L`analisi strategica
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L`analisi strategica
12 La gestione strategica Figura 1.1 Le fasi della gestione strategica (modello tradizionale) Mission Obiettivi di lungo termine Analisi strategica Analisi esterna Analisi interna * La SWOT analysis è l‘analisi dei punti di forza (strength) e debolezza (weakness) dell’impresa, e delle opportunità (opportunities) e minacce (threats) presenti nel contesto in cui opera. SWOT analysis* Scelte strategiche Strategie corporate Scelta delle strategie Strategie business Strategie funzionali Strategie globali Realizzazione delle strategie Struttura organizzativa Coordinare strategie, organizzazione Controllo strategico Gestione del cambiamento L’analisi strategica Il processo di gestione strategica può iniziare in vari modi, ma ben presto si pongono alcune domande. Quale impresa vogliamo essere? Verso quali obiettivi vogliamo muovere? Quali capacità vogliamo sviluppare? Le risposte a questi interrogativi 14 La gestione strategica l’altro scegliere in quale posizione collocare l’impresa rispetto ai concorrenti, quali segmenti servire, quali relazioni allacciare con i fornitori e con i distributori. Tutto ciò significa costruire e difendere i vantaggi competitivi. Generare, valutare e selezionare le migliori opzioni strategiche è al primo posto nelle responsabilità del management di ogni organizzazione. Tocca al management guidare l’organizzazione verso un obiettivo o un altro. Senza strategia, il management non avrebbe principi per orientare la gestione, non avrebbe un piano per costruire vantaggi competitivi e per rispondere alle attese del mercato. La realizzazione delle strategie Le strategie scelte devono infine essere realizzate, tradotte in azioni. Per farlo occorrono una struttura organizzativa e un sistema di controllo; occorre creare motivazioni; assegnare responsabilità e deleghe; pianificare le risorse; gestire acquisizioni, dismissioni, fusioni. Dunque, la gestione strategica in questa fase pone vari interrogativi: 1) Chi ha la responsabilità di realizzare le strategie? Quali persone e quali parti dell’organizzazione? 2) Per svolgere nuovi compiti occorre modificare la struttura organizzativa? 3) Occorre cambiare la composizione e la formazione delle risorse umane? La realizzazione delle strategie comprende anche la gestione del cambiamento strategico. Quando cambiano le condizioni interne ed esterne, occorre cambiare non solo il disegno organizzativo ma anche le procedure della gestione operativa. 1.4 Tre livelli di strategie: corporate, business, funzionale In un’organizzazione si possono individuare strategie a tre livelli differenti, con distinte responsabilità e autorità nella gestione strategica: strategie corporate; strategie business (dette anche strategie prodotto/mercato o strategie competitive) e strategie funzionali. Figura 1.2 Tre livelli di strategie Livello corporate Corporate Livello business Business unit A Business unit B Business unit C Livello funzionale Funzione A Funzione B Funzione C Il concetto di strategia e il processo di gestione strategica Figura 1.3 Modelli di analisi dell’ambiente esterno secondo i livelli di strategia Strategie 17 Modelli/concetti Strategie corporate Transaction costs Portfolio management – Matrice Boston Consulting Group – Matrice McKinsey General Electric – Matrice Hamel-Prahalad – Matrice Hofer-Schendel PIMS Strategie business Paradigma SCP (structure-conductperformance) – Modello delle 5 forze – Gruppi strategici Ciclo di vita del settore mission distinta da quella delle altre parti dell’impresa. Il concetto fu introdotto da General Electric, dove una business unit era (ed è) responsabile delle centrali elettriche, un’altra delle apparecchiature militari, un’altra della produzione di motori per aerei. In totale, GE ha oltre duecento SBU, ciascuna con la propria strategia inquadrata nella strategia corporate e con mission, obiettivi e risorse propri. A questo livello la strategia riguarda le scelte e le decisioni per competere con successo. I problemi che il management affronta riguardano principalmente: • • • • come affermarsi in un particolare ambiente competitivo; quali vantaggi costruire rispetto ai concorrenti; come cogliere le nuove opportunità individuate o create nei mercati; quali prodotti e servizi sviluppare e in quali mercati, valutando in quale misura tali prodotti e servizi rispondano alle esigenze dei consumatori in modo da raggiungere gli obiettivi dell’organizzazione. La strategia competitiva riguarda le azioni che un’organizzazione intende adottare in un singolo mercato o segmento di mercato: • come affrontare la concorrenza? • con quali criteri distribuire le risorse umane e finanziarie tra le varie funzioni aziendali (finanza, marketing, produzione, ricerca e sviluppo di nuovi prodotti, gestione delle risorse umane)? La strategia business può essere realizzata attraverso una funzione o una combinazione di più funzioni; • come creare o mantenere un vantaggio competitivo? A differenza della strategia corporate, che spesso ha di fronte una pluralità di settori e una pluralità di mercati o segmenti di mercato, la strategia business è dunque focalizzata su un singolo mercato o un singolo segmento di mercato. Mentre la strategia corporate può comportare la distribuzione delle risorse tra business che operano in settori diversi, la strategia business deve distribuirle tra una pluralità di funzioni con l’obiettivo di aumentare la capacità competitiva. La gestione strategica nella realtà Figura 2.1 Le quattro fasi della strategia di successo secondo McKinsey 4. Gestione strategica Creare il futuro 3. Pianificazione orientata verso l’ambiente esterno Pensare strategicamente Analisi dinamica Analisi statica Fonte: elaborazione da P. Ghemawat, Strategy and the Business Landscape, Addison Wesley, New York, 1998. 29 2. Pianificazione basata su previsioni Predire il futuro 1. Pianificazione finanziaria Budget annuale Una seconda critica, più penetrante della prima, considerava un errore di principio basare l’intera valutazione sul presupposto che il capitale fosse una risorsa scarsa e che l’arena competitiva fosse statica. Per esempio, una ricerca applicò quattro differenti tecniche di analisi di portafoglio a un gruppo di 15 SBU controllate dalle stesse imprese della classifica di Fortune, ed emerse che soltanto una su 15 era collocata nella stessa area di ciascuna delle quattro matrici (Wind, Mahjan, Swire, 1983). McKinsey corse ai ripari, riconoscendo queste debolezze e proponendo di procedere gradualmente verso una strategia di successo attraverso quattro fasi di crescente dinamismo e incertezza (Fig. 2.1). In tal modo si attenuava la rigidità della matrice originaria (Gluck, Kanfmean, 1979). La critica più profonda alle tecniche di analisi proposte dai consulenti venne da due professori di gestione della produzione ad Harvard: Hayes e Abernathy (1980). La critica era concentrata sulla portfolio analysis come strumento che spingeva il management a rendere minimo il rischio finanziario piuttosto che a investire le risorse in nuove opportunità con una prospettiva di lungo termine. In parte come reazione alle critiche provenienti da varie fonti alla portfolio analysis, e in parte come evoluzione della fase precedente, negli anni Ottanta la gestione strategica attinse in larga misura ai contributi di altre discipline: all’economia e alla sociologia dell’organizzazione e, in misura minore, alle scienze politiche e alla psicologia (Rumelt, Schendel, Teece, 1998). Negli anni Novanta e primi Duemila molti chiedono una radicale innovazione nelle strategie delle imprese (White, 2004). Se si esce però dalle dichiarazioni di principio e si passa all’esame delle proposte pratiche, molte di queste si ispirano a principi noti (Collins, 2001). È convincimento diffuso che la corporate strategy stile anni Settanta e Ottanta sia morta. L’ambiente muove troppo rapidamente e in modo non prevedibile, dicono in molti. Di conseguenza le strategie di lungo termine non hanno un valore pratico. Il management è più interessato alla gestione corrente che alle strategie. L’obiettivo è restare lean (snelli), flessibili, vicini al cliente, reagire rapidamente alle mosse dei rivali. Avendo di fronte mercati con domanda che cresce lentamente o che addirittura cala, con una perdita di capacità di fissare i prezzi e con una concorrenza brutale, 32 La gestione strategica Approccio dal basso verso l’alto. Con una serie di ricerche su come vengano prese nella realtà le decisioni strategiche, Henry Mintzberg ha dimostrato che la pianificazione (e quindi la gestione strategica) raramente è il risultato di un processo razionale. Nella maggior parte dei casi le strategie emergono dalla «base» dell’organizzazione. Sono spesso la risposta a eventi imprevisti e in gran parte vanno dal basso verso l’alto nella gerarchia organizzativa. Per Mintzberg (1978) la strategia è «un modello in un flusso incessante di decisioni o di azioni». Egli sostiene che il processo di formulazione di una strategia non segue un percorso lineare, spesso è irregolare e discontinuo, procede per fits and starts (tra soste per adattarsi e nuove accelerazioni). Nello sviluppo della strategia vi sono periodi di stabilità, ma anche periodi di alti e bassi, di tentennamenti, a volte miglioramenti per piccoli passi, a volte cambiamenti radicali. È bene sottolineare che secondo Mintzberg entrambi gli approcci sono necessari (anche il cervello umano ha un lato che agisce sulla sfera razionale, quello sinistro, e un lato che agisce sulla sfera emotiva, quello destro). Il pensiero di Mintzberg può essere così riassunto: distinguere fra strategie scelte, strategie pianificate (intended strategy) e strategie realizzate. Una parte delle strategie scelte e pianificate non sono realizzate; la parte realizzata è indicata con l’espressione deliberate strategy (Fig. 2.2). Gran parte delle strategie realizzate emerge da fatti e da azioni che non facevano parte delle strategie pianificate. Questa parte, preponderante nella realtà secondo Mintzberg, è indicata con l’espressione emergent strategy. Le strategie effettivamente realizzate sono la combinazione delle strategie emergenti e delle strategie deliberate. Altri prima di Mintzberg avevano detto le stesse cose, usando però parole diverse: per esempio, il concetto di adattamento costante dei piani alla realtà e il concetto di miglioramento graduale, per piccoli passi, sono molto simili alle idee di Andrews. Le conclusioni di Mintzberg sono state confermate anche da altri ricercatori tra i quali Pascale, che studiando il caso dell’entrata di Honda nel mercato delle motociclette degli Stati Uniti, osservò come il successo dell’impresa giapponese non fu una strategia deliberata, ma una strategia emergente (vedi Il caso: The Honda Story). Figura 2.2 Strategie pianificate ed emergenti secondo Mintzberg S c tra vo he l‘ tegie rre i bb mpre ea do sa tta re Str ate gie pia nif ica te Strategie realizzate Fonte: H. Mintzberg «Five Ps for Strategy», California Management Review, Fall 1987. Strategie non realizzate Strategie emergenti La gestione strategica nella realtà 33 Mintzberg e i molti sostenitori delle sue tesi concludono che il management deve: • riconoscere rapidamente le strategie emergenti sprigionate dall’organizzazione, coltivare le migliori e accantonare le peggiori; • confrontare le strategie emergenti con gli obiettivi dell’impresa, con le minacce e le opportunità provenienti dall’ambiente e con le forze e le debolezze interne. In definitiva, per dare successo a una strategia il management deve pensare in modo strategico e deve disporre di una cultura organizzativa capace di creare continuamente strategie emergenti (Hill e Jones, 1998). La formulazione della strategia con il modello tradizionale è dall’alto verso il basso, mentre quella emergente è dal basso verso l’alto (Fig. 2.3). Le critiche di Mintzberg non sono le uniche. Si può osservare che se in effetti il modello tradizionale contribuisce alla formulazione di decisioni strategiche, tuttavia non è dimostrato che la gestione strategica migliori necessariamente i risultati dell’impresa. A questa critica si risponde portando i risultati di ricerche dalle quali emerge che le imprese capaci di sviluppare e rafforzare costantemente un orientamento strategico – qualunque sia la loro strategia – sembrano distinguersi dai concorrenti che hanno avuto meno successo, per una serie di modelli di gestione: a) individuano, meglio di altri, i fattori di successo nell’economia di ciascun business; b) segmentano il mercato riuscendo a sfruttare meglio i propri vantaggi competitivi e a evitare il confronto con i rivali più forti; c) conoscono a fondo i vantaggi competitivi propri e dei concorrenti; d) riescono meglio ad anticipare le risposte dei concorrenti; e) sono in posizione migliore per cogliere rapidamente le opportunità che si presentano (Thompson, 1997; Morrison, Lee, 1979). Figura 2.3 Strategie pianificate e strategie emergenti a confronto Strategie pianificate Analisi esterna Mission e obiettivi Analisi interna Mission e obiettivi Analisi esterna Fonte: C. Hill, G. Jones, Strategic Management, Houghton Mifflin, New York, 1998. Strategie emergenti Scelta delle strategie Analisi interna Scelta delle strategie (rispondono agli obiettivi) Strategie pianificate Strategie emergenti Realizzazione Cultura dell‘organizzazione Dall’alto verso il basso Dal basso verso l’alto La mission e gli obiettivi di lungo termine 47 Contenuto definito. Quanto al contenuto, Ashridge Strategic Management Centre esaminò 200 mission di imprese di vari paesi e la prima conclusione fu l’estrema varietà delle formulazioni, con una certa confusione riguardo al significato del termine. Alcune imprese consideravano la mission come uno strumento strategico, altre come una sorta di disciplina intellettuale (Campbell, Yeung, 1990). La mission di Mars L’impresa americana, in una pubblicazione di 26 pagine, definisce ampiamente la mission. Ecco alcuni stralci: «Noi, in Mars abbiamo precisi convincimenti – i nostri cinque principi – circa il nostro business e circa il modo in cui l’impresa debba essere gestita. Questi principi non sono facili da realizzare, ma non possono essere ignorati. Siamo convinti che debbano essere alla base del nostro successo e debbano orientare il nostro futuro». Quality. The consumer is our boss, quality is our work and value for money is our goal. Responsibility. As individuals, we demand total responsibility from ourselves; as associates, we support the responsibilities of others. Mutuality. A mutual benefit is a shared benefit; a shared benefit will endure. Efficiency. We use resources to the full, waste nothing and do only what we can do best. Freedom. We need freedom to shape our future; we need profit to remain free». La mission afferma sempre principi generali che indicano le posizioni nel lungo termine alle quali l’impresa mira con le proprie strategie. Questi principi dovrebbero essere sufficientemente flessibili da consentire all’impresa di rispondere agli eventuali cambiamenti nelle condizioni dell’ambiente (ecologia, tecnologie, economia) e al tempo stesso indicare un cammino alle proprie strategie. Le varie ricerche giungono a una conclusione, ossia che la mission risulta dalla definizione di quattro elementi (Fig. 3.1). Figura 3.1 I quattro principali elementi definitori della mission Mission Definire gli obiettivi di lungo termine • Nell’interesse di chi è gestita l’impresa? – shareholder value – corporate stakeholder Definire il business • Quale allocazione delle risorse? In quale(i) business? – un solo business – più business • Quale livello di rischio correre? Definire le politiche e i «valori» • Quali valori? Definire i rapporti tra «business ethics» e risultati economici • Quali decisioni strategiche hanno una componente etica? • Quali responsabilità verso la società? La mission e gli obiettivi di lungo termine 63 Il caso Tylenol e la reputazione di J&J Nei manuali americani di strategic management si ricorda come Johnson & Johnson (J&J) sia riuscita a ribaltare gli effetti della crisi del Tylenol. Dopo i sette morti a Chicago avvelenati da cianuro iniettato da un ignoto criminale, J&J ritirò immediatamente dal mercato il prodotto sostenendo un costo di $ 100 milioni. Trascorso un certo periodo, i consumatori premiarono J&J comprando Tylenol più di prima. Il caso aveva creato notorietà (solo inizialmente negativa) al prodotto e forte reputazione (di serietà e volontà di proteggere il consumatore) del produttore. Ventanni più tardi la Food and Drug Administration (FDA) ordinava il ritiro del Tylenol perché era risultato essere un rischio potenziale per i reni di chi lo usava. Cinquantacinque milioni di americani usavano abitualmente Tylenol. Johnson & Johnson aveva fatto del Tylenol un grande successo, sostenuto da una campagna pubblicitaria «Nothing’s safer» (nulla di più sicuro). Ma l’FDA aveva accertato che l’uso del Tylenol associato all’alcol poteva seriamente danneggiare i reni dei pazienti. Le imprese della chimica, del packaging e quelle dell’auto (Fig. 3.2) si impegnano al rispetto dell’ambiente sia nei processi di produzione sia nei prodotti (per esempio detersivi biodegradabili). Le imprese della cosmetica rinunciano pubblicamenFigura 3.2 I valori chiave e i principi guida del Gruppo Fiat Essere gruppo Valorizzazione e rispetto per le persone Soddisfazione del cliente Creazione di valore Volontà di superarsi Integrità e rigore Tempestività e determinazione nelle decisioni Globalizzazione Ricerca del confronto Competenza professionale come passione Propositività Fonte: Fiat, Valori e politiche del Gruppo Fiat, settembre 1997. Analisi del macroambiente: minacce e opportunità Figura 4.1 Tre metodi di analisi del macroambiente 75 Macroambiente L’analisi delle grandi variabili • • • • politica economia società/cultura tecnologia Quali legami esistono tra il nostro business e le grandi variabili? Quali cambiamenti nelle grandi variabili possono creare minacce e opportunità? L’analisi delle attese degli stakeholder L’analisi degli scenari • • • • • Quali scenari del futuro? Se lo scenario cambia, quali ripercussioni dobbiamo attenderci sul nostro business? clienti azionisti fornitori finanziatori collaboratori Quali sono le attese dei vari stakeholder? Come agiscono tali attese sulle nostre strategie? Internet, per esempio, è una nuova tecnologia che ha creato opportunità per raggiungere nuovi potenziali clienti. La sensibilità ambientalista dei consumatori è una tendenza inarrestabile: alcune imprese hanno scelto – con scarso successo – di convincere l’opinione pubblica che i danni ecologici causati dai loro prodotti e processi produttivi erano meno gravi di quanto sembrasse; altre, più avvedute, sono corse ai ripari cambiando prodotti e processi e dimostrando che la tutela ambientale era parte integrante delle loro strategie. Anziché resistere a ciò che la circonda, l’impresa dovrebbe acquisire le tendenze dominanti e incorporarle facendone un propulsore delle proprie strategie. Le minacce sorgono quando le tendenze dell’ambiente esterno mettono in pericolo la redditività dell’impresa. Internet, per esempio, non è soltanto un’opportunità, ma è anche una minaccia per certi metodi di vendita tradizionali. L’ambiente è un campo sterminato di variabili che possono essere esaminate sotto le angolazioni più diverse. Le capacità del management, i valori personali, le strategie adottate, il grado di successo ottenuto dalle imprese in passato e la sensibilità all’ambiente esterno e alla sua evoluzione sono diversi da un’impresa all’altra. Di conseguenza, differiscono sia la scelta delle variabili da osservare sia l’interpretazione del loro andamento. Le strategie adottate dall’impresa danno un primo forte orientamento all’analisi delle variabili. Un’impresa che scelga di competere sulla base dei costi bassi bada ad alcune grandi variabili: • le tendenze della domanda (in quanto bassi costi significa necessità di grandi volumi); • il costo dei fattori e in particolare del lavoro. L’impresa che invece adotta una strategia di nicchia scruta nell’ambiente l’emergere di nuove opportunità, cerca le differenze, cerca di individuare le aree del mercato dimenticate o trascurate dai rivali più potenti. Analisi del macroambiente: minacce e opportunità Figura 4.2 Matrice delle priorità nell’analisi dell’ambiente Probabilità Alta Alta priorità Media priorità Media Bassa priorità Bassa Fonte: L. Lederman, «Foresight Activities in the USA: Time for a Re-Assessment?», Long Range Planning; vol. 3, 1984, pp. 41-50. 77 Alto Medio Basso Impatto • In questa analisi, infine, è importante l’approccio mentale. Due sono gli obiettivi: anzitutto individuare la natura dell’incertezza. L’ambiente è relativamente stabile o è intensamente dinamico? Esistono segni di profondi cambiamenti in corso? In secondo luogo, individuare le tendenze che possono agire sulle scelte strategiche. L’analisi PEST Per individuare quali variabili dell’ambiente esterno abbiano il maggiore impatto sul futuro di un’impresa si possono usare varie tecniche, tra cui la più nota è l’analisi PEST, che considera variabili della Politica, dell’Economia, della Società e della Tecnologia (Fig. 4.3). Come abbiamo già ricordato, nella scelta delle variabili e nella loro interpretazione molto dipende dalla natura del settore, dalla struttura della concorrenza, dalle strategie adottate e dalle capacità del management. È quindi possibile costruire molti schemi (griglie) diversi, secondo le singole situazioni specifiche. Commentiamo in breve i quattro grandi gruppi di variabili, con alcune premesse: a) l’impresa deve capire come le variabili principali dell’ambiente possono agire sul futuro del business, come cambiano e come interagiscono l’una con l’altra; b) le variabili non sono entità separate, ma interdipendenti: una nuova ondata di innovazione tecnologica può mettere in crisi una parte dell’economia, può creare 78 L’analisi strategica disoccupazione, tensioni sociali e spingere il governo a varare nuove leggi in materia di mobilità del lavoro da un lato, e nuove discipline della concorrenza dall’altro; c) alcuni sostengono che esiste una combinazione ottimale fra le strategie di un’impresa e il suo ambiente, una sorta di combinazione unica che offre la migliore posizione possibile (Chandler, 1962). Altri affermano invece che i manager hanno un’ampia varietà di scelta e che sono molte le configurazioni strategiche possibili per l’impresa. Ciò che conta è che la configurazione scelta crei valore per i clienti, fornendo loro prodotti e servizi attraenti e la cui produzione e vendita crei valore per gli azionisti dell’impresa (Child, 1972). Figura 4.3 Le principali variabili di un’analisi Pest Politica Economia Stabilità del governo Prodotto interno lordo (PIL) Pressione fiscale Consumi privati Disciplina della concorrenza, del mercato del lavoro e dei capitali Distribuzione dei redditi tra la popolazione Protezione dell’ambiente Reddito disponibile Corporate governance Inflazione Deregulation Salari/costo del lavoro Atteggiamento verso gli investimenti stranieri Intervento dello stato nell’economia (imprese pubbliche) Privatizzazione Barriere allo scambio internazionale Investimenti privati e pubblici in macchinari e attrezzature, in costruzioni Apprezzamento/deprezzamento della moneta rispetto a quelle dei concorrenti Costo del denaro Società/cultura Demografia: distribuzione della popolazione per classi di età; composizione dei nuclei familiari Stile di vita Sensibilità ai rapporti dieta/salute e valore del prodotto/prezzo Sensibilità alla difesa dell’ambiente Movimenti di protezione del consumatore Attitudini verso il lavoro e l’imprenditorialità Valori della tradizione Tecnologia Investimenti in R&S nei vari settori e nell’economia in generale Protezione della proprietà intellettuale Ritmo di lancio di nuovi prodotti Qualificazione professionale della forza lavoro 80 L’analisi strategica Figura 4.4 Esempi di effetti generati da decisioni politiche Fattori Effetti Settori coinvolti Controlli alle frontiere Meno viaggi da e verso il paese Compagnie aeree, turismo, hotel, ristoranti Minori sussidi ai prezzi dei prodotti agricoli Aumento dei prezzi delle materie prime agricole. Perdita di competitività dei paesi in cui l’agricoltura è meno efficiente Produzioni agricole. Macchine per la lavorazione di materie prime alimentari Entrata di un paese nell’Unione Europea e nell’area euro Rispetto dei vincoli di Maastricht (tassi di interesse, inflazione, debito pubblico). Moneta unica Tutti i settori, ma in particolare quelli che in precedenza puntavano sulla svalutazione competitiva Fine della Guerra fredda Spostamenti nei flussi import-export. Taglio delle spese militari Tutti i settori, ma in particolare quelli degli armamenti e aerospaziali ne per ottenere una maggiore capacità competitiva nei mercati mondiali. Il piano di GE mirava a dar vita a un sistema di prodotti combinando i propri motori a reazione con le attrezzature di avionica di Honeywell. L’agenzia antitrust della Commissione Europea, preoccupata che la fusione potesse escludere dal mercato i concorrenti che non disponevano di un’analoga gamma di prodotti, chiese a GE di vendere oltre la metà della divisione aerospaziale di Honeywell (i motori a reazione e parte dell’avionica). GE fece una controfferta che l’antitrust giudicò tuttavia troppo lontana dalla richiesta. Per la prima volta nella storia, una fusione negli Stati Uniti fu abbandonata per effetto di una decisione dell’antitrust europeo. Il divieto della Commissione non solo bloccò il progetto, ma mise anche in crisi il management di Honeywell, che accusò GE di avere condotto in maniera non adeguata la trattativa con le autorità europee. Economia Molte variabili economiche possono incidere sulla strategia. A titolo di esempio consideriamo l’impatto dell’andamento del PIL, dei tassi di interesse e dei cambi. • L’andamento del PIL. Se il PIL cresce dovrebbero crescere anche le sue componenti principali: consumi (privati e pubblici), investimenti e il saldo importexport. L’aumento dei consumi e degli investimenti creano opportunità: l’aumento della domanda apre spazi di mercato e rende meno intensa la competizione; nascono nuove imprese e alcuni settori hanno forti spinte allo sviluppo (es. i prodotti di lusso, le costruzioni edili, il turismo e il trasporto aereo). Al contrario, se il PIL scende o rallenta la crescita in genere scendono sia i consumi sia gli investimenti. La concorrenza diventa più forte, aumentano i fallimenti di imprese e la disoccupazione; alcuni settori entrano in crisi e pochi si salvano. • Il costo del denaro. Questo fattore agisce profondamente sulla domanda: se il costo aumenta, scende la domanda di tutto ciò che fa ricorso al credito. Soffrono 82 L’analisi strategica Figura 4.5 Esempi di effetti dell’andamento dell’economia Fattori Effetti Settori coinvolti Aumento del costo del denaro Minore propensione a investire da parte delle imprese e da parte delle singole persone. Minore propensione a ricorrere al credito per finanziare gli acquisti Tutti i settori, ma in particolare quelli delle imprese di costruzioni e delle imprese che fanno forte ricorso al credito (per vendere o per comprare) Andamento dei cambi (apprezzamento, deprezzamento) Costo di produzione più alto o più basso a causa di variazioni nei prezzi delle materie prime quotate nei mercati internazionali Tutti i settori, ma in particolare quelli che hanno quote rilevanti di acquisti o vendite in altre monete Turismo Competitività più alta o più bassa delle importazioni e delle esportazioni Prodotti petroliferi, chimica di base Occorre poi ricordare che l’economia di un’impresa può dipendere da un settore di fornitori o da un settore di clienti, i quali a loro volta possono subire gli effetti di trend ambientali che non sarebbero di per sé rilevanti per l’impresa stessa (Fig. 4.5). Per molte imprese che si trovano nella posizione intermedia della catena di fornitura (supply chain), la domanda di prodotti è una domanda derivata (è il caso dei produttori di componenti per auto). L’integrazione economica ha creato una forte interdipendenza soprattutto fra i tre maggiori sistemi: Stati Uniti, Unione Europea e Giappone. I conflitti sorti sulle correnti di scambio, le politiche di protezione delle industrie nazionali e l’andamento della competitività in rapporto ai cambi hanno inciso in misura rilevante sulle strategie delle imprese multinazionali. Società/cultura Sono molti i fattori sociali che agiscono sull’economia delle imprese, direttamente o indirettamente. Vediamo alcuni esempi. • La demografia è una delle componenti più importanti. Se la popolazione invecchia cambiano i consumi, cresce il mercato dei prodotti per la salute. Se le unità di consumo (famiglie) sono sempre più