L`analisi strategica

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L`analisi strategica
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La gestione strategica
Figura 1.1
Le fasi della
gestione
strategica
(modello
tradizionale)
Mission
Obiettivi di lungo termine
Analisi
strategica
Analisi esterna
Analisi interna
* La SWOT
analysis è
l‘analisi dei
punti di forza
(strength) e
debolezza
(weakness)
dell’impresa, e
delle
opportunità
(opportunities) e
minacce
(threats)
presenti nel
contesto in cui
opera.
SWOT analysis*
Scelte strategiche
Strategie corporate
Scelta
delle strategie
Strategie business
Strategie funzionali
Strategie globali
Realizzazione
delle
strategie
Struttura
organizzativa
Coordinare
strategie,
organizzazione
Controllo
strategico
Gestione del
cambiamento
L’analisi strategica
Il processo di gestione strategica può iniziare in vari modi, ma ben presto si pongono alcune domande. Quale impresa vogliamo essere? Verso quali obiettivi vogliamo
muovere? Quali capacità vogliamo sviluppare? Le risposte a questi interrogativi
14
La gestione strategica
l’altro scegliere in quale posizione collocare l’impresa rispetto ai concorrenti, quali
segmenti servire, quali relazioni allacciare con i fornitori e con i distributori. Tutto
ciò significa costruire e difendere i vantaggi competitivi.
Generare, valutare e selezionare le migliori opzioni strategiche è al primo posto
nelle responsabilità del management di ogni organizzazione. Tocca al management
guidare l’organizzazione verso un obiettivo o un altro. Senza strategia, il management non avrebbe principi per orientare la gestione, non avrebbe un piano per
costruire vantaggi competitivi e per rispondere alle attese del mercato.
La realizzazione delle strategie
Le strategie scelte devono infine essere realizzate, tradotte in azioni. Per farlo
occorrono una struttura organizzativa e un sistema di controllo; occorre creare
motivazioni; assegnare responsabilità e deleghe; pianificare le risorse; gestire
acquisizioni, dismissioni, fusioni. Dunque, la gestione strategica in questa fase
pone vari interrogativi:
1) Chi ha la responsabilità di realizzare le strategie? Quali persone e quali parti dell’organizzazione?
2) Per svolgere nuovi compiti occorre modificare la struttura organizzativa?
3) Occorre cambiare la composizione e la formazione delle risorse umane?
La realizzazione delle strategie comprende anche la gestione del cambiamento strategico. Quando cambiano le condizioni interne ed esterne, occorre cambiare non solo il
disegno organizzativo ma anche le procedure della gestione operativa.
1.4 Tre livelli di strategie: corporate, business, funzionale
In un’organizzazione si possono individuare strategie a tre livelli differenti, con
distinte responsabilità e autorità nella gestione strategica: strategie corporate; strategie business (dette anche strategie prodotto/mercato o strategie competitive) e strategie funzionali.
Figura 1.2
Tre livelli di
strategie
Livello
corporate
Corporate
Livello
business
Business
unit A
Business
unit B
Business
unit C
Livello
funzionale
Funzione
A
Funzione
B
Funzione
C
Il concetto di strategia e il processo di gestione strategica
Figura 1.3
Modelli di
analisi
dell’ambiente
esterno
secondo i
livelli di
strategia
Strategie
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Modelli/concetti
Strategie corporate
Transaction costs
Portfolio management
– Matrice Boston Consulting Group
– Matrice McKinsey General Electric
– Matrice Hamel-Prahalad
– Matrice Hofer-Schendel
PIMS
Strategie business
Paradigma SCP (structure-conductperformance)
– Modello delle 5 forze
– Gruppi strategici
Ciclo di vita del settore
mission distinta da quella delle altre parti dell’impresa. Il concetto fu introdotto da
General Electric, dove una business unit era (ed è) responsabile delle centrali elettriche, un’altra delle apparecchiature militari, un’altra della produzione di motori per
aerei. In totale, GE ha oltre duecento SBU, ciascuna con la propria strategia inquadrata nella strategia corporate e con mission, obiettivi e risorse propri.
A questo livello la strategia riguarda le scelte e le decisioni per competere con
successo. I problemi che il management affronta riguardano principalmente:
•
•
•
•
come affermarsi in un particolare ambiente competitivo;
quali vantaggi costruire rispetto ai concorrenti;
come cogliere le nuove opportunità individuate o create nei mercati;
quali prodotti e servizi sviluppare e in quali mercati, valutando in quale misura
tali prodotti e servizi rispondano alle esigenze dei consumatori in modo da raggiungere gli obiettivi dell’organizzazione.
La strategia competitiva riguarda le azioni che un’organizzazione intende adottare in
un singolo mercato o segmento di mercato:
• come affrontare la concorrenza?
• con quali criteri distribuire le risorse umane e finanziarie tra le varie funzioni
aziendali (finanza, marketing, produzione, ricerca e sviluppo di nuovi prodotti,
gestione delle risorse umane)? La strategia business può essere realizzata attraverso una funzione o una combinazione di più funzioni;
• come creare o mantenere un vantaggio competitivo?
A differenza della strategia corporate, che spesso ha di fronte una pluralità di settori
e una pluralità di mercati o segmenti di mercato, la strategia business è dunque focalizzata su un singolo mercato o un singolo segmento di mercato. Mentre la strategia
corporate può comportare la distribuzione delle risorse tra business che operano in
settori diversi, la strategia business deve distribuirle tra una pluralità di funzioni con
l’obiettivo di aumentare la capacità competitiva.
La gestione strategica nella realtà
Figura 2.1
Le quattro fasi
della strategia
di successo
secondo
McKinsey
4. Gestione strategica
Creare il futuro
3. Pianificazione orientata
verso l’ambiente esterno
Pensare strategicamente
Analisi dinamica
Analisi statica
Fonte:
elaborazione da
P. Ghemawat,
Strategy and the
Business
Landscape,
Addison Wesley,
New York, 1998.
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2. Pianificazione basata
su previsioni
Predire il futuro
1. Pianificazione
finanziaria
Budget annuale
Una seconda critica, più penetrante della prima, considerava un errore di principio
basare l’intera valutazione sul presupposto che il capitale fosse una risorsa scarsa e
che l’arena competitiva fosse statica. Per esempio, una ricerca applicò quattro differenti tecniche di analisi di portafoglio a un gruppo di 15 SBU controllate dalle stesse
imprese della classifica di Fortune, ed emerse che soltanto una su 15 era collocata
nella stessa area di ciascuna delle quattro matrici (Wind, Mahjan, Swire, 1983).
McKinsey corse ai ripari, riconoscendo queste debolezze e proponendo di procedere gradualmente verso una strategia di successo attraverso quattro fasi di crescente
dinamismo e incertezza (Fig. 2.1). In tal modo si attenuava la rigidità della matrice
originaria (Gluck, Kanfmean, 1979).
La critica più profonda alle tecniche di analisi proposte dai consulenti venne da
due professori di gestione della produzione ad Harvard: Hayes e Abernathy (1980).
La critica era concentrata sulla portfolio analysis come strumento che spingeva il
management a rendere minimo il rischio finanziario piuttosto che a investire le risorse in nuove opportunità con una prospettiva di lungo termine.
In parte come reazione alle critiche provenienti da varie fonti alla portfolio analysis, e in parte come evoluzione della fase precedente, negli anni Ottanta la gestione
strategica attinse in larga misura ai contributi di altre discipline: all’economia e alla
sociologia dell’organizzazione e, in misura minore, alle scienze politiche e alla psicologia (Rumelt, Schendel, Teece, 1998).
Negli anni Novanta e primi Duemila molti chiedono una radicale innovazione
nelle strategie delle imprese (White, 2004). Se si esce però dalle dichiarazioni di
principio e si passa all’esame delle proposte pratiche, molte di queste si ispirano a
principi noti (Collins, 2001).
È convincimento diffuso che la corporate strategy stile anni Settanta e Ottanta sia
morta. L’ambiente muove troppo rapidamente e in modo non prevedibile, dicono in
molti. Di conseguenza le strategie di lungo termine non hanno un valore pratico. Il
management è più interessato alla gestione corrente che alle strategie. L’obiettivo è
restare lean (snelli), flessibili, vicini al cliente, reagire rapidamente alle mosse dei rivali.
Avendo di fronte mercati con domanda che cresce lentamente o che addirittura
cala, con una perdita di capacità di fissare i prezzi e con una concorrenza brutale,
32
La gestione strategica
Approccio dal basso verso l’alto. Con una serie di ricerche su come vengano
prese nella realtà le decisioni strategiche, Henry Mintzberg ha dimostrato che la pianificazione (e quindi la gestione strategica) raramente è il risultato di un processo
razionale. Nella maggior parte dei casi le strategie emergono dalla «base» dell’organizzazione. Sono spesso la risposta a eventi imprevisti e in gran parte vanno dal basso
verso l’alto nella gerarchia organizzativa.
Per Mintzberg (1978) la strategia è «un modello in un flusso incessante di decisioni
o di azioni». Egli sostiene che il processo di formulazione di una strategia non segue un
percorso lineare, spesso è irregolare e discontinuo, procede per fits and starts (tra soste
per adattarsi e nuove accelerazioni). Nello sviluppo della strategia vi sono periodi di stabilità, ma anche periodi di alti e bassi, di tentennamenti, a volte miglioramenti per piccoli passi, a volte cambiamenti radicali. È bene sottolineare che secondo Mintzberg
entrambi gli approcci sono necessari (anche il cervello umano ha un lato che agisce sulla
sfera razionale, quello sinistro, e un lato che agisce sulla sfera emotiva, quello destro).
Il pensiero di Mintzberg può essere così riassunto: distinguere fra strategie scelte,
strategie pianificate (intended strategy) e strategie realizzate. Una parte delle strategie scelte e pianificate non sono realizzate; la parte realizzata è indicata con l’espressione deliberate strategy (Fig. 2.2).
Gran parte delle strategie realizzate emerge da fatti e da azioni che non facevano
parte delle strategie pianificate. Questa parte, preponderante nella realtà secondo
Mintzberg, è indicata con l’espressione emergent strategy. Le strategie effettivamente realizzate sono la combinazione delle strategie emergenti e delle strategie
deliberate.
Altri prima di Mintzberg avevano detto le stesse cose, usando però parole diverse:
per esempio, il concetto di adattamento costante dei piani alla realtà e il concetto di
miglioramento graduale, per piccoli passi, sono molto simili alle idee di Andrews.
Le conclusioni di Mintzberg sono state confermate anche da altri ricercatori tra i
quali Pascale, che studiando il caso dell’entrata di Honda nel mercato delle motociclette degli Stati Uniti, osservò come il successo dell’impresa giapponese non fu una
strategia deliberata, ma una strategia emergente (vedi Il caso: The Honda Story).
Figura 2.2
Strategie
pianificate ed
emergenti
secondo
Mintzberg
S
c tra
vo he l‘ tegie
rre
i
bb mpre
ea
do sa
tta
re
Str
ate
gie
pia
nif
ica
te
Strategie
realizzate
Fonte: H.
Mintzberg «Five
Ps for Strategy»,
California
Management
Review, Fall
1987.
Strategie non
realizzate
Strategie emergenti
La gestione strategica nella realtà
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Mintzberg e i molti sostenitori delle sue tesi concludono che il management deve:
• riconoscere rapidamente le strategie emergenti sprigionate dall’organizzazione,
coltivare le migliori e accantonare le peggiori;
• confrontare le strategie emergenti con gli obiettivi dell’impresa, con le minacce e
le opportunità provenienti dall’ambiente e con le forze e le debolezze interne.
In definitiva, per dare successo a una strategia il management deve pensare in modo
strategico e deve disporre di una cultura organizzativa capace di creare continuamente strategie emergenti (Hill e Jones, 1998). La formulazione della strategia con il
modello tradizionale è dall’alto verso il basso, mentre quella emergente è dal basso
verso l’alto (Fig. 2.3).
Le critiche di Mintzberg non sono le uniche. Si può osservare che se in effetti il
modello tradizionale contribuisce alla formulazione di decisioni strategiche, tuttavia
non è dimostrato che la gestione strategica migliori necessariamente i risultati dell’impresa. A questa critica si risponde portando i risultati di ricerche dalle quali
emerge che le imprese capaci di sviluppare e rafforzare costantemente un orientamento strategico – qualunque sia la loro strategia – sembrano distinguersi dai concorrenti che hanno avuto meno successo, per una serie di modelli di gestione:
a) individuano, meglio di altri, i fattori di successo nell’economia di ciascun business;
b) segmentano il mercato riuscendo a sfruttare meglio i propri vantaggi competitivi
e a evitare il confronto con i rivali più forti;
c) conoscono a fondo i vantaggi competitivi propri e dei concorrenti;
d) riescono meglio ad anticipare le risposte dei concorrenti;
e) sono in posizione migliore per cogliere rapidamente le opportunità che si presentano (Thompson, 1997; Morrison, Lee, 1979).
Figura 2.3
Strategie
pianificate
e strategie
emergenti a
confronto
Strategie pianificate
Analisi
esterna
Mission e
obiettivi
Analisi
interna
Mission e obiettivi
Analisi
esterna
Fonte: C. Hill, G.
Jones, Strategic
Management,
Houghton
Mifflin, New
York, 1998.
Strategie emergenti
Scelta delle
strategie
Analisi
interna
Scelta delle strategie
(rispondono agli obiettivi)
Strategie pianificate
Strategie emergenti
Realizzazione
Cultura dell‘organizzazione
Dall’alto verso il basso
Dal basso verso l’alto
La mission e gli obiettivi di lungo termine
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Contenuto definito. Quanto al contenuto, Ashridge Strategic Management Centre
esaminò 200 mission di imprese di vari paesi e la prima conclusione fu l’estrema
varietà delle formulazioni, con una certa confusione riguardo al significato del termine. Alcune imprese consideravano la mission come uno strumento strategico, altre
come una sorta di disciplina intellettuale (Campbell, Yeung, 1990).
La mission di Mars
L’impresa americana, in una pubblicazione di
26 pagine, definisce ampiamente la mission.
Ecco alcuni stralci:
«Noi, in Mars abbiamo precisi convincimenti
– i nostri cinque principi – circa il nostro business e circa il modo in cui l’impresa debba
essere gestita. Questi principi non sono facili
da realizzare, ma non possono essere ignorati.
Siamo convinti che debbano essere alla base
del nostro successo e debbano orientare il
nostro futuro».
Quality. The consumer is our boss, quality is
our work and value for money is our goal.
Responsibility. As individuals, we demand
total responsibility from ourselves; as associates, we support the responsibilities of others.
Mutuality. A mutual benefit is a shared benefit; a shared benefit will endure. Efficiency.
We use resources to the full, waste nothing and
do only what we can do best. Freedom. We
need freedom to shape our future; we need
profit to remain free».
La mission afferma sempre principi generali che indicano le posizioni nel lungo termine alle quali l’impresa mira con le proprie strategie. Questi principi dovrebbero
essere sufficientemente flessibili da consentire all’impresa di rispondere agli eventuali cambiamenti nelle condizioni dell’ambiente (ecologia, tecnologie, economia) e
al tempo stesso indicare un cammino alle proprie strategie.
Le varie ricerche giungono a una conclusione, ossia che la mission risulta dalla
definizione di quattro elementi (Fig. 3.1).
Figura 3.1
I quattro
principali
elementi
definitori della
mission
Mission
Definire
gli obiettivi
di lungo termine
• Nell’interesse di
chi è gestita l’impresa?
– shareholder
value
– corporate
stakeholder
Definire il business
• Quale allocazione delle risorse?
In quale(i) business?
– un solo business
– più business
• Quale livello di
rischio correre?
Definire le politiche
e i «valori»
• Quali valori?
Definire i rapporti
tra «business ethics»
e risultati economici
• Quali decisioni
strategiche hanno
una componente
etica?
• Quali responsabilità verso la
società?
La mission e gli obiettivi di lungo termine
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Il caso Tylenol e la reputazione di J&J
Nei manuali americani di strategic management si ricorda come Johnson & Johnson
(J&J) sia riuscita a ribaltare gli effetti della
crisi del Tylenol. Dopo i sette morti a Chicago
avvelenati da cianuro iniettato da un ignoto
criminale, J&J ritirò immediatamente dal mercato il prodotto sostenendo un costo di $ 100
milioni. Trascorso un certo periodo, i consumatori premiarono J&J comprando Tylenol
più di prima. Il caso aveva creato notorietà
(solo inizialmente negativa) al prodotto e forte
reputazione (di serietà e volontà di proteggere
il consumatore) del produttore.
Ventanni più tardi la Food and Drug Administration (FDA) ordinava il ritiro del Tylenol
perché era risultato essere un rischio potenziale per i reni di chi lo usava. Cinquantacinque milioni di americani usavano abitualmente Tylenol. Johnson & Johnson aveva fatto del
Tylenol un grande successo, sostenuto da una
campagna pubblicitaria «Nothing’s safer» (nulla di più sicuro). Ma l’FDA aveva accertato
che l’uso del Tylenol associato all’alcol poteva
seriamente danneggiare i reni dei pazienti.
Le imprese della chimica, del packaging e quelle dell’auto (Fig. 3.2) si impegnano
al rispetto dell’ambiente sia nei processi di produzione sia nei prodotti (per esempio detersivi biodegradabili). Le imprese della cosmetica rinunciano pubblicamenFigura 3.2
I valori chiave
e i principi
guida del
Gruppo Fiat
Essere
gruppo
Valorizzazione
e rispetto per
le persone
Soddisfazione
del cliente
Creazione
di valore
Volontà
di superarsi
Integrità
e rigore
Tempestività
e determinazione
nelle decisioni
Globalizzazione
Ricerca del
confronto
Competenza
professionale
come passione
Propositività
Fonte: Fiat,
Valori e politiche
del Gruppo Fiat,
settembre 1997.
Analisi del macroambiente: minacce e opportunità
Figura 4.1
Tre metodi di
analisi del
macroambiente
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Macroambiente
L’analisi delle grandi
variabili
•
•
•
•
politica
economia
società/cultura
tecnologia
Quali legami esistono tra il
nostro business e le grandi
variabili?
Quali cambiamenti nelle
grandi variabili possono
creare minacce e opportunità?
L’analisi delle attese
degli stakeholder
L’analisi degli scenari
•
•
•
•
•
Quali scenari del futuro?
Se lo scenario cambia, quali
ripercussioni dobbiamo
attenderci sul nostro business?
clienti
azionisti
fornitori
finanziatori
collaboratori
Quali sono le attese dei
vari stakeholder?
Come agiscono tali attese
sulle nostre strategie?
Internet, per esempio, è una nuova tecnologia che ha creato opportunità per raggiungere nuovi potenziali clienti. La sensibilità ambientalista dei consumatori è una tendenza inarrestabile: alcune imprese hanno scelto – con scarso successo – di convincere l’opinione pubblica che i danni ecologici causati dai loro prodotti e processi produttivi erano meno gravi di quanto sembrasse; altre, più avvedute, sono corse ai ripari cambiando prodotti e processi e dimostrando che la tutela ambientale era parte
integrante delle loro strategie.
Anziché resistere a ciò che la circonda, l’impresa dovrebbe acquisire le tendenze
dominanti e incorporarle facendone un propulsore delle proprie strategie.
Le minacce sorgono quando le tendenze dell’ambiente esterno mettono in pericolo la redditività dell’impresa. Internet, per esempio, non è soltanto un’opportunità,
ma è anche una minaccia per certi metodi di vendita tradizionali.
L’ambiente è un campo sterminato di variabili che possono essere esaminate sotto
le angolazioni più diverse. Le capacità del management, i valori personali, le strategie adottate, il grado di successo ottenuto dalle imprese in passato e la sensibilità
all’ambiente esterno e alla sua evoluzione sono diversi da un’impresa all’altra. Di
conseguenza, differiscono sia la scelta delle variabili da osservare sia l’interpretazione del loro andamento.
Le strategie adottate dall’impresa danno un primo forte orientamento all’analisi
delle variabili. Un’impresa che scelga di competere sulla base dei costi bassi bada ad
alcune grandi variabili:
• le tendenze della domanda (in quanto bassi costi significa necessità di grandi
volumi);
• il costo dei fattori e in particolare del lavoro.
L’impresa che invece adotta una strategia di nicchia scruta nell’ambiente l’emergere
di nuove opportunità, cerca le differenze, cerca di individuare le aree del mercato
dimenticate o trascurate dai rivali più potenti.
Analisi del macroambiente: minacce e opportunità
Figura 4.2
Matrice delle
priorità
nell’analisi
dell’ambiente
Probabilità
Alta
Alta
priorità
Media
priorità
Media
Bassa
priorità
Bassa
Fonte: L.
Lederman,
«Foresight
Activities in the
USA: Time for a
Re-Assessment?»,
Long Range
Planning; vol. 3,
1984, pp. 41-50.
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Alto
Medio
Basso
Impatto
• In questa analisi, infine, è importante l’approccio mentale. Due sono gli obiettivi: anzitutto individuare la natura dell’incertezza. L’ambiente è relativamente
stabile o è intensamente dinamico? Esistono segni di profondi cambiamenti in
corso? In secondo luogo, individuare le tendenze che possono agire sulle scelte
strategiche.
L’analisi PEST
Per individuare quali variabili dell’ambiente esterno abbiano il maggiore impatto sul
futuro di un’impresa si possono usare varie tecniche, tra cui la più nota è l’analisi
PEST, che considera variabili della Politica, dell’Economia, della Società e della
Tecnologia (Fig. 4.3).
Come abbiamo già ricordato, nella scelta delle variabili e nella loro interpretazione molto dipende dalla natura del settore, dalla struttura della concorrenza, dalle strategie adottate e dalle capacità del management. È quindi possibile costruire molti
schemi (griglie) diversi, secondo le singole situazioni specifiche.
Commentiamo in breve i quattro grandi gruppi di variabili, con alcune premesse:
a) l’impresa deve capire come le variabili principali dell’ambiente possono agire sul
futuro del business, come cambiano e come interagiscono l’una con l’altra;
b) le variabili non sono entità separate, ma interdipendenti: una nuova ondata di
innovazione tecnologica può mettere in crisi una parte dell’economia, può creare
78
L’analisi strategica
disoccupazione, tensioni sociali e spingere il governo a varare nuove leggi in
materia di mobilità del lavoro da un lato, e nuove discipline della concorrenza
dall’altro;
c) alcuni sostengono che esiste una combinazione ottimale fra le strategie di un’impresa e il suo ambiente, una sorta di combinazione unica che offre la migliore
posizione possibile (Chandler, 1962). Altri affermano invece che i manager hanno
un’ampia varietà di scelta e che sono molte le configurazioni strategiche possibili per l’impresa. Ciò che conta è che la configurazione scelta crei valore per i
clienti, fornendo loro prodotti e servizi attraenti e la cui produzione e vendita crei
valore per gli azionisti dell’impresa (Child, 1972).
Figura 4.3
Le principali
variabili di
un’analisi Pest
Politica
Economia
Stabilità del governo
Prodotto interno lordo (PIL)
Pressione fiscale
Consumi privati
Disciplina della concorrenza,
del mercato del lavoro e dei capitali
Distribuzione dei redditi tra la
popolazione
Protezione dell’ambiente
Reddito disponibile
Corporate governance
Inflazione
Deregulation
Salari/costo del lavoro
Atteggiamento verso gli investimenti
stranieri
Intervento dello stato nell’economia
(imprese pubbliche)
Privatizzazione
Barriere allo scambio internazionale
Investimenti privati e pubblici in
macchinari e attrezzature, in
costruzioni
Apprezzamento/deprezzamento
della moneta rispetto a quelle dei
concorrenti
Costo del denaro
Società/cultura
Demografia: distribuzione della
popolazione per classi di età;
composizione dei nuclei familiari
Stile di vita
Sensibilità ai rapporti dieta/salute e
valore del prodotto/prezzo
Sensibilità alla difesa dell’ambiente
Movimenti di protezione del
consumatore
Attitudini verso il lavoro
e l’imprenditorialità
Valori della tradizione
Tecnologia
Investimenti in R&S nei vari settori
e nell’economia in generale
Protezione della proprietà
intellettuale
Ritmo di lancio di nuovi prodotti
Qualificazione professionale della
forza lavoro
80
L’analisi strategica
Figura 4.4
Esempi di
effetti
generati da
decisioni
politiche
Fattori
Effetti
Settori coinvolti
Controlli alle frontiere
Meno viaggi da e verso
il paese
Compagnie aeree,
turismo, hotel, ristoranti
Minori sussidi ai prezzi
dei prodotti agricoli
Aumento dei prezzi delle
materie prime agricole.
Perdita di competitività
dei paesi in cui l’agricoltura
è meno efficiente
Produzioni agricole.
Macchine per la
lavorazione di materie
prime alimentari
Entrata di un paese
nell’Unione Europea
e nell’area euro
Rispetto dei vincoli di
Maastricht (tassi di
interesse, inflazione, debito
pubblico).
Moneta unica
Tutti i settori, ma in
particolare quelli che in
precedenza puntavano
sulla svalutazione
competitiva
Fine della Guerra fredda
Spostamenti nei flussi
import-export.
Taglio delle spese militari
Tutti i settori, ma in
particolare quelli degli
armamenti e aerospaziali
ne per ottenere una maggiore capacità competitiva nei mercati mondiali. Il piano di
GE mirava a dar vita a un sistema di prodotti combinando i propri motori a reazione
con le attrezzature di avionica di Honeywell. L’agenzia antitrust della Commissione
Europea, preoccupata che la fusione potesse escludere dal mercato i concorrenti che
non disponevano di un’analoga gamma di prodotti, chiese a GE di vendere oltre la
metà della divisione aerospaziale di Honeywell (i motori a reazione e parte dell’avionica). GE fece una controfferta che l’antitrust giudicò tuttavia troppo lontana dalla
richiesta. Per la prima volta nella storia, una fusione negli Stati Uniti fu abbandonata
per effetto di una decisione dell’antitrust europeo. Il divieto della Commissione non
solo bloccò il progetto, ma mise anche in crisi il management di Honeywell, che accusò GE di avere condotto in maniera non adeguata la trattativa con le autorità europee.
Economia
Molte variabili economiche possono incidere sulla strategia. A titolo di esempio consideriamo l’impatto dell’andamento del PIL, dei tassi di interesse e dei cambi.
• L’andamento del PIL. Se il PIL cresce dovrebbero crescere anche le sue componenti principali: consumi (privati e pubblici), investimenti e il saldo importexport. L’aumento dei consumi e degli investimenti creano opportunità: l’aumento della domanda apre spazi di mercato e rende meno intensa la competizione;
nascono nuove imprese e alcuni settori hanno forti spinte allo sviluppo (es. i prodotti di lusso, le costruzioni edili, il turismo e il trasporto aereo). Al contrario, se
il PIL scende o rallenta la crescita in genere scendono sia i consumi sia gli investimenti. La concorrenza diventa più forte, aumentano i fallimenti di imprese e la
disoccupazione; alcuni settori entrano in crisi e pochi si salvano.
• Il costo del denaro. Questo fattore agisce profondamente sulla domanda: se il
costo aumenta, scende la domanda di tutto ciò che fa ricorso al credito. Soffrono
82
L’analisi strategica
Figura 4.5
Esempi di
effetti
dell’andamento
dell’economia
Fattori
Effetti
Settori coinvolti
Aumento del costo del
denaro
Minore propensione a
investire da parte delle
imprese e da parte delle
singole persone. Minore
propensione a ricorrere al
credito per finanziare gli
acquisti
Tutti i settori, ma in
particolare quelli delle
imprese di costruzioni e
delle imprese che fanno
forte ricorso al credito (per
vendere o per comprare)
Andamento dei cambi
(apprezzamento,
deprezzamento)
Costo di produzione più
alto o più basso a causa di
variazioni nei prezzi delle
materie prime quotate nei
mercati internazionali
Tutti i settori, ma in
particolare quelli che
hanno quote rilevanti di
acquisti o vendite in altre
monete
Turismo
Competitività più alta o
più bassa delle
importazioni e delle
esportazioni
Prodotti petroliferi,
chimica di base
Occorre poi ricordare che l’economia di un’impresa può dipendere da un settore di
fornitori o da un settore di clienti, i quali a loro volta possono subire gli effetti di
trend ambientali che non sarebbero di per sé rilevanti per l’impresa stessa (Fig. 4.5).
Per molte imprese che si trovano nella posizione intermedia della catena di fornitura
(supply chain), la domanda di prodotti è una domanda derivata (è il caso dei produttori di componenti per auto).
L’integrazione economica ha creato una forte interdipendenza soprattutto fra i tre
maggiori sistemi: Stati Uniti, Unione Europea e Giappone. I conflitti sorti sulle correnti di scambio, le politiche di protezione delle industrie nazionali e l’andamento
della competitività in rapporto ai cambi hanno inciso in misura rilevante sulle strategie delle imprese multinazionali.
Società/cultura
Sono molti i fattori sociali che agiscono sull’economia delle imprese, direttamente o
indirettamente. Vediamo alcuni esempi.
• La demografia è una delle componenti più importanti. Se la popolazione invecchia cambiano i consumi, cresce il mercato dei prodotti per la salute. Se le unità
di consumo (famiglie) sono sempre più piccole, se aumenta il numero dei single,
cambiano i consumi. Se la popolazione è sempre più attenta al rapporto dieta/
salute cresce la spesa alimentare in valore, ma cala quella in volume.
