Mostra/Apri - Facoltà di Architettura

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Mostra/Apri - Facoltà di Architettura
Copertina_Design.indd 1
08/01/2009 16.13.12
Design follows Materials
a cura di Marinella Ferrara e Sabrina Lucibello
Indice
© copyright Alinea editrice s.r.l. - Firenze 2009
50144 Firenze, via Pierluigi da Palestrina, 17/19 rosso
Tel. +39 055/333428 - Fax +39 055/331013
Tutti i diritti sono riservati:
nessuna parte può essere riprodotta
(compresi fotocopie e microfilms)
senza il permesso scritto della Casa Editrice
e-mail: [email protected]
http://www.alinea.it
ISBN 978-88-6055-363-8
Finito di stampare nel febbraio 2009
—
Stampa: Genesi Gruppo editoriale srl - Città di Castello (PG)
Realizzazione grafica a cura di
Marinella Ferrara e Sabrina Lucibello
Questo libro è stato curato da Marinella Ferrara e
Sabrina Lucibello, sulla base di ampie discussioni, di
comune accordo.
In particolare va riferita a Marinella Ferrara la cura
di Capitolo I (Researching) e Capitolo III (Designing);
a Sabrina Lucibello la cura di Capitolo II (Applying)
e Capitolo IV (Objects)
In copertina:
Digital Dawn, Looph.pH, Rachel Wingfield RCA,
commissionato da Future Physical e Royal
College of Art's Innovation Unit
Tonino Paris
6
M. Ferrara | S. Lucibello 12
PREMESSA
Sincerità e ambiguità dei materiali
INTRODUZIONE
Design follows Materials
Luciano Caglioti
Cosimo Carfagna
Marinella Ferrara
Stefano Marzano
18
22
28
34
Capitolo I_RESEARCHING
Ricerca indispensabile
Dalla natura l’innovazione per il futuro
Tra scienza e design | Un’evoluzione intelligente
Probe: Sentire emotivo | Il corpo come sistema di capacità materiale suprema e piattaforma per la tecnologia
Pierre Paul Jobert
Aldo Tempesti
Diego Marzorati
G. Dammacco | F. Pagliai
Susanna Campogrande
C. Vezzoli | S. Cortesi
42
50
56
62
66
74
Capitolo II_APPLYING
Fare nanomateriali | Un’esperienza personale
Tessili funzionali per inventare
Materiali e percezione della qualità | L’esperienza del Centro Ricerche Fiat
Trasferimenti tecnologici
Diffondere i materiali
Life Cycle Design | Un approccio operativo
Sabrina Lucibello 80
Chris Lefteri 86
Ely Rozenberg 92
Sabrina Lucibello 100
Marco Della Torre 106
Giulio Ceppi 114
Capitolo III_DESIGNING
Gestire l’iperprogettualità
Abducted materials
Attitudine sperimentale
Marc Sadler | Design al limite
Progetto e tecnologie per l’arte contemporanea
Sensorialità sostenibile
122
Capitolo IV_OBJECTS
GRADO ZERO ESPACE
LQ Jacket
Oricalco
Nanotubi di carbonio
Quota Zero Jacket
Absolute black
134
BIOSUMA
Idrogel
136
CEFRIEL
MentorME
138
NOKIA
Morph
142
VIVOMETRICS
Lifeshirt_Monitoring System
144
RINSPEED
Senso Smart Car
148
O’NEILL
Hub bluetooh Mp3 Jacket
150
D30
154
OUTLAST
outlast Tech Jacket
158
SPEEDO
Lzr Racer
162
WILSON
N Six-One Tour_nCODE
164
VARIOPTIC
Artic
170
NOTE SUGLI AUTORI
176
BIBLIOGRAFIA
LAB
d30 smart absorber
proiezioni di luci sulle pareti si ispirano
ad un bosco di foglie rosse
Capitolo III_designing
Matali Crasset, Arbre à Reflets: le
Gestire l’iperprogettualità
III_designing
Oggi, al di là dei materiali “base” come legno, metallo e plastica, il mondo dei
materiali comprende un universo fatto di tante sottocategorie in costante e rapido
aggiornamento, che sviluppa materiali nuovi e ibridi a cui, però, non sempre
corrisponde un prodotto o una tecnologia di produzione consolidata.
Conoscere i nuovi materiali, saperli utilizzare e lavorare e addirittura saperli
scegliere, diviene così uno dei punti chiave della progettazione.
Scegliere un materiale significa “selezionarne” le qualità tecnico-funzionali e
scegliere ad esempio la durezza della ceramica piuttosto che quella dei metalli, la
formabilità delle materie plastiche piuttosto che quella del legno.
Scegliere un materiale significa però anche valutarne le qualità estetico percettive e
dunque esperienziali. La superficie di una texture, il suo colore e la sua traslucenza,
piuttosto che la sensazione di leggerezza o morbidezza, sono tutte caratteristiche
che hanno un effetto importante sul modo con cui un prodotto è percepito e usato.
Scegliere un materiale significa per altro considerarne le “ricadute” economiche,
ovvero ricercare il giusto rapporto tra costi di fabbricazione e numero dei pezzi da
CAPITOLO
Sabrina Lucibello
Fibra di vetro, ingrandimento
Concrete glass
produrre, tra prestazioni, durabilità e costo del prodotto finale.
Scegliere un materiale significa poi considerarne gli aspetti economico-sociali e
dunque anche la”sostenibilità”. La crescente necessità di pensare ad un futuro
sostenibile, infatti, interviene fin dalla scelta del materiale e, visto che non si può
smettere di consumare, si deve almeno tentare di rendere l’applicazione di materiali
e il loro uso più intelligente, esplorando i diversi modi in cui questi possono essere
utilizzati per consentire ai prodotti di essere facilmente smembrati in componenti e
riciclati. Un buon esempio è stato proposto da alcune grandi multinazionali - molto
attente all’aspetto sostenibile dei propri prodotti - come ad esempio la Nokia, che
ha pensato il modello 3110 Evolve, quasi completamente biodegradabile grazie una
serie di viti a memoria di forma che permettono di smontare un telefono cellulare
semplicemente immettendolo in acqua calda.
Le specifiche qualità dei materiali influenzano dunque la progettazione a molti
livelli, contribuendo in modo sostanziale a definire forma e funzione, oltre che
target e “personalità” del prodotto.
Scegliere un materiale è dunque un momento fondamentale nel progetto, un
momento da cui il progetto stesso trae input e vitalità e per cui sono richieste molte
competenze differenti in grado di far fronte a tutti questi diversi aspetti.
Questa situazione infatti, ha determinato una diversa modalità di approccio alla
progettazione di tipo multidisciplinare. Basti pensare al Philips Design Center
guidato da Stefano Marzano, che, fin dagli anni ‘90, ha incarnato il prototipo di
un’organizzazione capace di essere interprete di quella che potremmo definire
“neo-progettazione”. Grazie ad un composito team multidisciplinare il Philips
Design Center ha coinvolto esperti nelle discipline storiche del design, in quelle delle
scienze umane, in quelle delle scienze dei materiali, ecc, essendo così in grado di far
da ponte fra ciò sociale e pensiero tecnologico. La progettazione è in team e cerca
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III_designing
CAPITOLO
di gestire tutte le criticità del progetto: dall’analisi dei bisogni (a cui il prodotto deve
rispondere) a quella di mercato (che analizza tendenze, budget,
commercializzazione), dagli aspetti anatomici ed ergonomici (su usi attuali e
potenziali), a quelli più squisitamente sociali ed antropologici (su contesti reali e
virtuali), al concept arrivando fino all’ingegnerizzazione del prototipo e del prodotto
(sostenuto da considerazioni tecniche sulle potenzialità prestazionali e tecniche di
nuovi materiali), testandone le performance, simulandone il funzionamento,
ottimizzandone i processi di produzione.
Dunque da un lato la velocità dell’innovazione e l’ampliarsi delle possibilità
progettuali hanno prodotto uno “scarto di competenze”, non essendo più il
progettista né tanto meno il tecnico dei materiali in grado di riuscire a gestire da
solo e in tempo reale tutte le informazioni sui nuovi materiali; dall’altro hanno
prodotto una sorta di spaesamento semantico e un “gap informazionale”.
Sono così nate le materioteche per cercare di dare ordine all’iperscelta attraverso la
catalogazione di materiali in library virtuali o fisiche e cercando di trovare le più
svariate metodologie di classificazione che presto - essendo i confini tra un
materiale e l’altro sempre più sfumati - si è scoperto essere sostanzialmente
inadeguate.
Parallelamente questo ha favorito un costante trasferimento di materiali da un
settore produttivo all’altro mediante adattamenti a nuovi usi con effetti spesso
sorprendenti per dar luogo ad una ibridazione che, dopo aver spazzato via la
distinzione tra naturale e artificiale e quella tra le varie famiglie, spazza via anche
l’identità e la riconoscibilità dei materiali che si possono progettare e modificare a
piacimento.
Alle tradizionali lavorazioni alla scala “macro” (stampaggio, laminazione, fusione,
verniciatura, ecc), si aggiunge oggi la possibilità offerta dalle nanotecnologie di
Soumiya Jalal Mikou, tessuto in sisal e
carta, Casablanca 2006
Pannello in materiale plastico, Moma,
New York 2008
Glitter
Soumiya Jalal Mikou, tessuto in
organza di seta, fili d’oro e perle,
Casablanca 2000
Pannello tridimensionale in materiale
ceramico, Moma, New York 2008
manipolare fin nel DNA un materiale, per renderlo completamente irriconoscibile
non solo nel suo aspetto, ma addirittura nella sua sostanza a livello molecolare.
In passato era sufficiente osservare un materiale alla scala micro per scoprirne la
plurimatericità, (le pelli di tessuto di carbonio, il cuore della sezione in nido d’ape di
alluminio) e la sua struttura anisotropa (le fibre disposte nella direzione degli sforzi).
Oggi un artefatto realizzato con l’impiego delle nanotecnologie, osservato alla scala
reale o a quella micro, non farà invece intravedere la sua complessità strutturale e
sembrerà quasi monomaterico. Solo alla scala nano rivelerà la sua vera natura.
Grazie alle nanotecnologie si è in grado di rimettere continuamente in gioco le
strutturate relazioni tra materia, forma e prestazione con una differenza sostanziale
rispetto al passato: la scala alla quale tali trasformazioni avvengono.
Nuovi materiali ultraperformanti più resistenti, leggeri, durevoli e flessibili di quanto
non lo siano convenzionalmente; materiali multidimensionali e dunque fisicamente
definiti nelle tre dimensioni resistenti ma anche trasparenti; materiali riciclati,
rimescolati, trasformati e dunque quasi surrogati utilizzati in maniera del tutto
inaspettata o “preziosa” o per a dar luogo ad una sostanza totalmente sconosciuta
per caratteristiche e aspetto.
E così il “pensiero creativo” può spingersi fino ad agire sulla progettazione del
materiale stesso (iperprogettualità), trasformandolo e utilizzandolo in funzione
dell’idea di progetto.
Questa possibilità di modificare la composizione chimica e fisica del materiale, di
pensare ciò che non c’è ma che solo potrebbe essere, se da un lato è certamente
esaltante dall’altro è potenzialmente pericolosa perché permette di estendere il
progetto al di là del possibile con gravi ricadute in primo luogo sulla sostenibilità.
Sempre più facile appare superare il limite di ciò che esiste, piuttosto che tentare di
governare ciò che già è, arrivando a spingere l’iperprogettualità nel campo della
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Rossignol, Fashion Sci, design Emilio
Pucci
Rossignol, Sci Robot linea junior
III_designing
Nike, Grigoros Kayaking
Nike, PreCool Vest
CAPITOLO
stessa materia e non permettendo al tempo di sedimentare la conoscenza e al
design di incanalare la ricerca attraverso la creatività. Molte rivoluzioni dettate da
vere e proprie scoperte scientifiche rimarranno così semplicemente “possibili” e
forse non arriveranno mai a trasformarsi in artefatto, non trovando cioè un proprio
uso specifico.
In molti casi però, i materiali progettati ad hoc daranno vita a caleidoscopi di
possibilità che trasformeranno gli artefatti, che a loro volta modificheranno la nostra
quotidianità.
Ciò è vero sia se si pensa alle piccole/grandi rivoluzioni che stanno entrando nella
nostra vita trasformandola o modificandola: dalle lavatrici che contengono
nanoparticelle di argento e che sterilizzano il bucato, alle batterie a base di biossido
di titanio nanostrutturato che permettono molti più cicli di ricarica rispetto, alle
normali pile ricaricabili; dagli abiti autopulenti fatti con tessuti nanotecnologici, alle
calzature antiodore grazie alle nanoparticelle antibatteriche; dalle vernici antigraffio
per auto, ai display contenenti nanotubi di carbonio; dai contenitori per cibo
antibatterici, alle creme solari che permettono un’alta protezione contro i raggi
UV,ecc.
Ciò è altrettanto vero se si pensa alle impercettibili rivoluzioni che talvolta
semplicemente ci facilitano anche solo agendo sulle caratteristiche estetiche,
percettive, espressive ed esperienziali dei materiali, per aprire nuove frontiere nei
rapporti fra artificiale e naturale, fra oggetti d’uso e oggetti intelligenti, tra oggetti
tecnici e oggetti del desiderio, tra uomo e ambiente. Materiali intelligenti perché
carichi di un plus non solo di performance e di prestazioni, ma anche di espressività
che rende più diretto l’approccio sensoriale con l’artefatto.
In tutto ciò il design riveste un ruolo primario, essendo l’unico processo in grado di
“trasformare” i risultati della ricerca scientifica in artefatti. Il progetto è come una
attività di bricolage in grado di cogliere nel “fantastico tecnologico”, non per
produrre un’immagine enfatizzante del pensiero tecnico-scientifico, ma come mezzo
di interpretazione ed esplorazione estetico figurativa del possibile. Ecco allora che il
design entra prepotentemente in settori fino ad oggi terreno esclusivo di una
progettazione di tipo tecnico-ingegneristica, come ad esempio il settore medicale o
quello sportivo, dove non solo function follows “design” ma dove design follows
“materials”.
Il settore sportivo in particolare, costituisce per il design uno dei settori più vitali e in
continuo in movimento. Addirittura è proprio nel rapporto fra design e l’impiego di
nuovi materiali che i prodotti per lo sport esprimono il loro fascino più sincero,
dando luogo ad una nuova estetica - quella dell’high tech - che ne sollecita il
desiderio di possesso come simboliche icone per la vita di tutti i giorni. La ricerca in
questo ambito è vastissima: dai materiali leggeri ad alta resistenza meccanica allo
strappo e all’abrasione (come per vele, parapendii e attività in montagna), a quelli
ad elevato comfort fisiologico e dalle prestazioni controllate (gestione del livello di
calore, di traspirazione e di impermeabilità), ai materiali per la sicurezza (come ad
esempio nel motociclismo), fino ai materiali che permettono di migliorare le
performance sportive essendo in grado di ottimizzare il rapporto peso-prestazioni
grazie all’impiego di speciali compositi.
Ma il design non potrà essere l’unico punto di mediazione tra scienza e uomo.
La cosa più importante in futuro sarà, a mio avviso, imparare ad utilizzare le
(nano)tecnologie in modo più discreto ovvero solo per rispondere a nostri reali
bisogni che, per simmetria inversa con l’umana complessità, dovranno
necessariamente tornare ad essere sempre più semplici.
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Non c'è dubbio che all'interno della comunità che si occupa di design, un numero
sempre maggiore di progettisti incentra il proprio lavoro sull'utilizzo dei materiali
per realizzare nuovi prodotti, edifici e ambienti. Sempre di più, nuove pubblicazioni,
banche dati online e studi di consulenza specializzati in materiali e design, si
propongono di colmare il gap che tradizionalmente esiste tra l'industria dei
materiali e i progettisti.
Molte, ed avanzatissime, sono per altro le tecnologie a disposizione dei progettisti
in fatto di nuovi materiali: leghe a memoria di forma, plastiche idrosolubili,
calcestruzzo semitrasparente, materiali auto-generatori, autopulenti, autolubrificanti e auto-riparatori. È chiaro che tutto ciò discende dal desidero di molti
progettisti di dar luogo a nuove esperienze basate sull'assioma secondo cui "la
funzione segue la forma", tanto che oggi è sufficiente consultare una materioteca
per scoprire ed utilizzare un nuovo materiale e per dar vita ad un nuovo prodotto e
dunque ad una nuova esperienza. Si potrebbe obiettare che molti progettisti
lavorino esclusivamente seduti al tavolo da disegno e che la quasi totalità di essi
abbia perso, rispetto al passato, la capacità di governare materiali e processi e di
esserne "inventore" o fabbricante. Oggi appare persino impossibile tenersi
costantemente aggiornati sui molti materiali e processi esistenti, ma ciò non cambia
il fatto che ci sia qualcosa di enormemente gradevole nel manipolare un nuovo
materiale e addirittura nel "giocarci".
Molte testimonianze ci raccontano come gli occidentali, al ritorno da viaggi in paesi
poveri o del terzo mondo, portino spesso con loro oggetti dismessi per utilizzarli in
nuovi modi o applicazioni e per dar luogo ad oggetti che svolgono delle funzioni
per le quali non erano originariamente disegnati, come se fossero dei souvenir
dell'ingenuità della disperazione: veri e propri oggetti salvati e che hanno trovato
nuova vita in queste nuove funzioni. Si tratta di scoperte accidentali di oggetti
quotidiani in cui gli oggetti sono stati rivalutati ed i materiali sono stati analizzati e
riassemblati. In fondo è questo il design basato sui materiali.
Pensando a paesi più vicini a noi, esiste una lunga lista di questo tipo di scoperte
accidentali, basti pensare alla stampella usata come antenna per automobile
oppure alle calze trasformate in una cinghia d'emergenza. E che dire dei tanti
materiali del mondo industriale? Che ruolo svolgono nella nostra mente e nella
comprensione dei materiali?
Al centro della nuova ossessione del design per i materiali e per la tecnologia, c'è il
desiderio di innovare, ovvero di utilizzare i materiali in modo nuovo e di scoprire
nuovi modi di utilizzazione di vecchi materiali.
Molteplici appaiono peraltro gli esempi di come una reazione intuitiva ad un
evento quotidiano possa essere trasformata in "affermazioni di design" in grado di
CAPITOLO
Chris Lefteri
III_designing
Abducted materials
Bina Baitel, Pull Over, lampada in
silicone e fibre ottiche, VIA, Paris, 2008
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CAPITOLO
III_designing
capovolgerne i concetti prestabiliti in particolare riguardo la funzione di alcuni
materiali. Tutto sommato, non è questo quello che cercano di fare i designer?
Voglio dire, quante persone hanno giocherellato con la carta dei bastoncini nel loro
ristorante cinese mentre discutevano animatamente o hanno usato gli origami per
dar forma alla carta delle caramelle mentre guardavano un film al cinema? Questi
"scarabocchi materici", tradiscono un'inconscia analisi sia del pezzo di carta in sè,
sia dei diversi modi nei quali lo si può piegare per realizzare una mini-decorazione
natalizia o un micro-pupazzo, oppure l'appoggio per i bastoncini dopo il loro
utilizzo. Questi sono esempi basati sull'uso dei materiali a livello istintivo.
