Con gli occhi di un bambino
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Con gli occhi di un bambino
CORRADO COCCIA Con gli occhi di un bambino a Tommy Prefazione La circolarità del Natale presuppone la sorpresa finale, ogni rituale tende alla ripetitività come in un gioco tra le parti a cui non ci si può sottrarre. Corrado in questo racconto crea un circolo ipnotico che rimanda a tradizioni ancestrali, ma anche a rituali rassicuranti che aprono il cuore e danno sicurezza lasciando in sospeso qualcosa di impalpabile, un piccolo colpo di scena a capo di ogni riga. Forse è quel senso di sospensione tra il tempo e il cuore, tra il battito e il battito che mette un po’ d’ansia. Poi il cuore ha il sopravvento ed è il regalo più grande, la scoperta tra la fantasia e la realtà di ogni Natale del mondo. Ogni paura è nel Natale che c’è in noi, la gioia è in ogni Natale possibile e impossibile prima di tutti i regali. Un pensiero per un racconto Giuliano Mori - poeta e scrittore Il fatto che la scala scricchiolasse era una cosa normale. Tant'è che mamma non voleva mai che io salissi per paura che mi facessi male. Era una scala fatta di legno, vecchia e pericolante che portava su, al vecchio granaio. Ma quella sera faceva dei rumori sinistri... Papà era giù da basso, nel salotto, con la sua immancabile pipa in bocca, il giornale e la televisione che parlava da sola. Tra una pagina ed un'altra, avvolto in una nuvola di fumo, riusciva persino a sonnecchiare. Mamma era di là con il suo immancabile grembiulone, dietro all'asse da stiro che ricordo lì da sempre al punto da credere che facesse parte dell'arredo. Ed io? Beh, considerando che era la vigilia di Natale ero molto eccitato. Al contrario degli anni scorsi, ero persino in spasmodica attesa della messa di mezzanotte. Mi trovavo nella mia cameretta. Era una stanza piccina piccina, tutta in legno, con una finistrella ad altezza pavimento; a destra il letto sospeso per aria come una nuvola, e sotto il letto la mia piccola scrivania con appeso l'immancabile poster dei Buffalo illuminato da un'abat-jour a forma di candela. Spostai la tendina della finestra, fatta di pizzo antico dalla nonna, e notai alcune macchine che solcavano piano piano lo spesso strato di neve che scendeva ormai da giorni. I rumori erano talmente ovattati che pensavo che le automobili si muovessero grazie alla loro forza di volontà. La vecchia signora Margaret andava avanti e indietro reggendo delle fumanti e profumate torte alla cannella da donare a tutto il vicinato. C'era anche il signor Larson che, come tutti i giorni, puntuale come un orologio svizzero, consegnava i giornali. Quando arrivò davanti al nostro portico, mio padre uscì a recuperare la nostra copia e rimase come ipnotizzato davanti a quella notizia scritta in grassetto: “La Chiesa di St. John riapre per la messa della notte di Natale”. Papà diventò cereo in volto, come se avesse visto un fantasma ed anche tutto il nostro vicinato rimase stupito dalla notizia riportata in prima pagina. Vedendo la reazione di tutti quanti, mi incuriosii. Scesi le scale di corsa e chiesi a mio padre che nel frattempo era rientrato in casa: “Papà dov'è questa chiesa? Hanno chiuso la nostra? Perchè hai quella faccia?” Con voce tremante ed emozionata, mi spiegò che la chiesa di St. John era rimasta chiusa per più di cinquant'anni e che era la parrocchia che frequentava quando era un bambino come me. Il suo breve racconto non sfamò la mia curiosità e lo incalzai con altre domande fino a quando non mi disse che molti anni fa, durante la notte di Natale, dietro l'altare apparve la figura di Babbo Natale. Tutto sembrava così magico! Degno delle festività che aspettavo con molta ansia tutto l'anno. Ci sarebbe stato il coro degli Angeli diretto dalla signora Ester, la preghiera prima che il pastore facesse il suo ingresso e poi la funzione religiosa. Papà mi disse che la chiesetta di St. John non era semplice da raggiungere. In macchina sarebbe stato sconveniente visto le strade impraticabili, e quindi avremmo dovuto organizzarci per tempo per