Articolo biografico su Ugo Ojetti, giornalista, scrittore e critico d`arte
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Articolo biografico su Ugo Ojetti, giornalista, scrittore e critico d`arte
Mirko Riazzoli [email protected] Ugo Ojetti Ojetti combinava in sé lo snobismo sociale del magnate milanese con quello culturale dell’esteta fiorentino e con la pedanteria dell’accademico romano. 1 Il giornalista, critico d'arte e scrittore Ugo Ojetti nacque a Roma il 15 luglio 1871. Nacque in una famiglia cattolica, figlio di un importante architetto, scrittore d’arte e restauratore, Raffaello Ojetti (progettista della facciata di Palazzo Odescalchi), che lo educò all'arte e dalla spoletina Veronica Carosi. Compì prima gli studi a Roma presso i Gesuiti a Sant'Ignazio, e poi si laureò a ventuno anni, l'11 luglio 1892, in giurisprudenza presso l'Università di Roma, discutendo una tesi sulla confederazione balcanica. Dopo la laurea si dedicò al giornalismo ed alla critica d'arte, nonostante la famiglia avesse originariamente pensato di destinarlo alla carriera diplomatica (conosceva molto bene sia l’inglese che il francese): a riguardo, infatti, si era anche iscritto, senza però prendervi parte, ad un concorso bandito dal ministero degli Affari Esteri. Visse parte della sua giovinezza nella villa paterna di Santa Marinella (Roma), soprannominata Il Dado, il luogo ideale per riposarsi, trascorrere le vacanze e scrivere. Nel 1892 pubblicò il suo primo volume, dedicato alla poesia, ed intitolato Paesaggi, ispirata alla campagna umbra, seguito nel 1894 dal suo primo romanzo Senza Dio. La sua attività come giornalista iniziò invece nel 1894, quando apparvero i suoi primi articoli sulla rivista romana "Tribuna" e sulle fiorentine "Nuova Rassegna", diretta da Luigi Lodi (1856-1933), "Fiammetta", quest'ultimo un settimanale illustrato diretto dal critico d'arte Diego Martelli (1839-1896), e il "Fanfulla della domenica". Collaborò in questi anni anche alla rivista specificatamente di ambito culturale "Helios. Rivista d'arte. lettere e varietà". Ojetti si impegnò in quegli anni anche in politica, avvicinandosi al socialismo umanitario, laicoriformista e libertario, formando con alcuni amici, un gruppo autonomo socialista ed aderendo al fascio operaio di Roma, come lui stesso testimoniò nel 1894. Fondò nel 1895 il primo periodico socialista della regione umbra, "La giovane Umbria", giornale pubblicato fino al 1920, e si candidò, senza successo però, alle elezioni amministrative spoletine del 1896. Nel 1898 arrivò a collaborare anche con il giornale socialista "Avanti!" diretto da Enrico Ferri (1856-1929), dove pubblicò utilizzando lo pseudonimo di Florindo, e poi per il settimanale socialista della domenica "Avanti della Domenica", rivista letteraria edita a Firenze dal 1903 al 1907, a cui collaborarono anche D’Annunzio e Turati. Nel 1895, pubblicò Alla scoperta dei letterati, un'opera realizzata percorrendo l'Italia per intervistare i maggiori scrittori dell’epoca: Giovanni Pascoli, Giosuè Carducci, Antonio Fogazzaro, Giovanni Verga, Luigi Capuana e altri, ma soprattutto Gabriele D’Annunzio di cui era un fedele seguace e che conobbe nel 1894. In quest’opera trattò dei loro orientamenti politici ed artistici, ma anche aspetti della loro vita, raccogliendo testimonianze per esempio sulle loro situazioni economiche spesso tutt’altro che floride. In quest’opera rilevò la frammentazione esistente nel paese della letteratura, che assumeva una valenza sostanzialmente regionalistica, come anche la critica, questo si ricollegava a quanto poté constatare con le sue interviste, ovvero che “molti dei nostri più acclamanti autori parlano un italiano anche più povero di quello che scrivono un italiano che spetto è vero e proprio dialetto”, da tutto questo derivava la mancanza di un centro 1 1 Tannenbaum, L’esperienza fascista, pag.328-9. Mirko Riazzoli [email protected] culturalmente unificante, ruolo come da lui evidenziato non svolto da Roma. Questo incontro è di particolare rilevanza poiché in questi anni Ojetti sostenne le tesi dannunziane per "un adeguamento dello stile giornalistico al registro ‘alto’ della tradizione letteraria nazionale, per fondare poi, su questa capacità linguistico-espressiva una figura professionale che, elevando ad un buon grado di dignità etica e culturale il proprio mestiere di scrivere, trovi posto nella categoria degli scrittori specializzati"2. Sempre in tema letterario tenne a Venezia, nel 1896, il discorso L’avvenire della letteratura italiana, nel quale prese le distanze dal patriottismo culturale e dall’imitazione di modelli di successo, ritenendo che il rinnovamento letterario si sarebbe sviluppato naturalmente quando le condizioni fossero divenute mature. Nel 1897 pubblicò il primo volume di critica d'arte, intitolato L’arte moderna a Venezia: in quest'opera Ojetti raccoglieva un ciclo di articoli pubblicati su "Il Resto del Carlino", con il quale ottenne il secondo posto al premio per la critica della seconda Biennale veneziana (il primo premio andò a Primo Levi, mentre il secondo posto venne assegnato ex aequo a Ugo Ojetti e Vittorio Pica). Un suo testo particolarmente rilevante sull’attività del critico venne da lui pubblicato il 16 dicembre 1901 su "La Nuova Antologia ", con il titolo Diritti e doveri del critico d’arte moderna, in questo testo si schierò in favore del riconoscimento della competenza e professionalità di tale figura, elaborandone anche una delle prime teorizzazioni; vi sosteneva che l’estetica non fosse un mondo a sé, separato, e che fosse compito del critico fungere da mediatore tra il pubblico e l’artista. Queste sue idee vennero da lui presentate durante il congresso socialista del 1902 ad Imola. Dal 6 luglio 1898 iniziò a collaborare con il "Corriere della Sera", ove pubblicò come corrispondente dagli Stati Uniti: qui si occupò della guerra ispano-americano per Cuba e di lucide della società e dei costumi americani, esperienza da cui nacque prima la conferenza L’America e la fiducia in noi stessi e poi il volume intitolato L’America vittoriosa edito nel 1899. Al suo ritorno pubblicò in dicembre per il giornale "Emporium", sempre basando sull’esperienza americana, il