Pioltello : da paese dormitorio a città laboratorio
Transcript
Pioltello : da paese dormitorio a città laboratorio
Pioltello: da paese dormitorio a città laboratorio Ricerca-inchiesta di Vittorio Moioli svolta per conto dell’Amministrazione Comunale di Pioltello e del Centro Lavoro Est Milano Marzo 2001 Indice Premessa 1. L’ipoteca di una cattiva nomea 2. I traumi di una metamorfosi impetuosa 3. Il Satellite: simbolo dell’irrazionalità urbanistica 4. L’ondata immigratoria degli anni ‘60-’70 5. Dalla crisi dell’agricoltura alla terziarizzazione 6. Il sistema delle imprese 7. Caratteristiche e problemi della media e grande azienda 8. I disagi della piccola imprenditoria 9. Pioltello e la globalizzazione 10. Le sofferenze occupazionali 11. Un mercato del lavoro complesso da governare 12. La diffusione dei lavori atipici 13. Cambia anche la cultura del lavoro 14. La problematica condizione di chi lavora 15. Livelli di reddito sotto la media provinciale 16. L’insistente domanda di sicurezza e di servizi 17. L’uso irrazionale del territorio e il problema degli alloggi 18. I propositi per un riordino urbano 19. La questione ambientale 20. Il complesso problema delle infrastrutture 21. Il bisogno crescente di “fare concertazione” 22. Il Centro Lavoro e le nuove strutture del collocamento 23. La scarsa propensione alla coalizione 24. Il ruolo strategico della formazione 25. Bassi livelli di istruzione e politiche formative 26. La crisi d’identità e il bisogno di un nuovo senso comune 27. Lo scarso senso di appartenenza e il diffuso campanilismo 28. L’immigrazione extracomunitaria e i problemi dell’integrazione 29. La questione giovanile 30. Potenzialità e difficoltà del “terzo settore” 31. Il nodo della rappresentanza sindacale 32. La crisi della politica e della partecipazione 33. Il giudizio sulle Amministrazioni comunali passate 34. Critiche ed apprezzamenti per gli amministratori di oggi 35. Le istanze della società civile 36. Considerazione conclusiva Appendice I testimoni privilegiati Bibliografia Premessa E’ obiettivo della presente ricerca-inchiesta cogliere le percezioni che i vari attori sociali di Pioltello hanno della loro città e dei cambiamenti che negli ultimi decenni hanno investito la sua realtà socio-economica. Per conseguire questo risultato, nel periodo che va dal maggio al settembre 2000, sono state svolte 63 interviste in profondità attraverso cui sono stati ascoltati 78 testimoni privilegiati . Il corpo della ricerca è così costituito dal racconto di questi testimoni . Ad esso si accompagnano brevi riflessioni svolte sulla base dei rilevamenti statistici relativi al periodo di tempo preso in considerazione. L’intreccio fra le testimonianze e gli indici quantitativi consente di mettere a confronto i giudizi e le valutazioni espressi con lo svolgimento dei processi reali e quindi di verificarne la validità. Il metodo adottato della co-ricerca consente per altro di non ridurre i testimoni-attori a semplici soggetti di studio, bensì di far assumere ad essi un ruolo da protagonisti nella descrizione e nella riflessione, problematizzando in questo modo non solo le percezioni e le interpretazioni, ma la stessa indagine. Ad emerge, dunque, è un racconto a più voci che per certi aspetti assume le caratteristiche di un’autobiografia collettiva e rappresenta un affresco, seppure parziale, della Pioltello di fine ventesimo secolo. Per queste sue qualità, la ricerca non ha alcuna pretesa di fornire interpretazioni e risposte esaustive alle molteplici e complesse problematiche che oggi sono inevitabilmente poste dagli accadimenti e le quali si riversano sui tavoli del confronto e dello scontro sociale e politico. Essa si propone invece un compito molto più modesto, anche se tutt’altro che semplice: quello di mettere a confronto le diverse valutazioni degli avvenimenti e i differenti giudizi al fine di evidenziare i nodi esistenti. Vuole essere cioè uno strumento di stimolo alla riflessione e rappresentare una lettura critica della realtà e della sua stessa percezione. L’auspico di chi ha svolto questo lavoro è che esso si riveli all’altezza dei propositi e delle aspettative e che pertanto risulti di una qualche utilità a quanti, in una fase storica densa forse come non mai di mutamenti radicali, avvertono il bisogno di una riflessione critica e di un confronto serrato sui processi in atto, rifuggendo così da facili semplificazioni e schematismi, al fine di meglio comprendere la realtà per agire secondo le necessità. Nell’affrontare lo studio dei dati quantitativi ci si è imbattuti in non poche difficoltà. Si è constatato come, purtroppo, nell’era dell’informatica e della telematica i rilevamenti statistici risultino sorprendentemente scarsi, a volte incerti e contraddittori, in diversi casi addirittura inadeguati a registrare le dinamiche e la complessità dell’attuale realtà socioeconomica. Questo vale soprattutto per i cambiamenti che hanno investito il modo di produrre e che hanno comportato una nuova organizzazione del lavoro e nuovi rapporti sociali nei luoghi della produzione. Per fare un solo esempio, tutta l’area grigia che in questi ultimi anni si è venuta formando a cavallo tra il lavoro autonomo e il lavoro dipendente risulta difficilmente classificabile e quantificabile, proprio perché non esistono appropriati strumenti di rilevamento. Ciò che si vuole evidenziare è come, purtroppo, a fronte dei cambiamenti indotti dalla crisi del fordismo, il fare analisi e il ragionare sulla base dei dati statistici messi a disposizione dalle tradizionali fonti diventi un problema. Nel