Rapporto OTT - Editorial Express

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Rapporto OTT - Editorial Express
La fiscalità delle “multinazionali digitali”:
il caso italiano
Carla Scaglioni
Abstract
In soli 20 anni, Internet è cresciuta fino a diventare strategica sia per la crescita economica di molti
Paesi che per la vita quotidiana di miliardi di persone (OECD, 2011). Il mondo di Internet che
conosciamo ad oggi si configura, infatti, sempre più, come un prodotto di rete il cui valore
dell’infrastruttura cresce per l’utente finale all’aumentare del numero di persone che essa permette di
raggiungere e la cui natura profondamente dinamica e complessa coinvolge moltissimi soggetti, con
finalità e strategie economiche differenti dell’ecosistema digitale. In questo contesto, si inserisce la
presente analisi, volta ad affrontare il tema della fiscalità digitale, focalizzandosi sulle scelte
strategiche operate in questo ambito da alcuni dei principali attori che compongono il nuovo segmento
della filiera digitale: i cosiddetti operatori “sopra la rete” Over-The-Top (OTT) e di alcuni player IT
e produttori di device globali, operanti nello stesso segmento di mercato.
L’analisi condotta su un campione di 10 tra i maggiori operatori ricorre alla metodologia delle
aliquote implicite ex post, calcolate sul profitto lordo, il totale delle attività e il fatturato. Tale
approccio è in linea con i risultati evidenziati dalla letteratura empirica sulle multinazionali, dal
momento che gli indicatori di profitto delle imprese digitali tendono ad essere estremamente
eterogenei fra loro e fanno pensare ad un “segnale” di comportamento di profit shifting (Scaglioni,
2013). L’obiettivo è, dunque, verificare se la delocalizzazione effettuata in Italia abbia o meno una
modalità di natura “finanziaria” e non “reale”, nel senso che la filiale estera viene insediata per mero
arbitraggio fiscale e non per scopi industriali.
Keywords: OTT, FDI, transfer pricing, profit shifting
JEL: H25, H87, H32

Alma Mater Studiorum-Università di Bologna. Piazza Scaravilli, 2 Bologna e Università degli Studi di Roma
“La Sapienza”, Dipartimento di Scienze Politiche, Piazzale Aldo Moro, 5 Roma, email:
[email protected].
Parte di questo lavoro è estratto dal volume “Over the Top: le nuove multinazionali del Web. La virtualizzazione
della delocalizzazione”, C.Scaglioni (2013). Fondazione Rosselli, Roma. Si ringraziano per i preziosi
suggerimenti Bruno Lamborghini, Emma Galli, Francesca Traclò e Salvatore Tutino. Ogni errore rimane
dell’autrice.
Digital Multinational Firms and their “Fiscal
Attitude”: the Italian case
Abstract
The world of Internet we know today is increasingly becoming a reality multi- network, multiservice, multi- platform, i.e. a product of the network whose characteristic element is that the value
of the infrastructure grows for the final user as the number of people it can reach, and the dynamic
and complex nature of which deeply involves many parties with different economic objectives and
strategies of the Digital ecosystem. In 20 years, Internet has grown to become critical for the economic
growth conditions in many countries and for the daily lives of billions of people (OECD, 2011). In
this context, the present analysis aims at tackling the issue of digital taxation, focusing on the strategic
choices made in this area by some of the leading actors that make up the new segment of the digital
eco-system, the so-called Over-The-Top (OTT) and some IT players and manufacturers of digital
devices, their direct competitors in the global OTT market.
The analysis conducted on a sample of 10 major operators develops the ex post implicit tax rates
approach, calculated on the gross profit, total assets and revenues, in line with the results shown by
the empirical literature on multinationals, since corporate profit indicatorsalso in the case of digital
multinational firms tend to be extremely heterogeneous between them and suggest a "signal" of profit
shifting behavior (Scaglioni, 2013). The goal, then, is to investigate whether or not the delocalization
in Italy, but it could be the case of any other country with high legal tax rates, is just "financial" and
not "real" in the sense that the foreign subsidiary is established for mere tax arbitrage and not with
developing intents.
Keywords: OTT, FDI, transfer pricing, profit shifting
JEL: H25, H87, H32
2
Indice
1 – Introduzione .................................................................................................................... 4
2 – La natura multinazionale degli OTT e il driver fiscale................................................ 7
3 – Diverse misure della condotta fiscale delle multinazionali: le aliquote marginali
effettive e le aliquote medie effettive ............................................................................ 9
4 – L’universo di riferimento e l’analisi dei risultati ....................................................... 10
5 – L’analisi delle autorità fiscali nazionali: un confronto ............................................. 15
6 – Conclusioni .................................................................................................................... 17
Riferimenti bibliografici .................................................................................................... 20
3
1 – Introduzione
La storia degli ultimi 20 anni mostra come Internet sia cresciuta fino a divenire strategica
sia per la crescita economica di molti Paesi che per la vita quotidiana di miliardi di persone
(OECD, 2011). La recente crisi economica ha, poi, senza dubbio confermato l’importanza
dell’intervento pubblico nella ridefinizione delle strategie per il rilancio dell’economia reale,
sottolineando il ruolo dell’ecosistema digitale, la cui natura profondamente dinamica e
complessa coinvolge moltissimi soggetti, con finalità e strategie economiche differenti.
Proprio questa forte rilevanza suscita una sempre maggiore attenzione, andando molto
spesso oltre la mera curiosità intellettuale, visti i risvolti estremamente pratici che i servizi
digitali hanno sulla vita quotidiana di tutti noi.