reportage L’arte nelle biblioteche d’America. In queste sue corrispondenze dimostrò il suo interesse per la modernità della società americana, all’importanza che gli affari vi rivestono, osservazioni che lo portarono a sostenere la necessità per l’Italia di un rinnovamento che portasse un cambiamento in senso attivistico e ad una rivalutazione ottimistica delle sue possibilità di autoaffermazione, necessario ad evitare la decadenza a cui i popoli latini erano destinati in caso contrario. Anche in seguito continuò ad interessarsi degli Stati Uniti, nel 1904 vi si recò e seguì da St. Louis, ove svolse l’attività di critico d’arte ricoprendo la funzione di giurato all’Esposizione di belle arti, le elezioni presidenziali; vi. Da queste sue nuovo esperienze trasse un nuovo testo edito nel 1905, L’America e l’avvenire. Curò, sempre per questo giornale, anche una rubrica artistica intitolata Ritratti d’artisti, che tenne per oltre vent’anni: da raccolte degli articoli ivi apparsi verranno in seguito pubblicati dei libri omonimi. Tra la fine del secolo e i anni primi del novecento lavorò inoltre come inviato in Egitto (da qui inviò alla "Tribuna" resoconti sugli scavi del tempio di Luxor), recandosi poi in Norvegia (qui seguì nel 1899 la partenza della missione polare del duca degli Abruzzi tenendo la rubrica Lettere boreali), Francia (qui seguì l’Esposizione universale di Parigi del 1900), Malta ove seguì la controversia riguardo all’uso della lingua italiana sull’isola (1901), Albania (dal viaggio trasse il testo L’Albania, edito nel 1902) e nella Russia Asiatica. Il 30 settembre 1898 si abbonò al Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Vieusseux 3 a Firenze, continuando a restarne socio anche negli anni successivi. Verso la fine del 1898 iniziò a tenere sul nuovo giornale settimanale "La Domenica del Corriere" la rubrica intitolata La settimana del vagabondo e dal 1901 collaborò anche con il mensile letterario "La lettura", entrambi supplementi del Corriere. In questi anni collaborò anche con le riviste "Il Marzocco", "Emporium", "Il Resto del Carlino". Tra il 1901 e il 1902, per quattro mesi, lavorò per "Il Giornale d'Italia", lavorando tra Roma e Parigi, tenendo la rubrica Lettere parigine. A Parigi ove era conosciuto per la sua collaborazione 2 3 2 Nardi, Il primo passo, pag.57. Istituzione culturale fondata a Firenze nel 1820, per approfondimenti: http://www.vieusseux.fi.it/cenni_storici/cenni_storici.html Mirko Riazzoli [email protected] con la "Revue de Paris" e la "Revue des deux mondes", su incarico di Albertini (direttore del Corriere), prese contatto con vari editori locali per studiare la possibilità di lanciare in Italia un periodico femminile, idea però ben presto accantonata perché ritenuta prematura e frequentò i salotti letterari grazie alla sua amicizia con il conte romano Giuseppe Primoli (1851-1927). Dal 1904 al 1908, con lo pseudonimo "Il conte Ottavio" 4, scrisse cronache settimanali sotto il titolo Accanto alla Vita nella "Illustrazione italiana": la rubrica cambiò poi nome e divenne I capricci del conte Ottavio, dallo pseudonimo appunto da lui impiegato principalmente. Altri pseudonimi da lui utilizzati furono Lord Bonfil, Sisifo e Tantalo: quest'ultimo lo impiegò per firmare gli elzeviri che pubblicava sul Corriere, gli stessi che poi raccolti vennero pubblicati nell'opera intitolata Cose viste, pubblicata in sette volumi tra il 1923 e il 1939 e poi in edizione definitiva in due volumi nel 1951. Questi suoi scritti secondo Luti "sanzionarono l'avvento di un giornalismo letterario di alta qualità ma sostanzialmente asettico"5. In questi anni, specificatamente nel 1905 si sposò con Fernanda Gobba (1886-1970), figlia di un ingegnere ferroviario piemontese: con lei si trasferì a vivere a Firenze e da lei, nel 1911, ebbe la sua unica figlia chiamata Paola (1911-1978). A Firenze abitò prima in Via della Robbia e poi nella Villa il Salviatino, da lui acquistata nel 1912 e ove si trasferì nel 1914, che divenne tra il 1920 e il 1940 anche un importante salotto letterario. Sempre nel 1905 fu anche nominato membro della Commissione Centrale per i Monumenti e per le Opere di Antichità e della commissione per la Pinacoteca di Napoli per il ministero della Pubblica Istruzione, assieme a Camillo Boito, Alfredo D’Andrade e Primo Levi (nel 1912 diventerà anche consigliere effettivo del Consiglio Superiore di Antichità e Belle Arti), importanti riconoscimenti della sua competenza nel settore artistico, che fanno seguito alla sua nomina, avvenuta nel 1903, a membro della giuria della Biennale di Venezia che doveva assegnare il premio per il miglior critico (in questa veste redasse la motivazione per l’assegnazione del terzo posto alla Sarfatti, criticandone la stesura a suo dire incoerente e la mancata comprensibilità per il grande pubblico). Intervenne sul dibattito riguardante la pianificazione urbanistica, schierandosi contro l’adozione di piani regolatori che modificassero eccessivamente l’impianto tradizionale delle città, sostenendo invece interventi mirati per rimuovere strutture che si erano venute ad aggiungere e che erano in contraddizione con le antiche strutture urbane. Di questo argomento si occupò in prima persona nel 1906 come membro della giuria del primo concorso nazionale per la sistemazione della Fiera di Bergamo. Quest’anno appoggiò l’archeologo e storico dell’arte Corrado Ricci (1858-1934), di cui condivideva le posizioni, alla candidatura come direttore generale delle Antichità e belle arti nel 1906. Il suo interesse all’arte spaziava a tutti i suoi campi, come dimostra l’attenzione dimostrata per l’Esposizione del Sempione del 1906, svoltasi a Milano, che seguì pubblicando varie recensioni poi raccolte nel volume L’arte nell’esposizione di Milano, nelle quali dimostra il suo interesse per le realizzazioni ‘civili’ dell’arte applicata, decorativa e industriale, palesando il suo apprezzamento per gli aspetti moderni della stessa, senza avere però posizioni pregiudiziali di stampo modernista. Questo come altri suoi progetti miravano alla realizzazione di un’alternativa alla Biennale d’arte di Venezia, opera necessaria a tracciare una linea di sviluppo dell’arte nazionale; altra