riuscire ad occupare i posti nelle prime panche. “Accidenti!” esclamò la mamma. “Il tuo vestito buono è sgualcito!” Allora presi la giacca e cercai di nascondere le parti spiegazzate e farle tornare come nuove. Papà, dopo essersi ripreso da quel momento di euforia mista a nostalgia, tornò a fumare la pipa davanti alla televisione. Era ormai metà pomeriggio. Il pranzo era stato leggero perché, dopo la funzione della sera, mamma era solita preparare deliziose pagnotte al burro con sciroppo d'acero. Una tradizione alla quale non avrei mancato per nulla al mondo. Papà diede un'ultima occhiata all'albero addobbato, che avevamo preparato la sera precedente, mentre mamma cominciò a sistemare il servizio “buono” per il pranzo del giorno dopo. Ed io ero lì, seduto sull'ultimo gradino della scala pensando che l'indomani sarebbero arrivati i miei nonni. Ero così emozionato al pensiero di rivederli. Abitavano nella contea di Willson, molto distante dal nostro quartiere. La visita dei nonni, così tanto attesa, voleva dire Natale, gioia nel sentir raccontare le solite storie del nonno condite, come ogni anno, di diversi aneddotti esilaranti. Voleva dire doppia, tripla se non quadrupla razione di coccole, regali e dolciumi a volontà. Insomma, meglio che ricevere biglietti gratis per il circo! Quando mamma finì di lucidare piatti e bicchieri, li sistemò sulla tavola pensando alla disposizione: il nonno, come ogni anno, a capotavola per “sistemare al meglio il pancione” diceva sempre. All'altro capo del tavolo la nonna con accanto me e la mamma e papà al fianco del nonno per parlare di ricordi e vecchie medaglie. Insomma, il Natale più bello del mondo! Nel bel mezzo del pomeriggio, nel completo silenzio dell'attesa, ecco sentire uno strano rumore provenire dalla scala di sopra... La pubblicità strillata dalla televisione coprì il tonfo che fece papà quando scese dalle scale portando con sé una statua di Babbo Natale che conservava nel fondo dell'armadio. Si racconta che, dopo l'apparizione di Babbo Natale dietro l'altare della chiesa di St. John, a tutti i bimbi venne donata una statua in legno verniciato raffigurante Babbo Natale. All'epoca il signor Larson, il venditore di giornali, si dilettava con la macchina fotografica e sembra che nel momento dell'apparizione fece una fotografia (ancora conservata nell'ufficio del Sindaco) e che grazie a quell'immagine vennero riprodotte tante statue, raffiguranti il vecchio con la barba bianca ed un rosso vestito, che vennero donate a tutti i bambini del quartiere. Babbo Natale prese posto vicino all'albero, alla sinistra del presepe. Quanto era buffo il nostro presepe! Le statuine erano troppo grandi rispetto a Gesù Bambino e che dire della stella cometa: aveva una luminosità talmente forte ed intermittente da sembrare più un temporale che la luce che conduceva alla capanna con Maria, Giuseppe ed il bambinello. Mamma, intanto, cominciava a sfornare le pagnotte ed io seguivo con trepidazione i preparativi, tra vassoi, ciotole piene di farina e panetti di burro con la speranza di poter assaggiare gli avanzi. Ormai all'imbrunire, andai nella mia stanzetta ed accesi le luci che illuminarono l'esterno della casa divertendomi nel creare con le mie esili dita ombre cinesi. Anche la mia finestra era quasi del tutto coperta dalla neve e così diedi dei colpetti al vetro per far scendere quei piccoli batuffoli cristallini, e a quel punto notai papà che stava parlando con alcuni vicini ed il tono di voce decisamente alto mi diede l'opportunità di ascoltare e di scoprire che la vicina contea e le loro rappresentanze avevano messo a disposizione il bus della scuola per portarci e portare tutti alla funzione religiosa che si sarebbe svolta nella chiesa di St. John. Dentro di me pensai: “Gentili, si! Ma a piedi non si farebbe prima?”