Con gli occhi di un bambino

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Con gli occhi di un bambino
CORRADO COCCIA
Con gli occhi di un
bambino
a Tommy
Prefazione
La circolarità del Natale presuppone la sorpresa finale, ogni rituale
tende alla ripetitività come in un gioco tra le parti a cui non ci si
può sottrarre. Corrado in questo racconto crea un circolo ipnotico
che rimanda a tradizioni ancestrali, ma anche a rituali rassicuranti
che aprono il cuore e danno sicurezza lasciando in sospeso
qualcosa di impalpabile, un piccolo colpo di scena a capo di ogni
riga. Forse è quel senso di sospensione tra il tempo e il cuore, tra il
battito e il battito che mette un po’ d’ansia. Poi il cuore ha il
sopravvento ed è il regalo più grande, la scoperta tra la fantasia e
la realtà di ogni Natale del mondo. Ogni paura è nel Natale che c’è
in noi, la gioia è in ogni Natale possibile e impossibile prima di
tutti i regali.
Un pensiero per un racconto
Giuliano Mori - poeta e scrittore
Il fatto che la scala scricchiolasse era una cosa normale. Tant'è che
mamma non voleva mai che io salissi per paura che mi facessi
male. Era una scala fatta di legno, vecchia e pericolante che
portava su, al vecchio granaio. Ma quella sera faceva dei rumori
sinistri...
Papà era giù da basso, nel salotto, con la sua immancabile pipa in
bocca, il giornale e la televisione che parlava da sola.
Tra una pagina ed un'altra, avvolto in una nuvola di fumo, riusciva
persino a sonnecchiare.
Mamma era di là con il suo immancabile grembiulone, dietro
all'asse da stiro che ricordo lì da sempre al punto da credere che
facesse parte dell'arredo.
Ed io? Beh, considerando che era la vigilia di Natale ero molto
eccitato. Al contrario degli anni scorsi, ero persino in spasmodica
attesa della messa di mezzanotte.
Mi trovavo nella mia cameretta. Era una stanza piccina piccina,
tutta in legno, con una finistrella ad altezza pavimento; a destra il
letto sospeso per aria come una nuvola, e sotto il letto la mia
piccola scrivania con appeso l'immancabile poster dei Buffalo
illuminato da un'abat-jour a forma di candela.
Spostai la tendina della finestra, fatta di pizzo antico dalla nonna,
e notai alcune macchine che solcavano piano piano lo spesso
strato di neve che scendeva ormai da giorni. I rumori erano
talmente ovattati che pensavo che le automobili si muovessero
grazie alla loro forza di volontà.
La vecchia signora Margaret andava avanti e indietro reggendo
delle fumanti e profumate torte alla cannella da donare a tutto il
vicinato.
C'era anche il signor Larson che, come tutti i giorni, puntuale
come un orologio svizzero, consegnava i giornali.
Quando arrivò davanti al nostro portico, mio padre uscì a
recuperare la nostra copia e rimase come ipnotizzato davanti a
quella notizia scritta in grassetto: “La Chiesa di St. John riapre per
la messa della notte di Natale”.
Papà diventò cereo in volto, come se avesse visto un fantasma ed
anche tutto il nostro vicinato rimase stupito dalla notizia riportata
in prima pagina.
Vedendo la reazione di tutti quanti, mi incuriosii. Scesi le scale di
corsa e chiesi a mio padre che nel frattempo era rientrato in casa:
“Papà dov'è questa chiesa? Hanno chiuso la nostra? Perchè hai
quella faccia?”
Con voce tremante ed emozionata, mi spiegò che la chiesa di St.
John era rimasta chiusa per più di cinquant'anni e che era la
parrocchia che frequentava quando era un bambino come me.
Il suo breve racconto non sfamò la mia curiosità e lo incalzai con
altre domande fino a quando non mi disse che molti anni fa,
durante la notte di Natale, dietro l'altare apparve la figura di
Babbo Natale.
Tutto sembrava così magico! Degno delle festività che aspettavo
con molta ansia tutto l'anno.
Ci sarebbe stato il coro degli Angeli diretto dalla signora Ester, la
preghiera prima che il pastore facesse il suo ingresso e poi la
funzione religiosa.
Papà mi disse che la chiesetta di St. John non era semplice da
raggiungere. In macchina sarebbe stato sconveniente visto le
strade impraticabili, e quindi avremmo dovuto organizzarci per
tempo per riuscire ad occupare i posti nelle prime panche.