mostra da lui organizzata sempre nel 1906, fu quella dedicata ai ritratti infantili prodotti da autori contemporanei come Gaetano Previati, Felice Casorati, Giovanni Costetti, Federico Andreotti, svoltasi presso la Società Leonardo da Vinci in Firenze. Ojetti si occupò anche di teatro, nel 1905 pubblicò anche il suo primo lavoro teatrale con un atto unico intitolato "Un garofano", messo in scena da Ettore Petrolini (1884-1936) e dalla compagnia Talli-Gramatica-Calabresi per la prima volta nel 1905 a Torino. Quest'anno nacque, presso il Corriere, la Terza pagina ed Ojetti6 assieme a Ettore Janni (1875-1956) affiancò Albertini nella sua redazione. Nel 1910, assieme a Renato Simoni7 (1875-1952) scrisse anche una commedia, intitolata 4 5 6 7 3 Dalla raccolta degli articoli pubblicati con questo pseudonimo nacque nel 1909 l'opera I capricci del Conte Ottavio. Luti, Introduzione alla letteratura italiana del Novecento, pag.97. Negli anni successivi, per quanto riguarda il settore artistico, gli si affiancarono anche Roberto Papini (1883-1957), dal 1926 al 1943, e Giovanni Titta Rosa (1891-1972) dal 1941 al 1943. Dal 1903 era redattore del Corriere della sera, e nel 1914 divenne critico drammatico del giornale. Mirko Riazzoli [email protected] Il matrimonio di Casanova. Si era già interessato del settore in qualità di traduttore delle opere Oltre il potere nostro: dramma in due atti (Treves, Milano, 1895) del drammaturgo norvegese Bjørnstjerne Bjørnson (1832-1910), e La toga rossa: dramma in quattro atti (Stab. Tip. Golio, Milano, 1900) dello scrittore francese Eugène Brieux (1858-1932), e come critico segnalando e recensendo le opere, da cui era ammiratore, del drammaturgo norvegese Henrik Ibsen (1828-1906). Nel 1907 si interessò della costruzione del Vittoriano pubblicando vari articoli polemici sul "Corriere della sera" (poi raccolti nel volume Il monumento a Vittorio Emanuele II in Roma e le sue avventure), criticando il progetto affidato a Ettore Ferrari (1845-1929). In questo periodo condusse una campagna per sostenere la necessitò dell’adozione di una legge per la difesa del patrimonio artistico nazionale, pubblicò sul "Corriere" del 7 dicembre 1908 La difesa di Firenze antica. Una petizione al Senato per il disegno di legge sull’antichità e belle arti. Venne affiancato nell’azione dai fratelli Angiolo (1869-1967) e Adolfo Orvieto (1871-1951) e dal gruppo del giornale letterario fiorentino "Marzocco", in cui pubblicò anche vari articoli di argomento artistico e inizi una organica elaborazione dei suoi principi artistici. Nel 1909 riuscì a far entrare al "Corriere" (giornale a cui era legato da un contratto d’esclusiva dal 1908), come collaboratore, Luigi Pirandello (1867-1936): questi tenne a partire dal 4 ottobre la rubrica Mondo di carta, che terminò nel 1936, anno della morte del drammaturgo. Un'altra persona che in quegli anni introdusse al Corriere, anche se poi se ne andò nel 1915, fu il politico nazionalista Roberto Forges Davanzati (1880-1936). Con questo entrò in polemica nel 1910 in vista del I Congresso dei nazionalisti di Firenze, Ojetti infatti sosteneva la tesi che il nazionalismo italiano era per ora uno stato d'animo e l'utilità del congresso sarebbe stata la discussione di qualche problema concreto, a questa Forges rispose con un'elaborazione dottrinaria, sostenendo che il nazionalismo non consisteva di amor di patria o patriottismo, ma della nazione "concepita come l'unità più salda per accogliere in una comunione di interessi e di attività famiglie umane" 8, e che l'idea di nazione era la risposta la fallimento dell'internazionalismo, tesi contraddetta da Ojetti. Nel 1911 pubblicò il suo primo importante testo di critica artistica, l’opera Ritratti d’artisti italiani, in cui emerse il suo proposito di rivalutare parte dell'Ottocento artistico e dei suoi protagonisti (nel primo volume trattò Fattori, Signorini, Bistolfi, Trentacoste, Tito). In questi anni i suoi studi lo portarono ad entrare nelle commissioni giudicatrici per il basamento della statua equestre del monumento a Vittorio Emanuele in Roma (1911), per la selezione del direttore del Museo del Bargello in Firenze (1912) e per l’allestimento della retrospettiva su Tranquillo Cremona alla Biennale di Venezia (1912). In questi anni, in seguito all’abbandono del paese da parte di D’Annunzio trasferitosi in Francia ad Arcachon a causa dei debiti, Ojetti si occupò, d’accordo con il direttore del "Corriere" Luigi Albertini, della vendita all’asta dei beni di D’Annunzio e della cura dei suoi interessi. La Grande Guerra Allo scoppio del conflitto mondiale assunse posizioni interventiste e tenne un’apposita rubrica sul "Corriere", chiamata Esami di coscienza. Appoggiò la campagna per consentire il rientro in Italia di D’Annunzio, ritenuta importante per appoggiare la campagna interventista, cui Ojetti partecipò pronunciando un discorso antitedesco a Firenze il 29 novembre 1914, L’Italia e la civiltà tedesca, poi pubblicato come nel 1915. Denunciò il bombardamento tedesco di Reims, città d’arte, del settembre 1914 e poi vi si recò nella primavera del 1915 insieme con D’Annunzio. Ojetti partecipò come volontario alla prima guerra mondiale: si arruolò come volontario nel 1915 con il grado di sottotenente ed entrò nel genio (non aveva mai fatto il servizio militare 9) e venne poi promosso fino al grado di capitano di complemento, ricevendo una decorazione al valore militare10 e promozioni per meriti. Anche in questo periodo si occupò d'arte e scrittura, venne incaricato dal Comando supremo di salvare e proteggere gli oggetti d'arte e i monumenti nella zona di guerra (da questa esperienza nacque il libro I monumenti italiani e la guerra del 1917) e venne mandato a 8 Gaeta, Il nazionalismo italiano, pag.117. 9 Isnenghi, Storia d'Italia: i fatti e le percezioni dal Risorgimento alla società dello spettacolo, pag.371. 10 Ricevette una medaglia di bronzo per essere entrato a Gorizia il 9 agosto 1916 poco dopo le prime truppe italiane. 