. Ma ammirai l'impegno di papà e della cittadinanza per evitare di arrivare alla funzione bagnati come pulcini e congelati come pinguini del Polo Nord. Questo diede a tutti noi la possibilità di prepararci all'evento con più calma e mamma rallentò la sua corsa ai fornelli. L'unica preoccupazione era il ritardo cronico della signora Margaret, ma quando papà ci intimò di sbrigarci perchè il bus della scuola non ci avrebbe aspettato e che sarebbe partito senza neanche fare l'appello...no! Questa vigilia era troppo importante per tutta la nostra cittadinanza e al diavolo il ritardo della vecchia Margaret. Così salii le scale velocemente ed incominciai a prepararmi come mi aveva insegnato la mamma: bagnai il pettine con l'acqua ed incominciai a lisciare la mia folta chioma all'indietro, come le grandi occasioni pretendono. “Devi prendere esempio dai figli del Dott. Burt, sempre impeccabili ed educati” era solita dire la mamma. Mi sarei dovuto ricordare anche il fazzoletto bianco e blu da mettere dentro il taschino e rubare due gocce di colonia di papà. Sentii il pendolo, che il nonno regalò prima che io nascessi, battere le sei. Infilai i pantaloni del completo buono che, rispetto all'anno scorso, mi stavano un po' stretti. La giacca con il bel fazzolettino bianco e blu e le scarpe marroni della comunione. Cappello sulle ventitré e...voilà pronto in un lampo. Intanto dalla scala che portava al granaio si udì un altro rumore sospetto, ma al tempo stesso rassicurante... Papà era già di sotto ad aspettarci e mamma? Il suo profumo non profumato inondava tutta casa. Udimmo uno strano “crac!” provenire dalla scala che ci fece sussultare e salutò noi e la nostra eccitazione nell'uscire di casa. Ci riunimmo tutti in strada in attesa della signora Margaret che ci aveva assicurato che questa volta sarebbe stata puntuale, ma di lei nemmeno l'ombra. Papà e gli altri andarono su tutte le furie ed in quel momento si videro le tendine delle numerose finestre delle case che davano sulla piazza muoversi, ed occhi incuriositi scrutarci. Appena fuori casa, accompagnati dallo scampanellio degli angioletti appesi all'uscio, sentimmo un rumore sordo proprio dietro alle nostre spalle: un cumulo di neve si era staccato dal tetto e per poco non ci cadde in testa inzuppandoci i vestiti buoni della festa. Mamma mi prese per mano per evitare di farmi scivolare e salimmo sul bus guidato dal giovane Jimmy che, per l'occasione, indossava un cappello da capostazione che aveva rubato ad un suo vecchio zio. Mi sedetti in prima fila, ma la mamma mi rimproverò: “I posti davanti sono per le autorità del paese, non ricordi? Questi sono assegnati alla famiglia del Dott. Burt”, e così mi accontentai di sedermi tre file dietro il giovane Jimmy. Il motore rombò. Era tanta l'emozione che mi sembrò la melodia di un canto natalizio. Mentre gli altri bisbigliavano e commentavano il vestito di questa o quell'altra persona, mi appoggiai allo schienale del mio sedile e, stufo di quelle inutili chiacchiere, cominciai a fantasticare e a disegnare le facce buffe delle persone in attesa del loro turno per salire, stando attento ai loro contorni quasi sperando che la loro immagine potesse rimanere lì per sempre. Un forte sbuffo segnò la chiusura delle porte del bus. Il Dott. Burt controllò il suo orologio da taschino un pò spazientito per quei pochi minuti d'attesa. Non appena Jimmy diede gas al motore, ci arrestammo subito. Avevamo percorso solo pochi metri quando dall'enorme specchietto retrovisore vidi la buffa, dolce e grassottella figura della signora Margaret che si sbracciava implorando l'autista di fermarsi. Salita sul bus, si accomodò nella poltrona dietro la mia, non prima di schiacciarmi l'occhiolino. La strada era una lunga lingua bianca che disegnava la nostra cittadina ricoperta di un soffice manto, ed il freddo congelava qualsiasi cosa gli andasse incontro. L'eccitazione di tutti noi era alle stelle. Solamente il signor Bob, il panetterie, fu un po' contrariato per aver dato ragione alla moglie e seguire la funzione religiosa nella chiesa di St. John anziché nella solita parrocchia a cui tutti ormai si erano abituati. Ma di fronte alle sue obiezioni, nessuno ebbe il coraggio di reagire forse per non tradire le enormi aspettative di quella serata. Mentre il bus proseguiva la sua lenta