campo della ricerca, oggi, ci si trova di fronte a un vero paradosso: mentre la modernità offre un eccesso di tecnologia hardware , si riscontra di converso una decisamente scarsa tecnologia brain , quella cioè che consente di sfruttare al massimo gli strumenti tecnologici per far diventare la conoscenza patrimonio di tutti. Non si tratta pertanto semplicemente di un handicap per coloro che si occupano di ricerca, bensì questo deficit rappresenta un autentico problema che concerne la democrazia e con il quale le forze del progresso farebbero bene a fare i conti urgentemente. Anche per questa ragione al lettore si chiede la massima comprensione e lo si invita a scusare le insufficienze e forse anche qualche inesattezza che in questa ricerca-indagine può essere riscontrata proprio a causa delle difficoltà che si sono dovute affrontare nel reperire e mettere a confronto i dati. Nel mentre si esprime un vivo ringraziamento ai testimoni privilegiati e a tutti coloro che hanno gentilmente fornito dati e documenti, ci si rammarica per l’indisponibilità di taluni attori a fornire alla ricerca il loro contributo di riflessione e di critica, privandola così di una capacità riflessiva e di una dialettica ancora più efficaci. v.m. 1. L’ipoteca di una cattiva nomea «Secondo me - afferma un pubblico amministratore - Pioltello è una città stuprata e ha un grande bisogno di ricuperare la sua reputazione». Nonostante questa offesa, però, «i suoi cittadini hanno saputo conservare una loro dignità, non si sono nascosti, non si sono vergognati più di tanto e sono andati avanti, hanno vissuto la loro vita. Ora è venuto il momento perché Pioltello abbia restituito il suo onore». «Gli stupratori sono stati gli speculatori edilizi degli anni ‘50-’60, sono stati coloro che hanno fatto crescere e sviluppare delle industrie altamente pesanti sotto tanti aspetti, e non mi riferisco soltanto al classico polo chimico, ma anche a tutta la parte del territorio destinata a magazzino e agli autotrasporti che ha significato grande occupazione del territorio e scarsa occorrenza di lavoro. Poi mi riferisco anche a coloro che hanno creato le premesse attraverso l’imposizione dei soggiorni coatti. Tutto questo ha significato per noi un greve destino. Siamo una comunità che ha patito molte sofferenze e ha subìto gravi violenze, però non siamo e non ci sentiamo sconfitti. Ora ci tocca di recuperare dignità e reputazione». Il passato sembra esercitare una pesante ipoteca su chi abita e opera a Pioltello; non sono pochi infatti coloro che avvertono e interpretano come «dovere etico, politico e amministrativo il compito di aggiornare la memoria e l’immagine di questa città ai tempi moderni, non tollerando più che per pigrizia intellettuale si rimanga ancorati al giudizio e alla percezione che si avevano negli anni ‘70». «Abbiamo fatto i ‘Quaderni’ - continua l’amministratore pubblico - proprio perché riteniamo che il problema principe sia quello dell’identità culturale. Su questi ‘Quaderni’ abbiamo scritto che Pioltello ha un passato, ma non ha una storia. Trasformare il passato, cioè una serie di eventi, in una riflessione storica per farlo diventare memoria è un’impresa ambiziosa di cui andiamo orgogliosi, perché fare questo significa servire la città». E a credere che Pioltello non abbia una sua storia è anche un altro esponente del mondo politico locale il quale sostiene che «il problema di questo comune è la mancanza di coesione sociale. Non si è mai riusciti a creare una comunità vera e propria nella quale si saldassero una serie di vincoli parentali e di vicinato». Questo anche perché Pioltello, rispetto ad altri comuni dell’area Est Milano, ha vissuto le contraddizioni di uno sviluppo economico-sociale indotto e non governato. «Il paese vecchio è sempre rimasto una realtà povera economicamente, culturalmente e anche politicamente». «Se dovessi scegliere di costruire una casa - asserisce un operatore immobiliare - non avrei dubbi, andrei a costruirla a Cernusco, di certo non la costruirei a Pioltello che è un’area depressa e non è molto interessante. Non è un caso che a Cernusco le aree valgono tre volte tanto». «Ancora oggi si può dire che Pioltello sia rimasta una cittadina dormitorio-terziaria, perché all’industrializzazione è subentrato un terziario non avanzato e il tradizionale fenomeno pendolare non è scomparso. Noi siamo ancora un ibrido sotto diversi punti di vista». E pure il giudizio di chi pioltellese non è conferma in parte una simile valutazione. «Lavoro a Pioltello solo da un anno e l’impressione che mi sono fatto è che si tratta di una cittadina dormitorio la quale si appoggia su Milano essendo avvantaggiata dalla vicinanza». Le opinioni non coincidono invece a riguardo della quantità dei posti di lavoro disponibili in loco. A fronte di chi ne lamenta la carenza c’è chi sostiene che, «trattando con le aziende, ho notato che di lavoro qui ce n’è tanto, ci sono parecchie possibilità di occupazione, quel che manca è semmai la manodopera specializzata». Un operatore economico esterno pone invece l’attenzione su un altro aspetto cruciale: «La cosa che più mi ha colpito di Pioltello – afferma - è che in questa città esiste un problema di sicurezza». In effetti, l’immagine di una Pioltello assediata dalla malavita e dalla violenza è forse quella che più di ogni altra risulta essere impressa, a torto o a ragione, nella memoria di chi in questa città vive e lavora. «Nell’opinione pubblica ha un peso enorme la nomea che questo comune si è fatta nei decenni trascorsi», commenta un pioltellese di vecchia