4 Mirko Riazzoli [email protected] Udine presso l’ufficio Affari civili del Comando supremo, dove presto si occupò anche dell’ufficio stampa. Venne impegnato nel recupero dei monumenti dispersi dopo la rotta di Caporetto (1917), entrando a far parte della Commissione centrale di propaganda sul nemico, nota come ‘Servizio P’. L’attività di recupero venne svolta da Ojetti con Corrado Ricci (1858-1934, direttore generale delle Belle Arti al ministero dell'Istruzione) ed Ettore Modigliani (1873-1947, direttore della Pinacoteca di Brera), entrambi a loro volta collaboratori del Corriere. Sempre nel 1917, il 1° luglio, tenne un discorso a Firenze (uno dei vari che tenne nel periodo sull’argomento), nella Sala del Cinquecento di Palazzo Vecchio, intitolato Il Martirio dei Monumenti durante il quale dichiarò: Trattare d’arte e di monumenti, trasferirsi per loro nei ricordi del più lontano passato, passeggiare sia pure con disperata tristezza nei chiusi e pettinati giardini della storia, piangere sulle pietre ferite quando le carni di centinaia di migliaia d’uomini fratelli nostri sanguinavano e spasimano, sembra, cittadini, uno svago da oziosi e un diletto da eruditi i quali si vogliano difendere contro il fragore e il terror della guerra dietro le trincee dei loro libri compatti. Altro s’ha oggi da fare: combattere, resistere, vincere. Per le lacrime, le proteste, i rimbrotti, le accuse, avremo, si dice, tempo dopo. È un errore. Esso deriva, prima di tutto, dall’avere separato l’arte dalla vita, e considerato l’arte non più come un bene e un bisogno di tutti, una continua e viva funzione sociale, un’espressione sincera del nostro carattere nazionale, un documento solenne e inconfutabile della nostra storia. 11 Il discorso venne tenuto in occasione dell’inaugurazione di una mostra fotografica dedicata ai monumenti durante il conflitto, tenuta appunto a Firenze (sulla questione tornò ancora nel 1919 quando pubblico Monumenti danneggiati e opere d'arte asportate dal nemico. Difesa dei monumenti e delle opere d'arte contro i pericoli della guerra). Redasse anche il secondo volantino12, dopo quello di Gabriele D'Annunzio, che fu sparso in 350.000 copie nei cieli di Vienna, nell'impresa aerea del 9 agosto 1918. Il 2 febbraio del 1916 venne incaricato dal colonnello Roberto Bencivenga (1872-1949), capo della segreteria di Luigi Cadorna (1850-1928), di iniziare una serie di articoli in difesa della condotta politica del comandante, duramente contestato da parti del governo e contro le interferenze politiche nella condotta della guerra. In qualità di commissario dell'Ufficio stampa e propaganda del Comando supremo dell'esercito (dal 1915 al 1918), fu anche il redattore dei bollettini ufficiali emanati con le firme dei generali comandanti Cadorna ed Armando Diaz (1861-1928)13, tra cui molto probabilmente anche del bollettino n.1268 ossia il Bollettino della Vittoria 14, si occupò dello scambio del materiale fotografico proveniente dal fronte e avanzò proposte per l'impiego del cinematografo come strumento di propaganda tra le truppe. Il 29 marzo del 1918 venne nominato da Orlando Commissario alla propaganda sul nemico. Sempre nel 1918 partecipò anche al Congresso delle nazionalità oppresse dell'Austria Ungheria, svoltosi a Roma tra l’8 e il 10 aprile. Subito dopo il conflitto accompagno il generale Carlo Petitti di Roreto (1862-1933) sul cacciatorpediniere che lo portò a Trieste come governatore del nuovo territorio. Continuò poi ad interessarsi della situazione delle nuove terre annesse all’Italia e alla situazione internazionale pubblicando le opere Roma e le provincie liberate (1919) e Il patto di Roma (Quaderni della Voce, 1919) redatto assieme a Giovanni Amendola, Giuseppe Antonio Borgese e Andrea Torre. In questo periodo prese le distanze dalla occupazione, promossa da D’Annunzio, della città di Fiume rivendicata all’Italia. Dopo la Grande Guerra 11 Il discorso venne anche pubblicato a Milano dall’editore Treves, copia del testo di trova al seguente indirizzo: http://archive.org/details/ilmartiriodeimon00ojet 12 Il testo è disponibile al seguente indirizzo: http://www.storiaxxisecolo.it/grandeguerra/gmdocu3.htm 13 Fu Ojetti, assieme a Bissolati, ad appoggiare subito dopo la nomina di Diaz a nuovo Capo di Stato Maggiore, la nomina di Pietro Badoglio a secondo sottocapo di stato maggiore (Ceva, Storia della Società Italiana dall’Unità a oggi Le forze armate in Italia, pag.142). 14 La paternità per questo è controversa, Cfr. http://www.comune.cinisello-balsamo.mi.it/pietre/spip.php?article643 5 Mirko Riazzoli [email protected] Dopo il conflitto tornò all'attività letteraria e artistica occupandosi delle mostre di pittura di Romano Dazzi e di Giovanni Fattori a Roma, di Ettore Tito e di Giuseppe Pellizza a Milano. Riprese anche l’attività giornalistica tenendo la rubrica "Confidenze" nella "Illustrazione italiana" (gli articoli vennero poi raccolti nel volume Confidenze di pazzi e savi sui tempi che corrono), e poi tra il 1920 e il 1921, sempre sulla stessa rivista, tenne la rubrica Volti e paese. Nel 1919, a riprova del suo avvicinamento al fascismo, firmò una lettera di protesta apparsa su "Il Popolo d’Italia" in febbraio, assieme a Mussolini e Marinetti, per denunciare la mancata selezione per la XII Biennale di Venezia di alcuni artisti appoggiati dalla Sarfatti. Venne nominato, nel 1920, membro della commissione incaricata dal Ministero della Pubblica Istruzione della riforma dell’insegnamento artistico (nel 1923 venne incaricato della preparazione del programma di storia dell’arte per i licei classici). In questa sede si oppose alla separazione fra Accademie e Scuole di arti e mestieri, punto sostanzialmente ignorato dalla riforma Gentile nella quale si riaffermava il ruolo separato delle Accademie e la distinzione tra arti maggiori e minori, tra belle arti e arti decorative. Oltre a questo si occupò della redazione dei programmi di storia dell’arte per le scuole. Nel 1921 pubblicò il romanzo Mio figlio ferroviere, poi presentato come importante testo della vigilia dell'avvento del fascismo. Nel 1922 iniziò una collaborazione stabile con "Il Corriere della Sera", articoli denominati Cose viste (anche da questa collaborazione trasse dei volumi omonimi). Divenne direttore di questo giornale il 18 marzo 192615, succedendo a Pietro Croci (1871-1938), carica che lasciò nel 192716, il 18 dicembre, a favore di Maffio Mafii (1881-1957). Mantenne