Il Pensiero Cinese SCUOLA SUPERIORE REFLESSOLOGIA ZU

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SCUOLA SUPERIORE REFLESSOLOGIA ZU
Università della Reflessologia del Piede
Il Pensiero Cinese
Per comprendere il significato anche di un solo termine cinese, bisogna
fare prima di tutto alcune osservazioni sul tipo di cultura che li genera.
Per quanto riguarda il pensiero cinese, la perplessità maggiore per gli
studiosi è connessa con il modo in cui i concetti sono esposti: le teorie e
le idee dei pensatori sono espresse in maniera concisa, sotto forma di
sentenze brevi ma solenni, massime, aforismi.
I filosofi cinesi non hanno mai scritto, in passato, trattati formali, né avevano la necessità di creare una terminologia prettamente filosofica. Le
idee si muovevano attraverso una trasmissione orale, di ‘ammaestramento’, più che d’insegnamento; un modo prettamente pragmatico, volto
a sottolineare l’importanza primaria dell’esperienza e la sperimentazione
soggettiva, rispetto all’indagine teorica di una realtà astratta.
Un’altra cosa a cui bisogna poi fare attenzione è la lingua che è usata per
esprimere i concetti filosofici di questa cultura. La lingua cinese è una lingua ideografica, più adatta per rappresentare insieme ai concetti, anche
gli atteggiamenti mentali mettendo in luce il modo stesso di pensare dei
cinesi, che procede per immagini concrete. In questo modo la lingua raffigura le idee e il pensiero, quindi si traduce in una visione concreta dei
contenuti mentali; traduce simultaneamente tutto il processo di percezione, apprendimento e conoscenza con un lessico simbolico e semantico proprio degli ideogrammi. E’ anche un modo in cui si rappresenta e ci
si rappresenta raffigurando cose e idee. Ciò significa pensare per imma-
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gini, non solo visualizzando un’idea o una cosa, ma facendone anche un
‘discorso sulla cosa raffigurata’. Quindi la lingua creata dai cinesi è diretta ad ordinare i dati contingenti, gli eventi, gli accadimenti. La loro preoccupazione non è quella di conoscere il mondo, ma di organizzarlo. A
questo punto risulta comprensibile che ogni traduzione di testi cinesi,
risulterà sempre un’interpretazione, per quanto obbiettiva, di natura personale, che tende a sottolineare soprattutto un’idea, dove invece il testo
originale ne esprime di più, racchiudendo più significati.
MONDO COME INSIEME ORDINATO.
Nella visione dei cinesi c’è un comune credo in un ordine umano simile a
quello cosmico, derivato dal particolare processo di conoscenza attraverso l’apprendimento dell’esperienza, con il metodo analogico (rapporti,
relazioni, corrispondenze). Questo metodo porta alla nozione di un tutto
concreto. Si arriva così all’intuizione dell’unità di cielo/terra/uomo, per
cui lo studio di un caso particolare dell’esperienza è sufficiente per scoprire la verità generatrice di tutti i casi reali o possibili dell’universo.
L’intuizione diventa nozione sia sperimentando l’alternanza di giorno e
notte, delle stagioni, sia col pensiero analogico, ordinando la propria
struttura mentale in concordanza al ritmo vitale universale: fu concepita una ‘legge’ insita nelle cose, perché il lavoro dei cinesi seguiva un
ritmo simile a quello annuale. Quindi realizzarono di seguire i corsi ed i
ritmi del cosmo e di rifletterli in sé, attraverso i complementari yin/yang,
concepiti come tempi opposti ed alternati di riposo ed azione dell’attività umana, concatenati dalla loro successione armonica che è la ‘legge
universale’ o Dao.
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YUZHOU, UNIVERSO, SPAZIO-TEMPO.
Il termine stesso in cinese è composto dei due caratteri spazio-tempo.