Lo studio qui condotto, dal momento che considera le modalità di internazionalizzazione
dei cosiddetti OTT (Over-The-Top)1, alcuni dei principali attori che compongono il nuovo
segmento della filiera digitale, finisce per inserirsi nel più ampio tema riguardante le scelte
di localizzazione delle attività innovative delle imprese multinazionali, concentrandosi sulle
relazioni che si vengono a formare tra queste e il territorio in cui vanno ad operare. Se, infatti,
si è consolidata un’ampia letteratura (OECD, 2008) tesa a dimostrare come l’incremento
nella diffusione delle tecnologie digitali abbia un elevato fattore moltiplicativo in termini di
sviluppo, risultando un vero e proprio fattore abilitante per la crescita di un Paese, meno
scontato appare il ruolo attivo giocato dagli OTT.
Ora, se guardiamo alla geografia dei ricavi degli OTT e alla loro scelta di aprire diverse
filiali all’estero è innegabile che per più di una caratteristica identificata in letteratura
(Dunning e Lundan, 2008; Scaglioni, 2013) essi presentino una natura multinazionale. Tra i
principali driver nel loro processo di internazionalizzazione (il mercato locale e le dotazioni
di risorse; le istituzioni locali e le facilities; gli spillover e le economie di agglomerazione e,
infine, il grado di protezione dei diritti di proprietà intellettuale) sono emersi i meccanismi di
integrazione verticale e le agevolazioni fiscali. L’analisi svolta si è soffermata proprio su
1
Agcom definisce gli OTT “imprese prive di una propria infra- struttura e che in tal senso agiscono al di sopra
delle reti, da cui Over-The-Top” e che “forniscono, attraverso le reti IP, servizi, contenuti e applicazioni (…) e
traggono ricavo, in prevalenza, dalla vendita di contenuti e servizi agli utenti finali (…) e di spazi pubblicitari”
(Agcom, 2012: 28).
4
quest’ultimo aspetto, con l’obiettivo di verificare se la delocalizzazione attuata in Italia, dove
sono presenti elevate aliquote fiscali legali, abbia o meno una modalità di natura
“finanziaria” piuttosto che “reale”, ossia se le filiali estere di questi Operatori siano state
insediate più per mero arbitraggio fiscale che non per reali esigenze industriali. Accade
spesso, infatti, che le imprese multinazionali, attraverso articolate pratiche finanziarie,
riescano a far confluire i propri profitti in regimi fiscali più favorevoli (Irlanda o
Lussemburgo, nel caso europeo), collegate a giurisdizioni considerate dei veri e propri
paradisi fiscali (Isole Cayman, Jersey etc.).
Dunque, all’assenza dei benefici reali non conseguiti (Scaglioni, 2013), può aggiungersi
un’ulteriore “perdita” di risorse, visto che, attraverso le pratiche fiscali adottate, le
multinazionali digitali riescono a ridurre la base imponibile dei propri ricavi in modo
sostanziale, con un conseguente significativo mancato gettito non solo per l’erario del Paese
ospitante, ma anche per quello di origine.
In generale, la letteratura ha evidenziato come non esista un unico indicatore tributario
che riesca a cogliere il tipo di condotta fiscale adottata dalle multinazionali (Hines e Rice,
1994). Se, infatti, l’aliquota legale può essere considerata un “indicatore generale” della
politica tributaria adottata, tuttavia non rappresenta un valore affidabile della reale pressione
tributaria cui sono sottoposte le imprese, soprattutto nei confronti internazionali e
intersettoriali, proprio perché dipende in via esclusiva dalla definizione della base
imponibile. Per questo motivo, l’esercizio qui proposto utilizza le aliquote implicite ex post,
calcolate sul profitto lordo, il totale delle attività e il fatturato, desunti dai bilanci consuntivi
relativi all’anno 2011 delle società del campione, classificati in OTT “puri”2 e “ibridi o
manifatturieri”3. Tale approccio metodologico è in linea con i risultati evidenziati dalla
letteratura empirica sulle multinazionali, dal momento che gli indicatori di profitto delle
imprese digitali tendono ad essere estremamente eterogenei fra loro e fanno pensare ad un
“segnale” di comportamento di profit shifting (Scaglioni, 2013).
2
eBay Inc., Facebook Inc., Groupon Inc., Linkedin Corp., Tripadvisor Inc. e Yahoo! Inc.
Ossia quei player IT e produttori di device globali che operano in diretta concorrenza nel mercato degli OTT,
assumendone le caratteristiche in quello specifico segmento, come Amazon Inc., Apple Inc., Google Inc.,
Microsoft Corp.,
3
5
Il lavoro, dopo aver evidenziato la natura multinazionale degli OTT e il driver fiscale
(paragrafo 2), presenta le diverse misure della condotta fiscale delle multinazionali,
distinguendo tra le aliquote marginali effettive e le aliquote medie effettive (paragrafo 3).
Seguono, poi, la definizione dell’universo di riferimento e l’analisi dei risultati (paragrafo 4).
Il confronto dei risultati qui ottenuti con quelli emersi dalle analisi condotte dall’autorità
fiscali nazionali trovano ampio spazio nelle pagine conclusive dello studio.