data. «Quando sui giornali si parlava di Pioltello era perché c’era cronaca nera, piccola o grande che fosse, e questo ha contribuito a costruire una certa immagine». «Se è vero che esiste una simile nomea, specie a riguardo di alcuni quartieri di Pioltello come è il caso del Satellite e di piazza Garibaldi», precisa però un altro operatore economico che non risiede a Pioltello, «devo dire che io personalmente queste realtà non le ho mai sperimentate direttamente e perciò non posso certo confermare o smentire certi giudizi». Come nota un giovane residente, viene così a confermarsi che, «un simile luogo comune ha condizionato gli stessi abitanti di Pioltello al pari del fatto che per decenni si è insistito nel sostenere che questo è un paese dormitorio». «Pioltello viene per davvero considerata un po’ troppo degradata rispetto alla realtà», afferma un operatore del commercio. «Si è data troppa importanza a quei pochi balordi che ancora abitano qui. Nel corso di 35 anni, gestendo il mio esercizio, ho visto girare migliaia di famiglie, di persone e non ho mai visto quel che si racconta in giro. Di balordi ce ne sono dappertutto. Il problema di Pioltello non è dovuto affatto alla realtà del Satellite o alla presenza del polo chimico, è invece imputabile proprio al cattivo nome che gli è stato appioppato». «Questa nomea è purtroppo un dato di fatto – osserva un esponente del mondo culturale perché sono in tanti a ritenere che Pioltello è il paese del circondario più malfamato, un po’ come Cologno Monzese. In realtà però questo modo di considerare la nostra città è un falso, è frutto solo di una esasperazione». E chi ha la responsabilità del governo locale puntualizza: «Pioltello non è per davvero un caso unico e singolare. Si è insistito troppo su certe sue peculiarità. Ed è contraddittorio pensare a un processo di ‘normalizzazione’ del territorio se si continua ad enfatizzarne le sue caratteristiche atipiche. In una recente indagine su Pioltello un gruppo di ricercatori, nel tentativo di definire le caratteristiche del tessuto civico della città, ha parlato di ‘sindrome di calimero’. Questo atteggiamento non è più accettabile e deve essere combattuto a fondo». Esistono poi anche dei cittadini di Pioltello che, a proposito di reputazione e di immagine, forse anche con una punta di nostalgia, considerano un torto la pretesa di attribuire a Pioltello la qualifica di città. «Noi abbiamo avuto degli amministratori che nonostante fossero dei contadini e degli artigiani hanno voluto fare di Pioltello una città, quando come città abbiamo già Milano. Io avrei mantenuto Pioltello un paese di periferia, avrei continuato a privilegiare il cavallo e il biroccio, a difendere la nostra agricoltura e al massimo avrei favorito uno sviluppo dei ristoranti. Se fosse dipeso da me non avrei di certo ingrandito Pioltello così come si è fatto negli anni ‘60 e poi successivamente». «Del resto - aggiunge un ex amministratore pubblico - di città non abbiamo nulla, né strato sociale, né cultura, né idee. Noi siamo rimasti ancora fermi nel tempo». 2. I traumi di una metamorfosi impetuosa «Negli anni ‘50 Pioltello contava seimila abitanti, compreso Limito, mentre nei decenni successivi ha avuto una trasformazione enorme e si è registrato un disastro», commenta un nativo del posto. E mentre «Limito è rimasto un paese come era allora», «Pioltello ha registrato un’urbanizzazione molto rapida, anzi, in alcune zone come al Satellite, addirittura selvaggia. Questo destino si poteva forse impedire, anche se in quegli anni l’hinterland milanese era destinato a subire un simile sconvolgimento». «Siamo collocati a due passi da Milano e vantiamo una stazione ferroviaria che in quegli anni significava una facilità di trasporto e di comunicazione con la città» e queste sue caratteristiche hanno certamente favorito un concentramento di attività produttive e un sostenuto sviluppo edilizio. C’è chi fa notare però che«il paese è cresciuto più o meno senza regole ed è così diventato un dormitorio. La gente veniva qui, ci stava un po’ di tempo e poi spariva». «Negli anni ‘60 e ‘70 Pioltello è stato un po’ come un porto di mare». Commentando le vicende di quei tempi qualcuno ha scritto che Pioltello «ha vissuto una storia difficile, spesso sgradita per chi vi abitava da generazioni, ma al tempo stesso dura per chi veniva da lontano per stabilirvisi». Tabella n. 1 Indici popolazione 1951-2000 e densità abitativa Pioltello indice abitanti provincia Milano* abitanti x kmq indice abitanti abitanti x kmq 1951 100 488 100 908 1961 203 993 126 1143 1971 446 2179 156 1413 1981 470 2296 160 1455 1991 534 2606 157 1420 1999/2000 518 2528 158 1894 • Compresa la provincia di Lodi. Fonti: Comune di Pioltello, Regione Lombardia In realtà, nel torno di solo mezzo secolo Pioltello si è ritrovata demograficamente quintuplicata, registrando così una progressione dell’indice di densità abitativa tumultuosa. Questo processo è durato fino all’inizio degli anni ‘90. Nello stesso arco di tempo, invece, la popolazione della provincia milanese ha registrato un incremento del solo 58%. Questo rapido sviluppo demografico, la cui punta di intensità è stata raggiunta nei decenni ‘60 e ‘70, ha fatto sì che Pioltello sia divenuto il secondo Comune più popolato del comprensorio di Melzo. Tabella n. 2 Indici densità abitativa 1998. Confronto con altri comuni abitanti x kmq Pioltello 2530 Cassina de Pecchi 1611 Cernusco sul Naviglio 2019 Gorgonzola 1577 Melzo 1940 Segrate 1967 Vimodrone 3024 Comprensorio di Melzo 1374 Provincia di Milano 1886 Fonte: Regione Lombardia