• L’aumento dei redditi individuali ha favorito la motorizzazione e questo fenomeno ha cambiato il modo di vivere di molte persone e le strategie della grande
distribuzione. Grazie alla maggiore facilità di movimento dei consumatori, la
Analisi del macroambiente: minacce e opportunità
83
grande distribuzione ha aperto punti vendita con ampie superfici, localizzati nelle
periferie dei grandi agglomerati urbani o all’incrocio tra le grandi vie di comunicazione e ha contribuito a diffondere l’abitudine del one-stop-one-shopping. Al
tempo stesso questa tendenza ha contribuito al declino di molti piccoli punti vendita indipendenti situati nel centro delle città. Effetti analoghi ha avuto l’aumento
dei prezzi delle superfici in aree urbane. La distribuzione di mobili per la casa ha
subito le conseguenze più evidenti. Avendo necessità di grandi superfici per
esporre i prodotti al pubblico, è stata spinta verso le periferie e lungo le strade di
avvicinamento alle città.
• L’invecchiamento della popolazione e la maggiore esperienza dei consumatori
negli acquisti, unita all’aumento dei redditi, ha determinato il parziale tramonto
dei mercati di massa. Alla frammentazione dei mercati le imprese hanno risposto
adottando strategie di nicchia e di mass customization.
• Uguali opportunità sulla base del sesso, della religione e della razza è un principio entrato a far parte di molte legislazioni. Gli effetti si manifestano non solo sull’occupazione ma anche sullo stile di vita e nella disponibilità di reddito per le
minoranze. Il ruolo della donna nella società, per esempio, è cambiato radicalmente dagli anni Ottanta in poi.
Comunque, mentre per l’analisi dei cambiamenti demografici sono disponibili molti
dati (classi di età e composizione della popolazione; tasso di natalità e mortalità;
gruppi socioeconomici), più difficile è avere dati sul cambiamento del comportamento delle persone.
È relativamente facile conoscere il numero dei maschi o delle femmine che compongono una popolazione e conoscere quanti maschi raggiungeranno (in base alla
speranza di vita) l’età di 55 anni nel 2005; più difficile è valutare i cambiamenti nello
stile di vita, nella propensione al consumo, nelle attitudini verso la difesa dell’ambiente. Ancora, è abbastanza facile conoscere le tendenze del cambiamento, ma più
complicato misurare la rapidità del cambiamento. È poi semplice decifrare nel com-
Figura 4.6
Esempi di
effetti dei
cambiamenti
nella società
Fattori
Effetti
Settori coinvolti
Invecchiamento della
popolazione
Maggiore domanda di
prodotti per la difesa
della salute
Farmaceutica, servizi
finanziari, servizi alla
persona, servizi per il
tempo libero,
assicurazione, fondi
pensione
Stile di vita. Aumento dei
single per scelta
Cambia la domanda di
beni di consumo durevoli
e non durevoli; diventa più
selettiva
Packaging, tempo libero,
elettrodomestici,
autoveicoli, mobili
e articoli per la casa,
costruzioni edili
Cambia la domanda di
alloggi
Analisi del macroambiente: minacce e opportunità
mente lungo la stessa linea; vengono scomposti in codici digitali di informazioni e riassemblati quando arrivano a destinazione.
Per assicurarsi i vantaggi delle nuove tecnologie, nel 1997 World.Com pagò $ 37 miliardi
85
per l’acquisto di MCI, il secondo gestore di
telefonia long-distance degli Stati Uniti. Dall’acquisto emerse uno tra i principali gestori di
servizi Internet e di comunicazioni telefoniche
internazionali.
L’impatto del cambiamento tecnologico può essere considerato sotto due profili:
• l’ampiezza del cambiamento, in quanto l’innovazione tecnologica varia da incrementale (come i miglioramenti nelle prestazioni di una macchina fotografica) a
radicale (l’arrivo di Internet). L’innovazione radicale è la più importante per l’impatto che ha sulle strategie;
• la posizione dell’impresa nel settore, per cui Porter (1980) distingue tra:
– rule makers, che stanno nel settore da lungo tempo e dettano le regole del successo, valide fino a quando il settore mantiene stabilità;
– rule takers, che sono soltanto imitatori e non hanno scelta: il potere dei rule
maker è così forte da lasciare loro solo l’alternativa tra imitare o abbandonare;
– rule breakers, in genere piccole imprese che creano nuove regole per la competizione e destabilizzano il settore. Poiché scardinano le vecchie regole, possono essere considerate dei rivoluzionari, riconducibili a due categorie: a)
rivoluzionari dentro il settore di appartenenza, ossia imprese del settore che
adottano strategie completamente nuove partendo dalle regole esistenti (per
esempio le prime banche ad adottare il trading on line); b) rivoluzionari provenienti dall’esterno del settore, nuovi entrati che introducono nuove strategie, destabilizzano e a volte distruggono il settore (è il caso del cd-rom, che ha
cambiato drasticamente il mercato delle enciclopedie).
La difesa della proprietà intellettuale lega la politica alla tecnologia. Nei settori in
cui la ricerca di nuovi prodotti comporta investimenti rilevanti, la propensione a investire è in rapporto alla possibilità di proteggere le innovazioni. Se la protezione è alta
Figura 4.7
Esempi di
effetti dei
cambiamenti
nelle
tecnologie
Fattori
Effetti
Settori coinvolti
Internet
Possibilità di nuovi business
model
Tutti, ma in particolare
quelli in cui il prodotto
può essere digitalizzato
Introduzione del Jumbo Jet
Sviluppo del trasporto
aereo su lunghe distanze
e a basso costo
Turismo di massa.
Trasporto aereo passeggeri
e merci
Fibre ottiche
Spostamento della
domanda di cavi verso
le fibre ottiche
Produttori di cavi,
industria dell’acciaio
e delle comunicazioni
92
L’analisi strategica
Forze trainanti. Ogni scenario individua le forze che cambiano la storia e la spingono in un particolare plot. Tali forze sono numerose, ma possono essere distinte in
due grandi categorie: quelle ambientali sulle quali l’impresa non può agire e quelle
che dipendono dall’azione dell’impresa.
Logica. È il sistema di concetti che sta alla base del plot o della trama di uno scenario. Sono i «perché» che danno origine ai «che cosa» e ai «come» di un «plot».
La logica fornisce la spiegazione del perché specifiche forze o certi attori agiscono in un dato modo. Per esempio, perché Juventus, Inter e Milan, potrebbero essere tra i principali sostenitori di un Campionato d’Europa per club da giocare il
mercoledì a fianco del campionato italiano che continuerebbe a essere giocato nei
weekend? Il motivo principale è sfruttare maggiormente il patrimonio giocatori e
l’immagine.
Plot. È la trama che produce un dato stadio finale. Ogni trama contiene una storia
che lega il presente allo stadio finale; illustra cosa deve accadere affinché il futuro
produca una data serie di eventi.
Stadio finale. Affinché lo scenario dia risultati non ambigui, deve descrivere un
particolare stadio finale. Cosa avverrà, in presenza di date condizioni o circostanze,
in un dato periodo futuro? Un modo per costruire le caratteristiche dello stadio finale
consiste nel rispondere alla domanda: «Che cosa accadrebbe se…?».
Tornando all’esempio del Campionato d’Europa, un interrogativo possibile è:
che cosa faranno gli spettatori di fronte a due campionati in contemporanea? A
seconda degli obiettivi dello scenario, gli stadi finali possono essere generici o dettagliati. Restando al Campionato d’Europa, la domanda precedente fornisce una
Figura 4.8
Gli elementi
base di uno
scenario
Forze trainanti
Plot o story
Stadio finale
Mondo reale
La situazione
attuale
Cosa deve accadere affinché emerga lo stadio finale
tracciato dallo scenario
Condizioni e circostanze che prevalgono alla fine del
periodo abbracciato dallo scenario
Logica
Fonte: adattato
da L. Fahey, R.M.
Randall,
Learning from
the future, cit.
1998.
Spiegazione o
razionalità di
quanto contenuto
nel plot
Analisi dell’ambiente competitivo
99
(Thompson e Formby, 1993, p. 11). Se il modello è in grado di spiegare per quale
motivo avviene un certo fenomeno, esistono le premesse per poter prevedere.
Ammesso che esistano più modelli in grado di semplificare l’analisi della realtà, la
scelta tra l’uno e l’altro dipende dalla prospettiva in cui si pone l’analista. Due tra le
principali prospettive sono quelle delle strategie corporate e delle strategie competitive.
Quando l’analisi strategica ha per oggetto una strategia corporate è disponibile una
minore varietà di modelli a confronto con le strategie competitive. Le strategie corporate affrontano problemi come la diversificazione e l’integrazione verticale o orizzontale. Il problema principale è stabilire se il profitto possa essere generato combinando
business (in senso verticale, orizzontale, o laterale, o in altri modi), metodi di mercato
(contratti) o forme ibride (come per esempio joint-venture, franchising, alleanze).
I modelli adottati nell’analisi delle strategie competitive possono essere a loro
volta distinti in modelli che mettono in primo piano i vantaggi derivanti dal potere di
mercato (per esempio il «modello delle cinque forze») e modelli che danno risalto
all’efficienza interna (prospettiva resource-based) (Teece, Pisano e Shuen, 1997;
Teece, 1998). Quando l’analisi strategica ha per oggetto una strategia competitiva,
esiste un’ampia varietà di modelli. Molti di questi derivano da un paradigma di analisi della industrial organization (IO) noto come structure-conduct-performance
(SCP). I due modelli più noti sono il modello delle cinque forze e il modello del ciclo
di vita del settore, di cui esamineremo in dettaglio le caratteristiche.
Quali modelli adottare per un’analisi dell’ambiente competitivo? La prima cosa
da fare è definire che cosa si intende per ambiente competitivo e il modo migliore per
definirlo è porsi dal punto di vista del cliente e chiedersi: «Con quali altri prodotti il
nostro entra in concorrenza, quando una persona o un’organizzazione decide di
acquistare?». Capire quali sono i fattori di successo in un dato contesto competitivo,
individuare i rivali e le strategie, i prodotti e servizi con cui competono, significa
porre le premesse per decidere quali strategie adottare.
L’analisi dell’ambiente competitivo è fatta «a cascata» partendo dall’analisi del
settore, per passare poi all’analisi dei concorrenti, all’analisi della domanda (potenziali compratori) e concludere con la segmentazione del mercato e il posizionamento
dell’impresa rispetto ai concorrenti (Fig. 5.1).
Figura 5.1
Analisi a
cascata
dell’ambiente
competitivo
Analisi del settore
(struttura)
Analisi dei concorrenti
Analisi della domanda
(potenziali compratori)
Segmentazione del mercato e posizionamento
(dell’impresa rispetto ai concorrenti)
Analisi dell’ambiente competitivo 101
Figura 5.2
Due metodi
per l’analisi
dei fattori di
successo
Analisi dei fattori
di successo
Analisi empiriche
Le «tre C»
2) concentrare l’attenzione sulle «tre C» (customer, competition, corporation) come
suggerisce Ohmae (1983).
Le analisi empiriche
Per individuare i fattori chiave si può anzitutto attingere alle ricerche empiriche
disponibili per molti settori economico-produttivi. Tra le più note e attendibili vi è la
già citata analisi PIMS, che parte da un banca dati comprendente oltre 100 indicatori
relativi a un campione di oltre 3000 business unit di circa 450 imprese americane,
europee e asiatiche, e abbraccia un periodo che, secondo i settori, può arrivare anche
a 15 anni (Buzzell, Gale, 1986).
La ricerca mira a stabilire quali strategie, e in presenza di quali condizioni, producano determinati risultati in termini di ROI, ossia di redditività, e di cash flow,
indipendentemente dalla natura dei prodotti e dei servizi. Il metodo PIMS ha individuato nove fattori strategici che rivelano il maggiore impatto (circa l’80 per cento)
sulla redditività, e costruisce i profili di imprese con ROI basso e con ROI elevato
(vedi capitolo 14).
Le «tre C»
Esaminare le risorse e le capacità che l’impresa possiede non è sufficiente: occorre
anche confrontarle con quelle dei concorrenti. Secondo Ohmae (1983) la ricerca dei
fattori di successo deve essere concentrata sulle cosiddette «tre C»:
• customer, i clienti. Che cosa chiedono i clienti? Verso quali segmenti del mercato
l’impresa può orientare le proprie strategie? Sono quelli con il maggiore potenziale?
• competition, la concorrenza. Di quali risorse dispongono i migliori competitor per
ottenere i loro successi? L’impresa come può affrontare la concorrenza? Dal confronto con i concorrenti, che cosa emerge in fatto di prodotti, prezzi, qualità e altri
fattori di successo?
• corporation, le risorse dell’impresa. L’impresa possiede risorse superiori a quelle
dei rivali? E quali? Che cosa emerge dal confronto tra i costi, le tecnologie, le
capacità professionali, l’efficacia dell’organizzazione?
Analisi dell’ambiente competitivo 103
• performance: i risultati (redditività e altre misure) di un’impresa in un settore o in
un mercato dipendono dalla condotta (strategia) delle imprese che comprano per
quanto riguarda la politica dei prezzi, dalle politiche delle imprese che vendono
(fornitrici) per quanto riguarda i costi, dalla cooperazione tacita o esplicita tra
imprese, dalle politiche adottate per gli altri elementi del marketing mix (prodotto, distribuzione, promozione) e dalle politiche degli investimenti.
Questo modello della industrial economics non riesce però a rispondere alla
domanda centrale di ogni scelta strategica: perché tra le imprese che operano nella
stessa arena competitiva, alcune hanno successo mentre altre no? Per quale motivo
imprese che affrontano le stesse condizioni di base della domanda e dell’offerta e
operano nella stessa struttura di mercato raggiungono risultati spesso profondamente diversi?
Figura 5.3
Il paradigma
SCP, structureconductperformance
Struttura
del settore
Strategie
delle imprese
Risultati
Structure
Conduct
Performance
Da Fruhan e Biederman a Porter. Il paradigma SCP ha dato vita a una famiglia
di modelli tra cui due in particolare meritano un cenno, per il tentativo (da pionieri)
di integrare l’analisi di settore con l’analisi strategica dell’impresa.
Sono i paradigmi di Fruhan e Biederman, ripresi poi da Porter e divulgati come
modello delle cinque forze.
Fruhan (1972) si è chiesto con quali strategie le imprese competano nel trasporto
aereo e quali fattori siano rilevanti per garantire il successo a tali strategie. Ha perciò
costruito un modello quantitativo comprendente nove variabili con l’obiettivo di stabilire quali di queste fossero sotto il controllo del management delle compagnie
aeree americane e quali invece fossero sotto il controllo dell’U.S. Civil Aeronautics
Board. Quattro delle nove variabili riguardavano la struttura delle rotte (grado di
competizione sulle rotte, struttura delle rotte in termini di distanze percorse, densità
del traffico e stagionalità); una riguardava la struttura dei prezzi (redditività a confronto con quella media del settore); altre tre variabili riguardavano la gestione della
flotta (utilizzazione della flotta, qualità della flotta, sviluppo della flotta come politica per allargare le quote di mercato); l’ultima, non per importanza, era la qualità del
management.
Anche Biederman (1982) ha proposto un paradigma studiato sulla struttura del
settore del trasporto aereo, individuando nella rilevanza della disciplina del settore
dettata da organi dello stato la principale differenza rispetto ai paradigmi applicati
allo studio di altri settori industriali (modello Scherer). Il paradigma di Biederman
afferma che le performance del settore sono la risultante di cinque forze:
104 L’analisi strategica
a)
b)
c)
d)
e)
grado di concentrazione dell’offerta;
andamento della domanda di trasporto aereo;
struttura dei costi;
barriere all’entrata;
mercati degli input (materiali, componenti, servizi).
Queste cinque forze determinano due strategie principali dell’impresa:
• competizione basata sul prezzo;
• competizione basata sulla differenziazione del servizio.
Scrive acutamente Kay (1996, p. 38): «Porter ha riscritto il modello SCP rendendolo
più accessibile al management dell’impresa. Ha così trasformato la industrial economics in business strategy». Anche il modello Porter non risolve, e non potrebbe risolvere, le debolezze del modello SCP. La domanda senza risposta è analoga a quella
fatta in precedenza a proposito del modello SCP: per quale motivo alcune imprese
riescono a gestire meglio di altre le forze che agiscono sulla redditività di un settore?
Per avere successo l’impresa deve capire quali forze guidano la competizione nel
settore in cui opera. Senza tale comprensione non può costruire strategie che rispondano alla struttura esistente del settore o strategie che possano cambiare (in genere
soltanto marginalmente) l’ambiente esterno a proprio vantaggio.
I due modelli più diffusi per l’analisi dell’ambiente competitivo al fine di individuare opportunità e minacce sono dunque:
• il modello delle «cinque forze» (modello Porter);
• il modello del ciclo di vita del settore.
Figura 5.4
I due modelli
più usati
nell’analisi di
settore
Analisi di settore
Modello
delle «cinque forze»
Modello del ciclo
di vita del settore
5.4 Il modello delle «cinque forze»
Varie ricerche hanno dimostrato un rapporto tra la struttura del settore (o del mercato, secondo il grado di approfondimento), le strategie delle imprese che operano in
tale settore e i risultati che ottengono. La struttura del settore farmaceutico (un oligopolio rappresentano da circa una decina di grandi imprese multinazionali) è
diversa da quella delle costruzioni aeronautiche (un oligopolio con due contendenti
che dominano il mercato: Boeing e Airbus). Le strategie delle imprese farmaceutiche sono così molto diverse da quelle delle imprese di costruzioni aeronautiche.
106 L’analisi strategica
Figura 5.5
Il modello
delle «cinque
forze»
Potenziali nuovi
concorrenti
Potere
di negoziazione
dei fornitori
Fornitori
Fonte:
elaborazione da
M.E. Porter,
Competitive
Advantage, Free
Press, Boston,
1985.
Minacce da parte
di nuovi entranti
Rivalità tra
concorrenti
Minacce da parte
di prodotti sostitutivi
Compratori
Potere
di negoziazione
dei compratori
Prodotti sostitutivi
Potere di negoziazione dei compratori
Quanto più è forte il potere di negoziazione dei compratori, tanto più debole è la
posizione dell’impresa. I compratori hanno un potere di negoziazione alto in presenza delle seguenti condizioni:
1) pochi di loro acquistano una parte rilevante della produzione dell’impresa (per esempio, le imprese farmaceutiche che vendono ai sistemi sanitari nazionali, le imprese
che vendono agli eserciti o alle ferrovie dello stato hanno poche alternative);
2) il prodotto o il servizio offerto dall’impresa non è diverso da quello dei concorrenti, perciò il compratore può facilmente passare da un produttore a un altro;
3) i costi sostenuti per passare da un fornitore all’altro (swiching costs) sono bassi;
4) è possibile l’integrazione verticale a monte: il potere di negoziazione del compratore aumenta se può acquistare imprese fornitrici;
5) il valore di quanto il compratore acquista è una quota modesta dei costi totali del
compratore stesso.
Potere di negoziazione dei fornitori
I fornitori di materie prime, componenti, servizi e anche coloro che prestano lavoro
con una particolare specializzazione possono agire sulla competizione in un settore
alzando i loro prezzi o abbassando la qualità o dando la preferenza all’uno o all’altro
compratore. Il potere dei fornitori è basso o nullo quando il loro prodotto è una commodity facilmente disponibile nel mercato, offerta da un vasto numero di imprese
con ampie capacità di evasione degli ordini. In questa situazione il compratore può
scegliere la fonte che offre il prezzo e le condizioni migliori. I fornitori sono in una
posizione debole anche quando il loro prodotto ha sostituti e per il compratore non
esistono costi per passare da un fornitore a un altro (switching cost).
I fornitori sono in posizione di forza quando esistono le seguenti condizioni:
1) i compratori di un settore sono molti ma i fornitori sono pochi, perciò è difficile
passare da un fornitore a un altro;
2) i prodotti offerti dai fornitori non hanno sostituti;
Analisi dell’ambiente competitivo 111
L’analisi della storia recente è utile per valutare opportunità e minacce derivanti
dall’entrata in un mercato: un settore con una quota elevata di imprese entrate di
recente ha verosimilmente barriere basse. Ma l’analisi storica può essere fuorviante:
le nuove tecnologie, per esempio, possono abbassare le barriere in un settore che per
tradizione limitava le nuove entrate.
Sull’anticipazione della risposta dei concorrenti torneremo nel capitolo 6, trattando i metodi per prevedere le strategie di risposta dei rivali.
Implicazioni strategiche
Fare l’analisi del settore non è tuttavia sufficiente: ciò che conta è valutare le implicazioni, derivanti dall’analisi, sulle strategie future dell’impresa. Tra gli interrogativi
più importanti, i seguenti hanno la priorità:
1) esistono le condizioni per cambiare le relazioni con i fornitori? Può essere consigliabile stringere relazioni di partnership con alcuni fornitori piuttosto che affrontarli attraverso negoziazioni;
2) esistono le condizioni per stringere nuove relazioni con i compratori? Produrre
con la marca del distributore (private label) porta in genere a margini più bassi
rispetto alla vendita di prodotti di marca, ma per alcune imprese è stata una strategia vincente (in quanto ha consentito tra l’altro di dare stabilità alla capacità
produttiva utilizzata);
3) quali sono i fattori di successo nel settore e come si possono creare? Occorre
individuarli e delineare una strategia adeguata;
4) le strategie dei rivali minacciano di cambiare la natura della competizione? È
necessario definire quali reazioni è opportuno adottare.
Figura 5.6
Soft drink: la
minaccia di
nuovi
concorrenti
provenienti da
altri settori
Produttori di liquori
Bevande a basso
contenuto di alcool
Spirit coolers
Imprese farmaceutiche
Integratori per sportivi
Bevande nutritive
Produttori di derivati
del latte
Latte
Yogurt
Settore soft drink
Fonte:
elaborazione da
D. Hussey, P.
Jenster,
Competitor
Intelligence,
Wiley, New York,
1999.
Produttori di vini
Vini a basso contenuto
di alcool
Wine coolers
Produttori di tè e caffè
Tè freddo
Caffè freddo
Produttori di birre
Birre a basso contenuto
di alcool
116 L’analisi strategica
Figura 5.7
Il ciclo di vita
del settore
Fonte:
elaborazione da
G. Johnson, K.
Scholes,
Exploring
Corporate
Strategy,
Prentice Hall,
London 1997.
dei prodotti e dei servizi tendono a divenire molto simili, pertanto la fedeltà alla
marca diminuisce. L’attrattività nel settore è bassa in quanto i prezzi scendono e la
competizione è intensa.
Per evitare la crisi le imprese mirano ad abbassare i costi e a creare fedeltà alla
marca (un esempio è dato dalle compagnie aeree, che hanno ristrutturato le rotte,
negoziato remunerazioni più basse con il personale e introdotto programmi frequentflyer). In queste condizioni può sempre esplodere una rovinosa guerra dei prezzi e le
imprese che adottano con successo queste strategie non solo sopravvivono alla concorrenza, ma alzano anche barriere all’entrata di potenziali concorrenti. Bassi costi e
fedeltà dei clienti rendono infatti assai onerosa l’iniziativa di nuovi entranti nel mercato, tuttavia le minacce non mancano. Le imprese che decidono di entrare si affidano in genere alla concorrenza basata sulla pubblicità, sulla qualità, sulla bassa differenziazione e su modesti cambiamenti nei prodotti.
I profitti risentono dei forti mutamenti dettati dalle necessità di fare nuovi investimenti nella produzione, del maggior potere di negoziazione acquisito dai distributori
e della minaccia di nuovi entranti (minaccia più contenuta rispetto alle fasi precedenti, ma sempre esistente).
Se il numero dei concorrenti diminuisce, le imprese rimanenti possono nuovamente avere l’opportunità di aumentare i prezzi e la redditività (l’esperienza del trasporto aereo, degli elettrodomestici e dei componenti auto dimostra che lo shakeout
fa aumentare il grado di concentrazione delle imprese, le quali – una volta rimaste in
poche – formano nuovamente un oligopolio che dà loro l’opportunità di stringere
accordi miranti a ridurre la competizione). Anche eventi esterni al settore possono
creare di nuovo turbolenza: la deregulation o una recessione economica, per esempio, possono nuovamente aprire la rivalità tra le imprese.
Analisi dei concorrenti e della domanda: segmentazione e posizionamento 125
Figura 6.1
Analisi dei
concorrenti
L’arena competitiva
Chi sono i nostri concorrenti?
Il profilo dei concorrenti
Quali sono i loro punti di forza e debolezza?
Quali sono le strategie dei concorrenti?
I gruppi strategici
Quali potrebbero essere le loro risposte
alle nostre strategie?
essere ampia quanto un intero settore oppure limitata quanto un singolo prodotto o
mercato.
La definizione dipende da quattro criteri:
1) l’ampiezza della gamma di prodotti e servizi considerati (un solo prodotto o una
classe di prodotti);
2) i segmenti di clienti (un solo segmento a confronto con più segmenti);
3) l’orizzonte geografico (una singola regione o paese oppure il mercato mondiale);
4) il numero delle attività che compongono la catena del valore (poche o molte).
Il peso che si vuole dare a ciascuno dei quattro criteri dipende dagli obiettivi che
l’impresa vuole raggiungere con la definizione dell’arena competitiva: per una decisione di breve periodo e di tipo tattico, l’arena sarà limitata ai clienti e ai concorrenti
attuali. Se l’obiettivo della definizione è invece porre le basi per decisioni di tipo strategico, la definizione del mercato deve essere più ampia per considerare:
• le opportunità di mercato attualmente non servite da alcuna impresa;
• i cambiamenti nella tecnologia, nei livelli dei prezzi e nelle condizioni dell’offerta che potrebbero allargare la cerchia dei prodotti sostitutivi;
• i rischi di entrata di imprese provenienti da altri mercati/settori.
Una definizione troppo ristretta potrebbe rendere vulnerabile l’impresa, una troppo
ampia potrebbe nascondere i veri pericoli.
Day propone di individuare l’arena competitiva ragionando in termini di sostituzione in due prospettive diverse:
126 L’analisi strategica
• sostituzione dal lato della domanda, al fine di comprendere tutti i modi in cui i
clienti possono soddisfare le proprie esigenze;
• sostituzione dal lato dell’offerta, al fine di individuare tutti i concorrenti che
hanno le capacità di servire gli stessi clienti.
Le due prospettive sono strettamente legate. Dal lato della domanda, un mercato è
composto da un insieme di esigenze dei clienti che possono essere servite da più
offerte tra loro in competizione. Nella prospettiva del cliente, per esempio, l’esigenza di trasporto può essere soddisfatta da imprese appartenenti a settori diversi: compagnie aeree, treni, costruttori di auto, autonoleggio. La sostituzione è nell’uso; i vari
mezzi di trasporto servono alla stessa funzione, ma operano in un modo molto diverso e hanno prestazioni pure molto diverse. Tornando al caso Rhône-Poulenc: chi
compra da Pasteur Merieux?
Dal lato dell’offerta, un mercato è l’insieme dei prodotti e servizi tra loro sostituibili che il cliente percepisce in grado di offrire prestazioni simili o molto simili tra
loro. L’analisi comprende dunque tutti i concorrenti che potrebbero rispondere alle
esigenze di un dato gruppo di clienti (Fig. 6.2). Dunque, con quali rivali entra in competizione Pasteur Merieux?
Figura 6.2
Dal settore al
prodotto, alla
marca
Articoli per la casa
Settore
Categoria
di prodotti
Articoli per la preparazione di alimenti
Tipo
di prodotto
Articoli per la preparazione del caffè
Caratteristiche
del prodotto
prezzi
Fonte: adattato
da G. Day,
Market Driven
Strategy, Free
Press, Boston,
1990, p. 97.
Idem
Idem
Idem
Varianti di
prodotto
Marche
Marche
Marche
Marche
128 L’analisi strategica
Figura 6.3
Analisi dei
fattori chiave
di successo
Fattori chiave
Della nostra impresa
Del concorrente 1
Del concorrente 2
Innovazione
Capacità
finanziaria
Assistenza
post-vendita
Qualità dei
prodotti
Fonte:
elaborazione da
D. Jobber,
Principles and
Practice of
Marketing,
McGraw-Hill,
New York, 1998.
Forza lavoro
qualificata
Accesso ai
canali di
distribuzione
internazionali
L’arena competitiva mette a confronto tutte le imprese presenti, ma sarebbe bene evitare i rivali più agguerriti perché attaccare un leader di settore sul suo terreno è sempre rischioso. In campo militare gli strateghi consigliano di attaccare soltanto se il
rapporto di forza è almeno di 3 a 1. Per questo le imprese scelgono spesso avversari
di forza pari o inferiore.
6.2 Il profilo dei concorrenti
Per capire qual è la posizione competitiva dell’impresa è necessario fare anche un’analisi delle caratteristiche dei concorrenti:
• Che cosa fanno?
• Quali sono i loro punti di forza e di debolezza e i loro vantaggi competitivi?
• Con quali vantaggi dei rivali l’impresa è in concorrenza?
L’obiettivo di queste analisi è mettere l’impresa nelle condizioni migliori per sviluppare vantaggi competitivi superiori a quelli dei rivali, come ha argomentato Best
(1997).