Già i moisti, un’antica scuola filosofica, sorta circa quattro secoli prima
della nostra era, avevano intuito il continuum spazio/temporale per cui
spazio e tempo non sono due categorie, ma un insieme, perché "il movimento nello spazio esige la durata, e il motivo di questo è spiegato in
prima e dopo’ ; inoltre prima e dopo (tempo) sottintendono vicino e lontano (spazio). L’universo, perciò, è concepito come spazio temporalizzato, che presuppone un incessante movimento in cui, il ‘generatore non
generato’, l’energia trasformatrice non soggetta a trasformazioni, porta
alla cognizione della realtà come mutamento, e questo è il risultato dell’azione costante e alterna di yin/yang. Universo è quindi ‘mutamento
armonico’, dove la mutazione è movimento ordinato.
RELAZIONE UOMO/NATURA
La natura, per i cinesi, è tutto ciò che è altro da me. L’osservazione della
natura diventa un’esigenza primaria per conoscere la legge che regola
l’universo nel suo dinamico divenire, non per conoscere un dio al di là
dell’esperienza; perché la natura è regolata da un ordine non esterno alle
cose stesse. Infatti il monarca, come il Signore dell’Alto, è la personificazione di quell’ordine, come regolatore e tramite tra il cielo e la terra. La
natura, intesa come correlazione tra cielo, terra e uomo, è il luogo di
conoscenza.
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"WUJI ER TAIJI"
È una frase molto antica tradotta in diversi modi secondo l'interpretazione, una di quelle più accreditate è:
-Ciò che non ha un polo, è il supremo polo-Prima era il nonpolo, poi venne il supremo polo". Questa espressione in
realtà molto complessa, è utilizzata come legge filosofica, che mette
insieme due concetti fondamentali della cosmologia e filosofia cinese: il
Wuji ed il Taiji.
Wuji indica lo sconfinato, l'invisibile, il senza qualità, l'inizio primordiale
o anche il brodo primordiale e la condizione originaria a cui ogni cosa
tende a fare ritorno. Nella cosmologia cinese, dal wuji, si arriva ad un
certo punto al taiji, da cui si sviluppa la dualità yin/yang, le cinque permutazioni dei cinque movimenti, wuxing... fino alle diecimila cose.
Taiji, grande uno, indica quella totalità indistinta e non ancora qualificata in yin/yang, ma che già li comprende in sé, tanto che il noto simbolo
che li raffigura si chiama proprio taiji. È tradotto grande polo, o anche
vuoto... e come vuoto, si intende il vuoto paragonabile a quello che c'è
in un punto preciso del torrente, quando l'acqua presente scorre via ogni
momento per far posto a quella che sta arrivando continuamente.
Prende questo nome anche il taiji quan, molto conosciuto in occidente
come forma di arte marziale dolce, in realtà, è anche una delle forme
esterne di qigong.
YIN/YANG
Un binomio e non due elementi contrapposti. Yin/yang sono un insieme.
Il loro mutamento è simile al sistema del calcolo binario, basato sul concetto alternato di presenza e assenza (0 e 1), per cui una diminuzione di
yin non è mancanza, perché va ad accrescere yang. Perciò anche qui il
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mutamento è movimento ordinato determinato dall’opera di yin/yang,
binomio che ristabilisce il dissidio apparente tra uno e molti, come insieme di modalità apparentemente contrarie ma alterne.
I due termini designano valori contrapposti, simboli antitetici che si
attuano in modo ciclico. Le diverse modalità possono essere intese come
proiezioni dell’uomo, necessitate dal contatto con la realtà e l’esperienza
fenomenica, che si rivelano benigne e maligne allo stesso tempo.
L’equilibrio delle due modalità fra loro annulla il dualismo apparente grazie alla loro complementarietà. Le relazioni che legano quindi i due elementi di questo binomio sono quattro: reciproca opposizione, interdipendenza, l’essere inversamente proporzionati l’uno con l’altro, e la continua
trasformazione dell’uno nell’altro.
