L`ascolto del protagonista

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L`ascolto del protagonista
L’ascolto del
protagonista
di Ramin Bahrami*
*Ramin Bahrami,
pianista iraniano.
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Avevo circa 5 anni quando per la prima volta ascoltai un brano di Johann Sebastian
Bach. Scoprii più tardi che si trattava della Toccata che apre la Partita n. 6 e che il pianista che la eseguiva era Glenn Gould. Ebbi un mancamento: qualcosa di magico, inaspettato e indescrivibile, un caleidoscopio di colori fascinosi sentivo uscire da quelle note. Mi chiedevo da dove arrivasse quella nostalgia, quella bellezza. Non sapevo nulla di quella musica,
ma cambiò la mia vita: decisi in quel momento che avrei studiato la musica di Bach.
Nel corso di tutti questi anni di studio e di approfondimento quell’emozione non l’ho
più ritrovata. Questo dice molto della purezza dei bambini. Col passare degli anni infatti si
rischia di perdere la capacità di stupirsi.
La persona che mi aveva fatto ascoltare quel disco, e che inconsapevolmente mi aveva
aperto le porte di un mondo meraviglioso, qualche anno più tardi mi raccontò un fatto analogo ed emblematico. Un giorno, durante uno dei suoi viaggi di musicologa alla ricerca di
melodie popolari iraniane, che registrava e catalogava, incontrò un anziano contadino, a cui
chiese la cortesia di prestarsi all’ascolto di ciò che definì semplicemente una “bella musica”. Fece ascoltare a questa persona estremamente semplice la Messa in si minore di Bach,
lasciandola sola, senza alcuna ulteriore spiegazione. Tornò da quest’uomo alla fine dell’ascolto trovandolo profondamente commosso, in lacrime. Il messaggio era arrivato, non aveva
trovato barriere, filtri culturali, pregiudizi o paure. Una persona che conserva la semplicità,
può ancora, nonostante tutto, stupirsi.
L’arte è universale, parla al cuore dell’uomo e la musica di Bach ha, più di altre, un
pregio: davanti ad essa ci si sente umili, piccoli, ma allo stesso tempo importanti. Ci insegna che siamo tutti figli dello stesso creatore e necessari al mondo. Ad ogni ascolto è possibile cogliere un dettaglio nuovo, scovando delle perle nascoste. Studiando le sue partiture davanti alla ricchezza di simboli teologici, che gli studiosi hanno potuto scoprire e
approfondire in tutti questi anni si rimane a bocca aperta. Tale maestria mi porta a definirlo un grande “pittore musicale”.
Se ripenso a quel momento indimenticabile (riascoltai infinite volte quel disco, tanto
che l’immagine di Glenn Gould che indossa un cappello nero davanti a un bellissimo lago
canadese è stampata nella mia memoria) risento lo stile improvvisativo e libero, che dà inizio alla “Toccata” (dal “toccare la tastiera” deriva infatti il nome di questa forma). Da que-
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sta visione musicale che sembra sviluppare nel momento stesso dell’esecuzione un’idea
appena abbozzata, scaturisce una fuga, rigorosa e meravigliosa. Una straordinaria rincorsa
tra le voci, come una discussione tra quattro personaggi. Un gioco stupendo e complesso di
risposte e dialoghi, in cui ogni voce ha una sua dignità e partecipa della meraviglia che l’insieme genera. Per parlare alle altre ognuna ha una sua identità, ma non rimane sola. Bach
in questo è maestro, essendo il più grande contrappuntista di tutti i tempi, capace cioè di
realizzare un’architettura perfetta in cui ogni melodia costruita orizzontalmente va perfettamente d’accordo con le altre. Probabilmente la capacità di ascoltare, dialogare e lavorare
assieme è ciò di cui abbiamo più bisogno oggi.
Daniel Barenboim, grandissimo pianista e direttore d’orchestra, alla guida di un’orchestra di maestri israeliani e palestinesi, è per me un grande esempio. Dimostra che davanti alla musica, alla bellezza, siamo tutti uguali. Per lo stesso motivo, da iraniano, è stato un
grande onore aver avuto l’occasione di suonare in una sinagoga ebraica la musica di un autore per giunta tedesco e protestante. Un mondo senza religione, musica e arte è inconcepibile e non oso immaginare a che livello di imbarbarimento arriveremmo se queste venissero
a mancare.