Un'operazione a più grande scala è quella di Leepu Awlia che dal suo garage, nel
cuore di una delle città più congestionate del mondo, disassembla metodicamente
vecchie automobili arrugginite, trasformandole in macchine nuove che sembrano
uscite dallo studio torinese di Pininfarina. Come un abile artigiano, tratta le lamine
d'acciaio come se stesse realizzando un vestito su misura, facendo attenzione alla
resistenza di un materiale che ha preso una certa forma. Lui usa questa
conoscenza istintiva per creare nuove forme senza utilizzare il metodo tradizionale
di disegnarli prima. Il suo approccio al design, dettato dalle possibilità e dai limiti
dei materiali rispetto alla forma e alla struttura, è un risultato di questo tipo di
processo piuttosto che sul metodo tradizionale del disegno.
Oppure Ben Wilson che, nei verdi sobborghi a nord di Londra, sfrutta quello che è
un problema intrinseco alla gomma da masticare, utilizzando questo materiale
incredibilmente duraturo come una "tela" originalissima per decorare il pavimento.
Questa forma di gomma sintetica è così difficile da rimuovere che diventa una
forma permanente di decorazione stradale.
Edwin Gardner prende spunto dagli edifici in rovina per creare nuove prospettive
basate su simbolismo e decorazione, trasformando le facciate segnate dai fori di
proiettile in bellissimi muri illuminati di notte. Superfici create quasi più
involontariamente che deliberatamente, servono per interpretare un materiale
danneggiato in chiave moderna. Questi esempi mettono in discussione la
definizione stessa di materiale, perché usano ingredienti strani come la gomma, la
Edwin Gardner, dal workshop
“Rescripting Beirut”
Leepu Awlia, car ispirata ai
modelli di Lamborghini e
Ferrari, Dhaka
Ben Wilson, decorazioni in
gomma da masticare su
asfalto stradale, Londra
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III_designing
design - per associare le proprietà della miriade di materiali (naturali o fabbricati
dall'uomo) e di processi ora a disposizione, ai nostri bisogni quotidiani."
È così che le due estremità della creatività, designer e fornitori di materiali, hanno
dovuto affrontare il compito, apparentemente terribile, di lavorare insieme. Società
come Materio in Francia e 100% Materials in Inghilterra, hanno aiutato ad
accrescere la conoscenza delle sempre maggiori possibilità nel campo dei materiali.
Ma questo è solo l'inizio del processo progettuale. Una volta che si è scoperto o
trovato un materiale, ci vuole un altro sforzo per gestire il processo d'innovazione e
utilizzare questi materiali in nuovi prodotti. Il passo successivo sarà infatti trovare
nuovi strumenti per poter utilizzare concretamente i materiali. Come dice Thackara,
la chiave affinché i designer adoperino i nuovi materiali non è solo una questione
di quanto sia disponibile l'informazione, ma di come questa sia mostrata. Oggi i
designer non sono più limitati nella loro creatività da una specifica famiglia di
materiali come legno, plastica e ceramica, visto che i limiti tra queste famiglie sono
sempre più labili. I progettisti prendono decisioni sui materiali secondo le loro
qualità tattili, visive ed emozionali e non solo in base alle qualità tecniche. E visto
che i designer passano la maggior parte del tempo davanti ad un computer
"sporcandosi" sempre meno le mani con i materiali, risulta ancora più importante
oggi di quanto non lo fosse in passato, che la vasta gamma di materiali e processi
a disposizione siano comunicati in modo naturale e istintivo, tanto quanto è
naturale ed istintivo piegare la carta che avvolge una caramella.
CAPITOLO
terra, i vetri rotti o parti arrugginite di automobili.
Tutto ciò va oltre il re-utilizzo e il movimento ambientalista. Ha a che fare con la
natura della provvisorietà e con l'uso di materiali non-permanenti per creare nuove
funzioni. Queste persone non solo fanno di necessità virtù, ma riescono a fornire
anche delle soluzioni anarchiche ai concetti prestabiliti di funzione. Questi progetti
comprendono una serie di scoperte accidentali, che analizzano i materiali normali in
modo nuovo, senza l'ausilio di alta tecnologia o di banche dati di materiali. Con
l'enorme quantità di informazione sui materiali innovativi attualmente a
disposizione dei progettisti, l'enfasi dovrebbe essere sui modi con cui questi
materiali possono essere integrati nel processo di design durante una fase più
critica, una fase dove il materiale diventa la spinta per l'innovazione, piuttosto che
riproporre il tradizionale processo creativo secondo cui il designer utilizza solo i
materiali conosciuti e testati e alla fine del processo creativo.
Personaggi come Ben Wilson e Leepu Awlia pongono l'accento sulla ricerca di
nuove identità per i materiali, ricollocando le loro proprietà in modo istintivo.
Potremmo considerarli degli "scarabocchi tridimensionali" oppure degli esercizi di
brainstorming tridimensionale dove le proprietà di un materiale sono state
analizzate, mischiate e inserite in un contesto nuovo. Questi esempi potrebbero
anche fornire un indizio ai progettisti su come separare ed utilizzare queste
proprietà materiali e queste potenziali esperienziali in modo nuovo. Questa idea
trova conferma nel libro di John Thackara, In the bubble: Designing in a Complex
World. Nel libro Thackara scrive: "Ci vuole uno sforzo cosciente - uno sforzo di
Marc Newson, Voronoi shelf, libreriascultura (a sinistra), ed Extruded table
(a destra), entrambi in marmo bianco
di Carrara, foto di Lamay Photo,
courtesy Gagosian Gallery, newe York,
2007
91
"Artigianato post-industriale" è il termine che io e Vanni Pasca abbiamo utilizzato
in occasione della mostra "Promise design" esposta alla Triennale di Milano
durante il Salone del Mobile 2005, poi in Germania nell'ambito del festival
berlinese "Design May" 2005 e in Danimarca al “Copenhagen International
Design Fair”.
Il concetto di "Artigianato post-industriale" esprime una delle peculiarità
dell’attuale design israeliano, relazionata alla particolarità del suo contesto
produttivo. Infatti, a differenza del contesto produttivo italiano dove migliaia di
aziende di piccola e media grandezza producono mobili e accessori rinnovando
ogni anno il loro catalogo, il contesto israeliano è quasi totalmente privo di
aziende design oriented. Qui, molti designer lavorano per l'industria della plastica,
nel settore dei prodotti medico-sanitari ed in quello dell’high tech. Poichè si tratta
di settori molto tecnici, in cui non è possibile sviluppare una poetica del progetto,
in quanto prevalgono esigenze legate ai processi produttivi, i designer spesso
danno sfogo alla loro creatività con l'autoproduzione, un’attività parallela al loro
impegno per l’industria, che permette di sperimentare autonomamente,
applicando anche tecniche sofisticate come quelle dell'high tech. Quest’attitudine
sperimentale alla produzione mette in atto una modalità molto particolare di
interpretare la tecnologia, che rappresenta una diversa filosofia dei giovani
designer israeliani di approccio alla realtà dell'innovazione.
Per spiegare questo concetto porterò alcuni esempi.
Yakuza Table è un progetto dello Studio Reddish, un tavolo in legno decorato.
Durante il “Salone di Colonia” ha vinto il premio "Inspired by Cologne" per il
Reddish studio, Yakuza Table,
autoproduzione, 2006
Ezri Tarazi, New Bagdad, tavolino,
Edra, 2005
"giovane design indipendente". La tecnologia applicata alla decorazione del
tavolo è la stampa digitale, che può essere applicata a superfici rigide e produce
una sorta di tatuaggio digitale. Si tratta della stessa tecnologia con cui si
stampano i grandi manifesti, utilizzata nel settore della cartellonistica
pubblicitaria. Diversamente dalla stampa tradizionale offset che utilizza le
pellicole, questa stampa si realizza direttamente sulla plastica o su altre superfici.
Nel caso di Yakuza Table il processo è stato adoperato per stampare sulle lastre
lignee, dopo avere ritagliato i cinque pezzi abbinati che creano il tavolo.
Nell'applicare il processo di stampa, il progetto recupera un valore culturale, in
quanto applica la tecnologia ispirandosi ai tatuaggi giapponesi della yakuza, la
mafia giapponese. Così la tecnologia diventa esplicita e si riappropria di una
tradizione socio-culturale, oltre che decorativa. E il mobile veste una caratteristica
umana.
New Bagdad, progetto di Ezri Tarazi, è un oggetto curioso che è stato messo in
produzione dall'azienda italiana Edra e contemporaneamente esposto come
prototipo più elaborato nella collettiva “Promisedesign”. È un tavolo il cui piano è
una sorta di mosaico realizzato con sezioni di estrusi in alluminio, la cui
composizione è rispondente alla mappa della città di Bagdad, in cui è visibile il
fiume Eufrate e le principali strade. Il progetto ha una sua storia, che inizia con la
collaborazione del designer con un'azienda produttrice di estrusi di alluminio.
Visitando l'azienda Ezri Tarazi è stato colpito dalla quantità di scarti e pezzi
difettosi messi da parte, che seppur prodotti con la tecnologia dell'estrusione,
come quelli classici degli infissi di alluminio, risultavano più organici, in quanto
CAPITOLO
Ely Rozenberg
III_designing
Attitudine sperimentale
93
autoproduzione, 1999
Tal Gur, Wrinkled chair in materiale
plastico, autoproduzione
Tal Gur, Sturdy Straws, sedia e pouf
realizzata con cannucce,
autoproduzione, 2002
differenti nelle sezioni e deformati con forme curve e casuali. Riflettendo sulla
problematica il designer ha convinto l'industria ad riutilizzare i pezzi di scarto, e
con il progetto New Bagdad ha stabilito una collaborazione con l’azienda per la
realizzazione di una produzione limitata.
C'è in questo progetto una poetica del pezzo industriale che fa riflettere su quanti
tipi di estrusi si consumano e su quanto ammonta lo sfrido della lavorazione in
questo settore. Quando il tavolo è entrato in produzione, il progetto è stato
variato e semplificato. Mentre il prototipo applicava centinaia di diversi tipi di
estruso, l'ingegnerizzazione ne ha ridotto il numero di componenti.
I materiali plastici e i loro processi produttivi sono tra i materiali con cui si
conducono sperimentazioni di un certo interesse. Israele è il secondo paese al
mondo produttore di oggetti in plastica per uso domestico. Il fenomeno forse non
è molto conosciuto, ma la concentrazione di industrie che producono oggetti in
plastica è molto grande. Tra le aziende leader c'è la Keter Plastic, un'azienda con
stabilimenti anche in Francia, Turchia, U.S.A., dotata di una grandissima
distribuzione. L'azienda è conosciuta per l'alta qualità del design, pur trattandosi
di oggetti semplici, di prodotti che si vendono nei grandi magazzini. In azienda
lavorano molti designer, che hanno acquisito un'approfondita conoscenza dei
processi produttivi. Ma poiché nelle mansioni che occupano non trovano molte
possibilità di espressione creativa, del tipo di quella che permettono le aziende del
mobile in Italia, i progettisti si adoperano in altri modi. Così per la tesi di laurea,
Tal Gur che già lavorava in fabrica, ha individuato come tema di ricerca la
tecnologia di stampaggio rotazionale. Questo processo è l'unico in cui la plastica
viene lavorata alla pressione ambientale, mentre l'iniezione, ad esempio, utilizza
alte pressioni atmosferiche. Inoltre utilizza stampi di alluminio, invece che in
acciaio, che sono in pratica dei grandi contenitori. La conoscenza esatta del
processo ha permesso al designer di inventare nuove modalità di applicazione
della tecnologia. L'intuizione fondamentale è stata quella di intervenire nella fase
di stampaggio per produrre una serie variabile, in cui ogni pezzo è leggermente
diverso dall'altro.
Frequentando la fabbrica, spesso succede che il designer ha delle intuizioni che
sviluppate possono attuare delle interessanti interferenze per la produzione. In
questo caso il design ha proposto la sua idea, ma non ha facilmente trovato il
consenso del responsabile di azienda, che all'inizio era molto scettico. Tal Gur ha
dovuto sperimentare per suo conto. Ha costruito un piccolo stampo l'ha messo in
un forno di casa. Imprimendo allo stampo un ciclo di rotazione, come nello
stampaggio rotazionale, è riuscito ad ottenere una lampada con una superficie
organica, cioè non liscia, lucida e precisa, come di solito sono gli oggetti realizzati
con i processi industriali, ma corrugata.
Tornato in fabbrica ha mostrato il risultato e ha ottenuto il consenso dell'azienda
per una produzione che porta oggi il marchio di autoproduzione Tal Gur, con la
quale il designer gira il mondo per la promozione delle sue creazioni che sono
commercializzate in molti negozi di Israele.
Svelerò adesso il segreto della realizzazione dei suoi pezzi. Anziché utilizzare un
normale stampo in allumino con pareti lisce, Tal Gur costruisce una gabbia che
definisce la forma dell'oggetto. Al suo interno inserisce dei fogli di alluminio, del
tipo di quelli che utilizziamo in cucina, che imprimono alla superficie esterna degli
oggetti stampati piccoli particolari e rugosità sempre diverse. Il processo usa la
tecnologia industriale dello stampaggio rotazionale, ma introduce in esso un
intervento artigianale, che lo rende più lento ma garantisce un risultato unico per
ogni pezzo prodotto.
Altri progetti di Tal Gur si basano sull'intervento in processi standard di
stampaggio: la lampada Eash, ad esempio, che ha la forma di un piccolo uomo,
con la testa girata sempre in modo diverso, una volta a destra, una volta a
sinistra, per effetto di una piccola variazione introdotta nel processo in serie. La
Wrinkled Chair è uno dei suoi primi progetti e risale al 1996, quando ancora le
industrie del mobile in Italia, come Kartell o Moroso, non avevano introdotto lo
stampaggio rotazionale nella loro produzione. Alcuni anni dopo hanno intuito il
trend del giovane design, ma hanno affidato l'incarico ai grandi nomi, privando
così i giovani innovatori, come Tal Gur, di riconoscimento.
Un'altra piccola innovazione apportata dal progetto nel processo di stampaggio
rotazionale è quella della colorazione in doppio processo. Nei progetti della
III_designing
lavorata per stampaggio rotazionale,
CAPITOLO
Tal Gur, Og, lampada a stelo in plastica
95
materiale plastico estruso,
autoproduzione, Israele, 2006
Yaron Elyasi, Darbuka stool,
autoproduzione, Israele, 2007
dove il dipartimento di ingegneria della plastica e i laboratori sono attrezzati con
macchine ad iniezione con le quali gli studenti possono interagire.
Yaron Elyasi ha cominciato a scuola a sperimentare con le tecnologie ad iniezione
della plastica. Successivamente ha comprato un estrusore usato e nel suo studio
ha realizzato una piccola produzione, dimostrando che l'estrusore è
un’attrezzatura industriale che può essere utilizzata anche in modo artigianale per
sviluppare diversi linguaggi del progetto con i materiali plastici.
Il segreto di Yaron Elyasi consiste nello sviluppo di una tecnica artigianale che
permette di modellare la plastica ancora morbida che esce dall'estrusore su uno
stampo aperto, imprimendo manualmente una rotazione allo stampo. Per
industrializzare il processo, la mano dell'artigiano potrebbe essere sostituita da un
braccio robotizzato. Inoltre Yaron Elyasi utilizza plastica di recupero, bottiglie e
altro materiale di riciclo. Autoproduce una serie di piccoli oggetti, come lampade,
realizzando anche gli stampi che sono divisi in piccoli pezzi per poterli estrarre
dall'oggetto solidificato attraverso un foro predisposto. Calibrando la disposizione
della plastica sullo stampo riesce ad ottenere diversi effetti di trasparenza o
strutture autoportanti a diverse resistenze. La tecnica permette di sperimentare
all'infinito con le materie plastiche.
Tempo fa gli è stata commissionata un'istallazione in un centro commerciale che
III_designing
Yaron Elyasi, poltrona realizzata in
CAPITOLO
lampada Luba e sgabello Pepe ci sono tre differenti colori della plastica. Di solito
con il rotazionale si ottengono oggetti di un solo colore. Per ottenere due colori
bisogna stampare in due fasi, togliendo l'oggetto in una prima fase dallo stampo
per reinserirlo aggiungendo plastica di un altro colore. Il processo è più lento,
assimilabile ad un processo artigianale, ma da un risultato originale per uso dei
colori e delle trasparenze.
L'esperienza progettuale di Tal Gur, dimostra quanto è importante per il design la
conoscenza dei materiali e dei processi unita alla sperimentazione, al controllo
delle caratteristiche del materiale.
Un altro progetto di Tal Gur è quello che utilizza come materiale di base le
cannucce di polipropilene. Le sedie che ha realizzato risultano morbide perché le
cannucce disposte al centro sono libere, mentre quelle nel bordo sono
termicamente saldate. Il polipropilene è un materiale che si salda facilmente in
presenza di calore. Il processo è stato realizzato artigianalmente con uno stampo
in legno, inserendo nella forma cannucce con diversa colorazione e poi portando
a qualche centinaia di gradi le parti da saldare con una superficie di metallo
caldo.
Altro designer israeliano che sperimenta con le materie plastiche è Yaron Elyasi.
Egli ha studiato allo Shenkar College of Engineering and Design di Ramat-Gan,
97
CAPITOLO
III_designing
ha realizzato con 200 lampade. L'impatto visivo dei suoi oggetti è unico e
difficilmente imitabile, anche se ci sono alcune industrie che lo hanno fatto.
L'azienda tedesca Koziol ha intuito le potenzialità della tecnica e in collaborazione
con uno studio spagnolo ha sviluppato il trasferimento dell'immagine materica di
questa plastica disposta caoticamente in oggetti realizzati industrialmente.
L'azienda produce un pannello componibile utilizzabile per realizzare dei separé. A
differenza degli oggetti di Yaron Elyasi, il processo industriale permette di
realizzare solo elementi piatti, bidimensionali. Riuscire a produrre industrialmente
e con questo linguaggio oggetti tridimensionali in plastica è per ora un impegno
troppo costoso in termini di ingegneria, ma sono convinto che arriverà anche il
momento di questi stampi.
Come dimostrano questi esempi, l’attidudine sperimentale del design, che spesso
si trova al margine dell'industria, è capace di influenzare e stimolare la produzione
industriale.
Andrea’s trust & Ayala Serfaty,
realizzazione della struttura delle
lampade in vetro
Andrea’s trust & Ayala Serfaty,
collezione Soma, lampade con
struttura in vetro e carte, 2006
99
Parlare di design con Marc Sadler, designer di origine austriaca ma oramai
naturalizzato italiano, è parlare di come l'ingegno di un uomo abbia saputo
trasformare le occasioni della vita in artefatti straordinari, al limite non solo delle
prestazioni, ma anche dell'immaginazione.
Una funzione complessa quella dell'innovazione nel design, che tiene conto di molti
fattori: tra cui l'idea, l'estetica, i materiali, il miglioramento della performance.
rappresentato una vera e propria rivoluzione nel campo sportivo, è nato dopo un
mio incidente sugli sci. Mi resi conto che le leve in acciaio allora esistenti, non
tenevano bene la caviglia e mi domandai: "perché non provare a realizzarne un
modello in plastica più ergonomico e performante?". Ecco allora che ne tentai una
prototipo artigianale realizzando due gusci identici termoformati direttamente nel
forno di casa e sviluppandone poi il prototipo vero e proprio insieme al signor
Caberlotto per una importante mostra di architettura: uno stampo piano, fatto di
due gusci simmetrici (lo scarpone era infatti ambidestro), al cui interno due
semisfere venivano a realizzare l'ingombro per i malleoli. Lo scarpone si fermava alla
caviglia ed in realtà non ha mai funzionato, ma da lì capimmo che c'era un mercato
enorme per innovare e per sperimentare non solo nuovi materiali, ma anche
processi, tecniche e soprattutto capimmo che c'era un enorme spazio per
l'innovazione estetica. Ne realizzammo così un'intera collezione da portare in una
fiera in Germania, dove tutti gli altri produttori si presentarono con scarponi da sci
in pelle nera o al massimo bordeaux. Noi invece, grazie all'uso della plastica,
avevamo introdotto il colore. Fu un vero e proprio successo! Iniziammo a realizzare
S.L.: Alla domanda se si possa parlare di limiti del design o se questo sia ormai fuori
controllo - ovvero travalichi i propri confini annettendo a sé campi e discipline un
tempo lontani - Sadler non ha dubbi.