piccole, se aumenta il numero dei single, cambiano i consumi. Se la popolazione è sempre più attenta al rapporto dieta/ salute cresce la spesa alimentare in valore, ma cala quella in volume. • L’aumento dei redditi individuali ha favorito la motorizzazione e questo fenomeno ha cambiato il modo di vivere di molte persone e le strategie della grande distribuzione. Grazie alla maggiore facilità di movimento dei consumatori, la Analisi del macroambiente: minacce e opportunità 83 grande distribuzione ha aperto punti vendita con ampie superfici, localizzati nelle periferie dei grandi agglomerati urbani o all’incrocio tra le grandi vie di comunicazione e ha contribuito a diffondere l’abitudine del one-stop-one-shopping. Al tempo stesso questa tendenza ha contribuito al declino di molti piccoli punti vendita indipendenti situati nel centro delle città. Effetti analoghi ha avuto l’aumento dei prezzi delle superfici in aree urbane. La distribuzione di mobili per la casa ha subito le conseguenze più evidenti. Avendo necessità di grandi superfici per esporre i prodotti al pubblico, è stata spinta verso le periferie e lungo le strade di avvicinamento alle città. • L’invecchiamento della popolazione e la maggiore esperienza dei consumatori negli acquisti, unita all’aumento dei redditi, ha determinato il parziale tramonto dei mercati di massa. Alla frammentazione dei mercati le imprese hanno risposto adottando strategie di nicchia e di mass customization. • Uguali opportunità sulla base del sesso, della religione e della razza è un principio entrato a far parte di molte legislazioni. Gli effetti si manifestano non solo sull’occupazione ma anche sullo stile di vita e nella disponibilità di reddito per le minoranze. Il ruolo della donna nella società, per esempio, è cambiato radicalmente dagli anni Ottanta in poi. Comunque, mentre per l’analisi dei cambiamenti demografici sono disponibili molti dati (classi di età e composizione della popolazione; tasso di natalità e mortalità; gruppi socioeconomici), più difficile è avere dati sul cambiamento del comportamento delle persone. È relativamente facile conoscere il numero dei maschi o delle femmine che compongono una popolazione e conoscere quanti maschi raggiungeranno (in base alla speranza di vita) l’età di 55 anni nel 2005; più difficile è valutare i cambiamenti nello stile di vita, nella propensione al consumo, nelle attitudini verso la difesa dell’ambiente. Ancora, è abbastanza facile conoscere le tendenze del cambiamento, ma più complicato misurare la rapidità del cambiamento. È poi semplice decifrare nel com- Figura 4.6 Esempi di effetti dei cambiamenti nella società Fattori Effetti Settori coinvolti Invecchiamento della popolazione Maggiore domanda di prodotti per la difesa della salute Farmaceutica, servizi finanziari, servizi alla persona, servizi per il tempo libero, assicurazione, fondi pensione Stile di vita. Aumento dei single per scelta Cambia la domanda di beni di consumo durevoli e non durevoli; diventa più selettiva Packaging, tempo libero, elettrodomestici, autoveicoli, mobili e articoli per la casa, costruzioni edili Cambia la domanda di alloggi Analisi del macroambiente: minacce e opportunità mente lungo la stessa linea; vengono scomposti in codici digitali di informazioni e riassemblati quando arrivano a destinazione. Per assicurarsi i vantaggi delle nuove tecnologie, nel 1997 World.Com pagò $ 37 miliardi 85 per l’acquisto di MCI, il secondo gestore di telefonia long-distance degli Stati Uniti. Dall’acquisto emerse uno tra i principali gestori di servizi Internet e di comunicazioni telefoniche internazionali. L’impatto del cambiamento tecnologico può essere considerato sotto due profili: • l’ampiezza del cambiamento, in quanto l’innovazione tecnologica varia da incrementale (come i miglioramenti nelle prestazioni di una macchina fotografica) a radicale (l’arrivo di Internet). L’innovazione radicale è la più importante per l’impatto che ha sulle strategie; • la posizione dell’impresa nel settore, per cui Porter (1980) distingue tra: – rule makers, che stanno nel settore da lungo tempo e dettano le regole del successo, valide fino a quando il settore mantiene stabilità; – rule takers, che sono soltanto imitatori e non hanno scelta: il potere dei rule maker è così forte da lasciare loro solo l’alternativa tra imitare o abbandonare; – rule breakers, in genere piccole imprese che creano nuove regole per la competizione e destabilizzano il settore. Poiché scardinano le vecchie regole, possono essere considerate dei rivoluzionari, riconducibili a due categorie: a) rivoluzionari dentro il settore di appartenenza, ossia imprese del settore che adottano strategie completamente nuove partendo dalle regole esistenti (per esempio le prime banche ad adottare il trading on line); b) rivoluzionari provenienti dall’esterno del settore, nuovi entrati che introducono nuove strategie, destabilizzano e a volte distruggono il settore (è il caso del cd-rom, che ha cambiato drasticamente il mercato delle enciclopedie). La difesa della proprietà intellettuale lega la politica alla tecnologia. Nei settori in cui la ricerca di nuovi prodotti comporta investimenti rilevanti, la propensione a investire è in rapporto alla possibilità di proteggere le innovazioni. Se la protezione è alta Figura 4.7 Esempi di effetti dei cambiamenti nelle tecnologie Fattori Effetti Settori coinvolti Internet Possibilità di nuovi business model Tutti, ma in particolare quelli in cui il prodotto può essere digitalizzato Introduzione del Jumbo Jet Sviluppo del trasporto aereo su lunghe distanze e a basso costo Turismo di massa. Trasporto aereo passeggeri e merci Fibre ottiche Spostamento della domanda di cavi verso le fibre ottiche Produttori di cavi, industria dell’acciaio e delle comunicazioni 92 L’analisi strategica Forze trainanti. Ogni scenario individua le forze che cambiano la storia e la spingono in un particolare plot. Tali forze sono numerose, ma possono essere distinte in due grandi categorie: quelle ambientali sulle quali l’impresa non può agire e quelle che dipendono dall’azione dell’impresa. Logica. È il sistema di concetti che sta alla base del plot o della trama di uno scenario. Sono i «perché» che danno origine ai «che cosa» e ai «come» di un «plot». La logica fornisce la spiegazione del perché specifiche forze o certi attori agiscono in un dato modo. Per esempio, perché Juventus, Inter e Milan, potrebbero essere tra i principali sostenitori di un Campionato d’Europa per club da giocare il mercoledì a fianco del campionato italiano che continuerebbe a essere giocato nei weekend? Il motivo principale è sfruttare maggiormente il patrimonio giocatori e l’immagine. Plot. È la trama che produce un dato stadio finale. Ogni trama contiene una storia che lega il presente allo stadio finale; illustra cosa deve accadere affinché il futuro produca una data serie di eventi. Stadio finale. Affinché lo scenario dia risultati non ambigui, deve descrivere un particolare stadio finale. Cosa avverrà, in presenza di date condizioni o circostanze, in un dato periodo futuro? Un modo per costruire le caratteristiche dello stadio finale consiste nel rispondere alla domanda: «Che cosa accadrebbe se…?». Tornando all’esempio del Campionato d’Europa, un interrogativo possibile è: che cosa faranno gli spettatori di fronte a due campionati in contemporanea? A seconda degli obiettivi dello scenario, gli stadi finali possono essere generici o dettagliati. Restando al Campionato d’Europa, la domanda precedente fornisce una Figura 4.8 Gli elementi base di uno scenario Forze trainanti Plot o story Stadio finale Mondo reale La situazione attuale Cosa deve accadere affinché emerga lo stadio finale tracciato dallo scenario Condizioni e circostanze che prevalgono alla fine del periodo abbracciato dallo scenario Logica Fonte: adattato da L. Fahey, R.M. Randall, Learning from the future, cit. 1998. Spiegazione o razionalità di quanto contenuto nel plot Analisi dell’ambiente competitivo 99 (Thompson e Formby, 1993, p. 11). Se il modello è in grado di spiegare per quale motivo avviene un certo fenomeno, esistono le premesse per poter prevedere. Ammesso che esistano più modelli in grado di semplificare l’analisi della realtà, la scelta tra l’uno e l’altro dipende dalla prospettiva in cui si pone l’analista. Due tra le principali prospettive sono quelle delle strategie corporate e delle strategie competitive. Quando l’analisi strategica ha per oggetto una strategia corporate è disponibile una minore varietà di modelli a confronto con le strategie competitive. Le strategie corporate affrontano problemi come la diversificazione e l’integrazione verticale o orizzontale. Il problema principale è stabilire se il profitto possa essere generato combinando business (in senso verticale, orizzontale, o laterale, o in altri modi), metodi di mercato (contratti) o forme ibride (come per esempio joint-venture, franchising, alleanze). I modelli adottati nell’analisi delle strategie competitive possono essere a loro volta distinti in modelli che mettono in primo piano i vantaggi derivanti dal potere di mercato (per esempio il «modello delle cinque forze») e modelli che danno risalto all’efficienza interna (prospettiva resource-based) (Teece, Pisano e Shuen, 1997; Teece, 1998). Quando l’analisi strategica ha per oggetto una strategia competitiva, esiste un’ampia varietà di modelli. Molti di questi derivano da un paradigma di analisi della industrial organization (IO) noto come structure-conduct-performance (SCP). I due modelli più noti sono il modello delle cinque forze e il modello del ciclo di vita del settore, di cui esamineremo in dettaglio le caratteristiche. Quali modelli adottare per un’analisi dell’ambiente competitivo? La prima cosa da fare è definire che cosa si intende per ambiente competitivo e il modo migliore per definirlo è porsi dal punto di vista del cliente e chiedersi: «Con quali altri prodotti il nostro entra in concorrenza, quando una persona o un’organizzazione decide di acquistare?». Capire quali sono i fattori di successo in un dato contesto competitivo, individuare i rivali e le strategie, i prodotti e servizi con cui competono, significa porre le premesse per decidere quali strategie adottare. L’analisi dell’ambiente competitivo è fatta «a cascata» partendo dall’analisi del settore, per passare poi all’analisi dei concorrenti, all’analisi della domanda (potenziali compratori) e concludere con la segmentazione del mercato e il posizionamento dell’impresa rispetto ai concorrenti (Fig. 5.1). Figura 5.1 Analisi a cascata dell’ambiente competitivo Analisi del settore (struttura) Analisi dei concorrenti Analisi della domanda (potenziali compratori) Segmentazione del mercato e posizionamento (dell’impresa rispetto ai concorrenti) Analisi dell’ambiente competitivo 101 Figura 5.2 Due metodi per l’analisi dei fattori di successo Analisi dei fattori di successo Analisi empiriche Le «tre C» 2) concentrare l’attenzione sulle «tre C» (customer, competition, corporation) come suggerisce Ohmae (1983). Le analisi empiriche Per individuare i fattori chiave si può anzitutto attingere alle ricerche empiriche disponibili per molti settori economico-produttivi. Tra le più note e attendibili vi è la già citata analisi PIMS, che parte da un banca dati comprendente oltre 100 indicatori relativi a un campione di oltre 3000 business unit di circa 450 imprese americane, europee e asiatiche, e abbraccia un periodo che, secondo i settori, può arrivare anche a 15 anni (Buzzell, Gale, 1986). La ricerca mira a stabilire quali strategie, e in presenza di quali condizioni, producano determinati risultati in termini di ROI, ossia di redditività, e di cash flow, indipendentemente dalla natura dei prodotti e dei servizi. Il metodo PIMS ha individuato nove fattori strategici che rivelano il maggiore impatto (circa l’80 per cento) sulla redditività, e costruisce i profili di imprese con ROI basso e con ROI elevato (vedi capitolo 14). Le «tre C» Esaminare le risorse e le capacità che l’impresa possiede non è sufficiente: occorre anche confrontarle con quelle dei concorrenti. Secondo Ohmae (1983) la ricerca dei fattori di successo deve essere concentrata sulle cosiddette «tre C»: • customer, i clienti. Che cosa chiedono i clienti? Verso quali segmenti del mercato l’impresa può orientare le proprie strategie? Sono quelli con il maggiore potenziale? • competition, la concorrenza. Di quali risorse dispongono i migliori competitor per ottenere i loro successi? L’impresa come può affrontare la concorrenza? Dal confronto con i concorrenti, che cosa emerge in fatto di prodotti, prezzi, qualità e altri fattori di successo? • corporation, le risorse dell’impresa. L’impresa possiede risorse superiori a quelle dei rivali? E quali? Che cosa emerge dal confronto tra i costi, le tecnologie, le capacità professionali, l’efficacia dell’organizzazione? Analisi dell’ambiente competitivo 103 • performance: i risultati (redditività e altre misure) di un’impresa in un settore o in un mercato dipendono dalla condotta (strategia) delle imprese che comprano per quanto riguarda la politica dei prezzi, dalle politiche delle imprese che vendono (fornitrici) per quanto riguarda i costi, dalla cooperazione tacita o esplicita tra imprese, dalle politiche adottate per gli altri elementi del marketing mix (prodotto, distribuzione, promozione) e dalle politiche degli investimenti. Questo modello della industrial economics non riesce però a rispondere alla domanda centrale di ogni scelta strategica: perché tra le imprese che operano nella stessa arena competitiva, alcune hanno successo mentre altre no? Per quale motivo imprese che affrontano le stesse condizioni di base della domanda e dell’offerta e operano nella stessa struttura di mercato raggiungono risultati spesso profondamente diversi? Figura 5.3 Il paradigma SCP, structureconductperformance Struttura del settore Strategie delle imprese Risultati Structure Conduct Performance Da Fruhan e Biederman a Porter. Il paradigma SCP ha dato vita a una famiglia di modelli tra cui due in particolare meritano un cenno, per il tentativo (da pionieri) di integrare l’analisi di settore con l’analisi strategica dell’impresa. Sono i paradigmi di Fruhan e Biederman, ripresi poi da Porter e divulgati come modello delle cinque forze. Fruhan (1972) si è chiesto con quali strategie le imprese competano nel trasporto aereo e quali fattori siano rilevanti per garantire il successo a tali strategie. Ha perciò costruito un modello quantitativo comprendente nove variabili con l’obiettivo di stabilire quali di queste fossero sotto il controllo del management delle compagnie aeree americane e quali invece fossero sotto il controllo dell’U.S. Civil Aeronautics Board. Quattro delle nove variabili riguardavano la struttura delle rotte (grado di competizione sulle rotte, struttura delle rotte in termini di distanze percorse, densità del traffico e stagionalità); una riguardava la struttura dei prezzi (redditività a confronto con quella media del settore); altre tre variabili riguardavano la gestione della flotta (utilizzazione della flotta, qualità della flotta, sviluppo della flotta come politica per allargare le quote di mercato); l’ultima, non per importanza, era la qualità del management. Anche Biederman (1982) ha proposto un paradigma studiato sulla struttura del settore del trasporto aereo, individuando nella rilevanza della disciplina del settore dettata da organi dello stato la principale differenza rispetto ai paradigmi applicati allo studio di altri settori industriali (modello Scherer). Il paradigma di Biederman afferma che le performance del settore sono la risultante di cinque forze: 104 L’analisi strategica a) b) c) d) e) grado di concentrazione dell’offerta; andamento della domanda di trasporto aereo; struttura dei costi; barriere all’entrata; mercati degli input (materiali, componenti, servizi). Queste cinque forze determinano due strategie principali dell’impresa: • competizione basata sul prezzo; • competizione basata sulla differenziazione del servizio. Scrive acutamente Kay (1996, p. 38): «Porter ha riscritto il modello SCP rendendolo più accessibile al management dell’impresa. Ha così trasformato la industrial economics in business strategy». Anche il modello Porter non risolve, e non potrebbe risolvere, le debolezze del modello SCP. La domanda senza risposta è analoga a quella fatta in precedenza a proposito del modello SCP: per quale motivo alcune imprese riescono a gestire meglio di altre le forze che agiscono sulla redditività di un settore? Per avere successo l’impresa deve capire quali forze guidano la competizione nel settore in cui opera. Senza tale comprensione non può costruire strategie che rispondano alla struttura esistente del settore o strategie che possano cambiare (in genere soltanto marginalmente) l’ambiente esterno a proprio vantaggio. I due modelli più diffusi per l’analisi dell’ambiente competitivo al fine di individuare opportunità e minacce sono dunque: • il modello delle «cinque forze» (modello Porter); • il modello del ciclo di vita del settore. Figura 5.4 I due modelli più usati nell’analisi di settore Analisi di settore Modello delle «cinque forze» Modello del ciclo di vita del settore 5.4 Il modello delle «cinque forze» Varie ricerche hanno dimostrato un rapporto tra la struttura del settore (o del mercato, secondo il grado di approfondimento), le strategie delle imprese che operano in tale settore e i risultati che ottengono. La struttura del settore farmaceutico (un oligopolio rappresentano da circa una decina di grandi imprese multinazionali) è diversa da quella delle costruzioni aeronautiche (un oligopolio con due contendenti che dominano il mercato: Boeing e Airbus). Le strategie delle imprese farmaceutiche sono così molto diverse da quelle delle imprese di costruzioni aeronautiche. 106 L’analisi strategica Figura 5.5 Il modello delle «cinque forze» Potenziali nuovi concorrenti Potere di negoziazione dei fornitori Fornitori Fonte: elaborazione da M.E. Porter, Competitive Advantage, Free Press, Boston, 1985. Minacce da parte di nuovi entranti Rivalità tra concorrenti Minacce da parte di prodotti sostitutivi Compratori Potere di negoziazione dei compratori Prodotti sostitutivi Potere di negoziazione dei compratori Quanto più è forte il potere di negoziazione dei compratori, tanto più debole è la posizione dell’impresa. I compratori hanno un potere di negoziazione alto in presenza delle seguenti condizioni: 1) pochi di loro acquistano una parte rilevante della produzione dell’impresa (per esempio, le imprese farmaceutiche che vendono ai sistemi sanitari nazionali, le imprese che vendono agli eserciti o alle ferrovie dello stato hanno poche alternative); 2) il prodotto o il servizio offerto dall’impresa non è diverso da quello dei concorrenti, perciò il compratore può facilmente passare da un produttore a un altro; 3) i costi sostenuti per passare da un fornitore all’altro (swiching costs) sono bassi; 4) è possibile l’integrazione verticale a monte: il potere di negoziazione del compratore aumenta se può acquistare imprese fornitrici; 5) il valore di quanto il compratore acquista è una quota modesta dei costi totali del compratore stesso. Potere di negoziazione dei fornitori I fornitori di materie prime, componenti, servizi e anche coloro che prestano lavoro con una particolare specializzazione possono agire sulla competizione in un settore alzando i loro prezzi o abbassando la qualità o dando la preferenza all’uno o all’altro compratore. Il potere dei fornitori è basso o nullo quando il loro prodotto è una commodity facilmente disponibile nel mercato, offerta da un vasto numero di imprese con ampie capacità di evasione degli ordini. In questa situazione il compratore può scegliere la fonte che offre il prezzo e le condizioni migliori. I fornitori sono in una posizione debole anche quando il loro prodotto ha sostituti e per il compratore non esistono costi per passare da un fornitore a un altro (switching cost). I fornitori sono in posizione di forza quando esistono le seguenti condizioni: 1) i compratori di un settore sono molti ma i fornitori sono pochi, perciò è difficile passare da un fornitore a un altro; 2) i prodotti offerti dai fornitori non hanno sostituti; Analisi dell’ambiente competitivo 111 L’analisi della storia recente è utile per valutare opportunità e minacce derivanti dall’entrata in un mercato: un settore con una quota elevata di imprese entrate di recente ha verosimilmente barriere basse. Ma l’analisi storica può essere fuorviante: le nuove tecnologie, per esempio, possono abbassare le barriere in un settore che per tradizione limitava le nuove entrate. Sull’anticipazione della risposta dei concorrenti torneremo nel capitolo 6, trattando i metodi per prevedere le strategie di risposta dei rivali. Implicazioni strategiche Fare l’analisi del settore non è tuttavia sufficiente: ciò che conta è valutare le implicazioni, derivanti dall’analisi, sulle strategie future dell’impresa. Tra gli interrogativi più importanti, i seguenti hanno la priorità: 1) esistono le condizioni per cambiare le relazioni con i fornitori? Può essere consigliabile stringere relazioni di partnership con alcuni fornitori piuttosto che affrontarli attraverso negoziazioni; 2) esistono le condizioni per stringere nuove relazioni con i compratori? Produrre con la marca del distributore (private label) porta in genere a margini più bassi rispetto alla vendita di prodotti di marca, ma per alcune imprese è stata una strategia vincente (in quanto ha consentito tra l’altro di dare stabilità alla capacità produttiva utilizzata); 3) quali sono i fattori di successo nel settore e come si possono creare? Occorre individuarli e delineare una strategia adeguata; 4) le strategie dei rivali minacciano di cambiare la natura della competizione? È necessario definire quali reazioni è opportuno adottare. Figura 5.6 Soft drink: la minaccia di nuovi concorrenti provenienti da altri settori Produttori di liquori Bevande a basso contenuto di alcool Spirit coolers Imprese farmaceutiche Integratori per sportivi Bevande nutritive Produttori di derivati del latte Latte Yogurt Settore soft drink Fonte: elaborazione da D. Hussey, P. Jenster, Competitor Intelligence, Wiley, New York, 1999. Produttori di vini Vini a basso contenuto di alcool Wine coolers Produttori di tè e caffè Tè freddo Caffè freddo Produttori di birre Birre a basso contenuto di alcool 116 L’analisi strategica Figura 5.7 Il ciclo di vita del settore Fonte: elaborazione da G. Johnson, K. Scholes, Exploring Corporate Strategy, Prentice Hall, London 1997. dei prodotti e dei servizi tendono a divenire molto simili, pertanto la fedeltà alla marca diminuisce. L’attrattività nel settore è bassa in quanto i prezzi scendono e la competizione è intensa. Per evitare la crisi le imprese mirano ad abbassare i costi e a creare fedeltà alla marca (un esempio è dato dalle compagnie aeree, che hanno ristrutturato le rotte, negoziato remunerazioni più basse con il personale e introdotto programmi frequentflyer). In queste condizioni può sempre esplodere una rovinosa guerra dei prezzi e le imprese che adottano con successo queste strategie non solo sopravvivono alla concorrenza, ma alzano anche barriere all’entrata di potenziali concorrenti. Bassi costi e fedeltà dei clienti rendono infatti assai onerosa l’iniziativa di nuovi entranti nel mercato, tuttavia le minacce non mancano. Le imprese che decidono di entrare si affidano in genere alla concorrenza basata sulla pubblicità, sulla qualità, sulla bassa differenziazione e su modesti cambiamenti nei prodotti. I profitti risentono dei forti mutamenti dettati dalle necessità di fare nuovi investimenti nella produzione, del maggior potere di negoziazione acquisito dai distributori e della minaccia di nuovi entranti (minaccia più contenuta rispetto alle fasi precedenti, ma sempre esistente). Se il numero dei concorrenti diminuisce, le imprese rimanenti possono nuovamente avere l’opportunità di aumentare i prezzi e la redditività (l’esperienza del trasporto aereo, degli elettrodomestici e dei componenti auto dimostra che lo shakeout fa aumentare il grado di concentrazione delle imprese, le quali – una volta rimaste in poche – formano nuovamente un oligopolio che dà loro l’opportunità di stringere accordi miranti a ridurre la competizione). Anche eventi esterni al settore possono creare di nuovo turbolenza: la deregulation o una recessione economica, per esempio, possono nuovamente aprire la rivalità tra le imprese. Analisi dei concorrenti e della domanda: segmentazione e posizionamento 125 Figura 6.1 Analisi dei concorrenti L’arena competitiva Chi sono i nostri concorrenti? Il profilo dei concorrenti Quali sono i loro punti di forza e debolezza? Quali sono le strategie dei concorrenti? I gruppi strategici Quali potrebbero essere le loro risposte alle nostre strategie? essere ampia quanto un intero settore oppure limitata quanto un singolo prodotto o mercato. La definizione dipende da quattro criteri: 1) l’ampiezza della gamma di prodotti e servizi considerati (un solo prodotto o una classe di prodotti); 2) i segmenti di clienti (un solo segmento a confronto con più segmenti); 3) l’orizzonte geografico (una singola regione o paese oppure il mercato mondiale); 4) il numero delle attività che compongono la catena del valore (poche o molte). Il peso che si vuole dare a ciascuno dei quattro criteri dipende dagli obiettivi che l’impresa vuole raggiungere con la definizione dell’arena competitiva: per una decisione di breve periodo e di tipo tattico, l’arena sarà limitata ai clienti e ai concorrenti attuali. Se l’obiettivo della definizione è invece porre le basi per decisioni di tipo strategico, la definizione del mercato deve essere più ampia per considerare: • le opportunità di mercato attualmente non servite da alcuna impresa; • i cambiamenti nella tecnologia, nei livelli dei prezzi e nelle condizioni dell’offerta che potrebbero allargare la cerchia dei prodotti sostitutivi; • i rischi di entrata di imprese provenienti da altri mercati/settori. Una definizione troppo ristretta potrebbe rendere vulnerabile l’impresa, una troppo ampia potrebbe nascondere i veri pericoli. Day propone di individuare l’arena competitiva ragionando in termini di sostituzione in due prospettive diverse: 126 L’analisi strategica • sostituzione dal lato della domanda, al fine di comprendere tutti i modi in cui i clienti possono soddisfare le proprie esigenze; • sostituzione dal lato dell’offerta, al fine di individuare tutti i concorrenti che hanno le capacità di servire gli stessi clienti. Le due prospettive sono strettamente legate. Dal lato della domanda, un mercato è composto da un insieme di esigenze dei clienti che possono essere servite da più offerte tra loro in competizione. Nella prospettiva del cliente, per esempio, l’esigenza di trasporto può essere soddisfatta da imprese appartenenti a settori diversi: compagnie aeree, treni, costruttori di auto, autonoleggio. La sostituzione è nell’uso; i vari mezzi di trasporto servono alla stessa funzione, ma operano in un modo molto diverso e hanno prestazioni pure molto diverse. Tornando al caso Rhône-Poulenc: chi compra da Pasteur Merieux? Dal lato dell’offerta, un mercato è l’insieme dei prodotti e servizi tra loro sostituibili che il cliente percepisce in grado di offrire prestazioni simili o molto simili tra loro. L’analisi comprende dunque tutti i concorrenti che potrebbero rispondere alle esigenze di un dato gruppo di clienti (Fig. 6.2). Dunque, con quali rivali entra in competizione Pasteur Merieux? Figura 6.2 Dal settore al prodotto, alla marca Articoli per la casa Settore Categoria di prodotti Articoli per la preparazione di alimenti Tipo di prodotto Articoli per la preparazione del caffè Caratteristiche del prodotto prezzi Fonte: adattato da G. Day, Market Driven Strategy, Free Press, Boston, 1990, p. 97. Idem Idem Idem Varianti di prodotto Marche Marche Marche Marche 128 L’analisi strategica Figura 6.3 Analisi dei fattori chiave di successo Fattori chiave Della nostra impresa Del concorrente 1 Del concorrente 2 Innovazione Capacità finanziaria Assistenza post-vendita Qualità dei prodotti Fonte: elaborazione da D. Jobber, Principles and Practice of Marketing, McGraw-Hill, New York, 1998. Forza lavoro qualificata Accesso ai canali di distribuzione internazionali L’arena competitiva mette a confronto tutte le imprese presenti, ma sarebbe bene evitare i rivali più agguerriti perché attaccare un leader di settore sul suo terreno è sempre rischioso. In campo militare gli strateghi consigliano di attaccare soltanto se il rapporto di forza è almeno di 3 a 1. Per questo le imprese scelgono spesso avversari di forza pari o inferiore. 