però la sua collaborazione fino al 1939, diversamente dai predecessori, curando varie rubriche intitolate: Capricci, Cronache d’arte, Cronache femminili, Domande, Libri d’arte. Le Note critiche scritte da Ojetti sulle Biennali veneziane vennero anche pubblicate dall’editore Treves come apparato di commento alle riproduzioni fotografiche delle opere presentate all’Esposizione dal 1907 in poi. Negli anni trenta collaborò anche con l'inserto culturale della "Gazzetta del Popolo" di Torino, diretta da Ermanno Amicucci (1890-1955), il Diorama letterario. Il suo allontanamento dalla direzione del "Corriere" va anche ricollegato alla deliberazione del 16 novembre 1927 del Gran Consiglio del Fascismo che aveva stabilito "la funzione educativa della stampa e la necessità che essa sia permeata e modellata dallo spirito fascista, pur con le necessarie ed opportune differenziazioni"17 e quindi che "i posti di direzione e di comando" fossero "affidati a Camicie Nere fedelissime"18. Durante la sua direzione il giornale vide drasticamente ridotti gli editoriali, sostituiti da "resoconti elogiativi ma estremamente cronachistici delle azioni governative"19. Al Corriere venne nominato per portare avanti la campagna per la sua fascistizzazione, anche se la sua azione non venne ritenuta abbastanza energica, lui stesso anzi si lamentò degli interventi da lui ritenuti eccessivi con il segretario del PNF, Augusto Turati (1888-1955). Ojetti giunse a richiedere al segretario di intervenire, dopo un’ennesima richiesta di epurazione contro sei redattori che non erano iscritti al sindacato fascista avanzata dal segretario lombardo dei giornalisti Lando Ferretti (1895-1977) il 22 giugno 1927, richiedendo che lui e i suoi collaboratori vengano lasciati "lavorare in pace"20. Il suo atteggiamento gli causò anche vari richiami anche da parte di Capasso Torre (1883-1973) il capo dell'Ufficio stampa e alla fine lo portò al suo allontanamento, seguito dall'allontanamento dal giornale di altri 36 tra redattori e collaboratori. Il 16 novembre 1927 il Gran Consiglio del Fascismo aveva dichiarato "la funzione educativa della stampa" e quindi che "i posti di direzione e di comando" fossero "affidati a Camicie Nere 15 Per questa sua nuova veste si fece affiancare, come segretario personale, dallo scrittore fascista Valentino Piccoli (1892-1938), che allontanò però già in settembre per la sua intransigenza politica. 16 La decisione del suo allontanamento venne presa dal Gran Consiglio del Fascismo e comunicata ai Crespi, i proprietari del giornale. 17 Allotti, Giornalisti di regime, pag.39. 18 Forno, La stampa del Ventennio, pag. 87. 19 Forno, La stampa del Ventennio, pag.67. 20 Il testo dello scambio epistolare viene riportato in Aquarone, L'organizzazione dello Stato totalitario, pag.93 nota. 6 Mirko Riazzoli [email protected] fedelissime"21, dopo questo Amicucci, presidente del sindacato dei giornalisti, il 28 novembre, aveva inviato un telegramma ai segretari regionali del sindacato per avere informazioni sui giornalisti antifascisti ancora in servizio che si doveva provvedere quindi ad epurare. In tutti questi anni al Corriere riuscì a riportarvi Grazia Deledda come collaboratrice dopo che nel 1926 questa era passata per un periodo a collaborare con il "Secolo". Durante la sua non lunga direzione il "Corriere" acquisì anche un nuovo importante collaboratore, il filosofo Giovanni Gentile, che iniziò a lavorarvi nel marzo 1927 22. Sempre grazie a lui vi collaborarono anche figure come Paolo Monelli, Dino Buzzati e Orio Vergani. Dopo la direzione del "Corriere" si occupò più specificatamente di arte e letteratura, fondando la rivista d'arte "Dedalo"23 (uscita dal giugno 1920 al 1933). È interessante notare che su questa rivista, nel primo numero nell'articolo intitolato Pel Monumento a Battisti in Trento, delineò la "soluzione venutasi a delineare nella riunione [della commissione preposta allo studio] del 28 gennaio 1926"24. Questa fu una rivista di grande formato, corredata da fotografie e illustrazioni, per allargare presso il pubblico l’accesso all’arte, sia quella maggiore, realizzata da grandi artisti, sia l’arte minore e applicata, sia antica che moderna, italiana e straniera, sia pittura che scultura, con l’intento di promuovere una rinascita dell’arte italiana contemporanea che riprendesse elementi del suo passato e mantenesse una sostanziale continuità con questo, in linea con la posizione che aveva iniziato ad assumere dal dopoguerra che interpretava la tradizione artistica italiana, in una chiave di neotradizionalismo classicista. Ojetti però respingeva il vitalismo espressionista del pittore e giornalista Ardengo Soffici (18791964) e il pan-medievalismo dello scrittore e critico d’arte inglese John Ruskin (1819-1900), sostenuto dallo storico e critico d’arte Lionello Venturi (1885-1961) ne Il gusto dei primitivi (Bologna, Zanichelli, 1926), tesi con le quali Ojetti polemizzo su "Dedalo" e autore del quale non pubblicò mai articoli sulle sue riviste, stessa sorte che riservò allo storico dell’arte Roberto Longhi (1890-1970). Non appoggio mai l’applicazione all’arte figurativa dell’idealismo crociano, spiegando le sue ragioni in una lettera aperta a Croce, edita come premessa al volume Scrittori che si confessano (Milano 1926). Dal gennaio 1929 diresse, assieme a Giuseppe De Robertis (1888-1963) la rivista mensile "Pegaso. Rassegna di lettere e arti"25 (rivista edita a Firenze da Le Monnier e poi, dal 1932 al 1933, a MilanoFirenze da Treves-Treccani-Tumminelli) fino al giugno 1933 e pubblicando 54 fascicoli del giornale. Nel numero di apertura di quest'ultima rivista si ritrova una lettera d'apertura inviata a "Sua Eccellenza Benito Mussolini" nella quale scriveva: Contro la persistente babele architettonica degli edifici e dei monumenti, almeno le fabbriche sulle quali il Regime mura i fasci littori dovranno essere riconoscibili anche tra un secolo. Quanto alla pittura, converrà che i giovani rappresentino in durevole forma d'arte le cronache illustrative dei fasti e delle opere del regime. Nel campo letterario, il Capo, nato scrittore, potrà intervenire statalmente con scuole bene ordinate e biblioteche comode e ricche, sviluppando quelle organizzazioni parallele capaci di salvaguardare e interpretare la cultura classica, secondo lo spirito della riforma gentiliana. Infine fu direttore a Milano, per due anni, appunto dal '33 al '35, della rivista di lettere, musica e arte "Pan"26 (1933-1935) edita da Rizzoli e c., fondata sulle ceneri della precedente esperienza fiorentina della "Rassegna di lettere" ed "Arti Pegaso". Su queste riviste accolse anche articoli di personalità non ben accette dal regime come Leone Ginzburg (1909-1944) sul "Pegaso", Massimo Mila (191021 Forno, La stampa del Ventennio, pag.87. 