La musica e la cultura fortunatamente non sono mai mancate nella casa dove ho vissuto la mia infanzia. Entrambe erano vive nell’Iran che ho potuto conoscere, forte dei suoi
7.000 anni di civiltà, che diedero al mondo, tra le altre cose, leggi che sono ancora oggi un
modello di tolleranza, come quelle di Ciro il Grande. Un Paese molto diverso da quello di cui
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sentiamo parlare oggi e da cui purtroppo dovetti fuggire. Ero cresciuto in una famiglia benestante ai tempi dello Scià: mia madre era iraniana di origini russo-turche, suonava il pianoforte e aveva tra gli antenati Nadir Shah (conosciuto in Occidente come il “Napoleone persiano”), mio padre era tedesco-iraniano e da giovane aveva studiato il violino. I dischi non
mancavano: ricordo che a tre anni fingevo di dirigere l’orchestra, in piedi, sul tavolo della
cucina, ascoltando le sinfonie di Brahms e Beethoven dirette da Herbert von Karajan (e credendo di essere migliore di lui). Mi convinsi a sei anni di essere addirittura un grande compositore. Di tutta la mia infanzia posso dire di conservare solo ricordi meravigliosi, anche
legati alle cose più semplici, che peraltro ho sempre preferito agli sfarzi, pur avendo vissuto i miei primi anni a contatto con una realtà da fiaba, da Mille e una notte. Andavo matto
per i cartocci di noci fresche comprati nei chioschetti, per la neve che quando scendeva a
Teheran ci impediva di andare a scuola, per i racconti sui re persiani e il tè bevuto dal samovar di mia nonna. Ricordo anche quando bisognava nascondersi per la guerra, ma mi sembrava una cosa normale, o meglio, capivo che faceva parte della vita e che questa non è mai
senza prove, come ci insegna anche la religione cristiana. Non lo era stata per mia nonna,
che, nata a Berlino, aveva già conosciuto una guerra e si portava dietro il ricordo incancellabile di quando a dieci anni fu costretta a cantare davanti al Führer. Non lo fu per me qualche anno dopo: la salita al potere degli Ayatollah preannunciava la mia fuga alla ricerca di
una seconda patria e l’arresto di mio padre. Conservo ancora le sue lettere dal carcere che mi scrisse prima di morire: «la musica di Bach non
La salita al potere ti lascerà mai solo», diceva. Mi spronava inoltre ad ascoltare Gershwin,
degli Ayatollah a conoscere Michelangelo, Dante, Goethe, Kant, Avicenna, il grande
poeta persiano Hafiz, o a visitare le rovine di Persepoli. Mi aggrappai alla
preannunciava la musica e per mia fortuna, arrivato in Italia, trovai un’accoglienza straormia fuga e l’arresto dinaria e un maestro, quasi un padre adottivo: Piero Rattalino. Un grandi mio padre. de insegnante è colui che è capace di condurti per mano all’ingresso di
Conservo le sue questo mondo meraviglioso, in cui sei poi lasciato libero di trovare la tua
strada. Si può infatti imparare moltissimo dall’ascolto dei grandi interlettere che mi preti del passato senza doverli imitare.
scrisse prima di
Glenn Gould quel giorno fu la rivelazione di come si suona il piamorire: «la musica noforte e la musica di Bach. La totale indipendenza di ognuna delle sue
di Bach non ti dita lo rende unico nel servizio alla polifonia, poiché ognuna ha una sua
individualità e le sue mani formano un’orchestra capace di migliaia di
lascerà mai solo».
colori. A volte le sue scelte sono arbitrarie, proprie del genio, alcune esecuzioni volutamente provocatorie, ma le sue incisioni hanno fatto la storia. L’incontro e l’amicizia con Robert Levin, musicista e fortepianista meraviglioso, uno dei
veri conoscitori della filologia, mi ha arricchito, poiché essa, se correttamente intesa è la linfa
di partenza, ciò che ti fa comprendere quanto alta sia questa musica.