6.2 Il profilo dei concorrenti Per capire qual è la posizione competitiva dell’impresa è necessario fare anche un’analisi delle caratteristiche dei concorrenti: • Che cosa fanno? • Quali sono i loro punti di forza e di debolezza e i loro vantaggi competitivi? • Con quali vantaggi dei rivali l’impresa è in concorrenza? L’obiettivo di queste analisi è mettere l’impresa nelle condizioni migliori per sviluppare vantaggi competitivi superiori a quelli dei rivali, come ha argomentato Best (1997). Sempre per concentrare le risorse sui problemi di maggior rilievo, occorre anzitutto stabilire quali concorrenti meritano un’analisi. È vero che una definizione strategica del mercato comporta una visione ampia che comprenda sia i concorrenti attuali sia quelli futuri, sia i prodotti/servizi dell’impresa sia i prodotti sostitutivi, ma è anche vero che l’impresa non può destinare risorse a un’analisi dettagliata di tutti i concorrenti (Kotler, Sing, 1981). Analisi dei concorrenti e della domanda: segmentazione e posizionamento 129 Il metodo migliore – come già abbiamo visto – è partire dal lato della domanda, chiedendo ai clienti quali concorrenti prendono in esame nelle loro scelte. Quanto più il cliente considera due concorrenti vicini tra di loro nell’offerta, tanto più è probabile che possa decidere di passare dall’uno all’altro. Al contrario, quanto più li percepisce lontani, tanto più basse sono le probabilità che abbandoni l’uno per preferire l’altro. Il punto di arrivo di questa analisi è la costruzione di una o più mappe di percezione della competizione, con le quali l’impresa può rispondere a due domande: 1) Quale rivale dobbiamo affrontare in un certo mercato/segmento/nicchia? 2) Qual è la nostra posizione competitiva (a confronto con questo rivale) nell’attrarre clienti e nel rispondere alle loro attese? Occorre poi conoscere su quali basi il target di clienti percepisce l’offerta dell’impresa come diversa da quella dei rivali. Disponendo di sufficienti informazioni è possibile costruire una mappa simile a quella del grafico in Figura 6.4, un esempio che mette in evidenza come i potenziali compratori americani percepiscano le differenze tra i prodotti concorrenti nel segmento delle vetture di lusso. I benefici di tipo psicologico sono rappresentati dalla dimensione orizzontale e sono correlati con stile, sicurezza, status, prestazioni sulla strada, comfort. I benefici di tipo razionale sono rappresentati dalla dimensione verticale e correlati con il consumo di carburante, i costi di manutenzione, l’affidabilità, la qualità, il prezzo dell’usato. In base alla mappa, Toyota offre una vettura di lusso a un target di potenziali compratori che hanno un livello alto di attesa sia di benefici psicologici sia razionali. Figura 6.4 Mappa di percezione: il posizionamento strategico di Lexus, tra razionalità ed emozioni • Volvo 700 Target di Lexus • Honda Accord • Honda Prelude Benefici razionali • Nissan Maxima • BMW 525 • Saab 9000 • Mercedes 500 • Buick Park Avenue • Buick Regal • Cadillac Seville • Chrysler New Yorker • Lincoln Towncar • Buick Riviera Fonte: R. Best, Market Based Management, Prentice Hall, London, 1997, cap. 6. • Jaguar • Oldmobile 98 Benefici psicologici Analisi dei concorrenti e della domanda: segmentazione e posizionamento 133 riconversione (ossia la trasformazione per un uso alternativo) è alto; da costi fissi che l’impresa continuerebbe comunque a sostenere; da economie di scala realizzate con altre business unit del gruppo. Possono essere barriere poste dallo stato, da soggetti sociali come i sindacati e l’opinione pubblica o i consumatori (che potrebbero penalizzare altri prodotti), nonché dalla volontà della stessa impresa di non lasciare un settore. 6.3 I gruppi strategici Dalla definizione dei confini dell’arena competitiva e dall’esame del profilo dei concorrenti può emergere un’ampia varietà di strategie. Quanto più è ampia l’arena competitiva, tanto più forti possono essere le differenze; che sono spesso rilevanti rispetto a fattori come tecnologia, qualità dei prodotti, segmenti di mercato scelti come target, canali della distribuzione, politica dei prezzi, politica di promozione e servizi ai clienti. In vari settori è possibile distinguere più gruppi di imprese che adottano strategie relativamente omogenee all’interno dello stesso gruppo, ma diverse da quelle degli altri gruppi. Coprono gli stessi mercati, sono in concorrenza le une con le altre. Prendono il nome di gruppi strategici. Per esempio, nel settore automobilistico è possibile individuare due principali gruppi di costruttori. Un gruppo include le imprese più note come Fiat, Renault, Wolkswagen, General Motors, Ford, Toyota, che offrono un’ampia gamma di prodotti al fine di essere presenti in una pluralità di segmenti, investono nelle migliori tecnologie e puntano alle maggiori economie di scala possibili. Dato il loro peso economico, spesso nei mercati di origine godono di forme di protezione da parte dello stato. Le economie di scala rappresentano una barriera difficile da superare per i nuovi concorrenti. Figura 6.5 Conoscere i concorrenti: indicatori di analisi Struttura dei costi Immagine e posizionamento Obiettivi Portafoglio prodotti e servizi Concorrenti: loro azioni e reazioni Risultati ottenuti Strategie e fonti di vantaggi competitivi Dimensioni e sviluppo Barriere all’uscita Risorse Organizzazione e cultura Analisi dei concorrenti e della domanda: segmentazione e posizionamento 135 Figura 6.6 Esempi di mappe strategiche Gruppi strategici nelle costruzioni aeronautiche Mondiale Learjet Astra BOEING AIRBUS DASA British Aereospace Copertura delle aree geografiche (vendita) Cessna Piper Nazionale (Usa) Piccole Grandi Dimensioni dell’aereo (numero di posti) Gruppi strategici nel settore dei gelati di marca in Europa Super premium Premium Alta Fonte: il grafico in alto è un’elaborazione da M. Cook, C. Farquharson, Business Economics, Pitman Publishing, London, 1998. Il grafico in basso è tratto da R. Lynch, Corporate Strategy, Pitman Publishing, London, 1997. Regular Qualità Economy Bassa Nazionale Regionale Paneuropea Copertura geografica in Europa Legenda: Super premium = fascia superiore Premium = fascia alta Regular = fascia media Economy = fascia bassa Le barriere alla mobilità Alcuni gruppi strategici riescono meglio di altri a proteggere le loro posizioni e conseguono così redditività elevata. Altri gruppi adottano invece strategie aggressive che rendono la competizione molto accesa e tendono ad abbassare la redditività. Il fattore principale è l’esistenza di barriere alla mobilità, che ostacolano il passaggio da un gruppo strategico a un altro. Analisi dei concorrenti e della domanda: segmentazione e posizionamento 137 6.4 Le strategie di risposta dei rivali «Il successo o il fallimento della strategia non è soltanto il risultato delle azioni. Sono le risposte dei rivali a determinare se una riduzione dei prezzi diventa una guerra dei prezzi, se un nuovo vantaggio competitivo si trasforma in un costo per restare nel business, se l’attuale posizione di forza diventa una posizione di debolezza» (Day e Reibstein, 1997, p. 78). Capire e anticipare le mosse dei rivali determina la struttura della competizione, quindi può determinare i risultati. Day e Reibstein propongono tre modi per anticipare le risposte dei concorrenti: teoria dei giochi, behavioral theory e coevolution. Infine, anche le esperienze del passato sono utili per anticipare il futuro. La teoria dei giochi I principi della teoria dei giochi sono stati applicati dai condottieri cinesi 2500 anni fa e sono stati sviluppati e costruiti dagli economisti moderni in un sistema formalizzato. Nel 1994, il Premio Nobel per l’economia consacrò definitivamente la teoria dei giochi come disciplina autonoma, tuttavia la sua utilità nella gestione strategica è stata riconosciuta soltanto di recente (Dixit e Skeath, 1999, è una delle opere più complete). Day e Reibstein (1997) individuano in quattro principi la forza della teoria dei giochi. Visione strategica. Capacità di analizzare una situazione strategica, anticipare la sua futura evoluzione e prendere una decisione oggi che avrà (per l’impresa) un effetto favorevole in futuro sono tre elementi insostituibili per acquisire una posizione di vantaggio. La teoria dei giochi, essendo un processo iterativo, offre strumenti per acquisire conoscenze del quadro strategico, quindi per controllare la dinamica delle situazioni strategiche, quindi per individuare quali variabili strategiche se «manipolate» possono modellare il futuro. Conoscere se stessi e gli altri. Il successo di una decisione strategica dipende anche dalla capacità di capire come gli avversari interpretano la competizione e come valutano la nostra posizione. Dobbiamo essere certi di giocare la partita giusta. La teoria dei giochi costringe a vedere la situazione dal punto di vista degli altri. Day e Reibstein fanno un esempio a questo proposito: i manager delle grandi imprese hanno risorse, organizzazione e sistemi di procedure particolari e quando Figura 6.7 Come prevedere la risposta dei rivali Modi per prevedere Teoria dei giochi «Behavioral theory» «Coevolution» Esplorare il passato 142 L’analisi strategica Figura 6.8 Analisi delle attese del cliente, creazione di valore e customer satisfaction Benefici percepiti dal prodotto/ servizio Esigenze del cliente Benefici attesi Creazione di valore per il cliente Customer satisfaction Condizioni di uso da parte del cliente Costo di acquisto Il cliente darà la preferenza all’impresa che crea il maggior valore. Le fonti di creazione del valore dal punto di vista economico sono principalmente cinque: 1) il costo di acquisto, che può creare valore per il cliente perché riduce per esempio il peso di altri costi. L’acquisto di un software per il controllo delle scorte è fatto per ridurre i costi di conservazione di queste; 2) l’uso del prodotto o di un servizio, che può comportare un minore costo per il cliente (un costo monetario, ma anche un costo psicologico legato per esempio alla maggiore o minore complessità dell’uso). L’acquisto di un certo tipo di macchina per lavorare il legno può ridurre i costi di certe fasi di lavorazione, quindi può creare valore; 3) i costi di manutenzione e riparazione, che possono avere una forte incidenza sui costi di esercizio. Ma se l’impresa che vende prende l’impegno di sostenere i costi di eventuali riparazioni, il compratore ha un potenziale beneficio. Se il costruttore di un trattore ha progettato il vano motore in modo da rendere facilmente accessibili le parti che hanno necessità di manutenzioni o che possono comportare riparazioni, il compratore ha un vantaggio economico in quanto sostiene minori costi; 4) i costi sostenuti per passare a un altro prodotto, poiché abbandonare un prodotto obsoleto o un suo componente può comportare un costo e anche questo è un elemento di possibile creazione di valore per il cliente: infatti, se il costo di sostituzione è basso il compratore ha un beneficio; 5) l’offerta di prezzi inferiori a quelli dei concorrenti e condizioni di pagamento più favorevoli: proporre macchine più semplici a prezzi più contenuti o acquistare dal cliente macchine obsolete da sostituire con quelle nuove e offrire gamme di prodotti diversi per qualità, graduando i prezzi in base al potere di acquisto dei potenziali compratori, sono politiche utili a creare valore economico per il cliente. 144 L’analisi strategica caso le variabili che intervengono sono tre: caratteristiche delle imprese (dimensioni, localizzazione, settore, situazione finanziaria); cultura organizzativa (base tecnologica, propensione a innovare, accentramento o decentramento delle decisioni); uso del prodotto (applicazioni, quantità, tempo di acquisto, frequenza di acquisto, esperienza). Elida Fabergé e lo Youth Board «Conoscere a fondo i nostri consumatori, la loro età e la loro estrazione, è un fattore critico per il nostro continuo successo», dicono alla consociata britannica di Unilever, Elida Fabergé, principale produttore mondiale di shampo, deodoranti e altri articoli per la persona (i bestseller sono il deodorante Lynx – Axe fuori della Gran Bretagna – e lo spray Impulse). Figura 6.9 Alcuni criteri per segmentare i mercati Fattori Elida Fabergé ha costituito uno Youth Board (letteralmente un Comitato Giovani) per mantenere uno stretto contatto con i potenziali compratori. Guidato dai due brand manager, il Board riunisce ogni mese i responsabili del marketing, della pubblicità, e delle pubbliche relazioni per studiare il comportamento dei giovani e per capire che cosa può attirare la loro attenzione. Mercati di consumo (business-to-consumer) Mercati delle organizzazioni (business-to-business) Caratteristiche delle persone/organizzazioni Età, sesso, razza Reddito Dimensioni delle famiglie Stadio del ciclo di vita Localizzazione Stile di vita Settore Localizzazione Dimensione Tecnologia Redditività Management Situazione di acquisto Dimensione dell’acquisto Fedeltà alla marca Motivo dell’uso Importanza dell’acquisto Criteri di acquisto Applicazioni Importanza dell’acquisto Volumi Frequenza di acquisto Criteri di scelta Canali della distribuzione Esigenze dell’utilizzatore circa le caratteristiche del prodotto Preferenze di prezzo Preferenze di marca Caratteristiche desiderate Qualità Performance richieste Assistenza dai fornitori Preferenze di marca Caratteristiche richieste Qualità Servizi richiesti 156 I vantaggi competitivi Figura 7.1 Risorse, competenze e vantaggi competitivi Relazioni con i vantaggi competitivi Risorse Fonte: G. Johnson, K. Scholes, Exploring Corporate Strategy, Prentice Hall, London, 1997. Competenze Le stesse dei concorrenti o facili da imitare Superiori a quelle dei concorrenti o difficili da imitare Risorse necessarie Risorse uniche Soglia delle competenze Core competencies Hamel e Prahalad suggeriscono che l’organizzazione dovrebbe raccogliere sfide in grado di motivare fortemente i collaboratori. In particolare sostengono che il vero obiettivo delle strategie di un’impresa non dovrebbe essere il combinare le risorse con le opportunità, come (secondo i due autori) molti manager pensano, ma piuttosto fissare obiettivi che spingano l’impresa oltre il traguardo che i suoi manager credono sia raggiungibile. Il processo di analisi delle risorse di cui un’impresa dispone o dovrebbe disporre per intraprendere una certa strategia è indicato in genere con l’espressione resource audit e può essere condotto in vari modi. Nelle pagine che seguono vedremo tre metodi: • analisi del valore aggiunto; • individuazione delle competenze distintive che creano vantaggi; • analisi delle funzioni e dei processi. Il tutto si riassume nell’analisi dei punti di forza e di debolezza e nell’analisi SWOT. 7.2 L’analisi del valore aggiunto Le diversità tra i risultati ottenuti da imprese dello stesso settore raramente possono essere spiegate da differenze nelle risorse disponibili. Spesso la superiorità ha origine nel modo differente di organizzare le risorse per creare competenze distintive e coordinarle. Lo strumento per esplorare l’origine e la sostenibilità nel tempo di vantaggi competitivi sui rivali è l’analisi del valore aggiunto. Il valore aggiunto è la differenza tra il valore di mercato dei prodotti e dei servizi (output) e il costo dei fattori (input). È un concetto essenzialmente economico, indiscusso nella sua logica, ma difficile da esprimere in quantità. In genere non vi sono difficoltà per calcolare il valore delle vendite (fatturato) ed è relativamente facile anche il calcolo di due categorie di costi: lavoro e materie 158 I vantaggi competitivi Figura 7.2 Schema di analisi del valore aggiunto Analisi del valore aggiunto Value chain Value system La value chain o catena del valore Ogni organizzazione è composta di parti corrispondenti ad altrettante attività, che chiamiamo funzioni, le quali insieme, costruite in sistema, producono valore. Sono le funzioni acquisti, marketing, finanza, gestione delle risorse umane, logistica, ricerca & sviluppo (R&S). Queste attività e i loro reciproci legami possono essere rappresentati con la value chain, o catena del valore, che scompone l’attività dell’organizzazione nelle sue parti principali. Lo scopo è individuare in che modo ciascuna parte contribuisca al valore aggiunto complessivo e determinare come le varie parti possano contribuire ai vantaggi competitivi dell’intera organizzazione. Questo strumento era da tempo usato nelle analisi finanziarie e contabili, prima che Porter proponesse di applicarlo all’analisi strategica. McKinsey, negli anni Sessanta aveva proposto un proprio modello, noto come business system (Fig. 7.3). La catena del valore (Fig. 7.4) ha tre caratteristiche: 1) esprime il valore di un dato prodotto o servizio in termini di attività necessarie per produrlo, distinguendo tra attività primarie e attività di supporto; 2) rappresenta i legami tra le varie attività, intendendo con «legame» il rapporto esistente tra una data attività e il costo (di svolgimento) di un’altra attività. Nella ricerca di vantaggi competitivi un’impresa può svolgere le varie attività in modi differenti con differenti risultati; 3) esprime le potenziali sinergie tra prodotti e servizi e tra business unit (se l’impresa ne ha più di una). Ogni attività ha al proprio interno non solo economie di scala – per esempio economie nella distribuzione e nella logistica – ma anche economie di scopo, ossia economie derivanti dal fatto che la stessa attività può contribuire a più prodotti e servizi. Figura 7.3 Il business system di McKinsey Tecnologia Produzione Progettazione Acquisti Sviluppo Assemblaggio Distribuzione Marketing Trasporti Scorte Vendite Pubblicità Servizi Manutenzioni Lavoro ni gi ar M Gestione degli approvvigionamenti Gestione della tecnologia Gestione delle risorse umane M ar gi ni Servizi Marketing e vendite Distribuzione e logistica in uscita Gestione operativa Infrastrutture dell’impresa Acquisti e logistica in entrata Attività primarie e costi Figura 7.4 La catena del valore Attività di supporto e costi Analisi delle risorse: forze e debolezze 159 La catena del valore comprende cinque attività primarie, che nel diagramma muovono da sinistra verso destra e rappresentano le attività che portano alla creazione dei prodotti e dei servizi, in parte sono trasferite al compratore attraverso i servizi post-vendita. Le attività primarie sono legate a quattro attività di supporto, raffigurate con un flusso trasversale in quanto possono agire su una o più attività primarie. Attività primarie • Logistica in entrata (inbound logistics): l’approvvigionamento e il ricevimento di materie prime e componenti, la gestione delle loro scorte e della loro distribuzione interna. Sono gli input necessari per ottenere prodotti e servizi e comprendono le attività riguardanti la gestione dei magazzini, il controllo delle scorte e i trasporti interni. • Gestione operativa, ossia la trasformazione degli input in prodotti finiti e servizi. Riguarda in particolare la gestione dei macchinari, l’assemblaggio e il packaging. • Logistica in uscita (outbound logistics), tutto ciò che riguarda la distribuzione ai clienti dei prodotti finiti e dei servizi. • Marketing e vendite, attività che stimolano e facilitano l’acquisto di prodotti (pubblicità, gestione della forza vendita, selezione dei canali di vendita, relazioni con gli intermediari, prezzi). • Servizi, relativi alla gestione delle operazioni post-vendita (installazioni, riparazioni, formazione del personale dei distributori e dei compratori, forniture di parti, prestazioni di garanzie). Fonte: adattato da M. Porter, Competitive Advantage: Creating and Sustaining Superior Performance, Free Press, Boston, 1985. Attività di supporto • Gestione degli approvvigionamenti, che riguarda le funzioni e i processi di acquisto degli input immessi nella catena del valore e ha stretti rapporti con le varie aree funzionali (per esempio, i responsabili della produzione hanno un ruolo importante nel definire le specifiche e la qualità dei componenti del prodotto e del servizio). • Gestione della tecnologia, intesa in senso ampio, che comprende know-how, ricerca e sviluppo, progettazione, acquisti di tecnologie dall’esterno. • Gestione delle risorse umane, ossia le attività riguardanti la selezione, il reclutamento, la formazione e lo sviluppo di carriera del personale. Riguarda anche le forme di remunerazione e l’insieme degli altri rapporti tra l’organizzazione e i collaboratori. • Infrastrutture dell’impresa, i cosiddetti linking processes o processi trasversali: organizzazione, pianificazione e controllo. Sotto un altro profilo sono rappresentate dalle attività di general management. Le infrastrutture generali dell’impresa sostengono l’intera catena del valore. Ogni attività primaria e di supporto comporta costi e dovrebbe aggiungere valore al prodotto e al servizio. Se l’impresa ha più di un prodotto, secondo Porter l’analisi dovrebbe essere fatta a livello di singolo prodotto e non a livello corporate. Con il termine «margini», Porter indica ciò che altri definiscono «valore aggiunto». Analisi delle risorse: forze e debolezze 161 Figura 7.5 Il value system Singola business unit Catena del valore dei fornitori Catena del valore dell’impresa Catena del valore dei distributori Catena del valore dei compratori Impresa diversificata (più SBU, ciascuna con la propria value chain) Catena del valore della business unit Catena del valore dei fornitori Fonte: elaborazione da M. Porter, Competitive Advantage, Free Press, Boston, 1985. Catena del valore della business unit Catena del valore dei distributori Catena del valore dei compratori Catena del valore della business unit mente prodotti e servizi al consumatore finale e quasi mai produce tutto al proprio interno. Posto che le catene del valore dei fornitori e quelle dei distributori sono tra loro differenti – alcuni offrono prezzi più bassi, altri servizi e prodotti più affidabili – il vantaggio competitivo di un’impresa può avere origine anche dalla scelta del miglior fornitore o distributore. Se per esempio un fornitore di packaging innova e propone un sistema che crea maggior valore aggiunto, avendo con lui un rapporto esclusivo l’impresa può acquisire un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti. Lo stesso risultato si può ottenere con un nuovo sistema di distribuzione. Ulteriori vantaggi possono emergere dall’acquisire una parte della catena del valore dei clienti, sostituendosi a essi e fornendo loro un servizio. Alcuni di questi legami possono essere unici, non imitabili, quindi possono dare un vantaggio rispetto ai concorrenti. Per fare un esempio, alcuni costruttori di elettrodomestici hanno introdotto nel mercato frigoriferi che, grazie al collegamento con una centrale operativa gestita dagli stessi produttori, possono trasmettere un ordine di fornitura con consegna a domicilio a una catena di supermercati. È un modo per acquisire una parte della catena del valore del cliente, così come fanno i costruttori di auto che acquistano assicurazioni, finanziamenti, riparazioni, manutenzioni, vendita dell’usato. L’analisi congiunta della value chain e del value system può fornire informazioni sulle fonti del valore aggiunto delle imprese e sulle possibilità di costruire vantaggi competitivi rispetto ai rivali. Se l’impresa offre un gruppo di prodotti, possono esistere tra questi dei legami costituiti da materie prime o canali della distribuzione comuni, e tali legami possono essere sviluppati al fine di costruire vantaggi competi- 162 I vantaggi competitivi tivi nei confronti dei rivali. Per esempio, se la stessa materia prima (cacao) è utilizzata in una pluralità di prodotti, l’impresa può acquisire un vantaggio competitivo rispetto a un concorrente che abbia una gamma più limitata o addirittura un solo prodotto. Altrettanto vale per i canali di distribuzione: se un costruttore di macchine agricole utilizza lo stesso canale per una pluralità di prodotti, può ottenere vantaggi competitivi rispetto ai rivali che hanno una minore varietà di macchine. Un altro esempio ancora è dato dalle compagnie aeree che dispongono di Computer Reservation System (CRS) per collegarsi con gli agenti di viaggio, e detengono così un vantaggio sui rivali che non ne dispongono. In sostanza il fattore critico di successo è la capacità di costruire legami che i rivali non possono imitare. 7.3 Individuare le competenze distintive che creano vantaggi Nella seconda metà degli anni Ottanta e nei primi anni Novanta un interrogativo è stato posto insistentemente all’analisi strategica. Com’è possibile che imprese di piccole dimensioni siano in grado di conquistare rapidamente quote di mercato significative? Telecomunicazioni, biotecnologie, e-commerce sono alcuni tra i settori in cui molte piccole imprese sono entrate rapidamente e con successo. Sono state condotte varie ricerche e le conclusioni sono quasi unanimi: la risposta è nella capacità di queste imprese di creare competenze uniche che le distinguono dai concorrenti. Hanno accesso alle stesse risorse dei rivali, ma riescono meglio di altre a coordinare la posizione nel mercato, l’innovazione e le strategie. Sulle competenze distintive sono emersi due diversi filoni di ricerca: • core resources (Kay); • core skills and competencies (Hamel e Prahalad). Le conclusioni cui giungono in parte si sovrappongono e per tutti esiste il limite della difficoltà di quantificare le risorse in termini di valore aggiunto, ma è interessante esaminare sia il metodo di analisi adottato sia le conclusioni. Figura 7.6 Metodi di analisi delle competenze distintive Competenze distintive Core resources Core skills and competencies 164 I vantaggi competitivi Figura 7.7 Come le core competencies possono essere legate alle strategie di business unit Prodotto 1 Core competency A Strategic business unit X Prodotto 3 Core competency B Fonte: G. Hamel, C.K. Prahalad, «The Core Competencies of the Corporation», Harvard Business Review, maggiogiugno 1990. Prodotto 2 Prodotto 4 Prodotto 5 Core competency C Strategic business unit Y Prodotto 6 Prodotto 7 L’impresa deve costruire le core competency prima di affrontare i concorrenti, non quando è già in campo. Deve inoltre individuarle con un certo grado di dettaglio: non può limitarsi a tre o quattro soltanto, perché significherebbe fermarsi a un livello sarebbe troppo generale e dunque superficiale; quaranta o cinquanta sarebbe ottimale. La prima critica a queste tesi è che un dettaglio delle core competency può essere relativamente facile nelle grandi imprese e in certi settori (come quello dell’elettronica), ma è molto difficile in altri contesti e va adattato secondo i settori. La seconda critica è che Hamel e Prahalad restano comunque nel vago e non definiscono con precisione quali siano le core competency (Lynch, 1997). 