marcia, ripensai ai rumori provenienti dalla scala che dava sul granaio, e mi chiesi come mai un rumore decisamente inquietante potesse allo stesso modo rassicurarmi... “Chissà” pensai, “forse se condividessi queste sensazioni con i nonni domani, durante il pranzo di Natale, troverei la soluzione al mio dilemma”. In presenza dei nonni tutto è concesso. L'insegna della stazione lampeggiava, la neve scendeva copiosa e la temperatura era di -13°. Per un attimo pensai al nonno e al fatto che odiasse tanto quel numero perché gli ricordava i 13 soldati del suo battaglione che caddero in guerra. Quel pensiero mi diede i brividi. Dopo alcuni chilometri, spuntò il campanile della chiesa di St. John che si stagliava nel buio della sera, ricoperto dalla coltre di neve che non smetteva di scendere, illuminato a giorno da un migliaio di lucine colorate. L'eccitazione fino ad allora repressa mi fece urlare di gioia. “Ecco perchè Babbo Natale apparve dietro all'altare di questa chiesa. Non c'è nulla di più magico!” esclamai non solo dentro di me. Il bus parcheggiò davanti all'ingresso e mentre l'incredulità delle persone rallentava la discesa, io rimasi a guardare il panorama dal mio finestrino appannato. Guadagnato l'ingresso della chiesa, dopo una rapida occhiata, ci rendemmo conto di quanto fosse piccola per poter contenere tutta la cittadinanza che si era radunata per questo magnifico evento. Le dimensioni, però, non incidevano affatto sulla bellezza: non c'erano panche, ma piccole seggiole in legno con un inginocchiatoio davanti, travi sul soffitto che profumavano di acero bagnato, mentre le pareti erano in mattoni a vista con delle piccole nicchie dove i fedeli avrebbero potuto lasciare offerte e biglietti di ringraziamento per la grazia ricevuta. Un crocifisso in legno capeggiava sull'altare con la figura di Cristo che con la mano destra indicava la via, in basso piccoli putti ai lati dell'altare, mentre la statua di St. John era all'ingresso. C'erano anche le sedie per il coro che, per quella occasione, la signora Ester dovette ridurre per mancanza di spazio. “Che peccato!” pensai “il grande coro a Natale è una tradizione come la presenza dei nonni e delle pagnotte di burro”. Carolina e Sebastian intonarono le prime note della canzone natalizia. Papà mi fece cenno di tacere anche se io non avevo detto nulla, e mamma mi sistemò la manica della giacca anche se era perfettamente al suo posto. Prima dell'inizio della funzione, il pastore fece una breve introduzione raccontando le vicessitudini della chiesa, soffermandosi soprattutto sull'apparizione di Babbo Natale dietro l'altare che era alle sue spalle, durante la notte di Natale di tanti anni fa. Disse che era un messaggio di Gesù per far capire agli uomini che Lui era in mezzo a loro, che quella figura colma di bontà e buoni sentimenti avrebbe reso la notte di Natale ancora più magica e che la loro vita sarebbe stata più serena e piena di pace ed anche per questo dovevano rendere grazie a Dio. La funzione scivolò via stancamente. I fumi dell'incenso mi fecero capire che si stava avvicinando la mezzanotte e che Gesù Bambino sarebbe nato per tutti noi. Mi voltai timidamente per guardare le altre persone stipate all'interno della chiesa, ma nessuno ricambiò il mio sguardo, tranne la signora Margaret che immancabilmente mi fece l'occhiolino. Incrociai per pochi istanti lo sguardo del signor Larson visibilmente seccato per non essere stato menzionato nell'omelia del pastore. Poi, in fila indiana, ci avvicinammo all'altare per la comunione e quando arrivò il mio turno diedi un'occhiata furtiva nella speranza di vedere qualche movimento inconsueto... Tornati tutti alle nostre seggiole, calò un tenebroso silenzio per il raccoglimento in preghiera ed io, per ingannare l'attesa, incominciai a giocherellare con una formichina che si stava arrampicando all'inginocchiatoio. Feci finta di comunicare con lei con il pensiero, ma ad un certo punto la formica sparì, e con lei anche il silenzio che fu interrotto da un vocio e da braccia che si intrecciavano e persone che si