Call center: Manca il contratto, è lavoro subordinato Renzo La Costa
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Call center: Manca il contratto, è lavoro subordinato Renzo La Costa
Call center: Manca il contratto, è lavoro subordinato Renzo La Costa In caso di occupazione irregolare di un lavoratore presso un call center in mancanza di contratto di lavoro a progetto o altro rapporto autonomo documentato, il rapporto di lavoro non può che essere qualificato come subordinato. E’ la conclusione cui perviene il tribunale di Perugia ( sentenza 1272015) inserendosi in una serie di analoghe e concordi pronunce in materia. Una società esercente attività di call center inbound (e cioè ricevendo chiamate provenienti dall'esterno per servizi di cartomanzia) risultava aver occupato taluni operatori in assenza di un qualsiasi contratto. L’Inail aveva azionato il recupero contributivo con comunicazione di apertura di una posizione assicurativa e con una diffida di pagamento, per ottenere la corresponsione di premi assicurativi e sanzioni civili con riferimento alla posizione di alcuni lavoratori, che secondo l'opinione dell'Istituto avrebbero prestato attività lavorativa subordinata alle dipendenze della società ricorrente. LInail ha sostenuto che le prestazioni di cartomanzia telefonica rese in regime "inbound" all'interno della sede della società e con mezzi di proprietà di questa, in assenza di un contratto di lavoro a progetto o qualunque diverso titolo di lavoro autonomo corredato da un fondamento documentale, non potessero che essere ricondotte all'archetipo del rapporto di lavoro subordinato. La società si opponeva alla pretesa dell’Istituto argomentando dell'autonomia delle prestazioni rese dai lavoratori anche nei periodi oggetto di ispezione, deducendo che questi non erano tenuti a rispettare un preciso orario di lavoro imposto dall'azienda, ma che decidevano liberamente quando prestare attività, comunicando preventivamente in forma scritta gli orari prescelti.Ha argomentato invece il Giudice che gli artt 61 e ss. del d.lgs. 276/2003, nella versione applicabile ratione temporis, stabiliscono che le prestazioni rese nell'ambito di rapporti di collaborazioni continuative e coordinate devono essere ricondotte ad un contratto di lavoro a progetto avente forma scritta e contenente l'indicazione di una serie di elementi specifici come la il progetto o programma di lavoro da realizzare, la durata del rapporto, i criteri di determinazione del corrispettivo, le modalità di coordinamento della prestazione con l'attività del committente, le misure adottate per la tutela della salute e della sicurezza del collaboratore, L'art. 69, in particolare, sancisce che l'omessa individuazione di uno specifico progetto o programma di lavoro fa considerare le prestazioni come rese nell'ambito di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Tale compendio normativo ha introdotto una novità dirompente nel nostro ordinamento (di cui la difesa della ricorrente non ha tenuto conto limitandosi a citare giurisprudenza di merito di questo Ufficio risalente agli anni 90) che consiste nel considerare il rapporto di lavoro subordinato come tipologia dominante ed al contempo residuale delle prestazioni rese con modalità continuativa e coordinata, attraverso l'introduzione di una presunzione che opera quando non sono determinati per iscritto uno specifico progetto o programma di lavoro che il collaboratore deve realizzare. Secondo alcuni commentatori e parte della giurisprudenza, la presunzione in questione sarebbe assoluta e perciò non superabile dal committente fornendo prova dell'effettiva connotazione autonoma del rapporto. Secondo altra corrente di pensiero, invece, la presunzione sarebbe relativa, dovendo sempre ammettersi il diritto del committente di dimostrare nel processo la reale connotazione che assumono talune relazioni a prescindere dall'inosservanza di prescrizioni di forma.A complicare (o a risolvere, a seconda dei punti di vista) la disputa, sono intervenuti i commi 24 e 25 della legge 92/2012 che prevedono che "...L'articolo 69, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si interpreta nel senso che l'individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Le disposizioni di cui ai commi 23 e 24 si applicano ai contratti di collaborazione stipulati successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge." Con una evidente contraddizione logica, il legislatore sembrerebbe in tal modo aver dettato una norma di interpretazione autentica, con cui ha avallato pienamente la tesi della presunzione assoluta, limitando, tuttavia, l'operatività di tale chiave di lettura ai soli casi verificabili in futuro.Nella fattispecie che ci occupa, tuttavia, la soluzione della questione interpretativa sopra lumeggiata è indifferente ai fini della decisione della causa. Mentre è ovvio che la tesi della presunzione assoluta dovrebbe fare considerare subordinate le prestazioni oggetto di lite, essendo le suddette pacificamente continuative e coordinate con l'attività aziendale di erogazione dei servizi di cartomanzia telefonica, la soluzione non muterebbe neppure nell'ipotesi opposta, non avendo la società offerto mezzi di prova idonei a dimostrare il rango autonomo delle prestazioni ricevute. La società ricorrente si è, infatti, limitata a dedurre che gli orari non erano eteroimposti, ma scelti dai collaboratori e comunicati alla committente per iscritto. Di tale affermazione non esiste alcuna prova: di contro, l'insieme di 4-5 ritagli di carta privi di sottoscrizione, in cui persone non identificate chiedono "cortesemente..." di essere adibite in singole giornate solo al turno mattutino o serale o pomeridiano, se mai potesse avere qualche valore, costituirebbe indizio grave di una prerogativa dell'accomandataria della società di stabilire gli orari dei cartomanti, potendo tenere conto, in via eccezionale e discrezionale, di episodiche e mirate indisponibilità degli stessi.Non risulta, inoltre, neppure dedotto, da parte delle ricorrenti, che le prestazioni erogate dai lavoratori in questione fossero espressione di pregiate professionalità, che mirassero al raggiungimento di un obiettivo determinato non coincidente, puramente e semplicemente, con l’erogazione dei servizi quotidianamente offerti dall'azienda, che la retribuzione fosse parametrata a detti obiettivi anziché al tempo di lavoro, come hanno, invece, sostenuto i collaboratori interrogati in sede ispettiva. E' per contro, pacifico, l'inserimento organico dei lavoratori nella sede aziendale e la prestazione di attività senza uso di alcuno strumento proprio oltre che la modalità "inbound" del servizio di cali center erogato che, rispetto a quella "outbound" non consente alcun margine di autonomia nell'organizzazione del lavoro, limitandosi gli operatori a ricevere le chiamate, direttamente o per il tramite un centralinista.A fronte di ciò, alcun rilievo può avere la richiesta della ricorrente di essere ammessa a provare che l'azienda non interferiva "sulle modalità di svolgimento" delle prestazioni degli operatori telefonici e che li lasciava liberi di interpretare autonomamente il significato delle carte, con ciò confondendo l'autonomia intellettuale che contraddistingue il contenuto di una prestazione con l'eterodirezione che ne segna le modalità di espletamento. Alla luce delle considerazioni che precedono, le domande di accertamento negativo avanzate dalla ricorrente sono state ritenute infondate e quindi rigettate, dovendo essere confermata la legittimità della pretesa dell'Inail al versamento di premi e sanzioni per i rapporti oggetto di accertamento nei limiti individuati con la diffida e la comunicazione di apertura del rapporto assicurativo.