7.4 L’analisi delle funzioni e dei processi Dall’analisi dell’ambiente sono dunque emerse le minacce e le opportunità potenziali. L’impresa deve poi stabilire se ha le risorse necessarie per trarre vantaggio da tali opportunità e se, nel quadro generale della strategia, sia conveniente mettere in campo le risorse di cui dispone, quali e in che misura. Oltre all’analisi del valore aggiunto e delle competenze distintive che creano vantaggi, un terzo gruppo di metodi di analisi interna è noto con l’espressione generica di analisi delle principali funzioni e processi. Non si tratta del semplice elenco delle attività svolte, ma di una valutazione delle capacità che il management responsabile di ciascuna area ha di formulare e realizzare politiche e di utilizzare le risorse di cui dispone. È bene ripetere che si tratta di modi diversi di valutare una stessa realtà. Quando questa è complessa, difficilmente un solo metodo di analisi consente di capire a fondo il sistema di relazioni tra variabili. Per fare un’analogia, pensiamo a un medico che si affida a più tecniche diagnostiche per appurare lo stato di salute di un paziente. Analisi delle risorse: forze e debolezze 173 Figura 7.8 Matrice per l’analisi SWOT Fattori interni Forze (S) ……………………………….. Indicare da 5 a 10 punti di forza Debolezze (W) ……………………………….. Indicare da 5 a 10 debolezze Fattori esterni Strategie (WO) Strategie (SO) Opportunità (O) ……………………………….. ……………………………….. ……………………………….. Strategie che traggono Strategie che usano i punti Indicare da 5 a 10 di forza per trarre vantaggio vantaggio dalle opportunità opportunità esterne superando le debolezze dalle opportunità Minacce (T) ……………………………….. Indicare da 5 a 10 minacce esterne Strategie (ST) ……………………………….. Strategie che usano i punti di forza per evitare le minacce Strategie (WT) ……………………………….. Strategie che rendono minime le debolezze ed evitano le minacce 7.6 L’analisi comparativa Dopo aver valutato le risorse disponibili e aver individuato le competenze distintive e le core competency, occorre un’analisi comparativa. Ecco alcuni metodi di confronto frequentemente adottati. • Storia dell’impresa. Il criterio basato sulla storia dell’impresa consiste nell’esaminare quanto è avvenuto in passato. Se oggi la situazione è migliorata, possiamo concludere di aver un punto di forza; se invece è peggiorata possiamo giungere alla conclusione opposta. Se, per esempio, il grado di indebitamento è aumentato peggiorando il grado di esposizione di fronte ai creditori, si può concludere che l’impresa abbia in quest’area un punto di debolezza. • Standard di settore. Il termine di paragone o benchmark può essere una norma o uno standard elaborato in base alla esperienza del settore, al parere di consulenti o ai risultati di ricerche scientifiche. Per esempio, sono state fatte molte ricerche sul rapporto tra le spese destinate a R&S (di prodotti e processi) e il fatturato: se un’impresa supera il livello considerato utile per aprire le porte del successo, si può concludere di essere in presenza di un potenziale punto di forza; se invece si trova al di sotto di tale livello, si può parlare di un punto di debolezza. • Strategie della concorrenza. Questo criterio parte dal presupposto che un’impresa, per avere successo, debba almeno «neutralizzare» i concorrenti mettendo in campo politiche e strutture organizzative come minimo equivalenti. Se per esempio i concorrenti si presentano sui mercati con una gamma di prodotti molto ampia, un modo per fronteggiarli potrebbe essere quello di presentare una gamma altrettanto ampia di prodotti equivalenti. Se questa fosse la scelta e la gamma non fosse sufficientemente ampia si potrebbe concludere che l’impresa ha un punto di Le fonti dei vantaggi competitivi 179 Tabella 8.1 Attrattività/ redditività tra settori a confronto Settori Compagnie aeree United Airlines Southwest Airlines Mediana Bevande Coca-Cola PepsiCo Mediana Fonte: Fortune, «America’s Largest Corporations», 9 maggio 2005. ROS 2004 ROA 2004 ROE 2004 Valore per gli azionisti. Ritmo di crescita annuale 1994/2004 (%) (10,5) 4,8 2 (8,3) 2,8 1 – 5,7 7 (24,3) 17,4 1 22,1 14,4 5 15,5 15,0 4 30,4 31,0 22 6,4 13,7 15 Computer, office equipment International Business Machines (IBM) Hewlett-Packard Dell Computer Mediana 8,8 7,7 28,3 19,2 4,4 6,2 3 4,6 13,1 2 9,3 46,9 7 8,8 52,0 10 Autoveicoli e componenti General Motors Ford Motors Mediana 1,4 2,0 2 0,6 1,2 1 10,1 21,7 11 5,6 7,3 6 Farmaceutici Merck Pfizer Johnson & Johnson Mediana 25,3 21,5 18,0 13 13,7 9,2 16,0 7 33,6 16,6 26,7 14 8,3 17,0 18,3 14 Computer software Microsoft Oracle Mediana 22,2 26,4 14 8,8 21,0 6 10,9 33,5 11 22,9 20,2 22 Semiconduttori Intel Solectron Texas Instruments Mediana 22,0 (1,3) 14,8 (2) 15,6 (2,9) 11,4 (1) 19,5 (7,1) 14,2 (2) 19,7 4,5 18,7 15 Indici: • ROS: return on sales. Rapporto tra utili e vendite. • ROA: return on assets. Rapporto tra utili e attività di bilancio (capitale investito). • ROE: return on equity. Rapporto tra utili e capitale proprio. • Valore per gli investitori (azionisti). Comprende sia l’aumento del valore di mercato delle azioni sia i dividendi distribuiti nel periodo. Parte dal presupposto che dividendi, vendita di diritti di warrant e azioni ricevute in occasione di spin-off (smembramento di un’impresa) siano stati reinvestiti nel momento in cui sono stati pagati. 182 I vantaggi competitivi 8.2 Le fonti dei vantaggi competitivi Come creano vantaggi competitivi le imprese? A questa domanda management e ricercatori hanno dato varie risposte, riconducibili a due approcci principali (Fig. 8.1): 1) l’approccio della posizione nel settore rispetto ai concorrenti, detto anche strutturale, secondo cui i vantaggi dell’impresa derivano dalla conquista e dalla difesa di una posizione rispetto ai rivali e la posizione può essere o di bassi costi o di differenziazione nei migliori segmenti di un settore; 2) l’approccio della resource-based theory (RBT), secondo cui risultano determinanti le risorse e le capacità dell’impresa. I vantaggi derivano da prestazioni superiori a quelle dei rivali, originate da risorse e capacità distintive non possedute dai rivali e non imitabili, sviluppate nel tempo e che agiscono sulle prestazioni dell’impresa nei vari campi di attività. Nessuno dei due approcci è in grado di spiegare come si crea e si sostiene un vantaggio in un ambiente competitivo dinamico. Tuttavia, combinando le due prospettive è possibile tracciare un quadro dei vantaggi di cui l’impresa dispone, capire come sono stati costruiti e quindi come possono essere mantenuti. Non bisogna dimenticare che la creazione, il sostegno e la difesa dei vantaggi competitivi è un’attività costante a ciclo continuo, che non può avere soste. Creare più valore dei rivali non significa però avere la redditività più alta in assoluto. La struttura del settore è un fattore critico nel determinare quale quota di valore creato l’impresa riesca a trattenere come profitto. Essendo parte integrante dell’analisi strategica, l’analisi di settore – i cui metodi abbiamo già esaminato – resta dunque insostituibile, per vari motivi (Ghemawat, 1999): • il peso della struttura del settore sulla redditività è alto, anche se non è l’elemento più importante; • le caratteristiche di settore che agiscono sulla redditività hanno un effetto più duraturo rispetto a quello derivante dalle diversità tra strategie di imprese dello stesso settore; • alcuni settori hanno strutture tali da rendere possibili forti scostamenti dei risultati di un’impresa rispetto alla redditività media (di settore). In altri gli scostamenti sono minori; • le imprese che hanno redditività superiore alla media devono il loro successo anche alla capacità di affrontare i lati (per loro) negativi del settore; Figura 8.1 Due approcci alla individuazione delle fonti dei vantaggi competitivi Le fonti dei vantaggi competitivi La posizione nel settore (Porter) Le risorse, le capacità, le competenze distintive (Barney, Grant, Hamel e Prahalad) Le fonti dei vantaggi competitivi 183 • infine, se è vero che la struttura del settore agisce sulle strategie delle imprese, è anche vero che le strategie contribuiscono alla struttura. È dunque utile esaminare entrambe. 8.3 La posizione nel settore: i vantaggi generici Un’impresa ha un vantaggio competitivo soltanto se è in grado di creare valore in misura superiore a quello dei suoi concorrenti. Negli anni Settanta, sulla scia delle ricerche di Bain, ad Harvard, e dell’attività di consulenza della McKinsey, è stato accettato il principio che la creazione di valore (più in generale l’attrattività di un’impresa) dipende o dalla cost position o dalla differentiation position dell’impresa rispetto ai suoi concorrenti. Le prime analisi rigorose dei concetti di costo e di differenziazione apparvero all’inizio degli anni Ottanta, in un’opera di M. Porter (1980) e in un articolo di W. Hall (1980) dell’Harvard Business Review. Secondo Porter, per costruire un vantaggio competitivo un’impresa deve: o avere costi più bassi rispetto a quelli dei concorrenti; o essere in grado di differenziare i prodotti in modo da applicare prezzi superiori a quelli dei concorrenti; oppure riuscire a fare entrambe le cose. Sulla base di questi due elementari principi, Porter ha ampiamente sviluppato ciò che definisce strategie generiche: bassi costi e differenziazione (Fig. 8.2). Una strategia di bassi costi mira a ridurre al minimo i costi unitari, mentre una strategia di differenziazione mira a rendere i prodotti e i servizi il più possibile diversi da quelli dei concorrenti al fine di poter praticare un prezzo superiore. Entrambe le strategie possono essere applicate all’intero settore o a una parte (uno o più segmenti). Figura 8.2 Le strategie generiche di Porter Target Fonte: M. Porter, Competitive Strategy, Free Press, Boston, 1980. Vantaggi competitivi Intero settore Soltanto un particolare segmento I clienti percepiscono unicità Posizione di bassi costi Differenziazione Cost leadership Focus Prima di adottare una delle due strategie competitive generiche, l’intera impresa o la business unit deve decidere a quale target mirare: quali prodotti o quali linee di prodotti offrire, quali canali della distribuzione utilizzare, quali potenziali compratori servire, in quali aree geografiche vendere, con quali imprese rivali entrare in concorrenza. Questa scelta dipende dalla disponibilità delle risorse e dagli obiettivi che l’impresa si è data. Il target può essere ampio, e includere l’intero settore, o limitato a una nicchia del mercato: combinando questi due target con le due strategie competitive otteniamo quattro tipi di strategie generiche (le cui caratteristiche saranno esaminate in dettaglio nel capitolo 15): Le fonti dei vantaggi competitivi 185 Peraltro, oltre a offrire un quadro soltanto parziale della realtà questo approccio ha in particolare due punti deboli. Playing the spread. Il primo punto debole è nel fatto che cost leadership e differenziazione non si escludono a vicenda. Spesso le strategie delle imprese mirano a sviluppare entrambi questi vantaggi competitivi: i costruttori di auto giapponesi Toyota e Honda, per esempio, hanno raggiunto simultaneamente sia posizioni competitive di bassi costi sia posizioni di elevata qualità e quindi di differenziazione. Day (1997) indica questa posizione con l’espressione playing the spread e cita il caso di Kellogg, impresa che ha ottenuto buoni risultati sia con una strategia di bassi costi sia con una strategia basata sulla differenziazione (maggior valore per il cliente e quindi possibilità di applicare un prezzo più alto). È dimostrato che la qualità elevata può creare vantaggi competitivi e può quindi aumentare le quote di mercato. Con l’aumento delle quote si abbassano i costi totali per effetto delle curve di esperienza e delle economie di scala. I costi unitari scendono sia per effetto dei maggiori volumi sia dei minori costi rispetto alla «non qualità» (se la qualità migliora, i costi totali diminuiscono perché si riducono gli sprechi e gli scarti di produzione, i costi di riparazione e di assistenza post-vendita). È dunque possibile che l’impresa sia leader di costo e, nel contempo, offra prodotti e servizi differenziati rispetto a quelli dei concorrenti. Porter non condivide questa posizione e sostiene che un’impresa (o una business unit) deve adottare una sola strategia competitiva generica, altrimenti verrebbe a trovarsi «in mezzo al guado» (l’arena competitiva) senza un vantaggio competitivo e risulterebbe condannata a una redditività inferiore alla media. Su questo argomento tornerà il cap. 15. Figura 8.3 L’origine del vantaggio competitivo secondo l’approccio della posizione nel settore Sistema economico e struttura del settore Redditività dell’impresa Differenziazione rispetto ai rivali Creazione di valore superiore a quella dei rivali Costi più bassi rispetto ai rivali La redditività/attrattività di un’impresa dipende dalle caratteristiche del sistema paese, dalla struttura caratteristica del settore e dalla capacità (dell’impresa stessa) di creare più valore rispetto ai concorrenti. Secondo «la posizione nel settore», il valore che l’impresa crea a confronto con i concorrenti dipende dalla capacità di abbassare i costi e dalla capacità di differenziare i prodotti rispetto a quanto fanno i concorrenti. Le fonti dei vantaggi competitivi 189 8.5 Le risorse, le capacità e le competenze distintive Le tesi della RBT sono molto articolate, ma possono essere ricondotte alle seguenti enunciazioni: • le competenze distintive sono i punti di forza che l’impresa non divide con i rivali. Se creano valore danno all’impresa una redditività superiore alla media del settore; • le competenze distintive di un’organizzazione emergono dalle sue risorse e capacità; • per costruire vantaggi competitivi, le imprese devono formulare strategie sia basate sulle risorse e sulle capacità esistenti nell’organizzazione (le competenze) sia tese ad acquisire nuove risorse e capacità. Figura 8.4 La determinazione dei vantaggi competitivi secondo la resource-based theory Fonte: elaborazione da L. Dahringer, H. Muhlbacher, International Marketing, Addison Wesley, New York, 1991. Analisi interna Analisi della concorrenza Analisi esterna Forze e debolezze dell’impresa Minacce e opportunità Competenze distintive dell’impresa Fattori di successo nel settore Vantaggi competitivi dell’impresa Le risorse I fattori produttivi, gli input, le risorse umane, finanziarie, tecnologiche e organizzative di un’impresa possono essere distinte in: • risorse tangibili, ossia edifici, attrezzature, impianti. Sono le più facili da imitare e attirano l’attenzione dei rivali perché si prestano più facilmente ai confronti. Includono la capacità operativa, le economie di scopo e di scala, la copertura geografica della distribuzione, le spese in pubblicità e promozione, la capacità finanziaria e il costo del capitale, il costo delle materie prime; 192 I vantaggi competitivi Il concetto di routine organizzative è dunque essenziale per comprendere le fonti delle competenze di un’impresa e per valutarle. Implica inoltre che le capacità restino anche quando una persona o un gruppo di persone lasciano l’impresa. Le persone cambiano, ma le routine restano. Partendo dal presupposto che i vantaggi competitivi sono determinati principalmente dalle risorse e dalle competenze, Grant propone un approccio articolato in cinque stadi (Fig. 8.5): 1) individuare e classificare le risorse dell’impresa in termini di forze e debolezze nei confronti dei concorrenti; 2) identificare le capacità distintive: che cosa sappiamo fare meglio dei rivali? 3) valutare la capacità delle risorse e delle competenze di generare profitti attraverso la creazione e lo sfruttamento di vantaggi competitivi; 4) selezionare le strategie che meglio di altre sfruttano le risorse e le capacità delle imprese in rapporto alle opportunità offerte dall’ambiente esterno; 5) individuare gli scostamenti (gap) tra risorse necessarie e risorse disponibili; investire per acquisire, integrare e migliorare la base di risorse delle imprese. Nel terzo stadio, in particolare, Grant individua due fattori chiave per costruire vantaggi competitivi attraverso le risorse e le capacità dell’impresa: Figura 8.5 Analisi strategica secondo la resource-based theory Fonte: R.M. Grant, «The Resource-based Theory of Competitive Advantage: Implications for Strategy Formulation», California Management Review, vol. 33, n. 3, 1991. 4. Selezionare la strategia che meglio di ogni altra sfrutta le risorse e le capacità dell’impresa in rapporto alle opportunità dell’ambiente esterno. Strategia 3. Valutare la capacità delle risorse e delle competenze di generare «rendita» (profitti) in termini di: (a) loro potenziale per vantaggi competitivi sostenibili; (b) capacità di conseguire profitti attraverso l’uso di tali risorse e competenze. Vantaggi competitivi 2. Identificare le capacità distintive dell’impresa. Cosa può fare l’impresa meglio dei suoi rivali? Per ciascuna capacità individuare l’input di risorse e la complessità. Capacità 1. Identificare e classificare le risorse dell’impresa. Valutare forze e debolezze in rapporto a quelle dei concorrenti. Individuare le opportunità per una migliore utilizzazione delle risorse. Risorse 5. Individuare il gap di risorse che occorre colmare. Investire per acquisire, integrare e migliorare la base di risorse dell’impresa. Le fonti dei vantaggi competitivi 193 • la sostenibilità (nel tempo) dei vantaggi competitivi; • la capacità dell’impresa di «appropriarsi», dei vantaggi (profitti/creazione di valore) generati dalle risorse e dalle capacità di cui dispone. La RBT individua quattro caratteristiche delle risorse e delle competenze per la loro particolare importanza nel sostenere vantaggi competitivi: durabilità, trasparenza, trasferibilità e riproducibilità (Fig. 8.6). Durabilità. Se la competizione manca, i vantaggi competitivi dipendono dal ritmo con cui le risorse e le capacità diventano obsolete. La durabilità delle risorse varia considerevolmente nel tempo: il ritmo crescente del cambiamento tecnologico abbrevia la vita utile di molte attrezzature tecniche e quella di molte risorse tecnologiche; l’immagine (sia del prodotto sia dell’impresa) tende invece a deprezzarsi più lentamente. In genere, come sostiene Grant, le capacità hanno maggiore durabilità rispetto alle risorse sulle quali sono basate perché l’impresa è in grado di mantenere le capacità sostituendo le risorse esaurite o in via di esaurimento. Qualche esempio: i grandi stilisti italiani riescono a mantenere a lungo le loro capacità di fare moda e creare valore attraverso più generazioni di collaboratori; Manchester United e Juventus restano grandi pur cambiando i giocatori. Trasparenza. La capacità dell’impresa di sostenere i propri vantaggi competitivi dipende dalla velocità con cui i rivali possono imitarne le strategie. Per farlo, i concorrenti devono risolvere due problemi: anzitutto individuare i vantaggi competitivi che danno il successo all’impresa e, secondariamente, riuscire a imitare la strategia vincente. I rivali sono in grado di acquisire le risorse e le capacità necessarie per imitare una strategia di successo? Il tempo di imitazione dipende dalla capacità dei concorrenti di capire in che modo le risorse e le capacità danno il successo all’impresa. Se le capacità comportano un sistema vario e complesso di risorse, anziché una risorsa unica e «visibile», per i rivali sarà più difficile definire le loro strategie di attacco. The Body Shop, per esempio, è stata vittima di una strategia imitativa quando i suoi vantaggi competitivi divennero facili da individuare e riprodurre. Trasferibilità. L’imitazione comporta il reperimento delle risorse e lo sviluppo delle capacità necessarie per sostenere la sfida competitiva. La prima fonte di risorse e di capacità è verosimilmente il mercato di questi input: se l’impresa può acquisire le risorse necessarie per imitare il vantaggio competitivo di un rivale che ha avuto successo, tale vantaggio avrà breve durata. Molte risorse e capacità, tuttavia, non sono facilmente trasferibili. Figura 8.6 Quattro requisiti per sostenere i vantaggi competitivi Vantaggi competitivi Durabilità Trasparenza Trasferibilità Riproducibilità Le fonti dei vantaggi competitivi 197 Figura 8.7 Gli elementi che agiscono sul vantaggio competitivo Efficienza superiore Vantaggio competitivo Capacità superiore di innovare Fonte: elaborazione da C. Hill, G. Jones, Strategic Management, Hughton Mifflin, New York, 1998. • Bassi costi • Differenziazione Qualità superiore Capacità superiore di rispondere al cliente Come può un’impresa raggiungere efficienza superiore a quella dei rivali? Le soluzioni sono numerose: • • • • • • • • • • realizzando economie di scala e sfruttando curve di esperienza; adottando tecnologie flessibili di produzione; riducendo il tasso di prodotti difettosi per realizzare zero defect; introducendo il just-in-time; innovando e progettando prodotti e servizi che siano facili da produrre (R&S); aumentando la produttività delle risorse umane attraverso la formazione; dando maggior potere a chi affronta i problemi pratici (empowerment); legando le remunerazioni alle prestazioni; dando efficienza all’intera organizzazione attraverso una leadership forte; costruendo una struttura organizzativa che faciliti il coordinamento delle varie funzioni verso il conseguimento degli obiettivi di efficienza. Figura 8.8 L’impatto della qualità sui profitti Aumenta l’affidabilità Prezzi più alti La qualità migliora Profitti più alti Aumenta la produttività Costi più bassi Sostenere i vantaggi competitivi in un ambiente dinamico 207 Figura 9.1 I fattori che sostengono nel tempo i vantaggi competitivi Sostenibilità nel tempo dei vantaggi competitivi Barriere all’imitazione Capacità dei concorrenti Dinamismo del settore • il cambiamento verso un nuovo modello del business; • il pericolo rappresentato da concorrenti che (dotati di riserve e capaci di cogliere l’innovazione) provengono da altri settori; • l’errore di continuare a fare le cose che sono state fatte in passato ignorando il cambiamento e senza considerare le reazioni dei rivali. Alcuni vantaggi sono transitori perché possono essere facilmente e rapidamente imitati: è il caso, per esempio, delle politiche di comunicazione e dei prezzi e anche dei vantaggi derivanti dall’innovazione in certi prodotti e processi produttivi, difficili da proteggere a lungo. La persistenza, la durata di un vantaggio competitivo dipende almeno da tre fattori: le barriere all’imitazione, le capacità dei concorrenti e la dinamica del settore. Alzare barriere all’imitazione Le barriere all’imitazione sono rappresentate da ciò che rende difficile per un concorrente imitare le risorse e le capacità dell’impresa. Poiché il vantaggio competitivo si traduce nella capacità di applicare prezzi più alti o sostenere costi più bassi e quindi conseguire profitti maggiori, i concorrenti tendono a imitarlo. L’imitazione è ostacolata dall’esistenza di barriere, ma è difficile evitare che un vantaggio competitivo venga imitato. Il problema principale è il tempo di imitazione: quanto più è lungo, tanto maggiori sono le possibilità per l’impresa innovatrice di costruire solide posizioni di mercato, consolidare i rapporti con i distributori, costruire immagine di marca; in sostanza, alzare barriere alla risposta dei concorrenti. I profitti accumulati possono essere investiti in ulteriori innovazioni e consolidare ulteriormente la posizione. Imitare le risorse. I vantaggi basati su risorse tangibili sono i più facili da imitare. Per esempio, la localizzazione geografica è raramente esclusiva e si possono perdere rapidamente anche i vantaggi rappresentati da impianti più efficienti, perché macchinari, attrezzature e impianti possono essere acquistati nel mercato anche dai rivali. Più difficile è imitare le risorse intangibili; prima fra tutte l’immagine di marca. Nei fast food, per esempio, McDonald’s è sinonimo di buon rapporto prezzo/valore; Nestlé, Coca-Cola e altre marche con reputazione internazionale signi- 212 I vantaggi competitivi Figura 9.2 I vari fattori che possono indebolire i vantaggi competitivi Erosione dei vantaggi competitivi Cambiano le regole Nuovi concorrenti da un mercato vicino Inerzia (paradosso di Icaro) Ignorare il cambiamento Non considerare la reazione dei rivali Cambiano le regole La deregulation o la strategia aggressiva di un’impresa possono cambiare le regole della concorrenza alle quali i manager sono abituati e possono creare nuovi vantaggi competitivi per le imprese che sanno individuarli e sfruttarli. È un fenomeno noto con il termine sostituzione, intendendo con ciò il rimpiazzo di un vecchio modello di business con un modello nuovo. Si tratta di una teoria nota anche come value migration, o migrazione di valore da un modello a un altro; o come disruptive technologies, tecnologie che distruggono o stravolgono le strutture della competizione preesistenti; e cambiamenti della struttura competitiva (Slywovsky, 1996). In genere, la minaccia della sostituzione nasce in una nicchia piccola, con redditività bassa o negativa (Christensen, 1997). In una prima fase la nuova impresa non rappresenta una minaccia per le imprese già presenti nel mercato, poiché offre prestazioni inferiori. Ma per rispondere al nuovo entrato le imprese dovrebbero disporre di capacità che non hanno e che non possono acquisire nel breve periodo, anche perché non è chiaro verso quale modello stia evolvendo il settore. Delta, American e United: strategie vulnerabili Le tre grandi compagnie aeree americane hanno protetto per molto tempo le loro quote di mercato attraverso il controllo degli hub-andspokes e gli investimenti nei sistemi di prenotazione CRS (Computer Reservation Systems). I voli in partenza da varie località degli Stati Uniti vengono fatti confluire su un unico aeroporto (hub) dal quale si irradiano voli per altre località (spoke = raggio). Il vantaggio per il passeggero è di poter raggiungere molte località con un unico scalo, mentre la compagnia aumenta la capacità operativa utilizzata (rispetto a tanti singoli collegamenti diretti da aeroporto ad aeroporto). Il controllo dei sistemi di prenotazione ha dato poi alle compagnie un vantaggio nei rapporti con le agenzie di viaggio e gli altri intermediari, nonché con i passeggeri che prenotano direttamente. Con i programmi frequent flyers (premi legati alla frequenza e alla lunghezza dei voli con la stessa compagnia o compagnie collegate) è inoltre aumentata la fedeltà dei clienti. Tutto questo ha però costi elevati, dovuti alla gestione degli hub e alla struttura rigida delle rotte. La strategia si è dimostrata vulnerabile all’offerta di rivali come Southwest Airlines: prezzi bassi, servizi no-frills (di base, senza opzioni particolari) e collegamenti point-to-point con voli diretti non stop tra città di piccole e medie dimensioni, buona qualità del servizio. Una formula che ha strappato quote rilevanti del mercato. Sostenere i vantaggi competitivi in un ambiente dinamico 217 di profitto. Le minacce maggiori provengono da cambiamenti nell’ambiente economico e sociale (calo della domanda), dalla deregulation e da nuove tecnologie. • Risorse con ciclo standard (Standard cycle). Le imprese che fanno parte di questo gruppo debbono affrontare una forte concorrenza da parte di pochi rivali che adottano le stesse strategie, basate sull’intensità del capitale investito o sul marketing di massa. Poiché fondano le loro strategie sui grandi volumi, queste aziende hanno processi standardizzati e devono coordinare attività distribuite in più organizzazioni (stabilimenti di produzione, punti vendita), operano in aree di mercato circoscritte. • Risorse con ciclo rapido (Fast cycle). Un terzo gruppo di imprese opera in mercati in cui il ciclo di vita del prodotto è breve, i margini di profitto sono rapidamente ridotti dalla concorrenza ed esiste una sorta di moto perpetuo dell’innovazione e quindi dell’obsolescenza, causato dall’introduzione di nuovi prodotti. I vantaggi derivano da innovazioni idea-driven, quindi basate su un concetto o su una tecnologia che molti possono adottare, o su un’idea nuova di prodotto o di servizio facile da imitare. Le risorse e le capacità di un’organizzazione possono essere imitate da un’impresa rivale in varia misura. Volendo rappresentare questa ipotesi graficamente (Fig. 9.3), su un asse possiamo graduare la sostenibilità di un dato livello di risorse fissando i due estremi: livello alto (risorse difficili da imitare) e livello basso (risorse facili da imitare). A un estremo stanno le risorse con ciclo lento, da cui derivano vantaggi competitivi difendibili a lungo in quanto le risorse sono protette da brevetti, particolari localizzazioni geografiche, forti immagini di marca. Williams porta come esempio il rasoio Sensor, di Gillette, la cui immagine è stata costruita con rilevanti investimenti, difficili da imitare in un arco di tempo breve. All’estremo opposto si trovano le risorse con ciclo rapido, assai vulnerabili alle imitazioni in quanto basate su concetti, idee o tecnologie che possono essere facil- Figura 9.3 Vulnerabilità dei vantaggi competitivi Fonte: adattato da J.R. Williams «How Sustainable is Your Competitive Advantage?» California Management Review, primavera 1992, p. 33; e da G. Day, D. Reibstein, Wharton on Dynamic Competitive Strategy, Wiley, New York, 1977. Erosione lenta Erosione forte Livello alto di sostenibilità (difficile da imitare) Risorse con ciclo lento Livello basso di sostenibilità (facile da imitare) Risorse con ciclo standard Risorse con ciclo rapido • Posizioni fortemente protette da brevetti, forte immagine di marca • Standard di produzione di massa • Economie di scala • Processi produttivi complessi • Basate su un concetto, un’idea (idea-driven) Es.: Gillette, con il rasoio Sensor Es.: Chrysler, con il MiniVan Es.: Sony, con il Walkman Sostenere i vantaggi competitivi in un ambiente dinamico 219 Persino Southwest, che veniva da 32 trimestri consecutivi di utili, era immune da questa tendenza. I costi del lavoro in percentuale dei ricavi erano al 37, contro il 25 per cento di United Airlines, Northwest e UsAirways. La reputazione di Southwest di tenere bassi i costi medi era però intatta (si veda il caso Southwest cap. 15). 