Sempre per concentrare le risorse sui problemi di maggior rilievo, occorre anzitutto stabilire quali concorrenti meritano un’analisi. È vero che una definizione strategica del mercato comporta una visione ampia che comprenda sia i concorrenti
attuali sia quelli futuri, sia i prodotti/servizi dell’impresa sia i prodotti sostitutivi, ma
è anche vero che l’impresa non può destinare risorse a un’analisi dettagliata di tutti i
concorrenti (Kotler, Sing, 1981).
Analisi dei concorrenti e della domanda: segmentazione e posizionamento 129
Il metodo migliore – come già abbiamo visto – è partire dal lato della domanda,
chiedendo ai clienti quali concorrenti prendono in esame nelle loro scelte. Quanto
più il cliente considera due concorrenti vicini tra di loro nell’offerta, tanto più è probabile che possa decidere di passare dall’uno all’altro. Al contrario, quanto più li percepisce lontani, tanto più basse sono le probabilità che abbandoni l’uno per preferire
l’altro.
Il punto di arrivo di questa analisi è la costruzione di una o più mappe di percezione della competizione, con le quali l’impresa può rispondere a due domande:
1) Quale rivale dobbiamo affrontare in un certo mercato/segmento/nicchia?
2) Qual è la nostra posizione competitiva (a confronto con questo rivale) nell’attrarre clienti e nel rispondere alle loro attese?
Occorre poi conoscere su quali basi il target di clienti percepisce l’offerta dell’impresa come diversa da quella dei rivali.
Disponendo di sufficienti informazioni è possibile costruire una mappa simile a
quella del grafico in Figura 6.4, un esempio che mette in evidenza come i potenziali
compratori americani percepiscano le differenze tra i prodotti concorrenti nel segmento delle vetture di lusso. I benefici di tipo psicologico sono rappresentati dalla
dimensione orizzontale e sono correlati con stile, sicurezza, status, prestazioni sulla
strada, comfort. I benefici di tipo razionale sono rappresentati dalla dimensione verticale e correlati con il consumo di carburante, i costi di manutenzione, l’affidabilità,
la qualità, il prezzo dell’usato. In base alla mappa, Toyota offre una vettura di lusso a
un target di potenziali compratori che hanno un livello alto di attesa sia di benefici
psicologici sia razionali.
Figura 6.4
Mappa di
percezione: il
posizionamento
strategico di
Lexus, tra
razionalità ed
emozioni
• Volvo 700
Target di Lexus
• Honda Accord
• Honda Prelude
Benefici razionali
• Nissan Maxima
• BMW 525
• Saab 9000
• Mercedes 500
• Buick Park Avenue
• Buick Regal
• Cadillac Seville
• Chrysler New Yorker
• Lincoln Towncar
• Buick Riviera
Fonte: R. Best,
Market Based
Management,
Prentice Hall,
London, 1997,
cap. 6.
• Jaguar
• Oldmobile 98
Benefici psicologici
Analisi dei concorrenti e della domanda: segmentazione e posizionamento 133
riconversione (ossia la trasformazione per un uso alternativo) è alto; da costi fissi che
l’impresa continuerebbe comunque a sostenere; da economie di scala realizzate con
altre business unit del gruppo. Possono essere barriere poste dallo stato, da soggetti
sociali come i sindacati e l’opinione pubblica o i consumatori (che potrebbero penalizzare altri prodotti), nonché dalla volontà della stessa impresa di non lasciare un
settore.
6.3 I gruppi strategici
Dalla definizione dei confini dell’arena competitiva e dall’esame del profilo dei concorrenti può emergere un’ampia varietà di strategie. Quanto più è ampia l’arena competitiva, tanto più forti possono essere le differenze; che sono spesso rilevanti rispetto a fattori come tecnologia, qualità dei prodotti, segmenti di mercato scelti come target, canali della distribuzione, politica dei prezzi, politica di promozione e servizi ai
clienti.
In vari settori è possibile distinguere più gruppi di imprese che adottano strategie
relativamente omogenee all’interno dello stesso gruppo, ma diverse da quelle degli
altri gruppi. Coprono gli stessi mercati, sono in concorrenza le une con le altre. Prendono il nome di gruppi strategici.
Per esempio, nel settore automobilistico è possibile individuare due principali
gruppi di costruttori. Un gruppo include le imprese più note come Fiat, Renault,
Wolkswagen, General Motors, Ford, Toyota, che offrono un’ampia gamma di prodotti al fine di essere presenti in una pluralità di segmenti, investono nelle migliori
tecnologie e puntano alle maggiori economie di scala possibili. Dato il loro peso economico, spesso nei mercati di origine godono di forme di protezione da parte dello
stato. Le economie di scala rappresentano una barriera difficile da superare per i
nuovi concorrenti.
Figura 6.5
Conoscere i
concorrenti:
indicatori di
analisi
Struttura
dei costi
Immagine
e posizionamento
Obiettivi
Portafoglio prodotti
e servizi
Concorrenti: loro
azioni e reazioni
Risultati ottenuti
Strategie e fonti
di vantaggi
competitivi
Dimensioni
e sviluppo
Barriere all’uscita
Risorse
Organizzazione
e cultura
Analisi dei concorrenti e della domanda: segmentazione e posizionamento 135
Figura 6.6
Esempi di
mappe
strategiche
Gruppi strategici nelle costruzioni aeronautiche
Mondiale
Learjet
Astra
BOEING
AIRBUS
DASA
British
Aereospace
Copertura delle
aree geografiche
(vendita)
Cessna
Piper
Nazionale
(Usa)
Piccole
Grandi
Dimensioni dell’aereo (numero di posti)
Gruppi strategici nel settore dei gelati di marca in Europa
Super premium
Premium
Alta
Fonte: il grafico
in alto è
un’elaborazione
da M. Cook, C.
Farquharson,
Business
Economics,
Pitman
Publishing,
London, 1998. Il
grafico in basso
è tratto da R.
Lynch, Corporate
Strategy, Pitman
Publishing,
London, 1997.
Regular
Qualità
Economy
Bassa
Nazionale
Regionale
Paneuropea
Copertura geografica in Europa
Legenda: Super premium = fascia superiore
Premium = fascia alta
Regular = fascia media
Economy = fascia bassa
Le barriere alla mobilità
Alcuni gruppi strategici riescono meglio di altri a proteggere le loro posizioni e conseguono così redditività elevata. Altri gruppi adottano invece strategie aggressive che
rendono la competizione molto accesa e tendono ad abbassare la redditività.
Il fattore principale è l’esistenza di barriere alla mobilità, che ostacolano il passaggio da un gruppo strategico a un altro.
Analisi dei concorrenti e della domanda: segmentazione e posizionamento 137
6.4 Le strategie di risposta dei rivali
«Il successo o il fallimento della strategia non è soltanto il risultato delle azioni. Sono
le risposte dei rivali a determinare se una riduzione dei prezzi diventa una guerra dei
prezzi, se un nuovo vantaggio competitivo si trasforma in un costo per restare nel
business, se l’attuale posizione di forza diventa una posizione di debolezza» (Day e
Reibstein, 1997, p. 78). Capire e anticipare le mosse dei rivali determina la struttura
della competizione, quindi può determinare i risultati. Day e Reibstein propongono
tre modi per anticipare le risposte dei concorrenti: teoria dei giochi, behavioral
theory e coevolution. Infine, anche le esperienze del passato sono utili per anticipare
il futuro.
La teoria dei giochi
I principi della teoria dei giochi sono stati applicati dai condottieri cinesi 2500 anni fa
e sono stati sviluppati e costruiti dagli economisti moderni in un sistema formalizzato. Nel 1994, il Premio Nobel per l’economia consacrò definitivamente la teoria dei
giochi come disciplina autonoma, tuttavia la sua utilità nella gestione strategica è
stata riconosciuta soltanto di recente (Dixit e Skeath, 1999, è una delle opere più
complete). Day e Reibstein (1997) individuano in quattro principi la forza della teoria dei giochi.
Visione strategica. Capacità di analizzare una situazione strategica, anticipare la
sua futura evoluzione e prendere una decisione oggi che avrà (per l’impresa) un effetto favorevole in futuro sono tre elementi insostituibili per acquisire una posizione di
vantaggio. La teoria dei giochi, essendo un processo iterativo, offre strumenti per
acquisire conoscenze del quadro strategico, quindi per controllare la dinamica delle
situazioni strategiche, quindi per individuare quali variabili strategiche se «manipolate» possono modellare il futuro.
Conoscere se stessi e gli altri. Il successo di una decisione strategica dipende
anche dalla capacità di capire come gli avversari interpretano la competizione e come
valutano la nostra posizione. Dobbiamo essere certi di giocare la partita giusta. La
teoria dei giochi costringe a vedere la situazione dal punto di vista degli altri.
Day e Reibstein fanno un esempio a questo proposito: i manager delle grandi
imprese hanno risorse, organizzazione e sistemi di procedure particolari e quando
Figura 6.7
Come
prevedere la
risposta dei
rivali
Modi per prevedere
Teoria dei giochi
«Behavioral theory»
«Coevolution»
Esplorare il passato
142 L’analisi strategica
Figura 6.8
Analisi delle
attese del
cliente,
creazione di
valore e
customer
satisfaction
Benefici percepiti
dal prodotto/
servizio
Esigenze
del cliente
Benefici attesi
Creazione
di valore
per il cliente
Customer
satisfaction
Condizioni
di uso da parte
del cliente
Costo
di acquisto
Il cliente darà la preferenza all’impresa che crea il maggior valore.
Le fonti di creazione del valore dal punto di vista economico sono principalmente cinque:
1) il costo di acquisto, che può creare valore per il cliente perché riduce per esempio
il peso di altri costi. L’acquisto di un software per il controllo delle scorte è fatto
per ridurre i costi di conservazione di queste;
2) l’uso del prodotto o di un servizio, che può comportare un minore costo per il
cliente (un costo monetario, ma anche un costo psicologico legato per esempio
alla maggiore o minore complessità dell’uso). L’acquisto di un certo tipo di macchina per lavorare il legno può ridurre i costi di certe fasi di lavorazione, quindi
può creare valore;
3) i costi di manutenzione e riparazione, che possono avere una forte incidenza sui
costi di esercizio. Ma se l’impresa che vende prende l’impegno di sostenere i
costi di eventuali riparazioni, il compratore ha un potenziale beneficio. Se il
costruttore di un trattore ha progettato il vano motore in modo da rendere facilmente accessibili le parti che hanno necessità di manutenzioni o che possono
comportare riparazioni, il compratore ha un vantaggio economico in quanto
sostiene minori costi;
4) i costi sostenuti per passare a un altro prodotto, poiché abbandonare un prodotto
obsoleto o un suo componente può comportare un costo e anche questo è un elemento di possibile creazione di valore per il cliente: infatti, se il costo di sostituzione è basso il compratore ha un beneficio;
5) l’offerta di prezzi inferiori a quelli dei concorrenti e condizioni di pagamento più
favorevoli: proporre macchine più semplici a prezzi più contenuti o acquistare dal
cliente macchine obsolete da sostituire con quelle nuove e offrire gamme di prodotti diversi per qualità, graduando i prezzi in base al potere di acquisto dei potenziali compratori, sono politiche utili a creare valore economico per il cliente.
144 L’analisi strategica
caso le variabili che intervengono sono tre: caratteristiche delle imprese (dimensioni, localizzazione, settore, situazione finanziaria); cultura organizzativa (base
tecnologica, propensione a innovare, accentramento o decentramento delle decisioni); uso del prodotto (applicazioni, quantità, tempo di acquisto, frequenza di
acquisto, esperienza).
Elida Fabergé e lo Youth Board
«Conoscere a fondo i nostri consumatori, la
loro età e la loro estrazione, è un fattore critico per il nostro continuo successo», dicono
alla consociata britannica di Unilever, Elida
Fabergé, principale produttore mondiale di
shampo, deodoranti e altri articoli per la persona (i bestseller sono il deodorante Lynx – Axe
fuori della Gran Bretagna – e lo spray Impulse).
Figura 6.9
Alcuni criteri
per
segmentare
i mercati
Fattori
Elida Fabergé ha costituito uno Youth Board
(letteralmente un Comitato Giovani) per mantenere uno stretto contatto con i potenziali compratori. Guidato dai due brand manager, il Board
riunisce ogni mese i responsabili del marketing,
della pubblicità, e delle pubbliche relazioni per
studiare il comportamento dei giovani e per
capire che cosa può attirare la loro attenzione.
Mercati di consumo
(business-to-consumer)
Mercati
delle organizzazioni
(business-to-business)
Caratteristiche delle
persone/organizzazioni
Età, sesso, razza
Reddito
Dimensioni delle famiglie
Stadio del ciclo di vita
Localizzazione
Stile di vita
Settore
Localizzazione
Dimensione
Tecnologia
Redditività
Management
Situazione di acquisto
Dimensione dell’acquisto
Fedeltà alla marca
Motivo dell’uso
Importanza dell’acquisto
Criteri di acquisto
Applicazioni
Importanza dell’acquisto
Volumi
Frequenza di acquisto
Criteri di scelta
Canali della distribuzione
Esigenze dell’utilizzatore
circa le caratteristiche del
prodotto
Preferenze di prezzo
Preferenze di marca
Caratteristiche desiderate
Qualità
Performance richieste
Assistenza dai fornitori
Preferenze di marca
Caratteristiche richieste
Qualità
Servizi richiesti
156 I vantaggi competitivi
Figura 7.1
Risorse,
competenze e
vantaggi
competitivi
Relazioni con i vantaggi competitivi
Risorse
Fonte: G.
Johnson, K.
Scholes,
Exploring
Corporate
Strategy,
Prentice Hall,
London, 1997.
Competenze
Le stesse dei concorrenti
o facili da imitare
Superiori a quelle dei concorrenti o difficili da imitare
Risorse necessarie
Risorse uniche
Soglia delle competenze
Core competencies
Hamel e Prahalad suggeriscono che l’organizzazione dovrebbe raccogliere sfide in
grado di motivare fortemente i collaboratori. In particolare sostengono che il vero
obiettivo delle strategie di un’impresa non dovrebbe essere il combinare le risorse
con le opportunità, come (secondo i due autori) molti manager pensano, ma piuttosto
fissare obiettivi che spingano l’impresa oltre il traguardo che i suoi manager credono
sia raggiungibile.
Il processo di analisi delle risorse di cui un’impresa dispone o dovrebbe disporre per
intraprendere una certa strategia è indicato in genere con l’espressione resource audit e
può essere condotto in vari modi. Nelle pagine che seguono vedremo tre metodi:
• analisi del valore aggiunto;
• individuazione delle competenze distintive che creano vantaggi;
• analisi delle funzioni e dei processi.
Il tutto si riassume nell’analisi dei punti di forza e di debolezza e nell’analisi
SWOT.
7.2 L’analisi del valore aggiunto
Le diversità tra i risultati ottenuti da imprese dello stesso settore raramente possono
essere spiegate da differenze nelle risorse disponibili. Spesso la superiorità ha origine nel modo differente di organizzare le risorse per creare competenze distintive e
coordinarle. Lo strumento per esplorare l’origine e la sostenibilità nel tempo di vantaggi competitivi sui rivali è l’analisi del valore aggiunto.
Il valore aggiunto è la differenza tra il valore di mercato dei prodotti e dei servizi
(output) e il costo dei fattori (input). È un concetto essenzialmente economico, indiscusso nella sua logica, ma difficile da esprimere in quantità.
In genere non vi sono difficoltà per calcolare il valore delle vendite (fatturato) ed
è relativamente facile anche il calcolo di due categorie di costi: lavoro e materie
158 I vantaggi competitivi
Figura 7.2
Schema di
analisi del
valore
aggiunto
Analisi del valore aggiunto
Value chain
Value system
La value chain o catena del valore
Ogni organizzazione è composta di parti corrispondenti ad altrettante attività, che
chiamiamo funzioni, le quali insieme, costruite in sistema, producono valore. Sono le
funzioni acquisti, marketing, finanza, gestione delle risorse umane, logistica, ricerca
& sviluppo (R&S).
Queste attività e i loro reciproci legami possono essere rappresentati con la value
chain, o catena del valore, che scompone l’attività dell’organizzazione nelle sue parti
principali. Lo scopo è individuare in che modo ciascuna parte contribuisca al valore
aggiunto complessivo e determinare come le varie parti possano contribuire ai vantaggi competitivi dell’intera organizzazione.
Questo strumento era da tempo usato nelle analisi finanziarie e contabili, prima
che Porter proponesse di applicarlo all’analisi strategica. McKinsey, negli anni Sessanta aveva proposto un proprio modello, noto come business system (Fig. 7.3).
La catena del valore (Fig. 7.4) ha tre caratteristiche:
1) esprime il valore di un dato prodotto o servizio in termini di attività necessarie per
produrlo, distinguendo tra attività primarie e attività di supporto;
2) rappresenta i legami tra le varie attività, intendendo con «legame» il rapporto esistente tra una data attività e il costo (di svolgimento) di un’altra attività. Nella
ricerca di vantaggi competitivi un’impresa può svolgere le varie attività in modi
differenti con differenti risultati;
3) esprime le potenziali sinergie tra prodotti e servizi e tra business unit (se l’impresa ne ha più di una). Ogni attività ha al proprio interno non solo economie di scala
– per esempio economie nella distribuzione e nella logistica – ma anche economie di scopo, ossia economie derivanti dal fatto che la stessa attività può contribuire a più prodotti e servizi.
Figura 7.3
Il business
system di
McKinsey
Tecnologia
Produzione
Progettazione
Acquisti
Sviluppo
Assemblaggio
Distribuzione
Marketing
Trasporti
Scorte
Vendite
Pubblicità
Servizi
Manutenzioni
Lavoro
ni
gi
ar
M
Gestione degli approvvigionamenti
Gestione della tecnologia
Gestione delle risorse umane
M
ar
gi
ni
Servizi
Marketing e vendite
Distribuzione e logistica
in uscita
Gestione operativa
Infrastrutture dell’impresa
Acquisti e logistica
in entrata
Attività primarie e costi
Figura 7.4
La catena del
valore
Attività di supporto e costi
Analisi delle risorse: forze e debolezze 159
La catena del valore comprende cinque attività primarie, che nel diagramma muovono da sinistra verso destra e rappresentano le attività che portano alla creazione dei prodotti e dei servizi, in parte sono trasferite al compratore attraverso i servizi post-vendita.
Le attività primarie sono legate a quattro attività di supporto, raffigurate con un flusso trasversale in quanto possono agire su una o più attività primarie.
Attività primarie
• Logistica in entrata (inbound logistics): l’approvvigionamento e il ricevimento di materie
prime e componenti, la gestione delle loro scorte e della loro distribuzione interna. Sono gli
input necessari per ottenere prodotti e servizi e comprendono le attività riguardanti la
gestione dei magazzini, il controllo delle scorte e i trasporti interni.
• Gestione operativa, ossia la trasformazione degli input in prodotti finiti e servizi. Riguarda
in particolare la gestione dei macchinari, l’assemblaggio e il packaging.
• Logistica in uscita (outbound logistics), tutto ciò che riguarda la distribuzione ai clienti dei
prodotti finiti e dei servizi.
• Marketing e vendite, attività che stimolano e facilitano l’acquisto di prodotti (pubblicità,
gestione della forza vendita, selezione dei canali di vendita, relazioni con gli intermediari,
prezzi).
• Servizi, relativi alla gestione delle operazioni post-vendita (installazioni, riparazioni, formazione del personale dei distributori e dei compratori, forniture di parti, prestazioni di
garanzie).
Fonte: adattato
da M. Porter,
Competitive
Advantage:
Creating and
Sustaining
Superior
Performance,
Free Press,
Boston, 1985.
Attività di supporto
• Gestione degli approvvigionamenti, che riguarda le funzioni e i processi di acquisto degli
input immessi nella catena del valore e ha stretti rapporti con le varie aree funzionali (per
esempio, i responsabili della produzione hanno un ruolo importante nel definire le specifiche e la qualità dei componenti del prodotto e del servizio).
• Gestione della tecnologia, intesa in senso ampio, che comprende know-how, ricerca e sviluppo, progettazione, acquisti di tecnologie dall’esterno.
• Gestione delle risorse umane, ossia le attività riguardanti la selezione, il reclutamento, la
formazione e lo sviluppo di carriera del personale. Riguarda anche le forme di remunerazione e l’insieme degli altri rapporti tra l’organizzazione e i collaboratori.
• Infrastrutture dell’impresa, i cosiddetti linking processes o processi trasversali: organizzazione, pianificazione e controllo. Sotto un altro profilo sono rappresentate dalle attività di
general management.
Le infrastrutture generali dell’impresa sostengono l’intera catena del valore.
Ogni attività primaria e di supporto comporta costi e dovrebbe aggiungere valore al prodotto e
al servizio. Se l’impresa ha più di un prodotto, secondo Porter l’analisi dovrebbe essere fatta a
livello di singolo prodotto e non a livello corporate. Con il termine «margini», Porter indica ciò
che altri definiscono «valore aggiunto».
Analisi delle risorse: forze e debolezze 161
Figura 7.5
Il value system
Singola business unit
Catena del
valore dei
fornitori
Catena del
valore dell’impresa
Catena del
valore dei
distributori
Catena del
valore dei
compratori
Impresa diversificata (più SBU, ciascuna con la propria value chain)
Catena del
valore della
business
unit
Catena del
valore dei
fornitori
Fonte:
elaborazione da
M. Porter,
Competitive
Advantage, Free
Press, Boston,
1985.
Catena del
valore della
business
unit
Catena del
valore dei
distributori
Catena del
valore dei
compratori
Catena del
valore della
business
unit
mente prodotti e servizi al consumatore finale e quasi mai produce tutto al proprio
interno. Posto che le catene del valore dei fornitori e quelle dei distributori sono
tra loro differenti – alcuni offrono prezzi più bassi, altri servizi e prodotti più affidabili – il vantaggio competitivo di un’impresa può avere origine anche dalla scelta del miglior fornitore o distributore. Se per esempio un fornitore di packaging
innova e propone un sistema che crea maggior valore aggiunto, avendo con lui un
rapporto esclusivo l’impresa può acquisire un vantaggio competitivo rispetto ai
concorrenti. Lo stesso risultato si può ottenere con un nuovo sistema di distribuzione.
Ulteriori vantaggi possono emergere dall’acquisire una parte della catena del
valore dei clienti, sostituendosi a essi e fornendo loro un servizio. Alcuni di questi
legami possono essere unici, non imitabili, quindi possono dare un vantaggio rispetto ai concorrenti. Per fare un esempio, alcuni costruttori di elettrodomestici hanno
introdotto nel mercato frigoriferi che, grazie al collegamento con una centrale operativa gestita dagli stessi produttori, possono trasmettere un ordine di fornitura con
consegna a domicilio a una catena di supermercati. È un modo per acquisire una
parte della catena del valore del cliente, così come fanno i costruttori di auto che
acquistano assicurazioni, finanziamenti, riparazioni, manutenzioni, vendita dell’usato.
L’analisi congiunta della value chain e del value system può fornire informazioni
sulle fonti del valore aggiunto delle imprese e sulle possibilità di costruire vantaggi
competitivi rispetto ai rivali. Se l’impresa offre un gruppo di prodotti, possono esistere tra questi dei legami costituiti da materie prime o canali della distribuzione
comuni, e tali legami possono essere sviluppati al fine di costruire vantaggi competi-
162 I vantaggi competitivi
tivi nei confronti dei rivali. Per esempio, se la stessa materia prima (cacao) è utilizzata in una pluralità di prodotti, l’impresa può acquisire un vantaggio competitivo
rispetto a un concorrente che abbia una gamma più limitata o addirittura un solo prodotto. Altrettanto vale per i canali di distribuzione: se un costruttore di macchine
agricole utilizza lo stesso canale per una pluralità di prodotti, può ottenere vantaggi
competitivi rispetto ai rivali che hanno una minore varietà di macchine. Un altro
esempio ancora è dato dalle compagnie aeree che dispongono di Computer Reservation System (CRS) per collegarsi con gli agenti di viaggio, e detengono così un vantaggio sui rivali che non ne dispongono.
In sostanza il fattore critico di successo è la capacità di costruire legami che i
rivali non possono imitare.
7.3 Individuare le competenze distintive che creano vantaggi
Nella seconda metà degli anni Ottanta e nei primi anni Novanta un interrogativo è
stato posto insistentemente all’analisi strategica. Com’è possibile che imprese di piccole dimensioni siano in grado di conquistare rapidamente quote di mercato significative? Telecomunicazioni, biotecnologie, e-commerce sono alcuni tra i settori in cui
molte piccole imprese sono entrate rapidamente e con successo.
Sono state condotte varie ricerche e le conclusioni sono quasi unanimi: la risposta
è nella capacità di queste imprese di creare competenze uniche che le distinguono dai
concorrenti. Hanno accesso alle stesse risorse dei rivali, ma riescono meglio di altre
a coordinare la posizione nel mercato, l’innovazione e le strategie.
Sulle competenze distintive sono emersi due diversi filoni di ricerca:
• core resources (Kay);
• core skills and competencies (Hamel e Prahalad).
Le conclusioni cui giungono in parte si sovrappongono e per tutti esiste il limite della
difficoltà di quantificare le risorse in termini di valore aggiunto, ma è interessante
esaminare sia il metodo di analisi adottato sia le conclusioni.
Figura 7.6
Metodi di
analisi delle
competenze
distintive
Competenze distintive
Core
resources
Core skills
and competencies
164 I vantaggi competitivi
Figura 7.7
Come le core
competencies
possono
essere legate
alle strategie
di business
unit
Prodotto 1
Core competency A
Strategic
business
unit X
Prodotto 3
Core competency B
Fonte: G. Hamel,
C.K. Prahalad,
«The Core
Competencies
of the
Corporation»,
Harvard Business
Review, maggiogiugno 1990.
Prodotto 2
Prodotto 4
Prodotto 5
Core competency C
Strategic
business
unit Y
Prodotto 6
Prodotto 7
L’impresa deve costruire le core competency prima di affrontare i concorrenti, non
quando è già in campo. Deve inoltre individuarle con un certo grado di dettaglio:
non può limitarsi a tre o quattro soltanto, perché significherebbe fermarsi a un livello sarebbe troppo generale e dunque superficiale; quaranta o cinquanta sarebbe ottimale.
La prima critica a queste tesi è che un dettaglio delle core competency può essere
relativamente facile nelle grandi imprese e in certi settori (come quello dell’elettronica), ma è molto difficile in altri contesti e va adattato secondo i settori. La seconda
critica è che Hamel e Prahalad restano comunque nel vago e non definiscono con
precisione quali siano le core competency (Lynch, 1997).
7.4 L’analisi delle funzioni e dei processi
Dall’analisi dell’ambiente sono dunque emerse le minacce e le opportunità potenziali. L’impresa deve poi stabilire se ha le risorse necessarie per trarre vantaggio da tali
opportunità e se, nel quadro generale della strategia, sia conveniente mettere in
campo le risorse di cui dispone, quali e in che misura.
Oltre all’analisi del valore aggiunto e delle competenze distintive che creano vantaggi, un terzo gruppo di metodi di analisi interna è noto con l’espressione generica
di analisi delle principali funzioni e processi. Non si tratta del semplice elenco delle
attività svolte, ma di una valutazione delle capacità che il management responsabile
di ciascuna area ha di formulare e realizzare politiche e di utilizzare le risorse di cui
dispone.
È bene ripetere che si tratta di modi diversi di valutare una stessa realtà. Quando
questa è complessa, difficilmente un solo metodo di analisi consente di capire a fondo
il sistema di relazioni tra variabili. Per fare un’analogia, pensiamo a un medico che si
affida a più tecniche diagnostiche per appurare lo stato di salute di un paziente.
Analisi delle risorse: forze e debolezze 173
Figura 7.8
Matrice per
l’analisi SWOT
Fattori interni
Forze (S)
………………………………..
Indicare da 5 a 10
punti di forza
Debolezze (W)
………………………………..
Indicare da 5 a 10
debolezze
Fattori esterni
Strategie (WO)
Strategie (SO)
Opportunità (O)
……………………………….. ……………………………….. ………………………………..
Strategie che traggono
Strategie che usano i punti
Indicare da 5 a 10
di forza per trarre vantaggio vantaggio dalle opportunità
opportunità esterne
superando le debolezze
dalle opportunità
Minacce (T)
………………………………..
Indicare da 5 a 10
minacce esterne
Strategie (ST)
………………………………..
Strategie che usano i punti
di forza per evitare
le minacce
Strategie (WT)
………………………………..
Strategie che rendono minime le debolezze ed evitano
le minacce
7.6 L’analisi comparativa
Dopo aver valutato le risorse disponibili e aver individuato le competenze distintive e
le core competency, occorre un’analisi comparativa. Ecco alcuni metodi di confronto
frequentemente adottati.
• Storia dell’impresa. Il criterio basato sulla storia dell’impresa consiste nell’esaminare quanto è avvenuto in passato. Se oggi la situazione è migliorata, possiamo
concludere di aver un punto di forza; se invece è peggiorata possiamo giungere
alla conclusione opposta. Se, per esempio, il grado di indebitamento è aumentato
peggiorando il grado di esposizione di fronte ai creditori, si può concludere che
l’impresa abbia in quest’area un punto di debolezza.