22 Sempre in questo periodo, nel marzo 1926, il Corriere per volontà di Ojetti assunse lo scrittore Vittorio (detto Orio) Vergani (1899-1960) come redattore e lo storico Gioacchino Volpe (1876-1971) come collaboratore. La collaborazione di quest'ultimo la si deve anche all'intervento di Mussolini. 23 La rivista digitalizzata è disponibile al seguente indirizzo: http://periodici.librari.beniculturali.it/visualizzatore.aspx? anno=1920-1921&ID_testata=13&ID_periodico=8350 24 Biguzzi, Cesare Battisti, pag.660. 25 La rivista digitalizzata è disponibile al seguente indirizzo: http://periodici.librari.beniculturali.it/PeriodicoScheda.aspx?id_testata=56 26 La rivista digitalizzata è disponibile al seguente indirizzo: http://periodici.librari.beniculturali.it/PeriodicoScheda.aspx?id_testata=95&Start=0 7 Mirko Riazzoli [email protected] 1988) e Arrigo Cajumi (1899-1955), o nuovi letterati come Pietro Pancrazi, Alberto Moravia, Guido Piovene, Giovanni Comisso, Maria Bellonci, Diego Valeri. Fu nel 1935 che, grazie al sua interessamento, che il collaboratore di "Pan" Guido Piovene (1907-1974) iniziò a collaborare con il "Corriere". Questa attività deve essere inquadrata nel ruolo da lui svolto di organizzatore della vita artistica e letterale, svoltasi soprattutto negli anni trenta a Firenze, attività nella quale si dimostrò aperto alle nuove esperienze artistiche e letterarie, ma mantenendo come condizione imprescindibile la "asetticità" da un punto di vista politico delle stesse27. Aderì al fascismo, a cui dovette in buona parte la nomina nel "Corriere", fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti28 pubblicato il 21 aprile 1925, seguito al I Convegno per la Cultura fascista tenutosi a Bologna dal 29-30 marzo e a cui lui partecipò. Venne nominato il 23 ottobre 1930 Accademico d'Italia, grazie all'appoggio del suo amico Luigi Federzoni (1878-1967). Già nel 1924 era stato posto il suo nominativo tra i candidati alla nomina a Senatore del Regno, con l’appoggio di Casati e assieme a Treccani, Ciccotti e Venturi, ma la Commissione incaricata di valutare i titoli dei candidati sostenne la presenza di problemi di censo per Ojetti (in realtà questo era un errore che venne poi corretto). Questi quindi inviò al presidente del Senato, Tommaso Tittoni (1855-1931), una lettera in cui protestava per una simile scelta, ritenendo che i suoi meriti culturali fossero il vero criterio di scelta e rifiutò quindi la possibile nomina. A favore di questa scelta giocò anche la solidarietà verso il poeta ed amico Salvatore di Giacomo (1860-1934), escluso per la stessa ragione. Nel 1929, il 1° maggio, entrò a far parte della prima Commissione per la stampa, un organo giurisdizionale professionale, previsto dalla nuova normativa appena approvata che istituiva l'Ordine dei Giornalisti, e formata da giornalisti nominati dal ministro della Giustizia Rocco. Questa commissione .si occupava della disciplina degli iscritti all’albo costituendo quindi un nuovo importante passo verso la totale irreggimentazione della professione. Fino al 1933 fece parte del consiglio di amministrazione dell’Enciclopedia Italiana, un'importante iniziativa culturale appoggiata del regime che era stata fondata nel 1925 per iniziativa dell'industriale e mecenate Giovanni Treccani (1877-1961) e del filosofo Giovanni Gentile (18751944). In questo ambito ricoprì anche la funzione di direttore della sezione "Arte" fino al 1929, assieme allo storico dell'arte Giovanni Pietro Toesca (1877-1962). Alle attività culturali affiancò anche importanti ruoli nella direzione di varie aziende italiane, fece parte di vari consigli d’amministrazione, e divenne presidente dell’azienda automobilistica Alfa Romeo. Nel marzo del 1937, a riprova del suo ruolo ancora di rilievo nell’apparato del regime fascista, fu uno degli accompagnatori di Mussolini nella sua visita in Libia. Quando il regime introdusse le norme antisemite, nel 1938, manifestò in privato, sul suo diario, delle riserve, ma non sull'antisemitismo in sé, ma sul modo con il quale tutta la campagna veniva attuata e sulla sostanziale noia che certi eventi collegati a questa campagna gli causavano, scrisse infatti il 27 agosto: "La noia è che non si parla che di ebrei. Dai giornali vanno via i redattori e collaboratori ebrei. Libri scolastici scritti da ebrei, al macero […]. Caso per caso, come già si faceva, avremmo potuto purificare l'Italia dai cattivi ebrei, senza generalizzare così e senza scatenare questa caccia ai buoni posti in nome della religione e della razza. M'è giunta una scheda da riempire anche come accademico […]. Chiedono anche se la madre o la moglie sia ebrea. Io ho aggiunto al cattolico romano: 'Dai dieci ai sedici anni ho servito messa tutte le domeniche. Potessi, rinunciando all'Accademia, tornare a quell'età…'. Quel che più mi duole è questa apparenza di copia, anzi d'obbedienza ai tedeschi: passo romano, persecuzione degli ebrei. Per rendere impopolare la Germania, da noi non si poteva trovar di meglio."29 27 Luti, Introduzione alla letteratura italiana del Novecento, pag.145. 28 Il testo è disponibile al seguente indirizzo: http://www.alterhistory.altervista.org/Documenti/testiGET.php? titolotesto=InFascisti 29 Chiarini, L'intellettuale antisemita, pag.83-84. 