“Accidenti!” esclamò la mamma. “Il tuo vestito buono è
sgualcito!”
Allora presi la giacca e cercai di nascondere le parti spiegazzate e
farle tornare come nuove.
Papà, dopo essersi ripreso da quel momento di euforia mista a
nostalgia, tornò a fumare la pipa davanti alla televisione.
Era ormai metà pomeriggio. Il pranzo era stato leggero perché,
dopo la funzione della sera, mamma era solita preparare deliziose
pagnotte al burro con sciroppo d'acero. Una tradizione alla quale
non avrei mancato per nulla al mondo.
Papà diede un'ultima occhiata all'albero addobbato, che avevamo
preparato la sera precedente, mentre mamma cominciò a sistemare
il servizio “buono” per il pranzo del giorno dopo. Ed io ero lì,
seduto sull'ultimo gradino della scala pensando che l'indomani
sarebbero arrivati i miei nonni.
Ero così emozionato al pensiero di rivederli. Abitavano nella
contea di Willson, molto distante dal nostro quartiere.
La visita dei nonni, così tanto attesa, voleva dire Natale, gioia nel
sentir raccontare le solite storie del nonno condite, come ogni
anno, di diversi aneddotti esilaranti. Voleva dire doppia, tripla se
non quadrupla razione di coccole, regali e dolciumi a volontà.
Insomma, meglio che ricevere biglietti gratis per il circo!
Quando mamma finì di lucidare piatti e bicchieri, li sistemò sulla
tavola pensando alla disposizione: il nonno, come ogni anno, a
capotavola per “sistemare al meglio il pancione” diceva sempre.
All'altro capo del tavolo la nonna con accanto me e la mamma e
papà al fianco del nonno per parlare di ricordi e vecchie medaglie.
Insomma, il Natale più bello del mondo!
Nel bel mezzo del pomeriggio, nel completo silenzio dell'attesa,
ecco sentire uno strano rumore provenire dalla scala di sopra...
La pubblicità strillata dalla televisione coprì il tonfo che fece papà
quando scese dalle scale portando con sé una statua di Babbo
Natale che conservava nel fondo dell'armadio.
Si racconta che, dopo l'apparizione di Babbo Natale dietro l'altare
della chiesa di St. John, a tutti i bimbi venne donata una statua in
legno verniciato raffigurante Babbo Natale. All'epoca il signor
Larson, il venditore di giornali, si dilettava con la macchina
fotografica e sembra che nel momento dell'apparizione fece una
fotografia (ancora conservata nell'ufficio del Sindaco) e che grazie
a quell'immagine vennero riprodotte tante statue, raffiguranti il
vecchio con la barba bianca ed un rosso vestito, che vennero
donate a tutti i bambini del quartiere.
Babbo Natale prese posto vicino all'albero, alla sinistra del
presepe. Quanto era buffo il nostro presepe! Le statuine erano
troppo grandi rispetto a Gesù Bambino e che dire della stella
cometa: aveva una luminosità talmente forte ed intermittente da
sembrare più un temporale che la luce che conduceva alla
capanna con Maria, Giuseppe ed il bambinello.
Mamma, intanto, cominciava a sfornare le pagnotte ed io seguivo
con trepidazione i preparativi, tra vassoi, ciotole piene di farina e
panetti di burro con la speranza di poter assaggiare gli avanzi.
Ormai all'imbrunire, andai nella mia stanzetta ed accesi le luci che
illuminarono l'esterno della casa divertendomi nel creare con le
mie esili dita ombre cinesi.
Anche la mia finestra era quasi del tutto coperta dalla neve e così
diedi dei colpetti al vetro per far scendere quei piccoli batuffoli
cristallini, e a quel punto notai papà che stava parlando con alcuni
vicini ed il tono di voce decisamente alto mi diede l'opportunità di
ascoltare e di scoprire che la vicina contea e le loro rappresentanze
avevano messo a disposizione il bus della scuola per portarci e
portare tutti alla funzione religiosa che si sarebbe svolta nella
chiesa di St. John.
Dentro di me pensai: “Gentili, si! Ma a piedi non si farebbe
prima?”. Ma ammirai l'impegno di papà e della cittadinanza per
evitare di arrivare alla funzione bagnati come pulcini e congelati
come pinguini del Polo Nord.
Questo diede a tutti noi la possibilità di prepararci all'evento con
più calma e mamma rallentò la sua corsa ai fornelli.