Uno dei passaggi più traumatici che Pioltello ha vissuto nella seconda metà del secolo scorso è senz’altro quello che ha comportato la sua trasformazione da realtà ancora profondamente segnata da una cultura contadina ad agglomerato urbano di discrete proporzioni nel quale si è venuto insediando un abbondante proletariato pendolare. Nel 1951, quando appunto contava appena 6.400 abitanti, il suo territorio era occupato per circa il 50% da campi coltivati. «I nostri vecchi raccontavano che qui c’erano la migliore erba, il miglior foraggio che si potessero avere; la nostra era una campagna fertile». Gli stessi contadini di oggi ricordano che «qui un tempo era sviluppata la zootecnia, si produceva latte ed era il posto delle marcite. Veniva coltivato molto foraggio e pochissimo mais e riso». Con il sopravvenire degli insediamenti industriali l’agricoltura «ha subìto una profonda mortificazione e da allora è diventato sempre più difficile trovare contadini che coltivassero i campi. Nelle campagne non c’era più ricambio di manodopera». Anche a Pioltello, infatti, molti salariati preferivano cercare occupazione nell’industria, « per avere assicurata la pensione, cosa di cui i contadini di quel tempo non avevano certo grandi garanzie». Il lavoro in campagna non mancava di certo, esso risultava però essere oltreché faticoso anche non sempre sicuro. «Qui c’erano tante cascine, anche molto grosse, con grandi estensioni di terreno e molti erano i fittavoli lattai che facevano il grana. Ricordo i Devitti e anche i Manzoni. La struttura contadina di Pioltello non era però come quella di Cernusco dove ognuno aveva il suo pezzo di terra. Qui c’erano le cascine nelle quali lavoravano i braccianti e quando veniva l’11 di novembre molti di loro dovevano prendere armi e bagagli e trasferirsi altrove perché ritenuti non più indispensabili. C’erano pure le mondine perché la nostra zona era anche risicola per via del naviglio che separava due realtà agricole ben definite: da una parte, i piccoli appezzamenti e gli orti di Cernusco e della bassa Brianza, dall’altra, le grandi aziende di Pioltello da dove cominciava la pianura padana. Le nostre cascine erano impostate sul latte, avevano la stalla con il bestiame. I contadini di Pioltello erano tutti di origine bresciana e bergamasca, erano cioè degli immigrati. Chi viveva nella cascina era però tagliato fuori dalla vita del paese. Le cascine lombarde andavano bene se avevano garantito il latte tutti i giorni. Quando un bel giorno si sono invece messi ad allevare i tori da ingrasso, non avendo un prodotto commerciabile immediatamente, e perciò un ricavato assicurato, e dovendo quindi dipendere da altri nella commercializzazione, hanno preso tante mazzate. Anche i miei lavoravano il latte e con il latticello allevavano i maiali che erano di qualità. Questi venivano macellati per fare il prosciutto. Già nel 1920 i miei esportavano negli Stati Uniti gli stracchini che, prodotti in queste aree, venivano poi portati in Valsassina per essere stagionati e poi venivano esportati. A quel tempo questi prodotti erano famosi. Il crollo di queste produzioni si è verificato durante il fascismo ed è dipeso dal fatto che, non essendoci più il libero mercato, è saltata la fase intermedia della produzione di qualità. Si sono salvati solo gli Invernizzi e i Galbani i quali, pur essendo a quel tempo produttori di poco conto, sono riusciti a piazzare i loro prodotti all’amministrazione statale, cioè all’esercito e ad altre strutture pubbliche. Loro hanno così retto proprio nel momento in cui il prodotto di qualità è stato messo fuori mercato e siccome la gente mangiava comunque il formaggio, hanno avuto facilità a piazzare il loro prodotto nonostante fosse di scarsa qualità. Questi poi sono diventati gli industriali del latte. E’ stata questa una fase molto interessante della storia di questi luoghi, nessuno però l’ha ancora studiata e approfondita più di tanto». «Se le cascine di Pioltello non hanno una storia è solo perché c’era il fittavolo che non era proprietario della terra. Nessuna delle grandi cascine locali era di proprietà di chi le occupava e ne lavorava i campi. Erano o dell’Eca, poi Ipab, o di altri proprietari, com’è il caso di una famiglia molto nota nella quale un giorno è scoppiata una lite a riguardo dell’eredità e la quale poi non è più riuscita a riacquistare la propria tenuta. A quel tempo il governare la cascina lombarda richiedeva una professionalità paurosa. Mentre il proprietario la curava, chi la coltivava solamente se ne disinteressava. Il fittavolo è sempre stato una razza particolare: egli non lavorava e nei confronti dei salariati si comportava da negriero nel vero senso della parola. Poiché di salariati disponibili ce n’erano tanti, lui li teneva sotto il ricatto dell’11 novembre, allorquando potevano essere facilmente sostituiti. La storia che andrebbe scritta sui fittavoli del milanese è oscena. Se al fittavolo gli cadeva la cascina in testa, questo se ne sbatteva letteralmente dal momento che non era sua e lui investiva solo il minimo indispensabile. Fare il contadino a quei tempi era difficilissimo. Mente chi produceva e vendeva latte prendeva i soldi tutti i giorni, chi allevava il maiale, come facevano i miei, doveva affrontare in continuazione degli imprevisti. Il maiale doveva essere venduto al momento giusto e di conseguenza i soldi si prendevano solo allora. Però succedeva anche che se il latte per fare il formaggio non era buono, anche questo perdeva in qualità. Poi, lo stesso formaggio che si riusciva a vendere veniva spesso