIMA PARTE – MALATTIA DEL REV. P. FONDATORE L’ultima s. Messa, 4 agosto Si è accennato più volte nel seguito della narrazione alla vita del Fondatore, ma forse non tutti sanno che nel mese di agosto 1925, durante la benedizione vespertina, egli accompagnò in stanza un Padre, che è morto da poco, P. Teodoro Michele Lambert, e lo aiutò in tutto. Questo atto del buon samaritano, doveva essere umanamente parlando, fatale per il Fondatore. Allora infatti a Bruxelles infieriva una influenza pericolosa, che per il grande calore colpiva specialmente gli organi della digestione. Il 4 agosto P. Dehon celebrò l’ultima Messa. Io ero fuori in un ospedale per sostituire un Padre nella celebrazione della s. Messa. Dopo la preghiera del mattino e meditazione, si trascinò in sacristia, per offrire come ogni giorno verso le sette il s. sacrificio della Messa. Camminava con grande difficoltà, mettendoci tutte le forze. I presenti lo avevano notato, e nell’abbandonare la cappella, si dissero a vicenda: “Il P. Dehon ha celebrato l’ultima messa. Questa parola doveva avere il suo compimento. Per più di 50 anni aveva offerto il s. Sacrificio sempre verso le sette con grande devozione, con costante regolarità. Ma ora, da quest’ultima Messa in poi, il Salvatore lo conduceva al letto degli ammalati, come volesse dirgli: “Figlio, tu mi hai sacrificato ogni giorno nell’offerta di tutta la tua vita e del tuo essere. Ora sta a te offrirti vittima e consumarti come vittima del mio Cuore!”. Dopo la s. Messa il Padre poteva ancora camminare a stento. Aveva 82 anni e 5 mesi. I primi soccorsi Il sacrista, il fedele fratel Giuseppe Justen del noviziato di Clairefontaine e coraggioso missionario del Congo, lo prese in braccio e lo portò, più che condurlo a piedi, in stanza e lo mise a letto con la più grande sollecitudine. Io tornai presto e seppi ciò che era accaduto. Risoluto corsi dal farmacista del vicinato e gli chiesi una medicina, dicendo: “Il Padre ha celebrato adesso la s. Messa ed è colpito da terribile stimolo a recere, temiamo che restituisca le s. Specie”. Aggiunsi che l’ammalato durante la vita soffriva di stitichezza e che sempre si era curato di questo male. Pertanto ottenni del farmacista doppia medicina con la prescrizione di dargliela a ora alternata. Entrai nella stanza e vi trovai un povero ammalato, che difficilmente si poteva ancora aiutare. Però a poco a poco ritornarono le forze e la medicina gli portò sollievo con il sonno ristoratore. Il medico chiamato d’urgenza accertò l’influenza, ma senza pericolo prossimo. Da questo momento in poi ogni giorno era mandata a mezzo di cartolina postale una relazione particolareggiata a tutta la congregazione, a tutte le case, ai diversi personaggi, ai parenti dell’ammalato, al vescovo Grison e ad altri. Li tenevo informati sullo stato e sul decorso della malattia. Si era nelle vacanze; in vacanza i conventi e le case religiose hanno un adattamento elastico, perché molti sono assenti e non si possono raggiungere. Furono indette pubbliche preghiere, però non esistendo un pericolo prossimo, il Fondatore stesso prese subito tutte le misure, per provvedere alla Congregazione. Disposizioni per il capitolo, 6 agosto Il secondo giorno della malattia mi fece chiamare presso di sé, e stando a letto mi disse: “Veda, in tali condizioni non posso quest’anno dirigere il capitolo”. Era un capitolo di affari: le elezioni erano già state fatte. “Voglia comunicare a tutti i capitolari in mio nome quello che dico: Il capitolo sarà aperto qui a Bruxelles alla mia presenza, poi Lei andrà a Lovanio con i capitolari e dirigerà le trattazioni. Ma per la conclusione vengano tutti qui da me, e io chiudo solennemente il capitolo a Bruxelles”. Certamente il