scambiavano auguri e buone promesse. Finita la messa, uscimmo dalla chiesa e ci dirigemmo verso il bus che si accese come per magia. Il rumore del vecchio motore non tardò a farsi sentire, ma fu sopraffatto dal tonfo provocato dalla vecchia signora Margaret che scivolò per terra procurando una risata generale. Come da tradizione, fece la sua solita figuraccia che però la rendeva simpatica agli occhi di tutti, sopratutto di noi bambini. Prendemmo posto e mamma incominciò a farmi le sue solite raccomandazioni in vista della venuta dei nonni: “Ragazzino, domattina sveglia presto! Sai bene che i nonni vogliono che tu e tuo padre andiate a prenderli in stazione. Ricordati anche che dovrai avere pazienza per aprire i regali, non ingozzarti con le pagnotte di burro, sii educato a tavola, lavati bene le orecchie...” Il viaggio di ritorno fu infinito. Durante le funzione religiosa nevicò senza tregua, ininterrottamente. Quando passammo davanti al distributore, le pompe di benzina apparvero come delle lapidi, colme di neve. I vetri del bar della stazione di servizio erano completamente appannati ed alcune persone sedute dietro papà non elemosinarono commenti sui clienti del bar. “Ecco i soliti delinquenti che non vanno in chiesa neanche la notte di Natale!” Al contraio, io pensavo che il loro cerimoniale al grido di “bevi un altro bicchiere, questo giro lo pago io” fosse più coinvolgente...Lì dentro c'era un pizzico di umanità e le braccia che si incrociavano per scambiarsi gli auguri, erano braccia di uomini sinceri, che hanno il coraggio di far sentire la loro voce senza nascondersi dietro i consueti stereotipi, come erano soliti fare tutti gli altri al passaggio delle cosiddette autorità del paese, prime fra tutte il Dott. Burt e la sua famiglia. Per paura che mamma potesse “sentire” i miei pensieri, mi voltai verso papà e dal finestrino notai che il termometro segnava -15°. Quindici, come i minuti per decidere quale strada alternativa prendere per tornare presto alle nostre case. Ad un tratto il bus si fermò a causa di un cumulo di neve che era caduto sulla carreggiata dal tetto di una abitazione e che impediva la marcia. Oramai tutti i passeggeri, me compreso, erano rassegnati al pensiero di passare la vigilia di Natale su quel pulmino ma, ad essere sincero, non ero molto dispiaciuto: in fondo eravamo tutti insieme, come una famiglia e come le festività lo richiedono. Pensavo solo che era ormai tardi per assaggiare le pagnotte di burro... Mentre i grandi di davano un gran daffare per spostare il cumulo di neve, alzando gli occhi al cielo, vidi un lampo di luce sfrecciare sopra le nostre teste. Rimasi pietrificato. La stella cometa esiste! Non si trova solo nei libri di fiabe o nei racconti di mamma prima di addormentarmi. D'altronde è la notte di Natale e tutto può accadere! Arrivammo a casa in piena notte e quando papà aprì la porta mi resi conto che era proprio arrivato Natale: l'albero che si vestiva e svestiva di luci, la statua di Babbo Natale che sembrava sorriderci ed io corsi subito dentro, davanti al nostro presepe sproporzionato per mettere Gesù Bambino sul giaciglio di paglia dentro la capanna, ma subito mi accorsi che la statuina era già lì, al suo posto...Avrei giurato di non averla toccata prima... Mamma era pronta per pronunciare la fatidica frase: “Corri a letto! Ricordati che domani dovrai andare a prendere i nonni in stazione!”, ma sapeva già che non le avrei ubbidito, pertanto si tolse subito le scarpe e corse in cucina a preparare le sue famose pagnotte di burro con lo sciroppo d'acero tanto da me agognate, mentre io e papà eravamo già seduti sul divano alle prese con i lacci delle scarpe stando attenti a non inzuppare il tappeto. Mentre ero intento a leccarmi i baffi assaporando le leccornie della mamma, riecco quel suono provenire dal granaio... La notte fu insonne, ovviamente. Gli eventi della giornata appena trascorsa erano stati troppo importanti e pensavo che il giorno dopo sarebbe stato ancora più intenso: l'arrivo dei nonni, i regali da scartare, i racconti del nonno durante il