pagato anche dopo un anno. C’è però da dire che le nostre famiglie di lattai avevano un colpo d’occhio eccezionale e sapevano fare il loro mestiere. Avevano anche una capacità straordinaria dal punto di vista finanziario». Racconta l’affittuario di una cascina del luogo il quale ha lavorato i campi fino a qualche anno fa: «Io ho cominciato a fare l’agricoltore quando si lavorava ancora tutto a mano, quando si tagliava il raccolto con la falce. A quel tempo la mietilegatrice che faceva i covoni era appena stata sperimentata. Il mais lo si lavorava tutto a mano. Il lavoro nella stalla era tremendo, gli animali venivano governati al chiuso, c’era tutto il letame da trasportare. Da allora si sono fatti dei progressi enormi, i lavori più pesanti e faticosi vengono ormai svolti meccanicamente. Oggi si può produrre molto agevolmente e molto di più. Del passato non ho proprio nostalgia, anche se lo stare sull’aia era bello, specie quando si spannocchiava o quando si uccideva il maiale. Se però si sbagliava a fare il salame si mangiava male tutto l’anno. Per non parlare poi dei rischi dovuti al maltempo, oggi invece si lavora in condizioni decisamente diverse e molto più favorevoli. Una volta la vita era dura, il lavoro era pesante, massacrante, oggi invece con la mietitrebbia si fa meno fatica e per di più si è protetti dalle intemperie. Anche nel lavoro in campagna sono subentrati i tecnici. Mentre una volta l’agricoltura viveva sull’esperienza empirica, ora si studiano le tecniche. Rispetto a quella europea, però, la nostra agricoltura è ancora indietro nella modernizzazione. In Olanda e in Germania ci sono dei mungitori che sono laureati, sanno come trattare gli animali e hanno delle basi conoscitive scientifiche. Per giungere anche noi a quei livelli occorre che gli agricoltori siano meglio riconosciuti sul piano della loro condizione sociale. E occorre anche invogliare i nostri giovani laureati a impegnarsi in agricoltura». Ha scritto tempo fa uno studente nella sua tesi di laurea: «Il Comune di Pioltello, nonostante una certa aliquota di addetti all’agricoltura fosse residente nel suo territorio, veniva considerato fin dal 1930-35 un comune operaio la cui popolazione attiva si spostava quotidianamente a Milano data la mancanza di industrie locali». I moderni insediamenti industriali, in effetti, verranno realizzati solo all’indomani della seconda guerra mondiale. Ed è appunto a partire dagli anni ‘50 che Pioltello, unitamente a Vignate e Melzo, risulterà essere uno dei primi comuni dell’area Est Milano a subire uno sviluppo produttivo intenso divenendo così uno dei più importanti e rilevanti centri industriali della zona. A favorire questo processo contribuirà certamente anche il suo allocamemto sull’asta ferroviaria Milano-Venezia che a quel tempo risultava essere un vettore privilegiato di mobilità delle persone e delle merci. «E’ giusto dopo il ‘45 che, data la disponibilità dei terreni situati nei pressi della ferrovia, si assiste all’insediamento di alcune industrie». «Negli anni ‘50 vengono realizzati in un’area pressoché priva di insediamenti residenziali, ma non distante dalle prime conurbazioni periferiche, i primi stabilimenti di quello che diventerà il polo chimico di Pioltello e Rodano». Il processo di sviluppo del comprensorio conoscerà quindi una forte accelerazione nella seconda metà degli anni ‘60, «quando sul territorio troveranno sede alcune tra le più importanti industrie elettromeccaniche e di precisione attive in Italia». Nelle fasi successive, invece, si registrerà un consolidamento dovuto soprattutto all’insediamento di molte imprese di piccole e medie dimensioni. Negli anni del dopoguerra, Pioltello «vantava anche la presenza di un artigianato di prestigio», fa presente un’imprenditrice del luogo. «Mio padre è stato l’ultimo maestro del ferro battuto che ha mandato avanti per decenni l’antica officina dei Fumagalli i quali erano suoi cugini e che risaliva al ‘600. Tutte le cancellate della villa Invernizzi sono state fatte da lui. Ha poi anche fatto diverse sculture che sono opere d’arte e sono finite in giro per il mondo». «Negli ultimi decenni - osserva un pubblico amministratore - Pioltello ha poi subìto un’ulteriore eccezionale trasformazione: da territorio manifatturiero, fatto di piccole e medie industrie, è diventato una realtà caratterizzata soprattutto da una forte presenza del terziario. Qui si sono collocate progressivamente funzioni e insediamenti tra loro assolutamente estranei». Di fatto, lo sviluppo della logistica e dell’autotrasporto «hanno portato alla realizzazione, lungo l’asse ferroviario ad ovest del centro storico di Limito, di un centro intermodale di medie dimensioni». Aggiunge un attento osservatore delle vicende pioltellesi:«Ci sono state grandi aziende che per accaparrarsi i terreni hanno offerto una barca di soldi a famiglie contadine le quali, di fronte a tanta fortuna, non si sono lasciate sfuggire l’occasione, senza per altro neanche capire cosa stava succedendo». Nel corso degli ultimi decenni, dunque, Pioltello ha fatto registrare profondi cambiamenti Tabella n. 3 Uso del suolo - 1971-1991 (valori percentuali) % superficie urbanizzata Pioltello Comprensorio Melzo 1971 19 15 1981 29 22 1991 41 31 Fonte: Istat Tabella n. 4 Popolazione attiva e non attiva e distribuzione degli occupati per settori - 1951-1991 (valori percentuali) ‘51 ‘91 Popolazione non attiva 54,4 51,6 Popolazione attiva 45,6 48,4 occupati in agricoltura 13,6 0,5 occupati nell’industria 68,6 43,2 occupati nel terziario 17,8 56,3 lavoratori autonomi 13,5 19,6 