6
2 – La natura multinazionale degli OTT e il driver fiscale
La natura multinazionale dei nuovi attori “sopra la rete”, i cosiddetti Over-The-Top
(OTT)4, che operano all’interno della filiera digitale, emerge dalla presenza di meccanismi
di integrazione verticale e dal ricorso alle agevolazioni fiscali5, quali principali driver di
insediamento nei mercati di sbocco come quello italiano (Scaglioni, 2013). E’, infatti,
inevitabile, che nel contesto internazionale il reddito prodotto dalle società finisca per essere
sopposto a sistemi fiscali diversi e che le imprese, localizzate in giurisdizioni differenti,
traggano un beneficio fiscale, che dipende dai differenziali di imposta nei diversi Paesi di
localizzazione e dai diversi metodi di correzione della doppia imposizione adottati.
In generale, se si aggiunge la componente fiscale all’approccio “eclettico” di Dunning e
Lundan (2008), si osserva che le decisioni legate a questa modalità di insediamento si trovano
nella fase finale delle scelte di internazionalizzazione delle imprese multinazionali (Figura
1), quando le imprese sono già localizzate per motivi industriali e dunque il fattore fiscale
diventa il vero criterio discriminante per scegliere dove proseguire il processo di
delocalizzazione estera. In questo caso, tradizionalmente i due maggiori canali di
minimizzazione dell’onere fiscale sono la politica finanziaria (o di finanziamento) operata
4
Vedi nota 1.
Mentre la loro strategia di insediamento ha tenuto in considerazione, principalmente, tre differenti macroareee: il mercato e le dotazioni di risorse, gli spillover e le economie di agglomerazioni, le istituzioni e le
facilities, in cui si evidenziano i driver specifici (Tabella 1).
5
Tabella 1 - I Driver di insediamento degli OTT in Italia
Macro-aree
Mercato e dotazioni di risorse
Driver
Assetto di mercato
Redditività, profittabilità, liquidità
Sviluppo e Dinamicità del Mercato
Spillover e economie di agglomerazione
Intra-industry
Inter-firm
Poli di Innovazione
Presenza di altre multinazionali estere
Istituzioni locali e facilities
Agevolazioni Fiscali
Fonte: Scaglioni (2013)
7
dall’impresa, oppure la pratica dei prezzi di trasferimento nell’ambito delle diverse imprese
appartenenti allo stesso gruppo (il cosiddetto transfer pricing). Il risultato in entrambi i casi
è il cosiddetto profit shifting, ossia un trasferimento di profitti nella giurisdizione fiscalmente
più vantaggiosa6. Non è raro, quindi che, proprio col mero scopo di sfruttare queste
opportunità, accada che si possa decidere di costituire una multinazionale.
Figura 1 – L’albero decisionale dell’impresa e le variabili fiscali
Fonte: elaborazioni proprie su Gastaldi e Pazienza (2005) e Scaglioni (2013)
La gamma dei canali di finanziamento - e dunque la politica finanziaria scelta dalle
imprese - è sicuramente maggiore per le multinazionali rispetto alle imprese che hanno
accesso ad un solo mercato. Tale vantaggio deriva, certamente, dal livello delle aliquote di
imposta praticate nelle diverse giurisdizioni, ma anche dalle condizioni del credito nei diversi
mercati7 e dal metodo di finanziamento della casa madre.
Nel caso di imprese integrate è, poi, possibile aumentare il volume del commercio intraaziendale o intra-firm (acquisto di beni e servizi tangibili e intangibili, attività finanziarie e
allocazione di spese comuni, come la Ricerca) con lo scopo di avere una maggiore possibilità
6
Per approfondimenti si rimanda a Grubert e Mutti (1991), Grubert et al. (1993), Grubert (1997), Grubert e
Slemrod (1998), Jog e Tang (2001).
7
Ad esempio il livello dei tassi di interesse
8
di usare prezzi di trasferimento per rimpatriare i propri profitti, per minimizzare l’onere
fiscale del Paese ospite e massimizzare il profitto globale dell’impresa, alterando così la
propria base imponibile (Horst,1973; Eden, 1998). E’, peraltro, possibile ottenere lo stesso
effetto anche pagando per servizi forniti da personale dell’impresa madre o di un’altra
affiliata. È relativamente facile, infatti, per le imprese far figurare dei prezzi che non
rispecchiano il reale valore delle transazioni interne, dal momento che è molto difficile
definire un prezzo di mercato per queste voci (arm's-length). Ne consegue che le imprese
multinazionali possono usare il transfer pricing a loro totale beneficio influenzando, in
questo modo, l’ammontare dei profitti dichiarati e, di conseguenza, le entrate fiscali sia del
Paese ospite, sia di quello nazionale. In particolare, per spostare i profitti tra Paesi, l’impresa
multinazionale fissa un prezzo più basso per i beni che sono venduti ai Paesi che hanno delle
aliquote fiscali più alte ed un prezzo più alto per i beni che sono venduti ai Paesi che hanno
aliquote fiscali più basse. Una tale strategia implica che il flusso di commercio intra-firm
verso (da) le affiliate localizzate in Paesi con aliquote fiscali elevate sarà basso (alto)
relativamente al commercio intra-firm verso (da) affiliate localizzate in Paesi con aliquote
fiscali basse8.
