Figure ed. attiva e cooperazione educ
Transcript
Figure ed. attiva e cooperazione educ
ALCUNE FIGURE SIGNIFICATIVE DELL’EDUCAZIONE ATTIVA E DELLA COOPERAZIONE EDUCATIVA Roger Cousinet. pedagogista ed educatore francese (Juvisy-sur-Orge 1881-Parigi 1973). Dopo aver studiato alla Sorbona, che frequentò insieme con Th. A. Ribot, A. Binet ed E. Durkheim e in cui insegnò pedagogia dal 1942 al 1957, si dedicò a un'intensa attività pubblicistica, collaborando a numerose riviste. Nel 1920 fondò, insieme con T. Guéritte, l'associazione della Nouvelle Èducation e la rivista omonima, e nel 1945, in collaborazione con Chatilain, L'Ècole Nouvelle Française. Il suo metodo, messo a punto nel 1920, chiaramente influenzato dall'attivismo e dall'educazione nuova di E. Claparède e A. Ferrière, prevede la formazione di gruppi di lavoro, creati spontaneamente dai bambini in risposta agli stimoli dell'interesse, in cui le materie di insegnamento si trasformano in attività libere. Esse vengono distinte in due direttrici principali: attività di creazione (lavoro manuale in genere) e di conoscenza (lavoro storico, geografico, linguistico, ecc.). Fondamentale l'importanza data all'attività di socializzazione, tramite cui il bambino può superare l'iniziale contrasto fra individualità ed essere sociale e giungere alla maturazione attraverso la spontanea – seppure guidata – collaborazione con i propri compagni. Fra le opere di Cousinet si ricordano: La vie sociale des enfants (1950) e La vie sociale et le travail par groupes (1956). Célestin Freinet Educatore e pedagogista francese (Gars, Alpi Marittime, 1896-Vence 1966). Insegnante elementare, studiò e sperimentò nuovi metodi di insegnamento attivo, rivolti a portare nella scuola un nuovo spirito comunitario, attraverso l'applicazione alle attività scolastiche dei criteri del mondo del lavoro. I metodi didattici creati da Freinet sono: l'introduzione della tipografia nelle classi, con un giornale composto e stampato dai ragazzi; il “testo libero”, testo costituito da sensazioni, esperienze, descrizioni lette e discusse durante le lezioni; il disegno libero; la biblioteca di lavoro; la raccolta di materiale che sostituisce il libro di testo; la corrispondenza interscolastica, scambio di testi e lettere fra le varie classi; schedari di consultazione e auto correttivi per l'insegnamento della lingua e della matematica. Le finalità precipue dell'educazione sono così il rispetto del processo psicologico e della capacità creativa dell'allievo e una sua vasta socializzazione. Il movimento fondato dall'educatore francese ha migliaia di aderenti, organizzati, sul piano internazionale, nella Coopérative de l'Enseignement Laïc. In Italia il Movimento di Cooperazione Educativa (MCE), sorto fra il 1950 e il 1951, ispirandosi a Freinet svolge fra gli insegnanti una consistente opera d'innovazione tecnico-metodologica e di sensibilizzazione politica nell'ambito di una prospettiva laica e marxista. Fra le opere di Freinet: L'éducation du travail (1947; L'educazione del lavoro), L'école moderne française (1948; La scuola moderna francese), Essai de psychologie sensible appliquée à l'éducation nouvelle populaire (1949; Saggi di psicologia applicata alla nuova educazione popolare), raccolta di saggi per la scuola materna ed elementare, Les Techniques Freinet de l'École moderne (1964; Le mie tecniche). BIBLIOGRAFIA SU C. FREINET IN ITALIA A. Pettini, Le tecniche Freinet, Rimini, 1952; M. Mencarelli, Le tecniche Freinet, Firenze, 1956; G. Tamagnini, Didattica operativa. Le tecniche Freinet in Italia, Camerino, 1965; A. Pettini, Célestin Freinet e le sue tecniche, Firenze, 1968; G. Balduzzi, L'educazione del lavoro di Célestin Freinet, Napoli, 1983. John Dewey IL PENSIERO FILOSOFICO Filosofo e pedagogista statunitense (Burlington 1859-New York 1952). Di modesta famiglia, frequentò l'Università del Vermont, dove ebbe i primi contatti con la filosofia evoluzionistica, con l'intuizionismo scozzese e con la filosofia di Comte. Fu poi a Baltimora, dove assorbì l'hegelismo. A contatto con i Principles of Psycology del James, si allontanò dall'hegelismo e diede al suo pensiero un indirizzo completamente nuovo, da lui stesso definito strumentalismo. Si dedicò