lavoratori dipendenti 86,5 80,4 di cui: Fonti: Regione Lombardia e Comune di Pioltello non solo nella sua struttura urbana, ma anche nella sua stessa composizione sociale. Come si può notare, dal dopoguerra agli anni ’90, la realtà sociale di Pioltello è di parecchio mutata. La popolazione attiva è cresciuta, seppure in misura modesta, di 2,8 punti in percentuale. Mentre gli occupati in agricoltura sono quasi spariti, quelli nell’industria, pur essendo aumentati in valori assoluti di oltre tre volte, percentualmente hanno subìto una notevole riduzione di peso. Gli occupati nel terziario, invece, sono cresciuti sia in termini assoluti che percentuali diventando così il settore trainante. Pure gli occupati autonomi (imprenditori, liberi professionisti, lavoranti in proprio e coadiuvanti) hanno fatto registrare un discreto aumento anche se, nel’91, queste categorie risultavano essere nel complesso sotto la media provinciale di oltre 3 punti percentuali e mezzo. 3. Il Satellite: simbolo dell’irrazionalità urbanistica Verso la metà degli anni ‘50, simultaneamente allo sviluppo industriale, ha avuto inizio il processo di urbanizzazione. Come ha rilevato nella sua tesi di laurea lo studente pioltellese già citato, «nel 1951, le due imprese di costruzioni edili che operavano in luogo iniziarono la costruzione di numerosi edifici ad uso abitativo, senza che fosse stato varato un piano regolatore o di lottizzazione. La mancata pianificazione e le scelte di quel periodo, indirizzate esclusivamente alla soluzione del problema degli alloggi, rendono quartieri degli immigrati quartieri dormitorio, dove mancano luoghi attrezzati per la ricreazione, per l’incontro tra adulti, per il gioco dei bambini e, ancora più grave, asili nido, scuole per l’infanzia, attrezzature sanitarie e sportive». Annota a questo proposito un amministratore comunale: «Negli anni ‘60, a seguito dei grandi fenomeni di immigrazione interna, a Pioltello si é sviluppata a ritmo forzato la speculazione edilizia. Questo è avvenuto dapprima nell’area prospiciente la stazione ferroviaria, in quella che verrà poi chiamata impropriamente ‘piazza Garibaldi’, poi, sempre nello stesso periodo, il fabbisogno di alloggi per la popolazione di Milano città ha suggerito l’avvio della grande speculazione del Satellite. Questa costruzione, però, cambierà successivamente target e verrà saturata prevalentemente dagli immigrati del sud». E uno dei tanti cittadini di Milano che in quel periodo si sono trasferiti a Pioltello commenta: «Su questo territorio sono state consumate molte violenze. La prima è sicuramente costituita dall’insediamento del polo chimico che di certo non ha portato un numero di posti di lavoro tale da compensare i danni causati alla qualità della vita. Poi c’è stata la speculazione edilizia che ha trasformato il paese in un quartiere dormitorio di Milano». In effetti, la costruzione del Satellite ha significato una tappa fondamentale nel processo di inurbamento di Pioltello al punto che, a dire di un altro esponente politico,«con la costruzione di questo quartiere questo paese non è più stato se stesso. Con il Satellite è cambiato inesorabilmente il volto urbano e altrettanto inesorabilmente anche l’animo stesso dei pioltellesi ha subito una modificazione. Il Satellite ha cambiato l’immagine e la stessa reputazione di Pioltello». Non sorprende quindi che in molti nostri interlocutori si rintracci un risentimento verso gli autori di queste “violenze”, anzi, è addirittura recepibile una sorta di recriminazione nei confronti di chi ha retto a quei tempi la pubblica amministrazione. Afferma categorico un anziano: «Per quarant’anni Pioltello non ha avuto un piano regolatore e si è costruito su ordinazione. Ognuno faceva quel che voleva e in chi amministrava il paese non c’era una qualsiasi idea della città che avrebbe dovuto sorgere». Uno stesso amministratore degli anni ‘70 ricorda: «A Seggiano lo sviluppo è avvenuto senza regole e ha avuto corso nei tempi in cui la gente si acquistava cinquecento metri quadrati sui quali vi costruiva la casa a due piani quando c’erano i risparmi e lavorando notte tempo il sabato e la domenica, facendo cioè sacrifici enormi. Poi vi si insediava e la verniciava dieci anni dopo perché non c’erano i soldi per farlo. Era difficile contrastare questa gente». E altri originari del posto ricordano che a Seggiano, «all’inizio, c’erano solo villette, c’era una segheria, c’erano ancora le cascine, poi invece si sono insediate le costruzioni popolari e a macchia d’olio si è distribuita la microcriminalità. Alla fine, a complicare le cose, sono arrivati anche gli autotrasportatori». «Io sono nato a Limito, in cascina, e ho vissuto le vicende di Pioltello da vicino. Il territorio è stato usato per arricchimenti personali, attraverso cessioni ad enti avvenute per quattro soldi, anziché essere acquisiti per il bene pubblico. Questo è avvenuto fino alla fine degli anni ‘80 e ai primi degli anni ‘90. Gli ultimi atti sono infatti del ‘90-’91. Il territorio è stato sfruttato al massimo per questi arricchimenti che hanno compromesso uno sviluppo equilibrato della società locale». Come viene documentato nel numero 4 dei ‘Quaderni’ pubblicati dal Comune, quello dedicato alla ricostruzione storica del Satellite, nel ‘62 venne stipulato un «accordo tra l’Amministrazione comunale e le ditte proprietarie dei terreni per la costruzione di un quartiere residenziale destinato al ceto medio, completo di scuole, campi da tennis e da pallacanestro, campi-gioco per bambini, illuminazione stradale, impianto fognario e