3 – Diverse misure della condotta fiscale delle multinazionali: le aliquote marginali
effettive e le aliquote medie effettive
In generale, come si diceva in apertura, non esiste un unico indicatore tributario che
riesca a cogliere il tipo di condotta fiscale adottata dalle multinazionali (Hines e Rice, 1994)
e in grado di fornire un valore affidabile della reale pressione tributaria cui sono sottoposte
le imprese, soprattutto nei confronti internazionali e intersettoriali. Per questo la letteratura9
ha sviluppato altri indicatori come le aliquote effettive (o implicite o condensate), che
includano norme di definizione della base imponibile e in caso, anche, eventuali meccanismi
8
Negli anni sessanta e settanta, la pratica del transfer pricing è stata un mezzo ampiamente utilizzato dalle
imprese multinazionali per superare le restrizioni al rimpatrio dei profitti imposte da molti Paesi in via di
sviluppo.
9
Per una rassegna si veda Gastaldi e Pazienza (2005)
9
di incentivazione. Nell’ambito delle aliquote effettive si può distinguere tra valutazioni ex
ante (aliquote marginali effettive o forward looking) ed ex post (dette aliquote medie effettive
o backward looking). Le prime sono indicatori di incidenza “teorica” costruiti a partire dalla
legislazione ed applicabili ad uno specifico progetto di investimento, che non produce extra
profitti10. Le seconde appartengono a quegli indicatori costruiti come rapporto tra le imposte
effettivamente versate (o dovute) e un aggregato di riferimento: nel caso di una aliquota
riferita alle imposte sui profitti l’indicatore si costruirà rapportando le imposte ai profitti lordi
delle imprese o ad un’altra base ritenuta conveniente per l’analisi, come il fatturato, il valore
aggiunto o il patrimonio (Gastaldi, 2013). L’utilizzo delle imposte effettivamente pagate
permette, dunque, di vedere come le specifiche definizioni della base imponibile incidono
sull’onere effettivo: le aliquote medie misurano, infatti, l’entità dell’autofinanziamento
sottratto all’impresa e sono rilevanti quando si devono analizzare gli effetti reddito della
tassazione. Il difetto di questo tipo di indicatore è l’impossibilità di separare e analizzare
elementi importanti, come ad esempio il contributo degli utili o delle perdite o di qualunque
aspetto specifico del sistema che maggiormente influenza l’onere complessivo.
4 – L’universo di riferimento e l’analisi dei risultati
Al fine di cogliere dei comportamenti tesi alla minimizzazione dell’onere fiscale
sopportato dalle multinazionali digitali all’interno del nostro ordinamento, si è deciso di
identificare le dieci realtà maggiormente significative per ciascuna tipologia dei vari modelli
di business e operanti su scala globale. Per questo sono stati inclusi nel campione: Amazon
Inc., Apple Inc., eBay Inc., Facebook Inc., Google Inc., Groupon Inc., Linkedin Corp.,
Microsoft Corp., Tripadvisor Inc. e Yahoo! Inc.. Le fonti dei dati utilizzata nello studio sono
stati il Database Telemaco di Unioncamere ed il Bureau van Dijk, provider di dati,
specializzato nel fornire informazioni dettagliate sulle aziende italiane ed estere, rating,
probabilità di default, assetto societario e struttura del gruppo, operazioni di finanza
straordinaria e studi di settore. Più precisamente, è stato utilizzato il Database Orbis, che
10
Per approfondimenti si rimanda a De Caprariis e Ruocco (2002) Martinez Mongay (2000) Devereux e
Griffith (1998)
10
fornisce informazioni economico-finanziarie ai fini di valutazioni e analisi di mercato. Dal
momento che gli indicatori di profitto delle imprese digitali tendono ad essere estremamente
eterogenei fra loro e fanno pensare ad un “segnale” di comportamento di profit shifting
(Scaglioni, 2013), si è deciso di basare l’analisi sui bilanci consuntivi relativi all’anno 2011
delle società del campione e di utilizzare le aliquote implicite ex post degli OTT, calcolate
sul profitto lordo, totale delle attività e fatturato
I dati (Tabella 2) evidenziano che nel caso dei profitti, gli OTT sopportano un onere
fiscale superiore a quello valutato per unità di capitale investito e in relazione al giro d’affari.
Per la lettura del risultato finale occorre, poi, distinguere tra le aliquote costruite come media
degli indicatori per le singole imprese in modo che ciascuna impresa abbia lo stesso peso nel
definire l’aliquota media del gruppo e quelle calcolate rispetto all’ammontare complessivo
delle imposte, fatturato e attivo, come se si trattasse di un “unico soggetto rappresentativo”11.
Nel caso della media delle aliquote medie, la pressione fiscale sul profitto lordo dichiarato
risulta essere pari al 44,6 per cento, ossia 13,2 punti percentuali in più rispetto all’aliquota
legale (31,4 per cento, pari alla somma delle aliquote Irap, 3,9 per cento, e Ires, 27,5 per
cento). Tale valore risente, tuttavia, della forte eterogeneità del campione che ha due outliers
significativi: Amazon (77,7 per cento) e eBay (1,7 per cento). I risultati cambiano totalmente
quando si tratta di considerare il capitale investito o il fatturato. L’aliquota implicita valutata
sulle attività si riduce al 6,2 per cento, pari a circa il 25 per cento in meno rispetto all’aliquota
legale. Un risultato simile (circa il 24 per cento) è osservabile quando si consideri il fatturato,
per cui la media delle aliquote è leggermente più alta e arriva al 7,7 per cento. Se si esamina,
invece, l’indice di un “ipotetico OTT rappresentativo”, lo scenario è leggermente diverso per
ciò che concerne attività e giro d’affari, ma differisce in modo significativo in termini di
profitto. L’aliquota implicita relativa al primo aggregato scende al 20 per cento, quella
calcolata sul secondo aggregato diminuisce al 21 per cento, mentre invece nel caso dei profitti
l’aliquota implicita, a differenza di quanto osservato prima, si riduce di circa la metà di quella
legale (17 per cento), pari cioè a meno 14 punti percentuali.