allora, prima a Chicago e poi a New York, alla creazione di una scuola organizzata come laboratorio sperimentale. Lo strumentalismo, senza essere un punto di vista eclettico, segnò tuttavia la convergenza tra pragmatismo e illuminismo. La sintesi di questi diversi indirizzi, che si riscontrano in Experience and Nature (1925; Esperienza e natura) e in The Quest for Certainty (1929; La ricerca della certezza), segnò in primo luogo un radicale innovamento del concetto di “esperienza”, proprio dell'empirismo classico. Tale concetto infatti, secondo Dewey, è il risultato di una semplificazione e di una sofisticazione della realtà. La realtà infatti non è chiarezza e semplicità come vorrebbe l'empirismo classico: include invece fattori d'instabilità, di rischio, d'incertezza e oscurità. Un'adeguata teoria dell'esperienza deve riconoscere e indicare esplicitamente questi fattori. Il rapporto dell'uomo con l'ambiente naturale e sociale è sempre incerto e instabile. Nessuna struttura e tantomeno l'auto illusione (“la fallacia filosofica”, come la chiama Dewey) garantisce questi rapporti: l'unica garanzia, sia pure provvisoria e tale da richiedere un costante controllo, è l'atteggiamento della “ricerca”, che Dewey, in Logic, the Theory of Inquire (1938; Logica, teoria dell'indagine), definisce “la trasformazione diretta o controllata di una situazione indeterminata in una situazione determinata nelle sue distinzioni e relazioni costitutive a tal punto da convertire gli elementi della situazione originaria in una totalità unificata”. Essendo la trasformazione di una situazione lo scopo della ricerca, il rapporto tra mezzi e fini deve essere concepito, secondo Dewey, come rapporto d'“integrazione”. Tale rapporto è centrale nel pensiero di Dewey e viene ripreso in tutte le sue opere principali. Esso coincide con il significato e la portata della razionalità, che consiste nella scelta di finalità adeguate e conformi ai mezzi che si hanno a disposizione per realizzarle e nello stesso tempo nella scelta di mezzi atti a produrre gli effetti ai quali si tende. Questo punto di vista esclude che la razionalità sia una facoltà preesistente ai procedimenti della ricerca, caratterizzata da strutture a priori indipendenti. La riduzione delle “facoltà” umane sotto il concetto di funzione, che viene operata da Dewey nei confronti del concetto di razionalità, viene analogamente operata per le altre “facoltà” umane: la coscienza infatti è il momento critico e negativo dell'esperienza, quando l'esigenza di un mutamento radicale viene sentito con intensità particolare. La coscienza è l'esperienza stessa nel momento della sua crisi. Lo spirito non è cosa che appartenga in proprio all'individuo ma è ciò che costituisce il sistema di credenze, di abitudini, di valori in cui l'individuo si trova inserito. L'io infine non è la semplice individualità, ma il momento innovativo, originale, liberatorio dell'esperienza mediante il quale essa si libera dai vincoli del passato e assume nuovi significati. Il carattere sperimentale è comune, secondo Dewey, tanto alla scienza propriamente detta quanto all'esperienza quotidiana del senso comune. Il fatto che quest'ultimo operi in modo meno rigoroso e con linguaggi assai meno complessi di quelli di cui si serve la scienza, non toglie che anche nella vita comune gli uomini procedano sperimentalmente, cioè correggendo e modificando di continuo le loro idee sugli insegnamenti dell'esperienza. Il compito stesso della filosofia dell'arte (Art as Experience, 1934, Arte come esperienza) consiste, secondo Dewey, nel ritrovare una continuità tra quelle forme raffinate e concentrate dell'esperienza, che sono le opere d'arte, e gli avvenimenti di tutti i giorni. L'impedimento maggiore al pieno esplicarsi della scientificità e del senso comune deriva dal peso che esercitano su di esso l'autoritarismo e il dogmatismo delle filosofie tradizionali. La concezione del conoscere come mera contemplazione e la svalutazione del mondo della pratica e del lavoro, che è caratteristica di queste filosofie, ha le sue radici, secondo Dewey, in determinate condizioni economiche e sociali. Interprete delle più alte tradizioni democratiche americane e, in particolare, dello