M.S.: No. Non ci sono limiti al design. Sono della vecchia scuola nella quale vigeva il
senso dell'esthétique industriel, dove è il ragionamento e il buon senso che segnano
i confini.
I miei migliori progetti infatti, sono nati da un idea e dal bisogno di migliorare un
qualcosa che già esisteva. Il ragionamento ha fatto il resto. L'idea ad esempio dello
scarpone da sci Pioneer realizzato per la Caber nei primi anni '70, e che ha
CAPITOLO
Sabrina Lucibello
III_designing
Marc Sadler
Design al limite
Stockholm Design Week: Fibre
Evolution installation, Input Interiör
showroom
Tite Mite Lite Kite Megalite Gigalite,
Testo intervista tratto da S.Lucibello,
Foscarini, 2001. Famiglia di lampade in
(lim)+?= f (design), in DIID Disegno
fibra di vetro e di carbonio realizzate
Industriale Industrial Design n”26,
con rowing technology, premio
2007, Rdesignpress, Roma
Compasso d’Oro 2001
101
S.L.: Alla base di ogni progetto c'è dunque un'idea o un avvenimento personale che
si trasforma in un'occasione progettuale.
M.S.: Nel mio caso è proprio così. Ad esempio l'immobilizzatore per il ginocchio
realizzato insieme ad una fondazione no-profit di medici americani, nasce da
un'idea sviluppata in seguito ad una mia operazione al ginocchio. Questo
immobilizzatore di plastica, riduce infatti i tempi di recupero post trauma, evitando
sclerosi e riabilitazione e, pur immobilizzando la parte fratturata, permette all'arto di
articolare i movimenti principali.
III_designing
S.L.: Il compromesso - oggi marketing - e il saper ascoltare dunque, come uno dei
fattori dell'innovazione che spinge al limite l'esthétique industriel?
M.S.: Quando ho iniziato a lavorare pensavo di aver capito tutto del design, avendo
appreso il senso del binomio (forma+funzione), ma poi con il tempo ho compreso
che non era affatto così e che il design ha bisogno di un'attenzione particolare alla
"pelle", all'estetica, al marketing.
Per Serralunga infatti, ho realizzato una serie di lampade utilizzando una tecnica
oramai largamente in uso in molti settori - il rotational moulding - ma intervenendo
sulla superficie dell'oggetto che veniva come graffiata attraverso una particolare
macchina ideata per l'occasione (con un carrello e una vite senza vite), che rigava la
pelle dell'oggetto realizzando una sorta di intreccio sempre diverso e che più che
decoro è una vero e proprio esempio di come un materiale si potesse plasmare in
mille modi differenti.
Più forte è il materiale, più io faccio del non design, giocando sulle superfici con
piccoli accorgimenti che ne aumentano il comfort, concentrandomi cioè sulla
materia.
CAPITOLO
scarponi per i giapponesi, per gli americani, sempre uguali all'interno, ma sempre
diversi all'esterno e che perciò andavano incontro ai gusti e alle aspettative degli
utenti. La piccola azienda di Montebelluna, oggi Caber, passò da una produzione di
120.000 paia l'anno a 1.650.000 scarponi venduti, portando l'azienda dal 10° al 2°
posto tra i produttori mondiali.
Diciamo che sotto ogni prodotto c'è un sotto-progetto di base vicino all'ingegneria,
a cui si affianca l'estetica che lavora sul colore, sulla superficie e sul materiale.
S.L.: Lei ha lavorato molto per il settore sportivo, dove uno dei fattori chiave
dell'innovazione è il superamento dei limiti in relazione alla performance.
M.S.: Nello sport il limite è portato all'estremo in ogni senso, anche nel realizzare
una ciabatta. Ne è un esempio quella che ho progettata nel 1995 per Nike, in EVA un materiale plastico espanso atossico, stampato ad iniezione in grado di
galleggiare - e che, da semplice oggetto tecnico, si trasforma in vera e propria
protesi di design sempre con una speciale attenzione all'estetica del bello, però.
Ci sono poi altri prodotti studiati a posta per gli atleti e che diventano poi
indispensabili per la sicurezza di tutti i giorni, non solo per gli sportivi. Nel 2002 ad
esempio, con Lino Danese avemmo l'idea di realizzare un paraschiena che
proteggesse la spina dorsale durante le gare motociclistiche e che al tempo stesso
fosse utile nel supportare lo sforzo del pilota: il paraschiena Wave, appunto.
S.L.: È stato così, sempre con il signor Caberlotto, quando nacque la Lotto?
M.S.: La Lotto, esordì con la produzione di calzature per il tennis, e solo
successivamente entrò nel settore delle calzature e dell'abbigliamento sportivo, in
particolare nel calcio (poi nel basket, atletica, pallavolo). Durante i suoi primi 10 anni
Lotto si concentrò sul mercato italiano divenendo entro la metà degli anni '80, uno
dei marchi di riferimento nel settore dell'articolo sportivo e, accanto al settore
performance, calcio e tennis, l'azienda iniziò a proporre calzature e abbigliamento di
ispirazione sportiva per il tempo libero.
Proprio in questo settore all'inizio facemmo degli errori perché ci ostinavamo a
pensare alla scarpa sportiva come ad uno scarpone, ma una cosa avevamo capito:
era sull'innovazione, anche estetica, che si basava il successo di un prodotto.
Marc Sadler, guanto, ginocchiera e
cavigliera, Dainese
Marc Sadler, Wave, paraschiena,
Dainese 2002
103
III_designing
S.L.: Abbiamo detto che all'origine di un'innovazione vi è un'idea o un bisogno,
intervengono poi il ragionamento e l'estetica. Vi sono altri fattori che entrano nella
funzione - se così si può dire - che si spinge ai limiti del design?
M.S.: Il materiale è certamente uno dei fattori più determinanti che spinge il
designer a superare i limiti del progetto.
Volendo realizzare per Boffi una maniglia per cucina, ad esempio, nacque Alukit: un
sistema cucina rivoluzionario, completamente cavo all'interno e che, per così dire,
trasporta il vuoto. Un sistema ben diverso dagli altri sistemi cucina, dove una serie di
elementi verticali e orizzontali si vanno a comporre per realizzare una scatola. Sono
partito dal materiale e dalla mia esperienza sviluppata per Nike, dove avevo
imparato ad utilizzare i materiali al 100%, per realizzare una cucina superleggera.
Lo stesso accadde quando per Foscarini, sempre basandomi sulle proprietà
intrinseche ed estrinseche dei materiali, decisi di valorizzare la trasparenza della fibra
di carbonio, utilizzata fino ad allora in prevalenza per attrezzature sportive come sci,
mazze da golf, racchette da tennis, ecc. Questo materiale infatti, è resistentissimo e
lavora come i tendini di una mano, secondo le fibre. Ma che succede se, invece di
sfruttare questa proprietà del materiale, si lavora sulla trasparenza? Sulla bellezza?
Un progetto ambizioso, una semplice idea e ben quattro anni di progetto con
l'obiettivo di tirare al limite la qualità estetica del materiale, oltre che quella tecnica:
nasce così la famiglia di lampade Tite Mite Lite Kite MegaLite GigaKite, premio
Compasso d'oro ADI 2001. Una linea di lampade dove, oltre alla trasparenza,
stupisce il controllo delle fibre a cui non si chiede, come al solito, di essere rigide,
ma di mantenersi costantemente flessibili.
Lo stesso può dirsi per Tris, il progetto di una sauna-doccia-hammam realizzato per
Ideal standard, in cui si richiedeva al materiale - uno speciale legno - di resistere
indifferentemente a condizioni di caldo secco, vapore, caldo umido: una vera sfida
in cui ho usato il progetto per realizzare un prodotto diverso, trovando il materiale
giusto. Molto spesso, al contrario, mi capita di trovare un materiale e di
immaginarne un utilizzo. Mi rivolgo al produttore, chiedendo di trasformarlo,
plasmarlo, utilizzarlo in un modo nuovo … il produttore all'inizio non capisce, ma
poi insieme troviamo il modo per innovare. Dirottare un materiale da un settore
all'altro è per me uno sport. Questo per dire che c'è un'altra cosa che con il tempo
mi è stata via via sempre più chiara: non ci sono limiti al design se esistono i benefit
e soprattutto se si instaura quel rapporto uomo a uomo tra designer e imprenditore,
tra designer e tecnico. Un incontro tra due individui pronti a travalicare i limiti di
processo e di prodotto, ad innescare quel procedimento che si chiama transfer
tecnologico e che comunque parte dal ragionamento. Si può innovare in molti
modi, come ho fatto ad esempio migliorando i processi produttivi come nel caso
delle macchine ad iniezione che erano tutte in orizzontale, con grande spreco di
spazio e scomodità. Ebbi l'idea di farle in verticale: da lì un limite - questa volta
fisico - di nuovo superato; oppure quando per Caimi Brevetti abbiamo realizzato
Big, la libreria in alluminio estruso di forte spessore con ripiani in lamiera di acciaio
piegata al limite della propria resistenza, con un interasse tra i montanti di 160 cm e
sistemi di aggancio invisibili.
Si può innovare spingendosi anche ai limiti di quello che si chiama design, ovvero
realizzando un prodotto a forte contenuto tecnico come una serratura, così come
ho fatto con Beretta, semplicemente lavorando sulla materia e rendendo l'oggetto
bello e accattivante.
Lo stesso "fascino progettuale" può dunque averlo un paio di forbici, un cacciavite,
uno strumento per dentista. Insomma … il limite del design si è rotto!
CAPITOLO
Nessuno però voleva testarlo in gara e si sa, quando un pilota non indossa quel
determinato oggetto, nessuno vuole acquistarlo! Un giorno però, l'allora campione
del mondo Kenny Roberts decise dopo molte insistenze di provarlo. Durante il giro
di prova malauguratamente Roberts fu coinvolto in un terribile incidente e cadde
ma, grazie al nostro paraschiena, si salvò la vita.
Da allora in molti mi hanno scritto per ringraziarmi di aver salvato loro la vita.
Marc Sadler, ciabatta in EVA, Nike,
1995
Marc Sadler, Wave, paraschiena,
Dainese 2002
Marc Sadler, prototipo di scarpone sci
105
Progetto e tecnologie per l'arte contemporanea
III_designing
Negli ultimi dieci anni ho avuto modo di applicare gli strumenti tradizionalmente
legati alle discipline dell'architettura e del design allo specifico dell'arte
contemporanea. Questo lavoro particolare e border line ha generato risultati
interessanti.
Sono numerosi i progetti che ho realizzato a partire dalla collaborazione con artisti
di rilievo internazionale per gallerie, fondazioni, musei d'arte contemporanea e spazi
pubblici. Tutti presentano un elevato grado di complessità e prevedono l'inserimento
di contributi di discipline parallele. Competenze progettuali, conoscenze
ingegneristiche, ricerche e sperimentazioni di materiali innovativi e di tecnologie
sofisticate si fondono per la realizzazione di un'opera, al servizio quindi dell'arte
contemporanea. Il progetto diventa in questo caso un'importante occasione di
ricerca e di interazione con figure diverse che operano in ambiti differenti. Bisogna
sviluppare la capacità di condensare saperi diversi, di dialogare con molteplici
interlocutori, di raccogliere competenze differenti e quindi la capacità di mettere a
sistema e di elaborare i dati che provengono da più parti, al fine di realizzare un
prodotto di qualità. Questo vuol anche dire che il progettista deve assumere il ruolo
di regista dell'opera.
Lavorare con e per artisti di grande fama mi ha certamente allenato a quello che
definisco "pratica dell'ascolto". Questa pratica presuppone innanzitutto lo sviluppo
di una sensibilità attenta: lo studio e l'avvicinamento al percorso intrapreso
dall'artista, saper vedere, la capacità di ascolto e di dialogo, la ricerca di un'intesa e
di una sinergia che porti alla realizzazione di un'opera espressione del rapporto
costruito tra gli attori coinvolti.
CAPITOLO
Marco Della Torre
Mariko Mori, Wave UFO, foto
marcodellatorre.studio
A tale pratica si affianca l'indispensabile sapere tecnico.
Fondamentale è stata anche la collaborazione con una rete internazionale di
aziende specializzate. Assieme al mio studio di Milano abbiamo sviluppato una
particolare attenzione agli aspetti strutturali e tecnologici tesa a rivelare le
potenzialità inespresse dei materiali.
Le esigenze specifiche e le problematiche presentate da ciascun progetto che
abbiamo affrontato mi hanno portano alla ricerca di soluzioni sempre differenti
arricchite dalle potenzialità espressive proprie di materiali e processi produttivi
innovativi, da metodi spesso attinti da altri saperi che vengono poi dal mio studio
esercitati al servizio dell'arte.
Nell'ambito delle diverse metodologie esecutive l'estensione dell'applicazione delle
tecniche di prototipazione rapida, generalmente utilizzate nella progettazione e
nella produzione industriale, alla costruzione di un'opera d'arte fornisce un
importante contributo in grado di offrire una pluralità di risultati altrimenti non
raggiungibili.
107
Prada
Pierre Huyghe, Float, foto di
marcodellatorre.studio
Mariko Mori, Aliens, stampo del corpo
in Technogel, foto di Luca Tamburlini
Ogni progetto è diverso in termini di contenuti e di obiettivi. Quasi sempre la
costruzione di un modello tridimensionale matematico consente di analizzare gli
elementi e le superfici dell'oggetto ottenendo un elevato livello di definizione e
facilitando le successive fasi di lavorazione. Il modello virtuale così elaborato
costituisce la base per le tecniche di prototipazione utilizzate dalle aziende (fresatura
a controllo numerico, stampa tridimensionale, stereolitografia, fusioni per mezzo di
stampi realizzati a controllo numerico, tagli controllati, ecc.) che, grazie al livello di
precisione che possono conseguire, permettono spesso la risoluzione di
problematiche complesse.
La costruzione della Biglia A14 km 50 installata sul limite dell'autostrada ad Imola,
ideata da Alessandra Andrini in ricordo del noto ciclista Marco Pantani, rappresenta
un interessante esempio di tale applicazione: le difficoltà esecutive date dalle
notevoli dimensioni della calotta trasparente, una semisfera di quattro metri di
diametro, sono state risolte attraverso l'utilizzo di stampi in fusione alluminio
successivamente fresati a controllo numerico. Gli stampi sono stati utilizzati per la
termoformatura delle lastre di metacrilato per realizzare i singoli spicchi,
successivamente assemblati.
Nell'ambito di un’innovativa interazione tra tecnica e arte l'opera è dunque frutto di
un complesso lavoro di ricerca e sperimentazione spesso condotto in collaborazione
con un team di aziende specializzate: è il caso di Wave UFO, installazione che ho
progettato e realizzato per l'artista giapponese Mariko Mori, e che stata esposta in
diversi musei in Europa e in America.
Wave UFO è una cellula interattiva, lunga dodici metri e alta cinque, che esprime
leggerezza, perché accompagna lo spettatore verso un'esperienza onirica, fluttuante
e sospesa in una dimensione spazio-temporale aliena, ma anche perché
effettivamente deve rispondere ad esigenze statiche e di trasporto.
L'originale configurazione della sua forma è stata ottenuta attraverso la
modellazione tridimensionale di ciascun elemento, lo studio dei comportamenti
statici, e per mezzo dell'utilizzo di materiali e tecnologie innovativi: da un tamburo
in alluminio si irradia una costolatura fatta di travi in poliuretano espanso fresato a
controllo numerico, rivestite di vetroresina. Le travi così ottenute sono state dotate
di testate in fusione di magnesio, un metallo che presenta le stesse proprietà
meccaniche dell'alluminio ma una maggiore leggerezza. L'involucro esterno è
costituito da pannelli sandwich di vetroresina e schiuma espansa realizzati mediante
stampi fresati a controllo numerico. La particolare vernice iridescente di finitura
esterna della cellula, frutto di un anno di ricerca che ho portato avanti presso un
centro sul colore di una nota azienda italiana, è stata applicata mediante ciclo di
carrozzeria.
All'interno della capsula interna alla cellula ho utilizzato il Technogel, un materiale
ad uno stato intermedio tra liquido e solido, per realizzare le sedute. Anche in
questo caso sono stati utilizzati stampi realizzati con frese a controllo numerico.
L'esperienza sensoriale voluta dall'artista si avvale inoltre di sofisticati sistemi
tecnologici di animazione e visualizzazione interattiva: nello spazio della capsula
interna tre spettatori per volta vengono connessi ad una serie di elettrodi applicati
sulla fronte, e interagiscono attraverso una rilevazione delle proprie onde celebrali,
con immagini tridimensionali proiettate su uno schermo semisferico. L'opera
visionaria conduce a un luogo ideale e senza tempo, a una dimensione virtuale
III_designing
Attilio Maranzano, courtesy Fondazione
CAPITOLO
Marc Quinn, Frozen garden, foto di
109
foto marcodellatorre.studio
Marco della Torre, biglia A14 km 50,
courtesy Alessandra Andrini
Pierre Huyghe, Float, interno, foto di
marcodellatorre.studio
blocco. Il tank è stato riempito con 30 tonnellate di olio siliconico, un prodotto che
mantiene le sue caratteristiche di viscosità e trasparenza fino a -50° C. La forte
spinta data dalla massa di olio siliconico ha comportato la definizione di particolari
telai in acciaio inox di contenimento riscaldati da una serie di resistenze a calza
metallica per evitare fenomeni di condensa. La parete trasparente è stata realizzata
con lastre di vetro riscaldante stratificato, regolate da un sensore per monitorare la
sua temperatura.
L'esecuzione di questo complesso sistema allestitivo ha comportato anche la
risoluzione di numerosi problemi strutturali e costruttivi. Per poter sostenere
l'elevato peso dell'oggetto è stato innanzitutto necessario creare delle fondazioni
adeguate, attraverso iniezioni di cemento armato effettuate nel pavimento della
fondazione. Il cesto di acciaio inox contenente le diverse essenze del giardino è
stato calato nel tank attraverso un carroponte, che abbiamo progettato per
l'occasione, dotato di carrucole controllate da quattro motori gestiti da un computer
industriale.
Il Frozen Garden è un prototipo, una grande macchina, un condensato di
tecnologica continuamente monitorato, un vero e proprio oggetto che coinvolge
arte, strutture e design. L'espressione artistica si manifesta dunque con molteplici
modalità, in un processo di crescita che evolve dall'idea originaria e spesso astratta
dell'artista, per arrivare a definire le sue possibilità realizzative.
Un campo di esplorazione inedito affrontato con alcuni artisti è rappresentato dalle
strutture gonfiabili. In collaborazione con un'azienda del settore ho messo a punto
una serie di soluzioni innovative per la realizzazione di alcune installazioni. I nostri
III_designing
Marco della Torre, biglia A14 km 50,
CAPITOLO
generata dall'energia del cosmo.
Assieme a Wave UFO ho progettato e realizzato anche l'opera Aliens sempre per
conto di Mariko Mori. Pupazzi interattivi realizzati con le più avanzate tecnologie in
termini di stampi e fusioni.
L'interazione tra sperimentazione tecnologica e ricerca della qualità estetica si
ritrova anche nelle installazioni che ho progettato per la Fondazione Prada: Dream
Temple di Mariko Mori, Upside Down Mushroom Room di Carsten Hoeller, Frozen
Garden di Marc Quinn.