11
Questo indicatore ha vantaggio di riuscire a rendere più omogenei i pesi per la determinazione della media,
in presenza di valori estremi, come nel nostro caso (Gastaldi e Pazienza, 2005).
11
Tabella 2 – Aliquote implicite degli OTT in Italia (2011)
Amazon
Apple
eBay
Facebook
Google
Groupon
Linkedin
Microsoft
Tripadvisor
Yahoo!
Tot/
S.r.l
S.r.l
S.r.l
S.r.l
S.r.l
S.r.l
S.r.l
S.r.l
S.r.l
S.r.l
Media
Fatturato
4.541.47
0
26.407.229
50.253
2.021.759
44.075.1
13
43.453.927
96.944
217.656.018
42.686
9.741.881
348.087.280
Attività
7.930.34
9
45.955.569
4.832.245
1.212.557
19.815.4
15
105.803.17
2
113.970
104.531.168
116.896
19.019.119
309.330.460
Utile lordo
dichiarato
208.745
14.579.137
36.918
154.715
3.343.60
7
43.697.050
4.617
34.191.802
3.162
693.440
96.913.193
Imposte pagate
162.101
4.820.879
645
101.242
1.819.05
1
12.514.670
2.626
16.350.114
1.725
181.961
35.955.014
Utile netto
dichiarato
46.644
9.758.258
36.273
53.473
1.524.55
6
31.182.380
1.991
18.843.675
1.437
511.479
61.960.166
Aliquota
effettiva/Fatturato
3,6%
18,3%
1,3%
5,0%
4,1%
28,8%
2,7%
7,5%
4,0%
1,9%
7,7%
Aliquota
effettiva/Attività
2,0%
10,5%
0,01%
8,3%
9,18%
11,8%
2,3%
15,6%
1,5%
1,0%
6,2%
Aliquota
effettiva/Profitto
77,7%
33,1%
1,7%
65,4%
54,4%
28,6%
56,9%
47,8%
54,6%
26,2%
44,6%
Aliquota legale
31,4%
31,4%
31,4%
31,4%
31,4%
31,4%
31,4%
31,4%
31,4%
31,4%
31,4%
Differenza tra
aliquota effettiva e
implicita
+46,3%
+1,7%
-29,7%
+34,0%
+23,0%
-2,8%
+25,5%
+16,4%
+23,2%
-5,2%
+13,2%
Fonte: elaborazioni proprie su dati di bilancio, Gastaldi e Pazienza (2005) e Gastaldi (2013)
Ma si può parlare di profit shifting? Come già osservato, i differenziali tra le aliquote
degli OTT suggeriscono un’analisi più specifica su alcune variabili di bilancio, che possono
rappresentare12, seppure in modo indiretto, un indicatore di eventuali strategie di profit
shifting messe in atto dalle multinazionali digitali.
In generale, gli interessi passivi e i costi della produzione rappresentano le grandezze
attraverso cui si determina la base imponibile. Ne consegue che queste sono le due leve su
cui le imprese possono operare per mettere in atto le proprie pratiche di transfer pricing e
dunque di profit shifting. In modo indiretto, per trovare giustificazione, anche solo parziale,
di un minore onere fiscale, si possono osservare gli indicatori di leverage e di integrazione
verticale delle imprese, costituito dalla quota di valore aggiunto sul fatturato. Si ritiene,
infatti, che questi possano essere il segnale di un risultato di bilancio influenzato anche da
fattori di natura fiscale (Gastaldi e Pazienza, 2005).
Per quanto riguarda gli indici di indebitamento, le imprese considerate mostrano un
leverage e un peso degli oneri finanziari sui ricavi decisamente bassi13 (Tabella 3). Tale
risultato sembrerebbe contraddire l’ipotesi generale di un uso intenso delle politiche di
indebitamento per il contenimento dell’onere fiscale nei Paesi ad elevata aliquota legale come
l’Italia (Gastaldi e Pazienza, 2005). Gli OTT hanno strutturalmente un elevato grado di
liquidità e un basso (minimo) livello di indebitamento (Scaglioni, 2013). Ed è proprio questa
caratteristica a far pensare ad un comportamento “anomalo” delle multinazionali digitali e ad
un potenziale comportamento elusivo attraverso la politica di finanziamento delle proprie
controllanti o collegate all’estero, (le cosiddette parti correlate). Per ciò che concerne il
grado di integrazione dell’impresa, misurato come rapporto tra valore aggiunto e fatturato,
si può osservare un forte grado di integrazione, che in media supera il 53 per cento, a
conferma di quanto ipotizzato. Se è vero, poi, che l’indice di integrazione può anche
12
Un’identificazione esplicita del fenomeno può solo avvenire attraverso un accertamento che identifichi gli
eventuali differenziali tra i prezzi delle transazioni interne al gruppo e le transazioni di mercato.
13
Si ricorda che il rapporto di indebitamento è un indice che evidenzia in che misura l’impresa si finanzia con
capitale proprio e in che misura ricorre al capitale di terzi. Nel caso di una perfetta eguaglianza tra capitale
proprio e di terzi, esso assume valore 1. Più l’indice assume un valore elevato, più l’impresa risulta essere
indebitata.
rispecchiare specifiche strategie industriali (o organizzative)14, tuttavia in questo caso, date
la tipologia e la modalità di transazioni che avvengono tra le parti correlate, è plausibile
ritenerlo il meccanismo attraverso cui gli OTT praticano il profit shifting, anche per le filiali
italiane.