L'unica preoccupazione era il ritardo cronico della signora
Margaret, ma quando papà ci intimò di sbrigarci perchè il bus
della scuola non ci avrebbe aspettato e che sarebbe partito senza
neanche fare l'appello...no! Questa vigilia era troppo importante
per tutta la nostra cittadinanza e al diavolo il ritardo della vecchia
Margaret.
Così salii le scale velocemente ed incominciai a prepararmi come
mi aveva insegnato la mamma: bagnai il pettine con l'acqua ed
incominciai a lisciare la mia folta chioma all'indietro, come le
grandi occasioni pretendono. “Devi prendere esempio dai figli del
Dott. Burt, sempre impeccabili ed educati” era solita dire la
mamma. Mi sarei dovuto ricordare anche il fazzoletto bianco e blu
da mettere dentro il taschino e rubare due gocce di colonia di
papà.
Sentii il pendolo, che il nonno regalò prima che io nascessi,
battere le sei. Infilai i pantaloni del completo buono che, rispetto
all'anno scorso, mi stavano un po' stretti. La giacca con il bel
fazzolettino bianco e blu e le scarpe marroni della comunione.
Cappello sulle ventitré e...voilà pronto in un lampo.
Intanto dalla scala che portava al granaio si udì un altro rumore
sospetto, ma al tempo stesso rassicurante...
Papà era già di sotto ad aspettarci e mamma? Il suo profumo non
profumato inondava tutta casa.
Udimmo uno strano “crac!” provenire dalla scala che ci fece
sussultare e salutò noi e la nostra eccitazione nell'uscire di casa.
Ci riunimmo tutti in strada in attesa della signora Margaret che ci
aveva assicurato che questa volta sarebbe stata puntuale, ma di lei
nemmeno l'ombra.
Papà e gli altri andarono su tutte le furie ed in quel momento si
videro le tendine delle numerose finestre delle case che davano
sulla piazza muoversi, ed occhi incuriositi scrutarci.
Appena fuori casa, accompagnati dallo scampanellio degli
angioletti appesi all'uscio, sentimmo un rumore sordo proprio
dietro alle nostre spalle: un cumulo di neve si era staccato dal tetto
e per poco non ci cadde in testa inzuppandoci i vestiti buoni della
festa.
Mamma mi prese per mano per evitare di farmi scivolare e
salimmo sul bus guidato dal giovane Jimmy che, per l'occasione,
indossava un cappello da capostazione che aveva rubato ad un suo
vecchio zio.
Mi sedetti in prima fila, ma la mamma mi rimproverò: “I posti
davanti sono per le autorità del paese, non ricordi? Questi sono
assegnati alla famiglia del Dott. Burt”, e così mi accontentai di
sedermi tre file dietro il giovane Jimmy.
Il motore rombò. Era tanta l'emozione che mi sembrò la melodia
di un canto natalizio. Mentre gli altri bisbigliavano e
commentavano il vestito di questa o quell'altra persona, mi
appoggiai allo schienale del mio sedile e, stufo di quelle inutili
chiacchiere, cominciai a fantasticare e a disegnare le facce buffe
delle persone in attesa del loro turno per salire, stando attento ai
loro contorni quasi sperando che la loro immagine potesse
rimanere lì per sempre.
Un forte sbuffo segnò la chiusura delle porte del bus. Il Dott. Burt
controllò il suo orologio da taschino un pò spazientito per quei
pochi minuti d'attesa. Non appena Jimmy diede gas al motore, ci
arrestammo subito. Avevamo percorso solo pochi metri quando
dall'enorme specchietto retrovisore vidi la buffa, dolce e
grassottella figura della signora Margaret che si sbracciava
implorando l'autista di fermarsi. Salita sul bus, si accomodò nella
poltrona dietro la mia, non prima di schiacciarmi l'occhiolino.
La strada era una lunga lingua bianca che disegnava la nostra
cittadina ricoperta di un soffice manto, ed il freddo congelava
qualsiasi cosa gli andasse incontro. L'eccitazione di tutti noi era
alle stelle. Solamente il signor Bob, il panetterie, fu un po'
contrariato per aver dato ragione alla moglie e seguire la funzione
religiosa nella chiesa di St. John anziché nella solita parrocchia a
cui tutti ormai si erano abituati. Ma di fronte alle sue obiezioni,
nessuno ebbe il coraggio di reagire forse per non tradire le enormi
aspettative di quella serata.