disegno era bello e io non potevo che aderire promettendogli di adempier tutto con fedeltà. Compimento di un desiderio: provvedere un direttore spirituale per il noviziato di Brugelette Ogni giorno, più volte e spesso di notte, andavo da lui per domandare se aveva qualche desiderio. Egli diceva di no. Destava veramente stupore il notare con quale chiarezza comprendeva ancora tutto. Tra l’altro mi disse (parlavamo brevemente di un cambiamento al noviziato di Brugelette, il noviziato franco-belga nella diocesi di Tournai): “Ebbene, voglia eseguire questo disegno e vada dal provinciale dei Gesuiti a chiedergli un Padre spirituale per il noviziato”. Questa proposta fu da me tradotta in atto con tutta fedeltà e collecitudine quasi come un’eredità del defunto Fondatore. Venne al noviziato un Padre importante, P. Mahiat, che per lunghi anni diresse i novizi. La venuta del vescovo suffraganeo di Parigi, Mons. Chaptal Seguirono altri avvenimenti. Da Lussemburgo mi giunse una notizia: Mons. Chaptal, vescovo suffraganeo di Parigi, che aveva cura degli stranieri, si sarebbe recato a Bruxelles, per raccomandazione del vescovo di Lussemburgo, Mons. Pietro Nommesch, a chiedere un Padre per la colonia franco-lussemburghese in via Lafayette a Parigi. Il Padre si sarebbe fermato là fino al momento in cui la diocesi di Lussemburgo avesse avuto la possibilità di accettare questo apostolato nella grande capitale. Informai subito il Fondatore di questa visita, naturalmente con la delicatezza che imponeva lo stato della malattia. Il Vescovo venne e spiegà il disegno. Gli risposi: “Con un solo Padre non si può cominciare nulla, e se non è possibile una comunità di almeno 3 Padri a Parigi, non si può mandare a effetto questo disegno”. Per me la cosa era chiara. Secondo la mia intenzione era semplicemente un mezzo per introdurre la congregazione a Parigi, poiché in altro modo sembrava del tutto impossibile. Però feci notare a Sua Eccellenza che il Fondatore era infermo e lo invitai ad andare da lui. Condussi l’alto visitatore nella stanza dell’ammalato, e con tutta gentilezza il Fondatore ricevette il Vescovo. Li lasciai soli e poterono parlare scambievolmente. Il Vescovo Chaptal era una vocazione tardiva, veniva dal servizio diplomatico della sua patria. Era stato segretario all’ambasciata di S. Petersburg e aveva in seguito studiato teologia nel seminario di S. Sulpizio a Parigi. Era, come si disse più tardi, fedele seguace del movimento sociale, aveva frequentato regolarmente durante le vacanze il corso delle questioni sociale, che il P. Dehon teneva col signor Harmel a Val-des-Bois per seminaristi e sacerdoti. Ammirava la meditazione del mattino per l’esposizione del s. Vangelo, come solo un P. Dehon sapeva farla. La visita di due polacchi: P. Stoszko e P. Majka Un altro avvenimento, caro e bello come un idillio, è la visita dei primi religiosi Polacchi. Due di loro studiavano teologia all’Università di Strasburgo ed erano indirizzati a Lovanio. Raccontai loro brevemente il decorso della malattia del venerato P. Fondatore e dissi loro: “Ecco, ora andiamo insieme da lui”. Li condussi dentro, e un dolce sorriso illuminò il volto dell’alto infermo. Vide in questi due giovani figli spirituali le primizie, che dovevano introdurre la Congregazione nella loro patria cattolica. Erano P. Ignacy Stoszko e il più anziano P. Stanisław Majka. Li benedisse, e la benedizione del Padre è passata ai figli. Questa benedizione, ne sono persuaso, ha portato molto bene alla fondazione polacca e, malgrado tutte le persecuzioni, la tiene ancora, benché in condizioni povere e penose, unita alla Congregazione. La fioritura non mancherà. L’onomastico dell’Assistente, 10 agosto Il Fondatore durante la vita