Tabella 3 – Indici di indebitamento, costo del debito e integrazione verticale degli OTT in Italia
(2011)
Amazo
n S.r.l
Ap
ple
S.r.l
1,3
eBay
S.r.l
Facebo
ok S.r.l
Googl
e S.r.l
Group
on S.r.l
Linked
in S.r.l
Micros
oft S.r.l
5,2
Tripadvis
or
S.r.l
10,2
Yah
oo!
S.r.l
3,3
Tot/
Medi
a
18
1,1
1,7
4,6
3,7
9,5
Leverag
e
140
Oneri
finanzia
ri/
ricavi
Valore
aggiunt
o/fattur
ato
0,00%
0,00
%
0,08
%
0,00%
0,00%
0,00%
0,00%
0,03%
0,00%
0,00
%
0,00
33%
87
%
28%
71%
60%
30%
38%
64%
56%
65%
53%
Fonte: elaborazioni proprie su dati di bilancio e Gastaldi e Pazienza (2005)
E’ possibile, dunque, concludere, a partire dall’analisi svolta, come la natura
multinazionale degli OTT si sostanzi proprio in questo aspetto e come le multinazionali
digitali delocalizzino in Italia privilegiando in via esclusiva l’ultima fase delle scelte di
delocalizzazione illustrate nella Figura 1. E’, infatti, in questo stadio che si colloca il loro
modo di investire all’estero (inteso come Paesi industrializzati). Gli OTT, come abbiamo
detto, godono di una forte liquidità e una struttura finanziaria che rende agevole anche la
crescita per vie esterne, scongiurando situazioni di forte indebitamento. Gran parte di questa
liquidità inizialmente viene usata per nuove acquisizioni (Scaglioni, 2013), che gli
permettono di arricchire i propri servizi e/o di raggiungere/consolidare una reach globale,
per massimizzare profitti da advertising o da altre fonti15. Successivamente, attraverso una
14
Questo lo rende, di fatto, un indicatore debole della possibilità che i costi di produzione siano “maggiorati”
ad hoc per le sussidiarie (Gastaldi e Pazienza, 2005)
15
Il potenziale di acquisizioni di questi operatori è inoltre accresciuto dalla possibilità di effettuare anche
operazioni miste, con emissione di ‘carta’.
14
serie di pratiche di profit shifting, perfettamente legali ma elusive, consolidano i propri
profitti, “mettendoli al sicuro” nei vari paradisi fiscali presenti in varie parti del mondo (Isole
Cayman, Isole Vergini, Jersey, etc.).
5 – L’analisi dell’autorità fiscali nazionali: un confronto
A risultati analoghi stanno giungendo, peraltro, anche le autorità fiscali dei Paesi dove
notoriamente la pressione fiscale è considerata elevata. La loro crescente attenzione e
“curiosità” è stata suscitata, non a caso, proprio dalla grande disponibilità di liquidità
finanziaria su cui gli OTT possono contare, dalle informazioni raccolte all’interno dei Bilanci
e le Note Integrative e dal tempo di crisi per le casse pubbliche. Dalle loro indagini, è emerso,
infatti, che gli OTT, attraverso un’attenta pianificazione fiscale e con meccanismi
perfettamente legali, sono riusciti, in questi anni, a ridurre al minimo il pagamento delle
imposte in Stati come USA, Gran Bretagna, Francia e Italia e ai cui erari hanno versato
importi irrisori.
Il caso più clamoroso è quello di Apple, che è stata accusata dal Congresso Americano
di aver “sottratto” - tra il 2009 e il 2011 - più di 70 miliardi di dollari al fisco statunitense,
trasferendo la propria tassazione sulla società irlandese del gruppo, sfruttando così le forti
agevolazioni fiscali di quel Paese nei confronti delle aziende dagli utili significativamente
elevati come gli OTT (Congresso Americano, 2013). Anche Bloomberg16, già nel 2010,
aveva pubblicato una propria analisi sul funzionamento delle pratiche fiscali utilizzate da
Google Inc.
Al pari di Apple, infatti, anche Google, Facebook, Amazon e gli altri OTT hanno una
struttura societaria tale per cui le filiali estere localizzate in nazioni ad elevata tassazione non
fatturano la pubblicità raccolta o le vendite realizzate nel Paese in cui hanno sede, ma
registrano come ricavi i servizi prestati ad un’altra società del gruppo, collocata in uno Stato
con aliquote fiscali legali più basse: ad esempio l’Irlanda (Facebook e Google) oppure il
Lussemburgo (Amazon, Microsoft). Le valutazioni sviluppate dalle diverse autorità fiscali,
16
http://www.bloomberg.com/news/2010-10-21/google-2-4-rate-shows-how-60-billion-u-s-revenue-lost-totax-loopholes.html
15
avvalendosi come nel nostro caso, di un’attenta lettura dei Bilanci delle multinazionali, hanno
stabilito che le pratiche di transfer pricing sui costi di produzione sono, in sostanza,
incentrate sulla vendita o la concessione in licenza dei diritti di proprietà intellettuale
sviluppata negli Stati Uniti ad una filiale in un Paese a bassa tassazione come l’Irlanda.