• Standard di settore. Il termine di paragone o benchmark può essere una norma o
uno standard elaborato in base alla esperienza del settore, al parere di consulenti
o ai risultati di ricerche scientifiche. Per esempio, sono state fatte molte ricerche
sul rapporto tra le spese destinate a R&S (di prodotti e processi) e il fatturato: se
un’impresa supera il livello considerato utile per aprire le porte del successo, si
può concludere di essere in presenza di un potenziale punto di forza; se invece si
trova al di sotto di tale livello, si può parlare di un punto di debolezza.
• Strategie della concorrenza. Questo criterio parte dal presupposto che un’impresa, per avere successo, debba almeno «neutralizzare» i concorrenti mettendo in
campo politiche e strutture organizzative come minimo equivalenti. Se per esempio i concorrenti si presentano sui mercati con una gamma di prodotti molto
ampia, un modo per fronteggiarli potrebbe essere quello di presentare una gamma
altrettanto ampia di prodotti equivalenti. Se questa fosse la scelta e la gamma non
fosse sufficientemente ampia si potrebbe concludere che l’impresa ha un punto di
Le fonti dei vantaggi competitivi 179
Tabella 8.1
Attrattività/
redditività tra
settori a
confronto
Settori
Compagnie aeree
United Airlines
Southwest Airlines
Mediana
Bevande
Coca-Cola
PepsiCo
Mediana
Fonte: Fortune,
«America’s
Largest
Corporations»,
9 maggio 2005.
ROS 2004
ROA 2004
ROE 2004
Valore per gli
azionisti.
Ritmo di
crescita
annuale
1994/2004
(%)
(10,5)
4,8
2
(8,3)
2,8
1
–
5,7
7
(24,3)
17,4
1
22,1
14,4
5
15,5
15,0
4
30,4
31,0
22
6,4
13,7
15
Computer, office equipment
International Business Machines
(IBM)
Hewlett-Packard
Dell Computer
Mediana
8,8
7,7
28,3
19,2
4,4
6,2
3
4,6
13,1
2
9,3
46,9
7
8,8
52,0
10
Autoveicoli e componenti
General Motors
Ford Motors
Mediana
1,4
2,0
2
0,6
1,2
1
10,1
21,7
11
5,6
7,3
6
Farmaceutici
Merck
Pfizer
Johnson & Johnson
Mediana
25,3
21,5
18,0
13
13,7
9,2
16,0
7
33,6
16,6
26,7
14
8,3
17,0
18,3
14
Computer software
Microsoft
Oracle
Mediana
22,2
26,4
14
8,8
21,0
6
10,9
33,5
11
22,9
20,2
22
Semiconduttori
Intel
Solectron
Texas Instruments
Mediana
22,0
(1,3)
14,8
(2)
15,6
(2,9)
11,4
(1)
19,5
(7,1)
14,2
(2)
19,7
4,5
18,7
15
Indici:
• ROS: return on sales. Rapporto tra utili e vendite.
• ROA: return on assets. Rapporto tra utili e attività di bilancio (capitale investito).
• ROE: return on equity. Rapporto tra utili e capitale proprio.
• Valore per gli investitori (azionisti). Comprende sia l’aumento del valore di mercato
delle azioni sia i dividendi distribuiti nel periodo. Parte dal presupposto che dividendi,
vendita di diritti di warrant e azioni ricevute in occasione di spin-off (smembramento
di un’impresa) siano stati reinvestiti nel momento in cui sono stati pagati.
182 I vantaggi competitivi
8.2 Le fonti dei vantaggi competitivi
Come creano vantaggi competitivi le imprese? A questa domanda management e
ricercatori hanno dato varie risposte, riconducibili a due approcci principali (Fig. 8.1):
1) l’approccio della posizione nel settore rispetto ai concorrenti, detto anche strutturale, secondo cui i vantaggi dell’impresa derivano dalla conquista e dalla difesa di
una posizione rispetto ai rivali e la posizione può essere o di bassi costi o di differenziazione nei migliori segmenti di un settore;
2) l’approccio della resource-based theory (RBT), secondo cui risultano determinanti le risorse e le capacità dell’impresa. I vantaggi derivano da prestazioni
superiori a quelle dei rivali, originate da risorse e capacità distintive non possedute dai rivali e non imitabili, sviluppate nel tempo e che agiscono sulle prestazioni
dell’impresa nei vari campi di attività.
Nessuno dei due approcci è in grado di spiegare come si crea e si sostiene un vantaggio in un ambiente competitivo dinamico. Tuttavia, combinando le due prospettive è
possibile tracciare un quadro dei vantaggi di cui l’impresa dispone, capire come sono
stati costruiti e quindi come possono essere mantenuti. Non bisogna dimenticare che
la creazione, il sostegno e la difesa dei vantaggi competitivi è un’attività costante a
ciclo continuo, che non può avere soste.
Creare più valore dei rivali non significa però avere la redditività più alta in assoluto. La struttura del settore è un fattore critico nel determinare quale quota di valore
creato l’impresa riesca a trattenere come profitto. Essendo parte integrante dell’analisi strategica, l’analisi di settore – i cui metodi abbiamo già esaminato – resta dunque insostituibile, per vari motivi (Ghemawat, 1999):
• il peso della struttura del settore sulla redditività è alto, anche se non è l’elemento
più importante;
• le caratteristiche di settore che agiscono sulla redditività hanno un effetto più duraturo rispetto a quello derivante dalle diversità tra strategie di imprese dello stesso settore;
• alcuni settori hanno strutture tali da rendere possibili forti scostamenti dei risultati di un’impresa rispetto alla redditività media (di settore). In altri gli scostamenti
sono minori;
• le imprese che hanno redditività superiore alla media devono il loro successo
anche alla capacità di affrontare i lati (per loro) negativi del settore;
Figura 8.1
Due approcci
alla
individuazione
delle fonti dei
vantaggi
competitivi
Le fonti dei vantaggi competitivi
La posizione nel settore
(Porter)
Le risorse, le capacità,
le competenze distintive
(Barney, Grant, Hamel e Prahalad)
Le fonti dei vantaggi competitivi 183
• infine, se è vero che la struttura del settore agisce sulle strategie delle imprese, è
anche vero che le strategie contribuiscono alla struttura. È dunque utile esaminare entrambe.
8.3 La posizione nel settore: i vantaggi generici
Un’impresa ha un vantaggio competitivo soltanto se è in grado di creare valore in
misura superiore a quello dei suoi concorrenti.
Negli anni Settanta, sulla scia delle ricerche di Bain, ad Harvard, e dell’attività di
consulenza della McKinsey, è stato accettato il principio che la creazione di valore (più
in generale l’attrattività di un’impresa) dipende o dalla cost position o dalla differentiation position dell’impresa rispetto ai suoi concorrenti. Le prime analisi rigorose dei concetti di costo e di differenziazione apparvero all’inizio degli anni Ottanta, in un’opera
di M. Porter (1980) e in un articolo di W. Hall (1980) dell’Harvard Business Review.
Secondo Porter, per costruire un vantaggio competitivo un’impresa deve: o avere
costi più bassi rispetto a quelli dei concorrenti; o essere in grado di differenziare i prodotti in modo da applicare prezzi superiori a quelli dei concorrenti; oppure riuscire a fare
entrambe le cose. Sulla base di questi due elementari principi, Porter ha ampiamente sviluppato ciò che definisce strategie generiche: bassi costi e differenziazione (Fig. 8.2).
Una strategia di bassi costi mira a ridurre al minimo i costi unitari, mentre una strategia di differenziazione mira a rendere i prodotti e i servizi il più possibile diversi da
quelli dei concorrenti al fine di poter praticare un prezzo superiore. Entrambe le strategie possono essere applicate all’intero settore o a una parte (uno o più segmenti).
Figura 8.2
Le strategie
generiche di
Porter
Target
Fonte: M. Porter,
Competitive
Strategy, Free
Press, Boston,
1980.
Vantaggi competitivi
Intero settore
Soltanto un particolare
segmento
I clienti percepiscono
unicità
Posizione
di bassi costi
Differenziazione
Cost leadership
Focus
Prima di adottare una delle due strategie competitive generiche, l’intera impresa o la
business unit deve decidere a quale target mirare: quali prodotti o quali linee di prodotti offrire, quali canali della distribuzione utilizzare, quali potenziali compratori
servire, in quali aree geografiche vendere, con quali imprese rivali entrare in concorrenza. Questa scelta dipende dalla disponibilità delle risorse e dagli obiettivi che
l’impresa si è data. Il target può essere ampio, e includere l’intero settore, o limitato
a una nicchia del mercato: combinando questi due target con le due strategie competitive otteniamo quattro tipi di strategie generiche (le cui caratteristiche saranno esaminate in dettaglio nel capitolo 15):
Le fonti dei vantaggi competitivi 185
Peraltro, oltre a offrire un quadro soltanto parziale della realtà questo approccio
ha in particolare due punti deboli.
Playing the spread. Il primo punto debole è nel fatto che cost leadership e differenziazione non si escludono a vicenda. Spesso le strategie delle imprese mirano a
sviluppare entrambi questi vantaggi competitivi: i costruttori di auto giapponesi
Toyota e Honda, per esempio, hanno raggiunto simultaneamente sia posizioni competitive di bassi costi sia posizioni di elevata qualità e quindi di differenziazione.
Day (1997) indica questa posizione con l’espressione playing the spread e cita il
caso di Kellogg, impresa che ha ottenuto buoni risultati sia con una strategia di bassi
costi sia con una strategia basata sulla differenziazione (maggior valore per il cliente
e quindi possibilità di applicare un prezzo più alto).
È dimostrato che la qualità elevata può creare vantaggi competitivi e può quindi
aumentare le quote di mercato. Con l’aumento delle quote si abbassano i costi totali
per effetto delle curve di esperienza e delle economie di scala. I costi unitari scendono sia per effetto dei maggiori volumi sia dei minori costi rispetto alla «non qualità»
(se la qualità migliora, i costi totali diminuiscono perché si riducono gli sprechi e gli
scarti di produzione, i costi di riparazione e di assistenza post-vendita). È dunque
possibile che l’impresa sia leader di costo e, nel contempo, offra prodotti e servizi
differenziati rispetto a quelli dei concorrenti.
Porter non condivide questa posizione e sostiene che un’impresa (o una business
unit) deve adottare una sola strategia competitiva generica, altrimenti verrebbe a trovarsi «in mezzo al guado» (l’arena competitiva) senza un vantaggio competitivo e
risulterebbe condannata a una redditività inferiore alla media. Su questo argomento
tornerà il cap. 15.
Figura 8.3
L’origine del
vantaggio
competitivo
secondo
l’approccio
della posizione
nel settore
Sistema economico
e struttura
del settore
Redditività
dell’impresa
Differenziazione
rispetto ai rivali
Creazione di valore
superiore a quella
dei rivali
Costi più bassi
rispetto ai rivali
La redditività/attrattività di un’impresa dipende dalle caratteristiche del sistema paese,
dalla struttura caratteristica del settore e dalla capacità (dell’impresa stessa) di creare più
valore rispetto ai concorrenti. Secondo «la posizione nel settore», il valore che l’impresa
crea a confronto con i concorrenti dipende dalla capacità di abbassare i costi e dalla capacità di differenziare i prodotti rispetto a quanto fanno i concorrenti.
Le fonti dei vantaggi competitivi 189
8.5 Le risorse, le capacità e le competenze distintive
Le tesi della RBT sono molto articolate, ma possono essere ricondotte alle seguenti
enunciazioni:
• le competenze distintive sono i punti di forza che l’impresa non divide con i rivali. Se creano valore danno all’impresa una redditività superiore alla media del settore;
• le competenze distintive di un’organizzazione emergono dalle sue risorse e capacità;
• per costruire vantaggi competitivi, le imprese devono formulare strategie sia
basate sulle risorse e sulle capacità esistenti nell’organizzazione (le competenze)
sia tese ad acquisire nuove risorse e capacità.
Figura 8.4
La
determinazione
dei vantaggi
competitivi
secondo la
resource-based
theory
Fonte:
elaborazione da
L. Dahringer, H.
Muhlbacher,
International
Marketing,
Addison Wesley,
New York, 1991.
Analisi
interna
Analisi
della concorrenza
Analisi
esterna
Forze e debolezze
dell’impresa
Minacce
e opportunità
Competenze
distintive
dell’impresa
Fattori di successo
nel settore
Vantaggi competitivi
dell’impresa
Le risorse
I fattori produttivi, gli input, le risorse umane, finanziarie, tecnologiche e organizzative di un’impresa possono essere distinte in:
• risorse tangibili, ossia edifici, attrezzature, impianti. Sono le più facili da imitare
e attirano l’attenzione dei rivali perché si prestano più facilmente ai confronti.
Includono la capacità operativa, le economie di scopo e di scala, la copertura geografica della distribuzione, le spese in pubblicità e promozione, la capacità finanziaria e il costo del capitale, il costo delle materie prime;
192 I vantaggi competitivi
Il concetto di routine organizzative è dunque essenziale per comprendere le fonti
delle competenze di un’impresa e per valutarle. Implica inoltre che le capacità restino anche quando una persona o un gruppo di persone lasciano l’impresa. Le persone
cambiano, ma le routine restano.
Partendo dal presupposto che i vantaggi competitivi sono determinati principalmente dalle risorse e dalle competenze, Grant propone un approccio articolato in cinque stadi (Fig. 8.5):
1) individuare e classificare le risorse dell’impresa in termini di forze e debolezze
nei confronti dei concorrenti;
2) identificare le capacità distintive: che cosa sappiamo fare meglio dei rivali?
3) valutare la capacità delle risorse e delle competenze di generare profitti attraverso
la creazione e lo sfruttamento di vantaggi competitivi;
4) selezionare le strategie che meglio di altre sfruttano le risorse e le capacità delle
imprese in rapporto alle opportunità offerte dall’ambiente esterno;
5) individuare gli scostamenti (gap) tra risorse necessarie e risorse disponibili; investire per acquisire, integrare e migliorare la base di risorse delle imprese.
Nel terzo stadio, in particolare, Grant individua due fattori chiave per costruire vantaggi competitivi attraverso le risorse e le capacità dell’impresa:
Figura 8.5
Analisi
strategica
secondo la
resource-based
theory
Fonte: R.M.
Grant, «The
Resource-based
Theory of
Competitive
Advantage:
Implications for
Strategy
Formulation»,
California
Management
Review, vol. 33,
n. 3, 1991.
4. Selezionare la strategia
che meglio di ogni altra
sfrutta le risorse e le capacità
dell’impresa in rapporto alle
opportunità dell’ambiente
esterno.
Strategia
3. Valutare la capacità delle
risorse e delle competenze di
generare «rendita» (profitti)
in termini di:
(a) loro potenziale per vantaggi competitivi sostenibili;
(b) capacità di conseguire
profitti attraverso l’uso di
tali risorse e competenze.
Vantaggi
competitivi
2. Identificare le capacità
distintive dell’impresa. Cosa
può fare l’impresa meglio
dei suoi rivali? Per ciascuna
capacità individuare l’input
di risorse e la complessità.
Capacità
1. Identificare e classificare le
risorse dell’impresa. Valutare
forze e debolezze in rapporto a quelle dei concorrenti.
Individuare le opportunità
per una migliore utilizzazione delle risorse.
Risorse
5. Individuare il gap
di risorse che occorre
colmare. Investire per
acquisire, integrare e
migliorare la base di
risorse dell’impresa.
Le fonti dei vantaggi competitivi 193
• la sostenibilità (nel tempo) dei vantaggi competitivi;
• la capacità dell’impresa di «appropriarsi», dei vantaggi (profitti/creazione di
valore) generati dalle risorse e dalle capacità di cui dispone.
La RBT individua quattro caratteristiche delle risorse e delle competenze per la loro
particolare importanza nel sostenere vantaggi competitivi: durabilità, trasparenza,
trasferibilità e riproducibilità (Fig. 8.6).
Durabilità. Se la competizione manca, i vantaggi competitivi dipendono dal ritmo
con cui le risorse e le capacità diventano obsolete. La durabilità delle risorse varia
considerevolmente nel tempo: il ritmo crescente del cambiamento tecnologico abbrevia la vita utile di molte attrezzature tecniche e quella di molte risorse tecnologiche;
l’immagine (sia del prodotto sia dell’impresa) tende invece a deprezzarsi più lentamente. In genere, come sostiene Grant, le capacità hanno maggiore durabilità rispetto alle risorse sulle quali sono basate perché l’impresa è in grado di mantenere le
capacità sostituendo le risorse esaurite o in via di esaurimento. Qualche esempio: i
grandi stilisti italiani riescono a mantenere a lungo le loro capacità di fare moda e
creare valore attraverso più generazioni di collaboratori; Manchester United e Juventus restano grandi pur cambiando i giocatori.
Trasparenza. La capacità dell’impresa di sostenere i propri vantaggi competitivi
dipende dalla velocità con cui i rivali possono imitarne le strategie. Per farlo, i concorrenti devono risolvere due problemi: anzitutto individuare i vantaggi competitivi
che danno il successo all’impresa e, secondariamente, riuscire a imitare la strategia
vincente. I rivali sono in grado di acquisire le risorse e le capacità necessarie per imitare una strategia di successo?
Il tempo di imitazione dipende dalla capacità dei concorrenti di capire in che
modo le risorse e le capacità danno il successo all’impresa. Se le capacità comportano un sistema vario e complesso di risorse, anziché una risorsa unica e «visibile», per
i rivali sarà più difficile definire le loro strategie di attacco. The Body Shop, per
esempio, è stata vittima di una strategia imitativa quando i suoi vantaggi competitivi
divennero facili da individuare e riprodurre.
Trasferibilità. L’imitazione comporta il reperimento delle risorse e lo sviluppo delle
capacità necessarie per sostenere la sfida competitiva. La prima fonte di risorse e di
capacità è verosimilmente il mercato di questi input: se l’impresa può acquisire le
risorse necessarie per imitare il vantaggio competitivo di un rivale che ha avuto successo, tale vantaggio avrà breve durata. Molte risorse e capacità, tuttavia, non sono
facilmente trasferibili.
Figura 8.6
Quattro
requisiti per
sostenere i
vantaggi
competitivi
Vantaggi competitivi
Durabilità
Trasparenza
Trasferibilità
Riproducibilità
Le fonti dei vantaggi competitivi 197
Figura 8.7
Gli elementi
che agiscono
sul vantaggio
competitivo
Efficienza superiore
Vantaggio competitivo
Capacità superiore
di innovare
Fonte:
elaborazione da
C. Hill, G. Jones,
Strategic
Management,
Hughton Mifflin,
New York, 1998.
• Bassi costi
• Differenziazione
Qualità superiore
Capacità superiore
di rispondere
al cliente
Come può un’impresa raggiungere efficienza superiore a quella dei rivali? Le soluzioni sono numerose:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
realizzando economie di scala e sfruttando curve di esperienza;
adottando tecnologie flessibili di produzione;
riducendo il tasso di prodotti difettosi per realizzare zero defect;
introducendo il just-in-time;
innovando e progettando prodotti e servizi che siano facili da produrre (R&S);
aumentando la produttività delle risorse umane attraverso la formazione;
dando maggior potere a chi affronta i problemi pratici (empowerment);
legando le remunerazioni alle prestazioni;
dando efficienza all’intera organizzazione attraverso una leadership forte;
costruendo una struttura organizzativa che faciliti il coordinamento delle varie
funzioni verso il conseguimento degli obiettivi di efficienza.
Figura 8.8
L’impatto
della qualità
sui profitti
Aumenta
l’affidabilità
Prezzi
più alti
La qualità
migliora
Profitti
più alti
Aumenta
la produttività
Costi
più bassi
Sostenere i vantaggi competitivi in un ambiente dinamico 207
Figura 9.1
I fattori che
sostengono
nel tempo
i vantaggi
competitivi
Sostenibilità nel tempo
dei vantaggi competitivi
Barriere
all’imitazione
Capacità dei
concorrenti
Dinamismo
del settore
• il cambiamento verso un nuovo modello del business;
• il pericolo rappresentato da concorrenti che (dotati di riserve e capaci di cogliere
l’innovazione) provengono da altri settori;
• l’errore di continuare a fare le cose che sono state fatte in passato ignorando il
cambiamento e senza considerare le reazioni dei rivali.
Alcuni vantaggi sono transitori perché possono essere facilmente e rapidamente imitati: è il caso, per esempio, delle politiche di comunicazione e dei prezzi e anche dei
vantaggi derivanti dall’innovazione in certi prodotti e processi produttivi, difficili da
proteggere a lungo.
La persistenza, la durata di un vantaggio competitivo dipende almeno da tre fattori: le barriere all’imitazione, le capacità dei concorrenti e la dinamica del settore.
Alzare barriere all’imitazione
Le barriere all’imitazione sono rappresentate da ciò che rende difficile per un concorrente imitare le risorse e le capacità dell’impresa. Poiché il vantaggio competitivo
si traduce nella capacità di applicare prezzi più alti o sostenere costi più bassi e quindi conseguire profitti maggiori, i concorrenti tendono a imitarlo.
L’imitazione è ostacolata dall’esistenza di barriere, ma è difficile evitare che un
vantaggio competitivo venga imitato. Il problema principale è il tempo di imitazione:
quanto più è lungo, tanto maggiori sono le possibilità per l’impresa innovatrice di
costruire solide posizioni di mercato, consolidare i rapporti con i distributori, costruire immagine di marca; in sostanza, alzare barriere alla risposta dei concorrenti. I profitti accumulati possono essere investiti in ulteriori innovazioni e consolidare ulteriormente la posizione.
Imitare le risorse. I vantaggi basati su risorse tangibili sono i più facili da imitare.
Per esempio, la localizzazione geografica è raramente esclusiva e si possono perdere
rapidamente anche i vantaggi rappresentati da impianti più efficienti, perché macchinari, attrezzature e impianti possono essere acquistati nel mercato anche dai rivali.
Più difficile è imitare le risorse intangibili; prima fra tutte l’immagine di
marca. Nei fast food, per esempio, McDonald’s è sinonimo di buon rapporto prezzo/valore; Nestlé, Coca-Cola e altre marche con reputazione internazionale signi-
212 I vantaggi competitivi
Figura 9.2
I vari fattori
che possono
indebolire
i vantaggi
competitivi
Erosione dei vantaggi competitivi
Cambiano le
regole
Nuovi
concorrenti da
un mercato
vicino
Inerzia
(paradosso di
Icaro)
Ignorare il
cambiamento
Non
considerare la
reazione dei
rivali
Cambiano le regole
La deregulation o la strategia aggressiva di un’impresa possono cambiare le regole
della concorrenza alle quali i manager sono abituati e possono creare nuovi vantaggi
competitivi per le imprese che sanno individuarli e sfruttarli. È un fenomeno noto
con il termine sostituzione, intendendo con ciò il rimpiazzo di un vecchio modello di
business con un modello nuovo. Si tratta di una teoria nota anche come value migration, o migrazione di valore da un modello a un altro; o come disruptive technologies, tecnologie che distruggono o stravolgono le strutture della competizione preesistenti; e cambiamenti della struttura competitiva (Slywovsky, 1996).
In genere, la minaccia della sostituzione nasce in una nicchia piccola, con redditività bassa o negativa (Christensen, 1997). In una prima fase la nuova impresa non
rappresenta una minaccia per le imprese già presenti nel mercato, poiché offre prestazioni inferiori. Ma per rispondere al nuovo entrato le imprese dovrebbero disporre
di capacità che non hanno e che non possono acquisire nel breve periodo, anche perché non è chiaro verso quale modello stia evolvendo il settore.
Delta, American e United: strategie vulnerabili
Le tre grandi compagnie aeree americane hanno protetto per molto tempo le loro quote di
mercato attraverso il controllo degli hub-andspokes e gli investimenti nei sistemi di prenotazione CRS (Computer Reservation Systems).
I voli in partenza da varie località degli Stati
Uniti vengono fatti confluire su un unico aeroporto (hub) dal quale si irradiano voli per altre
località (spoke = raggio).
Il vantaggio per il passeggero è di poter raggiungere molte località con un unico scalo,
mentre la compagnia aumenta la capacità operativa utilizzata (rispetto a tanti singoli collegamenti diretti da aeroporto ad aeroporto).
Il controllo dei sistemi di prenotazione ha dato
poi alle compagnie un vantaggio nei rapporti
con le agenzie di viaggio e gli altri intermediari, nonché con i passeggeri che prenotano direttamente. Con i programmi frequent flyers (premi legati alla frequenza e alla lunghezza dei
voli con la stessa compagnia o compagnie collegate) è inoltre aumentata la fedeltà dei clienti.
Tutto questo ha però costi elevati, dovuti alla
gestione degli hub e alla struttura rigida delle
rotte.
La strategia si è dimostrata vulnerabile all’offerta di rivali come Southwest Airlines: prezzi bassi,
servizi no-frills (di base, senza opzioni particolari) e collegamenti point-to-point con voli diretti
non stop tra città di piccole e medie dimensioni,
buona qualità del servizio. Una formula che ha
strappato quote rilevanti del mercato.
Sostenere i vantaggi competitivi in un ambiente dinamico 217
di profitto. Le minacce maggiori provengono da cambiamenti nell’ambiente economico e sociale (calo della domanda), dalla deregulation e da nuove tecnologie.
• Risorse con ciclo standard (Standard cycle). Le imprese che fanno parte di questo
gruppo debbono affrontare una forte concorrenza da parte di pochi rivali che
adottano le stesse strategie, basate sull’intensità del capitale investito o sul marketing di massa. Poiché fondano le loro strategie sui grandi volumi, queste aziende
hanno processi standardizzati e devono coordinare attività distribuite in più organizzazioni (stabilimenti di produzione, punti vendita), operano in aree di mercato
circoscritte.
• Risorse con ciclo rapido (Fast cycle). Un terzo gruppo di imprese opera in mercati in cui il ciclo di vita del prodotto è breve, i margini di profitto sono rapidamente ridotti dalla concorrenza ed esiste una sorta di moto perpetuo dell’innovazione
e quindi dell’obsolescenza, causato dall’introduzione di nuovi prodotti. I vantaggi derivano da innovazioni idea-driven, quindi basate su un concetto o su una tecnologia che molti possono adottare, o su un’idea nuova di prodotto o di servizio
facile da imitare.
Le risorse e le capacità di un’organizzazione possono essere imitate da un’impresa
rivale in varia misura. Volendo rappresentare questa ipotesi graficamente (Fig. 9.3),
su un asse possiamo graduare la sostenibilità di un dato livello di risorse fissando i
due estremi: livello alto (risorse difficili da imitare) e livello basso (risorse facili da
imitare).
A un estremo stanno le risorse con ciclo lento, da cui derivano vantaggi competitivi difendibili a lungo in quanto le risorse sono protette da brevetti, particolari localizzazioni geografiche, forti immagini di marca. Williams porta come esempio il
rasoio Sensor, di Gillette, la cui immagine è stata costruita con rilevanti investimenti,
difficili da imitare in un arco di tempo breve.
All’estremo opposto si trovano le risorse con ciclo rapido, assai vulnerabili alle
imitazioni in quanto basate su concetti, idee o tecnologie che possono essere facil-
Figura 9.3
Vulnerabilità
dei vantaggi
competitivi
Fonte: adattato da
J.R. Williams «How
Sustainable is Your
Competitive
Advantage?»
California
Management
Review, primavera
1992, p. 33; e da
G. Day, D.
Reibstein,
Wharton on
Dynamic
Competitive
Strategy, Wiley,
New York, 1977.
Erosione lenta
Erosione forte
Livello alto di sostenibilità
(difficile da imitare)
Risorse con ciclo lento
Livello basso di sostenibilità
(facile da imitare)
Risorse con ciclo standard Risorse con ciclo rapido
• Posizioni fortemente
protette da brevetti,
forte immagine di
marca
• Standard di produzione di massa
• Economie di scala
• Processi produttivi
complessi
• Basate su un concetto, un’idea (idea-driven)
Es.: Gillette, con il rasoio
Sensor
Es.: Chrysler, con il MiniVan
Es.: Sony, con il Walkman
Sostenere i vantaggi competitivi in un ambiente dinamico 219
Persino Southwest, che veniva da 32 trimestri consecutivi di utili, era immune da
questa tendenza. I costi del lavoro in percentuale dei ricavi erano al 37, contro il 25
per cento di United Airlines, Northwest e UsAirways. La reputazione di Southwest di
tenere bassi i costi medi era però intatta (si veda il caso Southwest cap. 15).
9.3 Come sostenere a lungo un vantaggio competitivo
Per ridurre il rischio di cadere nelle «trappole» che possono indebolire il proprio vantaggio competitivo, un’impresa deve intraprendere alcune azioni:
1) prestare costante attenzione agli elementi fondamentali di ogni vantaggio (efficienza, qualità, innovazione e capacità di risposta alle esigenze del cliente);
2) individuare e adottare rapidamente i migliori metodi di gestione del settore;
3) rimuovere l’inerzia;
4) creare barriere all’imitazione;
5) minacciare rappresaglie;
6) difendere i modelli di business dalla sostituzione.