9.3 Come sostenere a lungo un vantaggio competitivo Per ridurre il rischio di cadere nelle «trappole» che possono indebolire il proprio vantaggio competitivo, un’impresa deve intraprendere alcune azioni: 1) prestare costante attenzione agli elementi fondamentali di ogni vantaggio (efficienza, qualità, innovazione e capacità di risposta alle esigenze del cliente); 2) individuare e adottare rapidamente i migliori metodi di gestione del settore; 3) rimuovere l’inerzia; 4) creare barriere all’imitazione; 5) minacciare rappresaglie; 6) difendere i modelli di business dalla sostituzione. Costante attenzione Il primo requisito per sostenere a lungo un vantaggio competitivo è migliorare costantemente gli elementi fondamentali: efficienza, qualità, innovazione e capacità di risposta alle esigenze del cliente. Sebbene sia difficile scrutare il futuro e individuare tendenze latenti, prestare attenzione costante all’ambiente generale e a quello competitivo in particolare aumenta la capacità e la tempestività di risposta. Confidare sulle scelte del passato prese in un contesto che molto probabilmente è cambiato può essere rischioso, perché possono essere sorte nuove minacce, ma anche perché si rischia di perdere opportunità. Figura 9.4 Azioni tese a mantenere un vantaggio competitivo Come sostenere a lungo un vantaggio competitivo Costante attenzione I metodi migliori Vincere l’inerzia Difese contro l’imitazione Minaccia di rappresaglie Difesa contro la sostituzione I metodi migliori Misurarsi rispetto alle imprese migliori e acquisire i loro metodi è un passaggio insostituibile per mantenere a lungo un vantaggio competitivo. Poche imprese possono vantare la leadership costante nei metodi di gestione e il modo più efficace per rinno- 224 I vantaggi competitivi Figura 9.5 La teoria della contendibilità e gli effetti sulla competizione Tendenze della politica Regulation Deregulation Fonte: Tratto da G. Day, D. Reibstein, Wharton on Dynamic Competitive Strategy, Wiley, New York, 1997. Mercati/settori Intero settore Effetti sulla competizione L’autorità fissa prezzi, entrata, servizi minimi obbligatori Mercati/attività contendibili Prezzi, qualità e servizi sono fissati dalla competizione Mercati/attività in monopolio Prezzi, qualità, servizi minimi obbligatori sono stabiliti da contratti. L’autorità fissa le norme e le condizioni di accesso al mercato 9.5 Ipercompetizione e vantaggi competitivi Dalla recessione dei primi anni Novanta sono emerse imprese molto aggressive, capaci di affrontare i rivali con vantaggi competitivi assai diversi (dai costi bassi al time-to-market, dal lean management al Total Quality Management) e le loro strategie hanno causato in molti settori una rapida erosione dei vantaggi competitivi tradizionali. Questa «nuova febbre» della competizione ha dato un nuovo impulso agli studi sulla formazione delle strategie. Secondo D’Aveni (1995) il management e i ricercatori stanno scoprendo che i modelli esistenti di strategia sono ormai quasi obsoleti sotto la pressione della concorrenza sempre più intensa e la sua tesi può essere così riassunta: • le fonti tradizionali dei vantaggi competitivi non resistono a lungo nell’economia contemporanea. I vantaggi tramontano molto rapidamente e vengono spesso distrutti dalle stesse imprese che per prime li hanno costruiti, per sostituirli con altri totalmente nuovi; • la competizione è sempre esistita e le differenze rispetto al passato sono l’aggressività e la rapidità di erosione dei vantaggi competitivi da parte degli attaccanti. In passato il ciclo di vita dei prodotti e dei settori era più lungo; • pochi settori sono esenti da questa nuova febbre dell’ipercompetizione. Anche marche prestigiose protette a lungo dalla notorietà sono state scosse dalla nuova concorrenza sul prezzo e sulla qualità; così come poste e telecomunicazioni, un tempo monopolio incontrastato di organizzazioni pubbliche, sono ora sotto gli attacchi concentrici di imprese di vari settori; • l’ipercompetizione non è limitata all’high-tech: è ormai diffusa in molti settori, dall’alimentare ai servizi finanziari. Sostenere i vantaggi competitivi in un ambiente dinamico 229 Tre principi L’ipercompetizione è in sostanza la negazione dei modelli statici. Con quest’ultima espressione D’Aveni bolla le strategie di molte aziende negli anni Novanta. In un ambiente che cambia lentamente, il vantaggio competitivo sostenibile a lungo è il principale obiettivo. Nell’ipercompetizione, invece, il cambiamento è rapido: l’obiettivo è distruggere i vantaggi competitivi esistenti e crearne continuamente di nuovi battendo sul tempo i concorrenti. Questa visione dinamica è basata su tre principi: 1) ogni strategia deve incorporare le risposte dei concorrenti a un’azione dell’impresa che attacca. L’analogia è con i giochi di squadra, nei quali i giocatori devono reagire alle mosse degli avversari in una rapida serie di mosse e contromosse; Figura 9.6 Ipercompetizione e vantaggi competitivi Redditività economica Tempo Sviluppo del vantaggio Difesa del vantaggio Erosione del vantaggio Redditività economica Fonte: R.A. D’Aveni, Hypercompetition: Managing the Dynamics of Strategy Maneuvering, Free Press, Boston, 1994 (trad. it. Ipercompetizione, Il Sole 24 Ore, Milano, 1995). Vantaggio n. 1 Vantaggio n. 2 Vantaggio n. 3 Vantaggio n. 4 Tempo Il grafico in alto illustra la dinamica del vantaggio competitivo: la redditività aumenta con lo sviluppo del vantaggio e smette di crescere quando il vantaggio è sostenibile; successivamente crolla quando il vantaggio soccombe all’erosione. D’Aveni sostiene che in molti mercati il periodo di tempo in cui il vantaggio è sostenibile stia riducendosi drasticamente. In simili condizioni l’impresa può mantenere la redditività soltanto se sviluppa continuamente nuovi vantaggi competitivi (grafico in basso). Le strategie corporate in un‘impresa single-business 239 Figura 10.2 Strategia corporate in un’impresa multibusiness Responsabilità a livello di corporate Corporate Strategy Azioni a due vie Responsabilità di management a livello di business unit Business Strategy Azioni a due vie Responsabili delle principali funzioni all’interno della singola business unit Strategie funzionali (R&S, produzione, marketing, finanza, risorse umane ecc.) Azioni a due vie Responsabilità di gestione di singole unità operative Strategie operative (aree geografiche, impianti, department all‘interno di aree funzionali) di un’impresa diversificata – e strategia di una single-business unit (SBU) o strategia competitiva. Dunque, la distinzione tra organizzazione single-business e organizzazione multibusiness è importante perché agisce sulla scelta delle strategie, su come vengono realizzate e gestite. Se l’impresa si identifica in una sola business unit, adotta strategie competitive, con cui la business unit stessa affronta il proprio ambiente concorrenziale (Fig. 10.2); se invece è composta da più business unit si parla di strategia corporate in un’impresa multibusiness (Fig. 10.3), strategia che riguarda l’insieme di più SBU, che possono anche non coincidere con imprese giuridicamente distinte, ma sono legate da vincoli di capitale e sotto un governo unitario. La strategia corporate consiste quindi nel decidere in quali business il gruppo debba essere presente, e come l’intera attività debba essere organizzata e gestita. Iveco, per esempio, è articolata in quattro business unit: veicoli leggeri, veicoli medi, veicoli pesanti e motori, e ciascuna SBU ha una propria strategia competitiva, propri concorrenti, tecnologie e risorse. La strategia corporate di Iveco consiste nelle scelte che riguardano l’insieme delle quattro SBU. La strategia a livello corporate – sia in un’impresa single-business sia in un’impresa multibusiness – risponde ai seguenti interrogativi. • Dobbiamo allargare il raggio d’azione ed entrare in nuovi business, oppure dobbiamo ridurlo, o mantenerlo allo stato attuale? • Se decidiamo di allargare il raggio d’azione, dobbiamo concentrare le nostre attività nei settori in cui siamo già presenti o dobbiamo entrare in altri settori (diversificare)? 240 Le strategie corporate Figura 10.3 Strategia corporate di un’impresa singlebusiness Responsabilità di management a livello di business unit Corporate Strategy Azioni a due vie Responsabili delle principali funzioni all’interno della singola business unit Strategie funzionali (R&S, produzione, marketing, finanza, risorse umane ecc.) Azioni a due vie Responsabili di impianti e altre unità operative Strategie operative (aree geografiche, impianti, department all‘interno di aree funzionali) • Se la scelta è per lo sviluppo e per l’espansione in nuovi settori, dobbiamo farlo per linee interne oppure attraverso acquisizioni, fusioni, joint venture, alleanze o altre forme? • In quali business dobbiamo entrare per rendere massima la redditività nel lungo periodo? • Quali strategie dobbiamo adottare per entrare in un nuovo business o per uscire da un business che non ci interessa più? Le risposte possibili configurano diverse opzioni strategiche. Nel nostro percorso d’analisi, cominciamo con l’esame delle alternative a disposizione di un’impresa single-business. 10.2 Un ventaglio di opzioni strategiche La maggior parte delle imprese comincia la propria attività in un solo settore e in un solo business, ma se raggiungono grandi dimensioni è raro che non abbiano in qualche misura diversificato, verso valle nella distribuzione e/o verso monte nelle forniture. Tuttavia, esistono grandi imprese che continuano a operare principalmente in un solo settore (pensiamo a Ferrero o a McDonald’s). La presenza in un solo settore comporta il vantaggio della specializzazione, che può tradursi in una migliore offerta di prodotti e servizi e in maggiore efficienza operativa. Esiste però il rovescio della medaglia: concentrare le risorse in un unico settore può aumentare la vulnerabilità dell’impresa all’andamento del ciclo economico. Se per esempio l’attrattività del settore declina, perché la domanda cala o la concorrenza diventa più intensa, le performance peggiorano rapidamente. Questi svantaggi possono essere superati attraverso la diversificazione, entrando cioè in più settori, ma il successo non è garantito: l’esperienza di Daimler-Benz (che vedremo nel capitolo 12) insegna che così facendo si può distruggere valore anziché crearlo. Le strategie corporate in un‘impresa single-business 241 Per poter sfruttare le opportunità che si presentano in altri settori, l’impresa può adottare una diversificazione correlata, entrando in business complementari o simili a quelli in cui opera, o una diversificazione non correlata, spingendosi in settori che non hanno analogie o complementarietà. In definitiva l’impresa può competere in uno o più business e, in questo secondo caso, in business correlati o non correlati. Supponiamo che operi unicamente in un settore. Attraverso l’analisi SWOT individua da un lato i fattori esterni – opportunità e minacce – che definiscono l’attrattività del settore, dall’altro i fattori interni – forze e debolezze – che definiscono la propria posizione competitiva. Dalla combinazione di questi due elementi emergono varie opzioni per le strategie corporate (Fig. 10.4). Hunger, Flynn e Wheelen (1990) hanno proposto una matrice che può essere usata come modello per individuare le varie opzioni. Non sono evidentemente le sole, ma sono le principali. Occorre ancora una volta ricordare che i confini tra settori sono spesso incerti, labili, mentre l’analisi di attrattività parte dal presupposto che i confini siano chiari e stabili. La «porosità» dei confini tra settori tradizionali è infatti ampiamente dimostrata e un’interpretazione tratta dai principi della biologia e dalla loro applicabilità all’economia d’impresa è discussa in Moore (1996). Come mostra lo schema in Figura 10.4, la dimensione orizzontale della matrice indica la posizione competitiva del business nei confronti dei rivali (posizione che può essere forte, media e debole), mentre l’attrattività del settore (alta, media o bassa) è la dimensione verticale. Le 9 celle individuano altrettante strategie, riconducibili a tre categorie. Figura 10.4 Strategie corporate: il modello attrattività del settore/ posizione competitiva Forte Attrattività del settore Fonte: J.D. Hunger, E.J. Flynn, T.L. Wheelen (1990), «Contingency Corporate Strategy: A Proposed Typology with Research Propositions», Academy Management, aprile; T. Wheelen, D. Hunger (1995), Strategic Management and Business Policy, Addison Wesley, New York. Posizione competitiva dei business Forte Media 1 Sviluppo Concentrazione attraverso l’integrazione verticale 2 Sviluppo Concentrazione attraverso l’integrazione orizzontale 3 Contrazione Turnaround 4 Stabilità Attesa da buona posizone 5 Stabilità Attesa da posizione debole 6 Contrazione Impresa in posizione captive o disinvestimento Media Debole Sviluppo Concentrazione attraverso l’integrazione orizzontale 7 Sviluppo Diversificazione concentrica 8 Sviluppo Diversificazione conglomerata Debole 9 Contrazione Fallimento o liquidazione 242 Le strategie corporate – strategie di sviluppo, che comprendono sia la concentrazione all’interno del settore in cui l’impresa opera (celle 1, 2 e 5) sia la diversificazione attraverso la quale lo sviluppo è generato al di fuori del settore (celle 7 e 8); – strategie di stabilità (celle 4 e 5), che indicano come l’impresa possa perseguire la mission e gli obiettivi attuali senza un significativo cambiamento nelle strategie; – strategie di contrazione (celle 3, 6 e 9), a indicare le vie che l’impresa può adottare per ridurre il campo di azione. In linea di principio queste strategie possono essere adottate da un’impresa singlebusiness così come da una multibusiness, in quanto le differenze riguardano il modo in cui vengono realizzate. Occorre dunque distinguere le modalità di attuazione. La concentrazione delle risorse in un settore può per esempio essere realizzata investendo parte delle risorse aziendali nella nascita e nello sviluppo di una nuova impresa in un nuovo mercato del settore (sviluppo per linee interne) oppure acquistando un’impresa che già opera nel settore o stringendo un’alleanza o ricorrendo al licensing. Analogamente, se un’impresa di produzione intende diversificare nel settore della distribuzione può acquistare un’altra impresa, oppure può stringere un’alleanza o ricorrere al franchising. È evidente che queste distinzioni semplificano la realtà, al fine di studiarla. Di fatto, se l’impresa è multibusiness può adottare più strategie simultaneamente: sviluppo per alcune business unit e contrazione per altre. Inoltre, i confini tra settori non sono sempre netti ed è spesso difficile separare la concentrazione in un settore dalla diversificazione in più settori. In ogni caso, un modello teorico è un utile strumento di analisi e di sintesi descrittiva. Ipotizziamo dunque le strategie corporate di un’impresa che operi in un solo settore e debba scegliere tra sviluppo, stabilità o contrazione. Esaminiamo le caratteristiche generali delle tre opzioni per individuare le principali strategie. Figura 10.5 Le strategie di sviluppo: le grandi scelte e i modi per realizzarle Strategia di sviluppo Concentrazione Integrazione verticale Diversificazione Integrazione orizzontale Concentrica Come realizzare lo sviluppo • • • • Acquisizioni (takeover) Fusioni e incorporazioni Alleanze Joint venture • • • • Franchising Licensing Contratti Relazioni di lungo termine Conglomerata Le strategie corporate in un‘impresa single-business 249 Si possono individuare due principali strategie generiche: 1) rinunciare allo sviluppo nel breve termine e restare in attesa, avendo una buona posizione competitiva, evitando di correre rischi con nuovi investimenti; 2) non cambiare le strategie, in attesa che sia la domanda sia il contesto competitivo assumano una configurazione più chiara (propensi all’abbandono). Sono strategie in genere adottate da imprese che hanno una buona posizione in settori con attrattività media, che può dipendere da un modesto sviluppo o dal declino della domanda oppure da fattori dell’ambiente che minacciano di cambiare il quadro della competizione. Possono essere efficaci nel breve periodo, ma disastrose se protratte a lungo. Figura 10.6 Due strategie generiche di stabilità Strategie di stabilità Attesa da buona posizione Attesa da posizione debole Attesa da buona posizione Se l’impresa ha una buona posizione competitiva, ma il settore è entrato in una fase di stagnazione e la sua attrattività è modesta anche perché l’ambiente è molto turbolento, secondo Wheelen e Hunger l’impresa ha due possibilità: – pausa: l’impresa non rinuncia allo sviluppo, ma preferisce attendere e investire al proprio interno, migliorando l’organizzazione, riducendo i costi fissi e aumentando l’efficienza dei processi di gestione. Questa strategia è periodicamente la regola nei settori in cui la domanda segue lunghe onde cicliche: edilizia, veicoli industriali, macchine per costruzioni, chimica di base; – procedere con cautela: indica una situazione in cui l’ambiente competitivo e la domanda possono rapidamente cambiare. Se si presume che possano in breve tempo emergere o buone opportunità o forti minacce, l’impresa non prende rischi e attende che l’incertezza diradi. L’espressione «procedere con cautela» indica una strategia in risposta a un ambiente fortemente competitivo e intensamente dinamico. L’ambiente potrebbe in breve tempo muovere verso lo sviluppo o verso la contrazione. Nel corso del 2000, in pochi mesi l’indice dei titoli tecnologici Nasdaq perse un terzo del proprio valore. Gli investitori valutavano negativamente la prolungata mancanza o la modestia dei profitti di molte imprese del settore. Di fronte a questo crollo, molti piani di sviluppo delle imprese che fornivano attrezzature e impianti alla new economy furono temporaneamente accantonati. Le strategie corporate in un‘impresa single-business 251 La contrazione può essere una strategia di breve termine, destinata a essere rapidamente abbandonata, oppure anche una scelta di lungo periodo. Questo avviene soprattutto quando l’impresa in difficoltà, dopo aver constatato la perdita di competitività, decide di concentrarsi su pochi clienti o su aree geografiche limitate. In pratica il corporate rinuncia a fare nuovi investimenti, ma non intende nemmeno abbandonare completamente il settore o il segmento prodotto/mercato. Riduce la presenza del gruppo o della business unit per concentrarla nei segmenti (o nei settori) che danno i margini di utile più alti o che presentano le migliori possibilità di sviluppo futuro. Figura 10.7 Tre strategie generiche di contrazione Strategie di contrazione Turnaround Captive o cessione Abbandonare (fallimento o liquidazione) Turnaround È la strategia indicata per una situazione in cui il settore ha buona o forte attrattività e l’impresa ha perso capacità competitiva, ma valuta di poterla recuperare. Con Robbins e Pearce (1992) possiamo distinguere due stadi del turnaround che in parte si sovrappongono: ritirata (retrenchment) e recupero. Questa distinzione sarà ripresa al capitolo 18. Ritirata (retrenchment). È la fase iniziale del turnaround e mira a fermare il declino, a stabilizzare la situazione. Consiste principalmente nel ridurre i costi e le attività (di bilancio), quindi gli investimenti, in rapporto ai ricavi. Ha in genere un orizzonte di breve termine e agisce per lo più sulle strategie funzionali. Le strategie competitive non cambiano. È una sorta di versione ridotta di quanto avveniva prima, ma con maggiore attenzione all’efficienza. La ritirata di Levi Strauss Per diversi anni l’azienda americana ha cercato di frenare il calo della domanda dei jeans Levi’s. L’immagine tra i baby-boomer (i nati tra il 1945 e il 1965) restava alta, ma l’impresa non era riuscita a rispondere alle nuove mode amate dai giovani. Inoltre, alcune tendenze avevano penalizzato Levi Strauss: aumento della domanda di prodotti non-denim, il successo delle marche dei dettaglianti (private- label), lo spostamento del potere d’acquisto dall’abbigliamento ad altri consumi e il calo della popolazione giovane in Europa (meno 5 per cento entro il 2005). Nel 1997 Levi Strauss chiuse 11 stabilimenti negli Stati Uniti (6400 dipendenti persero il lavoro) e altri 4 l’anno successivo in Europa (2500 posti di lavoro). 260 Le strategie corporate Figura 11.1 Esempi di integrazione verticale Materie prime Materie prime Componenti meccanici ed elettronici Produzione di microchip Elettrodomestici Assemblaggio di personal computer Catene di negozi di vendita elettrodomestici Catene di vendita di personal computer Nota: Integrazione a monte e integrazione a valle sono relative allo stadio preso in esame. Se un’impresa di elettrodomestici acquista un’impresa fornitrice di componenti meccanici (utilizzati nel montaggio degli elettrodomestici) fa un’integrazione a monte. Se acquista invece un’impresa che distribuisce elettrodomestici fa una integrazione a valle. imprese. Questo problema è noto come «make-or-buy». La soluzione è nello stabilire quali benefici e quali costi comporti il ricorso al mercato. Le imprese esterne sono spesso in grado di realizzare economie di scala nella produzione di un componente o di un servizio che sono fuori dalla portata di un’impresa che decida di produrli al proprio interno. Ricorrere a imprese esterne presenta anche altri vantaggi. Mentre la catena verticale all’interno di un’impresa può nascondere inefficienze di alcune attività in quanto la valutazione è fatta nel complesso di tutte le produzioni, le attività svolte dalle imprese esterne sono sottoposte alla competizione. Ciò incoraggia l’innovazione e l’efficienza. Il ricorso a imprese esterne presenta però problemi di coordinamento che danno luogo a costi elevati quando la compatibilità tra componenti e servizi acquistati è un fattore critico (occorre la massima precisione nei tempi, nelle qualità e nelle specifiche). L’argomento ha avuto di recente un nuovo sviluppo con la diffusione dell’outsourcing (trattato oltre par. 11.2). Catena verticale. In alternativa al make-or-buy, l’impresa può valutare la convenienza a svolgere direttamente una data attività situata a monte o a valle oppure acquistare un’impresa che già le realizza. I vantaggi o gli svantaggi dell’una o dell’altra soluzione possono essere ricondotti a un confronto tra l’efficienza tecnica e il costo del coordinamento. L’efficienza tecnica ha varie interpretazioni e, secondo la più ampia, emerge quando l’impresa realizza attraverso l’integrazione verticale un processo produttivo a costi più bassi. Il costo del coordinamento riguarda invece i maggiori costi di produ- Integrazione verticale e integrazione orizzontale 265 Figura 11.2 Vantaggi e svantaggi della integrazione verticale Fonte: K.R. Harrigan, «Formulating Vertical Integration Strategies» Academy of Management Review, ottobre 1984, p. 639. Vantaggi Svantaggi Vantaggi interni Costi • L’integrazione abbassa i costi eliminando i passaggi intermedi, riduce le sovrapposizioni di costi fissi e riduce i costi di accesso alla tecnologia. • La maggiore efficacia del coordinamento tra attività di produzione riduce le scorte e altri costi. • Si riducono i tempi di molte attività, come la contrattazione dei prezzi, la comunicazione delle specifiche (ai fornitori) e la negoziazione dei contratti. • Il coordinamento dell’integrazione verticale comporta maggiori costi fissi. • Aumenta la capacità produttiva in eccesso (somma tra le varie fasi). • Se l’integrazione verticale non è organizzata in modo efficace, non emergono sinergie che compensino i costi di coordinamento. Vantaggi competitivi Vulnerabilità dei vantaggi competitivi • L’integrazione evita che le politiche dei fornitori (circa i volumi, i tempi, le prestazioni) possano condizionare la politica generale dell’impresa. • Migliora la ricerca delle opportunità offerte dal mercato e dalle tecnologie. • Aumentano le opportunità di differenziare i prodotti (aumenta il valore aggiunto). • Vi è maggiore capacità di controllo dell’ambiente competitivo (potere di mercato). • Si crea maggiore credibilità per i nuovi prodotti. • Coordinando verticalmente le attività si possono creare sinergie. • Si perpetuano i processi obsoleti. • Si creano barriere alla mobilità (in uscita da un business). • L’impresa è legata a più business, alcuni dei quali potrebbero entrare in crisi (lungo la catena verticale). • Si perde l’accesso alle informazioni ottenibili dai fornitori e dai distributori. • I manager possono sopravvalutare i vantaggi dell’integrazione, in particolare le sinergie attese. Tramonto di una strategia Fino agli anni Settanta nelle economie europee chiuse allo scambio internazionale era la regola che una grande impresa mirasse a controllare sia le fonti di approvvigionamento di materie prime e di componenti sia in tutto o in parte i canali della distribuzione. L’integrazione verticale dava i vantaggi della stabilità nella programmazione dei volumi di attività nei vari stadi e aumentava il potere di negoziazione verso l’esterno. In Italia dava anche vantaggi fiscali. Ma dalla metà degli anni Settanta in poi, poche imprese realizzano l’integrazione verticale e molte l’abbandonano precipitosamente durante le fasi più acute della recessione economica di quegli anni e dei decenni successivi. La scena è cambiata: l’apertura delle frontiere spezza molte posizioni dominanti e lo sviluppo di imprese specializzate mette sul mercato componenti che hanno qualità migliori e prezzi più bassi rispetto a quelli prodotti lungo la catena verticale. L’integrazione verticale mantiene intatti i suoi principi, ma è applicata soltanto a parti della catena. È in costante competizione con l’outsourcing e con La diversificazione 281 Figura 12.1 La sequenza di decisioni che porta a diversificare Diversificare o non diversificare? Con quali vantaggi e svantaggi? Diversificazione correlata o non correlata? Come entrare in un nuovo settore/mercato? 1) Acquisizioni 2) Fusioni 3) Alleanze strategiche Come allocare le risorse tra settori. Siamo nel settore giusto? Strategie corporate in un’impresa multibusiness Le lezioni della storia Goodyear Negli anni Settanta Goodyear aveva scelto la diversificazione nel settore petrolifero. L’ha poi abbandonata e, dopo aver superato un periodo di crisi, negli anni Novanta attraverso una profonda ristrutturazione ha scelto l’integrazione orizzontale (con l’acquisto di Sumitomo). Pirelli Diversa è la storia recente di Pirelli. Negli anni Settanta era presente in vari settori: pneumatici, cavi, calzature (Superga), tabelloni elettronici degli aeroporti e delle stazioni ferroviarie (Solari), abbigliamento (K-Way). Superò la crisi innescata dall’aumento del prezzo del petrolio (1973-75) e dalla conseguente caduta della domanda di veicoli da trasporto, concentrando l’attività sui segmenti più remunerativi dei pneumatici e dei cavi e cedendo le altre attività diversificate. Il tentativo di acquisire il concorrente Continental fallì per la resistenza opposta dalla business community tedesca e la strategia di sviluppo basata sull’integrazione orizzontale si dimostrò impraticabile. L’operazione lasciò Pirelli in uno stato di debolezza. Alla fine degli anni Novanta l’impresa manteneva una buona posizione nel settore pneumatici grazie all’uso di nuove tecnologie ed era tra i leader della tecnologia di supporto a Internet. Nel 2005 ha ceduto i cavi per energia. Di fatto è diventata una holding. La diversificazione 289 Interessi del management Con la diversificazione il management può mirare allo sviluppo più per i vantaggi derivanti dal gestire un’impresa in crescita – più potere, remunerazioni più alte – che per l’interesse degli azionisti. La diversificazione può essere anche perseguita per obiettivi propri (personali) del management, e in tal caso non è orientata all’efficienza o alla creazione di valore per gli azionisti, ma a mantenere o a rafforzare la posizione dei dirigenti che decidono di adottare tale strategia. Questi aspetti sono più evidenti quando la diversificazione interessa settori non correlati. Amihud e Lev (1981) propongono un’altra ipotesi per spiegare perché i manager possano perseguire acquisizioni non correlate: la ragione è evitare di essere cacciati. Osservano che gli azionisti cominciano a pensare di sostituire il top management in particolare quando l’impresa consegue risultati inferiori a quelli generali dell’economia. Pertanto, i manager tendono a ridurre il rischio di risultati modesti e possono farlo attraverso acquisizioni non correlate. I dati statistici mostrano che i risultati di imprese molto diversificate in genere riflettono l’andamento dell’intera economia, e di conseguenza, in caso di risultati negativi, è meno probabile che gli azionisti siano portati a sostituire il management. Altri autori offrono invece conclusioni opposte: non è detto che la diversificazione non correlata risponda a obiettivi del management a svantaggio degli azionisti. Aron (1988) osserva che tale strategia può rappresentare un incentivo per il management e ridurre nel contempo il costo necessario per motivare il management stesso con schemi «pay-for-performance». Anche Donaldson e Lorsch (1983) vedono nella diversificazione un modo per alzare la remunerazione, ma sono convinti che senza una previsione di successo (creazione di valore per gli azionisti) il management non avvierebbe una tale politica. 