Mentre il bus proseguiva la sua lenta marcia, ripensai ai rumori
provenienti dalla scala che dava sul granaio, e mi chiesi come mai
un rumore decisamente inquietante potesse allo stesso modo
rassicurarmi...
“Chissà” pensai, “forse se condividessi queste sensazioni con i
nonni domani, durante il pranzo di Natale, troverei la soluzione al
mio dilemma”.
In presenza dei nonni tutto è concesso.
L'insegna della stazione lampeggiava, la neve scendeva copiosa e
la temperatura era di -13°. Per un attimo pensai al nonno e al fatto
che odiasse tanto quel numero perché gli ricordava i 13 soldati del
suo battaglione che caddero in guerra. Quel pensiero mi diede i
brividi.
Dopo alcuni chilometri, spuntò il campanile della chiesa di St.
John che si stagliava nel buio della sera, ricoperto dalla coltre di
neve che non smetteva di scendere, illuminato a giorno da un
migliaio di lucine colorate.
L'eccitazione fino ad allora repressa mi fece urlare di gioia. “Ecco
perchè Babbo Natale apparve dietro all'altare di questa chiesa.
Non c'è nulla di più magico!” esclamai non solo dentro di me.
Il bus parcheggiò davanti all'ingresso e mentre l'incredulità delle
persone rallentava la discesa, io rimasi a guardare il panorama dal
mio finestrino appannato.
Guadagnato l'ingresso della chiesa, dopo una rapida occhiata, ci
rendemmo conto di quanto fosse piccola per poter contenere tutta
la cittadinanza che si era radunata per questo magnifico evento.
Le dimensioni, però, non incidevano affatto sulla bellezza: non
c'erano panche, ma piccole seggiole in legno con un
inginocchiatoio davanti, travi sul soffitto che profumavano di
acero bagnato, mentre le pareti erano in mattoni a vista con delle
piccole nicchie dove i fedeli avrebbero potuto lasciare offerte e
biglietti di ringraziamento per la grazia ricevuta.
Un crocifisso in legno capeggiava sull'altare con la figura di Cristo
che con la mano destra indicava la via, in basso piccoli putti ai lati
dell'altare, mentre la statua di St. John era all'ingresso.
C'erano anche le sedie per il coro che, per quella occasione, la
signora Ester dovette ridurre per mancanza di spazio. “Che
peccato!” pensai “il grande coro a Natale è una tradizione come la
presenza dei nonni e delle pagnotte di burro”.
Carolina e Sebastian intonarono le prime note della canzone
natalizia. Papà mi fece cenno di tacere anche se io non avevo detto
nulla, e mamma mi sistemò la manica della giacca anche se era
perfettamente al suo posto.
Prima dell'inizio della funzione, il pastore fece una breve
introduzione raccontando le vicessitudini della chiesa,
soffermandosi soprattutto sull'apparizione di Babbo Natale dietro
l'altare che era alle sue spalle, durante la notte di Natale di tanti
anni fa.
Disse che era un messaggio di Gesù per far capire agli uomini che
Lui era in mezzo a loro, che quella figura colma di bontà e buoni
sentimenti avrebbe reso la notte di Natale ancora più magica e che
la loro vita sarebbe stata più serena e piena di pace ed anche per
questo dovevano rendere grazie a Dio.
La funzione scivolò via stancamente. I fumi dell'incenso mi fecero
capire che si stava avvicinando la mezzanotte e che Gesù Bambino
sarebbe nato per tutti noi.
Mi voltai timidamente per guardare le altre persone stipate
all'interno della chiesa, ma nessuno ricambiò il mio sguardo,
tranne la signora Margaret che immancabilmente mi fece
l'occhiolino. Incrociai per pochi istanti lo sguardo del signor
Larson visibilmente seccato per non essere stato menzionato
nell'omelia del pastore.
Poi, in fila indiana, ci avvicinammo all'altare per la comunione e
quando arrivò il mio turno diedi un'occhiata furtiva nella speranza
di vedere qualche movimento inconsueto...
Tornati tutti alle nostre seggiole, calò un tenebroso silenzio per il
raccoglimento in preghiera ed io, per ingannare l'attesa,
incominciai a giocherellare con una formichina che si stava
arrampicando all'inginocchiatoio. Feci finta di comunicare con lei
con il pensiero, ma ad un certo punto la formica sparì, e con lei
anche il silenzio che fu interrotto da un vocio e da braccia che si
intrecciavano e persone che si scambiavano auguri e buone
promesse.