acquedotto, il tutto a spese delle imprese costruttrici». E bene ricordare che a quei tempi i costruttori privati non avevano alcun obbligo nei confronti della collettività circa la realizzazione dei servizi pubblici. Tra il ‘62 e il ‘64 vennero così edificati 4 lotti di 10 edifici ciascuno e altri 15 edifici lungo le vie Bizet, Wagner e Monteverdi. In queste 55 costruzioni, all’origine, era prevista la realizzazione di 2.268 appartamenti di 2 e 3 locali ciascuno, mentre il progetto globale iniziale contemplava la costruzione di addirittura 72 palazzi di 9 piani. «Quando però ebbe inizio la costruzione, l’impresa edilizia si accorse che l’impegno assunto con il Comune risultava essere troppo oneroso e a quel punto, nell’intento di recuperare i soldi da destinare alle opere di urbanizzazione, decise di aumentare il numero delle case da costruire». Questa operazione non conseguì affatto l’obiettivo sperato. «La costruzione di tanti edifici in uno spazio inadeguato e sovraffollato comportò inesorabilmente la diminuzione delle probabilità di vendita di quegli alloggi al ceto sociale cui erano originariamente destinati. La sopravvenienza di questa contraddizione determinò anzi il fallimento dell’intera operazione». «Essendo ammucchiati, gli appartamenti si deprezzarono e quelli che vennero venduti, non garantirono affatto il guadagno preventivato. Il costruttore si ritrovò così nelle condizioni di dichiarare fallimento. A quel punto venne costituita una società che si accollò l’ultimazione della costruzione degli appartamenti e gestì al meglio la complicata situazione che si era venuta creando. Fece anzitutto l’accordo con circa 300 operai per la loro assunzione alla condizione che acquistassero gli stessi appartamenti dietro trattenuta mensile sul salario di una somma compresa tra le 20 e le 30 mila lire». Ecco come ricostruisce le vicende di quel tempo colui che ebbe il greve compito di subentrare nella gestione immobiliare del Satellite. «Il titolare dell’impresa costruttrice aveva comprato, attraverso varie società che lui stesso gestiva, pressoché tutte le aree agricole di Pioltello la cui superficie ammontava a un paio di milioni di metri quadrati. Io sono subentrato nella gestione del Satellite dopo che quel signore aveva accumulato debiti nei confronti del sistema bancario per decine e decine di miliardi di lire. E’ da ricordare che eravamo negli anni ‘60, quando cioè con un milione o poco più di lire si acquistava un’automobile che oggi ne costa cinquanta o sessanta. Si sta parlando dunque di cifre stratosferiche che rapportate ad oggi equivarrebbero a migliaia di miliardi. Io che lavoravo alle dipendenze del gruppo finanziario svizzero che era subentrato dopo che le banche avevano deciso di chiudere i rubinetti, ero a quel punto chiamato a gestire un’operazione fallimentare. Poiché l’impresa costruttrice aveva incassato le cambiali firmate dagli acquirenti degli immobili del Satellite, io mi sono trovato di fronte a un immenso casino fatto di tante cambiali inesigibili e di case che non avevano un grosso valore aggiunto. I mezzi per portare a compimento l’operazione, cioè per rifinire le case che erano già state terminate, sono arrivati dalla Svizzera. Per il resto non c’erano mezzi. Ho così ereditato 300 appartamenti che erano occupati senza che venissero pagate né le spese condominiali né i mutui. Per sere e sere mi sono recato a casa di questa gente, anche rischiando, e ho trasformato i preliminari in contratti d’affitto. Attraverso questa operazione ho potuto prendere gli appartamenti e darli in permuta a chi mi ha venduto un lotto di terreno. Su un migliaio di appartamenti ne ho piazzati almeno 500-600. Venderli però è stata una vera e propria impresa perché non valevano niente. Ho fatto un’opera d’arte e per questo sono contento di me. Nel ‘64 io ero intenzionato a far saltare i fabbricati interni, ma non ho potuto farlo perché erano già venduti. Le cose brutte rimangono brutte e per far sì che il Satellite corrispondesse ai propositi originari occorreva eliminare quei fabbricati che erano stati costruiti in eccedenza. Va chiarito che la convenzione fatta dal costruttore con il Comune di Pioltello risultava essere avveniristica negli anni ‘60. Nella convenzione era prevista la costruzione di campi da tennis, campi di calcio e queste erano le uniche infrastrutture che a quel tempo esistevano a Pioltello, anche se poi questi stessi servizi sono risultati insufficienti. Dal momento che l’impresa si è fatta carico di questi oneri, è stata necessariamente costretta, per non perderci, ad aumentare le volumetrie, cioè a costruire case in più di quelle previste. L’eccesso di volume, però, ha deprezzato le costruzioni e gli alloggi costruiti non corrispondevano più nella qualità abitativa alle aspettative perdendo automaticamente valore. Occorreva costruire molto meno e con uno stile migliore. I costruttori hanno dunque fatto male i calcoli economici, mentre il Comune non si è reso conto che la pretesa di addossare al costruttore il carico delle infrastrutture avrebbe comportato una situazione anomala e di conseguenza un deprezzamento dell’intero quartiere. Con Pioltello ho chiuso nel ‘70 quando sono riuscito a fare l’operazione di permuta. Va detto che quella del Satellite è una storia nella quale tutti hanno ragione: ce l’aveva il costruttore che, sbagliando, ci ha rimesso e c’è l’aveva pure l’Amministrazione comunale. Va ricordato che tutto quanto l’Amministrazione comunale ha preteso è stato puntualmente realizzato. Il paradosso è che la vicenda del Satellite è tutto fuorché