12.3 I limiti: la diversificazione che distrugge valore Se l’obiettivo principale dell’impresa è creare valore per gli azionisti, questo diventa anche il fine ultimo della diversificazione. Ma esistono molti casi di insuccesso. Se avviene attraverso un’acquisizione, la diversificazione crea valore soltanto se le risorse investite danno risultati superiori a quelli che si otterrebbero lasciando l’impresa target indipendente. Se così non fosse, gli azionisti dell’impresa che diversifica avrebbero convenienza ad acquistare le azioni dell’impresa target (per esprimere questo concetto è comunemente usata un’espressione di Ansoff: la diversificazione crea valore soltanto se crea l’effetto 2 + 2 = 5). Figura 12.2 La diversificazione può distruggere valore Costi eccessivi Obiettivi errati Distruzione di valore Sinergie fantasma 306 Le strategie corporate Figura 13.2 Due alternative per lo sviluppo interno Sviluppo per linee interne Internal venture Le opzioni prodotto/mercato (matrice di Ansoff) Le opzioni prodotto/mercato (matrice di Ansoff) Secondo Ansoff, lo sviluppo può essere raggiunto con una maggiore penetrazione nei mercati in cui l’impresa è già presente, cercando nuovi mercati per i prodotti attuali, ideando nuovi prodotti per i mercati attuali oppure cercando sia prodotti nuovi che mercati nuovi (Fig. 13.3). Figura 13.3 La matrice di Ansoff Attuali Penetrazione di mercato Sviluppo di prodotto Sviluppo del mercato Nuovi prodotti per nuovi mercati (diversificazione) Mercati Nuovi Nuovi Prodotti Attuali Strategie di sviluppo di primo livello Strategie di sviluppo di secondo livello Penetrazione di mercato È molto simile alla strategia di stabilità, ma ha il vantaggio di concentrare le strategie sui prodotti, sulle tecnologie e sui mercati che già l’impresa conosce, riducendo in tal modo i rischi e rendendo l’impresa più «visibile» ai clienti. Inoltre, dato che le capacità di produzione, di marketing e di innovazione sono concentrate su prodotti specializzati e su segmenti ben definiti di potenziali compratori (e non diversificati), 310 Le strategie corporate • non sempre l’innovazione si traduce in successo di vendite; • si commettono errori nella gestione dell’iniziativa. Per ridurre i rischi di queste debolezze, i suggerimenti sono vari. Il successo dipende anzitutto dalla scelta del progetto e poiché è difficile prevedere la redditività futura di un’iniziativa, le imprese preferiscono avere più opzioni e decidere quando l’incertezza circa il futuro si sia diradata. I primi suggerimenti sono di carattere organizzativo: cominciare a definire quali obiettivi strategici la R&S possa contribuire a raggiungere, e fare in modo che la new venture coordini strettamente le funzioni R&S, marketing e produzione. Intel ha dato vari esempi di questa strategia: iniziò come produttore di memorie DRAM (dynamic random access memory), ma poi usò le competenze acquisite per entrare nei business dei semiconduttori e dei microprocessori. Sviluppo esterno Con queste strategie l’impresa mira a espandere la propria attività non con l’impiego di maggiori risorse in attività che già fanno parte del suo portafoglio, bensì mediante la fusione, o l’acquisizione o varie forme di alleanze con altre imprese (Fig. 13.4). I modi per diversificare, integrare in senso verticale o orizzontale, creare sviluppo, ridurre il campo di attività non possono essere valutati come se fossero isolati dal contesto. Come abbiamo già ricordato, spesso fusioni e incorporazioni e alleanze sono un modo per riscrivere la struttura di interi settori. Se due grandi imprese come per esempio Exxon e Mobil decidono la fusione, è assai probabile che ciò avvii un processo a catena destinato a cambiare la struttura della concorrenza nel settore. Figura 13.4 Sviluppo per linee esterne Sviluppo esterno Fusioni e acquisizioni Alleanze strategiche Venture capital – Licensing – Franchising 13.2 Fusioni e incorporazioni Raramente la diversificazione è fatta per linee interne, quasi sempre si ricorre a fusioni e acquisizioni o ad alleanze strategiche. Per fusione (merger) si intende l’integrazione tra due o più imprese in una sola, che potrà portare il nome di entrambe oppure un nome diverso (Fig. 13.6). In genere le fusioni avvengono tra imprese che hanno dimensioni simili e sono «amichevoli», cioè concordate tra le parti coinvolte. Con l’acquisizione (acquisition) – o incorporazione, come più spesso si definisce in Italia – un’impresa ne acquista un’altra e la integra nella propria struttura. Dopo l’acquisizione esiste soltanto un’impresa: quella che ha acquistato. Se chi compra è un gruppo, l’impresa acquistata può essere collocata al suo interno come un’entità Come entrare in nuovi settori 311 Figura 13.5 Confronto tra sviluppo per linee interne e sviluppo mediante fusioni e acquisizioni Sviluppo per linee interne Finanza • Sia il fabbisogno finanziario sia i ricavi sono distribuiti in un lungo periodo di tempo. Management • Rischio di non raggiungere la redditività programmata nei tempi previsti. • Si stima siano necessari almeno otto anni per raggiungere un ROI positivo seguendo lo sviluppo per linee interne. Un amministratore delegato o un direttore generale può non restare tanto a lungo. Alternative • Le vie alternative per realizzare la diversificazione per linee interne sono molte. Legislazione • In genere non pone limiti allo sviluppo per linee interne. Barriere • Possono essere difficili da superare. Sviluppo per linee esterne Fusioni e acquisizioni • Dà luogo a un fabbisogno finanziario elevato in breve tempo per realizzare l’acquisizione. • Occorre raggiungere rapidamente le sinergie programmate. • Il rischio di insuccesso è elevato come dimostrano le molte acquisizioni che non solo non hanno raggiunto gli obiettivi, ma hanno messo in crisi le imprese acquirenti. • Le imprese che rispondono esattamente ai requisiti richiesti per la diversificazione sono poche. • La disciplina della concorrenza può porre limiti. • La legislazione fiscale può rendere onerosa o conveniente l’acquisizione. • L’acquisizione di un’impresa già operante consente di superare facilmente diverse barriere: brevetti, tecnologie, complessità della distribuzione, fedeltà alle marche esistenti. autonoma, assieme alle altre imprese che già ne fanno parte, oppure può essere integrata in un’impresa esistente. Le acquisizioni avvengono in genere tra imprese di dimensioni diverse e possono essere «ostili» o «amichevoli». In un’acquisizione ostile l’impresa target non accetta l’operazione e spesso adotta manovre per evitarla, per esempio: 1) acquista proprie azioni; 2) cerca un partner disposto a un’acquisizione amichevole (white knight); 3) contrae forti debiti a lungo termine che andranno rimborsati in caso di acquisizione (cosiddette «pillole al cianuro»); 4) invoca un intervento delle autorità antitrust; 5) prolunga il mandato del Consiglio di amministrazione; 6) attribuisce agli attuali azionisti il diritto di acquistare azioni a un prezzo sensibilmente più basso rispetto alla quotazione di borsa (cosiddette «pillole avvelenate»). 312 Le strategie corporate Figura 13.6 Nomi vecchi e nuovi dopo le fusioni Fusioni tra grandi imprese danno vita a nuove imprese, il cui nome a volte incorpora quelli di entrambi i partner, a volte abbandona uno dei due, altre volte crea un nome nuovo. Entrambi i partner America Online Exxon Chrysler BP WorldCom + + + + + Time Warner Mobil Daimler-Benz Amoco MCI Communications = = = = = AOL Time Warner Exxon-Mobil Daimler-Chrysler BP Amoco MCI WorldCom + + + + + + + Netscape Communications CBS TeleCommunications Inc. Nynex Chemical Banking Capital Cities/ABC Turner Broadcasting = = = = = = = America Online Viacom AT&T Bell Atlantic Chase Manhattan Walt Disney Time Warner Un partner solo America Online Viacom AT&T Bell Atlantic Chase Manhattan Walt Disney Time Warner Qualcosa di nuovo Citicorp + Travelers Group = Citigroup Perché decidere una fusione o un’acquisizione? Sono vari i motivi che spingono le imprese verso una fusione o verso l’incorporazione di un’altra impresa. I più frequenti sono: il superamento di barriere all’entrata in un settore; l’acquisizione di una quota di mercato; l’azione sulla concorrenza per il controllo del mercato; l’acquisizione di capacità di management in settori poco conosciuti; la necessità di unire le forze per sostenere aumenti di costo in attività strategiche. • Superare barriere. L’entrata in un nuovo mercato può essere ostacolata da barriere come il controllo su un fattore strategico, la disponibilità di brevetti o licenze di fabbricazione e la fedeltà dei consumatori alle marche già esistenti. L’acquisizione di un’impresa può consentire di superarle. • Acquisire quote di mercato. Comprare un’impresa significa acquisire un portafoglio di clienti, quindi una quota del mercato. Ciò accelera i tempi di entrata e significa anche escludere un concorrente. Renault, per esempio, è stato il primo costruttore straniero a entrare mercato della Corea del Sud – fino ad allora protetto – avendo acquistato Samsung Motors, la divisione autoveicoli del conglomerato Samsung Group. Con la giapponese Nissan, sempre controllata da Renault, ha rappresentato una testa di ponte per entrare nel mercato asiatico. Come entrare in nuovi settori 315 La fase preparatoria riveste molta importanza, ma raramente viene sviluppata in modo appropriato perché i tempi sono in genere molto stretti. Una ricerca di KPMG Consulting (1997) rivela che i CEO intervistati su cosa avrebbero dovuto fare meglio per dare successo alla fusione o all’incorporazione, hanno risposto «dedicare più tempo alla preparazione». La raccolta di informazioni nella forma di due diligence è indispensabile per evitare «scheletri nell’armadio». Per quanto riguarda le fasi successive dell’acquisizione, le sequenze variano da caso a caso, ma convergono tutte su due punti culminanti: la negoziazione e il piano di integrazione nel gruppo. 2) Negoziazione. Un elemento determinante riguarda il livello al quale sono condotte le trattative. Gruppi operativi specializzati, spesso con l’assistenza di consulenti esterni, valutano e preparano le fusioni e le acquisizioni nei minimi dettagli, ma perché esse possano riuscire è necessario che i passi e le trattative fondamentali siano fatti personalmente dai capi delle due imprese o comunque dai livelli più alti del management. 3) Integrazione. Un terzo elemento determinante riguarda la definizione del modo in cui l’impresa incorporata si colloca nella struttura organizzativa della incorporante e quindi nella futura configurazione. Le possibilità sono diverse poiché si va dallo smembramento totale e dalla completa integrazione nelle varie business unit della incorporante, a una struttura che lascia larga autonomia alla incorporata. In ogni caso, l’esperienza insegna che non si deve commettere l’errore di considerare i rapporti tra le due imprese come se potessero essere regolati trattando le nuove relazioni unicamente dal punto di vista della ridistribuzione dei compiti tra le vecchie e le nuove unità componenti, oppure sanciti in modo puramente formale tra le due gerarchie organizzative. Il problema principale di questa fase è stabilire quali piani di sviluppo e quali politiche organizzative debbano essere mante- Figura 13.7 Fasi di un’acquisizione: le strategie di integrazione Quale tipo di impresa comprare? Come integrarla? Fase 1 Fase 2 Struttura iniziale Integrazione di tutte le funzioni Agire sulle persone Nuovi orientamenti Preparazione strategica Fonte: The Economist Intelligence Unit, Making acquisitions work, 1990. Preparazione tattica Azioni immediate Valutazione e aggiornamenti Correzioni Disinvestimento Come entrare in nuovi settori 325 Lungo termine Transazioni Grado di coinvolgimento Permanente Figura 13.8 Le alleanze strategiche Fonte: elaborazione da V. Harbison, P. Pekar, Smart Alliances, Jossey Bass, New York, 1998. Figura 13.9 Evoluzione dei fattori che spingono verso le alleanze Fonte: adattato da V. Harbison, P. Pekar, Smart Alliances, Jossey Bass, New York, 1998. Ad esempio, Keiretsu in Giappone A L L E A N Z E Ad esempio, Anheuser-Busch Accordi annuali o pluriennali di acquisto e forniture Accordi di distribuzione Licensing Programmi di partnership nella R&S Ordini di acquisto di commodity Cooperazione nel marketing Cooperazione nella pubblicità Accordi di acquisto con finanziamento up-front Scambio di informazioni Ripartizione delle risorse Nessun legame Acquisizione ad esempio Ford-Jaguar S T R AT E G I C H E Relazioni del tipo outsourcing 5 Ad esempio, Caitex Ripartizione dei finanziamenti Partecipazioni incrociate Capitale distribuito tra i soci Proprietà dell’intero capitale Proprietà Anni Settanta Anni Ottanta Anni Novanta Le prestazioni di prodotto La posizione nel settore Le capacità e le competenze Produrre con le tecnologie più recenti Costruire la posizione nel settore Accesso alle nuove opportunità attraverso un flusso costante di innovazione Marketing oltre i confini nazionali Consolidare la posizione nel settore Anticipare i rivali per massimizzare la creazione di valore Vendite basate sulle prestazioni del prodotto Economie di scala e di scopo Ridurre i costi totali per prodotto o per segmenti di clienti Acquisire vantaggi nel rispondere a condizioni che cambiano e all’emergere di opportunità 340 Le strategie corporate Figura 14.1 La matrice sviluppo/ quota di mercato Alto Ritmo di sviluppo Star Question mark Possibili strategie del corporate Cash cow. Investe le risorse per proteggere le posizioni di mercato e le fonti di cash flow. Dog. Riduce gli investimenti al minimo; massimizza il cash flow; «miete»; abbandona. Cash cow Question mark. Investe per conquistare posizioni di mercato oppure decide di «mietere» o disinvestire per rendere minimo il drenaggio di risorse. Dog Basso Alta Bassa Quota di mercato Star. Investe per difendere le posizioni di mercato e/o investe per conquistare quote di mercato. fronta sulla base della quota di mercato relativa, che si considera come sintesi della capacità di competere e quindi della capacità di generare profitti. Si ricavano così quattro profili, cui corrispondono altrettante specifiche strategie. Star. Nel quadrante a sinistra in alto della matrice sono collocate le «stelle», le business unit con elevata quota di mercato operanti in un settore in forte sviluppo, le più ambite in un portafoglio di business unit. Hanno prospettive di elevati profitti nel lungo termine e opportunità di sviluppo per mantenere la posizione. Queste business unit devono fare rilevanti investimenti. Dato che hanno elevate quote di mercato, è verosimile che le economie di scala possano generare forte liquidità. Cash cow. Nel quadrante in basso a sinistra sono le «mucche da mungere», ossia le business unit che hanno una elevata quota di mercato in un settore con un basso ritmo di sviluppo. Proprio perché lo sviluppo è basso il fabbisogno di nuovi investimenti è modesto. La forza di queste business unit è nell’essere nella fascia bassa delle curve di esperienza (dove i costi sono più bassi). Sono leader di costo nel loro settore. Sono quindi in grado di generare liquidità e profitti (i costi di ammortamento sono bassi essendo modesto il fabbisogno di investimenti). Se lo sviluppo è basso (dato che il settore è maturo), è probabile che le posizioni tra concorrenti siano stabili. Queste business unit hanno quindi buone prospettive di mantenere elevati profitti. La stabilità delle posizioni allontana però la possibilità di sfruttare nuove opportunità, perciò liquidità e profitti possono essere destinati a sostenere le star. Question mark. Nel quadrante in alto a destra sono le business unit con bassa quota di mercato in un settore in forte sviluppo. Hanno dunque una debole posizione competitiva, ma essendo in un settore ad alto potenziale hanno opportunità di conseguire profitti nel lungo termine e partecipare alla fase espansiva. Proprio a causa del- 344 Le strategie corporate Figura 14.2 Matrice GEMcKinsey: attrattività del settore/ posizione competitiva dell’impresa Fonte: A. Thompson, A. Strickland, Strategic Management, McGraw-Hill, New York, 1998. • Quote di mercato e ritmo di sviluppo • Margini di profitto del settore • Intensità della concorrenza • Fattori stagionali e ciclici • Compatibilità tra la catena del valore del settore e le catene del valore dei business dell’impresa • Compatibilità tra le risorse necessarie per competere nel settore e le disponibilità di risorse dell’impresa • Condizioni dell’ambiente esterno (sociale, naturale, economico) • Opportunità emergenti nel settore • Minacce alla stabilità del settore • Grado di rischio e di incertezza • Quota relativa di mercato • Controllo delle competenze e delle capacità necessarie • Buoni margini di profitti a confronto con quelli dei concorrenti • Capacità di fronteggiare i rivali per caratteristiche dei prodotti e dei servizi, qualità e altre prestazioni • Posizione relativa di costo (rispetto ai concorrenti) • Disponibilità di risorse per alimentare i fattori di successo del settore • Immagine/reputazione • Capacità di negoziazione con i fornitori e/o i compratori • Elevato know-how del management Le strategie corporate in un’impresa multibusiness 347 Figura 14.3 La matrice stadi di evoluzione/ posizione competitiva Stadi di evoluzione del prodotto/mercato Lancio Sviluppo Shakeout Maturità/ Saturazione Declino Fonte: C. Hofer, D. Schendel (1978), Strategy Formulation: Analytical Concepts, West Publishing Company. Figura 14.4 Esempio di matrice risorse/mercati Forte Media Debole Posizione competitiva Risorse/capacità Nella produzione di massa Nella distribuzione Nella tecnologia Mercati Fonte: adattato da B. Wernerfelt, (1984), «A Resource-Based View of the Firm», Strategic Management Journal, pp. 171180. Semiconduttori X Elettronica di consumo X Computer X X X L’esempio in Figura 14.4 illustra come il settore dell’elettronica in Giappone abbia dapprima recuperato il ritardo nei confronti degli Stati Uniti e come abbia poi conquistato la leadership. Il Ministry of International Trade & Industry (MITI) individuò nel settore dei semiconduttori il ruolo chiave per questa strategia. Il MITI concentrò le risorse nazionali in questo settore e in quello dell’elettronica di consumo. I successi ottenuti alimentarono sia il cash flow sia le tecnologie che diedero il primato nel settore computer a NEC, Hitachi, Toshiba e Fujitsu (Itami, Roehl, 1987). Le strategie corporate in un’impresa multibusiness 349 Core competencies: l’impresa come portafoglio di risorse Un approccio simile al precedente è stato proposto da Hamel e Prahalad (1994). I due autori suggeriscono anzitutto di considerare un’impresa che sia presente in più settori non come un portafoglio di business unit, ma come un portafoglio di risorse. Propongono poi un approccio strutturato in sei fasi operative: 1) individuare le attuali core competencies dell’impresa; 2) costruire una matrice analoga a quella illustrata in Figura 14.5; 3) stabilire un piano di acquisizione delle core competencies di cui l’impresa attualmente non dispone; 4) acquisire e consolidare tali competenze; 5) dispiegare le competenze all’interno dell’impresa; 6) proteggere e rafforzare rispetto ai rivali la leadership di tali competenze. La matrice di Hamel e Prahalad distingue tra competenze esistenti nell’impresa e nuove competenze da acquisire da un lato, e prodotti o mercati esistenti e prodotti o mercati nuovi dall’altro. Ciascuna delle quattro celle sintetizza in un titolo le relative strategie. Nuove Core competencies Figura 14.5 Un piano di acquisizione delle core competencies Premier Plus 10 Quali nuove core competencies dobbiamo acquisire per costruire, proteggere ed estendere la nostra posizione competitiva nei mercati attuali? Mega opportunità Quali nuove core competencies dovremmo costruire per essere protagonisti nei migliori mercati del futuro? Riempire gli spazi vuoti Quali sono le opportunità per migliorare la nostra posizione nei mercati esistenti usando le core competencies esistenti? Spazi bianchi Quali nuovi prodotti o servizi potremmo offrire configurando in modo nuovo e creativo le core competencies di cui già disponiamo? Esistenti Esistenti Nuovi Mercati Riempire gli spazi vuoti. Il quadrante in basso a sinistra indica il portafoglio attuale di competenze e di prodotti e servizi. L’espressione «riempire gli spazi vuoti» riguarda le opportunità di migliorare la posizione competitiva dell’impresa nei mercati in cui è già presente, attingendo alle core competencies di cui già dispone. Hamel e Prahalad portano l’esempio di Canon, che riuscì a rafforzare la sua posizione nel mercato delle macchine fotografiche usando la tecnologia microelettronica che la stessa Canon aveva sviluppato nel business delle fotocopiatrici. Premier Plus 10. Il quadrante in alto a sinistra suggerisce un’altra domanda importante. Quali nuove core competencies dobbiamo costruire oggi per essere considera- Le strategie corporate in un’impresa multibusiness 351 • in che misura esiste accordo tra le strategie della SBU e le strategie e gli obiettivi del corporate (parent)? Per esempio, il corporate può avere come obiettivo primario lo sviluppo nei mercati internazionali. Fino a che punto le strategie attuali e future delle singole SBU incorporano questo obiettivo? • in che misura esiste accordo tra le esigenze e le opportunità per lo sviluppo di una SBU, e le capacità e le competenze del corporate (parent)? Per esempio, la SBU può avere come obiettivo lo sviluppo nei mercati internazionali, ma non avere tutte le capacità e competenze necessarie. Il corporate dovrebbe essere in grado di fornirle. La matrice in Figura 14.6 riassume le varie situazioni: • heartland indica una situazione in cui la parent company aggiunge valore; è il fulcro di future strategie (è la «patria»); • ballast è la collocazione delle SBU per le quali il centro può far poco: potrebbero avere successo se fossero indipendenti (è la «zavorra»); • value trap indica posizioni pericolose: al centro viene chiesto di contribuire, ma non ha le risorse; le SBU dovrebbero spostarsi in heartland; • alien identifica i casi per i quali la prospettiva è l’abbandono (è l’alieno). Il concetto di parenting ha alcuni pregi (De Kare-Silver, 1997). Anzitutto spinge a coordinare l’azione del corporate nei confronti delle varie SBU e inoltre: Figura 14.6 Il parenting mix Fonte: M. Goold, A. Cambell, M. Alexander, (1994), Corporate Level Strategy, Wiley, New York. Rapporto tra fattori di successo e risorse del corporate a) mette in primo piano il ruolo del «centro» (la parent company) nella creazione di valore e suggerisce che una strategia multibusiness non è semplicemente la somma di tante strategie di SBU; b) spinge a individuare i business o i mercati in cui l’impresa ha accumulato le maggiori competenze (la «patria»); c) le ricerche degli autori hanno confermato che poche imprese esercitano un ruolo centrale nella formulazione delle strategie; molte delegano il loro ruolo e le loro responsabilità ai manager della business unit. Alto Ballast Heartland Alien Value trap Basso Basso Alto Esigenze della SBU nei confronti del corporate e competenze del corporate 354 Le strategie corporate Figura 14.7 PIMS: i principali fattori per valutare il potenziale strategico Fonte: R. Buzzell, B. Gale, (1987), The PIMS Principles, Free Press, Boston. Forza competitiva • Quota di mercato • Quota relativa (ai primi tre del mercato) • Qualità relativa • Brevetti • Assistenza ai clienti Produzione snella • Intensità degli investimenti • Rapporto tra attività fisse e circolanti • Utilizzazione della capacità operativa • Produttività • Make-or-buy • • • • • Attrattività del mercato Ritmo di sviluppo Concentrazione Innovazione Potere di negoziazione Complessità della logistica Eccellenza delle risorse umane • Organizzazione snella • Cultura partecipativa • Incentivi • Formazione • Risorse interne Nuovi criteri di scelta Negli ultimi tempi molte imprese hanno dimostrato che è possibile aumentare il valore per gli azionisti attraverso la gestione di un portafoglio di business unit o di linee di prodotto. Nonostante questi successi, sembra che le imprese multibusiness non convincano del tutto, soprattutto negli Stati Uniti. Alla notizia che un gruppo diversificato intende acquistare una nuova impresa, spesso le azioni scendono, mentre quando la notizia è che vende, altrettanto spesso le azioni salgono. Analisti e investitori preferiscono la trasparenza. È difficile valutare un gruppo che opera in più settori con strategie diverse e che affronta concorrenti di varia forza. In parte agisce anche il ricordo (negativo) della storia dei conglomerati degli anni Sessanta e Settanta negli USA, quando tutti gli investitori avevano azioni di ITT, Textron, Gulf & Western. Piaceva il loro sviluppo aggressivo basato sull’acquisto di altre imprese, gli investitori arrivavano a pagare 20 o 30 volte i dividendi per azione e gli azionisti vedevano crescere il loro valore vertiginosamente. I conglomerati acquistavano pagando poco per cassa e molto con le proprie azioni, grazie alle quali riuscivano ad acquistare altre imprese con relativa facilità e rapidità (in un solo anno, il 1968, ITT acquistò nei soli Stati Uniti ben 20 imprese). Attirate da questi successi, molte imprese trascurarono l’efficienza interna per abbracciare la diversificazione e cominciarono ad acquistare fuori del proprio settore tutto quanto prometteva sviluppo. Ma nei primi anni Settanta l’interesse di Wall Street per i conglomerati svanì. L’idea che il management potesse gestire con successo qualunque attività fu sostituita da un’idea opposta e le nuove teorie avevano come slogan stick to their knitting, ossia «resta nei settori che conosci e smetti di comprare imprese di settori non correlati». Ma il dilemma non era risolto. I conglomerati non avevano (e non hanno) dato risultati interamente negativi. La gestione di ITT, per esempio, resta un modello. 366 Le strategie di business unit Figura 15.1 Tre tipi di strategie competitive Le strategie competitive Generiche • Costo • Differenziazione • Costo + Differenziazione • Focus Ciclo di vita del settore • Frammentazione • Embrionale • Forte sviluppo • Maturità • Declino Dinamiche • Attacco ai leader • Difesa dei leader • Ristrutturazione/ Turnaround Le situazioni che si presentano nella realtà sono numerose. Un modo per semplificare l’analisi consiste nel distinguere tre categorie (Fig. 15.1)1: 1) strategie generiche, adatte per tutti i business indipendentemente dal settore e dal fatto che le imprese siano industriali o di servizi; 2) strategie in rapporto alla fase del ciclo di vita del settore; 3) strategie in situazioni particolari, o strategie dinamiche. Mentre le prime sono oggetto di questo capitolo, le altre verranno trattate nei capitoli 16, 17, 18. 15.2 Le strategie generiche Ghemawat (1999) colloca negli anni Settanta la ripresa dei concetti che sono all’origine di queste strategie. Il forte aumento delle materie prime e la crisi di molte imprese avevano aperto le porte alle società di consulenza e ridato slancio alla ricerca accademica in materia di analisi strategica. Costo e differenziazione erano impliciti nel concetto di barriere all’entrata introdotto da Bain, mentre McKinsey adottava il business system (precursore della catena del valore) come strumento di analisi strategica. Porter (1980) e Hall (1980) furono i primi a sostenere che le imprese per avere successo devono scegliere tra competere sulla base dei costi o sulla base della differenziazione (vi abbiamo già accennato nel capitolo 8). Porter sviluppò questa distinzione e rese popolare l’espressione «generiche», sviluppando anche l’idea di «focus», una strategia che abbraccia entrambe le precedenti. Secondo questo autore, per costruire vantaggi competitivi che diano la possibilità di superare i rivali e conseguire risultati superiori alla media del business o del settore, le imprese possono scegliere fra quattro strategie competitive (che non si escludono l’una con l’altra): • leadership di costo; • differenziazione; • focus sui costi e focus sulla differenziazione. 