spirito del New Deal rooseveltiano, la filosofia di Dewey è permeata dell'idea che democrazia e scienza sono due aspetti complementari di una stessa realtà. Come la fede democratica ha infatti la sua radice nell'idea della perfettibilità dell'uomo, nella convinzione cioè che l'uomo può migliorarsi e correggersi con l'esperienza, la scienza presuppone, a sua volta, una società democratica e libera in cui il ricambio e la circolazione delle idee non siano ostacolati né da pregiudizi di casta né da privilegi sociali. IL PENSIERO PEDAGOGICO Sulle sue tesi filosofiche Dewey costruisce un pensiero e una tecnica pedagogica che ispirarono largamente fin dai primi decenni del secolo soprattutto le scuole americane. Il fondamento della pedagogia deweyana risiede nella teoria dell'interesse, posto in intima interrelazione con il concetto di sforzo: “lo sforzo senza interesse è pratica da lavoro forzato, ma l'interesse che non suscita sforzo non è interesse vero” (Visalberghi). Il concetto d'interesse, inoltre, è al centro della concezione deweyana della scuola come vita: la stessa tesi della continuità tra scuola e famiglia è un corollario dell'importanza fondamentale attribuita a tale concetto. Per Dewey non c'è scuola attiva senza presenza del lavoro incentrato sull'interesse. L'educazione è “attiva” in quanto “formatrice di attitudini atte ad adeguare plasticamente l'individuo alle sempre rinnovanti si condizioni ambientali e in quanto promotrice di maturità critica e di spirito d'intrapresa”. Individuo e società sono inseparabili e l'educazione come scienza si deve riferire tanto alla psicologia quanto alle scienze sociali. Lo sviluppo adeguato dei due momenti del processo educativo è reso possibile dall'assetto democratico, fuori da ogni divisione classista e da ogni chiusura nazionalistica. La concentrazione industriale e la divisione del lavoro, emarginando la funzione produttiva della famiglia, hanno reso impossibile la partecipazione e l'interesse dei ragazzi ai processi di produzione. Tale fenomeno ha accentuato la scissione fra cultura liberale delle classi egemoni e cultura tecnicoprofessionale dei lavoratori. Al lavoro educativo che non abbia fini estrinseci Dewey assegna il compito di una riconciliazione di queste “due culture”. Fra le opere pedagogiche: My Pedagogic Creed (1887; La mia dottrina pedagogica), School and Society (1899; Scuola e società), Democracy and Education (1916; Democrazia ed educazione). Ernesto Codignola. Pedagogista e filosofo italiano (Genova 1885-Firenze 1965). Più volte membro del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, Codignola diventò presto una delle figure portanti dell'idealismo pedagogico italiano. Fondò numerose riviste: Levana (1922-28); La nuova scuola italiana (1923-38); Civiltà moderna (1929-43); La Nuova Italia (1930-43); Scuola e città (1950). Nel 1926 fondò a Venezia la casa editrice La Nuova Italia, con l'intento di legarsi alle correnti del liberalismo europeo. Dopo l'avvento del fascismo, Codignola fu progressivamente spinto ai margini della vita accademica e, con il passare degli anni, costretto anche a rinunciare alla propria attività pubblicistica. Nel dopoguerra però entrò nuovamente in contatto con le più importanti organizzazioni educative internazionali e con i maggiori esponenti del pensiero pedagogico. Nel 1944 fondò a Firenze la Scuola-città Pestalozzi, nella quale la strutturazione gerarchica si stemperava nella comprensione delle esigenze degli studenti, quasi a dissolversi nella struttura comunitaria dell'autogoverno, caratteristica essenziale della scuola stessa. Dall'analisi comparativa dell'individualismo naturalistico di stampo settecentesco e della storia politico-culturale italiana, faceva scaturire quella “religiosità laica” che lo colloca nell'ambito dello storicismo idealistico. Per Codignola lo storicismo deve mirare al superamento della propria empiricità fisica, per immergersi nella universalità spirituale. Questo passaggio ha un'origine intuitiva nella tradizione alla quale ogni individuo fa riferimento. Tuttavia l'autonomia cui mira l'individuo non può che essere raggiunta da pochi, da una élite: un ristretto gruppo di intellettuali deve educare e governare le