Storie di riserva - Collettivo Donquixote
Transcript
Storie di riserva - Collettivo Donquixote
Storie di riserva I coloni della foresta in Nicaragua. di Paolo Bosio/Collettivo DonQuixote L’impatto della vita umana, della deforestazione, della povertà e della colonizzazione, sulla più grande e meglio preservata area forestale di tutto il Centroamerica, la Grande Riserva Biologica Indio-Maiz. Nicaragua, sud est, selvaggio, incontaminato, isolato, dominio della natura, del grande lago, del maestoso Rio San Juan. Il dio fiume, antico crocevia di pirati, bramato collegamento tra i due Oceani, risalito persino dagli squali, che ne percorrono le acque per andare ad abitare il Lago, lasciando l’acqua salata del Caribe e diventando specie unica al mondo. Nicaragua, sud est, perla naturalistica di inestimabile valore, il regno dell’acqua, dei vulcani e della foresta. Biodiversità, una parola che qui è di casa, a testimoniare l’enorme varietà di specie, di forme di vita, di paesaggi, di passaggi e di incontri. La Grande Riserva Indio-Maiz è parte di questo pezzetto di paradiso, entrarci significa dimenticare il resto del mondo per abbandonarsi al dominio incontrastato della natura, supremazia che ammutolisce, toglie il fiato, incute timore, fa faticare, sudare. Risalta la debolezza, la piccolezza dell’uomo che non è Indio e che non sa vivere nella foresta senza subirla e senza distruggerla. La Grande Riserva Indio Maiz è sempre più piccola: ai confini teorici, burocratici, stabiliti, si contrappongono i confini reali, umani e pieni di contraddizioni della frontiera agricola che avanza, dell’insediamento dei coloni e della deforestazione. Al regno dell’albero si sostituisce il mondo del potere politico, dell’interesse economico, dell’ignoranza, della corruzione e dello sfruttamento, e così, come sempre, l’albero viene tagliato, il suolo bruciato, la monocoltura sostituisce la varietà autoctona, l’allevamento minaccia il giaguaro e la lapa verde. La pressione sui confini della Riserva è costante e spietata, la distruzione della più grande e meglio conservata area protetta di tutto il Centroamerica continua da anni con velocità crescente . Soffoco il primo istintivo moto di indignazione tipica europea e lascio spazio alle domande e alla curiosità riguardo l’esperienza della gente che qui ci vive. Le risposte mi ricordano che tutto il mondo un tempo è stato foresta e che è difficile pensare alla conservazione dell’ambiente quando per sopravvivere si deve lottare tutti i giorni contro la miseria, l’isolamento, l’abbandono istituzionale e la mancanza di assistenza. Qui si vive in condizioni difficili, le comunità sorgono ai confini della Riserva in regioni sperdute e difficilmente raggiungibili, ci si mantiene con economie di sussistenza, seguendo regole contadine arcaiche legate alla produzione di colture come mais, riso e fagioli, che su questi terreni faticano a crescere. È impossibile commercializzare i prodotti della terra a causa dell’isolamento, solo alcuni posseggono bestiame e per mantenerlo disboscano grandi aree di terreno poco produttivo per il pascolo, non c’è assistenza sanitaria e molte comunità non hanno la scuola. Le famiglie di coloni provengono tutte da regioni interne di allevatori come Nuova Guinea e Chontales, hanno cominciato a occupare le zone adiacenti alla Riserva dall’inizio degli anni ‘90 per motivi diversi; alcuni scappavano dalle violenze della guerra seguita alla Rivoluzione Sandinista, altri cercavano le “terre promesse” dalla Riforma Agraria di Violeta Chamorro, altri ancora inseguivano i facili guadagni legati al commercio di terra e legname con i proprietari delle multinazionali del legno. Il quadro è semplice: durante la guerra i Sandinisti sfollano centinaia di migliaia di contadini per arruolarli e per sottrarli alle scorribande della Contra; a conflitto concluso uno dei punti fondamentali della vittoriosa campagna politica