Finita la messa, uscimmo dalla chiesa e ci dirigemmo verso il bus
che si accese come per magia.
Il rumore del vecchio motore non tardò a farsi sentire, ma fu
sopraffatto dal tonfo provocato dalla vecchia signora Margaret che
scivolò per terra procurando una risata generale. Come da
tradizione, fece la sua solita figuraccia che però la rendeva
simpatica agli occhi di tutti, sopratutto di noi bambini.
Prendemmo posto e mamma incominciò a farmi le sue solite
raccomandazioni in vista della venuta dei nonni: “Ragazzino,
domattina sveglia presto! Sai bene che i nonni vogliono che tu e
tuo padre andiate a prenderli in stazione. Ricordati anche che
dovrai avere pazienza per aprire i regali, non ingozzarti con le
pagnotte di burro, sii educato a tavola, lavati bene le orecchie...”
Il viaggio di ritorno fu infinito. Durante le funzione religiosa
nevicò senza tregua, ininterrottamente. Quando passammo davanti
al distributore, le pompe di benzina apparvero come delle lapidi,
colme di neve. I vetri del bar della stazione di servizio erano
completamente appannati ed alcune persone sedute dietro papà
non elemosinarono commenti sui clienti del bar. “Ecco i soliti
delinquenti che non vanno in chiesa neanche la notte di Natale!”
Al contraio, io pensavo che il loro cerimoniale al grido di “bevi un
altro bicchiere, questo giro lo pago io” fosse più coinvolgente...Lì
dentro c'era un pizzico di umanità e le braccia che si incrociavano
per scambiarsi gli auguri, erano braccia di uomini sinceri, che
hanno il coraggio di far sentire la loro voce senza nascondersi
dietro i consueti stereotipi, come erano soliti fare tutti gli altri al
passaggio delle cosiddette autorità del paese, prime fra tutte il
Dott. Burt e la sua famiglia.
Per paura che mamma potesse “sentire” i miei pensieri, mi voltai
verso papà e dal finestrino notai che il termometro segnava -15°.
Quindici, come i minuti per decidere quale strada alternativa
prendere per tornare presto alle nostre case.
Ad un tratto il bus si fermò a causa di un cumulo di neve che era
caduto sulla carreggiata dal tetto di una abitazione e che impediva
la marcia.
Oramai tutti i passeggeri, me compreso, erano rassegnati al
pensiero di passare la vigilia di Natale su quel pulmino ma, ad
essere sincero, non ero molto dispiaciuto: in fondo eravamo tutti
insieme, come una famiglia e come le festività lo richiedono.
Pensavo solo che era ormai tardi per assaggiare le pagnotte di
burro...
Mentre i grandi di davano un gran daffare per spostare il cumulo
di neve, alzando gli occhi al cielo, vidi un lampo di luce sfrecciare
sopra le nostre teste. Rimasi pietrificato. La stella cometa esiste!
Non si trova solo nei libri di fiabe o nei racconti di mamma prima
di addormentarmi. D'altronde è la notte di Natale e tutto può
accadere!
Arrivammo a casa in piena notte e quando papà aprì la porta mi
resi conto che era proprio arrivato Natale: l'albero che si vestiva e
svestiva di luci, la statua di Babbo Natale che sembrava sorriderci
ed io corsi subito dentro, davanti al nostro presepe sproporzionato
per mettere Gesù Bambino sul giaciglio di paglia dentro la
capanna, ma subito mi accorsi che la statuina era già lì, al suo
posto...Avrei giurato di non averla toccata prima...
Mamma era pronta per pronunciare la fatidica frase: “Corri a letto!
Ricordati che domani dovrai andare a prendere i nonni in
stazione!”, ma sapeva già che non le avrei ubbidito, pertanto si
tolse subito le scarpe e corse in cucina a preparare le sue famose
pagnotte di burro con lo sciroppo d'acero tanto da me agognate,
mentre io e papà eravamo già seduti sul divano alle prese con i
lacci delle scarpe stando attenti a non inzuppare il tappeto.
Mentre ero intento a leccarmi i baffi assaporando le leccornie della
mamma, riecco quel suono provenire dal granaio...
La notte fu insonne, ovviamente. Gli eventi della giornata appena
trascorsa erano stati troppo importanti e pensavo che il giorno
dopo sarebbe stato ancora più intenso: l'arrivo dei nonni, i regali
da scartare, i racconti del nonno durante il pranzo sempre ricchi di
avvenimenti spassosi.