Il Frozen Garden è nato dalla collaborazione con Marc Quinn, artista londinese,
esponente di punta della young british art che da anni conduce una ricerca sulle
possibilità offerte dai fluidi alla variazione di temperatura. Dall'esperimento fatto
con alcuni fiori, ibernati all'interno di box di vetro contenenti olio siliconico a bassa
temperatura, si è sviluppata l'idea di riprodurre un vero e proprio giardino
congelato, un ambiente naturale costituito da piante provenienti da diverse parti del
mondo. Una sorta di giardino immortale, un Eden trasognato e irreale.
Il processo di realizzazione dell'opera ha dovuto affrontare una serie di
problematiche molto complesse: la difficoltà di portare a una temperatura di -25° C
una massa di 30 tonnellate di olio siliconico; la capacità di resistenza dei diversi
materiali a tale temperatura, il sistema di illuminazione, la metodologia di
esecuzione. L'installazione è costituita da una cella frigorifera di acciaio inox dotata
al suo interno di una parete totalmente trasparente. All'interno della cella è stato
inserito un grande tank in acrilico di 8x3x3 metri le cui pareti, di 10 centimetri di
spessore, sono costituite da una serie di lastre fuse assieme fino a formare un unico
111
CAPITOLO
III_designing
modelli tridimensionali vengono in questi casi gestiti da un software che ne elabora
i dati e crea lo sviluppo idoneo per la fabbricazione in materiale tessile dell'oggetto
plastico. In seguito le pezze vengono tagliate grazie alle tecnologie a controllo
numerico.
Da questa esperienza sono nate le sagome in Tyvek sospese nel vuoto immaginate
da Emilio Fantin per il GAM di Bologna; l'opera Float dell'artista francese Pierre
Huyghe che abbiamo realizzato per il Castello di Rivoli Museo di Arte
Contemporanea con Tyvek e palloni ad elio in PVC termosaldato, fino ad arrivare al
mio progetto del Bruco di Zona Tortona per il “Salone del Mobile” di Milano
2005/06, la più grande architettura d'aria gonfiabile e abitabile al mondo.
Marco Della Torre, il Bruco, interno,
foto di marcodellatorre.studio
Marco Della Torre, il Bruco di Zona
Tortona, Salone del Mobile 2004, foto
di Luca Tamburlini
113
Il secolo passato ha reso manifesta l'intelligenza della materia ed espresso tramite la
creazione di nuovi materiali le potenzialità progressive implicite nella tecnologia.
Senza tali premesse la parola design perderebbe oggi il suo senso, rischiando di
avere una storia inevitabilmente meno significativa e ricca. Pensiamo solo alle
plastiche e ai materiali polimerici, ai legni multistrato e lamellari, alle nuove
ceramiche e al più recente contributo di nanotecnologie nel mondo dei metalli e del
tessile.
Ma, quando pensiamo all'intelligenza prodotta dalla tecnologia fatichiamo spesso a
darne un corpo, ad immaginarla come qualcosa di fisicamente tangibile,
paragonabile ad una materia. Forse ci viene più facile assimilarla ad un flusso
invisibile, alle velocità fotoniche, ai processi extrasensibili, ad una dimensione quasi
energetica. L'intelligenza sembra forse coincidere con l'immaterialità, quasi fosse
una dimensione spirituale ed evanescente al tempo stesso, razionalità allo stato
puro opposta alla materia. In verità oggi tra materia ed energia, tra sensi ed
intelligenza, le relazioni sono quanto mai aperte e dinamiche e la materia assomiglia
più ad agglomerati di energia, a curve che si intersecano l'una con le altre in campi
di possibilità.
In questi ultimi anni con lo studio Total Tool, ho avuto diverse e interessanti
occasioni per sperimentare e interpretare professionalmente tali dinamiche, in cui
appare chiaro, come dice Vilèm Flusser, quanto "la materia nel design, come in
qualsiasi ambito di cultura, è il modo in cui appaiono le forme". La forma è il
“come" della materia e il design conferisce forma alla materia, la fa apparire in quel
determinato modo.
Tracciare una mappatura esauriente è in tal senso impossibile, ma si possono
raccontare alcuni epifenomeni.
Nel corso del XX secolo non abbiamo solo assistito all'introduzione di nuovi
materiali, ma anche al conseguente cambiamento nella percezione del vissuto dei
materiali. Ogni nuovo materiale possiamo dire che spesso tocca e influisce sul
complesso mercato sia delle applicazioni quanto delle percezioni dei materiali stessi,
oltre che agire parallelamente sull'acquisizione della consapevolezza di nuove scale
temporali.
La questione ambientale, soprattutto negli ultimi dieci anni, ha effettivamente
generato dei nuovi "scenari della materia": la materia minima (riduzione della
fisicitá e aumento delle prestazioni), la materia medium (programmazione dei cicli di
vita) e la materia eterna (massima durata). In sintesi, la questione ambientale ha
rivoluzionato parte delle logiche di produzione e consumo dei materiali e sta
dettando gli scenari applicativi del prossimo futuro, unitamente alla nuova
"sensibilità sensoriale" del consumatore.
Inoltre negli ultimi anni i processi della globalizzazione hanno radicalizzato in
maniera evidente alcune mutazioni profonde, decretando la perdita della sequenza
lineare nella filiera produttore di materia prime - trasformatore - produttore di beni
finiti - mercato finale, evidenziando l'importanza strategica del ruolo a monte e non
a valle dell'innovazione e della necessità di "disegnare una prospettiva" da parte dei
leader.
Le nuove metodologie di progetto e di ricerca mostrano come cambia il modo di
proporre l'innovazione, che implica processi di co-design e partnership progettuali.
Questa mutazione si è prodotta e manifestata in numerose aziende come
evoluzione e integrazione delle funzioni aziendali rispetto al tema dei materiali, delle
finiture e dei processi produttivi, e il designer ha assunto un ruolo significativo e
strategico rispetto a tale tema.
Oggi è chiaro come il dettaglio tecnico ed esecutivo, l'esperienza fisica delle qualità
del prodotto, facciano parte della qualità globale ricercata dalle aziende, in cui la
qualità produttiva é un impegno dato per scontato e le qualità estetiche e
comunicative diventano il valore aziendale portante in senso profondo.
Occorre saper proporre l'innovazione e guidarla dall'innovazione di prodotto a
quella di sistema: nella competizione tra tecnologie/fornitori da un alto e dei mercati
finali dall'altro, contano le sinergie tra i diversi attori e la capacità di dialogo tra le
parti, per cui chi non si allinea alle tendenze dell'innovazione e ne cavalca
attivamente le problematiche resta escluso.
La soluzione, come alcuni dei progetti sviluppati all’interno di Total Tool in questi
anni, si mostra nel ricercare il dialogo con altri sistemi e diverse filiere produttive,
nell'individuare i settori commerciali che "tirano la volata" sul piano del prodotto
finale, nel saper sviluppare i servizi interni di consulenza progettuale per terzi e
nell'avere il coraggio di proporre azioni pilota e auto-gestite dall'azienda, con
partner di diversa natura.
Il design dei materiali in questi ultimi anni ha mirato, nei casi di successo, a non
affermarsi direttamente con i competitori tramite la conquista di nuove aree di
mercato, ma a rendersi riconoscibile come portatore di nuove tematiche centrali per
CAPITOLO
Giulio Ceppi
III_designing
Sensorialità sostenibile
115
Total Tool Milano, Andersen prodotti
III_designing
dinamica azienda del settore. Un esempio concreto di come la "materia-energia"
prima citata come metafora guida di questo intervento, prenda appunto forma e
identità, generando non solo un nuovo supporto, ma nuovi mercati e stili di vita,
modelli rituali che reinscrivono e rinnovano la nostra antropologia in nuove e
aggiornate forme, in una danza antica come il mondo stesso.
Terzo esempio è quello “Andersen Windows: trasparenti convergenze
performative”. La finestra rappresenta un archetipo di valore antropologico e una
componente socioculturale irrinunciabile. A partire da questa premessa,
apparentemente banale ed evidente, ma esplosiva se incrociata con quanto le
nuove tecnologie informatiche e la domotica ci propongono nell'immediato futuro,
abbiamo creato un percorso di ricerca e progetto con l'azienda americana Andersen
Windows, leader mondiale nel fenestration market con un fatturato superiore ai 4
milioni di dollari. Il progetto di esplorazione tecnologica iniziato nel 2000 è
articolato in varie tappe progettuali, ma con intenzioni commerciali decise, che ne
hanno fatto uno strumento con cui Andersen Windows si avvicina oggi a quella che
è stata internamente definita una new product category, con logiche produttive,
distributive e di comunicazione diverse da quelle delle precedenti finestre. L'incontro
tra diverse piattaforme tecnologiche (elettronica, informatica e componentistica
edilizia) ha creato un nuovo mercato, in cui i nuovi materiali e tecnologie, il design
e i nuovi concept sono la discriminante capace di dare valore e senso
all'innovazione e di comunicarne i benefici.
In occasione del National Building Show di Las Vegas, sono stati presentati
pubblicamente cinque prototipi che integrano diverse tecnologie e materiali, tra cui
cristalli liquidi, bio-led, microventilatori, pigmenti conduttivi, trasduttori di
audiofrequenze. I prototipi sono attualmente in fase di sviluppo per la certificazione
e collaudo, in attesa delle prime applicazioni sperimentali in una serie di target
homes.
Questi casi evidenziano quanto il design dei materiali e la creazione di processi di
innovazione si sta oggi confrontando con un nuovo terreno di riflessione. Al
riguardo, nel recente convegno da me organizzato insieme a Giacomo Mojoili,
vicepresidente di Slow Food, è emersa il concetto di “sensorialità sostenibile”. Con
questa espressione si auspica il coniugarsi della dimensione sensoriale e della
ricchezza fenomenologica, filtrata dalla consapevolezza cognitiva (e non solo dalla
fisiologia dei sensi), con la dimensione della sostenibilità ambientale e culturale,
ovvero rispetto dell'eco-compatibilità e sviluppo della bio-diversità: un incontro che
connette in una visione sistemica ed olistica i criteri di una produzione etica e
differenziale con quelli di un consumo ricco e cosciente, nella concertazione di
valori locali e globali.
La “sensorialità sostenibile” vuole mettere insieme il concetto di territorio con
quello di consumo, sapendo che la comprensione di un prodotto passa attraverso la
conoscenza delle fasi della sua lavorazione, e avviene per mezzo della tracciabilità
del suo divenire da materia prima a merce finale.
CAPITOLO
i diversi settori, promuovendo piuttosto l'innovazione dentro la cultura stessa di
settore. Provo a darne alcuni esempi concreti, per quanto assai differenti.
Il caso “Oikos fragrances: microvolumetrie dinamiche olfattive” è il progetto di
messa a punto di una nuova strategia applicativa per Oikos, azienda italiana che si
occupa di profumazione ambientale, attraverso una nuova ed esclusiva tecnologia
denominata “isola olfattiva”. Questa tecnologia consente la localizzazione e il
controllo spaziale della dimensione odorosa, utilizzando sistemi modulari in grado di
interagire con l'ambiente e le sue dinamiche d'uso: obiettivo un paesaggio olfattivo
realizzato ad hoc, gestibile nello spazio e programmabile nel tempo, di facile e
immediata gestione e di sicuro impatto emozionale. Si creano di fatto delle
"microvolumentrie odorose", delle isole invisibili, controllabili e progettabili per
forma, intensità, dinamica ed interazione.
Si tratta di poter progettare e realizzare effetti di profumazione ambientale,
valutando contesti e strategie di utilizzo e applicando di conseguenza in maniera
adeguata e personalizzata questa tecnologia, verificandone la disposizione spaziale,
il livello di integrazione tecnologica e di programmazione, oltre ovviamente la scelta
dell'essenza.
Il progetto della tecnologia delle isole olfattive è servito ad evidenziarne e a
comunicarne l’applicabilità in diversi contesti, pubblici e privati, in spazi commerciali
come in luoghi di lavoro o culto, in strutture di servizio come scuole, ospedali,
piuttosto che parcheggi e cinema, con il fine diverso di connotare e "brandizzare"
olfattivamente, rilassare o eccitare, piuttosto che depurare o svolgere funzioni
terapeutiche e curative.
Altro esempio è quello di “Trend VI: pelli ibride comunicanti”.
Il mosaico di vetro in tessere è un materiale nato oltre 2.500 anni fa, impiegato
nell'antichità da bizantini e romani per portare luce e luminosità all'interno delle
architetture e dei grandi spazi pubblici o privati. Oggi, attraversate epoche e stagioni
alquanto diverse, il mosaico in vetro è ancora un materiale di rivestimento di grande
fascino e attualità, ma di fatto non diverso da quello di oltre venticinque secoli fa;
sono invece cambiate le nostre abitudini abitative ed estetiche e ovviamente anche
le tecnologie legate agli spazi in cui abitiamo. Ecco allora che la logica digitale e
binaria, modulare e continua del mosaico ha permesso a Total Tool Milano di
integrarlo con le prestazioni delle nuove sorgenti puntiformi rappresentate dai LED
di nuova generazione e di conseguenza di poter creare, grazie alle loro stupefacenti
prestazioni, un sistema decorativo flessibile e programmabile, interattivo e
policromo. Abbinando la trasparenza del vetro ad una griglia modulare di punti
luminosi si realizzano infatti pareti a decoro programmabile, per esercizi estetici o
legati alla sicurezza degli spazi pubblici, in cui alimentare una cultura espressiva della
bassoluminescenza che integra un materiale millenario e una tecnologia emergente
e legata produttivamente più all'elettronica che alla nostra storia
dell'illuminotecnica.
I prototipi realizzati e proposti per il concorso “Intelligenza dei sensi”, promosso da
Material Connexion, sono ora in fase di sviluppo con Trend.VI, una giovane e
117
III_designing
del progetto negli ultimi anni.
Già in tempi passati, insieme ad Ezio Manzini, si parlava di “ecologia
dell'artificiale”. Oggi, a distanza di quasi venti anni, la “sensorialità sostenibile”
permette all'individuo di emergere finalmente come protagonista e attore primario,
riferimento centrale ed assoluto della scena ambientale. Nel nostro egoismo sociale,
non esiste ambiente migliore se non vi è un uomo migliore. La parola sensorialità,
senza alcun calvinismo o autolesionismo che ha in passato connotato spesso la
cultura ambientalista, pone invece al centro la godibilità dell'intero sistema,
naturale ed artificiale che sia, passando attraverso la coscienza critica e i valori etici
della cultura slow.
Speriamo che tutto ciò ci serva a costruire un mondo migliore poiché ne vogliamo
assaporare, preservare e produrre le parti migliori, e non solo per la paura
dell'autodistruzione o di apocalittiche conclusioni. Come progettista posso solo fare
questo augurio, sapendo che il progetto stesso è un'attitudine slow, complessa
socialmente, policentrica sensorialmente, e alla ricerca continua del suo stesso
equilibrio, come per ogni forma di vita del pianeta.
CAPITOLO
Quindi non serve il progetto che enfatizzi solo la parte finale di tale processo, che
celebri il consumo e l'esperienza in sé stessa, se non vi è coscienza del tutto, delle
relazioni, dei passaggi, di tutta la storia del prodotto. Questo, infatti, non è solo
materia o merce, non è solo esperienza, ma è la storia delle persone e delle specie
animali e vegetali che l'hanno resa possibile, i processi e le relazioni che ne
giustificano l'esistenza: il design serve a mettere in evidenza tali passaggi, valori e
proprietà. Il design racconta processi, permette relazioni, crea occasioni di incontro e
di scambio, sviluppa e produce nuove ciclicità.
Il progetto connette il micro con il macro, il locale con il globale, il singolo con la
comunità: non autocelebrazione da Salone del Design, ma creazione di piattaforme
di scambio, produzione di strumenti cognitivi, di nuove ritualità che accrescano la
nostra coscienza e conoscenza sensoriale.
Il design fornisce gli strumenti per la comprensione, aiuta l'interscambio culturale
attraverso la sua capacità di connettere linguaggi e codici distinti, traduce
esperienze da una dimensione originale e unica a situazioni condivisibili. Il design
favorisce il dialogo nella diversità, produce diversità, alimenta un quotidiano ricco e
denso. In tal senso ho già preso più volte le distanze dall'euforica traduzione di quel
“design dell'esperienza” di matrice americana che tanto ha spopolato nella cultura
Total Tool Milano, pelli ibride
comunicanti, ricerca per trend VI
Ingo Maurer, RoseRose Wallpaper, con
decoro a led, Milano, 2006
119
cattura odori utile ad esempio per la
diagnosi del cancro
Capitolo IV_objects
Philips Design, Smell è una sonda
Design
Grado Zero Espace R&D |
www.gzespace.com
Materiale
Liquid Shell_trattamento protettivo
www.d3olab.com
Grado Zero Espace
Prestazioni
Idrorepellenza, filtro UV-A e UV-B,
ottima resistenza all'abrasione, buona
resistenza al sudore acido e alcalino,
antimicrobico, antimacchia, atossico,
CAPITOLO
D3O_smart shock absorbers |
IV_objects
per la pelletteria | www.gzespace.com
trasparente, brillante.
LQ Jacket
Grado Zero Espace sviluppa nuovi materiali e
tecnologie da trasferire alle industrie allo scopo
di migliorare la qualità della vita, del lavoro e
dell'ambiente. L'azienda agisce da tramite fra
La Grado Zero Espace ha realizzato LQ Jacket, un giubbotto sportivo performante
progettato per le moto da strada. Il prodotto è il risultato dell'applicazione dei
materiali intelligenti, di tecnologie innovative e di un nuovo processo costruttivo con
brevetto internazionale. I miglioramenti delle proprietà fisiche e meccaniche del
materiale sono ottenuti garantendo la morbidezza del supporto esaltandone le
caratteristiche estetiche. Il LQ jacket associa infatti un piacevole effetto visivo ad un
notevole aumento delle performance. Il trattamento consente l'utilizzo di substrati
di minor spessore, con un notevole incremento della flessibilità e dell'elasticità del
materiale. Inoltre un sistema flessibile e lavabile, realizzato con un film
elettroluminescente è integrato nella parte posteriore e regolato da una centralina
nella tasca laterale della giacca, contribuisce ad aumentare la visibilità notturna.
vari settori industriali e i diversi ambiti di ricerca
tecnologica. Dal settore aerospaziale al settore
medicale. Inoltre possiede già il know-how
tecnologico per l'applicazione delle
nanotecnologie in strutture tessili, fibre,
compositi, nelle attrezzature per sport e negli
equipaggiamenti protettivi e di sicurezza.
Liquid Shell è l'innovativo trattamento protettivo brevettato dal team di Grado Zero
Espace progettato per l'uso specifico nel campo della pelletteria. Il processo
comporta un netto miglioramento delle proprietà della pelle fornendo un'ottima
resistenza all'abrasione ed ai raggi UV-A e B, nessuna infiammabilità ed una buona
resistenza al sudore acido ed alcalino. Il Liquid Shell risulta tenace, resistente agli
strappi e alla salinità, ideale quindi per gli sport estremi anche in ambienti marini in
cui le superfici sono sottoposte ad usura e a continui sbalzi termici. Tra le proprietà
dello scudo liquido le principali riguardano l'impermeabilità all'acqua, l'eccellente
resistenza all'abrasione e ai raggi UV, caratteristiche antimicrobiche e antimacchia,
resistenza alle alte temperature, composizione atossica, infiammabilità secondo la
normativa 16 CFR part 1610, ed una temperatura d'uso compresa tra -1C° a oltre
95C°. Tali caratteristiche rendono il LQ shell adatto per applicazioni nello sportswear,
123
l'automobilismo ed il motociclismo, la nautica, il design d'interni e la realizzazione
di accessori in pelle.