stava attento a ogni occasione per procurare una gioia, e a questo scopo ogni anno aveva invitato personalmente le case vicine all’onomastico del P. Assistente, P. Lorenzo Philippe. Ma poiché la malattia lo aveva colpito, gli domandai che cosa si doveva fare, ed egli rispose: “Celebri la festa come ogni anno”. Così il martedì 10 agosto, si raccolsero i Padri più anziani da tutto il Belgio e la Francia. Celebrammo l’onomastico, benché con animo triste, ma tranquillo. P. Dehon in tali giorni sapeva dire parole veramente affettuose, che venivano dal cuore. Era maestro nel collegare i rapporti reciproci, o (come dice Goethe) le affinità elettive (1). Ogni anno sapeva presentare s. Lorenzo come patrono dell’assistente. Sia la graticola con la brace, sia la fedeltà del diacono verso il suo signore, Papa s. Sisto, erano sempre parole sincere, care. Ciò mancava quest’anno. Espresse anche i suoi auguri personali, e diede al figlio festeggiato, come di solito, un dono importante in denaro. Il donatario portò subito questa somma al fratel Giuseppe Justen, per abbellire il tavolo sul quale si deponevano i sacri paramenti, per avere una bella sacristia, come desiderava tanto P. Dehon. A fratel Justen, ritornato a Bruxelles dopo la prima guerra mondiale, diceva lieto: “Nous aurons une belle chapelle et une belle sacristie”. I medici curanti, 7 agosto Già il terzo giorno, benché il decorso della malattia non destasse apprensione, chiesi al medico curante che facesse ancora un consulto con un altro medico, per diminuire davanti al pubblico e alla Congregazione, come gli feci notare, la mia responsabilità. Me lo promise e condusse con sé un dottore che aveva lavorato per lungo tempo nel Congo. Benché non fosse praticante, stimava i missionari, specialmente il nostro sacrista, il fedele fratel Giuseppe Justen, che soffriva di una malattia cronica, e del quale diceva: “È un coraggioso”. Era particolarmente specializzato in medicina interna e perciò poteva curare meglio l’ammalato. I medici scoprirono nel loro paziente una tubercolosi da lungo tempo cicatrizzata, e questo fece pensare alla grave malattia del 1878, in cui la vita del Fondatore si trovò in grande pericolo. Una crisi superata con difficoltà Nel decorso della malattia, una volta di notte venne da me il fratello che vegliava, il caro fratel Gerolamo Van Vliet, olandese, e mi disse: “Venga subito”. Infatti il Fondatore diventava sempre più sensibile e delicato in tutto. Perciò si fece levar su per trovare un po’ di sollievo, e quando fu rimesso a letto gli venne l’affanno per bisogno di respiro. Cercò un po’ alla volta di riprendere le forze, ma ci mise più tempo delle altre volte, e questo mi impensierì, perché evidentemente un po’ alla volta era subentrata una debolezza di cuore. SECONDA PARTE – SANTA MORTE DEL FONDATORE L’ultima confessione Di fatti era proprio così: subito dopo, facendogli visita al mattino, l’ammalato mi disse: “Per favore, segga, Le faccio la s. confessione”. Questo era qualche cosa di nuovo. Infatti il Fondatore con la regolarità di un orologio ogni sabato alle 9 andava dai Padri del SS. Sacramento, i figli del Beato Eymard, per fare la confessione settimanale. Alla proposta che avrei chiamato il suo confessore, disse: “No, mi confesso da Lei”. E fece la confessione all’assistente. Così passavano i giorni e le notti in alternata calma e apprensione. L’aggravarsi del male Intanto i Padri erano venuti per l’onomastico, felici di andare a uno a uno da lui. Li riconobbe tutti, ed ebbe per tutti una parola buona e affettuosa. I medici accertarono che difficilmente c’era ancora speranza, e lo specialista notò: “In conclusione muore guarito!”