Quest’ultima provvede, poi, a “rivenderla” alle altre filiali estere. Ciò significa che i profitti
stranieri basati sulla tecnologia della casa madre, vengono ceduti alle filiali irlandesi che
diventano il collettore del cash polling tra le parti correlate (Scaglioni, 2013). Nel caso
dell’Italia, ciò spiega, inoltre, la scelta di governance con società a responsabilità limitata, il
cui socio unico è rappresentato quasi sempre dalla holding irlandese o lussemburghese e
l’assenza di dati in Ricerca e Sviluppo condotti sul territorio nazionale (Scaglioni, 2013)17.
In base alle norme fiscali statunitensi, le società controllate dovrebbero pagare i prezzi
dei diritti per un importo pari a quello che pagherebbe una società indipendente, ma poiché i
pagamenti contribuiscono al reddito imponibile, la società madre ha un incentivo a fissare
loro il prezzo più basso possibile. Tagliare le spese della controllata estera sposta
effettivamente i profitti all'estero18, riducendo così la base imponibile nel Paese di origine dei
ricavi effettivi e quella della casa madre, che li riceverà solo in via indiretta, avvalorando la
validità dei risultati che avevamo ottenuto dai nostri indicatori (Tabella 2). Questa pratica
adottata da tutti gli OTT e da molte multinazionali americane, è spesso denominata “Double
Irish” (Loomis, 2012) proprio per il doppio ruolo giocato dalla filiale estera aperta in quella
giurisdizione. Attraverso il cosiddetto “Dutch Sandwich” (Loomis, 2012), i profitti, poi, dalla
controllata irlandese vengono, in molti casi, fatti transitare in Olanda per evitare che il
governo irlandese possa applicare delle aliquote extra a società che operano in certi Paesi
dell'Ue e da lì vengono depositati sui conti off-shore. La transazione dall’Irlanda all’Olanda
è un flusso puramente finanziario, tanto che normalmente la controllata olandese non ha
neanche personale dipendente. Una volta che gli extra profitti raggiungono la “destinazione
17
E’ certo, dunque, che almeno nelle filiali italiane non venga condotta alcuna attività di Ricerca e Sviluppo,
facendo venire meno uno dei principali vantaggi degli investimenti diretti esteri per il Paese che ospita la
localizzazione delle multinazionali straniere. In termini di occupazione, inoltre il numero complessivo degli
addetti è talmente basso da non lasciare dubbi circa il mancato beneficio, almeno per quanto riguarda gli “OTT
puri” (Scaglioni, 2013).
18
Dopo tre anni di negoziati, Google ha ricevuto l'approvazione da IRS nel 2006 per il suo accordo sui prezzi
di trasferimento, secondo documenti depositati presso la Securities and Exchange Commission.
16
finale”, i flussi finanziari terminano all’interno di una serie di società dove perdono
tracciabilità, perché come si diceva nelle pagine precedenti, una volta avuto accesso al
Registro delle imprese sia in Irlanda che in Lussemburgo, le informazioni diventano
significativamente incomplete e quindi non sufficienti per proseguire nell’analisi, a meno di
riuscire ad utilizzare altre fonti più esaustive, e a cui le autorità fiscali probabilmente hanno
maggiore accesso.
6 – Conclusioni
L’effetto delle “scelte fiscali” degli OTT è, dunque, quello di abbassare la base
imponibile rispetto a quelle previste dal diritto tributario in cui i ricavi vengono “realmente”
conseguiti, e spostare parte dei profitti, in modo legale, in giurisdizioni dove vengono tassati
meno19. Come abbiamo visto nelle pagine precedenti, questo mancato gettito per l’Italia si
attesta tra il 20 e 25 per cento, che rapportato alle cifre fatturate dagli OTT diventa un importo
rilevante. Accade, così, che i 18,4 milioni di ricavi di Amazon Italia Logistica e i 7,4 milioni
di Amazon Italia Services, le due controllate della lussemburghese Amazon Eu Sarl, sono
contabilizzati come “prestazioni di servizi resi con riferimento al contratto in essere nei
confronti del socio unico”. Mentre per ciò che concerne Google Italy, i 52 milioni di ricavi e
l’utile di 2,5 milioni sono rappresentati esclusivamente da servizi prestati alla filiale irlandese
Google Ireland, destinatario finale della liquidità derivante dai ricavi pubblicitari della
società. Stessa realtà anche per Facebook, la cui voce “ricavi da vendite e prestazioni”, pari
a 3,1 milioni, “si riferisce ai servizi prestati, in dipendenza dei rapporti contrattuali in essere
con Facebook Ltd - Ireland per la promozione di servizi nel mercato italiano”.
Ora, a prescindere dal fatto che l’impresa in questione abbia dei collegamenti in paradisi
fiscali o una holding finanziaria in Olanda, occorrono, comunque, delle operazioni di
arbitraggio fiscale per sfruttare la distribuzione geografica del gruppo e minimizzare l’onere
impositivo ed è per questo motivo che sono necessarie le “filiali virtuali” nei mercati di
19
Come già ampiamente ricordato, le aliquote fiscali legali (statutory tax rate) differiscono tra le varie
giurisdizioni in cui operano i diversi OTT. Negli Stati Uniti raggiungono il 35 per cento, nel Regno Unito il 28
per cento, in Italia il 31,4 per cento ed infine in Irlanda il 12, 5 per cento.
17
sbocco, come quelli europei, proprio per poter beneficiare al meglio di questo arbitraggio.