Costante attenzione
Il primo requisito per sostenere a lungo un vantaggio competitivo è migliorare
costantemente gli elementi fondamentali: efficienza, qualità, innovazione e capacità
di risposta alle esigenze del cliente. Sebbene sia difficile scrutare il futuro e individuare tendenze latenti, prestare attenzione costante all’ambiente generale e a quello
competitivo in particolare aumenta la capacità e la tempestività di risposta. Confidare sulle scelte del passato prese in un contesto che molto probabilmente è cambiato
può essere rischioso, perché possono essere sorte nuove minacce, ma anche perché si
rischia di perdere opportunità.
Figura 9.4
Azioni tese
a mantenere
un vantaggio
competitivo
Come sostenere a lungo
un vantaggio competitivo
Costante
attenzione
I metodi
migliori
Vincere
l’inerzia
Difese
contro
l’imitazione
Minaccia di
rappresaglie
Difesa
contro la
sostituzione
I metodi migliori
Misurarsi rispetto alle imprese migliori e acquisire i loro metodi è un passaggio insostituibile per mantenere a lungo un vantaggio competitivo. Poche imprese possono
vantare la leadership costante nei metodi di gestione e il modo più efficace per rinno-
224 I vantaggi competitivi
Figura 9.5
La teoria della
contendibilità
e gli effetti
sulla
competizione
Tendenze della politica
Regulation
Deregulation
Fonte: Tratto da
G. Day, D.
Reibstein,
Wharton on
Dynamic
Competitive
Strategy, Wiley,
New York, 1997.
Mercati/settori
Intero settore
Effetti sulla competizione
L’autorità fissa prezzi,
entrata, servizi minimi
obbligatori
Mercati/attività
contendibili
Prezzi, qualità e servizi
sono fissati dalla
competizione
Mercati/attività
in monopolio
Prezzi, qualità, servizi
minimi obbligatori
sono stabiliti da
contratti. L’autorità
fissa le norme e le
condizioni di accesso
al mercato
9.5 Ipercompetizione e vantaggi competitivi
Dalla recessione dei primi anni Novanta sono emerse imprese molto aggressive,
capaci di affrontare i rivali con vantaggi competitivi assai diversi (dai costi bassi al
time-to-market, dal lean management al Total Quality Management) e le loro strategie hanno causato in molti settori una rapida erosione dei vantaggi competitivi tradizionali. Questa «nuova febbre» della competizione ha dato un nuovo impulso agli
studi sulla formazione delle strategie.
Secondo D’Aveni (1995) il management e i ricercatori stanno scoprendo che i
modelli esistenti di strategia sono ormai quasi obsoleti sotto la pressione della concorrenza sempre più intensa e la sua tesi può essere così riassunta:
• le fonti tradizionali dei vantaggi competitivi non resistono a lungo nell’economia
contemporanea. I vantaggi tramontano molto rapidamente e vengono spesso distrutti dalle stesse imprese che per prime li hanno costruiti, per sostituirli con altri
totalmente nuovi;
• la competizione è sempre esistita e le differenze rispetto al passato sono l’aggressività e la rapidità di erosione dei vantaggi competitivi da parte degli attaccanti. In
passato il ciclo di vita dei prodotti e dei settori era più lungo;
• pochi settori sono esenti da questa nuova febbre dell’ipercompetizione. Anche
marche prestigiose protette a lungo dalla notorietà sono state scosse dalla nuova
concorrenza sul prezzo e sulla qualità; così come poste e telecomunicazioni, un
tempo monopolio incontrastato di organizzazioni pubbliche, sono ora sotto gli
attacchi concentrici di imprese di vari settori;
• l’ipercompetizione non è limitata all’high-tech: è ormai diffusa in molti settori,
dall’alimentare ai servizi finanziari.
Sostenere i vantaggi competitivi in un ambiente dinamico 229
Tre principi
L’ipercompetizione è in sostanza la negazione dei modelli statici. Con quest’ultima
espressione D’Aveni bolla le strategie di molte aziende negli anni Novanta. In un
ambiente che cambia lentamente, il vantaggio competitivo sostenibile a lungo è il
principale obiettivo. Nell’ipercompetizione, invece, il cambiamento è rapido: l’obiettivo è distruggere i vantaggi competitivi esistenti e crearne continuamente di nuovi
battendo sul tempo i concorrenti.
Questa visione dinamica è basata su tre principi:
1) ogni strategia deve incorporare le risposte dei concorrenti a un’azione dell’impresa che attacca. L’analogia è con i giochi di squadra, nei quali i giocatori devono
reagire alle mosse degli avversari in una rapida serie di mosse e contromosse;
Figura 9.6
Ipercompetizione e
vantaggi
competitivi
Redditività economica
Tempo
Sviluppo del vantaggio
Difesa del vantaggio
Erosione del vantaggio
Redditività economica
Fonte: R.A.
D’Aveni,
Hypercompetition:
Managing the
Dynamics of
Strategy
Maneuvering,
Free Press,
Boston, 1994
(trad. it.
Ipercompetizione,
Il Sole 24 Ore,
Milano, 1995).
Vantaggio
n. 1
Vantaggio
n. 2
Vantaggio
n. 3
Vantaggio
n. 4
Tempo
Il grafico in alto illustra la dinamica del vantaggio competitivo: la redditività aumenta con
lo sviluppo del vantaggio e smette di crescere quando il vantaggio è sostenibile; successivamente crolla quando il vantaggio soccombe all’erosione.
D’Aveni sostiene che in molti mercati il periodo di tempo in cui il vantaggio è sostenibile
stia riducendosi drasticamente. In simili condizioni l’impresa può mantenere la redditività
soltanto se sviluppa continuamente nuovi vantaggi competitivi (grafico in basso).
Le strategie corporate in un‘impresa single-business 239
Figura 10.2
Strategia
corporate in
un’impresa
multibusiness
Responsabilità a
livello di corporate
Corporate
Strategy
Azioni a due vie
Responsabilità di
management a livello
di business unit
Business Strategy
Azioni a due vie
Responsabili delle
principali funzioni
all’interno della
singola business unit
Strategie funzionali
(R&S, produzione, marketing, finanza,
risorse umane ecc.)
Azioni a due vie
Responsabilità
di gestione
di singole
unità
operative
Strategie operative
(aree geografiche, impianti, department
all‘interno di aree funzionali)
di un’impresa diversificata – e strategia di una single-business unit (SBU) o strategia
competitiva.
Dunque, la distinzione tra organizzazione single-business e organizzazione multibusiness è importante perché agisce sulla scelta delle strategie, su come vengono realizzate e gestite. Se l’impresa si identifica in una sola business unit, adotta strategie
competitive, con cui la business unit stessa affronta il proprio ambiente concorrenziale
(Fig. 10.2); se invece è composta da più business unit si parla di strategia corporate in
un’impresa multibusiness (Fig. 10.3), strategia che riguarda l’insieme di più SBU, che
possono anche non coincidere con imprese giuridicamente distinte, ma sono legate da
vincoli di capitale e sotto un governo unitario. La strategia corporate consiste quindi
nel decidere in quali business il gruppo debba essere presente, e come l’intera attività
debba essere organizzata e gestita. Iveco, per esempio, è articolata in quattro business
unit: veicoli leggeri, veicoli medi, veicoli pesanti e motori, e ciascuna SBU ha una propria strategia competitiva, propri concorrenti, tecnologie e risorse. La strategia corporate di Iveco consiste nelle scelte che riguardano l’insieme delle quattro SBU.
La strategia a livello corporate – sia in un’impresa single-business sia in un’impresa multibusiness – risponde ai seguenti interrogativi.
• Dobbiamo allargare il raggio d’azione ed entrare in nuovi business, oppure dobbiamo ridurlo, o mantenerlo allo stato attuale?
• Se decidiamo di allargare il raggio d’azione, dobbiamo concentrare le nostre attività nei settori in cui siamo già presenti o dobbiamo entrare in altri settori (diversificare)?
240 Le strategie corporate
Figura 10.3
Strategia
corporate di
un’impresa
singlebusiness
Responsabilità di
management a livello
di business unit
Corporate
Strategy
Azioni a due vie
Responsabili delle
principali funzioni
all’interno della
singola business unit
Strategie funzionali
(R&S, produzione,
marketing, finanza,
risorse umane ecc.)
Azioni a due vie
Responsabili di
impianti e altre
unità operative
Strategie operative
(aree geografiche, impianti,
department all‘interno di aree funzionali)
• Se la scelta è per lo sviluppo e per l’espansione in nuovi settori, dobbiamo farlo
per linee interne oppure attraverso acquisizioni, fusioni, joint venture, alleanze o
altre forme?
• In quali business dobbiamo entrare per rendere massima la redditività nel lungo
periodo?
• Quali strategie dobbiamo adottare per entrare in un nuovo business o per uscire da
un business che non ci interessa più?
Le risposte possibili configurano diverse opzioni strategiche. Nel nostro percorso
d’analisi, cominciamo con l’esame delle alternative a disposizione di un’impresa single-business.
10.2 Un ventaglio di opzioni strategiche
La maggior parte delle imprese comincia la propria attività in un solo settore e in un
solo business, ma se raggiungono grandi dimensioni è raro che non abbiano in qualche misura diversificato, verso valle nella distribuzione e/o verso monte nelle forniture. Tuttavia, esistono grandi imprese che continuano a operare principalmente in un
solo settore (pensiamo a Ferrero o a McDonald’s).
La presenza in un solo settore comporta il vantaggio della specializzazione, che
può tradursi in una migliore offerta di prodotti e servizi e in maggiore efficienza operativa. Esiste però il rovescio della medaglia: concentrare le risorse in un unico settore può aumentare la vulnerabilità dell’impresa all’andamento del ciclo economico.
Se per esempio l’attrattività del settore declina, perché la domanda cala o la concorrenza diventa più intensa, le performance peggiorano rapidamente.
Questi svantaggi possono essere superati attraverso la diversificazione, entrando cioè
in più settori, ma il successo non è garantito: l’esperienza di Daimler-Benz (che vedremo nel capitolo 12) insegna che così facendo si può distruggere valore anziché crearlo.
Le strategie corporate in un‘impresa single-business 241
Per poter sfruttare le opportunità che si presentano in altri settori, l’impresa può
adottare una diversificazione correlata, entrando in business complementari o simili
a quelli in cui opera, o una diversificazione non correlata, spingendosi in settori che
non hanno analogie o complementarietà.
In definitiva l’impresa può competere in uno o più business e, in questo secondo
caso, in business correlati o non correlati.
Supponiamo che operi unicamente in un settore. Attraverso l’analisi SWOT individua da un lato i fattori esterni – opportunità e minacce – che definiscono l’attrattività del settore, dall’altro i fattori interni – forze e debolezze – che definiscono la propria posizione competitiva. Dalla combinazione di questi due elementi emergono
varie opzioni per le strategie corporate (Fig. 10.4).
Hunger, Flynn e Wheelen (1990) hanno proposto una matrice che può essere
usata come modello per individuare le varie opzioni. Non sono evidentemente le
sole, ma sono le principali. Occorre ancora una volta ricordare che i confini tra settori sono spesso incerti, labili, mentre l’analisi di attrattività parte dal presupposto che
i confini siano chiari e stabili. La «porosità» dei confini tra settori tradizionali è infatti ampiamente dimostrata e un’interpretazione tratta dai principi della biologia e
dalla loro applicabilità all’economia d’impresa è discussa in Moore (1996).
Come mostra lo schema in Figura 10.4, la dimensione orizzontale della matrice
indica la posizione competitiva del business nei confronti dei rivali (posizione che
può essere forte, media e debole), mentre l’attrattività del settore (alta, media o
bassa) è la dimensione verticale. Le 9 celle individuano altrettante strategie, riconducibili a tre categorie.
Figura 10.4
Strategie
corporate: il
modello
attrattività del
settore/
posizione
competitiva
Forte
Attrattività del settore
Fonte: J.D.
Hunger, E.J. Flynn,
T.L. Wheelen
(1990),
«Contingency
Corporate
Strategy: A
Proposed
Typology with
Research
Propositions»,
Academy
Management,
aprile; T. Wheelen,
D. Hunger (1995),
Strategic
Management and
Business Policy,
Addison Wesley,
New York.
Posizione competitiva dei business
Forte
Media
1
Sviluppo
Concentrazione attraverso l’integrazione
verticale
2
Sviluppo
Concentrazione attraverso l’integrazione
orizzontale
3
Contrazione
Turnaround
4
Stabilità
Attesa da buona posizone
5
Stabilità
Attesa da posizione
debole
6
Contrazione
Impresa in posizione
captive o
disinvestimento
Media
Debole
Sviluppo
Concentrazione attraverso l’integrazione
orizzontale
7
Sviluppo
Diversificazione concentrica
8
Sviluppo
Diversificazione conglomerata
Debole
9
Contrazione
Fallimento o liquidazione
242 Le strategie corporate
– strategie di sviluppo, che comprendono sia la concentrazione all’interno del settore in cui l’impresa opera (celle 1, 2 e 5) sia la diversificazione attraverso la
quale lo sviluppo è generato al di fuori del settore (celle 7 e 8);
– strategie di stabilità (celle 4 e 5), che indicano come l’impresa possa perseguire la
mission e gli obiettivi attuali senza un significativo cambiamento nelle strategie;
– strategie di contrazione (celle 3, 6 e 9), a indicare le vie che l’impresa può adottare per ridurre il campo di azione.
In linea di principio queste strategie possono essere adottate da un’impresa singlebusiness così come da una multibusiness, in quanto le differenze riguardano il modo
in cui vengono realizzate.
Occorre dunque distinguere le modalità di attuazione. La concentrazione delle
risorse in un settore può per esempio essere realizzata investendo parte delle risorse
aziendali nella nascita e nello sviluppo di una nuova impresa in un nuovo mercato del
settore (sviluppo per linee interne) oppure acquistando un’impresa che già opera nel
settore o stringendo un’alleanza o ricorrendo al licensing. Analogamente, se un’impresa di produzione intende diversificare nel settore della distribuzione può acquistare un’altra impresa, oppure può stringere un’alleanza o ricorrere al franchising.
È evidente che queste distinzioni semplificano la realtà, al fine di studiarla. Di
fatto, se l’impresa è multibusiness può adottare più strategie simultaneamente: sviluppo per alcune business unit e contrazione per altre. Inoltre, i confini tra settori non
sono sempre netti ed è spesso difficile separare la concentrazione in un settore dalla
diversificazione in più settori.
In ogni caso, un modello teorico è un utile strumento di analisi e di sintesi descrittiva. Ipotizziamo dunque le strategie corporate di un’impresa che operi in un solo settore e debba scegliere tra sviluppo, stabilità o contrazione. Esaminiamo le caratteristiche generali delle tre opzioni per individuare le principali strategie.
Figura 10.5
Le strategie di
sviluppo: le
grandi scelte e
i modi per
realizzarle
Strategia di sviluppo
Concentrazione
Integrazione
verticale
Diversificazione
Integrazione
orizzontale
Concentrica
Come realizzare lo sviluppo
•
•
•
•
Acquisizioni (takeover)
Fusioni e incorporazioni
Alleanze
Joint venture
•
•
•
•
Franchising
Licensing
Contratti
Relazioni di lungo termine
Conglomerata
Le strategie corporate in un‘impresa single-business 249
Si possono individuare due principali strategie generiche:
1) rinunciare allo sviluppo nel breve termine e restare in attesa, avendo una buona
posizione competitiva, evitando di correre rischi con nuovi investimenti;
2) non cambiare le strategie, in attesa che sia la domanda sia il contesto competitivo
assumano una configurazione più chiara (propensi all’abbandono).
Sono strategie in genere adottate da imprese che hanno una buona posizione in settori con attrattività media, che può dipendere da un modesto sviluppo o dal declino
della domanda oppure da fattori dell’ambiente che minacciano di cambiare il quadro
della competizione.
Possono essere efficaci nel breve periodo, ma disastrose se protratte a lungo.
Figura 10.6
Due strategie
generiche di
stabilità
Strategie di stabilità
Attesa da buona posizione
Attesa da posizione debole
Attesa da buona posizione
Se l’impresa ha una buona posizione competitiva, ma il settore è entrato in una fase
di stagnazione e la sua attrattività è modesta anche perché l’ambiente è molto turbolento, secondo Wheelen e Hunger l’impresa ha due possibilità:
– pausa: l’impresa non rinuncia allo sviluppo, ma preferisce attendere e investire al
proprio interno, migliorando l’organizzazione, riducendo i costi fissi e aumentando l’efficienza dei processi di gestione. Questa strategia è periodicamente la regola nei settori in cui la domanda segue lunghe onde cicliche: edilizia, veicoli industriali, macchine per costruzioni, chimica di base;
– procedere con cautela: indica una situazione in cui l’ambiente competitivo e la
domanda possono rapidamente cambiare. Se si presume che possano in breve
tempo emergere o buone opportunità o forti minacce, l’impresa non prende rischi
e attende che l’incertezza diradi.
L’espressione «procedere con cautela» indica una strategia in risposta a un ambiente
fortemente competitivo e intensamente dinamico. L’ambiente potrebbe in breve
tempo muovere verso lo sviluppo o verso la contrazione. Nel corso del 2000, in pochi
mesi l’indice dei titoli tecnologici Nasdaq perse un terzo del proprio valore. Gli investitori valutavano negativamente la prolungata mancanza o la modestia dei profitti di
molte imprese del settore. Di fronte a questo crollo, molti piani di sviluppo delle
imprese che fornivano attrezzature e impianti alla new economy furono temporaneamente accantonati.
Le strategie corporate in un‘impresa single-business 251
La contrazione può essere una strategia di breve termine, destinata a essere rapidamente abbandonata, oppure anche una scelta di lungo periodo. Questo avviene
soprattutto quando l’impresa in difficoltà, dopo aver constatato la perdita di competitività, decide di concentrarsi su pochi clienti o su aree geografiche limitate. In pratica
il corporate rinuncia a fare nuovi investimenti, ma non intende nemmeno abbandonare completamente il settore o il segmento prodotto/mercato. Riduce la presenza del
gruppo o della business unit per concentrarla nei segmenti (o nei settori) che danno i
margini di utile più alti o che presentano le migliori possibilità di sviluppo futuro.
Figura 10.7
Tre strategie
generiche di
contrazione
Strategie di contrazione
Turnaround
Captive o
cessione
Abbandonare
(fallimento o
liquidazione)
Turnaround
È la strategia indicata per una situazione in cui il settore ha buona o forte attrattività e
l’impresa ha perso capacità competitiva, ma valuta di poterla recuperare. Con Robbins e
Pearce (1992) possiamo distinguere due stadi del turnaround che in parte si sovrappongono: ritirata (retrenchment) e recupero. Questa distinzione sarà ripresa al capitolo 18.
Ritirata (retrenchment). È la fase iniziale del turnaround e mira a fermare il declino, a stabilizzare la situazione. Consiste principalmente nel ridurre i costi e le attività
(di bilancio), quindi gli investimenti, in rapporto ai ricavi. Ha in genere un orizzonte di
breve termine e agisce per lo più sulle strategie funzionali. Le strategie competitive non
cambiano. È una sorta di versione ridotta di quanto avveniva prima, ma con maggiore
attenzione all’efficienza.
La ritirata di Levi Strauss
Per diversi anni l’azienda americana ha cercato di frenare il calo della domanda dei jeans
Levi’s. L’immagine tra i baby-boomer (i nati
tra il 1945 e il 1965) restava alta, ma l’impresa
non era riuscita a rispondere alle nuove mode
amate dai giovani. Inoltre, alcune tendenze
avevano penalizzato Levi Strauss: aumento
della domanda di prodotti non-denim, il successo delle marche dei dettaglianti (private-
label), lo spostamento del potere d’acquisto
dall’abbigliamento ad altri consumi e il calo
della popolazione giovane in Europa (meno 5
per cento entro il 2005).
Nel 1997 Levi Strauss chiuse 11 stabilimenti
negli Stati Uniti (6400 dipendenti persero il
lavoro) e altri 4 l’anno successivo in Europa
(2500 posti di lavoro).
260 Le strategie corporate
Figura 11.1
Esempi di
integrazione
verticale
Materie prime
Materie prime
Componenti meccanici
ed elettronici
Produzione
di microchip
Elettrodomestici
Assemblaggio di
personal computer
Catene di negozi
di vendita
elettrodomestici
Catene di vendita
di personal computer
Nota: Integrazione a monte e integrazione a valle sono relative allo stadio preso in esame.
Se un’impresa di elettrodomestici acquista un’impresa fornitrice di componenti meccanici
(utilizzati nel montaggio degli elettrodomestici) fa un’integrazione a monte. Se acquista
invece un’impresa che distribuisce elettrodomestici fa una integrazione a valle.
imprese. Questo problema è noto come «make-or-buy». La soluzione è nello stabilire quali benefici e quali costi comporti il ricorso al mercato. Le imprese esterne sono
spesso in grado di realizzare economie di scala nella produzione di un componente o
di un servizio che sono fuori dalla portata di un’impresa che decida di produrli al proprio interno.
Ricorrere a imprese esterne presenta anche altri vantaggi. Mentre la catena verticale all’interno di un’impresa può nascondere inefficienze di alcune attività in quanto la valutazione è fatta nel complesso di tutte le produzioni, le attività svolte dalle
imprese esterne sono sottoposte alla competizione. Ciò incoraggia l’innovazione e
l’efficienza. Il ricorso a imprese esterne presenta però problemi di coordinamento
che danno luogo a costi elevati quando la compatibilità tra componenti e servizi
acquistati è un fattore critico (occorre la massima precisione nei tempi, nelle qualità
e nelle specifiche). L’argomento ha avuto di recente un nuovo sviluppo con la diffusione dell’outsourcing (trattato oltre par. 11.2).
Catena verticale. In alternativa al make-or-buy, l’impresa può valutare la convenienza a svolgere direttamente una data attività situata a monte o a valle oppure
acquistare un’impresa che già le realizza. I vantaggi o gli svantaggi dell’una o dell’altra soluzione possono essere ricondotti a un confronto tra l’efficienza tecnica e il
costo del coordinamento.
L’efficienza tecnica ha varie interpretazioni e, secondo la più ampia, emerge
quando l’impresa realizza attraverso l’integrazione verticale un processo produttivo a
costi più bassi. Il costo del coordinamento riguarda invece i maggiori costi di produ-
Integrazione verticale e integrazione orizzontale 265
Figura 11.2
Vantaggi e
svantaggi
della
integrazione
verticale
Fonte: K.R.
Harrigan,
«Formulating
Vertical
Integration
Strategies»
Academy of
Management
Review, ottobre
1984, p. 639.
Vantaggi
Svantaggi
Vantaggi interni
Costi
• L’integrazione abbassa i costi eliminando i passaggi intermedi, riduce le
sovrapposizioni di costi fissi e riduce i
costi di accesso alla tecnologia.
• La maggiore efficacia del coordinamento tra attività di produzione riduce le
scorte e altri costi.
• Si riducono i tempi di molte attività,
come la contrattazione dei prezzi, la
comunicazione delle specifiche (ai fornitori) e la negoziazione dei contratti.
• Il coordinamento dell’integrazione verticale comporta maggiori costi fissi.
• Aumenta la capacità produttiva in
eccesso (somma tra le varie fasi).
• Se l’integrazione verticale non è organizzata in modo efficace, non emergono sinergie che compensino i costi di
coordinamento.
Vantaggi competitivi
Vulnerabilità dei vantaggi competitivi
• L’integrazione evita che le politiche dei
fornitori (circa i volumi, i tempi, le prestazioni) possano condizionare la politica generale dell’impresa.
• Migliora la ricerca delle opportunità
offerte dal mercato e dalle tecnologie.
• Aumentano le opportunità di differenziare i prodotti (aumenta il valore
aggiunto).
• Vi è maggiore capacità di controllo dell’ambiente competitivo (potere di mercato).
• Si crea maggiore credibilità per i nuovi
prodotti.
• Coordinando verticalmente le attività si
possono creare sinergie.
• Si perpetuano i processi obsoleti.
• Si creano barriere alla mobilità (in uscita da un business).
• L’impresa è legata a più business, alcuni
dei quali potrebbero entrare in crisi
(lungo la catena verticale).
• Si perde l’accesso alle informazioni
ottenibili dai fornitori e dai distributori.
• I manager possono sopravvalutare i
vantaggi dell’integrazione, in particolare le sinergie attese.
Tramonto di una strategia
Fino agli anni Settanta nelle economie europee chiuse allo scambio internazionale
era la regola che una grande impresa mirasse a controllare sia le fonti di approvvigionamento di materie prime e di componenti sia in tutto o in parte i canali della
distribuzione. L’integrazione verticale dava i vantaggi della stabilità nella programmazione dei volumi di attività nei vari stadi e aumentava il potere di negoziazione
verso l’esterno. In Italia dava anche vantaggi fiscali. Ma dalla metà degli anni Settanta in poi, poche imprese realizzano l’integrazione verticale e molte l’abbandonano
precipitosamente durante le fasi più acute della recessione economica di quegli anni
e dei decenni successivi. La scena è cambiata: l’apertura delle frontiere spezza molte
posizioni dominanti e lo sviluppo di imprese specializzate mette sul mercato componenti che hanno qualità migliori e prezzi più bassi rispetto a quelli prodotti lungo la
catena verticale. L’integrazione verticale mantiene intatti i suoi principi, ma è applicata soltanto a parti della catena. È in costante competizione con l’outsourcing e con
La diversificazione 281
Figura 12.1
La sequenza
di decisioni
che porta a
diversificare
Diversificare o non diversificare?
Con quali vantaggi e svantaggi?
Diversificazione correlata o non correlata?
Come entrare in un nuovo settore/mercato?
1) Acquisizioni
2) Fusioni
3) Alleanze strategiche
Come allocare le risorse tra settori.
Siamo nel settore giusto?
Strategie corporate in un’impresa multibusiness
Le lezioni della storia
Goodyear
Negli anni Settanta Goodyear aveva scelto la
diversificazione nel settore petrolifero. L’ha
poi abbandonata e, dopo aver superato un
periodo di crisi, negli anni Novanta attraverso
una profonda ristrutturazione ha scelto l’integrazione orizzontale (con l’acquisto di Sumitomo).
Pirelli
Diversa è la storia recente di Pirelli. Negli anni
Settanta era presente in vari settori: pneumatici, cavi, calzature (Superga), tabelloni elettronici degli aeroporti e delle stazioni ferroviarie
(Solari), abbigliamento (K-Way).
Superò la crisi innescata dall’aumento del
prezzo del petrolio (1973-75) e dalla conseguente caduta della domanda di veicoli da trasporto, concentrando l’attività sui segmenti
più remunerativi dei pneumatici e dei cavi e
cedendo le altre attività diversificate. Il tentativo di acquisire il concorrente Continental fallì
per la resistenza opposta dalla business community tedesca e la strategia di sviluppo basata sull’integrazione orizzontale si dimostrò
impraticabile. L’operazione lasciò Pirelli in
uno stato di debolezza.
Alla fine degli anni Novanta l’impresa manteneva una buona posizione nel settore pneumatici grazie all’uso di nuove tecnologie ed era tra i
leader della tecnologia di supporto a Internet.
Nel 2005 ha ceduto i cavi per energia. Di fatto
è diventata una holding.
La diversificazione 289
Interessi del management
Con la diversificazione il management può mirare allo sviluppo più per i vantaggi
derivanti dal gestire un’impresa in crescita – più potere, remunerazioni più alte – che
per l’interesse degli azionisti. La diversificazione può essere anche perseguita per
obiettivi propri (personali) del management, e in tal caso non è orientata all’efficienza o alla creazione di valore per gli azionisti, ma a mantenere o a rafforzare la posizione dei dirigenti che decidono di adottare tale strategia. Questi aspetti sono più evidenti quando la diversificazione interessa settori non correlati.
Amihud e Lev (1981) propongono un’altra ipotesi per spiegare perché i manager
possano perseguire acquisizioni non correlate: la ragione è evitare di essere cacciati.
Osservano che gli azionisti cominciano a pensare di sostituire il top management in
particolare quando l’impresa consegue risultati inferiori a quelli generali dell’economia. Pertanto, i manager tendono a ridurre il rischio di risultati modesti e possono
farlo attraverso acquisizioni non correlate. I dati statistici mostrano che i risultati di
imprese molto diversificate in genere riflettono l’andamento dell’intera economia, e
di conseguenza, in caso di risultati negativi, è meno probabile che gli azionisti siano
portati a sostituire il management.
Altri autori offrono invece conclusioni opposte: non è detto che la diversificazione non correlata risponda a obiettivi del management a svantaggio degli azionisti.
Aron (1988) osserva che tale strategia può rappresentare un incentivo per il management e ridurre nel contempo il costo necessario per motivare il management stesso
con schemi «pay-for-performance». Anche Donaldson e Lorsch (1983) vedono nella
diversificazione un modo per alzare la remunerazione, ma sono convinti che senza
una previsione di successo (creazione di valore per gli azionisti) il management non
avvierebbe una tale politica.
12.3 I limiti: la diversificazione che distrugge valore
Se l’obiettivo principale dell’impresa è creare valore per gli azionisti, questo diventa
anche il fine ultimo della diversificazione. Ma esistono molti casi di insuccesso.