. Voleva dire con ciò: l’infiammazione intestinale è passata, ma il cuore vien meno. Pertanto eravamo in angoscia, e l’undici, verso le 3 pomeridiane, venne il momento di amministrare i S. Sacramenti all’ammalato grave, che conservò la piena conoscenza per tutto il giorno. Si adunò la comunità, tutti i Padri e fratelli erano presenti. Entrammo nella stanza dell’ammalato. Gli dissi che volevamo amministrargli gli ultimi Sacramenti. In brevi parole lo esortai a compiere la volontà di Dio. Gli ultimi Sacramenti Prima d’iniziare la sacra azione gli dissi: “Vuole forse davanti a tutti chiedere perdono?”. Allora disse questa parola semplice, che andava al cuore: “Sì, ho compromesso l’Opera con le mie colpe e imprudenze. Ma non ho paura, il Cuore di Gesù è così buono”. Era l’umiltà, la più profonda umiltà, unita a una fiducia incrollabile, e questa fiducia non lo abbandonò mai, non solo durante la malattia, ma lo animò durante tutta la vita. Se la Congregazione esiste, poté esister ed esisterà, non è che la vittoria della fiducia nel Divin Cuore di Gesù. Questo è il testamento del Fondatore per le future generazioni. Allora si cominciò la sacra azione, ma prima invitai tutti i miei confratelli a chiedergli perdono delle mancanze, sia nella vita religiosa, che verso la sua persona. Allora ci diede la benedizione paterna. La sacra azione volgeva alla fine. L’assistente gli amministrò l’ultimo sacramento, la sacra Unzione e contemporaneamente gli impartì l’indulgenza plenaria in articulo mortis accompagnata dall’atto di accettazione umile, fiduciosa della volontà di Dio. Visita dei parenti Un po’ più tardi entrarono i suoi parenti, furono condotti dall’ammalato e gli procurarono una gioia visibile. Si strinsero intorno a lui con sincero rispetto e lo chiamavano semplicemente “notre saint oncle”. Vegliava presso di lui il P. Kanters, olandese, vissuto però sempre in Francia; per lungo tempo era stato parroco della diocesi di Tournai, e perciò pratico di cura pastorale. Porse alla nipote del Padre un bicchiere e lei lo diede da bere a suo zio. Oh, questo fu una gioia, era l’ultimo atto della famiglia verso il loro parente, ultimo rampollo di una famiglia distinta. Un Ricordo: l’onomastico di un’anima vittima Compiuto il sacro rito disse verso di me: “Chiara Baume”. Non riuscivo a capire, perché non sapevo nulla di questo nome e di questa persona. Non è ciò una prova che dimostra con quale discrezione, con quale santo timore trattava la corrispondenza da anima ad anima e le relazioni con tutti i religiosi della Congregazione. Il Padre che ne era informato mi disse: “È un’anima vittima, che vive nella Francia Meridionale e si chiama Chiara. Il Fondatore voleva dirle di porgere a questa persona gli auguri di onomastici a suo nome”. Lo feci subito. Quest’anima grande era stata tormentata nella sua giovinezza. Oriunda da genitori benestanti, con sua sorella Bertha, si trovò a corto di quattrini per duri contraccolpi nel suo grande patrimonio e in fine conobbe le strettezze della povertà. Nella sua giovinezza una suora le disse: “C’è uno solo che può aiutarla, ed è in Olanda”. Col permesso dei superiori P. Andrea Prévot, che se ne intendeva, accettò la direzione di quest’anima e la guidò per la via del sacrificio, scrivendo sempre nelle sue letter: “Chère âme”. Dopo la morte di P. Andrea il Fondatore assunse la direzione, e dopo la sua morte, io volli continuare l’eredità, finché la nuova vocazione a vescovo di Lussemburgo mi separò da lei. Tali anime vittime, che vivono sconosciute nel mondo, che non sono nominate, erano l’enigma che assicura il successo ai Sacerdoti del S. Cuore. Hanno offerto e sacrificato tutto. Sono le riserve o il capitale di riserva della fiorente Congregazione. Nel generalato c’era un carteggio di Chiara