368 Le strategie di business unit Figura 15.2 I vantaggi della cost leadership rispetto ai profitti medi Profitto per unità = prezzi – costi per unità A A Prezzo medio Y Y Costi dei concorrenti X X Costi del leader di bassi costi Profitti del leader di bassi costi: rispetto alla media Profitti dei concorrenti Vantaggi I vantaggi di questa strategia (Fig. 15.2) possono essere illustrati ricorrendo al modello delle cinque forze di Porter. Praticare costi bassi è una scelta che difende meglio dai prodotti sostitutivi e dal potere di negoziazione dei fornitori e dei clienti ed è una barriera potente all’entrata di nuovi concorrenti. Se i costi sono più bassi, il leader può praticare prezzi più bassi rispetto ai concorrenti mantenendo il loro stesso livello di profitti. In secondo luogo, se la competizione nel settore aumenta e le imprese cominciano ad affrontarsi sul prezzo, il leader sarà in grado di sostenere la competizione meglio delle altre imprese grazie ai suoi bassi costi. Avrà quindi maggiori possibilità di conquistare e difendere le quote di mercato. Disponendo di un’elevata quota di mercato, l’impresa ha un forte potere di negoziazione nei confronti dei fornitori. La strategia di bassi costi è anche una barriera nei confronti delle imprese che vorrebbero entrare, in quanto poche possono imitare questo vantaggio competitivo. Il ciclo si autoalimenta. L’aumento dei volumi di produzione fa diminuire i costi e di conseguenza, a parità di condizioni, fa aumentare i profitti dando all’impresa la capacità di fare ulteriori investimenti per lo sviluppo. Svantaggi Il principale rischio è che altri concorrenti siano in grado di produrre a costi altrettanto bassi o addirittura inferiori. Più volte il progresso ha reso obsolete tecnologie basate sui grandi volumi e ha dato gli stessi vantaggi (curve di esperienza) a imprese con volumi di produzione più bassi. Le tendenze dell’ambiente possono cambiare e le imprese che affidano la leadership di costo a localizzazioni in paesi a basso costo del lavoro corrono il rischio di fluttuazioni nei cambi, di misure protezionistiche da parte degli stati in cui vendono e che i concorrenti producano in paesi a costo del lavoro ancora più basso. È inevitabile che nei paesi in via di industrializzazione i costi del lavoro crescano. Le imprese dell’Europa Occidentale che negli ultimi anni Ottanta hanno localizzato le produzioni in Polonia e in altri paesi dell’Europa Centro-Orientale, dopo pochi anni sono state costrette a rivedere la loro politica a causa dell’inevitabile aumento del costo del lavoro. Un altro rischio è che il leader di costo concentrando risorse, capacità e attenzione su come tenere i costi bassi, perda di vista gli eventuali cambiamenti nelle attese dei potenziali compratori. Le strategie competitive generiche 371 Figura 15.3 Differenziazione delle principali catene alimentari dell’Europa Occidentale nella percezione del cliente Basso prezzo Elevata qualità Private label Aldi Marks & Spencer Migros Sainsbury’s Lidl Tesco Albert Heijn Netto Carrefour Auchan Marche del produttore Galeries Lafayette Note: 1) i prezzi tengono conto degli sconti; 2) la qualità tiene conto in particolare dei prodotti freschi. Le ricerche dimostrano che la strategia di differenziazione genera profitti più alti rispetto alla strategia di bassi costi in quanto rappresenta una barriera più difficile da superare. La strategia di cost leadership dal canto suo genera frequentemente una più ampia quota di mercato. Mentre la cost leadership è orientata principalmente alla produzione (product-driven), la strategia basata sulla differenziazione è orientata principalmente alle esigenze del compratore (market-driven). Comporta dunque una costante attenzione ai cambiamenti nelle esigenze e nelle attese dei clienti e nella capacità di rispondere in modo innovativo a tali esigenze. La differenziazione è tipica dei settori in cui i costi di marketing sono una parte significativa della catena del valore e nei quali sono rilevanti le opportunità per dare ai consumatori la percezione di diversità dei prodotti. Figura 15.4 I vantaggi della differenziazione rispetto ai profitti medi Profitto per unità = prezzi – costi per unità B Prezzo dell’impresa che differenzia A Prezzo medio Costi della impresa che differenzia Profitti della impresa che differenzia: sopra la media Z Y Costi dei concorrenti Profitti dei concorrenti 380 Le strategie di business unit Figura 15.5 Rischi delle strategie competitive generiche Fonte: adattato da M. Porter, Competitive Advantage, The Free Press, Boston, 1985. Rischi della cost leadership Rischi della differenziazione Rischi del focus La cost leadership non è sostenibile quando: • i concorrenti imitano; • le tecnologie cambiano; • altre basi della cost leadership svaniscono. La differenziazione non è sostenibile quando: • i concorrenti imitano; • le basi della differenziazione diventano meno importanti per il compratore. Il segmento scelto come target diventa meno attraente quando: • la strategia focus viene imitata; • la struttura e i confini tra segmenti si sfaldano; • la domanda cala. Per il compratore i vantaggi dati dalla differenziazione superano largamente quelli dei bassi costi*. Per il compratore i vantaggi dati dai bassi costi superano largamente quelli della differenziazione. I concorrenti che hanno scelto target più ampi entrano nel segmento: • le differenze del segmento rispetto ad altri segmenti svaniscono; • aumentano i vantaggi di offrire un’ampia gamma di prodotti. Le imprese che hanno adottato una strategia focus riescono ad abbassare ulteriormente i costi nei loro segmenti. Le imprese che hanno adottato una strategia focus riescono a differenziare ulteriormente nei loro segmenti. Nuove imprese entrano con strategie focus e frazionano ulteriormente i segmenti nel settore. * È il concetto di proximity. In una strategia basata sulla differenziazione, l’impresa deve accertarsi che i prezzi più alti da essa praticati (per la qualità più alta dei servizi) non siano troppo superiori a quelli dei concorrenti. Detto in altre parole, i clienti devono percepire che le differenze nella qualità valgono i maggiori costi (per loro). Una strategia di cost leadership non può ignorare le caratteristiche dei prodotti offerti dalle imprese che adottano una strategia basata sulla differenziazione e, inversamente, una strategia di differenziazione non può ignorare (prossimità) i prezzi praticati dalle imprese che adottano una strategia di cost leadership. In mezzo al guado Porter sostiene che, per avere successo, una business unit deve perseguire una soltanto delle strategia competitive generiche. In caso contrario corre il rischio di trovarsi «in mezzo al guado» senza vantaggi competitivi e con risultati inferiori alla media. Questa tesi è ampiamente contestata. Secondo Porter, dopo aver scelto la strategia l’impresa deve realizzarla in modo coerente. Per esempio, se la scelta è per la differenziazione ed è basata sulla capacità di innovare, è un errore cercare di ridurre le spese di R&S, perché in tal modo si perderebbe il vantaggio competitivo e le competenze distintive svanirebbero. Analogamente, se la scelta è per una strategia di bassi costi può essere un errore entrare in troppi segmenti, come fanno le imprese che scelgono la differenziazione, poiché aumentando la varietà dei prodotti aumentano i costi di produzione e quindi l’impresa perde il vantaggio dei bassi costi. Molte imprese dopo aver scelto una delle tre strategie generiche, a causa di cambiamenti nell’ambiente esterno, perdono il controllo della situazione e non fanno quanto dovrebbero fare con la strategia scelta. Ben presto si trovano a competere con altri rivali che hanno applicato strategie più attente. Sono «in mezzo al guado». Non Le strategie competitive generiche 381 hanno vantaggi competitivi in alcuna strategia. Per esempio, un’impresa che abbia scelto una strategia di nicchia, trascinata dal successo iniziale può differenziare oltre misura e disperdere le risorse in troppi campi. People Express è portata come esempio classico di un’impresa che sceglie una delle tre strategie, ma poi non alloca le risorse nel modo giusto e nella misura giusta. People Express Scelse un mercato di nicchia. Serviva il segmento del trasporto aereo a costo basso, nofrills, sulle rotte Londra-New York. Ebbe un grande successo iniziale, ma quando cercò di servire altri segmenti geografici e di potenzia- re la flotta entrò in una crisi finanziaria che la portò al fallimento. Fu acquistata da Texas Air e poi incorporata in Continental Airlines. Era entrata in un mercato per il quale non aveva vantaggi competitivi sostenibili. Anche le imprese che adottano strategie basate sulla differenziazione possono trovarsi in mezzo al guado a opera di altre imprese più specializzate o che hanno i vantaggi competitivi nei bassi costi. Varie ricerche confermano le tesi di Porter (Dess, Davis, 1984; Porter, 1980). Tuttavia, è dimostrato che il successo è andato anche a imprese che hanno adottato sia la strategia di bassi costi sia quella di differenziazione: i costruttori giapponesi Toyota, Nissan e Honda, per esempio, così come le europee BMW e Benetton. Day (1989) definisce la loro strategia playing the spread e cita il caso di Kellogg, che ha percorso la strada dei bassi costi e della vendita premium price, offrendo ai clienti i prodotti di qualità superiore. Day sostiene che elevando la qualità dei prodotti sia possibile abbassare indirettamente i costi, e in questo si ispira alle tesi di Deming (1986), secondo il quale qualità e produttività (che comporta costi più bassi) sono compatibili. White (1986) propone invece di integrare le due strategie dei bassi costi e della differenziazione: nella matrice in Figura 15.6 la posizione in mezzo al guado è quelFigura 15.6 Integrare le strategie competitive generiche del modello Porter Bassa Alta Alto Costo puro Costo e differenziazione Nessun vantaggio competitivo Differenziazione pura Costi Fonte: R.E. White, «Generic Business Strategies, Organizational Context and Performance: an Empirical Investigation», Strategic Management Journal, maggiogiugno, p. 226. Differenziazione Basso Le strategie competitive e il ciclo di vita di settore 389 16.1 Le strategie nei settori frammentati Un settore si dice frammentato quando è composto da molte imprese di piccole e medie dimensioni, nessuna delle quali riesce a conquistare quote rilevanti. Ristorazione, riparazioni auto, distribuzione alimentare attraverso il piccolo dettaglio, trasporti su strada, professione di dottore commercialista sono alcuni tra i tanti esempi che si possono fare. La frammentazione ha varie origini e, come sappiamo, non è esclusiva di un dato stadio del ciclo di vita di settore. È una situazione che dipende da fattori di struttura (modeste economie di scala, barriere all’entrata basse) e quindi può essere permanente o quasi permanente. Nei settori frammentati la posta in gioco non è soltanto attrarre la domanda, ma come sopravvivere, da un lato, e come acquisire posizioni di forza dall’altro. Mentre molte imprese cercano di fronteggiare la frammentazione, altre (in genere poche) cercano di consolidare il settore riducendola (Fig. 16.1). Figura 16.1 Due strategie contrapposte Mentre alcune imprese cercano di resistere alla frammentazione • • • • • Nuovi segmenti di mercato Specializzazione Segmenti ad alto sviluppo Segmenti a basso sviluppo Ritirata Altre cercano di consolidare il settore (ridurre il numero di imprese) • Prodotto standardizzato di basso costo • Marketing aggressivo • Entrata di sorpresa • Acquisto di imprese concorrenti Fronteggiare la frammentazione È evidente che in una situazione fluida è difficile distinguere l’attacco dalla difesa. Possiamo tuttavia individuare alcune strategie che ricorrono frequentemente. Per fronteggiare la frammentazione in genere le imprese già presenti nel mercato hanno di fronte quattro alternative: a) cercano segmenti trascurati o creano nuovi segmenti nel mercato; b) specializzazione; c) concentrano le loro risorse sui segmenti ad alto sviluppo che persistono anche in un mercato frammentato; d) destinano le loro risorse a settori a basso sviluppo dove la competizione è meno intensa; e) battono in ritirata. Nuovi segmenti di mercato L’obiettivo è individuare segmenti di mercato che abbiano un ritmo di sviluppo e un potenziale di redditività superiore alla media. Non si tratta di una ricerca facile e non sempre questa strategia può dare buoni risultati nel breve termine. Per poterla adotta- Le strategie competitive e il ciclo di vita di settore 407 Le strategie per ridurre la minaccia di entrata di nuove imprese Si dice che l’impresa A è entrata nel mercato M se introduce un nuovo prodotto o un servizio e: a) in precedenza non esisteva; oppure b) esisteva ma non operava in M. La prima situazione rappresenta l’entrata di una nuova impresa, mentre la seconda situazione è l’entrata di un’impresa diversificata. L’uscita dal mercato è il contrario dell’entrata. È il ritiro dal mercato, sia da parte di un’impresa che cessa completamente di operare sia da parte di un’impresa che continua a operare, ma lo fa in un altro mercato. Per ridurre la minaccia di entrata di nuovi concorrenti, e al tempo stesso mantenere la redditività del settore, le imprese possono adottare quattro strategie: a) b) c) d) allargare la gamma di prodotti; ridurre i prezzi; predatory pricing (prezzi predatori); mantenere un eccesso di capacità operativa. Ampliamento della gamma Per ridurre la minaccia di nuove entrate, le imprese possono ampliare la gamma offerta al fine di occupare il maggior numero di nicchie possibili, togliendo così spazio ai concorrenti. In tal modo si crea una barriera ai potenziali entranti. La lentezza dei costruttori europei di auto a occupare le nicchie sport-utility, per esempio, ha favorito l’entrata nel mercato dei costruttori giapponesi. È una strategia che presenta molti rischi. Come vedremo trattando delle strategie miranti ad aumentare l’efficienza, introdurre nel mercato un’ampia varietà di prodotti può dissuadere nuovi rivali, ma comporta forti costi che la stagnazione della domanda può coprire solo in parte. Figura 16.2 Quattro strategie per ridurre le minacce di entrata Le strategie per dissuadere l’entrata di nuovi concorrenti Allargare la gamma dei prodotti Ridurre i prezzi Predatory pricing Mantenere eccesso di capacità operativa 410 Le strategie di business unit Figura 16.3 Le strategie per ridurre l’intensità della competizione Le strategie per ridurre l‘intensità della competizione Il prezzo come segnale Price leadership Non price competition Controllo della capacità operativa Azioni dal lato dei fornitori Azioni dal lato dei distributori rivali, oppure intendevano così dissuadere i concorrenti potenziali dall’entrare nel settore e i rivali attuali dall’aumentare la capacità operativa. A differenza della riduzione dei prezzi e del predatory pricing, un eccesso di capacità operativa può dissuadere un’impresa dall’entrare nel mercato, anche quando abbia una completa informazione circa i costi e le strategie delle imprese già presenti. Quando il potenziale entrante prefigura la natura della concorrenza dopo la sua entrata, deve stimare le quantità che sarà in grado di vendere e i prezzi che potrà ottenere. Pertanto, mantenendo la capacità operativa in eccesso, le imprese già presenti possono influenzare la previsione del potenziale entrante circa il futuro della redditività del settore e quindi anche della propria. È evidente che l’eccesso di capacità operativa del settore può anche non essere il risultato voluto. Guerra di logoramento. In una guerra di logoramento i contendenti bruciano risorse in un confronto estenuante, senza vincitori. Alla fine chi sopravvive ha un «premio» mentre chi perde non ha nulla e vorrebbe non aver mai partecipato alla contesa. Se la guerra di attrito dura a lungo, anche il vincitore può trovarsi in condizioni peggiori rispetto a quando la guerra era iniziata in quanto le risorse che ha bruciato possono essere superiori al «premio» ottenuto. Nella realtà gli esempi sono molti. L’arsenale nucleare degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica accumulato tra il 1945 e gli anni Ottanta è un classico esempio di guerra d’attrito. Le strategie per ridurre l’intensità della competizione Dal momento che la concorrenza comporta una pressione sui prezzi e sulla redditività e che nei settori maturi esiste forte interdipendenza tra strategie, le imprese mirano a ridurre l’intensità della competizione. Attuano a tale fine varie strategie, tra cui le più importanti sono: • • • • • • uso del prezzo come segnale; leadership di prezzo; competizione non basata sul prezzo (non-price competition); controllo della capacità operativa; azioni dal lato dei fornitori; azioni dal lato dei distributori. Il prezzo come segnale Con questa strategia le imprese comunicano le loro intenzioni alle altre imprese circa la strategia di prezzo che hanno in programma di adottare e i modi con cui intendono 414 Le strategie di business unit Figura 16.4 Le strategie nei settori in declino Settori in declino Creare sviluppo Costringere i rivali all‘abbandono «Mietere» «Tenere il campo» Disinvestire o liquidare L’esperienza insegna che anche nei settori in declino esistono imprese in grado di ottenere buoni risultati. Nessuno dubita per esempio che la domanda di sigarette e di bevande alcoliche sia in calo, eppure Philip Morris compra imprese e marchi e altrettanto fa Bacardi. Quali strategie adottano? Quali sono i fattori del loro successo? Cominciamo con il domandarci perché un settore entra in una fase discendente. Il declino può essere causato da un cambiamento nello stile di vita dei consumatori, da una nuova tecnologia, da tendenze demografiche o da politiche dello stato. Le conseguenze principali sono due: eccesso di capacità operativa e pressione sui prezzi. Negli anni Novanta vari settori sono entrati in una fase di questo genere: trasporto aereo, semiconduttori, abbigliamento di fascia medio-alta soggetto a moda, autoveicoli; nei primi anni Duemila è stata la volta del personal computer. Quando la domanda in un mercato non cresce o comincia a declinare si verificano in breve profondi cambiamenti nella struttura della concorrenza (il che comporta anche un diverso modo di fare l’analisi competitiva) e anche nella struttura interna delle imprese. Per quanto riguarda la concorrenza l’effetto più evidente è che per mantenere una quota di mercato – e quindi per saturare la capacità produttiva – in presenza di una domanda stagnante è necessario strappare quote a uno o più concorrenti. La competizione si fa così sempre più intensa. Le imprese più deboli vengono spinte fuori dal mercato, mentre le imprese che rimangono sono costantemente poste di fronte a tre opzioni: «mietere», ossia trarre il maggiore vantaggio possibile nel breve termine e poi abbandonare, disinvestire e in qualche caso anche liquidare, oppure cercare una posizione di forza con una strategia opposta. Come dimostra l’esame della realtà, se è vero che la capacità produttiva totale deve essere ridotta, che l’occupazione diminuisce e che diminuisce anche il numero delle imprese, è anche vero che esistono alternative diverse al disinvestimento e alla liquidazione. Con una frase a effetto si potrebbe dire non esistono settori in declino, ma soltanto dirigenti che non sanno o non possono reagire a causa di vincoli esterni all’impresa. Premesso che se la domanda rallenta il ritmo di crescita oppure ha una contrazione, è necessario rivedere gli obiettivi della business unit in modo da renderli compatibili con le tendenze e le effettive opportunità del mercato, le strategie suggerite per le imprese che operano in settori con domanda in declino sono assai varie. Aaker (1998) individua cinque strategie di risposta delle imprese a un mercato in declino: • creare sviluppo dando nuovi impulsi al settore o concentrando l’attività su segmenti che mantengono sviluppo; • conquistare una posizione dominante e costringere i rivali all’abbandono riuscendo a conseguire profitti; • «mietere» (ridurre i costi e gli investimenti) per destinare risorse all’entrata in altri settori; 418 Le strategie di business unit Le tecniche sono varie: • • • • • outsourcing, quando all’esterno le produzioni hanno un costo inferiore; nuova configurazione di prodotto o di servizio; cessione degli impianti non utilizzati; abbandono dei punti vendita che chiudono in perdita; nuovi canali della distribuzione, per assicurare gli sbocchi alle produzioni di basso costo. Disinvestire o liquidare All’avvicinarsi del declino, l’impresa può valutare che l’uscita anticipata dal settore (vendita ad altri) possa rappresentare la strategia migliore. È una strategia adottata in particolare quando l’impresa prevede che la concorrenza sarà forte e non dispone, o non vuole mettere in campo, le risorse necessarie per mantenere le nicchie di mercato ancora esistenti. L’opzione migliore è vendere a un’impresa del settore che contemporaneamente stia perseguendo una strategia di leadership. Pagherà un prezzo più alto di un’impresa di un altro settore. La liquidazione è la soluzione più drastica: il patrimonio è smembrato, le attività sono cedute e le passività estinte. Bassa Intensità della competizione in settori in declino Alta Figura 16.5 Intensità della competizione e forze dell’impresa Disinvestire Nicchia o mietere Mietere o disinvestire Leadership o nicchia Bassa Alta Forza dell’impresa nelle nicchie rimanenti I leader tra attacco e difesa 425 Prodotti sostitutivi Per attaccare i leader del mercato molte imprese lanciano un prodotto sostitutivo che presenta vantaggi rispetto ai prodotti concorrenti: un prezzo più basso, minori costi di esercizio, minor peso, minori dimensioni o altro. È evidente che di per sé questo non garantisce il successo nel lungo periodo, poiché le imprese leader possono imitare chi attacca offrendo un prodotto simile e possono difendersi agevolmente riducendo i prezzi, aumentando le spese in pubblicità, promozione, distribuzione o accelerando il lancio di nuovi prodotti. In tal modo, chi è in posizione dominante nel mercato aumenta gli investimenti necessari per competere e quindi aumenta i rischi per il nuovo entrante. Essendo difficile riuscire nell’attacco frontale, alcune imprese preferiscono dunque la strategia dell’angolo cieco. Tetra Pack, per esempio, deve il proprio successo a una strategia di questo tipo. I suoi contenitori di alimenti liquidi hanno costituito un’eccellente alternativa all’utilizzo di bottiglie di vetro o lattine. Per competere in questi ultimi due settori è necessario disporre di forti economie di scala e avere il controllo delle tecnologie e TetraPack non aveva possibilità di competere su questo terreno. Ha quindi evitato lo scontro frontale e aggirato i leader presentando un prodotto con una tecnologia completamente diversa, meno costosa, più flessibile e innovativa. Figura 17.1 Strategia dell’angolo cieco o blind side Il leader di mercato ha la forza per respingere gli attacchi che vengono da imprese con piccole quote di mercato (A, B, C). Queste ultime devono pertanto attaccare aggirandolo e individuando un punto debole. Market Product Lines A M ar ke tl ea de r B C Fonte: Business International Research Report, 1983. 426 Le strategie di business unit Bic contro Gillette Bic ha scelto la strategia del prodotto sostitutivo per attaccare il leader di mercato Gillette. L’impresa francese è stata la prima a introdurre rasoi «usa e getta» sfruttando una tecnologia che Gillette aveva fino ad allora trascurato. La reazione non si è fatta attendere: nel giro di pochi mesi sono stati messi in commercio Figura 17.2 Tre strategie di attacco blind side (angolo cieco) rasoi Gillette con le stesse caratteristiche Bic. Dopo una contesa giudiziaria che ha visto respingere, da un tribunale americano, l’accusa mossa da Bic a Gillette di aver carpito l’idea, il produttore americano ha preso il sopravvento e ha confinato il rivale in una piccola quota di mercato. Blind side strategy Nuove forme di distribuzione Prodotto sostitutivo • Bic contro Gillette • TetraPak • Avon • Benetton Nicchie trascurate • Canon • Makita Nuove forme di distribuzione Le imprese che hanno modeste quote di mercato si trovano spesso a fronteggiare canali di distribuzione controllati saldamente dalle imprese leader. Per farsi strada quindi, partendo da posizioni più deboli, devono proporre forme alternative di distribuzione poiché quelle tradizionali sono spesso precluse. Questa barriera può essere frutto di un accordo in esclusiva oppure la conseguenza di forti investimenti in pubblicità. Per esempio, quando San Pellegrino decise di entrare nel segmento delle soft drink con un nuovo prodotto, One-o-One, trovò la strada sbarrata nella grande distribuzione poiché il leader di mercato, Coca-Cola, aveva vincolato i propri clienti alla vendita esclusiva, ed essendo Coca-Cola un prodotto di richiamo, la grande distribuzione non poteva farne a meno (questa politica venne poi condannata dall’antitrust). Alcune imprese hanno adottato il porta-a-porta, altre hanno optato per vendite per corrispondenza, altre ancora hanno utilizzato la grande distribuzione quando i leader adottavano canali specializzati. Internet ha aperto altri spazi per competere con forme nuove di distribuzione. Avon e il porta-a-porta Non riuscendo a convincere i distributori a mettere i suoi prodotti accanto a quelli dei leader, Avon decise di adottare un nuovo modo di vendere: il porta-a-porta, ed ebbe successo. Mise in difficoltà i leader, che non potevano imitarla adottando la stessa formula di vendita poiché i distributori, che avevano dato loro la preferenza, sarebbero insorti. 442 Le strategie di business unit 18.1 Le cause del declino e le responsabilità del management Per turnaround si intende l’insieme delle azioni con le quali l’impresa, sotto la pressione del peggioramento prolungato dei risultati, cerca di superare il periodo di difficoltà e tornare alle prestazioni del periodo precedente ed eventualmente migliorarle. Il processo è avviato nel convincimento che il settore non sia condannato a un declino inesorabile, oppure che anche nella fase di declino l’impresa possa conquistare posizioni e mantenere comunque una buona redditività. Il management muoverà quindi dall’analisi delle cause del declino, esterne e interne, per stabilire gli effetti della crisi e le condizioni per un recupero della situazione. Così come per altre strategie competitive, non esistono regole valide per tutte le situazioni, ma l’esperienza indica alcuni elementi fondamentali. Dall’esame dei successi e degli insuccessi nei turnaround emerge infatti che per superare la crisi di risultati occorrono: impegno, creatività e volontà di rovesciare la situazione; capacità di guardare oltre gli ostacoli di breve termine; capacità di individuare e trarre vantaggio dal potenziale dell’impresa; capacità di creare consenso. Il primo passo è dunque la diagnosi: quali sono le cause della crisi di risultati? È un calo delle vendite originato da una recessione dell’economia? Oppure sono i costi operativi troppo alti? Oppure è l’eccessivo indebitamento? Capire l’origine e valutare l’intensità della crisi è essenziale, perché proprio dalla diagnosi dipenderanno le scelte tra le varie opzioni di una strategia di turnaround. Quando sopraggiunge una crisi, sul banco degli imputati va inevitabilmente il management. Alcune cause dipendono, come sappiamo, dall’ambiente esterno e al management può essere imputato di non averle tempestivamente individuate e arginate: sono per esempio le tendenze del settore, come innovazione tecnologica e aumento della produttività che rendono obsoleti gli impianti e creano eccesso di capacità operativa; sono strategie dei concorrenti; calo della domanda; aumento dei costi degli input; calo della redditività a causa del calo dell’efficienza operativa e nuove esigenze dei clienti. Due tendenze meritano un cenno più ampio: le azioni dei concorrenti e i cambiamenti nelle attese dei potenziali clienti quindi nella domanda. Pochi settori negli ultimi decenni sono stati risparmiati da nuovi concorrenti. Quando nuovi entrati o vecchi rivali con nuove strategie cambiano il contesto competitivo, le altre imprese devono rispondere rapidamente. Se non lo fanno, prima o poi entrano in crisi (vedi le strategie di attacco ai leader, nel capitolo 17). Ignorare i cambiamenti della domanda porta alle stesse conseguenze. Cambiamenti nella tecnologia, nella legislazione, nell’economia possono cambiare le esigenze dei clienti Figura 18.1 Le principali cause della crisi Recessione Cambiamenti nella tecnologia Crisi Responsabilità del management 444 Le strategie di business unit Figura 18.2 La gestione strategica in una fase di recessione Condizione dell’impresa Strategia del turnaround Azioni avviate nel turnaround Condizione forte Attacco • Investire in vista della ripresa del ciclo • Acquisire quote di mercato: acquistare imprese concorrenti; concorrenza aggressiva; migliorare le attività chiave • Strategie di espansione nei mercati mondiali Condizione mediamente forte Management all’altezza della situazione Essere pronti nella fase di ripresa del ciclo • Razionalizzare il portafoglio prodotti/servizi • Razionalizzare/adattare la struttura organizzativa per aumentare la flessibilità e l’efficacia del controllo • Ridurre gli effetti di future onde cicliche: cambiare il mix dei prodotti/servizi e il mix dei mercati geografici Condizione debole Sopravvivenza • Ridurre i costi operativi: lavoro, capacità produttiva, scorte, marketing. • Ridurre gli oneri finanziari • Disinvestire Fonte: PA Consulting Group. Cambiamenti nella tecnologia Le innovazioni radicali possono sconvolgere la struttura della competizione e spingere rapidamente imprese leader verso il declino. Negli ultimi anni Novanta, per esempio, la rivoluzione digitale ha scosso anche il settore della fotografia minacciando una tecnologia le cui tradizioni risalivano alla fine dell’Ottocento. Gli operatori online offrivano di sviluppare, stampare e inviare le fotografie sul web a costo zero. Eastman Kodak, che aveva solo Fuji Photo e pochi altri come concorrenti, si è trovata improvvisamente di fronte imprese high-tech e dell’elettronica di consumo come Hewlett-Packard e Sony. Responsabilità del management Le cause di una crisi che possono risalire a responsabilità del management sono le più frequenti: incapacità, dimensioni eccessive dell’impresa, controlli finanziari non adeguati, costi elevati, inerzia. Le strategie di turnaround 445 Figura 18.3 Il management è spesso il principale responsabile del declino Incapacità Dimensioni eccessive Controlli non adeguati Costi troppo alti Inerzia Responsabilità del management Incapacità del management. Può assumere vari aspetti. Hoffman (1984) ha individuato una serie di punti deboli nel management delle imprese in declino, tra cui i più frequenti sono: mancanza di un adeguato equilibrio di competenze al vertice (modeste competenze tecnologiche, o finanziarie, o di marketing); errori nel programmare la successione ai vertici (aprendo conflitti interni). Un’altra ricerca ha fornito particolari su una causa che viene spesso citata come determinante senza che però esistano prove concrete. Bibeault (1982) ha rilevato che nei casi di imprese entrate in crisi è frequente la presenza di un leader accentratore convinto assertore dello sviluppo a ogni costo. Dimensioni eccessive dell’impresa. Le spinte verso lo sviluppo – con ricadute in termini di status del management, remunerazioni, progressi di carriera – sono forti, ma uno sviluppo eccessivo comporta in genere due conseguenze: difficoltà di controllo e indebitamento. Cisco e la crisi dell’high-tech Dopo un boom senza precedenti, il settore high-tech nel 2001 è entrato in una crisi rovinosa. Le cause sono state non solo il calo della domanda, ma anche l’eccessivo ottimismo circa la continuità dello sviluppo. Cisco, una delle «stelle» della new economy, aveva avuto nell’anno precedente ordini costantemente superiori alle previsioni con la conseguenza di allungare i tempi di consegna, che per alcuni prodotti erano arrivati a 15 settimane. Per invertire questa tendenza, Cisco ha accumulato scorte di componenti in particola- re per le parti customized che avevano i tempi di consegna più lunghi. Quando nel dicembre del 2000 la domanda di attrezzature di rete crollò, Cisco si rivelò particolarmente vulnerabile: con scorte ingenti, gran parte delle quali costituite sulle esigenze specifiche dei clienti e quindi difficili da vendere, e con scorte di certi componenti sufficienti per oltre un anno. Fu costretta a svalutare le scorte per $ 2,5 miliardi (mantenendone 1,6 miliardi di componenti). Per ripristinare la redditività fu costretta a licenziare 8500 persone. Se la domanda rallenta e il costo del denaro cresce, l’impresa diventa vulnerabile a crisi finanziarie. Gli esempi non mancano: Solectron, fornitore di laptop per IBM e router per Cisco, fu travolta dalla flessione del settore high-tech dei primi anni Duemila. Aveva affidato il proprio sviluppo alla tendenza delle imprese high-tech di ricorrere all’outsourcing, con investimenti rilevanti e acquisto di impianti dai propri clienti, ma in pochi mesi la domanda crollò trascinandola in una crisi inarrestabile. 