informativa in pillole 5/2015

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informativa in pillole 5/2015
Aderente alla
Confederazione
Unitaria Quadri
Confédération
Européenne des
Cadres
Torino, 27 aprile 2015
Ai Membri G. E.
Alle R.S.A.
Alle R.S.U.
Ai Coordinatori Territoriali
INFORMATIVA IN PILLOLE 5/2015
OGGETTO: LA STRATEGIA DI LISBONA
CONOSCENZA – INNOVAZIONE – CRESCITA SOSTENIBILE
Care colleghe e gentili colleghi,
inviamo questa Informativa a circa 15 anni dal lancio dell’obiettivo che si erano posti i capi di Stato
e di Governo dell’UE, riuniti a Lisbona nel marzo 2000.
La strategia globale doveva concludersi nel 2010, ma già nel 2005, in una sorta di bilancio di metà
percorso, c’è stato un primo “aggiustamento”.
Europa 2020 è la nuova agenda dell’Europa, che ha preso il posto dell’attuale Strategia di Lisbona.
A disposizione per ogni ulteriore chiarimento, cogliamo l’occasione per porgere i nostri migliori
saluti.
Guido Castagno
e-mail: [email protected]
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La cosiddetta Strategia di Lisbona nasce nell’ambito del Consiglio Europeo nel marzo 2000, con
l’obiettivo di favorire l’occupazione, lo sviluppo economico e la coesione sociale entro il 2010.
Erano state individuate dieci aree diverse, che includevano le politiche sociali ed i settori strategici
per implementare una economia basata sulla conoscenza, per la modernizzazione del modello
sociale Europeo, per rendere l’Europa capace di attrarre investimenti e lavoro, nonchè porre la
conoscenza e l’innovazione al servizio della crescita.
Un piano estremamente ambizioso che si basava su alcuni fattori: non c’erano ancora avvisaglie
della crisi del 2008, si era in piena “globalizzazione” e si cercava quindi di gettare le basi per
impostare una economia europea competitiva e sostenibile, che potesse creare nuovi e migliori
posti di lavoro.
Ma, come detto, già nel 2005, a metà del percorso, si è dovuto prendere atto che l’economia
europea non solo non cresceva, ma perdeva posizioni.
Iniziavano le tensioni tra lavoratori “locali” e stranieri, considerati delle persone che “portavano via
il lavoro” alle popolazioni autoctone. Mentre la realtà era molto più prosaica: erano (e sono)
lavoratori che “costano meno”. Le delocalizzazioni produttive e l’inserimento di lavoratori
magrebini, rumeni, polacchi, etc. nell’edilizia, nei trasporti e nelle lavorazioni a basso valore
aggiunto non avevano altro scopo se non quello di “abbassare il costo del lavoro” (marginalizzando
il fattore qualità).
I Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea hanno quindi deciso di rilanciare la Strategia di
Lisbona concentrandola su due obiettivi principali: crescita economica e occupazione, perché si
era preso atto che tutti gli Stati dell’area euro erano in “sofferenza”, ma che in particolare le
economie di Francia, Germania e Italia erano quelle che più avevano patito le difficoltà di crescere
e creare occupazione.
Anche la Germania era sì in difetto di crescita, ma questo era dovuto a due motivi fondamentali: la
costosa riunificazione con la Germania Est e le grandi riforme del mercato del lavoro, avviate
proprio all’inizio del III° millennio, con l’apporto convinto e partecipativo dei Sindacati.
A partire dal 2006 gli Stati Membri hanno quindi dovuto redigere e presentare alla Commissione
Europea dei Piani Nazionali per la crescita e l’occupazione per il periodo 2006 – 2008.
La base per la redazione dei Piani Nazionali doveva coinvolgere in un ampio giro di consultazioni i
Parlamenti, le Parti Sociali e le Autonomie Regionali e Locali, in una sorta di maxi Piano triennale
concertativo.
Nel contempo, a giugno 2005, il Consiglio Europeo aveva approvato gli “Orientamenti integrati per
la crescita e l’occupazione 2005 – 2008”.
In dettaglio i temi inseriti:
1) Garantire la stabilità economica per una crescita sostenibile.
2) Salvaguardare la sostenibilità economica e di bilancio, presupposto per la creazione di un
maggior numero di posti di lavoro.
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3) Promuovere un’allocazione efficiente delle risorse, orientata alla crescita economica e
all’incremento dell’occupazione.
4) Far sì che l’evoluzione salariale contribuisca alla stabilità macroeconomica e alla crescita.
5) Favorire una maggior coerenza tra politiche macroeconomiche, politiche strutturali e
politiche dell’occupazione.
6) Contribuire ad una Unione Europea dinamica e ben funzionante.
7) Aumentare e migliorare gli investimenti nel campo della ricerca e sviluppo, (in particolare
nel settore privato in vista della creazione di uno spazio europeo della conoscenza).
8) Favorire l’innovazione in tutte le sue forme.
9) Favorire la diffusione e l’utilizzo efficiente delle TIC (Tecnologie dell’Informazione e della
Comunicazione) e costruire una società dell’informazione pienamente inclusiva.
10) Rafforzare i vantaggi competitivi della base industriale.
11) Promuovere l’uso sostenibile delle risorse e potenziare le sinergie tra tutela dell’ambiente e
crescita.
12) Ampliare e rafforzare il mercato interno.