Queste due forze, apparentemente opposte, furono rappresentate con i
simboli yin, pendio della collina in ombra, e yang pendio della collina
esposto al sole, ed assimilate a tutti i binomi, a tutte le coppie di opposti
della natura, come terra e cielo, femminile e maschile, notte e giorno.
LEGGE DEL DAO
Il carattere dao, trascritto anche tao, può avere diversi significati: insegnamento o arte, metodo, stile di vita, legge di natura che regola i tempi
e le trasformazioni dei fenomeni, via o strada, manifestazione del volere
celeste, supremo. Un aspetto del dao è la manifestazione armonica di
yin/yang, poiché yin/yang sono il dao. Yi yin yi yang zhe wei dao, letteralmente: una volta yin, una volta yang, questo è il dao. In questo caso
il significato che ci riguarda è legge di natura, secondo cui yin/yang, si
susseguono in una rotazione e trasformazione continua. Il dao divenne
così la nozione base dell’unitarietà dell’universo. In questo modo non c’è
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alcun bisogno di esseri creatori, neanche lo Shangti, Signore dell’Alto o
Imperatore supremo o il Tian, cielo, sono esseri creatori. Tuttavia il sacro
ha un posto di primaria importanza ed il culto diviene per eccellenza rito,
perciò sono presenti divinità tutelari e naturali, il Signore dell’Alto era il
sommo regolatore, ma non basta, c’è l’esigenza di una legge che governi tutto.
ZHONG, CENTRO
I Cinesi si accorsero che nel movimento del sole, nel tempo di uno spazio percorso, non c’è arresto, ma solo punti di riferimento, perciò ci fu
bisogno di orientarsi, così nacquero i quattro punti cardinali, gli angoli del
mondo, però essendo le direzioni solo un mezzo, trovarono un quinto
punto cardinale, il punto di riferimento simbolizzante il centro, era la
ricerca anche di un orientamento psicologico.
Questa è la nozione che si è sostituita all’asse, taiji, polo, grande asse,
per cui tempo e spazio erano riferibili all’asse come centro, la cui essenza era nel rapporto con l’unitarietà tra uomo e universo. Zhong, il centro, è un’estensione dell’asse, con un significato più profondo: l’uno,
l’unità e la fonte, il dao.
Per quanto riguarda l’asse o polo, c’è una frase cinese che ne definisce il
significato vero: -Wuji er taiji.- Una delle interpretazioni di questa
espressione, è: -Ciò che non ha polo,è il supremo polo-. Secondo questa
definizione e secondo quella del paradosso di Huishi, filosofo cinese: -Il
centro del mondo è a nord di yen e a sud di ye.- Il centro che promuove le direzioni può essere ovunque e in nessun luogo, è illimitato ed infinito. E’ da considerarsi come un punto neutro, perché i punti cardinali
sono relativi al centro, non hanno un valore assoluto. La terra, e per traslato l’uomo, coinciderà con il centro antropico: dove c’è l’uomo, lì c’è il
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centro. Quindi l’uomo è partecipe di macro e microcosmo, si volgerà dall’eso all’endocosmo, realizzando la sua funzione tra cielo e terra.
Riconoscersi con il centro, significa riconoscersi con il sé, cioè avere la
potenzialità e l’esigenza di attuare il processo di individualizzazione perché il centro coincide con il tutto ontologico, è il grande uno, come spazio è il grande principio, come tempo per estensione lo stesso taiji. Al
centro di tutte le cose, vasto come lo spazio, eterno come il tempo, ma
perché si manifesti è necessario essere uno con il centro, l’uomo ha quindi la possibilità di assimilarsi con il centro.
Alcuni di questi accenni sono tratti dalle analisi concettuali fatte dalla
professoressa M. T. Lucidi, nel suo trattato "Riflessioni sulla natura e funzione di alcune proposizioni del pensiero cinese, per lo studio della concezione spaziale"(Maria Teresa Lucidi, ed. Il Bagatto).
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