Baume. Il Padre olandese, Gerardo Fey, mi fece premura di cedere questi documenti preziosi per scrivere la vita di P. Andrea. Malgrado gravi dubbi, glieli affidai. Non si sentì in obbligo di informarmi dove siano andati a finire. Gli ultimi istanti, 12 agosto Venne l’ultimo giorno. Era un mercoledì, martedì 4 agosto, P. Dehon celebrò l’ultima s. Messa. Parlava spesso della morte e diceva quando sentiva parlare dell’agonia: “La cosa più bella è questa: Ammalarsi per tre giorni, il primo giorno si mettono in ordine gli affari, ci si confessa, si ricevono gli ultimi sacramenti, il terzo si parte verso il buon Dio”. Si può dire che presso a poco così è accaduto a lui. L’economo generale ne fu informato, e anche il procuratore P. Ottavio Gasparri che arrivò da Roma e portava una benedizione speciale del S. Padre per l’ammalato grave. Verso le dieci andai dal Fondatore e gli dissi: “Permetta di andare con P. Falleur (era l’economo generale) alla banca per regolare diversi affari”. Ottenemmo di cambiare tutto ciò che era intestato personalmente a P. Dehon. Ritornati a casa, notammo che era venuto l’ultimo momento. Ci raccogliemmo per le preghiere dei moribondi, e intanto erano venuti anche i parenti di P. Dehon. Recitammo tutti insieme le preghiere dei moribondi. Lui poté seguirle ed era in perfetta calma, finché verso le 12,10 cessò il respiro senza agonia. Era la fine di una vita piena di lavoro e di sacrificio. TERZA PARTE – LE ONORANZE FUNEBRI Preparativi per il funerale: Bruxelles, 17 agosto La notizia della dipartita del Fondatore si sparse dappertutto. Lui stesso quand’era ancora in vita parlando in ricreazione, caduto il discorso sulla morte, aveva risposto alla domanda che gli era stata rivolta: “Dove vuole essere sepolto?” “Oh, disse, a S. Quintino presso i nostri Padri”. Dunque in questo eravamo tutti d’accordo. Essendo giorni festivi l’Assunzione di Maria e domenica traslata, la Messa solenne da morto non si poté celebrare a Bruxelles prima di martedì 17 agosto. I suoi parenti erano tutti presenti: sua nipote con lo sposo e i tre figli Enrico, Giovanni (il beniamino del Fondatore) e Roberto. Dall’altra parte della cappella s’inginocchiarono i membri del consiglio generale. Nel coro c’era il nunzio apostolico Sua Ecc. Mons. Clemente Micara, il vescovo Grison arrivato in fretta, Mons. Demont prefetto apostolico del Gariep (Africa Meridionale). Mons. Grison presso la bara Quando il Vescovo Grison ritornò dalle vacanze, vidi una scena indimenticabile. Prima della sua partenza, ebbe un’ultima discussione con il Fondatore sulla questione sempre scabrosa dei denari per la missione. Poi il Vescovo partì. Ebbe regolarmente ogni giorno, come è stato accennato, le comunicazioni sullo stato della malattia del Fondatore. Ora entrando con me nella camera ardente e vedendolo là sulla bara, cadde in ginocchio singhiozzando come un fanciullo. Io presi il crocefisso, che stava sull’inginocchiatoio e gli dissi: “Ecco, questo è per Lei il ricordo del Fondatore”. Sul crocefisso c’era inciso: Fortis ut mors dilectio – L’amore è forte come la morte. Più tardi il Vescovo mi scrisse dal Congo: “Lei sapeva bene di che cosa avevo bisogno, quando mi diede questo crocifisso”. La superiora generale delle Serve del Cuore di Gesù aveva regalato a ogni Padre un tal crocifisso per la prima professione perpetua. Pietà filiale Si può ancora aggiungere: P. Morel, figlio fedele della Congregazione, e io abbiamo reso gli ultimi onori al Fondatore. Rimanemmo stupiti: dei polpacci non trovammo che le ossa e la pelle, non più la muscolatura. Così l’uomo, giorno per giorno andava su e giù per le scale, si trascinava a passeggio, e comprendemmo il martirio di una vittima del S. Cuore. La Messa