della Chamorro e del partito liberale sarà proprio la promessa della ridistribuzione della terra ai contadini. Le prime famiglie arrivano nella zona del Rio San Juan e occupano le terre le quali vengono riconosciute e titolate dal governo della Chamorro. La Chiesa Cattolica, prendendo posizioni politiche filostatunitensi a fianco dei liberali, favorisce attivamente la costituzione di sempre più numerose comunità nelle stesse zone, spingendosi anche a sostenere progetti di abitati all’interno dell’area protetta, malgrado questo sia proibito dalla legge e dallo statuto di Riserva Biologica. La popolazione delle terre adiacenti la Riserva favorisce l’arrivo delle multinazionali del legno, le quali possono comprare a prezzo irrisorio grandi quantità di legname pregiato nelle proprietà dei coloni, sfruttando le condizioni di precarietà e miseria in cui essi si trovano, e aprendo con i bulldozzer e i camion nuove vie di accesso attraverso la foresta per altre famiglie di contadini, sfollati e commercianti di terra. Il tutto in un ciclo continuo che ha causato negli anni 90 la deforestazione indiscriminata di grandi aree di bosco che fungevano da cuscinetto e protezione per la biodiversità della Riserva. La voce dei contadini, che nelle case di legno e lamiera mi raccontano tutto questo, parla di guerra, potere politico e religioso, corruzione, interesse economico, sfruttamento della povertà, ed ecco che questo angolo di mondo che avevo considerato così remoto e diverso dal mio, all’improvviso mi sembra molto più vicino e familiare, soprattutto se mi chiedo chi ha voluto e finanziato la guerra contro i Sandinisti, creando il baratro economico da cui ancora oggi il Nicaragua fatica a risollevarsi, e a chi giova il mantenimento del controllo su un area di tanta importanza strategica. Quella voce mi insegna che anche la foresta più selvaggia e lontana prende parte al gioco dei potenti e della vita basata sul consumo, e che a pagarne il prezzo sono sempre gli stessi. Quella voce insegna che anche la foresta più selvaggia e lontana prende parte al gioco dei potenti e della vita basata sul consumo, e che a pagarne il prezzo sono sempre gli stessi. Una voce come quella di Fernando Lopez, presidente del Comitato di Sviluppo di Samaria, una delle tante comunità illegali che sorgono all’interno dei confini della Riserva. Per raggiungere Fernando e la sua accogliente casa di legno che mi ospiterà ho dovuto camminare e cavalcare nel fango per due giorni, sotto una pioggia insistente e facendo una fatica immane, per provare davvero cosa significa vivere isolati e magari dovere compiere gli stessi tragitti con cento chili di fagioli e mais da vendere per pochi spiccioli. Arrivo all’abitato di Samaria sfinito, mi accoglie l’intero Comitato di Sviluppo, cioè una ventina di contadini con il fisico di ferro e la semplicità dentro. Ci metto poco a convincerli che vengo da solo, che non sono spia dell’esercito o del Marena (Ministero per le risorse naturali) e da subito si può cominciare a parlare e ad ascoltare. Fernando prende la parola, una parola che è di tutte le 140 famiglie della Comunità, e mi esprime la rabbia, la stanchezza di vivere sotto la costante minaccia di uno sgombero armato da parte dell’esercito, mi mostra un documento del ’92, firmato da Violeta Chamorro in persona, che autorizza la costituzione dell’abitato di Samaria, almeno fino a quando il Governo non avrà trovato altra terra per le famiglie, promessa mai mantenuta. I Samaritani si aspettano lo sgombero da un giorno all’altro, fucili d’assalto, elicotteri, la perdita delle case che abitano da dieci anni, dei campi coltivati che danno da mangiare a quasi mille persone, intere famiglie di fronte alla miseria, così come è già successo a molte altre comunità occupate dentro i confini della Riserva Indio-Maiz. “…questa volta li aspettiamo con i fucili, siamo Nicaraguensi e abbiamo diritto alla terra, rispettiamo