La Libia non è l`Iraq, il petrolio non c`entra

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La Libia non è l`Iraq, il petrolio non c`entra
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18/02/2015
La Libia non è l’Iraq, il petrolio non
c’entra
Pendolari: tutti i numeri e un
confronto con l’Europa
Nessun interesse economico, la strategia di Obama, l’attacco di
Bengasi: perché gli Usa si defilano
Giovanni Zagni
interattiva
Difesa del suolo: tutti i cantieri
aperti
interattiva
BREAKING NEWS
(Win McNamee/Getty Images)
Parole chiave: LIBIA / KHALIFA HAFTAR / STATI UNITI / BARACK OBAMA
Argomenti: MEDIO ORIENTE
«Il tempo a disposizione non è infinito e rischia di scadere presto»,
ha detto oggi il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni alla Camera,
riferendo sulla situazione libica. Ha anche invitato le Nazioni Unite a
«raddoppiare gli sforzi» per cercare una soluzione politica alla crisi
nel paese.
Mondadori ha ufficializzato il proprio
interesse all'acquisizione di RCS libri
Mondadori ha sottoposto a RCS una
manifestazione di interesse non vincolante
relativa alla acquisizione di RCS libri
Mondadori
Ilva, arriva l’ok dalle Commissioni per 1,8
miliardi al gruppo siderurgico
Le commissioni Industria e Territorio del
Senato hanno votato il mandato ai Relatori
a portare il testo in Aula: non compare più
realizzazione polo
Hsbc, Ginevra apre procedura riciclaggio
In corso perquisizione nei locali istituto a
Ginevra
Ansa.it
Tra i vari attori internazionali che si stanno muovendo intorno alla
Libia nel caos – l’Egitto e i suoi attacchi degli ultimi giorni, le Nazioni
Unite con l’inviato León, l’Italia stessa – spicca un grande assente: gli
Stati Uniti. Il ruolo dell’unica superpotenza rimasta è stato finora molto
defilato, e tutti gli indizi lasciano pensare che nel prossimo futuro le
cose continueranno così.
La situazione libica è molto complessa e ad alto rischio. «E questo
alto rischio gli Stati Uniti non se lo vogliono prendere», spiega Arturo
Varvelli, ricercatore Ispi e responsabile dell’osservatorio sul
terrorismo dell’istituto. «Non è solo una questione di Obama meno
interventista: è anche la conseguenza di uno slittamento strategico
degli Stati Uniti, più interessati all’Asia. Nell’area mediorientale la
priorità è oggi la situazione in Siria e in Iraq, l’Arabia Saudita,
naturalmente Israele».
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Giovanni Zagni
Dopo la bellicosa strategia dell’era Bush – e i suoi disastri – la
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politica estera di Obama ha cambiato approccio. Il ruolo americano
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nella questione libica lo mostra molto bene. Quando Gheddafi inasprì
la brutale repressione della rivolta contro il suo regime, all’inizio del
2011, gli Stati Uniti apparvero tra i più riluttanti a un intervento diretto.
I Paesi dove i coniugi sono più
infedeli
Chi spinse in quella direzione furono alcuni paesi europei, in
particolare la Francia e il Regno Unito.
«È stato difficile convincere gli americani» a intervenire, ha detto di
recente il filosofo francese Bernard-Henri Lévy al New Yorker (Lévy
ha appoggiato da subito la causa dei ribelli anti-Gheddafi e ha avuto
un ruolo importante, a livello diplomatico, nel coinvolgimento
francese). «L’allora segretario della Difesa Robert Gates era
«fermamente contrario. Obama come al solito esitava. Ma Hillary si
convinse».