esequiale La cappella si riempì per le esequie solenni; da tutte le parti erano giunti in fretta i figli spirituali del Fondatore. Il più anziano e primo novizio, P. Eugenio Paris, cantò la Messa da Requiem. Le preghiere liturgiche furono cantate con esecuzione perfetta dagli studenti dello Scolasticato. I novizi di Brugelette erano tutti presenti. Durante il Sacro Rito non ci fu la predica; dopo la messa l’assistente riunì tutti i presenti nel cortile interno della casa e tenne all’aperto un lungo discorso a quelli che portavano il lutto, rilevando i meriti del Fondatore. Il corteo per S. Quintino Nel pomeriggio del 17 agosto ci fu ancora una volta un momento solenne. Tutti si riunirono nella cappella dove il Vescovo Grison diede l’ultima benedizione, poi la doppia cassa fu portata fuori e trasportata alla stazione sud di Bruxelles. La seguivano in diverse vetture i Padri più anziani della Congregazione. Alla sera dello stesso giorno venne da me un noto Padre del consiglio generale e mi disse: “Ci congratuliamo con Lei per tutto ciò che ha fatto; tutto è stato eseguito in modo distinto e bello, in modo calmo e commovente”. Al Collegio S. Giovanni Poi si prese la via per S. Quintino. Il centro di gravità della Congregazione si era stabilito per pochi giorni in questa città. S. Giovanni, al quale era attaccato il Fondatore, lo accolse defunto, e lo circondarono i suoi alunni più fedeli, sia sacerdoti che laici. Il più fedele di tutti, Ottavio Leduc, venne da me e mi disse: “Lei sa, tutto ciò che è stato detto contro di lui, non è che vile calunnia”. Alcuni però mancavano e fu notato. Erano quelli ai quali P. Dehon aveva dato tutto, gli studi, la continuazione di essi e al quale dovevano il loro avvenire, la loro vocazione. Così volle il Salvatore fino alla fine unirlo a sé. Omnes fugerunt; anche lui, il Fondatore, ha dovuto sentire tanto spesso nella vita questo dolore. P. Dehon il 12 agosto non andò solo all’eternità. A Blaugies nel Belgio morì nello stesso giorno il fondatore di S. Clemente, P. Mattia Legrand, colonna della Congregazione, e a Sittard si spense P. Suitberto Erlemann. Il Vescovo di Soissons si commosse, quando gli diedi la notizia. Nella Basilica di S. Quintino Indimenticabile rimane l’entrata nella Basilica rovinata dalla prima guerra mondiale; monumento meraviglioso, in tardo gotico, che domina S. Quintino e si vede per chilometri lontano. Quante volte nella mia giovinezza, mentre ero a S. Clemente, ho ascoltato nel crepuscolo della sera il suono meraviglioso delle campane di S. Quintino. Oggi tacciono, essendo state fuse durante le operazioni belliche. Non era possibile celebrare le Sacre Funzioni che in una navata laterale. Mons. Binet assiste alle supreme onoranze e tiene l’elogio funebre Il Vescovo di Soissons, Mons. Enrico Binet, rese al Fondatore tutti gli onori. Era, come diceva, l’ornamento della sua diocesi. “Una penna sempre impegnata è caduta improvvisamente di mano”. Così il Vescovo cominciò il suo elogio funebre, che fu riportato dalla Semaine Religieuse di Soissons. A mezzogiorno ci raccogliemmo ancora una volta a tavola nel Collegio S. Giovanni. Tutti, erano uniti, preti secolari e Sacerdoti del S. Cuore, laici e clero. Dopo la preghiera di ringraziamento il Vescovo disse: “Siamo stati così felici e così uniti insieme; non desidero altro che questo unione duri”. L’assistente generale, su cui pesava tutta la responsabilità e l’onere durante questi giorni, fece riverenza al Principe della Chiesa, lo ringraziò e disse di sì. Poi venne la dura realtà, la vita ci strinse nelle sue branche, e si dovevano adempiere i doveri. L’ultima dimora Così dunque P. Dehon riposa a S. Quintino, sua città preferita, e aspetta la risurrezione.