Il giubbotto è realizzato con pelle ultrasottile trattata con il nuovo processo Liquid
Shell accoppiata ad un tessuto dalle alte capacità termiche. Il trattamento Liquid
Shell ed il processo di accoppiatura degli strati hanno permesso di ottenere una
sottile superficie molto resistente, aumentando le capacità elastiche e mantenendo
il comfort e la vestibilità caratteristica della pelle. La struttura di LQ Jacket integra
l'inserimento dell'innovativo materiale prodotto dalla D3O lab, uno smart absorber
che protegge le zone esposte agli urti, come i gomiti, le spalle e la schiena.
L'innovativo polimero a memoria di forma, diversamente dalle attuali protezioni
molto rigide, è flessibile e morbido in condizioni normali ma reagisce all'impatto
diventando proporzionalmente rigido.
Materiale
SMA_Shape Memory Alloys |
www.smaterial.com
Prestazioni
D30.
Materiale realizzato con molecole
intelligenti in grado di assorbire
l'energia d'urto | www.d3o.com
D3O
La tecnologia D3O si basa su un materiale polimerico a memoria di forma composto
da molecole intelligenti che scorrono liberamente tra loro in condizioni di
sollecitazioni normali ma si bloccano formando un reticolo tridimensionale rigido in
condizioni di shock meccanico assorbendo l'energia dell'impatto. Considerate la
natura e le caratteristiche del materiale, il D30 ha numerose possibili applicazioni
soprattutto nel campo della protezione e sicurezza del corpo umano con
applicazioni nell'abbigliamento sportivo in guanti, calzature, corpetti ed elementi di
protezione a conchiglia. La protezione contro gli impatti in attività sportive è stata
finora risolta con elementi rigidi. Tali supporti non costituiscono la soluzione ideale
in quanto compromettono la libertà dei movimenti e le prestazioni atletiche in
contesti agonistici. La tecnologia d3o, invece, garantisce la massima libertà e
flessibilità dei movimenti con un alto livello di protezione contro gli infortuni.
G.D. & F.P.
Tessuto autostirante e a memoria di
forma, superelasticità, biocompatibilità,
CAPITOLO
Grado Zero Espace R&D
IV_objects
Design
leggerezza
Oricalco
Oricalco è una camicia tessuta con un metallo a memoria di forma composto al 50%
da una lega Nikel-Titanio. Questo speciale materiale permette di "programmare" le
maniche affinché si accorcino con l'aumento della temperatura e di stirare il tessuto
semplicemente indirizzandogli un getto di aria calda come quello del phon. La
struttura tessile prevede l'utilizzo di due comportamenti diversi del materiale,
progettati in fase di programmazione del filato estruso. La struttura tessile della
camicia è di tipo ortogonale, mentre in prossimità delle maniche è prevista una
lavorazione a serpentina per cui la lega si attiva ritirandosi. Oricalco vuole essere un
dimostratore tecnologico, simbolo della ricerca e della sperimentazione sui nuovi
materiali. La scelta del nome Oricalco proviene da un'antica legenda di Atlantide.
L'Oricalco era un gioiello composto da una lega metallica dalla quale gli Atlandidei
traevano l'energia. Questo monile si stringeva al polso sulla base della temperatura
del corpo. La camicia è un'idea, un concetto, un pretesto per sperimentare il
comportamento SME, Shape Memory Effect, in un settore di maggiore diffusione
come il tessile. In particolare Oricalco ha richiesto un studio ad hoc sul processo di
filatura e di tessitura, aprendo così nuovi argomenti per gli sviluppi futuri di questo
interessante materiale. Un progetto così particolare che ha permesso alla camicia di
essere inserita dalla rivista TIME tra le migliori invenzioni del 2001. Numerosi progetti
di ricerca hanno analizzato il sistema di tessitura della camicia Oricalco, indagando le
sue potenzialità anche in applicazioni medicali. Come il progetto SpaceBra,
sviluppato dalla Grado Zero all'interno del Technology Transfer Programme dell'ESA.
Si tratta di un sistema indossabile per il monitoraggio di funzioni vitali, integrato in
un reggiseno. Il sistema sfrutta la capacità superelastica e conduttiva del filato SMA
per rilevare i cambiamenti di forma localizzati e trasferirli in segnali elettrici ad un
125
Prestazioni
D30. Materiale realizzato con molecole
Resistenza all'impatto, alla
intelligenti in grado di assorbire
compressione, alla trazione, alla
IV_objects
Nanotubo di carbonio
CAPITOLO
Materiale
felssione, conducibilità elettrica
l'energia d'urto | www.d3o.com
opportuno dispositvo sul polso. Lo stesso progetto si è declinato in altre due aree
applicative, lo sport e la moda.
Nanotubi di carbonio
SMA
Il termine "Shape Memory Alloys" (SMA) indica la famiglia di materiali metallici che
possiedono la straordinaria capacità di ripristinare la loro configurazione iniziale se
deformati e successivamente sottoposti ad un opportuno trattamento termico.
Esistono varie leghe a memoria di forma ma le più interessanti sono quelle Ni-Ti
(Nikel-Titanio) con maggiore deformazione shape memory. Il fenomeno memoria di
forma è dovuto alla trasformazione di fase cristallina dalla fase Martensitica
(temperatura più bassa, facile deformazione) alla fase Austenitica (temperatura più
alta, configurazione più rigida). L'effetto SME, Shape Memory Effect, può essere
one-way (dopo il primo ciclo non subisce altre variazioni) oppure two-way
(deformazione reversibile). A seconda della tipologia, le leghe possiedono ulteriori
proprietà: la superelasticità e l'effetto damping. Il fenomeno della superelasticità si
sviluppa quando la lega è deformata sopra la temperatura di trasformazione.
L'effetto damping consiste nella capacità di dissipare l'energia ricevuta
trasformandola in altri tipi di energia, e questo avviene sotto la temperatura di
trasformazione Af. Le leghe a memoria di forma trovano il loro principale interesse
nello sviluppo di molti sensori ed attuatori, in quanto sono materiali capaci di
muoversi e di azionare altri dispositivi in relazione ad uno stimolo che ricevono. Le
potenzialità applicative delle leghe SMA (Shape Memory Alloys) sono molteplici così
come molteplici i settori di riferimento: dall'ingegneria civile, con lo sviluppo di nuovi
dispositivi di smorzamento, regolatori meccanici, idraulici ed elettrici, all'ingegneria
aerospaziale e militare; oltre che a dare un contributo sensibile per innovative
arecchiature medico-chirurgiche.
S.L., G.D. & F.P.
I nanotubi al carbonio usati come agenti rinforzanti dispersi in matrici polimeriche,
appartengono alla categoria dei nanocompositi polimerici. La dispersione di queste
nanocariche all'interno di resine rende possibile l'ottenimento di proprietà uniche. In
particolare per le proprietà meccaniche, come l'assorbimento all'impatto, la
resistenza all'abrasione, la leggerezza, ma anche per le nuove proprietà, elettriche
ed ottiche, che possono apportare alla mescola finale. L'estrema tenacità, unita alla
flessibilità, rende i nanotubi ideali per l'impiego dei materiali compositi ad alte
prestazioni, come sostituti delle normali fibre di carbonio, del kevlar o delle fibre di
vetro. Questi nuovi nanomateriali apportano un sensibile miglioramento delle
prestazioni al prodotto finale, estendendo il campo di utilizzo ad applicazioni non
possibili per i materiali convenzionali. L'uso delle nanotecnologie per lo sviluppo di
nuovi manufatti con forti contenuti di innovazione tecnologica, è oramai una realtà.
Lavorare nell'infinitamente piccolo per cambiare la faccia del mondo. Alterare la
struttura delle molecole per ottenere materiali migliori, oggetti più efficaci, più
duraturi, più in linea con le nostre aspettative di qualità. È la promessa racchiusa nei
nanotubi di carbonio, microscopiche particelle capaci di combinarsi coi materiali più
diversi, dai tessuti alle plastiche, dal cuoio fino alle leghe metalliche. Una sorta di
doping molecolare in grado di potenziare, con un intervento assolutamente
semplice, un'ampia gamma di performance: dalla resistenza all'abrasione alla
resistenza al calore e alla trazione, dalla leggerezza alla flessibilità. Grado zero ha
oggi il controllo di questa tecnologia dopo un lungo percorso di collaborazione con
la società di ricerca franco-americana che per prima ha sviluppato la ricerca. Grado
Zero espace ne ha acquisito l'esclusiva, che oggi indirizza a professionisti e aziende
interessati a varcare la soglia standardizzata dei materiali tradizionali.
127
I nanotubi sono costituiti, come dice il nome, da tubi cavi le cui pareti sono
composte solo da atomi di carbonio. Questi tubi, tuttavia, sono caratterizzati
dall'avere un diametro della cavità interna dell'ordine dei nanometri (milionesimi di
millimetro) e da una lunghezza che può arrivare a qualche millimetro (ma che
usualmente si aggira nell'ordine delle decine di micron, milionesimi di metro).
Il fatto che i nanotubi siano costituiti unicamente da atomi di carbonio legati tra loro
a formare una struttura rigida conferisce al materiale delle ottime proprietà fisiche e
meccaniche: il legame tra atomi di carbonio è il più forte legame esistente e, di
conseguenza, una opportuna struttura contenente questo genere di legami acquista
una resistenza alle deformazioni decisamente elevata. Alla base delle nanotecnologie
c'è l'idea di manipolare la materia, riproducendo atomo per atomo ciò che la natura
ha sempre fatto, consentendo la realizzazione di nuovi sistemi e dispositivi solidi. Le
potenziali applicazioni dei nanotubi al carbonio sono pressochè illimitate e vanno dai
nanocompositi polimerici con proprietà meccaniche migliorate, a tutte quelle
applicazioni in cui si necessitano di particolari proprietà elettriche, termiche e ottiche.
Design
Grado Zero Espace
compressione, resistenza a trazione,
resistenza a flessione, conducibilità
elettrica
Materiale
Membrana a memoria di forma (SMM)
Tessuto bielastico
TM
CAPITOLO
Resistenza all'impatto, resistenza a
IV_objects
Prestazioni
Turtleskin rinforzato
Quota Zero Jacket
Tuttavia gli sviluppi futuri che i ricercatori della Grado Zero espace stanno già
testando, vedono i nanotubi integrati in fibre e tessuti. Una fibra sintetica costituita
da nanotubi di carbonio sarebbe la più resistente mai fatta: è stato infatti calcolato
che un nanotubo avrebbe una resistenza alla trazione 100 volte superiore a quella di
una sbarretta di acciaio, ma con un peso 6 volte inferiore. E' inoltre da sottolineare
che i nanotubi non solo sono enormemente resistenti alla trazione, ma sono anche
caratterizzati da una notevole flessibilità, potendo essere piegati fino a circa 90°
senza che questo ne comporti la rottura o il danneggiamento. Questi importantissimi
lavori di ricerca, messa a punto e caratterizzazione delle proprietà ottenute stanno
fornendo ottimi risultati, che si traducono immediatamente in spunti di ricerca in
tutti quei campi in cui l'utilizzo di materie plastiche ad alte prestazioni porterebbe
enormi progressi, si pensi ai settori aerospaziale, dei trasporti, sportivo, tessile high
tech, ecc.
S.L.
Il progetto riguarda lo sviluppo di un indumento protettivo ad alte performance
disegnato per rispondere al meglio alle condizioni ambientali dell'alpinismo in alta
quota, nello specifico nelle aree oltre i 6000 metri. Nella progettazione della giacca
si è scelto di lavorare sulla leggerezza mantenendo, nel contempo, un elevato valore
termico. In questo modo diminuisce il numero di strati richiesti in un normale
equipaggiamento, ancora troppo pesante. Forte attenzione è dedicata al design
della struttura modellistica. Elemento di innovazione è l'integrazione del guanto con
la manica, in modo da risolvere il problema del suo smarrimento a causa delle forti
raffiche di vento. Sistema brevettato da GZE.
Un'altra innovazione è stata quella di dedicare un'apertura centrale allo scorrimento
della corda attaccata all'imbrago da arrampicata dell'alpinista. L'inserimento di
materiali altamente isolanti e con proprietà termiche elevate, hanno permesso
questa semplificazione. Lavorando con strati sottili composti da membrane
microporose e da tessuti antivento, riusciamo a garantire un'ottima traspirabilità e
leggerezza, dato importante per uno scalatore sottoposto a grandi sforzi fisici,
gravato da pesi sulla schiena. La struttura è caratterizzata da più livelli di tessuto. Lo
strato esterno è impermeabile e antivento, lo strato interno è isolante e termico.
Partendo dallo strato più esterno, i materiali componenti sono: un tessuto
impermeabile e traspirante con membrana antivento, un tessuto elastico nella zona
laterale della scapola, un tessuto rinforzato sulle spalle nella zona di scarico dello
zaino, un tessuto imbottito altamente traspirante applicato sulla schiena, un tessuto
più rigido sui gomiti e un rinforzo antisvivolo sotto il guanto. Lo strato interno della
giacca è composto da tre tipi di imbottitura, tre tipologie di isolanti termici. Una tra
queste è composta da sagome anatomiche di Aerogel, il maggiore isolante termico
129
CAPITOLO
Livello 1
Tessuto antivento impermeabile e traspirante accoppiato con membrana: Il tessuto
dà massima protezione da vento e acqua con eccezionale traspirabilità. È
estremamente sottile e leggero e al tempo stesso resistente e duraturo.
L'acqua allo stato liquido - neve o ghiaccio - non riesce a penetrare attraverso il
tessuto mentre il vapore acqueo prodotto dalla sudorazione può uscirne facilmente.
Nella struttura e' incorporata una sostanza oleofobica che consente il passaggio del
vapore acqueo, ma che impedisce la penetrazione di sostanze contaminanti che
potrebbero comprometterne l'impermeabilità. La membrana invece, adatta la
propria struttura molecolare alle variazioni termiche dell'ambiente garantendo una
temperatura corporea costante. Questa membrana è in grado di modificare
autonomamente la propria struttura in base alle variazioni termiche. Il risultato è di
massimo comfort e comodità grazie anche al minor numero di strati di tessuto e
d'ingombro.
Tessuto 3D: A causa delle attrezzature a spalla, la schiena è sottoposta a maggiori
sforzi e sollecitazioni, quindi a una maggiore sudorazione.
Grazie alla particolare struttura tridimensionale del tessuto 3D, rialzato e poroso, si
è ritenuto opportuno applicarlo sulla schiena come protezione e soprattutto perchè
IV_objects
al mondo a base di aria (98%) e diossido di silicio (2%). Particolare attenzione viene
data nell'impermeabilizzazione delle cuciture con tecnologie ad altafrequenza.
131
garantisce un'ottima traspirabilità.
Tessuto bielastico: I tessuti bielastici, aderiscono perfettamente al corpo perchè
hanno un'elasticità superiore a quelli stretch, garantendo massima comodità e
libertà di movimento. Questa caratteristica permette il suo utilizzo in capi destinati a
condizioni estreme dove per la rapidità e l'ampiezza dei movimenti necessitano
tessuti che garantiscano libertà assoluta e leggerezza.
Tessuto rinforzato: Studiato per resistere ad abrasioni, in questo caso dovute dallo
sfregamento di attrezzature a spalla, viene utilizzato per rinforzare i punti
maggiormente esposti all'usura, in modo da prolungarne anche la durata. Nato nel
settore militare, l'utilizzo di questo tessuto elimina il bisogno di dispositivi
antiabrasione più pesanti, come strati aggiuntivi, e rinforza i tessuti dei capi laddove
sono più sollecitati. La sua struttura in fibre aramidiche conferisce una straordinaria
resistenza al tessuto, senza sacrificarne le caratteristiche di leggerezza e flessibilità.
Un altro tipo di tessuto rinforzato e anti scivolo, più leggero e flessibile del
precedente, viene applicato sul palmo della mano e sui gomiti, altro punto
maggiormente esposto all'usura.
Livello 2
Isolante termico: L'imbottitura del capo è composta a scelta da tre tipologie di
isolante termico entrambe caratterizzati da leggerezza e minimo ingombro.
Imbottitura A: La prima garantisce l'isolamento termico in ambienti estremamente
rigidi trasmettendo calore allo stesso tempo garantendo un alta traspirazione. È
leggera e soffice al tatto.
Imbottitura B: La seconda imbottitura, anch'essa dotata di straordinaria resistenza
termica, è composta da uno dei materiali più isolanti al mondo, l'Aerogel. Prodotto
dalla Cabot per il settore aerospaziale, la Grado Zero Espace ha trasferito per primo
questo materiale nell'abbigliamento estremo. All'interno del capo sono state
individuate delle aree che necessitano un maggiore controllo della temperatura
corporea e che quindi vengono coperte da sagome anatomiche di questo materiale.
Imbottitura C: Materiale sperimentale. Traspirante e leggera, questa imbottitura è
dotata di straordinaria resistenza termica. Ha la capacità di mantenere costante la
temperatura corporea grazie alla sua struttura mesoporosa che può assorbire
l'umidità emanata dal corpo e rilasciarla gradualmente all'esterno.
G.D. & F. P.
Design
Grado Zero Espace R&D - Glass Teck
Materiale
Prestazioni
Massima omogeneità e stabilità di
dispersione del pigmento
Elevato assorbimento della radiazione
visibile incidente
Ottimo effetto estetico nero
CAPITOLO
polymer
IV_objects
Absolute Black (nanotubes matrix
Buona lavorabilità
Absolute Black
Absolute Black nato per applicazioni nel settore automotive, si è rivelato adatto
anche all'uso in sanitari per bagno e arredamento casa. È un nuovo materiale
approdato all'arredo bagno grazie alle conoscenze e alla ricerca di due innovative
aziende toscane: Gze e Glass Tek, azienda di Vinci specializzata nella trasformazione
di resine.
Absolute Black (nanotubes matrix polymer) è il brand con il quale si identifica il
processo che permette di ottenere diversi materiali polimerici, contenenti percentuali
variabili di Nanotubi in Carbonio (CNTs) ed altre micro-cariche, in grado di assorbire
efficacemente tutte le radiazioni dello spettro visibile. I CNTs, ovvero i nanotubi in
Carbonio, sono composti chimici formati da soli atomi di carbonio organizzati in una
struttura cilindrica ad esagoni. Essi si presentano come una polvere nera finissima
totalmente insolubile ma che può essere dispersa in varie matrici mediante l'utilizzo
di tecniche e additivi appropriati. Il materiale nasce dunque "naturalmente" nero ed
in grado di essere ripristinato a livello domestico con facilità. Le peculiarità di
Absolute Black non stanno nelle performance, ma nel fattore estetico e nella facilità
di recupero. Il pigmento composto al 100% di carbonio, ha ridotta dimensione
particellare, una elevata area superficiale (porosità) e buone capacità di legarsi al
substrato. Il risultato, ottenuto mediante tecniche opportune a garantire la massima
omogeneità e stabilità di dispersione, è un manufatto in grado di assorbire la
radiazione visibile incidente con un ottimo effetto estetico. La dispersione in pasta
garantisce inoltre una buona lavorabilità del prodotto finale, semplificando i
successivi trattamenti post-abrasione e offrendo la possibilità di personalizzare
l'effetto visivo di opacità e lucentezza a seconda delle applicazioni scelte.
S.L.
