Azione - Settimanale di Migros Ticino Sul cavallo di Alessandro
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Azione - Settimanale di Migros Ticino Sul cavallo di Alessandro
Sul cavallo di Alessandro Viaggiatori d’Occidente - Reportage da una Macedonia alla ricerca di una nuova identità / 21.11.2016 di Paolo Brovelli, testo e foto Laggiù in mezzo ai Balcani, rotta a Salonicco, Skopje s’erge capitale sempre più macedone d’una Macedonia in cerca d’un sé eroico. Lo racconta bene il centro, da poco dissodato nel nuovo corso dell’era dell’indipendenza (dal 1991), e piantumato con sfarzi che bramano (anche) un passato affine a quello sbandierato dai vicini del Sud: i macedoni di Grecia. In bilico tra i cugini serbi e bulgari, balcanico d’odori turchi, questo Paese grande come la Sicilia (ma vuoto come la Sardegna) raspa sul fondo per trovar sé stesso. E allora ecco il milionario progetto «Skopje 2014»: colossi dorati di bronzo, colonne slanciate di bianco, che presidiano palazzi come campidogli, cupole, piazze, vie, ponti di pietra lastricati di nuovo. «Roba da grandeur. Buona per i ricchi, non per noi», protesta l’amico Vlatko. Così nel 2011 irrompe al gran galoppo Alessandro il Grande, impennato su un Bucefalo bronzato come lui, proprio in mezzo alla città, in Piazza Macedonia. Più di venti metri d’altezza (col piedistallo!), il «Guerriero su cavallo» (questo il nome ufficiale e reticente) viene da una fonderia vicentina, da dove lo raggiungerà l’anno seguente, con più calma, anche suo padre Filippo, il «Guerriero a piedi» e tutte le altre statue minori a comporre la corte: la madre Olimpiade, Alessandro bambino, soldati, ancelle, lance, scudi, leoni… Tra loro, restaurato simbolo tradizionale della città dai tempi del grande sultano turco Maometto II il Conquistatore (di Costantinopoli, nel 1453), il vecchio Ponte di pietra, sul Vardar, il mitico fiume Asso, la cui valle fa da culla a molta della Macedonia storica, da qui fin giù a Salonicco, sul Mar Egeo. D’anima bulgara screziata d’albanese (il 25 per cento della popolazione), la nuova Macedonia che alcuni vogliono FYROM (Former Yugoslavian Republic Of Macedonia, ossia Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia), cerca la via balcanica alla quiete, che serba sempre qualche mina occulta. È l’unica repubblica, oltre alla Slovenia, a essere uscita dalla Jugoslavia senza (quasi) colpo ferire; ora zigzaga con orgoglio tra le grinfie dei vicini, e riesuma simboli frugando tra le storie e la storia. Si costruisce. Si fa autonoma mettendo insieme i pezzi, e poi spargendoli, che tutti sappiano cos’è successo qui, e quant’è importante. Così Skopje, giusto ai piedi dell’antica fortezza di Kale e appena fuori dalle viuzze piene di negozietti e ora anche di locali notturni della stara čaršija (la città vecchia turco-balcanica, una delle meglio conservate della penisola nonostante il devastante terremoto del 1963), si riassume a suon di statue, per non sapere dove andare. O dove tornare. E allora, ecco l’antica Grecia, l’impero romano, re macedoni, serbi, bulgari, nazionalisti albanesi, indipendentisti, rivoluzionari, anarchici, antifascisti, gente di cultura, padri della patria. E i santi. I santi, sì. Paradossale che proprio in questo paese, la cui lingua standard è stata codificata solo una cinquantina d’anni fa (sotto la Federazione socialista di Jugoslavia, 1944-1992) distillandola da varianti bulgare occidentali, sia stato perfezionato il cirillico, l’alfabeto che ha permesso l’evangelizzazione dei popoli slavi, avvicinando testi e rito sacro alla gente. A Ocrida, in particolare, sul lago omonimo. Lì, san Clemente e san Nahum, discepoli dei santi (e fratelli) Cirillo e Metodio, avrebbero perfezionato (e ribattezzato) l’alfabeto glagolitico, inventato dallo stesso Cirillo, quando da Costantinopoli lui e Metodio furono inviati a evangelizzare la Grande Moravia (862), odierni territori cechi, slovacchi e circonvicini. La chiesa di san Clemente, centro dell’antica Scuola letteraria di Ocrida, è ancora al suo posto, sulla collina a dominare il lago e la bella città di struttura turca. Lì è custodito il corpo di san Clemente. Nahum, invece, giace nel suo sepolcro nel monastero a lui dedicato, a una trentina di chilometri da Ocrida, pure sul lago, come in un eremo, raccolto, caldo di colori, antico. Provincia romana dal 148 a.C., luogo di nascita dell’imperatore Giustiniano I il Grande (483, Taor, antica Tauresium, presso Skopjie), percorsa da un lungo tratto dell’antica via romana Egnazia, da Durazzo (Albania) a Bisanzio, la Macedonia esibisce anche bei resti dell’epoca, dal teatro nella fortezza di Ocrida, alle città ben preservate di Eraclea Lincestide e Stobi, con mosaici che ricordano quelli di Aquileia. Un piccolo paese con un grande passato, dunque, e una discreta varietà etnica, con comunità turche, bulgare, serbe, rom e arumene, e gli albanesi, che sono maggioranza in diverse regioni, con lingua parificata. Ma le due etnie faticano a integrarsi, nonostante la millenaria vicinanza. Forse la lingua. Forse la religione, con gli albanesi musulmani. Forse il passato. Ognuno pare far per sé, e nel 2001 ci sono stati bagliori di guerra civile, solo sopiti. Sì, c’è un canale televisivo in albanese. Sì, c’è una piazza Skanderbeg con una statua dell’eroe nazionale albanese, a Skopje. Sì, eran fianco a fianco nelle guerre Balcaniche dei primi del Novecento. Ma… Fuma, Vlatko. Sbuffa silente sulla panchina e osserva distante il nuovo memoriale a santa Teresa di Calcutta, lì nella capitale venuta al mondo cent’anni fa. Pensa, Vlatko. Pensa che la santa era albanese ma anche turca, serba meridionale, bulgara e italiana, prima d’esser jugoslava. E poi indiana. E se non fosse stata donna del pianeta e di Dio, sarebbe morta FYROM.