masse; è dunque necessario formare culturalmente, in modo globale e approfondito, la schiera di maestri ai quali affidare l'educazione dei bambini, investendo non solo gli istituti magistrali, ma anche le scuole secondarie superiori e, con esse, le università. Tra i suoi scritti: Educatori moderni (1926), Educazione liberatrice (1946), Illuministi, giansenisti e giacobini nell'Italia del Settecento (1947), Un esperimento di scuola attiva: la scuola-città Pestalozzi (1954). Lamberto Borghi. Pedagogista italiano (Livorno 1907-Firenze 2000). Dopo avere insegnato storia e filosofia nei licei durante gli anni Trenta, come ebreo fu allontanato dall'insegnamento per effetto delle leggi razziali fasciste. Nel 1940 emigra negli Stati Uniti dove ebbe modo di sviluppare e approfondire i propri studi sulle scienze sociali e sull'educazione. Nel 1947 ritornò in Italia e riprese l'insegnamento. Nel 1950 contribuì, insieme a Ernesto Codignola, a dar vita alla rivista Scuola e Città. Iniziò a Pisa la propria attività di professore universitario di pedagogia (1950) che concluse a Firenze (1982). Borghi rivolse gran parte del suo interesse allo studio dell'autoritarismo in Italia, con specifici riferimenti all'educazione, ma con uno sguardo attento alle problematiche di più largo respiro che venivano dalla società. Influenzato in parte dal pensiero di John Dewey, egli oppose all'autoritarismo il metodo della libera indagine critica. Profondamente laico, difese sempre la scuola pubblica in quanto garanzia democratica contro ogni sorta di dogmatismo. La grande rilevanza che la libertà individuale aveva nel suo pensiero, lo portò ad elaborare una interpretazione democratica del marxismo. Fra i suoi lavori ricordiamo: Educazione e autorità nell'Italia moderna (1951); Educazione e scuola nell'Italia d'oggi (1958); Scuola e ambiente (1964); Educare alla libertà (1992) e La città e la scuola (2000). Jean Piaget Psicologo svizzero (Neuchâtel 1896-Ginevra 1980). Studiò scienze naturali all'Università di Neuchâtel, laureandosi nel 1918. Si dedicò in seguito, sotto la guida di E. Claparède, a studi di psicologia dell'infanzia, perfezionandosi a Ginevra e a Parigi. Nel 1922 divenne professore di psicologia dell'età evolutiva dell'Istituto J.-J. Rousseau fondato a Ginevra da Claparède e nel 1940 ne fu nominato direttore. Nel 1955 creò, sempre a Ginevra, il Centro Internazionale d'Epistemologia Genetica. Le ricerche di Piaget si sono rivolte soprattutto alla psicologia dell'età evolutiva, e in particolare allo sviluppo dell'intelligenza, descritta nelle sue varie operazioni nell'intero arco dello sviluppo intellettuale, dalla nascita all'adolescenza. Egli critica sia le impostazioni di tipo associazionista (che definisce “genesi senza struttura”), sia quelle di tipo gestaltista (“struttura senza genesi”). Secondo Piaget, il bambino attraversa una serie di fasi evolutive e ogni fase ha una sua strutturazione che la rende qualitativamente, e non solo quantitativamente, diversa da quella precedente. La prima fase (divisa a sua volta in vari altri periodi) è quella senso-motoria. L'intelligenza, infatti, si sviluppa secondo Piaget su una base “pratica”, attraverso l'azione. All'inizio il bambino ha a disposizione solo un corredo innato di riflessi, le sue percezioni non sono né coordinate tra di loro, né coordinate alle azioni. Progressivamente si formano le prime abitudini, le prime coordinazioni tra percezione e azione. Hanno in questo grande importanza le cosiddette reazioni circolari, processi particolari che fanno sì che il bambino compia delle azioni per il solo piacere di compierle, e che quindi conducono a ripetere e perfezionare certi schemi d'azione. Gli schemi d'azione progressivamente acquisiti vengono perfezionati e interiorizzati, nella ricerca naturale da parte del bambino di un adattamento all'ambiente, adattamento inteso in termini di equilibrio attivo e che si compone di due processi in stretta interdipendenza tra di loro: l'assimilazione (l'incorporazione, cioè, nei propri schemi mentali delle offerte dell'ambiente) e l'accomodamento (la modificazione, cioè, del comportamento sulla base delle richieste ambientali). Gli schemi d'azione interiorizzati sono ancora