133
Design
Voltaic Systems Inc |
www.voltaicsystems.com
Materiale
Gel polimerici, Flight 001
Prestazioni
Rilascio controllato di sostanze
CAPITOLO
www.biosuma.it
IV_objects
Biosuma BioSurfaces and Materials |
farmacologiche
Idrogel
Biosuma
Biosuma srl, spin off dell’Università di Siena, è
un’azienda nata per la ricerca, lo sviluppo e la
produzione di materiali innovativi per uso
biomedico. L’obiettivo della Biosuma è quello di
trasferire in campo industriale i risultati della
ricerca scientifica del prof. Rolando Barbucci e
del suo gruppo di ricerca impegnati da più di
trent’anni nella ricerca e nello studio di nuovi
biomateriali.
Biosuma sviluppa formulazioni a base di idrogel preparate modificando
chimicamente polimeri naturali o di sintesi. Il processo di produzione permette di
comporre soluzioni personalizzate. Le applicazioni costituiscono le basi dell'attuale
medicina rigenerativa e prospettano nuovi scenari per la sostituzione di tessuti
biologici. Le applicazioni degli idrogel riguardano il settore medico con rivestimenti
superficiali bioattivi per la prevenzione e cura della degenerazione osteo-cartilaginea
attraverso la stimolazione della ricrescita spontanea. Le micro e nanoparticelle di
idrogel polisaccaridici sono utilizzate come sistemi di rilascio controllato di sostanze
farmacologicamente attive (drug delivery). I sistemi ad elevata porosità sono in grado
di trattenere il farmaco e rilasciarlo gradualmente, permettendo la somministrazione
di una concentrazione terapeutica costante. Le formulazioni cosmetiche di idrogel,
con proprietà dermo-protettive altamente idratanti, sono utilizzate nei filler iniettabili
a lunga durata. I gel possono essere immobilizzati superficialmente formando un
bioactive coating, un rivestimento ad elevata lubricità in grado di ridurre la frizione
con i tessuti circostanti. I sistemi bioattivi di idrogel polisaccaridi microporosi,
complessati con ioni-metallici di argento e rame, svolgono un'attività antibatterica,
antitrombotiche con applicazioni in ingegneria tissutale e genetica. Un settore di
ricerca innovativo nel campo dei biomateriali è quello dell’ingegneria dei tessuti
biologici con l'obiettivo di ricostruire i tessuti coltivando cellule su supporti artificiali
chiamati scaffold. Gli scaffold sono costituiti da idrogel che permettono la vitalità e
la proliferazione cellulare sia in vitro sia in vivo. Una volta impiantati, gli scaffold
possono essere riassorbiti mediante processi metabolici o rimanere in loco e
continuare a fornire supporto meccanico.
Marco Cardillo
135
Design
Micro sensore RFID e UWB; inchiostro
conduttivo | Cefriel www.cefriel.it,
Eximia www.eximia.it
Prestazioni
Sistema di tracciamento 3D; micro
sensore RFID e UWB; dispositivo di
CAPITOLO
Materiale
IV_objects
Cefriel | www.cefriel.it
identificazione a radio frequenza
MentorMe
Cefriel è un centro per il trasferimento
tecnologico nell'Information and
Communication Technology (ICT) che dal 1988
costituisce una delle più importanti realtà
italiane nell'ambito della ricerca, innovazione e
Cefriel
formazione. Cefriel sperimenta tecnologie
elettroniche, informatiche e telematiche,
progettando il futuro in cui l'innovazione è a
servizio degli utenti. Il programma di
trasferimento delle tecnologie (TTP) viene
applicato attraverso i servizi di supporto tecnicostrategico e la creazione di soluzioni innovative.
Mentor Me è un sistema di identificazione individuale per garantire la sicurezza
durante eventi pubblici con grande afflusso. Il dispositivo permette di rintracciare in
qualsiasi luogo affollato, con esattezza e velocemente, chiunque necessiti di
assistenza.La piattaforma MentorMe monitorizza costantemente gli spostamenti di
alcuni soggetti "a rischio" quali bambini, anziani o infermi, fornendo agli addetti
tutte le informazioni necessarie per un intervento tempestivo e efficace in caso di
emergenza. Il dispositivo - presentato e testato in occasione delle Olimpiadi di
Torino del 2006 - è un sistema intelligente che permette lo scambio di informazioni
multimediali in video-comunicazione tra il personale addetto all'intervento e il
centro servizi, il medico specialista o l'esperto per un consulto immediato.
Un'ulteriore evoluzione del progetto integra la piattaforma sviluppata da Cefriel con
videocamere gestite elettronicamente dall'unità centrale, che inquadrano
autonomamente la persona da assistere. Il dispositivo è stato sviluppato in
collaborazione con Eximia, partner italiano leader nelle applicazioni RFID (Radio
Frequency Identification) e UWB (Ultra Wide Band). L'innovativa piattaforma
consente di identificare in uno spazio determinato la posizione 3D di uno specifico
soggetto dotato di micro sensore RFID-UWB realizzato con inchiostro conduttivo,
alluminio e rame. Il dispositivo permette di verificare nel tempo il punto in cui si
trova con una precisione nell'ordine dei centimetri. In caso di necessità il soggetto
invia una richiesta di assistenza premendo un pulsante. La richiesta è raccolta dalla
piattaforma digitale che calcola la posizione del soggetto e ricerca la sua cartella
clinica. Le informazioni sono elaborate e trasmesse in tempo reale al personale più
vicino. I dati vengono trasmessi sui cellulari, palmari o portatili.
M.C.
137
Nokia Research Center (Nrc) +
www.nokia.com,
www. research.nokia.com,
www.moma.org/elasticmind
Materiale
Polimeri conduttivi-elettrostrittivi;
materiali fotovoltaici nanostrutturati
Prestazioni
IV_objects
Cambridge University |
CAPITOLO
Nokia_connecting people
Design
Wearable communication technology
Morph
Nokia nasce nel 1865 come azienda produttrice
di legno e di cellulosa. Negli anni ‘50 la Nokia si
specializza nella produzione di cavi telegrafici,
una manovra vincente che la porta a divenire
l’azienda che conosciamo tutti, un’azienda
leader nel settore delle comunicazioni mobili,
fornitrice di telefoni cellulari, dispositivi per la
comunicazione mobile, soluzioni e servizi per gli
operatori di rete e per le aziende.
Nel 1981 la Nokia introduce il primo network di
cellulari e nel 1984 presenta il Nokia Talkman, il
primo telefono portatile per l’automobile.
La collaborazione tra il Nokia Research Center (NRC) e l'Università di Cambridge ha
prodotto il primo telefonino basato sulle nanotecnologie. Il prototipo è stato
presentato in occasione della mostra "Design and the elastic mind" nel marzo 2007
ed attualmente esposto al MOMA di New York. Sviluppato dal Bob Iannucci,
direttore del Centro di Ricerca Nokia; il nuovo concept design rivoluziona il
funzionamento e l'uso dei comuni dispositivi di comunicazione. Morph è un sistema
intelligente con un comportamento adattivo simile a quello degli organismi viventi,
da cui trae ispirazione. L'oggetto multimediale è realizzato con avanzati componenti
elettronici, materiali intelligenti trasparenti e superfici autopulenti allungabili e
flessibili grazie ai quali si trasforma adattandosi, automaticamente e in tempo reale,
alle diverse condizioni di utilizzo. Il dispositivo dimostra in che modo si evolvono i
sistemi di comunicazione personali e portatili, per diventare oggetti intelligenti
polimorfi e multifunzionali che si adattano all'ambiente e alle esigenze degli utenti.
La nanotecnologia ha permesso di realizzare un tessuto elastico composto da
polimeri organici conduttivi in fibrille, ovvero fibre della dimensione di appena 1
nanometro. I materiali sono intrecciati con una struttura tridimensionale che
permette l'elevata flessibilità, elasticità e resistenza del tessuto con un
funzionamento simile a quello della tela di ragno. L'uso dei materiali nanostrutturati
e delle superfici conduttive, trasparenti e flessibili, permette la massima versatilità del dispositivo in grado di trasformarsi in base alle diverse modalità di utilizzo.
Inoltre, lo stimolo di un impulso elettrico a bassa tensione causa la contrazione o
l'allungamento dei polimeri elettrostrittivi del dispositivo con la conseguente
modificazione della sua forma. Morph è piccolo, leggero, ergonomico e facile da
usare, ha bassi consumi energetici e, quando in modalità stand-by, diventa un
139
IV_objects
CAPITOLO
accessorio da indossare come un bracciale o un ciondolo. L'innovativo sistema
integra una serie di sensori ambientali e biometrici, microattuatori MEMS, realizzati
in tecnopolimeri conduttivi elastici di ultima generazione. La superficie interattiva è
composta da un sandwich multistrato in cui il film protezione esterno è
autopulente. Ottenuto attraverso un processo nanotecnologico, l'innovativo
trattamento superficiale è repellente all'acqua, all'olio, al grasso ed allo sporco. Lo
strato nanostrutturato riduce i fenomeni di corrosione e aumenta la durata del
dispositivo, contribuendo quindi a ridurre i consumi, i rifiuti elettronici e a rispettare
l'ambiente. La superficie interattiva ha una struttura detta "nanograss", ovvero una
nano-erba artificiale, simile ad un organismo biologico che converte l'energia solare
in elettricità. Il sistema fotovoltaico permette di avere una riserva di energia sempre
a disposizione con una fonte rinnovabile ed inesauribile, pulita e gratis. In questo
modo anche le batterie del dispositivo si riducono di dimensioni e diventano
leggere, flessibili e veloci da ricaricare. L'integrazione dei sensori e degli attuatori
nanometrici permette al dispositivo di percepire l'ambiente esterno e analizzare la
qualità dell'aria, la presenza di sostanze nocive o tossiche. I sensori biometrici
permettono di monitorare costantemente lo stato di salute dell'utente e di
comunicare, in tempo reale, con il centro medico on-line in caso di necessità. La
ricerca prevede di integrare entro i prossimi anni alcune delle nanotecnologie
sperimentate in Morph sui comuni dispositivi digitali e nei prodotti di uso.
M.C.
141
www.vivometrics.com
Materiale
Sensori elettronici, microprocessore,
tessuto elettronico
Prestazioni
Monitoraggio dei parametri fisici ed
CAPITOLO
VivoMetrics + BC Tech |
IV_objects
Design
ambientali
VivoMetrics®
LifeShirt Monitoring System
VivoMetrics®, società biomedica fondata nel
1999 e specializzata nell'elaborazione di sensori
indossabili in grado di controllare la respirazione
e la funzionalità cardiaca.
VivoMetrics ® è guidata da un team
multidisciplinare composto da: medici, esperti di
tecnologia leaders nel settore del monitoraggio
fisiologico, psichiatri, cardiologi, medici sportivi,
Il LifeShirt realizzato dalla VivoMetrics, società di controllo ambulatoriale, è un
sistema di monitoraggio mobile cardio-respiratorio. Il sistema registra oltre 30
parametri fisiologici in modo accurato e non invasivo rilevando la presenza di
anomalie respiratorie in pazienti con scompenso cardiaco. Il sistema indossabile è
realizzato come un corpetto che integra una serie di sensori e un sistema di
cablaggio elettronico inserito all'interno del tessuto che connette i dispositivi di
rilevamento con la centrale digitale di elaborazione trasmissione dati. L'indumento
intelligente integra all'interno del tessuto elettronico sensori respiratori
impedenziometrici posti in posizione toracica e addominale, una derivazione
elettrocardiografica ed un segnale digitale di saturazione dell'ossigeno. Queste
misure forniscono al centro medico preziose informazioni utilizzate al fine di
valutare l'efficacia del trattamento medico contribuendo attivamente ad elevare la
qualità della vita ed il benessere dei pazienti. Il corpetto Life Shirt è comodo da
indossare, totalmente automatico nel funzionamento e ben tollerato dai pazienti
garantendo una totale libertà di movimento. Tra le misurazioni principali si riporta
l'elettrocardiogramma (ECG), la pletismografia respiratoria (metodo per misurare i
parametri di ventilazione tramite la misura delle variazioni della superficie toracica),
la pressione sanguigna, la pulso-ossimetria ovvero la misurazione semplice, rapida e
non invasiva dell'ossigenazione nel sangue, il rilevamento della posizione fisica e dei
movimenti del corpo. L'interfaccia intelligente è dotata di un PDA (Personal Digital
Assistant), un computer portatile con interfaccia user friendly, dotato di memoria
che registra oltre otto ore di monitoraggio continuo.
M.C.
esperti nella ricerca farmaceutica, pediatri, ecc.
143
Design
www.bayermaterialscience.com
Materiale
Sensori biometrici; superfici
elettroluminescenti (EL); display LCD
Prestazioni
Lente liquida autofocus a commando
CAPITOLO
Bayer Material Science |
IV_objects
Rinspeed | www.rinspeed.com
elettrico
Senso smart car
L’attività di Rinspeed Garage inizia nel 1977,
incentrandosi alla trasformazione delle normali
vetture in auto per disabili (nel 1980 Frank M.
Rinspeed
RinNderknecht fondreà poi la Rinspeed).
Nel 1979 la Rinspeed GARAGE è per la prima
volta al Salone Internazionale dell'automobile di
Ginevra per il Lancio della VW Golf Turbo basata
sulla GTI. Rinspeed inc. , presenta nel 1981 la
Rinspeed "Aliporta", che desta curiosità e
attenzione verso questa azienda che oggi si
dedica in particolare alla realizzazione di
concept per Multi Utility Vehicle
Senso smart car è il prototipo di auto intelligente ideata da Rinspeed, azienda
svizzera specializzata in soluzioni per il design automobilistico.
Presentata al salone dell'auto di Ginevra del 2005, l'innovativa smart car è il
risultato della collaborazione tra la Rinspeed e la Bayer Material Science, uno dei
maggiori produttori al mondo di materie plastiche. Nel progetto è stata coinvolta
anche la società di ingegneria Esoro.
La Senso è equipaggiata con quattro schermi LCD Sharp che diffondono nel campo
visivo del conducente effetti luminosi, pattern stimolanti dalle tonalità arancione e
giallo, rilassanti dal blu e viola, o neutri con tonalità verde. Gli stimoli visivi sono
rinforzati da sequenze sonore composte appositamente ed elaborate dal computer
con un'elevata influenza nell'intera sfera sensoriale.
L'olfatto viene stimolato grazie ad un sistema sviluppato dalla Voitino CWS, marchio
di HTS International GmbH, specializzata in sistemi per l'igiene, che emette
fragranze profumate all'interno dell'auto attraverso gli aeratori. Secondo il ramo
della fitoterapia, chiamata aromaterapia, l'uso delle sostanze odorose stimola
positivamente lo stato psico-fisico. L'abbinamento delle fragranze di vaniglia e
mandarino, per esempio ha un effetto calmante, mentre limone ed uva è stimolante.
Anche il tatto viene stimolato dal sistema intelligente della Senso. Quando i sensori
di pressione PZT integrati nel volante percepiscono che la forza di presa del
conducente decresce, gli elettromotori integrati nel sedile attivano le vibrazioni per
ridestare l'attenzione.
Una videocamera mobile eye registra il comportamento di guida attraverso la
frequenza e le modalità dei cambi di corsia, la distanza dal veicolo che precede e la
velocità relativa di avvicinamento. Il sistema di sensori percepisce i dati fisici del
145
conducente attraverso uno speciale orologio biometrico con cardiofrequenzimetro
biometric Polar watch. Un computer di bordo HP analizza i dati rilevati ed elabora
speciali algoritmi, riconoscendo lo stato psicofisico del conducente e lo stato di
attenzione alla guida. All'interno dell'abitacolo, un piacevole effetto di luce diffusa
colorata è prodotto dall'elaborazione del sistema di sensori e dall'integrazione di
superfici luminose realizzate con film in materiali elettroluminescenti (sviluppati da
Bayer MaterialScience e dall'azienda svizzera Lumitec specializzata in elettronica). Il
progetto delle superfici di interfaccia del sistema è stato elaborato da Andreas
Fischer, designer che ha sviluppato lo “zen motion concept” all'Institute for
Computer Sciences dell'Università di Zurigo, in collaborazione con l'Institute for
Psychology dell'Università di Innsbruck per quanto riguarda gli effetti che i disegni in
movimento producono sulle emozioni umane.
La Senso smart car introduce nel settore automobilistico la tecnologia delle superfici
intelligenti (Smart Surface Technology), dimostrando nuove prospettive progettuali
per elevare la sicurezza della guida ed il livello di qualità del comfort all'interno
dell'abitacolo.
La concept car è stata anche definita "Zen-sensoriale" in quanto fa riferimento alla
filosofia zen ed alle tecniche di meditazione orientale per elaborare le applicazioni
integrate per la prima volta ad un mezzo di trasporto privato. Alla base c'è il
concept secondo cui una persona rilassata e vigile guida meglio e in modo più
sicuro. L'auto, attraverso un sistema elettronico composto da sensori biometrici
integrati in un dispositivo digitale, percepisce la presenza del pilota ed analizza le
sue caratteristiche fisiche misurando i parametri del bioritmo. In base ai dati
percepiti dall'auto, il pilota riceve vari stimoli sensoriali - la rappresentazione di
disegni, pattern, colori, l'emissione di musica e fragranze olfattive - che lo mettono
in uno stato di attenzione rilassata, contribuendo a migliorare il comfort ambientale
ed il benessere psicofisico.
IV_objects
CAPITOLO
Per la realizzazione della smart car Senso sono utilizzati materiali ad alto contenuto
tecnologico, come compositi riciclabili al 100% usati per la carrozzeria, i materiali
high tech integrati nel parabrezza speedster realizzato in policarbonato di alta
qualità Makrolon. Il lunotto di protezione della parte posteriore è realizzato con un
rivestimento antigraffio, e pesa circa la metà di quello di una normale auto ma è
molto più resistente alle rotture. La vernice della carrozzeria ad effetto opaco-serica
cangiante è stata formulata specificamente per Rinspeed a partire dalle materie
prime messe a punto nei laboratori Bayer. La vernice trasparente soft-feel conferisce
alla superficie dell'abitacolo una sensazione morbida e gradevole al tatto,
mantenendo la stessa tonalità di colore del fondo.
La carrozzeria è montata su uno speciale chassis messo a punto da KW automotive,
di cui si può regolare sia l'altezza sia la resistenza, ottenendo una sintesi tra comfort
di marcia e sportività. Inoltre, il sistema satellitare intelligente concepito dalla In.pro.
effettua automaticamente una chiamata d'emergenza tramite la rete GSM in caso
di incidente, rapina o furto.
La vettura ha un sistema di sicurezza per il riconoscimento del conducente mediante
impronta digitale, e permette alla vettura di impostarsi automaticamente sulle
preferenze registrate dall'automobilista in base allo stile di guida personale.
La Senso ha un peso ridotto a 1.385 kg, è alimentata da un propulsore boxer di 3.2
litri di cilindrata. Il motore è stato modificato appositamente per la Senso con
doppia alimentazione a benzina e gas naturale per rispettare l'ambiente con
emissioni di CO2 ridotte al 30%.
M.C.
147
Design
www.infineon.com
Materiale
Tessuto elettronico con polimeri
conduttivi(microchip, mp3, Bluetooth) |
www.softswitch.co.uk
Prestazioni
CAPITOLO
www.oneilleurope.com,
IV_objects
O’neill Europe & Infineon |
Wearable communication technology
Hub Bluetooth Mp3 Jacket
O’Neill, azienda californiana fondata nel 1952
da Jack O’Neill, è leader nell'abbigliamento
sportivo per surf, windsurf e snowboard. O’Neill
fu la prima azienda al mondo ad aver utilizzato
O'Neill
il neoprene per produrre prodotti funzionali e
innovativi per lo sport.