Quando cominciarono gli attacchi aerei, a fine marzo del 2011, gli
L’Italia è solo al quarto posto: notevole la
posizione di Germania e per altre ragioni della
Grecia
SHARE
Stati Uniti contribuirono con una pioggia di missili Tomahawk da navi
stazionate nel Mediterraneo, ma per i sette mesi successivi
l’operazione fu sostanzialmente in mano a Regno Unito e Francia. Gli
L’economia spiegata in mezz’ora,
da chi la conosce
americani descrissero il proprio ruolo con l’espressione leading from
behind, «guidare da dietro».
Il colpo definitivo all’impegno statunitense in Libia arrivò l’anno
successivo, mentre il paese scivolava nella guerra civile e i fragili
governi di transizione fallivano nel tentativo di disarmare le milizie e
stabilire la parvenza di uno stato funzionante. L’11 settembre 2012
uomini armati attaccarono il consolato Usa a Bengasi e uccisero
quattro cittadini statunitensi, tra cui l’ambasciatore Christopher
Stevens. I Repubblicani accusarono l’amministrazione Obama di
errori nella gestione della sicurezza.
Le polemiche che seguirono ebbero l’effetto di allontanare
definitivamente gli Stati Uniti da ogni impegno nel paese, limitando il
proprio ruolo alle iniziative diplomatiche. Hillary Clinton, allora
segretario di Stato, finì nel mirino dell’opposizione. «Alla Clinton si
Ray Dalio, fondatore dell’hedge fund più
grande del mondo, spiega la meccanica che fa
girare i soldi
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Nove cose che non sapevate sulla
Nutella (e su Ferrero)
addebita la responsabilità dell’uccisione dell’ambasciatore libico»,
dice Varvelli. E viste le sue ambizioni presidenziali, tenersi alla larga
dal tema libico aiuta a far dimenticare quella polemica in patria.
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esistono
Giovanni Zagni
Ma oltre alle brutte esperienze del passato, il disimpegno
statunitense è anche conseguenza degli scarsi interessi nel paese.
Sul fronte petrolifero, ad esempio, «la Libia è sempre stato un paese
in cui hanno operato le “indipendenti” americane e non le major»,
prosegue Varvelli. Il prezzo del petrolio in picchiata e i grandi
investimenti nello shale gas in patria contribuiscono a lasciare fuori
dallo scenario la questione energetica. D’altra parte, il petrolio libico
è sempre andato per la stragrande maggioranza ai paesi europei (il
70-80%, con l’Italia prima importatrice). nel 2013, gli Stati Uniti hanno
ottenuto dalla Libia un misero 0,6 per cento delle proprie
importazioni.
Per tutti questi motivi, la posizione dell’amministrazione Obama è di
lasciar fare alla diplomazia internazionale, come ha confermato di
recente Benjamin Rhodes, uno dei consiglieri più vicini al presidente.
La strada da seguire, ha detto, è quella del dialogo e di un’iniziativa
delle Nazioni Unite, a cui gli Usa aggiungono «un po’ di tranquilla
diplomazia dietro le quinte».
Questa imparzialità nei confronti delle diverse fazioni in campo può
stupire se si pensa che l’uomo forte del governo di Tobruk, che guida
la cosiddetta “Operazione Dignità” nell’est del paese, è Khalifa
Haftar, un importante ex generale dell’esercito di Gheddafi, poi
passato all’opposizione, che negli ultimi vent’anni ha vissuto negli
WEB
Dall’invenzione del nome alla sede a Bruxelles.
Fatti noti e meno noti di un uomo e di
un’azienda
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Stati Uniti e ha collaborato a lungo con la Cia.
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Ma se gli Stati Uniti non hanno dato il loro appoggio a Haftar,
commenta Varvelli, «probabilmente è proprio perché lo conoscono
bene. Sanno benissimo che ha pochissima presa nel paese, non può
essere un elemento conosciuto e unificante». Difficilmente l’emergere
di elementi legati all’ISIS tra le fazioni libiche farà cambiare
l’approccio degli Stati Uniti, il cui sguardo resta rivolto altrove.
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The Moscow Times
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