8 Mirko Riazzoli [email protected] Ojetti e le iniziative culturali Nel campo artistico, oltre a essere un critico, Ojetti fu anche organizzatore di mostre d'arte, a Firenze nel Palazzo Vecchio nel 1911 organizzò la Mostra del ritratto italiano dal 1500 al 1861 (in occasione del cinquant'anni dell'Unità)30, inaugurata in marzo e terminata in luglio, mostra nella quale cercò di ricostruire i caratteri specifici della tradizione della pittura italiana, le cui radici lui faceva risalire al classicismo di matrice tardorinascimentale e che portò alla rivalutazione delle opere italiane del periodo sei-settecentesco fino ad allora trascurate in seguito all’influenza del pensiero di Ruskin che privilegiava l’arte medievale. Nel 1921 organizzò alla Galleria Pesaro di Milano la mostra "Arte Italiana Contemporanea", in cui venivano raccolte opere di esponenti del tardo impressionismo ottocentesco e giovani artisti. Nel 1922 organizzò la Mostra della pittura italiana del Seicento e Settecento, sempre a Firenze a Palazzo Pitti, con l'intento di rivalutare l'arte barocca. Nel 1924 presentò, nella stessa galleria, la mostra "Venti Artisti Italiani", comprendente artisti del "Realismo magico" come Giorgio de Chirico, Felcie Casorati, Francesco Menzio, Luigi Chessa, Virgilio Guidi, Antonio Donghi, Francesco Trombadori, Cipriano Efisio Oppo, Longhi (Ojetti fu un collezionista delle sue opere) e Giorgio Trentin. Questo stesso anno, in qualità di membro del comitato della Biennale, si oppose alla presentazione presso la stessa di una mostra del gruppo "Sette pittori del Novecento" (formato da Mario Sironi, Achille Funi, Leonardo Dudreville, Anselmo Bucci, Emilio Malerba, Pietro Marussig e Ubaldo Oppi), raggruppamento promosso da Margherita Sarfatti alla cui "ascesa critico-politica" 31 si opponevano Ojetti, che li accusò anche di fare una pittura troppo “straniera”, e i vertici della Biennale. La Sarfatti però ricorse, con successo, all’appoggio di Mussolini per superare l’opposizione di Ojetti stesso. Il risultato fu un sostanziale fallimento della loro esposizione, ignorata dalla critica e dai giornalisti, oltre che dallo staff della Biennale e alla secessione di Ubaldo Oppi che, essendo maggiormente vicino al "Realismo magico" apprezzato da Ojetti ed "anche per spezzare l’omogeneità dei ‘sette’"32, ottenne dallo stesso l’offerta, accettata, di una sala per una personale nella quale espose 25 sue opere. Questo ebbe come conseguenza la rottura del gruppo che cambio nome in "Sei pittori del Novecento" (la Sarfatti venne preferita ad Ojetti dai sei superstiti per la redazione del catalogo della loro mostra). Ancora due anni dopo, nel 1926, Ojetti, come parte di un comitato d’onore di ventidue persone, presieduto da Mussolini, dedicato a questo movimento artistico, tornò ad opporsi nel campo culturale alla Sarfatti, quando emerse la proposta di trasformare la mostra "Novecento Italiano" in una mostra annuale e sostanzialmente la vetrina ufficiale dell’arte fascista, essendo lui sempre rimasto ostile alle tendenze moderniste dell’arte. Nonostante questi contrasti con la Sarfatti Ojetti recensì positivamente, sempre quest’anno, sul “Corriere della Sera” il libro della Sarfatti Dux, dopo che questa aveva richiesto ad Alfredo Panzini, collaboratore del giornale, di fare da intermediario. I rapporti però peggiorarono, fino a rompersi, quando nell’autunno del 1925 lui propose a Mussolini di organizzare a Milano nel 1928 una mostra sull’arte italiana dell’Ottocento, ma la lettera con la proposta venne passata alla Sarfatti che vi si oppose, ingenerando una polemica che portò Ojetti a dimettersi dal comitato d’onore, dimissioni poi ritirate nel marzo del 1926 quando divenne direttore del “Corriere della Sera” (la controversia non era ancora chiusa nel 1929 quando a Milano venne inaugurata la seconda mostra nazionale del movimento ma Ojetti non vi prese parte). Nel 1925 entrò nel consiglio direttivo del neocostitutito Istituto editoriale per la pubblicazione dell’Enciclopedia Treccani (nato il 18 febbraio), presieduto da Fernanando Martini, assieme a Luigi Einaudi, Gaetano De Sanctis ed altri. Si occupò della sezione di arte medievale e moderna fino al 1928, quando si dimise in polemica con la politica culturale adottata ritenuta troppo professorale. Negli anni trenta fece anche parte del comitato internazionale dei musei della Commissione 30 Nel 1927 venne anche pubblicato il testo Il ritratto italiano dal Caravaggio al Tiepolo alla Mostra di Palazzo Vecchio nel 1911 sotto gli auspici del Comune di Firenze, a cura di Ciro Caversazzi con prefazione di Ugo Ojetti, edito a Bergamo dall’Istituto d'Arti Grafiche. 31 Benzi, Arte in Italia tra le due guerre, pag.54 nota. 32 Ibid., pag.54 nota. 9 Mirko Riazzoli [email protected] Nazionale Italiana per la Cooperazione Intellettuale (CNICI). Questo stesso anno entrò a far parte del collegio giudicante - assieme a Beltramelli, Borgese, Croce, Pirandello - di quella che diverrà poi l'Accademia Mondadori, e che si doveva occupare di valutare le opere concorrenti a dei premi letterari indetti dalla casa editrice33. La stessa attività svolse nel 1931 per il giornale "La Stampa", che indisse un premio letterario con un cospicuo premio in denaro (50.000 lire), assegnato da una giuria presieduta dalla Sarfatti, in cui fu affiancato tra gli altri da Pirandello e Panzini. Nel 1928 organizzò la Mostra della Pittura Italiana dell’800 alla XVI Biennale di Venezia. Nel 1931 la mostra del Giardino italiano a Firenze presso Palazzo Vecchio, nel 1935 la Mostra del Cinquecento a Palazzo Strozzi, nel 1937 la Mostra Giottesca, sempre a Firenze e la Mostra Medicea a Palazzo Riccardi nel 1939. Partecipò anche come membro ai comitati organizzatori di mostre straniere come l’Exhibition of Italian Art (1200-1900), presentata alla Royal Academy di Londra nel 1930, e l’Exposition de l’Art Italien de Cimabue à Tiepolo, allestita a Parigi a Louvre nel 1935 (nel luglio di quest’anno divenne anche presidente della del consiglio della casa editrice Bemporad). Nel complesso nel campo artistico promosse un atteggiamento conservatore: questo lo portò a cercare di far rientrare il movimento del Novecento all'interno dell'alveo fascista, essendone secondo lui uscito, partecipando all’ampia polemica che colpì il movimento nel 1933, criticato anche da Farinacci. Rifiutò i movimenti artistici europei e in particolare quelli astratti, sostenendo invece un "ritorno al classico" e ai valori nazionali e tradizionali, fino a tenere un discorso contro l’arte moderna nel 1932 e ad approvare la censura