Se avviene attraverso un’acquisizione, la diversificazione crea valore soltanto se
le risorse investite danno risultati superiori a quelli che si otterrebbero lasciando
l’impresa target indipendente. Se così non fosse, gli azionisti dell’impresa che diversifica avrebbero convenienza ad acquistare le azioni dell’impresa target (per esprimere questo concetto è comunemente usata un’espressione di Ansoff: la diversificazione crea valore soltanto se crea l’effetto 2 + 2 = 5).
Figura 12.2
La
diversificazione
può
distruggere
valore
Costi
eccessivi
Obiettivi
errati
Distruzione di valore
Sinergie
fantasma
306 Le strategie corporate
Figura 13.2
Due
alternative per
lo sviluppo
interno
Sviluppo per linee interne
Internal venture
Le opzioni
prodotto/mercato
(matrice di Ansoff)
Le opzioni prodotto/mercato (matrice di Ansoff)
Secondo Ansoff, lo sviluppo può essere raggiunto con una maggiore penetrazione nei
mercati in cui l’impresa è già presente, cercando nuovi mercati per i prodotti attuali,
ideando nuovi prodotti per i mercati attuali oppure cercando sia prodotti nuovi che
mercati nuovi (Fig. 13.3).
Figura 13.3
La matrice di
Ansoff
Attuali
Penetrazione
di mercato
Sviluppo
di prodotto
Sviluppo
del mercato
Nuovi prodotti
per nuovi mercati
(diversificazione)
Mercati
Nuovi
Nuovi
Prodotti
Attuali
Strategie di sviluppo di primo livello
Strategie di sviluppo di secondo livello
Penetrazione di mercato
È molto simile alla strategia di stabilità, ma ha il vantaggio di concentrare le strategie
sui prodotti, sulle tecnologie e sui mercati che già l’impresa conosce, riducendo in tal
modo i rischi e rendendo l’impresa più «visibile» ai clienti. Inoltre, dato che le capacità di produzione, di marketing e di innovazione sono concentrate su prodotti specializzati e su segmenti ben definiti di potenziali compratori (e non diversificati),
310 Le strategie corporate
• non sempre l’innovazione si traduce in successo di vendite;
• si commettono errori nella gestione dell’iniziativa.
Per ridurre i rischi di queste debolezze, i suggerimenti sono vari. Il successo dipende
anzitutto dalla scelta del progetto e poiché è difficile prevedere la redditività futura di
un’iniziativa, le imprese preferiscono avere più opzioni e decidere quando l’incertezza circa il futuro si sia diradata. I primi suggerimenti sono di carattere organizzativo:
cominciare a definire quali obiettivi strategici la R&S possa contribuire a raggiungere, e fare in modo che la new venture coordini strettamente le funzioni R&S, marketing e produzione. Intel ha dato vari esempi di questa strategia: iniziò come produttore di memorie DRAM (dynamic random access memory), ma poi usò le competenze
acquisite per entrare nei business dei semiconduttori e dei microprocessori.
Sviluppo esterno
Con queste strategie l’impresa mira a espandere la propria attività non con l’impiego
di maggiori risorse in attività che già fanno parte del suo portafoglio, bensì mediante
la fusione, o l’acquisizione o varie forme di alleanze con altre imprese (Fig. 13.4).
I modi per diversificare, integrare in senso verticale o orizzontale, creare sviluppo, ridurre il campo di attività non possono essere valutati come se fossero isolati dal
contesto. Come abbiamo già ricordato, spesso fusioni e incorporazioni e alleanze
sono un modo per riscrivere la struttura di interi settori. Se due grandi imprese come
per esempio Exxon e Mobil decidono la fusione, è assai probabile che ciò avvii un
processo a catena destinato a cambiare la struttura della concorrenza nel settore.
Figura 13.4
Sviluppo per
linee esterne
Sviluppo esterno
Fusioni e
acquisizioni
Alleanze
strategiche
Venture
capital
– Licensing
– Franchising
13.2 Fusioni e incorporazioni
Raramente la diversificazione è fatta per linee interne, quasi sempre si ricorre a fusioni e acquisizioni o ad alleanze strategiche.
Per fusione (merger) si intende l’integrazione tra due o più imprese in una sola,
che potrà portare il nome di entrambe oppure un nome diverso (Fig. 13.6). In genere
le fusioni avvengono tra imprese che hanno dimensioni simili e sono «amichevoli»,
cioè concordate tra le parti coinvolte.
Con l’acquisizione (acquisition) – o incorporazione, come più spesso si definisce
in Italia – un’impresa ne acquista un’altra e la integra nella propria struttura. Dopo
l’acquisizione esiste soltanto un’impresa: quella che ha acquistato. Se chi compra è
un gruppo, l’impresa acquistata può essere collocata al suo interno come un’entità
Come entrare in nuovi settori 311
Figura 13.5
Confronto tra
sviluppo per
linee interne
e sviluppo
mediante
fusioni e
acquisizioni
Sviluppo per linee interne
Finanza
• Sia il fabbisogno finanziario sia i ricavi sono distribuiti in un lungo periodo
di tempo.
Management
• Rischio di non raggiungere la redditività programmata nei tempi previsti.
• Si stima siano necessari almeno otto
anni per raggiungere un ROI positivo
seguendo lo sviluppo per linee interne. Un amministratore delegato o un
direttore generale può non restare
tanto a lungo.
Alternative
• Le vie alternative per realizzare la
diversificazione per linee interne
sono molte.
Legislazione
• In genere non pone limiti allo sviluppo per linee interne.
Barriere
• Possono essere difficili da superare.
Sviluppo per linee esterne
Fusioni e acquisizioni
• Dà luogo a un fabbisogno finanziario
elevato in breve tempo per realizzare
l’acquisizione.
• Occorre raggiungere rapidamente le
sinergie programmate.
• Il rischio di insuccesso è elevato come
dimostrano le molte acquisizioni che
non solo non hanno raggiunto gli
obiettivi, ma hanno messo in crisi le
imprese acquirenti.
• Le imprese che rispondono esattamente ai requisiti richiesti per la
diversificazione sono poche.
• La disciplina della concorrenza può
porre limiti.
• La legislazione fiscale può rendere
onerosa o conveniente l’acquisizione.
• L’acquisizione di un’impresa già operante consente di superare facilmente
diverse barriere: brevetti, tecnologie,
complessità della distribuzione, fedeltà alle marche esistenti.
autonoma, assieme alle altre imprese che già ne fanno parte, oppure può essere integrata in un’impresa esistente. Le acquisizioni avvengono in genere tra imprese di dimensioni diverse e possono essere «ostili» o «amichevoli».
In un’acquisizione ostile l’impresa target non accetta l’operazione e spesso adotta manovre per evitarla, per esempio:
1) acquista proprie azioni;
2) cerca un partner disposto a un’acquisizione amichevole (white knight);
3) contrae forti debiti a lungo termine che andranno rimborsati in caso di acquisizione (cosiddette «pillole al cianuro»);
4) invoca un intervento delle autorità antitrust;
5) prolunga il mandato del Consiglio di amministrazione;
6) attribuisce agli attuali azionisti il diritto di acquistare azioni a un prezzo sensibilmente più basso rispetto alla quotazione di borsa (cosiddette «pillole avvelenate»).
312 Le strategie corporate
Figura 13.6
Nomi vecchi
e nuovi dopo
le fusioni
Fusioni tra grandi imprese danno vita a nuove imprese, il cui nome a volte
incorpora quelli di entrambi i partner, a volte abbandona uno dei due, altre
volte crea un nome nuovo.
Entrambi i partner
America Online
Exxon
Chrysler
BP
WorldCom
+
+
+
+
+
Time Warner
Mobil
Daimler-Benz
Amoco
MCI Communications
=
=
=
=
=
AOL Time Warner
Exxon-Mobil
Daimler-Chrysler
BP Amoco
MCI WorldCom
+
+
+
+
+
+
+
Netscape Communications
CBS
TeleCommunications Inc.
Nynex
Chemical Banking
Capital Cities/ABC
Turner Broadcasting
=
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=
=
=
=
=
America Online
Viacom
AT&T
Bell Atlantic
Chase Manhattan
Walt Disney
Time Warner
Un partner solo
America Online
Viacom
AT&T
Bell Atlantic
Chase Manhattan
Walt Disney
Time Warner
Qualcosa di nuovo
Citicorp
+ Travelers Group
= Citigroup
Perché decidere una fusione o un’acquisizione?
Sono vari i motivi che spingono le imprese verso una fusione o verso l’incorporazione di un’altra impresa. I più frequenti sono: il superamento di barriere all’entrata
in un settore; l’acquisizione di una quota di mercato; l’azione sulla concorrenza per
il controllo del mercato; l’acquisizione di capacità di management in settori poco
conosciuti; la necessità di unire le forze per sostenere aumenti di costo in attività
strategiche.
• Superare barriere. L’entrata in un nuovo mercato può essere ostacolata da barriere come il controllo su un fattore strategico, la disponibilità di brevetti o licenze di
fabbricazione e la fedeltà dei consumatori alle marche già esistenti. L’acquisizione di un’impresa può consentire di superarle.
• Acquisire quote di mercato. Comprare un’impresa significa acquisire un portafoglio di clienti, quindi una quota del mercato. Ciò accelera i tempi di entrata e significa anche escludere un concorrente. Renault, per esempio, è stato il
primo costruttore straniero a entrare mercato della Corea del Sud – fino ad
allora protetto – avendo acquistato Samsung Motors, la divisione autoveicoli
del conglomerato Samsung Group. Con la giapponese Nissan, sempre controllata da Renault, ha rappresentato una testa di ponte per entrare nel mercato
asiatico.
Come entrare in nuovi settori 315
La fase preparatoria riveste molta importanza, ma raramente viene sviluppata in
modo appropriato perché i tempi sono in genere molto stretti. Una ricerca di KPMG
Consulting (1997) rivela che i CEO intervistati su cosa avrebbero dovuto fare meglio
per dare successo alla fusione o all’incorporazione, hanno risposto «dedicare più
tempo alla preparazione». La raccolta di informazioni nella forma di due diligence è
indispensabile per evitare «scheletri nell’armadio». Per quanto riguarda le fasi successive dell’acquisizione, le sequenze variano da caso a caso, ma convergono tutte
su due punti culminanti: la negoziazione e il piano di integrazione nel gruppo.
2) Negoziazione. Un elemento determinante riguarda il livello al quale sono condotte le trattative. Gruppi operativi specializzati, spesso con l’assistenza di consulenti esterni, valutano e preparano le fusioni e le acquisizioni nei minimi dettagli, ma
perché esse possano riuscire è necessario che i passi e le trattative fondamentali
siano fatti personalmente dai capi delle due imprese o comunque dai livelli più
alti del management.
3) Integrazione. Un terzo elemento determinante riguarda la definizione del modo in
cui l’impresa incorporata si colloca nella struttura organizzativa della incorporante e quindi nella futura configurazione. Le possibilità sono diverse poiché si va
dallo smembramento totale e dalla completa integrazione nelle varie business unit
della incorporante, a una struttura che lascia larga autonomia alla incorporata. In
ogni caso, l’esperienza insegna che non si deve commettere l’errore di considerare i rapporti tra le due imprese come se potessero essere regolati trattando le
nuove relazioni unicamente dal punto di vista della ridistribuzione dei compiti tra
le vecchie e le nuove unità componenti, oppure sanciti in modo puramente formale tra le due gerarchie organizzative. Il problema principale di questa fase è stabilire quali piani di sviluppo e quali politiche organizzative debbano essere mante-
Figura 13.7
Fasi di
un’acquisizione:
le strategie di
integrazione
Quale tipo
di impresa
comprare?
Come
integrarla?
Fase 1
Fase 2
Struttura iniziale
Integrazione di
tutte le funzioni
Agire sulle persone
Nuovi orientamenti
Preparazione
strategica
Fonte: The
Economist
Intelligence Unit,
Making
acquisitions
work, 1990.
Preparazione
tattica
Azioni
immediate
Valutazione e
aggiornamenti
Correzioni
Disinvestimento
Come entrare in nuovi settori 325
Lungo termine
Transazioni
Grado di coinvolgimento
Permanente
Figura 13.8
Le alleanze
strategiche
Fonte:
elaborazione da
V. Harbison, P.
Pekar, Smart
Alliances, Jossey
Bass, New York,
1998.
Figura 13.9
Evoluzione
dei fattori
che spingono
verso le
alleanze
Fonte: adattato
da V. Harbison,
P. Pekar, Smart
Alliances, Jossey
Bass, New York,
1998.
Ad esempio,
Keiretsu in
Giappone
A L L E A N Z E
Ad esempio,
Anheuser-Busch
Accordi annuali
o pluriennali di
acquisto e
forniture
Accordi di
distribuzione
Licensing
Programmi di
partnership
nella R&S
Ordini di
acquisto di
commodity
Cooperazione
nel marketing
Cooperazione
nella
pubblicità
Accordi di
acquisto con
finanziamento
up-front
Scambio di
informazioni
Ripartizione
delle risorse
Nessun legame
Acquisizione
ad esempio
Ford-Jaguar
S T R AT E G I C H E
Relazioni del
tipo
outsourcing
5
Ad esempio,
Caitex
Ripartizione
dei
finanziamenti
Partecipazioni
incrociate
Capitale
distribuito tra
i soci
Proprietà
dell’intero
capitale
Proprietà
Anni Settanta
Anni Ottanta
Anni Novanta
Le prestazioni
di prodotto
La posizione
nel settore
Le capacità
e le competenze
Produrre con le tecnologie più recenti
Costruire la posizione
nel settore
Accesso alle nuove
opportunità attraverso
un flusso costante di
innovazione
Marketing oltre i confini nazionali
Consolidare la posizione nel settore
Anticipare i rivali per
massimizzare la creazione di valore
Vendite basate sulle
prestazioni del prodotto
Economie di scala e di
scopo
Ridurre i costi totali per
prodotto o per segmenti di clienti
Acquisire vantaggi nel
rispondere a condizioni
che cambiano e all’emergere di opportunità
340 Le strategie corporate
Figura 14.1
La matrice
sviluppo/
quota di
mercato
Alto
Ritmo di sviluppo
Star
Question mark
Possibili strategie del corporate
Cash cow. Investe le risorse
per proteggere le posizioni
di mercato e le fonti di cash
flow.
Dog. Riduce gli investimenti al minimo; massimizza il
cash flow; «miete»; abbandona.
Cash cow
Question mark. Investe per
conquistare posizioni di
mercato oppure decide di
«mietere» o disinvestire
per rendere minimo il drenaggio di risorse.
Dog
Basso
Alta
Bassa
Quota di mercato
Star. Investe per difendere
le posizioni di mercato e/o
investe per conquistare
quote di mercato.
fronta sulla base della quota di mercato relativa, che si considera come sintesi della
capacità di competere e quindi della capacità di generare profitti. Si ricavano così
quattro profili, cui corrispondono altrettante specifiche strategie.
Star. Nel quadrante a sinistra in alto della matrice sono collocate le «stelle», le business unit con elevata quota di mercato operanti in un settore in forte sviluppo, le più
ambite in un portafoglio di business unit. Hanno prospettive di elevati profitti nel
lungo termine e opportunità di sviluppo per mantenere la posizione. Queste business
unit devono fare rilevanti investimenti. Dato che hanno elevate quote di mercato, è
verosimile che le economie di scala possano generare forte liquidità.
Cash cow. Nel quadrante in basso a sinistra sono le «mucche da mungere», ossia le
business unit che hanno una elevata quota di mercato in un settore con un basso ritmo
di sviluppo. Proprio perché lo sviluppo è basso il fabbisogno di nuovi investimenti è
modesto. La forza di queste business unit è nell’essere nella fascia bassa delle curve
di esperienza (dove i costi sono più bassi). Sono leader di costo nel loro settore. Sono
quindi in grado di generare liquidità e profitti (i costi di ammortamento sono bassi
essendo modesto il fabbisogno di investimenti). Se lo sviluppo è basso (dato che il
settore è maturo), è probabile che le posizioni tra concorrenti siano stabili. Queste
business unit hanno quindi buone prospettive di mantenere elevati profitti. La stabilità delle posizioni allontana però la possibilità di sfruttare nuove opportunità, perciò
liquidità e profitti possono essere destinati a sostenere le star.
Question mark. Nel quadrante in alto a destra sono le business unit con bassa
quota di mercato in un settore in forte sviluppo. Hanno dunque una debole posizione
competitiva, ma essendo in un settore ad alto potenziale hanno opportunità di conseguire profitti nel lungo termine e partecipare alla fase espansiva. Proprio a causa del-
344 Le strategie corporate
Figura 14.2
Matrice GEMcKinsey:
attrattività del
settore/
posizione
competitiva
dell’impresa
Fonte:
A. Thompson,
A. Strickland,
Strategic
Management,
McGraw-Hill,
New York, 1998.
• Quote di mercato e ritmo
di sviluppo
• Margini di profitto del
settore
• Intensità della
concorrenza
• Fattori stagionali e ciclici
• Compatibilità tra la
catena del valore
del settore e le catene
del valore dei business
dell’impresa
• Compatibilità tra le
risorse necessarie per
competere nel settore
e le disponibilità di
risorse dell’impresa
• Condizioni dell’ambiente
esterno (sociale, naturale,
economico)
• Opportunità emergenti
nel settore
• Minacce alla stabilità del
settore
• Grado di rischio e di
incertezza
• Quota relativa di mercato
• Controllo delle competenze
e delle capacità necessarie
• Buoni margini di profitti
a confronto con quelli dei
concorrenti
• Capacità di fronteggiare
i rivali per caratteristiche
dei prodotti e dei servizi,
qualità e altre prestazioni
• Posizione relativa di costo
(rispetto ai concorrenti)
• Disponibilità di risorse
per alimentare i fattori di
successo del settore
• Immagine/reputazione
• Capacità di negoziazione
con i fornitori e/o i
compratori
• Elevato know-how del
management
Le strategie corporate in un’impresa multibusiness 347
Figura 14.3
La matrice
stadi di
evoluzione/
posizione
competitiva
Stadi di evoluzione
del prodotto/mercato
Lancio
Sviluppo
Shakeout
Maturità/
Saturazione
Declino
Fonte: C. Hofer,
D. Schendel
(1978), Strategy
Formulation:
Analytical
Concepts, West
Publishing
Company.
Figura 14.4
Esempio di
matrice
risorse/mercati
Forte
Media
Debole
Posizione competitiva
Risorse/capacità
Nella produzione
di massa
Nella
distribuzione
Nella
tecnologia
Mercati
Fonte: adattato
da B. Wernerfelt,
(1984), «A
Resource-Based
View of the
Firm», Strategic
Management
Journal, pp. 171180.
Semiconduttori
X
Elettronica di consumo
X
Computer
X
X
X
L’esempio in Figura 14.4 illustra come il settore dell’elettronica in Giappone
abbia dapprima recuperato il ritardo nei confronti degli Stati Uniti e come abbia
poi conquistato la leadership. Il Ministry of International Trade & Industry (MITI)
individuò nel settore dei semiconduttori il ruolo chiave per questa strategia. Il
MITI concentrò le risorse nazionali in questo settore e in quello dell’elettronica di
consumo. I successi ottenuti alimentarono sia il cash flow sia le tecnologie che
diedero il primato nel settore computer a NEC, Hitachi, Toshiba e Fujitsu (Itami,
Roehl, 1987).
Le strategie corporate in un’impresa multibusiness 349
Core competencies: l’impresa come portafoglio di risorse
Un approccio simile al precedente è stato proposto da Hamel e Prahalad (1994). I due
autori suggeriscono anzitutto di considerare un’impresa che sia presente in più settori non come un portafoglio di business unit, ma come un portafoglio di risorse.
Propongono poi un approccio strutturato in sei fasi operative:
1) individuare le attuali core competencies dell’impresa;
2) costruire una matrice analoga a quella illustrata in Figura 14.5;
3) stabilire un piano di acquisizione delle core competencies di cui l’impresa attualmente non dispone;
4) acquisire e consolidare tali competenze;
5) dispiegare le competenze all’interno dell’impresa;
6) proteggere e rafforzare rispetto ai rivali la leadership di tali competenze.
La matrice di Hamel e Prahalad distingue tra competenze esistenti nell’impresa e
nuove competenze da acquisire da un lato, e prodotti o mercati esistenti e prodotti o
mercati nuovi dall’altro. Ciascuna delle quattro celle sintetizza in un titolo le relative
strategie.
Nuove
Core competencies
Figura 14.5
Un piano di
acquisizione
delle core
competencies
Premier Plus 10
Quali nuove core competencies
dobbiamo acquisire per costruire, proteggere ed estendere la
nostra posizione competitiva
nei mercati attuali?
Mega opportunità
Quali nuove core competencies
dovremmo costruire per essere
protagonisti nei migliori mercati del futuro?
Riempire gli spazi vuoti
Quali sono le opportunità per
migliorare la nostra posizione
nei mercati esistenti usando le
core competencies esistenti?
Spazi bianchi
Quali nuovi prodotti o servizi
potremmo offrire configurando
in modo nuovo e creativo le
core competencies di cui già
disponiamo?
Esistenti
Esistenti
Nuovi
Mercati
Riempire gli spazi vuoti. Il quadrante in basso a sinistra indica il portafoglio
attuale di competenze e di prodotti e servizi. L’espressione «riempire gli spazi vuoti»
riguarda le opportunità di migliorare la posizione competitiva dell’impresa nei mercati in cui è già presente, attingendo alle core competencies di cui già dispone. Hamel
e Prahalad portano l’esempio di Canon, che riuscì a rafforzare la sua posizione nel
mercato delle macchine fotografiche usando la tecnologia microelettronica che la
stessa Canon aveva sviluppato nel business delle fotocopiatrici.
Premier Plus 10. Il quadrante in alto a sinistra suggerisce un’altra domanda importante. Quali nuove core competencies dobbiamo costruire oggi per essere considera-
Le strategie corporate in un’impresa multibusiness 351
• in che misura esiste accordo tra le strategie della SBU e le strategie e gli obiettivi
del corporate (parent)? Per esempio, il corporate può avere come obiettivo primario lo sviluppo nei mercati internazionali. Fino a che punto le strategie attuali e
future delle singole SBU incorporano questo obiettivo?
• in che misura esiste accordo tra le esigenze e le opportunità per lo sviluppo di una
SBU, e le capacità e le competenze del corporate (parent)? Per esempio, la SBU
può avere come obiettivo lo sviluppo nei mercati internazionali, ma non avere
tutte le capacità e competenze necessarie. Il corporate dovrebbe essere in grado di
fornirle.
La matrice in Figura 14.6 riassume le varie situazioni:
• heartland indica una situazione in cui la parent company aggiunge valore; è il fulcro di future strategie (è la «patria»);
• ballast è la collocazione delle SBU per le quali il centro può far poco: potrebbero
avere successo se fossero indipendenti (è la «zavorra»);
• value trap indica posizioni pericolose: al centro viene chiesto di contribuire, ma
non ha le risorse; le SBU dovrebbero spostarsi in heartland;
• alien identifica i casi per i quali la prospettiva è l’abbandono (è l’alieno).
Il concetto di parenting ha alcuni pregi (De Kare-Silver, 1997). Anzitutto spinge a
coordinare l’azione del corporate nei confronti delle varie SBU e inoltre:
Figura 14.6
Il parenting
mix
Fonte: M. Goold,
A. Cambell, M.
Alexander,
(1994),
Corporate Level
Strategy, Wiley,
New York.
Rapporto tra fattori
di successo e risorse
del corporate
a) mette in primo piano il ruolo del «centro» (la parent company) nella creazione di
valore e suggerisce che una strategia multibusiness non è semplicemente la
somma di tante strategie di SBU;
b) spinge a individuare i business o i mercati in cui l’impresa ha accumulato le maggiori competenze (la «patria»);
c) le ricerche degli autori hanno confermato che poche imprese esercitano un ruolo
centrale nella formulazione delle strategie; molte delegano il loro ruolo e le loro
responsabilità ai manager della business unit.
Alto
Ballast
Heartland
Alien
Value trap
Basso
Basso
Alto
Esigenze della SBU nei confronti del corporate
e competenze del corporate
354 Le strategie corporate
Figura 14.7
PIMS: i
principali
fattori
per valutare
il potenziale
strategico
Fonte: R.
Buzzell, B. Gale,
(1987), The PIMS
Principles, Free
Press, Boston.
Forza competitiva
• Quota di mercato
• Quota relativa (ai primi tre
del mercato)
• Qualità relativa
• Brevetti
• Assistenza ai clienti
Produzione snella
• Intensità degli investimenti
• Rapporto tra attività fisse e
circolanti
• Utilizzazione della capacità
operativa
• Produttività
• Make-or-buy
•
•
•
•
•
Attrattività del mercato
Ritmo di sviluppo
Concentrazione
Innovazione
Potere di negoziazione
Complessità della logistica
Eccellenza delle risorse umane
• Organizzazione snella
• Cultura partecipativa
• Incentivi
• Formazione
• Risorse interne
Nuovi criteri di scelta
Negli ultimi tempi molte imprese hanno dimostrato che è possibile aumentare il valore per
gli azionisti attraverso la gestione di un portafoglio di business unit o di linee di prodotto.
Nonostante questi successi, sembra che le imprese multibusiness non convincano
del tutto, soprattutto negli Stati Uniti. Alla notizia che un gruppo diversificato intende acquistare una nuova impresa, spesso le azioni scendono, mentre quando la notizia è che vende, altrettanto spesso le azioni salgono. Analisti e investitori preferiscono la trasparenza. È difficile valutare un gruppo che opera in più settori con strategie
diverse e che affronta concorrenti di varia forza.
In parte agisce anche il ricordo (negativo) della storia dei conglomerati degli anni
Sessanta e Settanta negli USA, quando tutti gli investitori avevano azioni di ITT, Textron, Gulf & Western. Piaceva il loro sviluppo aggressivo basato sull’acquisto di altre
imprese, gli investitori arrivavano a pagare 20 o 30 volte i dividendi per azione e gli
azionisti vedevano crescere il loro valore vertiginosamente. I conglomerati acquistavano pagando poco per cassa e molto con le proprie azioni, grazie alle quali riuscivano ad acquistare altre imprese con relativa facilità e rapidità (in un solo anno, il 1968,
ITT acquistò nei soli Stati Uniti ben 20 imprese). Attirate da questi successi, molte
imprese trascurarono l’efficienza interna per abbracciare la diversificazione e cominciarono ad acquistare fuori del proprio settore tutto quanto prometteva sviluppo.
Ma nei primi anni Settanta l’interesse di Wall Street per i conglomerati svanì. L’idea che il management potesse gestire con successo qualunque attività fu sostituita
da un’idea opposta e le nuove teorie avevano come slogan stick to their knitting, ossia
«resta nei settori che conosci e smetti di comprare imprese di settori non correlati».
Ma il dilemma non era risolto. I conglomerati non avevano (e non hanno) dato
risultati interamente negativi. La gestione di ITT, per esempio, resta un modello.
366 Le strategie di business unit
Figura 15.1
Tre tipi di
strategie
competitive
Le strategie competitive
Generiche
• Costo
• Differenziazione
• Costo + Differenziazione
• Focus
Ciclo di vita del settore
• Frammentazione
• Embrionale
• Forte sviluppo
• Maturità
• Declino
Dinamiche
• Attacco ai leader
• Difesa dei leader
• Ristrutturazione/
Turnaround
Le situazioni che si presentano nella realtà sono numerose. Un modo per semplificare l’analisi consiste nel distinguere tre categorie (Fig. 15.1)1:
1) strategie generiche, adatte per tutti i business indipendentemente dal settore e dal
fatto che le imprese siano industriali o di servizi;
2) strategie in rapporto alla fase del ciclo di vita del settore;
3) strategie in situazioni particolari, o strategie dinamiche.
Mentre le prime sono oggetto di questo capitolo, le altre verranno trattate nei capitoli 16, 17, 18.
15.2 Le strategie generiche
Ghemawat (1999) colloca negli anni Settanta la ripresa dei concetti che sono all’origine di queste strategie. Il forte aumento delle materie prime e la crisi di molte imprese avevano aperto le porte alle società di consulenza e ridato slancio alla ricerca accademica in materia di analisi strategica. Costo e differenziazione erano impliciti nel
concetto di barriere all’entrata introdotto da Bain, mentre McKinsey adottava il business system (precursore della catena del valore) come strumento di analisi strategica.
Porter (1980) e Hall (1980) furono i primi a sostenere che le imprese per avere
successo devono scegliere tra competere sulla base dei costi o sulla base della differenziazione (vi abbiamo già accennato nel capitolo 8). Porter sviluppò questa distinzione e rese popolare l’espressione «generiche», sviluppando anche l’idea di «focus»,
una strategia che abbraccia entrambe le precedenti. Secondo questo autore, per
costruire vantaggi competitivi che diano la possibilità di superare i rivali e conseguire risultati superiori alla media del business o del settore, le imprese possono scegliere fra quattro strategie competitive (che non si escludono l’una con l’altra):
• leadership di costo;
• differenziazione;
• focus sui costi e focus sulla differenziazione.