13) Garantire l’apertura e la competitività dei mercati all’interno e al di fuori dell’Europa,
raccogliere i frutti della globalizzazione.
14) Creare un contesto imprenditoriale più competitivo e incoraggiare l’iniziativa privata grazie
al miglioramento della regolamentazione.
15) Promuovere maggiormente la cultura imprenditoriale e creare un contesto più propizio alle
PMI.
16) Sviluppare, migliorare e collegare le infrastrutture europee e portare a termine i progetti
transfrontalieri prioritari.
17) Attuare strategie occasionali volte a conseguire la piena occupazione, migliorare la qualità
e la produttività del lavoro e potenziare la coesione sociale e territoriale.
18) Promuovere un approccio al lavoro basato sul ciclo di vita.
19) Creare mercati del lavoro che favoriscano l’inserimento, rendere più attrattivo il lavoro
finanziariamente attraente per quanti sono in cerca di occupazione, come pure le persone
meno favorite e gli inattivi.
20) Migliorare la risposta alle esigenze del mercato del lavoro.
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21) Favorire la flessibilità conciliandola con la sicurezza occupazionale e ridurre la
segmentazione del mercato del lavoro, tenendo in debito conto il ruolo delle parti sociali.
22) Garantire andamenti dei costi del lavoro e meccanismi per la determinazione dei salari
favorevoli all’occupazione.
23) Potenziare e migliorare gli investimenti in capitale umano.
24) Adattare i sistemi di istruzione e formazione ai bisogni in termini di competenze.
Ovviamente tutti temi altamente condivisibili, che però hanno dovuto fare i conti con la crisi
mondiale, che non solo non ha permesso la crescita, ma ha innescato una spirale negativa per
gli investimenti e provocato una crescita a due cifre della disoccupazione.
Crisi di cui solo ora, dopo circa sette anni, si incomincia ad intravvedere un’inversione di
tendenza e che, speriamo, possa ricondurre l’indice della disoccupazione a livelli fisiologici.
In questa sede possiamo solo cercare di sviluppare i concetti che sono alla base delle strategie
e valutare gli interventi che alcuni Stati hanno perseguito, per gettare le basi della crescita
futura (pochi per la verità).
Dobbiamo anche chiarire i parametri che stanno alla base degli “Orientamenti”.
Traspare chiaramente dai temi inseriti negli “Orientamenti” che l’UE è focalizzata su una
economia basata sulla conoscenza, sull’innovazione ed è per una crescita economica
“sostenibile”.
Quando cita una economia basata sulla conoscenza l’UE parte dal concetto di “triangolo della
conoscenza”, ovvero l’insieme di ricerca, innovazione e istruzione, intendendo la “conoscenza”
come la forza propulsiva per competere in un contesto globale, in quanto le “economie
emergenti”, per ora, non possono che contare solo ed esclusivamente su una “manodopera a
basso costo” e/o sulla presenza di “risorse primarie”.
E’ intuitivo che stiamo parlando, principalmente, di Brasile, Cina, India e Russia in particolare.
Per l’UE è e sarà cruciale il potenziamento degli investimenti e l’uso di nuove tecnologie
dell’Informazione e della Comunicazione, sia per il settore Pubblico che per quello Privato, in
quanto è a queste tecnologie che si deve circa la metà della crescita produttiva ed
occupazionale delle economie.
Mentre quando si affronta il tema dell’innovazione la sintesi è che “innovare” vuol dire
“produrre, assimilare e sfruttare con successo le nuove scoperte tecnologiche nei settori
economico e sociale”.
Si potrà innovare la gamma di prodotti e servizi oppure migliorare i processi produttivi, di
acquisto e logistici. Non ultimo avviare la razionalizzazione dei settori Funzionali con
l’accorciamento delle “catene di vertice” (innovazione organizzativa).
Tutto quanto sopra tenendo conto prioritariamente dell’ambiente, sia per quanto concerne la
produzione di beni che il loro consumo.
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E’ per questo che si intende “sviluppo sostenibile” un sistema di azioni interconnesse che si
basi sul presente, ma senza penalizzare le generazioni future. In sintesi uno sviluppo che sia
economicamente competitivo, socialmente proficuo e rispettoso dell’ambiente (utopia?).
Stesso discorso per quanto concerne l’Industria manifatturiera.
L’Europa deve tenere conto che la transizione a una economia sostenibile ed efficiente nell’uso
delle risorse non può prescindere dalle sue industrie manifatturiere, che concorrono per il 75%
alle esportazioni.
In conclusione possiamo dire che sono trascorsi cinque lustri molto difficili dal lato economicooccupazionale (soprattutto per alcuni Stati) che hanno in parte vanificato gli sforzi
programmatici dell’UE.
Gli Stati che hanno sofferto di più, come noto, sono stati quelli dell’area “latina”; mentre quelli
del nord Europa hanno patito di meno.
C’è poi uno Stato, la Germania, che avendo iniziato per tempo le riforme, coinvolgendo i
Sindacati, le ha potute portare a compimento, in primis quella del lavoro; riforme che le hanno
permesso di superare brillantemente la crisi e recuperare il notevole sforzo economico
sostenuto per la riunificazione con la Germania dell’Est (ex DDR).
Nella prossima informativa tratteremo proprio, da un punto di vista particolare, delle
macrodifferenze economico-sociali tra Germania ed Italia, per analizzare quello che hanno
fatto (o non hanno fatto) i Sindacati Nazionali.
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