la Riserva e crediamo che debba essere protetta, noi lo facciamo, il nostro impatto sulla natura è ridotto al minimo, e poi quando siamo arrivati la Riserva era più avanti, passava laggiù oltre il Cerro del Diablo, i confini sono stati modificati solo dopo, l’accordo con la Chamorro e i Liberali lo dimostra, senza contare che Monsignor Comba non ci abbandonerà…”. Fernando e io sappiamo che tutto questo non è vero. Quando arriverà lo sgombero i Samaritani se ne andranno, nonostante siano tutti ex combattenti non hanno nessuna possibilità contro l’esercito, ma dopo poco torneranno e rioccuperanno le loro case perché le forze armate hanno pochi uomini e pochi soldi e il governo non può garantire una presenza costante nella foresta. Prima del mio viaggio ai confini della Riserva Antonio Ruiz, il capo della Fundaciòn del Rio, la più importante organizzazione ambientalista del Nicaragua, che da vent’anni lotta per la difesa delle ricchissime risorse naturali del Sud-Est, mi aveva parlato di Samaria e mi aveva spiegato: “…sono illegali e devono andarsene, lo Statuto della Riserva Indio-Maiz non ammette la presenza umana al suo interno, è troppo pericoloso. Le famiglie che si addentrano oltre i suoi confini sono sempre di più e disboscano grandi aree per coltivare colture come mais e fagioli che su questi terreni nenche crescono bene; un terreno che viene deforestato e sfruttato fino a che non produce più si desertifica immediatamente senza possibilità di recupero. L’accordo con la Chamorro esiste ma riguarda un totale di dodici famiglie, adesso sono più di cento e delle dodici originarie non ne è rimasta nessuna. Sono andati via tutti, io li conosco personalmente, hanno venduto e si sono spostati ancora più nell’interno. Seguiamo costantemente gli spostamenti della Bull, sono vicini a Samaria, sappiamo che hanno già preso contatto con alcuni proprietari di terra e credo che l’anno prossimo saranno lì ad abbattere alberi. Per quel che riguarda i confini della Riserva, io stesso li ho delineati e percorsi assieme a quelli del Marena nel 1992 e ti assicuro che lì dove c’è Samaria non c’era ancora proprio nessuno. So che l’uso della forza e dello sgombero armato è triste e che c’è molta miseria coinvolta, ma il nostro patrimonio naturale è l’unica ricchezza che possediamo, è il futuro per le generazioni che verranno, se permettiamo che venga distrutto, come avete fatto voi Europei, perdiamo tutto…” Fernando parla, io so che mi sta mentendo per proteggere la sua Comunità, intanto mi guardo attorno e mi soffermo sui campi coltivati che scalzano gli alberi, e sulle aree bruciate per far posto al pascolo che si vedono fino all’orizzonte. Ripenso alle parole di Antonio, poi osservo Fernando e gli altri che mi circondano. Mentono, ma che importanza ha? In quanti hanno mentito a loro? Sono qui perché sono dovuti scappare da una guerra che hanno voluto gli Stati Uniti e che li ha ridotti alla miseria, perché il Partito Liberale ha promesso loro che qui avrebbero trovato la terra per ricominciare, per poi sgomberarli una volta avuto il potere grazie ai loro voti, perché la Chiesa Cattolica aveva bisogno di allearsi politicamente contro i Sandinisti a fianco dei Liberali per riallacciare i rapporti con gli USA e allora ha mandato decine di preti a convincere centinaia di famiglie ad abitare terre lontanissime e ostili alla vita umana per poi dimenticarsele subito dopo. Strategie politiche, guerra e giochi di potere sono le ragioni lontane; miseria, isolamento, abbandono sono le condizioni davanti a me. Chi ha ragione, Fernando o Antonio? Come, in queste condizioni, non vendere gli alberi alle multinazionali del legno che, per inciso, sono tutte finanziate con capitale nordamericano? Come preoccuparsi della Riserva avendo bisogno di coltivare e allevare per vivere e non potendo contare su nessun aiuto da parte istituzionale? Come pensare alle generazioni future?