368 Le strategie di business unit
Figura 15.2
I vantaggi
della cost
leadership
rispetto ai
profitti medi
Profitto per unità = prezzi – costi per unità
A
A Prezzo
medio
Y
Y Costi dei
concorrenti
X
X Costi del
leader di
bassi costi
Profitti del
leader di bassi
costi: rispetto
alla media
Profitti dei
concorrenti
Vantaggi
I vantaggi di questa strategia (Fig. 15.2) possono essere illustrati ricorrendo al modello
delle cinque forze di Porter. Praticare costi bassi è una scelta che difende meglio dai prodotti sostitutivi e dal potere di negoziazione dei fornitori e dei clienti ed è una barriera
potente all’entrata di nuovi concorrenti. Se i costi sono più bassi, il leader può praticare prezzi più bassi rispetto ai concorrenti mantenendo il loro stesso livello di profitti.
In secondo luogo, se la competizione nel settore aumenta e le imprese cominciano ad affrontarsi sul prezzo, il leader sarà in grado di sostenere la competizione
meglio delle altre imprese grazie ai suoi bassi costi. Avrà quindi maggiori possibilità
di conquistare e difendere le quote di mercato.
Disponendo di un’elevata quota di mercato, l’impresa ha un forte potere di negoziazione nei confronti dei fornitori. La strategia di bassi costi è anche una barriera nei
confronti delle imprese che vorrebbero entrare, in quanto poche possono imitare questo vantaggio competitivo. Il ciclo si autoalimenta. L’aumento dei volumi di produzione fa diminuire i costi e di conseguenza, a parità di condizioni, fa aumentare i profitti dando all’impresa la capacità di fare ulteriori investimenti per lo sviluppo.
Svantaggi
Il principale rischio è che altri concorrenti siano in grado di produrre a costi altrettanto bassi o addirittura inferiori. Più volte il progresso ha reso obsolete tecnologie
basate sui grandi volumi e ha dato gli stessi vantaggi (curve di esperienza) a imprese
con volumi di produzione più bassi. Le tendenze dell’ambiente possono cambiare e
le imprese che affidano la leadership di costo a localizzazioni in paesi a basso costo
del lavoro corrono il rischio di fluttuazioni nei cambi, di misure protezionistiche da
parte degli stati in cui vendono e che i concorrenti producano in paesi a costo del
lavoro ancora più basso. È inevitabile che nei paesi in via di industrializzazione i
costi del lavoro crescano. Le imprese dell’Europa Occidentale che negli ultimi anni
Ottanta hanno localizzato le produzioni in Polonia e in altri paesi dell’Europa Centro-Orientale, dopo pochi anni sono state costrette a rivedere la loro politica a causa
dell’inevitabile aumento del costo del lavoro. Un altro rischio è che il leader di costo
concentrando risorse, capacità e attenzione su come tenere i costi bassi, perda di vista
gli eventuali cambiamenti nelle attese dei potenziali compratori.
Le strategie competitive generiche 371
Figura 15.3
Differenziazione
delle principali
catene
alimentari
dell’Europa
Occidentale
nella
percezione del
cliente
Basso
prezzo
Elevata
qualità
Private
label
Aldi
Marks & Spencer
Migros
Sainsbury’s
Lidl
Tesco
Albert Heijn
Netto
Carrefour
Auchan
Marche del
produttore
Galeries Lafayette
Note: 1) i prezzi tengono conto degli sconti; 2) la qualità tiene conto in particolare dei
prodotti freschi.
Le ricerche dimostrano che la strategia di differenziazione genera profitti più alti
rispetto alla strategia di bassi costi in quanto rappresenta una barriera più difficile da
superare. La strategia di cost leadership dal canto suo genera frequentemente una più
ampia quota di mercato.
Mentre la cost leadership è orientata principalmente alla produzione (product-driven), la strategia basata sulla differenziazione è orientata principalmente alle esigenze del compratore (market-driven). Comporta dunque una costante attenzione ai
cambiamenti nelle esigenze e nelle attese dei clienti e nella capacità di rispondere in
modo innovativo a tali esigenze.
La differenziazione è tipica dei settori in cui i costi di marketing sono una parte
significativa della catena del valore e nei quali sono rilevanti le opportunità per dare
ai consumatori la percezione di diversità dei prodotti.
Figura 15.4
I vantaggi
della
differenziazione
rispetto ai
profitti medi
Profitto per unità = prezzi – costi per unità
B Prezzo
dell’impresa che
differenzia
A Prezzo medio
Costi della
impresa che
differenzia
Profitti della
impresa che
differenzia:
sopra la media
Z
Y Costi dei
concorrenti
Profitti dei
concorrenti
380 Le strategie di business unit
Figura 15.5
Rischi delle
strategie
competitive
generiche
Fonte: adattato
da M. Porter,
Competitive
Advantage,
The Free Press,
Boston, 1985.
Rischi della cost leadership
Rischi della differenziazione
Rischi del focus
La cost leadership non è
sostenibile quando:
• i concorrenti imitano;
• le tecnologie cambiano;
• altre basi della cost leadership svaniscono.
La differenziazione non è
sostenibile quando:
• i concorrenti imitano;
• le basi della differenziazione diventano meno
importanti per il compratore.
Il segmento scelto come target diventa meno attraente
quando:
• la strategia focus viene
imitata;
• la struttura e i confini tra
segmenti si sfaldano;
• la domanda cala.
Per il compratore i vantaggi
dati dalla differenziazione
superano largamente quelli
dei bassi costi*.
Per il compratore i vantaggi
dati dai bassi costi superano
largamente quelli della differenziazione.
I concorrenti che hanno scelto target più ampi entrano
nel segmento:
• le differenze del segmento
rispetto ad altri segmenti
svaniscono;
• aumentano i vantaggi di
offrire un’ampia gamma
di prodotti.
Le imprese che hanno adottato una strategia focus riescono ad abbassare ulteriormente i costi nei loro segmenti.
Le imprese che hanno adottato una strategia focus riescono a differenziare ulteriormente nei loro segmenti.
Nuove imprese entrano con
strategie focus e frazionano
ulteriormente i segmenti nel
settore.
* È il concetto di proximity. In una strategia basata sulla differenziazione, l’impresa deve
accertarsi che i prezzi più alti da essa praticati (per la qualità più alta dei servizi) non siano
troppo superiori a quelli dei concorrenti. Detto in altre parole, i clienti devono percepire
che le differenze nella qualità valgono i maggiori costi (per loro). Una strategia di cost
leadership non può ignorare le caratteristiche dei prodotti offerti dalle imprese che adottano una strategia basata sulla differenziazione e, inversamente, una strategia di differenziazione non può ignorare (prossimità) i prezzi praticati dalle imprese che adottano
una strategia di cost leadership.
In mezzo al guado
Porter sostiene che, per avere successo, una business unit deve perseguire una soltanto delle strategia competitive generiche. In caso contrario corre il rischio di trovarsi
«in mezzo al guado» senza vantaggi competitivi e con risultati inferiori alla media.
Questa tesi è ampiamente contestata.
Secondo Porter, dopo aver scelto la strategia l’impresa deve realizzarla in modo
coerente. Per esempio, se la scelta è per la differenziazione ed è basata sulla capacità
di innovare, è un errore cercare di ridurre le spese di R&S, perché in tal modo si perderebbe il vantaggio competitivo e le competenze distintive svanirebbero. Analogamente, se la scelta è per una strategia di bassi costi può essere un errore entrare in
troppi segmenti, come fanno le imprese che scelgono la differenziazione, poiché
aumentando la varietà dei prodotti aumentano i costi di produzione e quindi l’impresa perde il vantaggio dei bassi costi.
Molte imprese dopo aver scelto una delle tre strategie generiche, a causa di cambiamenti nell’ambiente esterno, perdono il controllo della situazione e non fanno
quanto dovrebbero fare con la strategia scelta. Ben presto si trovano a competere con
altri rivali che hanno applicato strategie più attente. Sono «in mezzo al guado». Non
Le strategie competitive generiche 381
hanno vantaggi competitivi in alcuna strategia. Per esempio, un’impresa che abbia
scelto una strategia di nicchia, trascinata dal successo iniziale può differenziare oltre
misura e disperdere le risorse in troppi campi. People Express è portata come esempio classico di un’impresa che sceglie una delle tre strategie, ma poi non alloca le
risorse nel modo giusto e nella misura giusta.
People Express
Scelse un mercato di nicchia. Serviva il segmento del trasporto aereo a costo basso, nofrills, sulle rotte Londra-New York. Ebbe un
grande successo iniziale, ma quando cercò di
servire altri segmenti geografici e di potenzia-
re la flotta entrò in una crisi finanziaria che la
portò al fallimento. Fu acquistata da Texas Air
e poi incorporata in Continental Airlines. Era
entrata in un mercato per il quale non aveva
vantaggi competitivi sostenibili.
Anche le imprese che adottano strategie basate sulla differenziazione possono trovarsi in mezzo al guado a opera di altre imprese più specializzate o che hanno i vantaggi competitivi nei bassi costi.
Varie ricerche confermano le tesi di Porter (Dess, Davis, 1984; Porter, 1980). Tuttavia, è dimostrato che il successo è andato anche a imprese che hanno adottato sia la
strategia di bassi costi sia quella di differenziazione: i costruttori giapponesi Toyota,
Nissan e Honda, per esempio, così come le europee BMW e Benetton. Day (1989)
definisce la loro strategia playing the spread e cita il caso di Kellogg, che ha percorso
la strada dei bassi costi e della vendita premium price, offrendo ai clienti i prodotti di
qualità superiore. Day sostiene che elevando la qualità dei prodotti sia possibile
abbassare indirettamente i costi, e in questo si ispira alle tesi di Deming (1986), secondo il quale qualità e produttività (che comporta costi più bassi) sono compatibili.
White (1986) propone invece di integrare le due strategie dei bassi costi e della
differenziazione: nella matrice in Figura 15.6 la posizione in mezzo al guado è quelFigura 15.6
Integrare le
strategie
competitive
generiche del
modello Porter
Bassa
Alta
Alto
Costo puro
Costo e differenziazione
Nessun vantaggio
competitivo
Differenziazione pura
Costi
Fonte: R.E. White,
«Generic Business
Strategies,
Organizational
Context and
Performance: an
Empirical
Investigation»,
Strategic
Management
Journal, maggiogiugno, p. 226.
Differenziazione
Basso
Le strategie competitive e il ciclo di vita di settore 389
16.1 Le strategie nei settori frammentati
Un settore si dice frammentato quando è composto da molte imprese di piccole e
medie dimensioni, nessuna delle quali riesce a conquistare quote rilevanti. Ristorazione, riparazioni auto, distribuzione alimentare attraverso il piccolo dettaglio, trasporti su strada, professione di dottore commercialista sono alcuni tra i tanti esempi
che si possono fare. La frammentazione ha varie origini e, come sappiamo, non è
esclusiva di un dato stadio del ciclo di vita di settore. È una situazione che dipende da
fattori di struttura (modeste economie di scala, barriere all’entrata basse) e quindi
può essere permanente o quasi permanente.
Nei settori frammentati la posta in gioco non è soltanto attrarre la domanda, ma come
sopravvivere, da un lato, e come acquisire posizioni di forza dall’altro.
Mentre molte imprese cercano di fronteggiare la frammentazione, altre (in genere
poche) cercano di consolidare il settore riducendola (Fig. 16.1).
Figura 16.1
Due strategie
contrapposte
Mentre alcune imprese cercano
di resistere alla frammentazione
•
•
•
•
•
Nuovi segmenti di mercato
Specializzazione
Segmenti ad alto sviluppo
Segmenti a basso sviluppo
Ritirata
Altre cercano di consolidare
il settore (ridurre il numero
di imprese)
• Prodotto standardizzato di
basso costo
• Marketing aggressivo
• Entrata di sorpresa
• Acquisto di imprese concorrenti
Fronteggiare la frammentazione
È evidente che in una situazione fluida è difficile distinguere l’attacco dalla difesa.
Possiamo tuttavia individuare alcune strategie che ricorrono frequentemente.
Per fronteggiare la frammentazione in genere le imprese già presenti nel mercato
hanno di fronte quattro alternative:
a) cercano segmenti trascurati o creano nuovi segmenti nel mercato;
b) specializzazione;
c) concentrano le loro risorse sui segmenti ad alto sviluppo che persistono anche in
un mercato frammentato;
d) destinano le loro risorse a settori a basso sviluppo dove la competizione è meno
intensa;
e) battono in ritirata.
Nuovi segmenti di mercato
L’obiettivo è individuare segmenti di mercato che abbiano un ritmo di sviluppo e un
potenziale di redditività superiore alla media. Non si tratta di una ricerca facile e non
sempre questa strategia può dare buoni risultati nel breve termine. Per poterla adotta-
Le strategie competitive e il ciclo di vita di settore 407
Le strategie per ridurre la minaccia di entrata di nuove imprese
Si dice che l’impresa A è entrata nel mercato M se introduce un nuovo prodotto o un
servizio e:
a) in precedenza non esisteva; oppure
b) esisteva ma non operava in M.
La prima situazione rappresenta l’entrata di una nuova impresa, mentre la seconda
situazione è l’entrata di un’impresa diversificata. L’uscita dal mercato è il contrario dell’entrata. È il ritiro dal mercato, sia da parte di un’impresa che cessa completamente di
operare sia da parte di un’impresa che continua a operare, ma lo fa in un altro mercato.
Per ridurre la minaccia di entrata di nuovi concorrenti, e al tempo stesso mantenere la redditività del settore, le imprese possono adottare quattro strategie:
a)
b)
c)
d)
allargare la gamma di prodotti;
ridurre i prezzi;
predatory pricing (prezzi predatori);
mantenere un eccesso di capacità operativa.
Ampliamento della gamma
Per ridurre la minaccia di nuove entrate, le imprese possono ampliare la gamma
offerta al fine di occupare il maggior numero di nicchie possibili, togliendo così spazio ai concorrenti. In tal modo si crea una barriera ai potenziali entranti. La lentezza
dei costruttori europei di auto a occupare le nicchie sport-utility, per esempio, ha
favorito l’entrata nel mercato dei costruttori giapponesi.
È una strategia che presenta molti rischi. Come vedremo trattando delle strategie
miranti ad aumentare l’efficienza, introdurre nel mercato un’ampia varietà di prodotti può dissuadere nuovi rivali, ma comporta forti costi che la stagnazione della
domanda può coprire solo in parte.
Figura 16.2
Quattro
strategie per
ridurre le
minacce di
entrata
Le strategie per dissuadere
l’entrata di nuovi concorrenti
Allargare la
gamma dei
prodotti
Ridurre i
prezzi
Predatory
pricing
Mantenere
eccesso di
capacità
operativa
410 Le strategie di business unit
Figura 16.3
Le strategie
per ridurre
l’intensità
della
competizione
Le strategie per ridurre
l‘intensità della
competizione
Il prezzo
come segnale
Price
leadership
Non price
competition
Controllo
della capacità
operativa
Azioni dal lato
dei fornitori
Azioni dal lato
dei distributori
rivali, oppure intendevano così dissuadere i concorrenti potenziali dall’entrare nel
settore e i rivali attuali dall’aumentare la capacità operativa.
A differenza della riduzione dei prezzi e del predatory pricing, un eccesso di
capacità operativa può dissuadere un’impresa dall’entrare nel mercato, anche quando
abbia una completa informazione circa i costi e le strategie delle imprese già presenti. Quando il potenziale entrante prefigura la natura della concorrenza dopo la sua
entrata, deve stimare le quantità che sarà in grado di vendere e i prezzi che potrà ottenere. Pertanto, mantenendo la capacità operativa in eccesso, le imprese già presenti
possono influenzare la previsione del potenziale entrante circa il futuro della redditività del settore e quindi anche della propria. È evidente che l’eccesso di capacità operativa del settore può anche non essere il risultato voluto.
Guerra di logoramento. In una guerra di logoramento i contendenti bruciano
risorse in un confronto estenuante, senza vincitori. Alla fine chi sopravvive ha un
«premio» mentre chi perde non ha nulla e vorrebbe non aver mai partecipato alla
contesa. Se la guerra di attrito dura a lungo, anche il vincitore può trovarsi in condizioni peggiori rispetto a quando la guerra era iniziata in quanto le risorse che ha bruciato possono essere superiori al «premio» ottenuto. Nella realtà gli esempi sono
molti. L’arsenale nucleare degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica accumulato tra il
1945 e gli anni Ottanta è un classico esempio di guerra d’attrito.
Le strategie per ridurre l’intensità della competizione
Dal momento che la concorrenza comporta una pressione sui prezzi e sulla redditività e che nei settori maturi esiste forte interdipendenza tra strategie, le imprese mirano a ridurre l’intensità della competizione. Attuano a tale fine varie strategie, tra cui
le più importanti sono:
•
•
•
•
•
•
uso del prezzo come segnale;
leadership di prezzo;
competizione non basata sul prezzo (non-price competition);
controllo della capacità operativa;
azioni dal lato dei fornitori;
azioni dal lato dei distributori.
Il prezzo come segnale
Con questa strategia le imprese comunicano le loro intenzioni alle altre imprese circa
la strategia di prezzo che hanno in programma di adottare e i modi con cui intendono
414 Le strategie di business unit
Figura 16.4
Le strategie
nei settori
in declino
Settori
in declino
Creare sviluppo
Costringere
i rivali
all‘abbandono
«Mietere»
«Tenere il
campo»
Disinvestire
o liquidare
L’esperienza insegna che anche nei settori in declino esistono imprese in grado di
ottenere buoni risultati. Nessuno dubita per esempio che la domanda di sigarette e di
bevande alcoliche sia in calo, eppure Philip Morris compra imprese e marchi e altrettanto fa Bacardi. Quali strategie adottano? Quali sono i fattori del loro successo?
Cominciamo con il domandarci perché un settore entra in una fase discendente.
Il declino può essere causato da un cambiamento nello stile di vita dei consumatori, da una nuova tecnologia, da tendenze demografiche o da politiche dello stato. Le
conseguenze principali sono due: eccesso di capacità operativa e pressione sui prezzi.
Negli anni Novanta vari settori sono entrati in una fase di questo genere: trasporto
aereo, semiconduttori, abbigliamento di fascia medio-alta soggetto a moda, autoveicoli; nei primi anni Duemila è stata la volta del personal computer. Quando la domanda in un mercato non cresce o comincia a declinare si verificano in breve profondi
cambiamenti nella struttura della concorrenza (il che comporta anche un diverso
modo di fare l’analisi competitiva) e anche nella struttura interna delle imprese.
Per quanto riguarda la concorrenza l’effetto più evidente è che per mantenere una
quota di mercato – e quindi per saturare la capacità produttiva – in presenza di una
domanda stagnante è necessario strappare quote a uno o più concorrenti. La competizione si fa così sempre più intensa. Le imprese più deboli vengono spinte fuori dal
mercato, mentre le imprese che rimangono sono costantemente poste di fronte a tre
opzioni: «mietere», ossia trarre il maggiore vantaggio possibile nel breve termine e
poi abbandonare, disinvestire e in qualche caso anche liquidare, oppure cercare una
posizione di forza con una strategia opposta.
Come dimostra l’esame della realtà, se è vero che la capacità produttiva totale
deve essere ridotta, che l’occupazione diminuisce e che diminuisce anche il numero
delle imprese, è anche vero che esistono alternative diverse al disinvestimento e alla
liquidazione. Con una frase a effetto si potrebbe dire non esistono settori in declino,
ma soltanto dirigenti che non sanno o non possono reagire a causa di vincoli esterni
all’impresa.
Premesso che se la domanda rallenta il ritmo di crescita oppure ha una contrazione, è necessario rivedere gli obiettivi della business unit in modo da renderli compatibili con le tendenze e le effettive opportunità del mercato, le strategie suggerite per
le imprese che operano in settori con domanda in declino sono assai varie.
Aaker (1998) individua cinque strategie di risposta delle imprese a un mercato in
declino:
• creare sviluppo dando nuovi impulsi al settore o concentrando l’attività su segmenti che mantengono sviluppo;
• conquistare una posizione dominante e costringere i rivali all’abbandono riuscendo a conseguire profitti;
• «mietere» (ridurre i costi e gli investimenti) per destinare risorse all’entrata in
altri settori;
418 Le strategie di business unit
Le tecniche sono varie:
•
•
•
•
•
outsourcing, quando all’esterno le produzioni hanno un costo inferiore;
nuova configurazione di prodotto o di servizio;
cessione degli impianti non utilizzati;
abbandono dei punti vendita che chiudono in perdita;
nuovi canali della distribuzione, per assicurare gli sbocchi alle produzioni di
basso costo.
Disinvestire o liquidare
All’avvicinarsi del declino, l’impresa può valutare che l’uscita anticipata dal settore
(vendita ad altri) possa rappresentare la strategia migliore. È una strategia adottata in
particolare quando l’impresa prevede che la concorrenza sarà forte e non dispone, o
non vuole mettere in campo, le risorse necessarie per mantenere le nicchie di mercato ancora esistenti. L’opzione migliore è vendere a un’impresa del settore che contemporaneamente stia perseguendo una strategia di leadership. Pagherà un prezzo
più alto di un’impresa di un altro settore.
La liquidazione è la soluzione più drastica: il patrimonio è smembrato, le attività
sono cedute e le passività estinte.
Bassa
Intensità della competizione
in settori in declino
Alta
Figura 16.5
Intensità della
competizione
e forze
dell’impresa
Disinvestire
Nicchia
o mietere
Mietere
o disinvestire
Leadership
o nicchia
Bassa
Alta
Forza dell’impresa nelle nicchie rimanenti
I leader tra attacco e difesa 425
Prodotti sostitutivi
Per attaccare i leader del mercato molte imprese lanciano un prodotto sostitutivo che
presenta vantaggi rispetto ai prodotti concorrenti: un prezzo più basso, minori costi
di esercizio, minor peso, minori dimensioni o altro.
È evidente che di per sé questo non garantisce il successo nel lungo periodo, poiché le imprese leader possono imitare chi attacca offrendo un prodotto simile e possono difendersi agevolmente riducendo i prezzi, aumentando le spese in pubblicità,
promozione, distribuzione o accelerando il lancio di nuovi prodotti. In tal modo, chi
è in posizione dominante nel mercato aumenta gli investimenti necessari per competere e quindi aumenta i rischi per il nuovo entrante. Essendo difficile riuscire nell’attacco frontale, alcune imprese preferiscono dunque la strategia dell’angolo cieco.
Tetra Pack, per esempio, deve il proprio successo a una strategia di questo tipo. I suoi
contenitori di alimenti liquidi hanno costituito un’eccellente alternativa all’utilizzo di
bottiglie di vetro o lattine. Per competere in questi ultimi due settori è necessario
disporre di forti economie di scala e avere il controllo delle tecnologie e TetraPack
non aveva possibilità di competere su questo terreno. Ha quindi evitato lo scontro
frontale e aggirato i leader presentando un prodotto con una tecnologia completamente diversa, meno costosa, più flessibile e innovativa.
Figura 17.1
Strategia
dell’angolo
cieco
o blind side
Il leader di mercato ha la forza per respingere gli attacchi che vengono da imprese con
piccole quote di mercato (A, B, C). Queste ultime devono pertanto attaccare aggirandolo
e individuando un punto debole.
Market
Product Lines
A
M
ar
ke
tl
ea
de
r
B
C
Fonte: Business
International
Research Report,
1983.
426 Le strategie di business unit
Bic contro Gillette
Bic ha scelto la strategia del prodotto sostitutivo per attaccare il leader di mercato Gillette.
L’impresa francese è stata la prima a introdurre rasoi «usa e getta» sfruttando una tecnologia che Gillette aveva fino ad allora trascurato.
La reazione non si è fatta attendere: nel giro di
pochi mesi sono stati messi in commercio
Figura 17.2
Tre strategie di
attacco blind
side (angolo
cieco)
rasoi Gillette con le stesse caratteristiche Bic.
Dopo una contesa giudiziaria che ha visto
respingere, da un tribunale americano, l’accusa mossa da Bic a Gillette di aver carpito l’idea, il produttore americano ha preso il sopravvento e ha confinato il rivale in una piccola quota di mercato.
Blind side
strategy
Nuove forme
di distribuzione
Prodotto sostitutivo
• Bic contro Gillette
• TetraPak
• Avon
• Benetton
Nicchie trascurate
• Canon
• Makita
Nuove forme di distribuzione
Le imprese che hanno modeste quote di mercato si trovano spesso a fronteggiare
canali di distribuzione controllati saldamente dalle imprese leader. Per farsi strada
quindi, partendo da posizioni più deboli, devono proporre forme alternative di distribuzione poiché quelle tradizionali sono spesso precluse. Questa barriera può essere
frutto di un accordo in esclusiva oppure la conseguenza di forti investimenti in pubblicità. Per esempio, quando San Pellegrino decise di entrare nel segmento delle soft
drink con un nuovo prodotto, One-o-One, trovò la strada sbarrata nella grande distribuzione poiché il leader di mercato, Coca-Cola, aveva vincolato i propri clienti alla
vendita esclusiva, ed essendo Coca-Cola un prodotto di richiamo, la grande distribuzione non poteva farne a meno (questa politica venne poi condannata dall’antitrust).
Alcune imprese hanno adottato il porta-a-porta, altre hanno optato per vendite per
corrispondenza, altre ancora hanno utilizzato la grande distribuzione quando i leader
adottavano canali specializzati. Internet ha aperto altri spazi per competere con forme
nuove di distribuzione.
Avon e il porta-a-porta
Non riuscendo a convincere i distributori a
mettere i suoi prodotti accanto a quelli dei leader, Avon decise di adottare un nuovo modo di
vendere: il porta-a-porta, ed ebbe successo.
Mise in difficoltà i leader, che non potevano
imitarla adottando la stessa formula di vendita
poiché i distributori, che avevano dato loro la
preferenza, sarebbero insorti.
442 Le strategie di business unit
18.1 Le cause del declino e le responsabilità del management
Per turnaround si intende l’insieme delle azioni con le quali l’impresa, sotto la pressione del peggioramento prolungato dei risultati, cerca di superare il periodo di difficoltà e tornare alle prestazioni del periodo precedente ed eventualmente migliorarle.
Il processo è avviato nel convincimento che il settore non sia condannato a un
declino inesorabile, oppure che anche nella fase di declino l’impresa possa conquistare posizioni e mantenere comunque una buona redditività. Il management muoverà quindi dall’analisi delle cause del declino, esterne e interne, per stabilire gli
effetti della crisi e le condizioni per un recupero della situazione.
Così come per altre strategie competitive, non esistono regole valide per tutte le
situazioni, ma l’esperienza indica alcuni elementi fondamentali. Dall’esame dei successi e degli insuccessi nei turnaround emerge infatti che per superare la crisi di risultati occorrono: impegno, creatività e volontà di rovesciare la situazione; capacità di
guardare oltre gli ostacoli di breve termine; capacità di individuare e trarre vantaggio
dal potenziale dell’impresa; capacità di creare consenso.
Il primo passo è dunque la diagnosi: quali sono le cause della crisi di risultati? È
un calo delle vendite originato da una recessione dell’economia? Oppure sono i costi
operativi troppo alti? Oppure è l’eccessivo indebitamento?
Capire l’origine e valutare l’intensità della crisi è essenziale, perché proprio dalla
diagnosi dipenderanno le scelte tra le varie opzioni di una strategia di turnaround.
Quando sopraggiunge una crisi, sul banco degli imputati va inevitabilmente il
management. Alcune cause dipendono, come sappiamo, dall’ambiente esterno e al
management può essere imputato di non averle tempestivamente individuate e arginate: sono per esempio le tendenze del settore, come innovazione tecnologica e
aumento della produttività che rendono obsoleti gli impianti e creano eccesso di
capacità operativa; sono strategie dei concorrenti; calo della domanda; aumento dei
costi degli input; calo della redditività a causa del calo dell’efficienza operativa e
nuove esigenze dei clienti. Due tendenze meritano un cenno più ampio: le azioni dei
concorrenti e i cambiamenti nelle attese dei potenziali clienti quindi nella domanda.
Pochi settori negli ultimi decenni sono stati risparmiati da nuovi concorrenti.
Quando nuovi entrati o vecchi rivali con nuove strategie cambiano il contesto competitivo, le altre imprese devono rispondere rapidamente. Se non lo fanno, prima o
poi entrano in crisi (vedi le strategie di attacco ai leader, nel capitolo 17). Ignorare i
cambiamenti della domanda porta alle stesse conseguenze. Cambiamenti nella tecnologia, nella legislazione, nell’economia possono cambiare le esigenze dei clienti
Figura 18.1
Le principali
cause della
crisi
Recessione
Cambiamenti
nella tecnologia
Crisi
Responsabilità
del management
444 Le strategie di business unit
Figura 18.2
La gestione
strategica in
una fase di
recessione
Condizione dell’impresa
Strategia del turnaround
Azioni avviate
nel turnaround
Condizione forte
Attacco
• Investire in vista della
ripresa del ciclo
• Acquisire quote di mercato: acquistare imprese
concorrenti; concorrenza aggressiva; migliorare le attività chiave
• Strategie di espansione
nei mercati mondiali
Condizione mediamente
forte
Management all’altezza
della situazione
Essere pronti nella fase di
ripresa del ciclo
• Razionalizzare il portafoglio prodotti/servizi
• Razionalizzare/adattare
la struttura organizzativa per aumentare la
flessibilità e l’efficacia
del controllo
• Ridurre gli effetti di
future onde cicliche:
cambiare il mix dei prodotti/servizi e il mix dei
mercati geografici
Condizione debole
Sopravvivenza
• Ridurre i costi operativi:
lavoro, capacità produttiva, scorte, marketing.