E’, infatti, la combinazione di tutti questi fattori a determinare, in realtà, la possibilità di
successo delle pratiche legali che minimizzano l’onere finanziario delle multinazionali
digitali, ma non solo. Se, infatti, ci sono numerose verifiche empiriche (Coughlin et al., 1991;
Friedman et al., 1992; Smith e Florida, 1994; Loree e Guisinger, 1995) che hanno
ampiamente dimostrato che una maggiore tassazione scoraggia gli IDE, Wheeler e Mody
(1992) hanno evidenziato che è l’insieme del regime fiscale a fare la differenza, non la
semplice diversità tra le aliquote fiscali, o la presenza di collegamenti con giurisdizioni offshore, proprio perché le imprese possono ricorrere a pratiche di transfer pricing o ad altri
meccanismi elusivi per ridurre la base imponibile. Su quest’ultimo punto, il caso degli OTT
sembra supportare alcuni studi (Shah, 1995), che hanno suggerito che gli incentivi possono
avere come effetto solo quello di spostare le entrate fiscali dal Paese ospite a quello di origine
senza con ciò beneficiare in alcun modo i Paesi investitori20. Questo spiega perché, non solo
i governi dei Paesi di sbocco, ma anche quello di origine, che nel caso delle multinazionali
digitali è uno solo, gli Stati Uniti21, siano così interessati al fenomeno. Oggi, malgrado i
trattati sulla doppia tassazione tra Paesi ospiti e Paesi di origine dovrebbero avere ridotto gli
abusi legati a tale pratica, tuttavia il problema non è scomparso e, per molti Paesi in via di
sviluppo (e non solo per essi, come abbiamo visto), rimane importante22.
Un tema al quale, forse, tra tante difficoltà e giustificati scetticismi si inizia a dar risposta
a livello internazionale. L'Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo
(OECD) ha presentato nel luglio 2013 un “Piano d'azione per ridurre le pratiche elusione di
20
Le differenze di imposizione si manifestano, infatti, anche nella definizione del profitto contabile. I flussi di
reddito infrasocietari sono poi assoggettati a diversi sistemi di tassazione separata e, nell’ambito del sistema
fiscale di un Paese, possono essere anche previsti dei trattamenti differenziati per i redditi di fonte estera rispetto
a quelli interni.
21
Moran (1998) e Shah (1995) indicano che l’appropriato regime fiscale per gli IDE dovrebbe, tra le altre cose,
basarsi su sistemi fiscali semplici e sulla non discriminazione tra investitori esteri e nazionali. Malgrado sia
ipotizzabile che, a parità di altre cose, l’impatto degli incentivi fiscali sugli IDE sia positivo, i risultati delle
evidenze empiriche sono alquanto contraddittori. Reuber ed altri (1973) non trovarono alcun effetto positivo
degli incentivi fiscali sugli IDE; secondo gli autori ciò era spiegato dal fatto che le imprese erano in grado di
“scontare” gli incentivi concessi nell’attesa che i governi li avrebbero eliminati nello stesso modo in cui li
avevano concessi. Ad esempio, quando gli incentivi comportano per il Paese ospite un’eccessiva perdita di
entrate, allora si possono generare delle aspettative di futuri aumenti fiscali che possono scoraggiare gli IDE.
22
Per un approfondimento del fenomeno si veda OECD(2013)
18
fiscale e di profit shifting”, che se pur prontamente approvato dai ministri delle finanze del
G20, vede, tuttavia, una lunga strada da percorrere prima che possa andare oltre le mere
proposte e diventare effettivo. Il piano è ambizioso nel campo di applicazione, individuando
15 aree in cui è necessario il cambiamento. Al primo posto si trovano proprio le sfide poste
dalla “digital economy”. L’idea è quella di introdurre un approccio “olistico” che consideri
sia l’imposizione diretta che quella indiretta. Nel documento, i cui risultati preliminari sono
previsti per settembre 201423, si legge espressamente: “Issues to be examined include, but
are not limited to, the ability of a company to have a significant digital presence in the
economy of another country without being liable to taxation due to the lack of nexus under
current international rules, the attribution of value created from the generation of
marketable location relevant data through the use of digital products and services, the
characterization of income derived from new business models, the application of related
source rules, and how to ensure the effective collection of VAT/GST with respect to the crossborder supply of digital goods and services. Such work will require a thorough analysis of
the various business models in this sector” (OECD, 2013).
Seppur rappresenti un punto di partenza fondamentale, è prevedibile che il piano, come
si diceva, incontri numerosi ostacoli sul suo cammino. Attualmente, alcuni Paesi europei, che
si sentono fortemente penalizzati, vogliono introdurre, per esempio, delle regole stringenti
per regolare i servizi Internet offerti dagli OTT. Tuttavia gli Stati Uniti, sebbene abbiano a
loro volta un interesse affinché vengano varate tali norme, hanno già proposto che prima che
le nuove regole internazionali siano stigmatizzate in forma scritta venga perseguita la via,
meno vincolante, degli accordi bilaterali. Ovviamente, ciò non esclude che, un giorno, le cose
possano cambiare, rendendo così la riforma fiscale internazionale se non impossibile,
certamente molto lenta.
23
L’agenzia di stampa Reuters ha scoperto che tre quarti delle prime 50 aziende tecnologiche americane
utilizzate tali strutture per tagliare le loro imposte. Un altro difetto sistemico nel mirino dell’ OECD è quello
degli "hybrid mismatches", l'utilizzo di strutture che consentono alle imprese di ottenere agevolazioni fiscali
per una filiale o un titolo di debito in diversi Paesi (OECD, 2013).
19
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