452 Le strategie di business unit per finanziare lo sviluppo di nuove idee, per dare la flessibilità necessaria nel rispondere a nuove tendenze del mercato e, soprattutto, per sfruttare le nuove opportunità. Mostrare progressi misurabili. Per dare credibilità al piano di turnaround occorre anche dimostrare che il peggio è passato. Per il successo di questa strategia occorre fare progressi presto e occorre che siano misurabili in modo oggettivo. È importante quindi fissare in anticipo quali criteri saranno adottati per misurare i risultati. 18.4 I fattori di successo Quali sono i fattori di successo di un turnaround? Ogni società di consulenza, ogni ricercatore ha la propria formula, ma alcuni fattori sono comuni a tutti. Zimmerman (1989) ha ricostruito quindici casi di turnaround tra i più famosi e dalla ricerca sono emerse alcune conclusioni che successivamente hanno avuto varie conferme (Fig. 18.4): Figura 18.4 I fattori di un turnaround di successo 1) Efficienza nella produzione 2) Efficienza nella gestione delle scorte 3) Bassi costi fissi 4) Semplificazione del processo produttivo 1) Caratteristiche distinte da quelle dei concorrenti 2) Affidabilità e prestazioni superiori 3) Qualità dei prodotti 4) Miglioramento continuo dei prodotti e non miglioramenti sporadici Fonte: F.M. Zimmerman, «Managing a Successful Turnaround», Long Range Planning, vol. 22, 1989, pp. 105-124. 1) Attenzione concentrata sulla gestione operativa 2) Stabilità del management e ampio consenso dei collaboratori sulla politica del turnaround 3) Leadership con esperienza nel settore o in settori collegati 4) Leadership con esperienza di tipo tecnico (l’esperienza di tipo esclusivamente finanziario è stata prevalente nei casi di insuccesso) 5) Innovazione nei metodi di gestione 6) Cambiamenti incrementali 7) Chiarezza nei rapporti con i collaboratori Produzione a costi bassi Differenziazione di prodotto Organizzazione adeguata al turnaround (leadership) Turnaround di successo Le strategie nei mercati mondiali 473 Figura 19.1 Le strategie generiche in un nuovo mercato geografico Strategie Forze Debolezze Cost leadership • Alza barriere alla nuova concorrenza. • Estende le economie di scala e le economie di scopo. Vulnerabile a: • innovazione tecnologica; • entrata di imprese di paesi con basso costo del lavoro; • fluttuazione dei cambi. Differenziazione • Risponde a esigenze e attese dei clienti che sono diverse. • Sensibilità alle condizioni locali. • Cambiano i mercati (concorrenza). • Cambiano le attese. • I concorrenti lanciano frequentemente prodotti e servizi migliori. Playing the spread • Secondo le caratteristiche dei mercati. • Gestione più difficile e più complessa. • Le stesse della cost leadership e della differenziazione. La strategia di differenziazione. È più difficile da realizzare rispetto alla cost leadership. Comporta qualità dei prodotti e dei servizi superiori a quelle dei rivali, innovazione, risposta rapida alle esigenze dei compratori e adattamento al mercato locale. Se ha successo, però, ha il vantaggio di essere sostenibile più a lungo in quanto sviluppa una maggiore fedeltà nel cliente. Per questi è infatti più difficile confrontare qualità, servizi accessori e immagine di quanto sia confrontare i prezzi. Playing the spread. Nei mercati mondiali significa combinare i costi bassi con la differenziazione. Qualità migliore, più servizi e immagine determinano a breve un aumento di costi, ma nel lungo termine l’aumento dei volumi può ridurre i costi attraverso economie di scala e di scopo. Vantaggi specifici Oltre ai vantaggi generici di costo, differenziazione e playing the spread, per decidere se entrare o non entrare l’impresa deve chiedersi quali siano i vantaggi specifici ottenibili (Fig. 19.2). Anche questi sono molteplici e diversi secondo i settori, i mercati e le strategie delle imprese, ma possono ricondursi a tre azioni principali: • trasferire in altri mercati (creando superiorità sui rivali) le competenze distintive sulle quali si basa il successo nei mercati attuali; • distribuire le componenti della catena del valore nelle aree geografiche in cui possono essere realizzate con la maggiore efficienza; • aumentare i volumi di attività e quindi, sfruttando le economie di scala e di scopo, abbassare i costi di produzione. 474 Le strategie di business unit Figura 19.2 Tre vantaggi specifici I vantaggi di essere presenti in più mercati Trasferire competenze Economie di localizzazione Economie di scala Trasferire competenze. Le imprese che hanno competenze distintive forti possono acquisire vantaggi rilevanti trasferendo tali competenze in altri mercati in cui la competizione manca o non è in grado di rivaleggiare. I vantaggi possono tradursi in costi più bassi e nella capacità di differenziare i prodotti o i servizi. Nei settori dei beni di consumo sono molti gli esempi di imprese americane che negli anni Sessanta e Settanta hanno fatto rilevanti profitti in Europa grazie alle capacità di marketing superiori a quelle dei concorrenti locali. Questi vantaggi però non durano all’infinito poiché vengono presto imitati, soprattutto nei paesi occidentali. Una ricerca del National Institute of Economic and Social Research dimostra che circa un terzo dell’aumento ottenuto nella produttività del settore manifatturiero in Gran Bretagna nel corso degli anni Novanta è da attribuire a idee e metodi introdotti da imprese straniere. Un docente della London Business School ha osservato che queste imprese, per effetto del loro interesse nell’espansione in più mercati, hanno maggiori capacità di innovazione, quindi hanno idee migliori per aumentare l’efficienza. Alcuni dei maggiori progressi nel recupero dell’efficienza sono stati realizzati per esempio nel settore automobilistico, principalmente attraverso le nuove idee introdotte da Nissan, Toyota e Honda (tutte hanno impianti di produzione in Gran Bretagna). Anche nel settore dei componenti per autoveicoli si sono avuti effetti positivi. Ne è un esempio l’acquisto di Marston, un costruttore di radiatori e condizionatori d’aria, da parte di Denso (Giappone), uno dei principali gruppi produttori di componenti del mondo: nell’arco di pochi anni Denso ha introdotto varie tecniche per migliorare la qualità e Marston ha ridotto del 90 per cento il volume dei pezzi difettosi e raddoppiato la velocità di produzione. Le competenze distintive nella gestione della produzione e nello sviluppo di nuovi prodotti furono i vantaggi competitivi sui quali i costruttori giapponesi fondarono, negli anni Ottanta, la loro espansione nei mercati mondiali. La loro superiorità durò per oltre un decennio, poi nei mercati degli Stati Uniti e dell’Europa i rivali colmarono gran parte dello svantaggio. Economie di localizzazione. I costi di produzione, delle materie prime, dei componenti e dei servizi sono diversi da una nazione all’altra. Tenendo conto di tali costi, dei costi della logistica, delle barriere tariffarie e non tariffarie allo scambio, e delle tendenze dei cambi, un’impresa può scomporre la catena del valore, collocare le varie attività nei luoghi più convenienti e realizzare così vantaggi significativi soprattutto rispetto ai rivali che producono esclusivamente nei paesi industrializzati. Negli anni Ottanta la ricerca di vantaggi di questo tipo è stata molto diffusa. Nella seconda metà degli anni Novanta la tendenza è cambiata: nei paesi di nuova industrializzazio- Le strategie nei mercati mondiali 477 Neppure la valuta messicana, che nelle precedenti recessioni si era deprezzata consentendo al Messico di rimanere competitivo, è venuta in aiuto. Durante la recessione negli USA nei primi anni Duemila, infatti, il peso ha mantenuto una certa forza, costringendo le maquiladoras a operare con margini di guadagno sempre più ridotti. Un’inattesa conseguenza del Nafta per il Messico è stato anche il continuo aumento della popolazione nelle zone al confine con gli Stati Uniti, attirata dalla crescita industriale della regione. La crescita della popolazione superiore a quella economica della regione ha creato grossi problemi di controllo dello sviluppo. Condizioni della domanda. Le caratteristiche della domanda locale (di una specifica nazione) per un dato prodotto o servizio agiscono sui vantaggi competitivi. Se i compratori hanno esigenze complesse e sofisticate (come le imprese petrolifere americane nei confronti dei fornitori di attrezzature e impianti), le imprese che operano in una tale nazione sono spinte a produrre con qualità elevate e a innovare frequentemente. La concorrenza interna tende ad abbassare i costi, quindi i prezzi. Le imprese che in un certo mercato sono in grado di rispondere in modo efficiente a una domanda esigente hanno un significativo vantaggio competitivo anche in altre parti del mondo. Competitività nei settori complementari. La presenza, in una nazione, di settori complementari che siano competitivi nei mercati internazionali crea vantaggi anche per i settori finali. In Francia il settore della grande distribuzione è molto competitivo anche perché può avvalersi di fornitori di prodotti e servizi a loro volta molto competitivi. L’entrata in mercati di altre nazioni, per esempio in Spagna, ha avuto successo anche grazie a questi vantaggi. Analogamente, l’abbigliamento italiano dei segmenti di qualità è competitivo anche per il fatto che lo sono i settori complementari: dai tessuti alle macchine per l’industria tessile, dagli accessori alle imprese di produzione. Figura 19.3 I fattori che creano vantaggi competitivi Strategia delle imprese, strutture organizzative e rivalità Natura della domanda Fattori di produzione Fonte: M. Porter, The Competitive Advantage of Nations, Macmillan, New York, 1990. Imprese di settori complementari Le strategie nei mercati mondiali 479 inesorabilmente al declino. I governi possono intervenire, sostenendo l’innovazione, l’acquisizione di nuove tecnologie, stimolando la capacità imprenditoriale, dando forza ai valori del lavoro e della competizione. Concorrenti locali, concorrenti multinazionali e globali Le imprese che competono nei mercati mondiali affrontano due tipi di rivali: concorrenti locali e concorrenti multinazionali e globali. Sono rivali molto diversi non soltanto perché hanno differenti vantaggi competitivi e risorse, ma anche per la loro capacità di sfruttare tali vantaggi e tali risorse attraverso la presenza nei mercati internazionali. Sono spesso diversi anche nel modo in cui affrontano segmenti specifici, e per le competenze che mettono in campo in un determinato mercato. La natura della competizione non è dunque la stessa. Concorrenti locali Le imprese che hanno strategie mirate unicamente al mercato locale rappresentano un tipo di concorrente che spesso ha molti vantaggi rispetto alle grandi multinazionali. Anzitutto, a differenza delle imprese straniere, non sono guardate con sospetto dai governi e dall’opinione pubblica e spesso godono di barriere protezionistiche. Ciò è particolarmente vero nei settori che sono fonti di occupazione (abbigliamento e tessile, per esempio) o che hanno importanza strategica (computer e costruzioni aeronauFigura 19.4 Tre fasi e tre strategie di risposta Le forze che spingono verso nuovi mercati geografici Le sfide • • • • Rapidità del cambiamento Complessità Forte concorrenza Responsabilità sociali Le risposte Fase 1 Strategie di entrata in un nuovo mercato Fase 2 Strategie di consolidamento nei nuovi mercati Fase 3 Strategie competitive globali Le strategie nei mercati mondiali 481 Figura 19.5 Esempio di matrice BCG sviluppo/quote di mercato Ritmo di sviluppo del mercato Alto Stars Question marks Gran Bretagna Spagna Cina Cows Dogs Germania Russia Francia Basso Alto Basso Quota di mercato relativa In questo esempio, Francia e Germania sono due mercati nei quali l’impresa è ben consolidata e con il cash flow ottenuto da questi due mercati l’impresa può finanziare la penetrazione in Cina e in Spagna, mercati in forte sviluppo nei quali ha una quota modesta, oppure l’entrata in Gran Bretagna, in cui ha una quota di mercato elevata per mantenere la quale, a causa della forte crescita della domanda, ha un elevato fabbisogno finanziario. La Russia dovrebbe essere abbandonata. La matrice BCG aiuta a stabilire il ruolo di una business unit o di un prodotto sulla base del ritmo di sviluppo del mercato e della quota di mercato in rapporto a quella dei concorrenti. Aiuta anche a individuare il ruolo del cash flow. Tuttavia, la matrice deve essere interpretata e usata con cautela, tenendo presente che è solo una prima approssimazione al problema. Il grafico in Figura 19.5 offre un esempio di visualizzazione semplificata della matrice BCG. La portfolio analysis può anche ricorrere alla matrice attrattività del mercato/ posizione competitiva, che può suggerire a quali mercati o paesi destinare investimenti e quali abbandonare. La Figura 19.6 illustra un esempio di come un’impresa che vende abbigliamento di prezzo elevato valuti alcuni mercati in cui è già presente: quelli collocati nella parte in alto a sinistra sono in una buona posizione per ulteriori investimenti, mentre quelli in basso a destra sono nella posizione opposta. 482 Le strategie di business unit Fonte: adattato da G.D. Harrell, R.O. Kiefer, Multinational Strategic Market Portfolios, MSU Business Topics, 1981. Elevata • Stati Uniti • Canada • Francia • Germania Attrattività mercato/paese Figura 19.6 Esempio di matrice attrattività/ posizione competitiva per paesi • Giappone • Messico • Svezia • Danimarca Bassa Elevata Bassa Posizione competitiva 19.4 Nuovi mercati: le strategie di entrata La scelta: in quali mercati entrare? Scegliere in quali mercati (area geografica) entrare significa scegliere quale arena competitiva affrontare, con chi competere e quali risorse mettere in campo. La logica dell’analisi che precede la scelta è riconducibile all’analisi SWOT: l’attrattività di un nuovo mercato dipende non solo dalle sue caratteristiche quindi dalle opportunità (dimensioni, ritmo di crescita, potenziale futuro) e dalle minacce (concorrenza in primo luogo), ma anche dalle forze e dalle debolezze che l’impresa ha nei confronti dei concorrenti. A seconda della propria posizione – forze e debolezze – e della forza relativa dei concorrenti, l’impresa può adottare varie strategie: • anticipare i concorrenti, se un mercato ha un forte potenziale di sviluppo; entrare prima dei rivali multinazionali e globali può essere un vantaggio; • attaccare i rivali, se le posizioni alle quali si mira sono già occupate da altre imprese: l’attacco può avere successo soltanto se l’impresa muove da posizioni di relativa forza e mira là dove i rivali sono vulnerabili; • build-up, quando l’impresa entra in mercati nei quali la concorrenza è modesta o che sono troppo piccoli per attrarre i concorrenti più forti. Può così facilmente conquistare quote, accumula esperienza e costruisce economie di scala, quindi Le strategie nei mercati mondiali 483 Figura 19.7 Gli elementi che orientano la scelta dei mercati Scelta dei mercati Orientamento dell’impresa • Attitudini verso il rischio • Risorse disponibili Caratteristiche dei mercati Struttura della concorrenza nel settore Strategie dei concorrenti • Domanda potenziale • Grado di integrazione regionale abbassa i costi unitari. I costruttori giapponesi di auto, per esempio, entrarono in Europa evitando i grandi mercati in cui esistevano concorrenti nazionali (Peugeot e Renault in Francia, VW, Daimler-Benz e BMW in Germania, Fiat in Italia). Preferirono attaccare mercati piccoli e senza costruttori locali (Svizzera, Danimarca, Belgio) e penetrarono in Gran Bretagna incoraggiati dal governo che intendeva ridare slancio all’industria automobilistica in crisi. In quali mercati entrare – e con quale sequenza – è una scelta che può essere affrontata con una pluralità di criteri: le dimensioni (i mercati più grandi?), la distanza (i mercati più vicini sia in senso geografico sia per cultura e tradizioni?), le potenzialità (i più ricchi?). Nuovi elementi hanno aumentato la complessità della scelta negli ultimi decenni. Anzitutto l’integrazione economica e politica nelle aree geografiche più avanzate, di cui Unione Europea, NAFTA (Canada, Messico e Stati Uniti), ASEAN (Sud-Est asiatico), Mercosour (America Latina) sono le forme più note. Inoltre, come conseguenza, la caduta di alcune barriere economiche tra gli stati, quindi l’inadeguatezza della tradizionale identificazione dei mercati con i confini politici. La scelta dei mercati è guidata principalmente da quattro elementi: orientamento strategico dell’impresa, caratteristiche dei mercati, struttura del settore e strategie dei concorrenti (Fig. 19.7). Orientamento dell’impresa. L’atteggiamento del management nei riguardi di una strategia di sviluppo nei nuovi mercati agisce sulla scelta dei mercati stessi. Un management prudente, riluttante a correre rischi, evita mercati in cui si presentano opportunità ma anche instabilità politica, inflazione alta, incertezza economica. Anche la disponibilità di risorse agisce sulla scelta dei mercati. Occorrono risorse per fare ricerche preliminari, finanziare campagne promozionali, scorte e reti di assistenza post-vendita. Caratteristiche dei mercati. Sulla scelta dei mercati agiscono le caratteristiche dei mercati stessi. Quale potenziale di domanda? Dimensione del PIL, popolazione, reddito procapite, propensione a importare sono primi indicatori. Quale grado di integrazione con altri mercati? Mercati geograficamente vicini o lontani, piccoli o grandi, in cui affrontare concorrenti deboli o agguerriti. Disponibilità di lavoro specializzato e di industrie accessorie ha un peso sulla scelta. Le strategie nei mercati mondiali 485 Figura 19.8 Strategie di entrata in un mercato estero Strategie di entrata: varie opzioni Esportazione indiretta • Imprese export • Trading company Vendita diretta • Agenti • Distributori • Rete di vendita Integrazione nel mercato • Assemblaggio • Contract manufacturing • Produzione locale • Licensing • Franchising • Joint venture • Partecipazione al capitale di controllo Si tratta di una serie di trade-off difficili da sciogliere. Se la scelta è di vendere esclusivamente attraverso intermediari il costo è basso, dunque è basso il rischio, ma è scarso anche il controllo che si può avere sull’iniziativa. Se la scelta è di produrre in loco e distribuire con una propria rete di punti vendita, i costi sono alti, come il rischio, ma si avrà anche un maggior controllo. Il grafico in Figura 19.9 mostra la risultante del trade-off tra grado di controllo sull’iniziativa e grado di rischio. Esaminiamo in breve vantaggi e svantaggi delle opzioni principali: esportazione indiretta, vendita diretta, integrazione con il mercato. Esportazione indiretta L’impresa vende a intermediari (imprese import-export) che hanno la sede operativa nel suo stesso mercato, i quali a loro volta vendono all’estero. Oppure vende direttamente a intermediari esteri (importatore o trading company). Vendendo attraverso intermediari si ottiene una serie di vantaggi: • si possono sfruttare le conoscenze del mercato dell’intermediario e le relazioni che questi ha allacciato con i clienti; • non occorre dar vita a un’organizzazione di vendita; • l’intermediario in genere paga quando entra in possesso della merce; • alcuni intermediari sono particolarmente specializzati in certi campi. Non mancano gli svantaggi, perché affidando ad altri la vendita, l’impresa: • non ha un contatto diretto con l’utilizzatore finale; • non ha alcun controllo su come l’intermediario vende il prodotto (prezzo, servizi); 486 Le strategie di business unit Figura 19.9 Trade-off tra grado di rischio e grado di controllo Alto Produzione in loco Grado di rischio Joint venture Franchising Vendita diretta Esportazione indiretta Basso Basso Alto Grado di controllo • produce senza sapere cosa vogliono i compratori, quali sono le loro esigenze e attese. L’intermediario in genere vuole disporre di più prodotti di più fornitori per diversificare il proprio sistema di relazioni. Parte di questi prodotti possono essere in competizione tra loro ed egli/ella spingerà più sull’uno o sull’altro a seconda dei margini di utile. Per l’impresa che vende all’estero è difficile fare una politica a medio-lungo termine con queste incognite. L’esportazione indiretta è un modo di vendere all’estero adatto in particolare per i beni di consumo, per i mercati di piccole dimensioni, per le piccole imprese e per le imprese che intendono verificare la capacità di penetrazione di un prodotto in un nuovo mercato senza correre rischi. Vendita diretta Mentre nella forma precedente l’impresa lascia l’iniziativa ad altri, con la vendita diretta entra in un mercato estero con l’obiettivo di allacciare direttamente i rapporti con i clienti. Cerca di conoscere cosa vuole il mercato; è pronta ad adattare l’offerta alle esigenze specifiche della domanda; risolve direttamente i problemi che possono sorgere. È una forma usata soprattutto per i beni strumentali (macchinari, attrezzature) e per i beni di consumo nei mercati che in prospettiva hanno un elevato potenziale. Quali prodotti? La politica migliore è pensare al mercato mondiale quando si prospetta e si sviluppa un prodotto. Ciò è però raramente possibile. Nella maggior parte Le strategie nei mercati mondiali 491 Figura 19.10 Due tipi di pressioni sulle imprese: costi e adattamento Alta Pressione per abbassare i costi Impresa C Impresa A Impresa B Bassa Bassa Alta Pressione per adattare l’offerta al mercato locale Si tratta di due pressioni alle quali le imprese che operano nei mercati mondiali non possono sottrarsi. Per rispondere alla pressione sui costi l’impresa deve abbassare i costi unitari, e ciò significa situare le produzioni dove i costi sono più bassi e offrire prodotti il più possibile standardizzati al fine di realizzare economie di scala. D’altra parte, però, rispondere alle esigenze dei singoli mercati significa adattare le strategie di marketing e di produzione al fine di tener conto delle differenze (spesso notevoli) tra un mercato e l’altro, legate a tradizioni, preferenze dei compratori, strutture della distribuzione e strutture della concorrenza. Questo tipo di risposta comporta un aumento dei costi. Il grafico in Figura 19.10 esprime i diversi gradi di difficoltà che un’impresa deve affrontare. La maggior parte delle imprese che vendono nei mercati mondiali sono nella posizione dell’impresa C dello schema, sottoposte a forti pressioni sia per ridurre i costi sia per rispondere alle esigenze locali. Entrando in competizione nei mercati globali è inevitabile affrontare concorrenti che vendono con qualità paragonabili ma con costi più bassi. Per rispondere a questa pressione, le imprese devono abbassare i costi introducendo tecnologie avanzate di produzione di massa e cercando economie di scala e di scopo in ogni attività. Le pressioni per abbassare i costi sono tanto più forti quanto minore è la differenziazione di prodotti e servizi. In tali condizioni il prezzo è l’arma principale (prodotti chimici di base, acciaio, zucchero sono esempi di commodity per le quali la differenziazione non basata sul prezzo è difficile). La pressione è forte anche quando uno o più produttori hanno la base produttiva in un paese con costi del lavoro o delle materie prime più bassi di quelli dei rivali, quando esiste eccesso di capacità produttiva e quando i costi per passare da un prodotto all’altro sono bassi. 492 Le strategie di business unit Le pressioni per rispondere alle esigenze locali nascono da differenze nei gusti e nelle preferenze dei consumatori; nelle infrastrutture e nelle tradizioni locali; nei canali della distribuzione; nelle norme e nelle leggi degli stati ospitanti. 19.6 La scelta delle strategie competitive globali A un certo punto dell’espansione nei mercati mondiali l’impresa deve coordinare e orientare con una sola strategia le varie forme di presenza nei vari mercati. Ha di fronte quattro opzioni, ciascuna con vantaggi e svantaggi (Bartlett e Ghoshal, 1989). Tutte configurano in modo diverso due fattori: 1) la necessità di rispondere alle esigenze del mercato locale; 2) la necessità di integrare su scala globale le varie attività e raggiungere il massimo di standardizzazione (Fig. 19.11). Strategia internazionale L’impresa mantiene dal centro il controllo sulle principali attività svolte nei mercati mondiali. Trasferisce oltre confine prodotti e capacità (di marketing, di produzione) che non sono presenti nei mercati in cui intende entrare. Si affida principalmente alle esportazioni. L’adattamento alle esigenze della domanda locale è modesto. Se il nuovo mercato ha dimensioni cospicue può trasferire le produzioni, anche in questo caso con modesti adattamenti. Una strategia internazionale è efficace se l’impresa ha un vantaggio competitivo sui concorrenti locali e se la domanda non richiede adattamenti o costi più bassi. Se la pressione per adattare i prodotti è forte la strategia è perdente. Alta Pressione per integrare le varie attività Figura 19.11 Due tipi di pressioni per rispondere alle esigenze del mercato locale Strategia globale Strategia internazionale Strategia transnazionale Strategia multinazionale Bassa Bassa Pressione per rispondere alle esigenze del mercato locale