O’Neill, nota in tutto il mondo oltre che per la
qualità dei propri prodotti come vero e proprio
lifestyle, ha sperimentato - fin dai primi anni
novanta - l’inserimento delle tecnologie nei capi
di abbigliamento.
The HUB è la giacca da snowboard che integra direttamente nel tessuto un
microchip per la trasmissione dei dati digitali, un modulo di comunicazione
Bluetooth per la telefonia mobile ed un lettore di file MP3. Il dispositivo interattivo
ripropone le principali funzioni dei più comuni apparecchi elettronici con sistema
wireless, adattando il sistema digitale alle esigenze funzionali specifiche degli sport
invernali in condizioni ambientali estreme. Questo prodotto è il risultato di un
progetto sperimentale nel campo delle wearable communication technology, della
O'Neill Inc. Il prototipo, realizzato in collaborazione con la società Infineon
Technologies AG di Monaco, integra le innovazioni nel campo dei semiconduttori e
dei sistemi microelettronici per sviluppare il concetto di abbigliamento multimediale.
L’indossabile multimediale assicura il massimo comfort e la piena libertà dei
movimenti durante l'attività sportiva; è stato testato in condizioni di utilizzo
resistendo all'effetto della neve, della pioggia, del ghiaccio, mantenendo inalterate
le funzioni dei sistemi elettronici. Il tessuto elettronico, è realizzato dalla società
SoftSwitch, è composto da fibre in polimeri conduttivi che trasportano elettricità a
basso voltaggio per connettere il microprocessore con l'interfaccia tessile del lettore
musicale, posta nella manica sinistra alla tastiera digitale. Inoltre, nel cappuccio sono
integrati due auricolari ed un microfono per la comunicazione telefonica e l'ascolto
delle tracce musicali. L'indumento multifunzionale, leggero e flessibile, è dotato di
una scheda di memoria 128Mb espandibile, che permette di scaricare i file
multimediali tramite USB, garantendo l'ascolto di circa 8 ore di musica. Il sistema
include anche un casco contenente un dispositivo elettronico HI-FI per la musica e la
comunicazione telefonica wireless.
M.C.
149
Polimeri a memoria di forma (SMP) |
www.d3olab.com,
Prestazioni
IV_objects
CAPITOLO
Materiale
Assorbimento degli urti, sistema attivo
d3o™ smart absorber
d3o™ lab è composto da un team di esperti dei
d30™ LAB
materiali.
A capo del progetto c’è Richard Palmer - già
attivo in DuPont - laureato al Royal College of
Art and Imperial College Mechanical
Engineering.
Il laboratorio è finalizzato a studiare le
evoluzioni future del d3o™, attraverso un
metodo creativo e un processo di cui già
numerose aziende hanno beneficiato dando vita
a prodotti straordinari e innovativi.
Prodotto dall'azienda inglese d3o™lab, fondata nel 2001 dall'ingegnere
meccanico Richard Palmer, d3o™ è un rivoluzionario materiale intelligente
composto da polimeri a memoria di forma (smart memory polymer) con cui è
possibile realizzare sistemi di protezione attiva per ogni parte del corpo e adatti a
qualsiasi attività in ogni ambiente di esercizio.
Le maggiori applicazioni pratiche riguardano il settore dell'abbigliamento sportivo,
in cui l'obiettivo è quello di garantire la massima difesa delle parti del corpo
maggiormente sollecitate.
Il materiale è altamente traspirante e si adatta perfettamente al corpo,
permettendo la massima libertà di movimento e un elevato comfort.
d3o™ lab ha ricevuto diversi riconoscimenti e premi per l'innovazione del
prodotto e la sperimentazione dei materiali innovativi, realizzando in
collaborazione con diverse aziende produttrici di tessuti e abbigliamento sportivo,
sistemi di protezione attiva integrati in guanti, suole per scarpe, parastinchi,
berretti, calze, tute, giacche.
Sfruttando le caratteristiche di questo materiale infatti, l'azienda americana Spider
Freeryde ha prodotto (in collaborazione con SuperFabric®), tute da sci
professionali dotate di protezioni realizzate con polimeri a memoria di forma
d3o™.
In particolare la Spyder ha realizzato una sorta di armatura superiore e di
pantaloncini in cui le “molecole intelligenti” reagiscono alla velocità dei
movimenti. I pantaloncini sono progettati con uno strato di protezione sotto
l’imbottitura dei fianchi, delle cosce e del fondo schiena, mentre il top fornisce
protezione per le spalla, i gomiti e gli avambracci.
151
IV_objects
o da un'improvvisa deformazione rafforza il legame chimico, trasformando il
materiale in uno scudo protettivo solido e resistente. Il polimero reagisce alla forza
del colpo e si irrigidisce assorbendo la forza d'urto, ritornando flessibile non
appena l'impatto è terminato.
Il processo di produzione è assistito da tecnologie CAD/CAM per la creazione dei
modelli 3D e la prototipazione rapida dei sistemi di protezione attiva. In
combinazione ad un supporto rigido, è possibile ridurre lo spessore dello strato di
materiale permettendo di realizzare un prodotto leggero, flessibile, morbido e
resistente alle abrasioni.
M.C.
CAPITOLO
La svizzera Ribcap, ha realizzato cappelli sportivi di protezione contro infortuni e
contusioni dovuti a cadute e impatti violenti.
PUMA e d3o™ lab, hanno sviluppato un nuovo e rivoluzionario pallone da
football: il v1.08. Questo prodotto è pensato per giocatori che ricercano il perfetto
mix tra sensazione soft, precisione, stabilità, precisione, stabilità e velocità. Il
brevetto di 24 pannelli riduce il raggio interno di variazione, conferendo al pallone
una inconsueta morbidezza e una straordinaria performance aerodinamica.
Tuttavia, la più entusiasmante innovazione è nascosta sotto la superficie, tra
l'involucro esterno e quello interno: un layer di d3o™.
SixSixOne ha studiato per ciclisti una ginocchiera in Neoprene, elastica, regolabile
con un sistema di velcro a strappo.
La ginocchiera mantiene l’arto saldamente in posizione mentre si pedala,
consentendo la massima libertà di movimento per la pedalata, dal momento che
lo strato protettivo è localizzato sul lato del ginocchio. Uno strato di Kevlar
frontale protegge il ginocchio dalle abrasioni.
Reusch ha pensato di utilizzare le proprietà del d3o per un guanto speciale da
snowboard, dato che la mano è la prima parte che istintivamente portiamo avanti
per proteggerci da una caduta. Il d3o™ protegge la zona centrale del palmo della
mano, senza limitarne la mobilità.
Evidentemente, e proprio per sua stessa natura, il d3o™ è un materiale che ha
molte possibili applicazioni nella protezione del corpo.
Il d3o™ è dunque un polimero intelligente che funziona come uno smart absorber, ovvero un sistema attivo di assorbimento dell'energia d'urto creata nel
momento dell'impatto. Il polimero a memoria di forma può essere adattato ad
ogni esigenza funzionale attraverso un processo di colatura a freddo su stampo
aperto, con forme e dimensioni dei supporti personalizzabili.
In condizioni normali, il legame tra le molecole che compongono il materiale
intelligente è debole, permettendo la flessibilità del supporto e la piena libertà di
movimento. In caso di shock meccanico improvviso, l'energia generata da un urto
153
Design
Thermocules, materiale a
cambiamento di fase (PCM) |
www.outlast.com
Prestazioni
Abbigliamento con sistema di
termoregolazione adattivo in materiali
CAPITOLO
Materiale
IV_objects
Burton | www.burton.com
a cambiamento di fase PCM
Outlast Tech Jacket
Outlast®
Outlast, azienda americana leader nella ricerca e
sviluppo dei materiali a cambiamento di fase
(PCM) in grado di regolare la temperatura
corporea in modo attivo, ha all’attivo 26 brevetti
sui PCM. Tra questi l'innovativa tecnologia di
termoregolazione adattiva, originariamente
sviluppata dalla NASA, ottenuta con materiali a
cambiamento di fase micro-incapsulati in un
involucro sferico di acrilico.
Le microcapsule a cambiamento di fase, denominate Thermocules, sono integrate
in fibre, tessuti e materiali di rivestimento con applicazioni nel campo militare,
industriale e medico. Nel settore tessile i semilavorati che integrano le
microcapsule PCM prodotte da Outlast comprendono oltre 50 tipi di tessuti,
finiture, fibre, filati, maglieria, tele e materie prime impiegate per la produzione di
abbigliamento, calzature, articoli per la casa, materiali da imballaggio.
Adaptive Comfort è il marchio depositato a livello mondiale che garantisce
altissime performance ed il microclima interno ottimale in ogni condizione
ambientale.
I prodotti che integrano la tecnologia Outlast Adaptive Comfort assorbono il
calore corporeo prodotto in eccesso, restituendolo nel momento necessario. Il
materiale si adatta in modo autonomo e continuo alle mutevoli condizioni
ambientali e alla differenza di temperatura tra l'ambiente esterno e quello
interno. Il sistema intelligente evita l'eccessivo surriscaldamento del corpo,
limitando la sudorazione e la dispersione di calore in caso di basse temperature,
prevenendo la sensazione di freddo e brividi.
L'Adaptive Comfort Rating (ACR) è la l'unità di misura della capacità di un
prodotto di assorbire, immagazzinare e cedere il calore in base alle esigenze
specifiche. Il valore dell'ACR dipende dalla tipologia, densità, quantità di
Thermocules integrate e dalla distanza dei PCM dal corpo.
Nel 2005 Adaptive Comfort è stata inserita nella Space Technology Hall of Fame
per il programma di trasferimento tecnologico (TTP) del sistema di
termoregolazione adattiva dei PCM, sviluppata per l'esplorazione spaziale, in
155
IV_objects
CAPITOLO
prodotti d'uso capaci di migliorare la qualità della vita anche sulla terra.
La Outlast, in collaborazione con la Burton, ha recentemente prodotto la Tech
Jacket, un giacca tecnica che integra le Thermocules.
Il tessuto intelligente è un composito a sandwich che mantiene il comfort termico
del corpo attraverso lo strato di termoregolazione adattiva Storm-Lite che
garantisce anche ottime proprietà di idrorepellenza e traspirabilità. Inoltre la
giacca è fornita di una tasca interna per i lettori multimediali e due auricolari
integrati nel tessuto elettronico che facilitano l'ascolto della musica senza
ingombri o impedimenti nei movimenti. La membrana sensibile, posta tra la pelle
e l'ambiente esterno, rappresenta un sistema di termoregolazione adattivo che
aumenta l'efficacia del processo termico e la capacità di scambio energetico. Il
processo di controllo della produzione Differential Scanning Calorimetry (DSC)
permette di stabilire se la quantità di PCM integrati nel capo garantisce i
rendimenti richiesti e soddisfa le esigenze funzionali.
I prodotti che utilizzano i PCM Outlast® mantengono il microclima alla
temperatura corporea ideale con un elevato benessere fisico. Outlast si adegua
costantemente al fabbisogno termico in ogni condizione ambientale e di
esercizio, equilibrando il calore del corpo e mantenendo una condizione di
comfort adattivo, da una corsa nel deserto al sonno in una tenda in mezzo alla
neve.
Quando le Thermocules Outlast sono integrate direttamente durante il processo
di tessitura delle fibre, come l'acrilico o la viscosa, le microcapsule di PCM
mantengono inalterate le caratteristiche di termoregolazione per l'intera durata
del tessuto, assicurando eccellente stabilità anche dopo ripetuti lavaggi, sia in
lavatrice che a secco. Inoltre Outlast può essere applicato come rivestimento su
diversi materiali con il trattamento ad immersione e su rullo o, nel caso di capi di
già confezionati, con metodo a spruzzo e per infusione.
M.C.
157
Design
Speedo International Ltd |
LZR Pulse
Prestazioni
Forte azione di "compressione"
muscolare
Idrorepellenza
Resistenza al cloro
CAPITOLO
Materiale
IV_objects
www.speedo.com
Asciugatura rapida
LZR Racer®
L’azienda, nata nel 1914, presenta nei primi
anni 20 i costumi Racerback, che permettono
maggiore libertà di movimento e velocità, tanto
che viene coniato lo slogan “Speed on in your
Speedo
Speedos” (accelera nei tuoi Speedo). Nel 1928
vengono prodotti i primi costumi a marchio
Speedo, proprietà della Pentland Group Plc. Nel
2000 Speedo lancia un costume rivoluzionario:
il Fastskin la cui caratteristica vincente del
design, ispirato alla pelle dello squalo. Alle
Olimpiadi di Pechino 2008, Speedo presenta
LZR Racer®.
Il costume Speedo LZR RACER è stato sviluppato con lo scopo di offrire ai
nuotatori agonisti il costume in tessuto leggero, più “forte” in assoluto. Questo
costume combina innovazioni di tessuto e design e nasce dall'esperienza già
maturata da Speedo con Fastskin FSII (lanciato nel 2004) e con Speedo FS-PRO (in
grado di offrire il 15% in più di forza e compressione, oltre che di assecondare la
potenza del movimento e ridurre la vibrazione muscolare).
LZR Racer è il risultato di tre anni di ricerca e sviluppo da parte del team R&D
Aqualab Speedo, con il supporto di una serie di partner globali tra cui il Centro di
Ricerca Langley della NASA, il leader mondiale nel software Computer-Aided
Engineering (CAE) ANSYS, il team scientifico dell'Australian Institute of Sport, il
marchio internazionale di moda Comme des Garçons e lo staff tecnico
dell'azienda italiana Mectex, specializzata nella produzione di tessuti per
abbigliamento sportivo e da tempo sempre più orientata verso l'universo
emergente del tessile performante.
Il nuovo costume, ottenuto migliorando i precedenti modelli mediante la
scansione dei corpi di oltre 400 nuotatori per osservarne il comportamento
muscolare, ha visto la sperimentazione di oltre 100 tipi di tessuti differenti.
Sono stati così messi a punto: il tessuto LZR Pulse, il più leggero materiale per
costumi caratterizzato da forte azione di "compressione" muscolare,
idrorepellenza, resistenza al cloro e asciugatura rapida; i "pannelli" LZR, costituiti
da una membrana in PU tagliata con la massima precisione al laser.
Il tessuto LZR Pulse, utilizzato con spessori differenziati nei punti strategici indicati
dalle analisi CFD (Computitional Fluid Dynamic) per ottenere la massima libertà di
movimento, è il costume high tech di ultima generazione, oltre che il primo
159
IV_objects
CAPITOLO
costume al mondo totalmente privo di cuciture dal momento che i componenti
sono uniti con un processo ad ultrasuoni.
Un disegno calligrafico creato da Comme des Garçons sulla parte frontale
dell'indumento conferisce infine un’immagine nuova al costume che, come ha
dichiarato il sette volte medaglia d'oro alle Olimpiadi di Pechino Phelps, "lo fa
sentire un razzo" quando entra in acqua. La collaborazione con il marchio
internazionale di moda Comme des Garçons (fondato da Rei Kawakubo), fa di
questo costume un capo dal design unico che, personalizzato per la nazionale di
nuoto americana con un originale tema a stelle e strisce,, offre per la prima volta
al nuoto competitivo la possibilità di incontrare la moda d'avanguardia. Il simbolo
"kokoro", tracciato dall'artista calligrafo giapponese Inoue Yu-ichi rappresenta
"cuore, mente, anima" e simbolizza l'impegno e la volontà necessari per ottenere
il successo ai massimi livelli del nuoto.
Tra le principali innovazioni dell'LZR: il Core Stabiliser, posto all'interno del
costume, supporta e contiene l'atleta aiutandolo a mantenere più a lungo la
posizione del corpo in acqua; gli ultrasottili pannelli LZR consentono di diminuire
l'attrito tra il corpo e l'acqua, modellando il corpo in forma aerodinamica e
riducendo la resistenza dell'acqua; LZR Pulse, il tessuto più leggero e repellente al
mondo, in grado per altro di ridurre l'oscillazione muscolare e la vibrazione
superficiale della pelle, pur mantenendo piena libertà dei movimenti; zip
ultrapiatta nascosta all'interno del costume; giuntura ad ultrasuoni che realizza
bordi perfettamente lisci e flessibili; Hydro Form Compression System, una
tecnologia che consente di ottimizzare l'efficienza energetica consentendo al
nuotatore difendere l'acqua con più forza e agilità.
S.L.
161
Materiale
LZR Pulse
Prestazioni
Controllo e sensibilità,minor attrito,
leggerezza
IV_objects
Wilson | www.wilson.com
CAPITOLO
Design
N Six-One Tour nCODE
Il settore sportivo delle racchette da tennis è da
Wilson
sempre in continua evoluzione ed i ricercatori
sono costantemente impegnanti nella ricerca di
nuovi materiali che possano migliorare le
performance degli atleti. Su questo fronte
Si chiama Wilson N Six-One Tour ed è la prima racchetta da tennis realizzata con
materiale nanotecnologico. La trama delle racchette è costituita da miliardi di fibre
di carbonio legate insieme da fonti di calore, ma la nuova tecnologia battezzata
nCode, consiste nell'inserimento di cristalli di silicone nella struttura molecolare
delle fibre di carbonio che costituiscono il "frame", cioè il telaio della racchetta.
Questo particolare processo costruttivo ha l'obiettivo di ridurre i punti di attrito,
garantendo in tal modo un sensibile aumento della velocità di gioco. Il sistema
dovrebbe rendere più omogenea la deflessione del materiale, in modo da offrire
migliori sensazioni al giocatore.
Questa tecnologia, che lavora su scala molecolare, rafforza e migliora
considerevolmente la stabilità globale della matrice di carbonio. Questo metodo,
associato ad una nuova forma di telaio ed una nuova tecnologia (nZone), garantisce
potenza, durabilità e facilità di gioco. Le racchette nCode sono due volte più stabili,
e garantisacono il 22% in più di potenza delle racchette normali.
Performance ad alto livello dunque, come i risultati sportivi del campione svizzero
Roger Federer, attuale numero uno del ranking mondiale, che nelle competizioni
utilizza proprio una di queste Wilson.
S.L.
Wilson è certamente una delle aziende più
attive e ha già messo in commercio la prima
racchetta nanotecnologica.
163
Materiale
Liquidi elettroreologici; Teflon® PTFE |
Varioptic www.varioptic.com; Du-Pont
www.dupont.com
Prestazioni
Lente liquida autofocus a commando
CAPITOLO
Varioptic | www.varioptic.com
IV_objects
Design
elettrico
Arctic
Varioptic, azienda francese con sede a Lione, è
Varioptic
specializzata nella realizzazione di lenti liquide
in vetro e plastica per sistemi ottici.
Tra gli obiettivi principali dell'azienda per i
prossimi anni, vi è quello di stabilire una
soluzione per la messa a fuoco automatica e per
lo zoom ottico di sistemi ottici.
Nel 2006 Varioptic ha presentato la lente liquida
Arctic, aggiudicandosi il 1° premio al "DuPont
Plunkett Awards".
Le lenti liquide Arctic per ottiche fotografiche sono in grado di commutare con
continuità diversi livelli di ingrandimenti con un adattamento in tempo reale. Il
dispositivo intelligente, permette di ottenere immagini di alta qualità offrendo
un'elevata affidabilità a costi contenuti, bassissimo consumo energetico e tempi di
risposta del fuoco bassissimi.
Arctic è una lente autofocus miniaturizzata integrata nei telefoni cellulari,
videocamere e lettori di codici a barre, che applica la tecnologia di elettrowetting
brevettata dalla Varioptic. La lente non ha parti meccaniche in movimento ed è
dotata di una guarnizione in Teflon® (PTFE), un fluoro polimero prodotto dalla
DuPont, che garantisce una perfetta tenuta all'aria e all'acqua.