Mentre mi ero rassegnato a passare la notte in bianco, pensando e
ripensando a tutto quanto era successo, mi appisolai ma il mio
sonno leggero fu subito interrotto dal rumore proveniente dal
granaio.
Presi coraggio e mi decisi a controllare cosa stesse succedendo,
anche a costo di una bella strigliata da parte di mamma e papà.
Aprii la porta della mia cameretta piano piano, percorsi il
corridoio illuminato dalle sole fioche luci provenienti dal piano di
sotto e giunsi ai piedi della scala che portava al piano di sopra.
Cominciai a tremare dal freddo e soprattutto dalla paura, le mani
che sudavano. Ma la curiosità ebbe la meglio. Mi feci coraggio,
salii un piolo alla volta cercando di non caricare troppo il peso che
avrebbe fatto scricchiolare il vecchio legno, e salii.
Pensavo di trovare una porta, invece c'era una grossa botola che
mi sovrastava chiusa da una sicura di ferro e qualche ragnatela.
Con molta cura levai il chiavistello sperando sempre di non fare
rumore per non insospettire mamma e papà. Sollevai la botola e
infilai la testa dentro.
Il buio inghiottiva tutto quanto ci fosse all'interno e, non sapendo
dove fosse l'interruttore della luce, dovetti entrare con tutto il mio
corpicino ormai tremante ma impavido lasciando così anche
l'ultimo piolo della scala.
Ormai ero in balia del mistero e lontano dalle mie certezze che
avevo lasciato al piano di sotto.
C'era un silenzio assordante che spaventava. Fui attirato da un
oggetto alla mia destra che sembrava l'unica cosa a non essere
stata inghiottita dal buio pesto. Era di un colore rosso rubino che
pulsava lentamente come un faro visto dal mare.
Rimasi incantato da quella luce e quando mi avvicinai mi resi
conto che si trattava di una scatola al cui interno sembrava esserci
un cuore pulsante. Era chiusa ermeticamente, ma quando provai
ad alzare il coperchio...BOOM!!!!!! Fui invaso da scintille di
colori, stelle splendenti che formavano cerchi luminosi ed il cuore
di luce pulsante invase me e tutto il granaio.
Ero letteralmente estasiato. Quando mi riavvicinai alla scatola,
notai che all'interno c'era un pon pon di un bianco candido. Infilai
la mano per afferrarlo e fui catapultato all'interno di questo
scrigno!
Feci capriole e piroette, mi rialzai e poi ancora scivolai. Fui
travolto da un turbine di emozioni e quando riuscii a rialzarmi mi
ritrovai in un altro mondo, un mondo disegnato, un grande cartone
animato. Forse stavo sognando, ma tutto sembrava così reale...
Mamma diceva sempre che non sarei mai dovuto salire. Era una
scala vecchia e pericolante. Avrei potuto farmi male.
Non avevo più paura. Il mio corpo aveva smesso di tremare, le
mani di sudare. Mi resi subito conto che non avrei più ritrovato i
miei cari nonni, non avrei più abbracciato la gentile signora
Margaret ed assaggiato le sue torte alla cannella, non avrei più
scartato i miei regali o spalato la neve del vialetto di casa con
papà. Non avrei più aspettato un altro Natale rivivendone l'attesa.
Nulla più sarebbe stato come prima.
Sempre questa mia testa fra le nuvole, sempre la mia voglia di
trovare il fantastico laddove vi è solo crudeltà e falsità, sempre la
voglia di prendere un treno per ritrovarmi circondato da fate e
gnomi, di salire su una giostra a cavalli che va su e giù, sempre la
voglia che sia Natale, che un carillon suoni una magica melodia e
che tutto questo non finisca mai.
Fu solo allora che udii una voce: “Presto corri, vieni con me. Ti
farò scoprire un mondo fantastico!”. Mi voltai di scatto nel sentire
quel suono dolce ed armonioso.
Era un bambino con grandi occhi azzurri e riccioli d'oro. Mi prese
per mano e mi condusse lontano promettendomi di farmi vivere un
sogno in cui avremmo incontrato pesci che spruzzano abbracci,
che avremmo percorso strade di stelle, udito e suonato note buffe,
che avremmo toccato mani solo per coccole.
Mi disse: “Noi siamo bambini, il nostro cuore è grande e può
contenere tutti quanti”.
Ci guardammo, ci scambiammo un sorriso e ci allontanammo dal
mondo, ma per noi fu sempre Natale.