pranzo sempre ricchi di avvenimenti spassosi. Mentre mi ero rassegnato a passare la notte in bianco, pensando e ripensando a tutto quanto era successo, mi appisolai ma il mio sonno leggero fu subito interrotto dal rumore proveniente dal granaio. Presi coraggio e mi decisi a controllare cosa stesse succedendo, anche a costo di una bella strigliata da parte di mamma e papà. Aprii la porta della mia cameretta piano piano, percorsi il corridoio illuminato dalle sole fioche luci provenienti dal piano di sotto e giunsi ai piedi della scala che portava al piano di sopra. Cominciai a tremare dal freddo e soprattutto dalla paura, le mani che sudavano. Ma la curiosità ebbe la meglio. Mi feci coraggio, salii un piolo alla volta cercando di non caricare troppo il peso che avrebbe fatto scricchiolare il vecchio legno, e salii. Pensavo di trovare una porta, invece c'era una grossa botola che mi sovrastava chiusa da una sicura di ferro e qualche ragnatela. Con molta cura levai il chiavistello sperando sempre di non fare rumore per non insospettire mamma e papà. Sollevai la botola e infilai la testa dentro. Il buio inghiottiva tutto quanto ci fosse all'interno e, non sapendo dove fosse l'interruttore della luce, dovetti entrare con tutto il mio corpicino ormai tremante ma impavido lasciando così anche l'ultimo piolo della scala. Ormai ero in balia del mistero e lontano dalle mie certezze che avevo lasciato al piano di sotto. C'era un silenzio assordante che spaventava. Fui attirato da un oggetto alla mia destra che sembrava l'unica cosa a non essere stata inghiottita dal buio pesto. Era di un colore rosso rubino che pulsava lentamente come un faro visto dal mare. Rimasi incantato da quella luce e quando mi avvicinai mi resi conto che si trattava di una scatola al cui interno sembrava esserci un cuore pulsante. Era chiusa ermeticamente, ma quando provai ad alzare il coperchio...BOOM!!!!!! Fui invaso da scintille di colori, stelle splendenti che formavano cerchi luminosi ed il cuore di luce pulsante invase me e tutto il granaio. Ero letteralmente estasiato. Quando mi riavvicinai alla scatola, notai che all'interno c'era un pon pon di un bianco candido. Infilai la mano per afferrarlo e fui catapultato all'interno di questo scrigno! Feci capriole e piroette, mi rialzai e poi ancora scivolai. Fui travolto da un turbine di emozioni e quando riuscii a rialzarmi mi ritrovai in un altro mondo, un mondo disegnato, un grande cartone animato. Forse stavo sognando, ma tutto sembrava così reale... Mamma diceva sempre che non sarei mai dovuto salire. Era una scala vecchia e pericolante. Avrei potuto farmi male. Non avevo più paura. Il mio corpo aveva smesso di tremare, le mani di sudare. Mi resi subito conto che non avrei più ritrovato i miei cari nonni, non avrei più abbracciato la gentile signora Margaret ed assaggiato le sue torte alla cannella, non avrei più scartato i miei regali o spalato la neve del vialetto di casa con papà. Non avrei più aspettato un altro Natale rivivendone l'attesa. Nulla più sarebbe stato come prima. Sempre questa mia testa fra le nuvole, sempre la mia voglia di trovare il fantastico laddove vi è solo crudeltà e falsità, sempre la voglia di prendere un treno per ritrovarmi circondato da fate e gnomi, di salire su una giostra a cavalli che va su e giù, sempre la voglia che sia Natale, che un carillon suoni una magica melodia e che tutto questo non finisca mai. Fu solo allora che udii una voce: “Presto corri, vieni con me. Ti farò scoprire un mondo fantastico!”. Mi voltai di scatto nel sentire quel suono dolce ed armonioso. Era un bambino con grandi occhi azzurri e riccioli d'oro. Mi prese per mano e mi condusse lontano promettendomi di farmi vivere un sogno in cui avremmo incontrato pesci che spruzzano abbracci, che avremmo percorso strade di stelle, udito e suonato note buffe, che avremmo toccato mani solo per coccole. Mi disse: “Noi siamo bambini, il nostro cuore è grande e può contenere tutti quanti”. Ci guardammo, ci scambiammo un sorriso e ci allontanammo dal mondo, ma per noi fu sempre Natale.