La Varioptic ha stipulato un contratto di licenza con SemCo, il principale fornitore di
moduli per fotocamere di Samsung per il mercato dei telefoni cellulari, ed ha
istituito una partnership con la Creative Sensor Inc. di Taiwan per la produzione
delle lenti liquide.
Le micro fotocamere digitali inserite nei telefoni cellulari utilizzano ottiche
spontanee e a fuoco fisso. Non essendo utilizzabili sistemi meccanici di messa a
fuoco, per motivi di durata e resistenza, i produttori devono scegliere quindi un
compromesso tra profondità di fuoco, luminosità e distanza minima di ripresa.
Modificare la capacità di ingrandimento di una lente e la messa a fuoco comporta
alcuni problemi di distorsione come il pincushion o "effetto cuscino", distorsioni e
aberrazioni cromatiche. Attualmente i colori primari (RGB) vengono registrati in
sequenza e poi ricombinati mediante elaborazione digitale dei dati, comportando
tempi di esposizione più lunghi.
165
hanno sviluppato un innovativo concept basato su un brevetto che permette di
rendere una superficie più o meno idrorepellente in base a un potenziale elettrico.
L'innovazione principale consiste nella produzione dei dispositivi multifocali
miniaturizzati senza parti meccaniche in movimento, in grado di offrire migliore
affidabilità rispetto alle fotocamere digitali con obiettivo a fuoco fisso della maggior
parte dei telefoni cellulari. I ricercatori tedeschi hanno collaborato con la Varioptic
per sviluppare un dispositivo composto da quattro lenti liquide e tre lenti fisse in
materiale plastico. Uno strato di acqua, integrato all'interno di un piccolo disco tra
due film trasparenti, è capace di modificare la sua convessità. La presenza di un
secondo liquido, con un diverso indice di rifrazione, rende la parte acquosa una
lente che può essere controllata con uno stimolo elettrico. In questo modo è
possibile ottenere lenti liquide miniaturizzate e robuste da integrare in tutti i comuni
dispositivi digitali portatili. La struttura delle lenti è in grado di commutarsi tra ottica
curvatura di una goccia d'acqua depositata su un substrato metallico ricoperto da
un sottile strato isolante. All'interno della lente sono integrati due liquidi della stessa
densità, di cui uno isolante e l'altro conduttore. Al variare del voltaggio la lente
reagisce modificando l'angolo di contatto del liquido e di conseguenza la curvatura
della superficie di interfaccia tra i due liquidi. La modifica della curvatura della lente
liquida comporta un istantaneo cambiamento del suo fuoco, permettendo di
realizzare, appunto, un effetto autofocus senza utilizzare parti meccaniche in
movimento. Le proprietà di idrorepellenza della speciale guarnizione, realizzata in
Teflon, migliorano l'azione di elettrowetting e la tenuta della lente con una
riduzione significativa del costo del prodotto.
M.C.
IV_objects
flat con ingrandimento 1:1. Quando le lenti liquide sono alla massima curvatura,
l'ottica complessiva permette un ingrandimento di 2,5 volte, mentre, quando sono
al minimo, l'ottica restituisce l'immagine senza ingrandirla. La lunghezza totale
dell'ottica progettata, dalla lente più esterna fino al sensore di immagine, è di soli
29 millimetri, con la previsione di avviare la prototipazione di alcuni dispositivi
ancora più piccoli.
La tecnologia elettrowetting è un'innovazione che permette ai due liquidi isodensi,
contenuti nella lente, di modificare la curvatura e la lunghezza focale in reazione a
una variazione di tensione elettrica. Inoltre, variando la tensione applicata ad un set
di lenti liquide è possibile ottenere lo stesso effetto di zoom che si realizza con le
lenti tradizionali. Le lenti deviano i raggi luminosi sfruttando la differenza tra i liquidi
acquosi e quelli oleosi. Quando i due liquidi sono integrati in un dispositivo ottico,
possono essere programmati per convergere la luce che li attraversa mediante la
semplice applicazione di una corrente a bassa tensione.
La lente liquida funziona in modo equivalente al cristallino umano, variando la
CAPITOLO
Inoltre, per mantenere la qualità dell'immagine nell'intervallo di ingrandimenti
desiderato, con le lenti tradizionali spesso è necessario utilizzare più di 20 elementi
di cui molti in movimento.
Il dispositivo brevettato dalla Varioptic, di semplice produzione e con costi ridotti, è
in grado di resistere a milioni di cicli di prova senza danneggiarsi, con tempi di
risposta per la messa a fuoco inferiore a 500 millisecondi, senza alcuna isteresi o
sfasamento temporale. Il gruppo ottico del dispositivo a lenti liquide è stato
progettato per prevenire la distorsione dell'immagine e l'aberrazione cromatica. La
lente garantisce la stabilità di immagine in un ampio intervallo di temperature di
esercizio, un'ottima trasparenza, resistenza e qualità ottica rispetto agli obiettivi
tradizionali. Lo sviluppo delle sostanze liquide con caratteristiche ottiche migliori e
minori distorsioni permetterà di eliminare queste limitazioni. Attualmente, la
Varioptic sta sviluppando un rivestimento in Teflon AF® per lo strato dielettrico delle
lenti liquide di prossima generazione.
I ricercatori del Fraunhofer Institute for Applied Optics and Precision Engineering,
167
Note sugli autori
Luciano Caglioti è un noto chimico e accademico italiano. È professore ordinario di
chimica organica dal 1971, Prorettore per la Ricerca della Sapienza Università di
Roma e delegato presso la CEE per la ricerca italiana. Laureatosi alla Sapienza, ha
lavorato al Politecnico federale di Zurigo, al Politecnico di Milano ed all’Università di
Bologna. Dal 1980 al 1990 è stato direttore del progetto CNR “Chimica fine e
secondaria”. È membro della New York Academy of Science, della Hungarian
Academy of Science, dell’Accademia di Modena e coordinatore del Progetto
Strategico del CNR per l’impiego dei risultati della ricerca pubblica in ambiti
industriali. È autore di libri di testo di chimica organica e chimica delle sostanze
naturali, e di scienza popolare.
Marco Cardillo è architetto e PhD in Design industriale (Palermo, 2006). Collabora
al Corso di “Materiali per il design” nella Facoltà di Architettura dell’Università degli
studi di Palermo. Svolge attività di libero professionista e collabora con studi di
architettura, ingegneria e servizi tecnici integrati. È coautore, con Marinella Ferrara,
del libro Materiali intelligenti, sensibili, interattivi (Lupetti, 2008) e responsabile della
sezione materiali intelligenti di MAD-Material design library del Dipartimento di
design di Palermo.
note sugli autori
Note sugli autori
Cosimo Carfagna è professore ordinario di Chimica nella Facoltà di Ingegneria
dell’Università degli Studi di Napoli Federico II (dal 2000) e dal 2002 è direttore
dell’Istituto di Chimica e Tecnologia dei Polimeri (ICTP) del CNR. E’ stato ricercatore
ATA presso l’Istituto di Principi di Ingegneria Chimica della stessa università e ha
condotto ricerche alla Bend Research Inc. (Oregon U.S.A) e al Forschunginstitut fur
Pigmente und lacke (Stoccarda, Germania). La sua attività di ricerca comprende
numerosi settori della chimica dei polimeri: materiali compositi, sintesi di polimeri
cristallo-liquidi, sintesi di materiali polimerici per applicazioni elettro-ottiche, polimeri
antifiamma, adesivi strutturali, fotodegradazione di polimeri, materiali innovativi per
il settore tessile.
Giulio Ceppi è architetto e dal 2008 ricercatore al Politecnico di Milano. Nel 2000
ha fondato Total Tool, società di visioning e design strategy con sede a Milano, e nel
2002 apre sedi di Total Tool a Buenos Aires e Tokyo. Si occupa di progettazione
sensoriale, design dei materiali, nuove tecnologie e di strategie di identità. Dal 1991
al 1997 ha coordinato il Centro Ricerche Domus Academy. Dal 1998 è senior design
consultant di Philips Design ed è stato visiting professor all’Interaction Design
Institute di Ivrea. Nel 2006 ha curato la mostra “Oggetti esistibili. La pubblicità fa
design esposta alla Triennale di Milano”.
Sara Cortesi insegna presso la Facoltà del Design del Politecnico di Milano nei corsi
di Design per la sostenibilità ambientale e collabora con l’Unità di Ricerca Design e
Innovazione di sistema per la Sostenibilità (DIS, Dipartimento INDACO). Si occupa di
Life Cycle Assessment, Life Cycle Design e sistemi di prodotto-servizio.
Giada Dammacco, designer, è responsabile dello sviluppo prodotto di Grado Zero
Espace dal 2005. Ha studiato disegno industriale all’ISIA di Roma e ha proseguito il
suo percorso formativo al Central Saint Martins College di Londra, dove ha
171
Marco Della Torre è architetto, docente del corso di “Teorie e tecniche
dell’allestimento” nella Facoltà di Design e Arti dell’Università IUAV di Venezia e del
corso di “Allestimenti per l’arte contemporanea” allo IULM di Milano, dal 2006.
Dopo la laura conseguita a Milano ha collaborato con I. Gardella, U. Riva, P. Cerri e
M. De Lucchi. Nel ‘91 si trasferisce in California dove collabora con studi di fama
internazionale e frequenta la School for Environmental Design di Berkeley e il Kala
Art Institute di Emeryville. Nel 1997 e apre a Milano marcodellatorre studio,
specializzato nella realizzazione di progetti di allestimento per gallerie e musei di
arte contemporanea in Europa, Giappone, USA e Cina, e collabora alla realizzazione
delle opere di artisti come Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen, Mariko Mori,
Carsten Höller, Charles Ray, Vanessa Beecroft, Anish Kapoor, Marc Quinn, e con
curatori come Germano Celant, Ida Gianelli, Carolyn Christov-Bakargiev, Eckhard
Schneider, Rudolf Sagmeister, Jeffrey Deitch. E’ anche docente al NABA a Milano,
dove coordina gli “Italian Study Abroad Program”.
Marinella Ferrara è architetto, ricercatore e docente della Facoltà del design del
Politecnico di Milano. Laureatasi all’Università degli studi di Palermo, ha
successivamente conseguito il Master in progetto urbano al CCB (Barcellona) e il
Dottorato di ricerca in Disegno industriale a Palermo. Per il Dipartimento di Design
di Palermo si è occupata prevalentemente di ricerca su materiali e tecnologie per il
design, fondando e coordinando MAD-Material Design Library. Attualmente è
tesoriere della delegazione ADI Sicilia, capo redattore del magazine DesignReview e
responsabile di redazione del magazine on line PalermoDesign. Tra i suoi libri:
Materiali intelligenti, sensibili, interattivi (con Marco Cardillo, Lupetti 2008,), Acciaio
(Lupetti, 2005), Luminarie di città. Progetti per Palermo (con Loredana Benincasa
Lupetti 2006,), Materiali e innovazioni nel design 1 e 2, Le microstorie (Gangemi,
2004).
Pierre-Paul Jobert, francese, dal 2000 è direttore generale della DGTec, azienda di
sviluppo di soluzioni tecnologiche a base di materiali nanostrutturati. Laureatosi nel
‘78 in Ingegneria all’ESPCI (Ecole Supérieure de Physique et Chimie Industrielle di
Parigi) e nel ‘95 all’ENSERG (Ecole Nationale Supérieure d’Electricité et
Radioélectricité di Grenoble), dal ‘79 all’ ‘82 si è occupato di tecnologie dei
semiconduttori per Thomson CSF; dall’ ‘82 al ‘94 di tubi a radi catodici in qualità di
responsabile della R&S del laboratorio schermi, e anche di product manager e new
project manager per la Thomson CSF. Dal ‘95 al 2000, si è occupato di schermi al
plasma per TV sets (in qualità di amministratore dei beni strutturali, responsabile del
business plan della linea pilota e responsabile dell’ingegneria dei processi) per
Thomson Multimédia.
Chris Lefteri, designer con base a Londra, è internazionalmente riconosciuto per i
suoi libri sui materiali innovativi e le applicazioni nel design. È anche creative director
di 100% Materials a Londra, curatore di mostre sui materiali e design e ha tenuto
conferenze in numerosi musei ed università in Europa, Nord America e Asia, oltre a
contribuire alla redazione dei più importanti magazine del settore. Ha lavorato per
numerose aziende internazionali come: Exxon Mobil Chemical, Dupont, Land Rover
and Jaguar cars, Philips Electronics, the Uk Design Council and Reed Exhibitions.
Sabrina Lucibello è architetto, ricercatore in disegno industriale della Sapienza
Università di Roma dal 2006, specializza in Habitat-Santé-Urgence presso lo IUAG di
Ginevra e PhD in “Tecnologie dell’Architettura”. Attualmente svolge attività di
ricerca e didattica sulle tematiche dei materiali per il design all’interno della Sezione
Arti Design e Nuove Tecnologie del Dipartimento ITACA della Facoltà L. Quaroni e
collabora attivamente nella organizzazione di eventi, convegni, workshop e corsi di
alta formazione (Corso A.F. di Quadri Dirigenti per il Mercosur, Montevideo Uruguay, cofin MAE-Sapienza; Corso di A.F. in Design della Sapienza). È inoltre
coordinatore della rivista Disegno industriale. Tra i suoi libri Materiali@design (2005).
Stefano Marzano è architetto, designer e Chief Creative Director della Philips per
la quale Dal lavora dal 1973, tra Italia e Olanda. Frutto della ricerca da lui diretta è
la famiglia di “oggetti del futuro” presentata al Salone del mobile 1999 a Milano.
Nel 2005, Business Week (USA) lo ha nominato “Best Leaders of 2005” per
l’innovazione; nel 2001 è stato vincitore del World Technology Award for Design by
the World Technology Network. È stato professore alla Domus Accademy di Milano,
visiting professor alla Facoltà di design del Politecnico di Milano e consulente della
Facoltà di disegno industriale all’Università Tecnica di Eindhoven, dove presiede
attualmente il Consiglio direttivo. Fa parte del Consiglio consultivo del Design
Management Institute (Boston, USA) e dell’Università di Westminster (Regno Unito).
Tra I suoi libri: Television at the Crossroads (1994), Vision of the Future (1996),
Creating Value by Design: Thoughts and Facts (1998), City, People, Light (1997),
Past Tense, Future Sense: Competing through Creativity - 80 Years of Design at
Philips (2005), e The New Everyday: Views on Ambient Intelligence (2003, con Emile
Aarts).
note sugli autori
approfondito la tematica delle relazioni tra corpo e abito. Per Grado Zero Espace si è
occupata di equipaggiamenti sportivi per progetti tecnico-scientifici come Absolute
Frontiers II e K-Cap (selezionato nell’ADI Index 2006), e PRO-HAND®. Ha
collaborato allo sviluppo dell’Aerogel Design System, acquisendo competenze
nell’ambito dell’antropometria e dell’ergonomia in funzione dell’attività psico-fisica
dell’atleta e dell’ambiente circostante.
Diego Marzorati, ingegnere chimico, è project manager della “Business Line
Vehicle Architectures” del Centro Ricerche Fiat. Dopo la laurea conseguita al
Politecnico di Torino, inizia a lavorare al CRF come esperto di materiali innovativi per
applicazioni autoveicolistiche. Nel 2002 assume la responsabilità dell’unità operativa
“Interni Veicolo e Ambiente” e gestisce numerosi progetti di innovazione a
finanziamento pubblico nazionale ed europeo, riguardo soluzioni e sistemi per il
miglioramento del comfort a bordo veicolo. Su queste tematiche è autore di alcuni
brevetti internazionali, numerose pubblicazioni su riviste internazionali di settore e
comunicazioni a congressi e workshop.
Federico Pagliai è giornalistica e fondatore di Corpo Nove, uno dei marchi più
dinamici e innovativi del sistema italiano. Laureatosi in filosofia ermeneutica
all’università di Firenze, ha lavorato per vari quotidiani e ha collabora con Giorgio
Dell’Arti in materia di libri. Nel ‘95 rileva e rilancia una piccola azienda di famiglia
specializzata in sportswear. Nel 2000, concorre alla nascita di Grado Zero Espace,
realtà accreditata nell’ambito della ricerca e del trasferimento tecnologico. Nel 2005
approda, come responsabile della ricerca, della comunicazione e del prodotto al
gruppo industriale tessile Beste. Nello stesso anno inizia una collaborazione con il
quotidiano La Repubblica in materia di design e formazione.
Tonino Paris è professore ordinario di Disegno industriale alla Sapienza Università di
Roma, dove ricopre le cariche di Presidente dei Corsi di laurea in Disegno industriale
(triennale e magistrale) e Direttore del Master internazionale “Design e
173
management nel Mercosur”. È stato componente del Consiglio nazionale del design
presso il Ministero delle Attività e dei Beni Culturali, direttore editoriale delle edizioni
Rdesignpress e direttore della rivista Disegno Industriale, che ha ideato, fondato e
che dirige. È ideatore e direttore scientifico di Roma design più, la manifestazione
che promuove e valorizza la cultura del design e la sperimentazione, e che si avvia
nel 2009 alla sua settima edizione.
Ely Rozenberg, israeliano, è designer e docente di “Light design” all’Istituto
Europeo di design a Roma. Laureatosi in industrial design alla Bezalel Academy of
Art and Design di Gerusalemme, nel ‘97 ha fondato lo studio OZ e dal ‘99 si
trasferisce in Italia. Negli ultimi anni si è dedicato anche alla cura di mostre sul
design israeliano. Ha curato con Vanni Pasca la mostra “Industrious designers” ad
Abitare il tempo (Verona 2001 e 2002) e “Promisedesign. New design from Israel”
alla Triennale di Milano nel 2005. Nel 2007 ha curato “Re-Oriented. Design
Israel”che ha esordito alla Biennale di Saint-Étienne.
Carlo Vezzoli è professore presso la Facoltà del Design del Politecnico di Milano. Si
occupa di ricerca e didattica nel campo della progettazione di scenari, strategie,
metodi e strumenti per la sostenibilità di prodotti, servizi e sistemi. Insegna nei corsi
di Design per la sostenibilità ambientale e System Design for Sustainability, ed è
direttore dell’Unità di Ricerca Design e Innovazione di sistema per la Sostenibilità
(DIS, Dipartimento INDACO). E’ coordinatore della rete internazionale Learning
Network on Sustainability (LeNS, www.lens.polimi.it), per lo sviluppo di curricula sul
Design per la Sostenibilità focalizzato all’innovazione di Prodotto-Servizio-Sistema,
finanziato dal Programma Asia Link, Commissione Europea.
Bibliografia
Aldo Tempesti, è direttore di TexClubTec (Associazione dei tessili tecnici ed
innovativi) dal 1998. Laureatosi in Chimica industriale all’Università di Milano, ha
svolto ricerche presso la Snia Fibre Spa ed è stato responsabile dello sviluppo della
fibra modacrilica e della promozione della fibra acrilica per Montefibre Spa. Ha
rivestito la carica di Segretario generale dell’Associazione Italiana Tessili Antifiamma
e di Presidente della Commissione del Comitato Europeo di Normazione per i tessili
con buon comportamento al fuoco. E’ stato docente di tecnologie industriali tessili
presso l’Università di Bergamo. E’ titolare di brevetti relativi a prodotti tessili, autore
di numerose pubblicazioni e curatore di rubriche sui tessili innovativi su alcune delle
più importanti testate del settore. E’ membro dell’Osservatorio Territoriale della
Lombardia dell’ADI.
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