Ismail - Euno Edizioni

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Ismail - Euno Edizioni
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© copyright 2016
Euno Edizioni
Via Mercede 25
94013 Leonforte (En)
Tel. e fax 0935 905877
www.eunoedizioni.it
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Copertina e disegni di: Lolita Timofeeva
Finito di stampare nel gennaio 2016
da Fotograph - Palermo
COSTANZA SAVINI
ISMAIL
E IL GRANDE COCCODRILLO DEL MARE
Disegni di Lolita Timofeeva
Postfazione di Giovanni Discolo
euno edizioni
A tutti i bambini feriti
To all children injured
Tous les enfants blessés
Non estinguete lo Spirito. Maya è il potere magico che agisce nella creazione. E la magia è solo
uno dei modi di vedere le cose.
Ecco, oggi sono arrivato a credere che non ci siano la vita e la morte, ma penso veramente che ci
sia una cosa unica che fluisce, di qua e di là. Forse
è per questo che ogni volta che chiudo gli occhi
rivedo i miei compagni di viaggio. Tutti. Non
quelli che come me ce l’hanno fatta, che sono arrivati a destinazione. Ma tutti gli altri, quelli che
sono partiti senza mai arrivare e che forse stanno
ancora continuando a viaggiare, chissà dove, da
qualche parte nel mare del tempo. Penso allora
che non ci sia una grande differenza, perché è solo il corpo che muore e che la vita è molto semplice: va vissuta così come ti viene data e basta ...
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come si accetta un regalo. Può essere così in fondo, e perché no?
Certo, devo dire che la mia vita è stata un lungo
percorso a ostacoli. Anche se col tempo ho capito che un destino non è poi molto diverso da un
altro, e che la vita ha senso in se stessa: è Vita e
basta! Anzi! Oggi penso che chi mi ha rifiutato,
abbandonato, usato, non è riuscito a togliermi di
dosso la volontà di resistere e di sentirmi vivo, e
perché? Perché sento ancora il mio cuore, i miei
nervi e i miei tendini forzarsi per inseguire un
nuovo sogno, un progetto, ogni volta che arriva.
Ogni volta. Per afferrarlo così, come si afferrano
le nuvole che corrono veloci nell’inchiostro azzurro del cielo. Ecco perché. Altrimenti, se non
fosse così, allora il mio passaggio qui, sulla terra,
sarebbe senza senso: sarebbe come un treno che
entra in una galleria senza fine o un barcone che
affonda in quel punto dove il mare si fonde col
sole in un confine che non c’è.
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Oggi io credo che siamo un po’ tutti in viaggio in
questa vita. Ciascuno, di generazione in generazione, di padre in figlio, è in giro da chissà quanti
anni in tante, tantissime forme. Siamo in viaggio.
Siamo tutti in migrazione in questa vita. Siamo
come dei nomadi e degli erranti. Tutti di passaggio. Ma questo non deve fare paura! Anzi. Perché
i rischi, credo, i veri rischi e i veri pericoli si annunciano insuperabili solo per chi non sa sognare
abbastanza. E io, e anche voi forse, sogniamo ancora ... eccome! A occhi aperti, perfino!
Anche se, devo, dire, ci sono sogni, e sogni, di
tanti tipi. Di quelli che fanno paura. E di quelli,
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anche, di cui non ti scordi poi tanto facilmente.
Così ogni notte, quando vado a dormire, mi capita prima di addormentarmi di pensare a loro, ai
miei compagni in fondo al mare, e a volte penso
anche a me, a quella parte di me che è rimasta
con loro su quella barca con cui abbiamo attraversato il mare. Certe notti poi mi capita di sentire il loro respiro entrare nei miei pensieri e di lì,
non appena mi addormento, anche nei miei sogni. Sogni che diventano, così, molto speciali!
Perché là sotto, in fondo al mare, è tutto così fermo, silenzioso e buio che mi concilia il sonno.
Questi sogni sono per me una strana ninna nanna, fatta di immagini che si infilano una dietro
l’altra come stelle in un filo invisibile. Una ninna
nanna che io non riesco a fermare... che va avanti, sempre avanti ... ma è così, ed è mia. Fino a
che, tra le immagini che scorrono veloci vedo lei,
mia madre. Mia madre da cui sono stato separato
quando ero un bambino. Quando i miei anni non
si contavano ancora neppure sulle dita di una sola mano. La rivedo in non so quale villaggio delle
montagne. Tra cedri e abeti abitati dalle scimmie
di Barberia, tutte boccacce e dispetti. E che per
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mangiare possono fare cose incredibili: scavare
buche profonde per strappare le radici delle piante, afferrare gli scorpioni per le pinze e succhiarne il pungiglione velenoso, perfino bere il giallo
delle uova d’uccello sbattendolo per farlo diventare spumeggiante come un liquore speciale.
Ecco, ben chiara nel mio ricordo, la vedo lassù
mentre con le compagne raccoglie i frutti dell’argan, pieni del fuoco giallo del sole, per farne olio
profumato destinato alle mogli degli emiri, dei
gran sultani e dei mercanti di petrolio.
Ecco, oggi che ho passato i cinquant’anni credo
che sia grazie a lei se ho capito che quali che siano le difficoltà della vita, non si deve avere paura,
perché altrimenti le cose di cui abbiamo paura diventano più grandi di noi, prendono potere e ci
vincono.
E devo a lei se oggi so che il senso della vita è affidato a SENTIRE la vita che siamo. E che se non
la sentiamo tutta e per davvero, allora il nostro
senso va perduto.
C’est avoir perdu sa vie. È aver perduto la propria vita.
Ecco, oggi so che devo a mia madre questa mia
voglia di resistere e di sentirmi vivo. Perché la vi11
ta – mi dico – non è forse come un grande gioco
che ci è stato regalato?
Ogni notte però, dopo che mi sono addormentato e dopo che ho fatto i primi sogni, mi sveglio
all’improvviso. Allora mi alzo, vado davanti allo
specchio e mi pettino. Non so perché, ma usare il
pettine di notte mi aiuta a pulire la mente. E mi
ricorda mia madre quando da bambino mi lisciava i capelli. Teneva il pettine stretto nella mano
destra, attraversata, anche la sua come la mia, da
una sola linea profonda grossa come una cicatrice. Il pettine brillava tra le sue mani come lo scettro di una gran Regina d’Oriente e d’Occidente
messi insieme.
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