hitleriana contro le avanguardie artistiche (fu sempre critico verso le tendenze astrattiste dell’arte moderna e anche verso l’architettura moderna razionalista di Marcello Piacentini34 che ritenne inadatto al fascismo avendo un’origine e uno spirito troppo internazionale). Con il passare degli anni aveva assunto posizioni di stampo sempre più conservatore e di appoggio acritico verso le posizioni di potere raggiunte durante il regime, questo lo portò a criticare anche Venturino Venturi e i Sei di Torino35, che avevano respinto le posizioni culturalmente scioviniste propagandate dal regime e da lui appoggiate. In L'arte e la razza, pubblicato sul "Quadrivio" dell'11 dicembre 1938, attaccò ancora le avanguardie, definiti "deformatori della figura umana", e sottolineò che "di ariani ve n'erano pochi" tra questi artisti. Dette vita ad importanti iniziative editoriali, come Le più belle pagine degli scrittori italiani scelte da scrittori viventi, per l'editrice Treves (Ojetti vi era molto legato e negli anni venti respinse anche delle offerte avanzate dall'altro editore Arnoldo Mondadori, presso il quale passò solo nel decennio successivo) nel 1933 (quest’anno entrò anche a far parte della commissione che doveva scegliere il progetto per la nuova stazione ferroviaria di Firenze) e l'ideazione della collana de I Classici italiani per la Rizzoli. Sempre negli anni trenta pubblicò varie opere di storia e critica dell’arte italiana. Nel 1934, in qualità di membro dell'Accademia d'Italia (ente creato nel 1926 36 dal governo ed inaugurato nel 1929), istituzione di cui era membro dall’ottobre del 1930 e della quale nel 1943, dopo l’8 settembre, divenne vicepresidente, assieme a Panzini, ottenne il conferimento di un premio ad Arnoldo Mondadori per la pubblicazione dell'opera omnia di D'Annunzio. Questo stesso anno, in dicembre, l’Accademia lo incaricò di presiedere una commissione, dalla stessa appositamente formata, per la redazione di un dizionario ufficiale della lingua italiana. Nel 1939 fu uno dei componenti della giuria, assieme ad Ardengo Soffici, Felice Carena, Arturo Tosi, Giulio Carlo Argan, della prima edizione del neoistituito Premio Cremona per la pittura, voluto dal ras locale Roberto Farinacci, sul tema Ascoltando alla radio un discorso del Duce e Stati d'animo creati dal Fascismo. Nel 1942 pubblicò il pamphlet In Italia, l'arte ha da essere italiana? e fece parte della commissione per la Mostra della civiltà italiana, che avrebbe dovuto svolgersi nella Esposizione Universale del 33 Nel 1921 Arnoldo Mondadori lo coinvolgerà in un'altra importante iniziativa sottoponendogli la versione di bozza dell'opera Colloqui con Mussolini di Emil Ludwig (1881-1948), per avere un suo parere. 34 Si oppose in maniera particolare al progetto per la nuova stazione di S. Maria Novella in Firenze. 35 Jessie Boswell, Gigi Chessa, Nicola Galante, Carlo Levi, Francesco Menzio, Enrico Paulucci Delle Roncole. 36 Il 14 febbraio 1926 Ojetti consigliò a Mussolini di prendere a modello per la nuova istituzione l’Académie française e di includere tra i membri pochi professori (Turi, Lo Stato educatore, pag.318). 10 Mirko Riazzoli [email protected] 1942 di Roma. Quest’anno Gentile gli offrì anche di collaborare con la collana "La civiltà europea" editata dall’editore Sansoni, dopo che Ojetti aveva rotto con Mondadori. Nel 1944, il 19 marzo, partecipò alla cerimonia d’inaugurazione della nuova Accademia d’Italia, ricostituita dal governo della RSI che aveva adottato la delibera relativa questo mese su proposta di Carlo Alberto Biggini, con sede a Firenze in palazzo Serristori, assieme a Buffarini Guidi, Soffici, Biggini, Giotto Dainelli (podestà di Firenze) e Gentile che tenne per l’occasione un discorso su Vico. Morte Ojetti morì sulle colline di Fiesole (Firenze), nella sua villa del Salviatino, il 1° gennaio 1946, dopo aver perso anche la qualifica di giornalista, essendo stato cancellato dall’albo nel 1944 per via della sua partecipazione al regime fascista. Verrà poi sepolto nella Badia Fiesolana: sulla sua lapide vi è scritto "Qui riposa Ugo Ojetti, Romano. Amò e servì le Arti e la Lingua d'Italia. Le più limpide e umane sulla terra e per questo care a Dio". Post mortem Dopo la sua morte gli sono state intitolate alcune strade in varie città italiane. Nel 1964 la moglie Fernanda pubblicò l’opera Lettere alla moglie (1915-1919), nella quale raccoglieva le lettere che le aveva inviato. Nel 1977 sua figlia, Paola Ojetti, anch'ella giornalista, donò al Gabinetto di Vieusseux di Firenze la biblioteca paterna, contenente circa 100.000 volumi. Il fondo, prende il nome di Ugo e Paola Ojetti. 11 Mirko Riazzoli [email protected] Approfondimenti http://emeroteca.braidense.it/ricerche/ricerca_articoli.php Disponibili online articoli scritti da Ojetti. http://www.erasmo.it/liberale/testi/1445.htm Testo di un'intervista ad Ojetti. http://www.vieusseux.fi.it/archivio/fondi_acb.html Fondo Ugo e Paola Ojetti. http://www.youblisher.com/p/149831-Francesca-Antonacci-Catalogo-Mostra-Dedalo/ Gli Anni di Dedalo. Opera a Stampa Ad Atene per Ugo Foscolo, Milano, Treves, 1928 Alla scoperta dei letterati: colloquii con Carducci, Panzacchi, Fogazzaro, Lioy, Verga, Milano, Fratelli Dumolard, 1895 Andrea Mantegna: discorso tenuto nel Palazzo Ducale di Mantova il 1° ottobre 1931 pel quinto centenario della morte di Andrea Mantegna, Roma, Reale Accademia d'Italia, 1931 Atlante di storia dell'arte italiana, voll. 2, Milano, Fratelli Treves, 1925-34 (scritto con L. Dami) Bello e brutto, Milano, Treves, 1930 Cesare Pascarella: commemorazione tenuta l'8 maggio 1941 nella Reale Accademia d'Italia, Roma, s.n., 1941 Confidenze di pazzi e savii sui tempi che corrono, Milano, Treves, 1921 Cose viste, voll. 7, Milano, Fratelli Treves Editori, 1923-39 D'Annunzio: amico, maestro, soldato: 1894-1944, Firenze, Sansoni, 1957 Donne, uomini e burattini, Milano, Fratelli Treves, 1912 Elogio di Giovanni Segantini, detto al teatro sociale di Trento la sera del 22 dicembre 1899: per il monumento ad Arco, Trento, Tip. Kupper e Fronza, 1900 Giotto: discorso letto il 27 aprile 1937 a Firenze in Palazzo Vecchio alla presenza di S. 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