Ho dubbi seri quando si cerca di far suonare i Concerti Brandeburghesi con gli strumenti a corde di budello, perché queste invece sono scelte frutto di una filologia esasperata. L’ossessione per una certa idea di purezza è controproducente e può portare fuori strada
per offrire una brutta copia di ciò che, forse, si faceva 300 anni fa. Da Rosalyn Tureck, tra
le altre cose, ho imparato soprattutto come sia importante rendere attuale il messaggio.
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Sappiamo che Bach conobbe il pianoforte di Bartolomeo Cristofori e non gli piacque, ma
sono sicuro che non avrebbe avuto nulla contro lo Steinway moderno. Di conseguenza è giusto utilizzare tutte le potenzialità dello strumento che abbiamo la possibilità di suonare oggi.
Ad esempio, un uso accorto e senza eccessi del pedale è sicuramente utile. Il pedale di una
corda (quello di sinistra che riduce la sonorità proprio perché permette al martelletto di colpire una sola corda e non tre per ogni tasto premuto) unito al pedale di risonanza permette
quell’effetto di vibrato, che era un’esclusività del clavicordo, lo strumento più caro al sommo
compositore. Suono con piacere il clavicordo, il clavicembalo e l’organo,
proprio perché rappresentano le origini di ogni pianista e non posso
Sul palcoscenico
farne a meno. Da un lato quindi la tradizione, dall’altro l’attualizzazione
del messaggio.
devi donarti in senso
Una volta sul palcoscenico devi donarti in senso “cristiano”, in
“cristiano”, in
questo sei protagonista. Non si tratta di una “esibizione”, l’esecutore
questo sei
non deve dimostrare di saper suonare il pianoforte, ma deve essere un
protagonista. Non si
tramite puro affinché il messaggio arrivi. Ai miei concerti sento che
siamo insieme per lo stesso motivo, tutti in ascolto della musica.
tratta di una
Occorre concentrarsi sul messaggio, stare bene e, nel limite del possi“esibizione”,
bile essere puri, perché si ha a che fare con delle cose più alte.
l’esecutore non deve
Maurizio Pollini dice spesso che «la qualità fa bene», la musica
dimostrare di saper
fa bene e io avverto un grande bisogno di questo, soprattutto nei giovasuonare ma deve
ni. Sarei felice di sentirmi un protagonista se grazie a me i giovani scoprissero qualcosa di magico e che fa bene a loro. Il successo è effimero
essere un tramite
e la superbia è nemica dell’arte. Per questo dobbiamo cercare di dare il
puro affinché il
massimo di ciò che siamo in grado di dare. Questo lo capii un giorno:
messaggio arrivi.
dovevo suonare le Partite di Bach in una chiesa del Veneto. Tornavo da
una tournée in Messico che mi aveva distrutto la psiche e attraversavo
un bruttissimo momento, tra notti insonni e crisi di panico. A cinque
minuti dal concerto volevo dare forfait. Trovai un santino di Cristo che recitava “Amami come
sei”, una frase che sembrava scritta per un malato terminale, come mi sentivo io. Capii che
non bisogna essere degli angeli per donarsi totalmente. Lessi questa preghiera e andai al pianoforte: fu uno dei miei concerti più belli. Tornai tra i vivi. Conservo ancora questo santino.
Sono musulmano, ma profondamente attratto dalla figura di Cristo.
Non posso non credere all’esistenza di un’entità superiore che è sicuramente ragione,
purezza e fantasia insieme. Dio è il più grande compositore. Ciò che ha creato va al di là di
tutti i più grandi quadri e affreschi che l’uomo abbia mai realizzato e il canto degli uccelli
vale più di tutta la musica di questo mondo. Penso che il Padre creatore abbia fatto un dono
particolare ad alcuni geni universali e li abbia presi per mano affinché dimostrassero a tutti
un pochino della sua grandezza: se qualcuno vi è riuscito questi è Johann Sebastian Bach.
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