• Ridurre gli oneri finanziari
• Disinvestire
Fonte: PA
Consulting
Group.
Cambiamenti nella tecnologia
Le innovazioni radicali possono sconvolgere la struttura della competizione e spingere rapidamente imprese leader verso il declino.
Negli ultimi anni Novanta, per esempio, la rivoluzione digitale ha scosso anche il
settore della fotografia minacciando una tecnologia le cui tradizioni risalivano alla
fine dell’Ottocento. Gli operatori online offrivano di sviluppare, stampare e inviare le
fotografie sul web a costo zero. Eastman Kodak, che aveva solo Fuji Photo e pochi
altri come concorrenti, si è trovata improvvisamente di fronte imprese high-tech e
dell’elettronica di consumo come Hewlett-Packard e Sony.
Responsabilità del management
Le cause di una crisi che possono risalire a responsabilità del management sono le
più frequenti: incapacità, dimensioni eccessive dell’impresa, controlli finanziari non
adeguati, costi elevati, inerzia.
Le strategie di turnaround 445
Figura 18.3
Il management
è spesso il
principale
responsabile
del declino
Incapacità
Dimensioni
eccessive
Controlli
non adeguati
Costi
troppo alti
Inerzia
Responsabilità
del
management
Incapacità del management. Può assumere vari aspetti. Hoffman (1984) ha individuato una serie di punti deboli nel management delle imprese in declino, tra cui i
più frequenti sono: mancanza di un adeguato equilibrio di competenze al vertice
(modeste competenze tecnologiche, o finanziarie, o di marketing); errori nel programmare la successione ai vertici (aprendo conflitti interni).
Un’altra ricerca ha fornito particolari su una causa che viene spesso citata come
determinante senza che però esistano prove concrete. Bibeault (1982) ha rilevato che
nei casi di imprese entrate in crisi è frequente la presenza di un leader accentratore
convinto assertore dello sviluppo a ogni costo.
Dimensioni eccessive dell’impresa. Le spinte verso lo sviluppo – con ricadute in
termini di status del management, remunerazioni, progressi di carriera – sono forti,
ma uno sviluppo eccessivo comporta in genere due conseguenze: difficoltà di controllo e indebitamento.
Cisco e la crisi dell’high-tech
Dopo un boom senza precedenti, il settore
high-tech nel 2001 è entrato in una crisi rovinosa. Le cause sono state non solo il calo della
domanda, ma anche l’eccessivo ottimismo circa la continuità dello sviluppo.
Cisco, una delle «stelle» della new economy,
aveva avuto nell’anno precedente ordini costantemente superiori alle previsioni con la
conseguenza di allungare i tempi di consegna,
che per alcuni prodotti erano arrivati a 15 settimane. Per invertire questa tendenza, Cisco ha
accumulato scorte di componenti in particola-
re per le parti customized che avevano i tempi
di consegna più lunghi.
Quando nel dicembre del 2000 la domanda di
attrezzature di rete crollò, Cisco si rivelò particolarmente vulnerabile: con scorte ingenti,
gran parte delle quali costituite sulle esigenze
specifiche dei clienti e quindi difficili da vendere, e con scorte di certi componenti sufficienti per oltre un anno. Fu costretta a svalutare le
scorte per $ 2,5 miliardi (mantenendone 1,6
miliardi di componenti). Per ripristinare la redditività fu costretta a licenziare 8500 persone.
Se la domanda rallenta e il costo del denaro cresce, l’impresa diventa vulnerabile a
crisi finanziarie. Gli esempi non mancano: Solectron, fornitore di laptop per IBM e
router per Cisco, fu travolta dalla flessione del settore high-tech dei primi anni
Duemila. Aveva affidato il proprio sviluppo alla tendenza delle imprese high-tech
di ricorrere all’outsourcing, con investimenti rilevanti e acquisto di impianti dai
propri clienti, ma in pochi mesi la domanda crollò trascinandola in una crisi inarrestabile.
452 Le strategie di business unit
per finanziare lo sviluppo di nuove idee, per dare la flessibilità necessaria nel
rispondere a nuove tendenze del mercato e, soprattutto, per sfruttare le nuove
opportunità.
Mostrare progressi misurabili. Per dare credibilità al piano di turnaround occorre anche dimostrare che il peggio è passato. Per il successo di questa strategia occorre fare progressi presto e occorre che siano misurabili in modo oggettivo. È importante quindi fissare in anticipo quali criteri saranno adottati per misurare i risultati.
18.4 I fattori di successo
Quali sono i fattori di successo di un turnaround? Ogni società di consulenza, ogni ricercatore ha la propria formula, ma alcuni fattori sono comuni a tutti. Zimmerman (1989)
ha ricostruito quindici casi di turnaround tra i più famosi e dalla ricerca sono emerse
alcune conclusioni che successivamente hanno avuto varie conferme (Fig. 18.4):
Figura 18.4
I fattori di un
turnaround di
successo
1) Efficienza nella produzione
2) Efficienza nella gestione delle
scorte
3) Bassi costi fissi
4) Semplificazione del processo
produttivo
1) Caratteristiche distinte da quelle
dei concorrenti
2) Affidabilità e prestazioni superiori
3) Qualità dei prodotti
4) Miglioramento continuo dei prodotti e non miglioramenti sporadici
Fonte: F.M.
Zimmerman,
«Managing a
Successful
Turnaround»,
Long Range
Planning, vol.
22, 1989, pp.
105-124.
1) Attenzione concentrata sulla
gestione operativa
2) Stabilità del management e
ampio consenso dei collaboratori
sulla politica del turnaround
3) Leadership con esperienza nel
settore o in settori collegati
4) Leadership con esperienza di tipo
tecnico (l’esperienza di tipo esclusivamente finanziario è stata prevalente nei casi di insuccesso)
5) Innovazione nei metodi di
gestione
6) Cambiamenti incrementali
7) Chiarezza nei rapporti con i collaboratori
Produzione a costi bassi
Differenziazione di prodotto
Organizzazione adeguata
al turnaround
(leadership)
Turnaround
di successo
Le strategie nei mercati mondiali 473
Figura 19.1
Le strategie
generiche
in un nuovo
mercato
geografico
Strategie
Forze
Debolezze
Cost leadership
• Alza barriere alla nuova
concorrenza.
• Estende le economie di
scala e le economie di
scopo.
Vulnerabile a:
• innovazione tecnologica;
• entrata di imprese di
paesi con basso costo del
lavoro;
• fluttuazione dei cambi.
Differenziazione
• Risponde a esigenze e
attese dei clienti che
sono diverse.
• Sensibilità alle condizioni locali.
• Cambiano i mercati (concorrenza).
• Cambiano le attese.
• I concorrenti lanciano
frequentemente prodotti e servizi migliori.
Playing the spread
• Secondo le caratteristiche dei mercati.
• Gestione più difficile e
più complessa.
• Le stesse della cost leadership e della differenziazione.
La strategia di differenziazione. È più difficile da realizzare rispetto alla cost
leadership. Comporta qualità dei prodotti e dei servizi superiori a quelle dei rivali,
innovazione, risposta rapida alle esigenze dei compratori e adattamento al mercato
locale. Se ha successo, però, ha il vantaggio di essere sostenibile più a lungo in quanto sviluppa una maggiore fedeltà nel cliente. Per questi è infatti più difficile confrontare qualità, servizi accessori e immagine di quanto sia confrontare i prezzi.
Playing the spread. Nei mercati mondiali significa combinare i costi bassi con la
differenziazione. Qualità migliore, più servizi e immagine determinano a breve un
aumento di costi, ma nel lungo termine l’aumento dei volumi può ridurre i costi attraverso economie di scala e di scopo.
Vantaggi specifici
Oltre ai vantaggi generici di costo, differenziazione e playing the spread, per decidere se entrare o non entrare l’impresa deve chiedersi quali siano i vantaggi specifici
ottenibili (Fig. 19.2). Anche questi sono molteplici e diversi secondo i settori, i mercati e le strategie delle imprese, ma possono ricondursi a tre azioni principali:
• trasferire in altri mercati (creando superiorità sui rivali) le competenze distintive
sulle quali si basa il successo nei mercati attuali;
• distribuire le componenti della catena del valore nelle aree geografiche in cui possono essere realizzate con la maggiore efficienza;
• aumentare i volumi di attività e quindi, sfruttando le economie di scala e di scopo,
abbassare i costi di produzione.
474 Le strategie di business unit
Figura 19.2
Tre vantaggi
specifici
I vantaggi di essere
presenti in più mercati
Trasferire competenze
Economie
di localizzazione
Economie di scala
Trasferire competenze. Le imprese che hanno competenze distintive forti possono acquisire vantaggi rilevanti trasferendo tali competenze in altri mercati in cui la
competizione manca o non è in grado di rivaleggiare. I vantaggi possono tradursi in
costi più bassi e nella capacità di differenziare i prodotti o i servizi.
Nei settori dei beni di consumo sono molti gli esempi di imprese americane che
negli anni Sessanta e Settanta hanno fatto rilevanti profitti in Europa grazie alle capacità di marketing superiori a quelle dei concorrenti locali. Questi vantaggi però non
durano all’infinito poiché vengono presto imitati, soprattutto nei paesi occidentali.
Una ricerca del National Institute of Economic and Social Research dimostra che
circa un terzo dell’aumento ottenuto nella produttività del settore manifatturiero in
Gran Bretagna nel corso degli anni Novanta è da attribuire a idee e metodi introdotti
da imprese straniere. Un docente della London Business School ha osservato che queste imprese, per effetto del loro interesse nell’espansione in più mercati, hanno maggiori capacità di innovazione, quindi hanno idee migliori per aumentare l’efficienza.
Alcuni dei maggiori progressi nel recupero dell’efficienza sono stati realizzati per
esempio nel settore automobilistico, principalmente attraverso le nuove idee introdotte da Nissan, Toyota e Honda (tutte hanno impianti di produzione in Gran Bretagna).
Anche nel settore dei componenti per autoveicoli si sono avuti effetti positivi. Ne
è un esempio l’acquisto di Marston, un costruttore di radiatori e condizionatori d’aria, da parte di Denso (Giappone), uno dei principali gruppi produttori di componenti del mondo: nell’arco di pochi anni Denso ha introdotto varie tecniche per migliorare la qualità e Marston ha ridotto del 90 per cento il volume dei pezzi difettosi e
raddoppiato la velocità di produzione.
Le competenze distintive nella gestione della produzione e nello sviluppo di
nuovi prodotti furono i vantaggi competitivi sui quali i costruttori giapponesi fondarono, negli anni Ottanta, la loro espansione nei mercati mondiali. La loro superiorità
durò per oltre un decennio, poi nei mercati degli Stati Uniti e dell’Europa i rivali colmarono gran parte dello svantaggio.
Economie di localizzazione. I costi di produzione, delle materie prime, dei componenti e dei servizi sono diversi da una nazione all’altra. Tenendo conto di tali costi,
dei costi della logistica, delle barriere tariffarie e non tariffarie allo scambio, e delle
tendenze dei cambi, un’impresa può scomporre la catena del valore, collocare le
varie attività nei luoghi più convenienti e realizzare così vantaggi significativi soprattutto rispetto ai rivali che producono esclusivamente nei paesi industrializzati. Negli
anni Ottanta la ricerca di vantaggi di questo tipo è stata molto diffusa. Nella seconda
metà degli anni Novanta la tendenza è cambiata: nei paesi di nuova industrializzazio-
Le strategie nei mercati mondiali 477
Neppure la valuta messicana, che nelle precedenti recessioni si era deprezzata
consentendo al Messico di rimanere competitivo, è venuta in aiuto. Durante la recessione negli USA nei primi anni Duemila, infatti, il peso ha mantenuto una certa forza,
costringendo le maquiladoras a operare con margini di guadagno sempre più ridotti.
Un’inattesa conseguenza del Nafta per il Messico è stato anche il continuo
aumento della popolazione nelle zone al confine con gli Stati Uniti, attirata dalla crescita industriale della regione. La crescita della popolazione superiore a quella economica della regione ha creato grossi problemi di controllo dello sviluppo.
Condizioni della domanda. Le caratteristiche della domanda locale (di una specifica nazione) per un dato prodotto o servizio agiscono sui vantaggi competitivi. Se
i compratori hanno esigenze complesse e sofisticate (come le imprese petrolifere
americane nei confronti dei fornitori di attrezzature e impianti), le imprese che operano in una tale nazione sono spinte a produrre con qualità elevate e a innovare frequentemente. La concorrenza interna tende ad abbassare i costi, quindi i prezzi. Le
imprese che in un certo mercato sono in grado di rispondere in modo efficiente a una
domanda esigente hanno un significativo vantaggio competitivo anche in altre parti
del mondo.
Competitività nei settori complementari. La presenza, in una nazione, di settori complementari che siano competitivi nei mercati internazionali crea vantaggi
anche per i settori finali. In Francia il settore della grande distribuzione è molto
competitivo anche perché può avvalersi di fornitori di prodotti e servizi a loro volta
molto competitivi. L’entrata in mercati di altre nazioni, per esempio in Spagna, ha
avuto successo anche grazie a questi vantaggi. Analogamente, l’abbigliamento italiano dei segmenti di qualità è competitivo anche per il fatto che lo sono i settori
complementari: dai tessuti alle macchine per l’industria tessile, dagli accessori alle
imprese di produzione.
Figura 19.3
I fattori che
creano
vantaggi
competitivi
Strategia delle imprese,
strutture organizzative
e rivalità
Natura
della domanda
Fattori di produzione
Fonte: M. Porter,
The Competitive
Advantage of
Nations,
Macmillan, New
York, 1990.
Imprese di settori
complementari
Le strategie nei mercati mondiali 479
inesorabilmente al declino. I governi possono intervenire, sostenendo l’innovazione,
l’acquisizione di nuove tecnologie, stimolando la capacità imprenditoriale, dando
forza ai valori del lavoro e della competizione.
Concorrenti locali, concorrenti multinazionali e globali
Le imprese che competono nei mercati mondiali affrontano due tipi di rivali: concorrenti locali e concorrenti multinazionali e globali. Sono rivali molto diversi non soltanto perché hanno differenti vantaggi competitivi e risorse, ma anche per la loro
capacità di sfruttare tali vantaggi e tali risorse attraverso la presenza nei mercati internazionali. Sono spesso diversi anche nel modo in cui affrontano segmenti specifici, e
per le competenze che mettono in campo in un determinato mercato. La natura della
competizione non è dunque la stessa.
Concorrenti locali
Le imprese che hanno strategie mirate unicamente al mercato locale rappresentano
un tipo di concorrente che spesso ha molti vantaggi rispetto alle grandi multinazionali. Anzitutto, a differenza delle imprese straniere, non sono guardate con sospetto dai
governi e dall’opinione pubblica e spesso godono di barriere protezionistiche. Ciò è
particolarmente vero nei settori che sono fonti di occupazione (abbigliamento e tessile, per esempio) o che hanno importanza strategica (computer e costruzioni aeronauFigura 19.4
Tre fasi e tre
strategie di
risposta
Le forze che spingono
verso nuovi mercati
geografici
Le sfide
•
•
•
•
Rapidità del cambiamento
Complessità
Forte concorrenza
Responsabilità sociali
Le risposte
Fase 1
Strategie di
entrata in un
nuovo mercato
Fase 2
Strategie di
consolidamento
nei nuovi mercati
Fase 3
Strategie
competitive
globali
Le strategie nei mercati mondiali 481
Figura 19.5
Esempio di
matrice BCG
sviluppo/quote
di mercato
Ritmo di sviluppo del mercato
Alto
Stars
Question marks
Gran
Bretagna
Spagna
Cina
Cows
Dogs
Germania
Russia
Francia
Basso
Alto
Basso
Quota di mercato relativa
In questo esempio, Francia e Germania sono due mercati nei quali l’impresa è ben consolidata e con il cash flow ottenuto da questi due mercati l’impresa può finanziare la penetrazione in Cina e in Spagna, mercati in forte sviluppo nei quali ha una quota modesta,
oppure l’entrata in Gran Bretagna, in cui ha una quota di mercato elevata per mantenere
la quale, a causa della forte crescita della domanda, ha un elevato fabbisogno finanziario.
La Russia dovrebbe essere abbandonata.
La matrice BCG aiuta a stabilire il ruolo di una business unit o di un prodotto sulla
base del ritmo di sviluppo del mercato e della quota di mercato in rapporto a quella
dei concorrenti. Aiuta anche a individuare il ruolo del cash flow. Tuttavia, la matrice
deve essere interpretata e usata con cautela, tenendo presente che è solo una prima
approssimazione al problema. Il grafico in Figura 19.5 offre un esempio di visualizzazione semplificata della matrice BCG.
La portfolio analysis può anche ricorrere alla matrice attrattività del mercato/
posizione competitiva, che può suggerire a quali mercati o paesi destinare investimenti e quali abbandonare. La Figura 19.6 illustra un esempio di come un’impresa che vende abbigliamento di prezzo elevato valuti alcuni mercati in cui è già
presente: quelli collocati nella parte in alto a sinistra sono in una buona posizione
per ulteriori investimenti, mentre quelli in basso a destra sono nella posizione
opposta.
482 Le strategie di business unit
Fonte: adattato
da G.D. Harrell,
R.O. Kiefer,
Multinational
Strategic Market
Portfolios, MSU
Business Topics,
1981.
Elevata
• Stati Uniti
• Canada
• Francia
• Germania
Attrattività mercato/paese
Figura 19.6
Esempio di
matrice
attrattività/
posizione
competitiva
per paesi
• Giappone
• Messico
• Svezia
• Danimarca
Bassa
Elevata
Bassa
Posizione competitiva
19.4 Nuovi mercati: le strategie di entrata
La scelta: in quali mercati entrare?
Scegliere in quali mercati (area geografica) entrare significa scegliere quale arena
competitiva affrontare, con chi competere e quali risorse mettere in campo. La logica
dell’analisi che precede la scelta è riconducibile all’analisi SWOT: l’attrattività di un
nuovo mercato dipende non solo dalle sue caratteristiche quindi dalle opportunità
(dimensioni, ritmo di crescita, potenziale futuro) e dalle minacce (concorrenza in
primo luogo), ma anche dalle forze e dalle debolezze che l’impresa ha nei confronti
dei concorrenti.
A seconda della propria posizione – forze e debolezze – e della forza relativa dei
concorrenti, l’impresa può adottare varie strategie:
• anticipare i concorrenti, se un mercato ha un forte potenziale di sviluppo; entrare
prima dei rivali multinazionali e globali può essere un vantaggio;
• attaccare i rivali, se le posizioni alle quali si mira sono già occupate da altre
imprese: l’attacco può avere successo soltanto se l’impresa muove da posizioni di
relativa forza e mira là dove i rivali sono vulnerabili;
• build-up, quando l’impresa entra in mercati nei quali la concorrenza è modesta o
che sono troppo piccoli per attrarre i concorrenti più forti. Può così facilmente
conquistare quote, accumula esperienza e costruisce economie di scala, quindi
Le strategie nei mercati mondiali 483
Figura 19.7
Gli elementi
che orientano
la scelta dei
mercati
Scelta dei mercati
Orientamento
dell’impresa
• Attitudini verso il
rischio
• Risorse disponibili
Caratteristiche
dei mercati
Struttura
della concorrenza
nel settore
Strategie
dei concorrenti
• Domanda potenziale
• Grado di integrazione regionale
abbassa i costi unitari. I costruttori giapponesi di auto, per esempio, entrarono in
Europa evitando i grandi mercati in cui esistevano concorrenti nazionali (Peugeot
e Renault in Francia, VW, Daimler-Benz e BMW in Germania, Fiat in Italia). Preferirono attaccare mercati piccoli e senza costruttori locali (Svizzera, Danimarca,
Belgio) e penetrarono in Gran Bretagna incoraggiati dal governo che intendeva
ridare slancio all’industria automobilistica in crisi.
In quali mercati entrare – e con quale sequenza – è una scelta che può essere affrontata con una pluralità di criteri: le dimensioni (i mercati più grandi?), la distanza (i
mercati più vicini sia in senso geografico sia per cultura e tradizioni?), le potenzialità
(i più ricchi?).
Nuovi elementi hanno aumentato la complessità della scelta negli ultimi decenni.
Anzitutto l’integrazione economica e politica nelle aree geografiche più avanzate, di
cui Unione Europea, NAFTA (Canada, Messico e Stati Uniti), ASEAN (Sud-Est
asiatico), Mercosour (America Latina) sono le forme più note. Inoltre, come conseguenza, la caduta di alcune barriere economiche tra gli stati, quindi l’inadeguatezza
della tradizionale identificazione dei mercati con i confini politici.
La scelta dei mercati è guidata principalmente da quattro elementi: orientamento
strategico dell’impresa, caratteristiche dei mercati, struttura del settore e strategie dei
concorrenti (Fig. 19.7).
Orientamento dell’impresa. L’atteggiamento del management nei riguardi di una
strategia di sviluppo nei nuovi mercati agisce sulla scelta dei mercati stessi. Un management prudente, riluttante a correre rischi, evita mercati in cui si presentano opportunità
ma anche instabilità politica, inflazione alta, incertezza economica. Anche la disponibilità di risorse agisce sulla scelta dei mercati. Occorrono risorse per fare ricerche preliminari, finanziare campagne promozionali, scorte e reti di assistenza post-vendita.
Caratteristiche dei mercati. Sulla scelta dei mercati agiscono le caratteristiche
dei mercati stessi. Quale potenziale di domanda? Dimensione del PIL, popolazione,
reddito procapite, propensione a importare sono primi indicatori. Quale grado di
integrazione con altri mercati? Mercati geograficamente vicini o lontani, piccoli o
grandi, in cui affrontare concorrenti deboli o agguerriti. Disponibilità di lavoro specializzato e di industrie accessorie ha un peso sulla scelta.
Le strategie nei mercati mondiali 485
Figura 19.8
Strategie di
entrata in un
mercato estero
Strategie di entrata: varie opzioni
Esportazione
indiretta
• Imprese export
• Trading company
Vendita
diretta
• Agenti
• Distributori
• Rete di vendita
Integrazione
nel mercato
• Assemblaggio
• Contract
manufacturing
• Produzione locale
• Licensing
• Franchising
• Joint venture
• Partecipazione al
capitale di controllo
Si tratta di una serie di trade-off difficili da sciogliere. Se la scelta è di vendere esclusivamente attraverso intermediari il costo è basso, dunque è basso il rischio, ma è
scarso anche il controllo che si può avere sull’iniziativa. Se la scelta è di produrre in
loco e distribuire con una propria rete di punti vendita, i costi sono alti, come il
rischio, ma si avrà anche un maggior controllo.
Il grafico in Figura 19.9 mostra la risultante del trade-off tra grado di controllo
sull’iniziativa e grado di rischio.
Esaminiamo in breve vantaggi e svantaggi delle opzioni principali: esportazione
indiretta, vendita diretta, integrazione con il mercato.
Esportazione indiretta
L’impresa vende a intermediari (imprese import-export) che hanno la sede operativa
nel suo stesso mercato, i quali a loro volta vendono all’estero. Oppure vende direttamente a intermediari esteri (importatore o trading company).
Vendendo attraverso intermediari si ottiene una serie di vantaggi:
• si possono sfruttare le conoscenze del mercato dell’intermediario e le relazioni
che questi ha allacciato con i clienti;
• non occorre dar vita a un’organizzazione di vendita;
• l’intermediario in genere paga quando entra in possesso della merce;
• alcuni intermediari sono particolarmente specializzati in certi campi.
Non mancano gli svantaggi, perché affidando ad altri la vendita, l’impresa:
• non ha un contatto diretto con l’utilizzatore finale;
• non ha alcun controllo su come l’intermediario vende il prodotto (prezzo, servizi);
486 Le strategie di business unit
Figura 19.9
Trade-off tra
grado di
rischio e grado
di controllo
Alto
Produzione in loco
Grado di rischio
Joint venture
Franchising
Vendita diretta
Esportazione indiretta
Basso
Basso
Alto
Grado di controllo
• produce senza sapere cosa vogliono i compratori, quali sono le loro esigenze e
attese. L’intermediario in genere vuole disporre di più prodotti di più fornitori per
diversificare il proprio sistema di relazioni. Parte di questi prodotti possono essere in competizione tra loro ed egli/ella spingerà più sull’uno o sull’altro a seconda dei margini di utile.
Per l’impresa che vende all’estero è difficile fare una politica a medio-lungo termine
con queste incognite.
L’esportazione indiretta è un modo di vendere all’estero adatto in particolare per i
beni di consumo, per i mercati di piccole dimensioni, per le piccole imprese e per le
imprese che intendono verificare la capacità di penetrazione di un prodotto in un
nuovo mercato senza correre rischi.
Vendita diretta
Mentre nella forma precedente l’impresa lascia l’iniziativa ad altri, con la vendita
diretta entra in un mercato estero con l’obiettivo di allacciare direttamente i rapporti
con i clienti. Cerca di conoscere cosa vuole il mercato; è pronta ad adattare l’offerta
alle esigenze specifiche della domanda; risolve direttamente i problemi che possono
sorgere.
È una forma usata soprattutto per i beni strumentali (macchinari, attrezzature) e
per i beni di consumo nei mercati che in prospettiva hanno un elevato potenziale.
Quali prodotti? La politica migliore è pensare al mercato mondiale quando si prospetta e si sviluppa un prodotto. Ciò è però raramente possibile. Nella maggior parte
Le strategie nei mercati mondiali 491
Figura 19.10
Due tipi di
pressioni sulle
imprese: costi
e adattamento
Alta
Pressione per abbassare i costi
Impresa C
Impresa A
Impresa B
Bassa
Bassa
Alta
Pressione per adattare l’offerta al mercato locale
Si tratta di due pressioni alle quali le imprese che operano nei mercati mondiali non
possono sottrarsi. Per rispondere alla pressione sui costi l’impresa deve abbassare i
costi unitari, e ciò significa situare le produzioni dove i costi sono più bassi e offrire
prodotti il più possibile standardizzati al fine di realizzare economie di scala.
D’altra parte, però, rispondere alle esigenze dei singoli mercati significa adattare
le strategie di marketing e di produzione al fine di tener conto delle differenze (spesso notevoli) tra un mercato e l’altro, legate a tradizioni, preferenze dei compratori,
strutture della distribuzione e strutture della concorrenza. Questo tipo di risposta
comporta un aumento dei costi. Il grafico in Figura 19.10 esprime i diversi gradi di
difficoltà che un’impresa deve affrontare.
La maggior parte delle imprese che vendono nei mercati mondiali sono nella
posizione dell’impresa C dello schema, sottoposte a forti pressioni sia per ridurre i
costi sia per rispondere alle esigenze locali.
Entrando in competizione nei mercati globali è inevitabile affrontare concorrenti
che vendono con qualità paragonabili ma con costi più bassi. Per rispondere a questa
pressione, le imprese devono abbassare i costi introducendo tecnologie avanzate di
produzione di massa e cercando economie di scala e di scopo in ogni attività. Le
pressioni per abbassare i costi sono tanto più forti quanto minore è la differenziazione di prodotti e servizi. In tali condizioni il prezzo è l’arma principale (prodotti chimici di base, acciaio, zucchero sono esempi di commodity per le quali la differenziazione non basata sul prezzo è difficile).
La pressione è forte anche quando uno o più produttori hanno la base produttiva
in un paese con costi del lavoro o delle materie prime più bassi di quelli dei rivali,
quando esiste eccesso di capacità produttiva e quando i costi per passare da un prodotto all’altro sono bassi.
492 Le strategie di business unit
Le pressioni per rispondere alle esigenze locali nascono da differenze nei gusti e
nelle preferenze dei consumatori; nelle infrastrutture e nelle tradizioni locali; nei
canali della distribuzione; nelle norme e nelle leggi degli stati ospitanti.
19.6 La scelta delle strategie competitive globali
A un certo punto dell’espansione nei mercati mondiali l’impresa deve coordinare e
orientare con una sola strategia le varie forme di presenza nei vari mercati. Ha di
fronte quattro opzioni, ciascuna con vantaggi e svantaggi (Bartlett e Ghoshal, 1989).
Tutte configurano in modo diverso due fattori: 1) la necessità di rispondere alle esigenze del mercato locale; 2) la necessità di integrare su scala globale le varie attività
e raggiungere il massimo di standardizzazione (Fig. 19.11).
Strategia internazionale
L’impresa mantiene dal centro il controllo sulle principali attività svolte nei mercati
mondiali. Trasferisce oltre confine prodotti e capacità (di marketing, di produzione)
che non sono presenti nei mercati in cui intende entrare. Si affida principalmente alle
esportazioni. L’adattamento alle esigenze della domanda locale è modesto. Se il
nuovo mercato ha dimensioni cospicue può trasferire le produzioni, anche in questo
caso con modesti adattamenti.
Una strategia internazionale è efficace se l’impresa ha un vantaggio competitivo
sui concorrenti locali e se la domanda non richiede adattamenti o costi più bassi. Se
la pressione per adattare i prodotti è forte la strategia è perdente.
Alta
Pressione per integrare le varie attività
Figura 19.11
Due tipi di
pressioni per
rispondere alle
esigenze del
mercato locale
Strategia
globale
Strategia
internazionale
Strategia
transnazionale
Strategia
multinazionale
Bassa
Bassa
Pressione per rispondere alle esigenze del mercato locale