irreversibili: il bambino, cioè, è incapace di formare nozioni complesse utilizzando il pensiero simultaneo di due o più fasi di un evento o di due o più fasi dell'esplorazione percettiva di un oggetto. Il possesso di schemi d'azione interiorizzati reversibili segna l'ingresso nella fase dell'intelligenza operatoria concreta dalla fase dell'intuizione: intelligenza operatoria in quanto gli schemi d'azione reversibili, strutturati in relazioni logiche dette raggruppamenti, costituiscono per Piaget le operazioni mentali. Si parla di operazioni concrete perché il punto di partenza è sempre costituito dalla realtà su cui direttamente si opera. A questa fase, che va da 6 a 11 anni ca., segue quella delle operazioni astratte, che si ha con l'acquisizione delle operazioni della logica. Estremamente importanti gli studi di Piaget relativi alla nuova disciplina da lui chiamata epistemologia genetica, che consiste nello studio del significato che hanno concetti quali spazio, tempo, velocità, causalità, ecc., attraverso la loro acquisizione. Ancora ricerche fondamentali sono state condotte da Piaget sulla rappresentazione, sull'acquisizione del senso morale, sulla percezione, sui rapporti tra logica e psicologia, sull'animismo e sul linguaggio infantili. La sua influenza sugli studi di psicologia dell'età evolutiva è stata ed è tuttora molto importante; le sue opere, inoltre, hanno dato un rilevante apporto alla formazione del neobehaviorismo (behaviorismo). Fra le sue opere si ricordano: Le langage et la pensée chez l'enfant (1923; Il linguaggio e il pensiero del fanciullo), La représentation du monde chez l'enfant (1926; La rappresentazione del mondo nel fanciullo), La naissance de l'intelligence chez l'enfant (1936; La nascita dell'intelligenza nel fanciullo), Introduction à l'épistémologie génétique (1950; Introduzione all'epistemologia genetica), La genèse des structures logiques élémentaires (1960; La genesi delle strutture logiche elementari), Traité de psychologie expérimentale (1963; Trattato di psicologia sperimentale), di cui fu il curatore insieme a P. Fraisse, Sagesse et illusions de la philosophie (1965; Sagezza e illusioni della filosofia), L'équilibration des structures cognitives (1975; L'equilibrazione delle strutture cognitive). Studi in italiano su J. Paiget N. Filograsso, L'evoluzione del pensiero logico di Jean Piaget, Urbino, 1967; J. Flavell, La mente dalla nascita all'adolescenza nel pensiero diJean Piaget, Roma, 1971; D. Elkind, J. Flavell, Jean Piaget e lo sviluppo cognitivo, Roma, 1972; R. Droz, M. Rahmy, Guida alla lettura di Piaget, Firenze, 1974; D. G. Boyle, Guida a Piaget, Firenze, 1975; S. Borella, Il mentale tra eredità e cultura, Milano, 1991. Lorenzo Milani. Sacerdote (Firenze 1923-1967). Convertitosi al cristianesimo dall'ebraismo, fu consacrato sacerdote nel 1947. Fin dall'inizio dell'apostolato si dedicò alla promozione culturale dei ragazzi del popolo. Sospettato di comunismo dall'autorità ecclesiastica, che giudicò inopportune le sue Esperienze pastorali (1958), fu relegato come priore a Sant'Andrea di Barbiana, nel Mugello, dove fondò una scuola per i figli dei contadini e dei boscaioli, imprimendole un metodo didattico radicalmente nuovo, legato alla realtà politico-sociale. Frutto di tale esperienza fu la Lettera a una professoressa (1967), documentata denuncia del classismo della scuola italiana, che influì notevolmente sulla contestazione studentescadel 1968. Schieratosi a favore dell'obiezione di coscienza, don Milani subì un processo, in occasione del quale scrisse una vibrata Lettera ai giudici (1965), poi pubblicata con il titolo L'ubbidienza non è più una virtù (1967). Postume: Lettere (1970) e Lettere alla mamma (1973). Scuola di Barbiana, Scuola per i ragazzi del popolo, fondata nel 1955 da don Lorenzo Milani, priore di Sant'Andrea di Barbiana, piccolo villaggio del Mugello. Ha espresso un nuovo orientamento didattico, legato all'esperienza quotidiana e ai problemi politici e sociali, in antitesi alla scuola ufficiale e ai suoi programmi tradizionali e astratti. Il libro Lettera a una professoressa (1967), scritto dai ragazzi di Barbiana, ha influito notevolmente sulla contestazione studentesca italiana del 1968.