una speculazione edilizia. Probabilmente in nuce l’intenzione era quella, alla fine però l’operazione si è rivelata un disastro per lo stesso costruttore. La vicenda del Satellite è in conclusione il frutto di un coacervo di errori». Avvenne così che «quella che all’origine era la ‘Città satellite di Milano’, destinata cioè a quei cittadini milanesi che, stanchi del caos della metropoli, erano desiderosi di trasferirsi in un ambiente tranquillo e confortevole della periferia, venne presa d’assalto da muratori, carpentieri, operai che in prevalenza erano immigrati e bisognosi di un alloggio». Nella memoria dei pioltellesi di oggi la storia del Satellite occupa sicuramente largo spazio. E’ convincimento generale che esso rappresenti una «vicenda che ha sconvolto Pioltello. Prima lo hanno costruito, poi l’impresa è saltata per aria. I muratori che l’hanno costruito non venivano pagati e allora in cambio hanno avuto la casa. Altri acquirenti invece che pensavano di aver comprato chissà che cosa, si sono ritrovati delle abitazioni ignobili». Qualcuno rammenta che «sono persino andati con i pullman a raccogliere gli operai nel Mezzogiorno per portarli qui. Prima li hanno fatti dormire nelle baracche, poi gli hanno venduto le case del Satellite. E’ successo così che qui è venuta ad abitare gente che purtroppo denunciava un bagaglio di arretratezza che era una cosa indegna. In più, i nostri governanti ci avevano messo anche i delinquenti in soggiorno obbligato. E questo periodo è durato parecchio. Se si parla male di Pioltello è anche per queste ragioni». Altri invece tiene a precisare che «a differenza dello Zen di Palermo o del Corviale di Roma, dove si sono insediati i clan, gli abitanti del Satellite erano e sono autosufficienti dal punto di vista finanziario e perciò non ricattabili». Un amministratore degli anni ‘70 ricorda come, con l’avvento della città Satellite, Pioltello abbia conosciuto «un’escalation di immigrazione tale da scoprire, in occasione di un censimento, che a fronte di 28.000 residenti il comune ospitava ben 34.000 abitanti». «Pioltello è nato come realtà agricola e i suoi abitanti erano addetti quasi solo all’agricoltura, al massimo posavano tubi dell’acqua. Con la costruzione del Satellite sono arrivate qui diecimila persone tutte eterogenee, in buona parte meridionali attirati dalla promessa che facendo i muratori si sarebbero pagati l’alloggio. Alla fine invece sono stati ingannati. Poi c’eravamo noi milanesi che siamo venuti qui perché comprare la casa in città allora era pazzesco, mentre qui i prezzi erano buoni e c’era la possibilità di fare le cambiali. A regola, la costruzione del Satellite non è stata poi tanto male, il problema è che alla fine si è trasformato in un dormitorio». Racconta un commerciante: «Io mi sono insediato al Satellite nel ‘63 quando ancora non c’era niente. Qui al Cilea gli appartamenti abitati erano solo tre o quattro. Molti hanno incominciato ad essere abitati solo nel ‘64, mentre nel ‘65 c’è stata un po’ di crisi. Prima aveva aperto la drogheria all’angolo, poi ho aperto io la salumeria, gli altri sono arrivati dopo. All’inizio era venuta ad abitare qui gente diciamo un po’ più scelta, cioè i milanesi che avevano lasciato la città, dopo invece, con la crisi immobiliare che ha investito l’impresa costruttrice, è successo un po’ di tutto». «Verso la fine degli anni ’60 - spiega un operatore economico del luogo - stavo per acquistare anch’io un appartamento al Satellite perché avevo la smania di avere la casa. E’ stata mia moglie a ritardare la decisione e devo ringraziare lei se non ho firmato il contatto che era già steso». «A quel tempo acquistare un appartamento al Satellite significava farsi la casa fuori Milano, fare cioè un investimento e avere a disposizione una dimora presso la quale defilarsi dalla grande metropoli. Poi invece quelle costruzioni si sono trasformate in luoghi di residenza per chi veniva dal Sud, spesso occupati con la forza e perfino destinati a criminali mafiosi mandati al confino». Se è però vero che «il Satellite ha stravolto la natura originaria di Pioltello e ne ha modificato l’aspetto, nel contempo ha però arricchito la composizione umana e sociale», «esso accoglie e respinge nello stesso tempo». «Tutto sommato ha dato delle opportunità a questa gente la quale in 35 anni, parlo di quando sono stato qui io, ha fatto dei bei passi. Si critica tanto il passato ma non si tiene conto di questo aspetto e pure del fatto che oggi si fa anche di peggio. La gente si è integrata, è migliorata, i figli delle famiglie che erano qui si sono trasferiti altrove, alcuni si sono addirittura comprati la villetta». Non va poi dimenticato che «negli anni ‘60 l’acquedotto del Satellite era visto da tutti come un monumento d’avanguardia perché di case a nove piani nel milanese non è che ce ne fossero molte». «E quando agli inizi degli anni ‘60 hanno incominciato a costruirlo, per i commercianti di Pioltello vecchia ha rappresentato una fonte di commercio. E’ stato come se avessero trovato il petrolio». E’ vero, ammette un interessato, «commercialmente il Satellite è stato un benvenuto, anche se per quanto riguarda l’aspetto sociale non posso dire altrettanto». 4 - L’ondata immigratoria degli anni ‘60-’70 Raccontano le persone che sono native del luogo: «Anticamente Pioltello era come un feudo, era comandato da dieci, dodici, quindici fittavoli che facevano lavorare la gente nei campi. Loro erano le famiglie che contavano e decidevano, noi invece eravamo la povera gente». « Negli anni ‘50 non era però più una comunità rurale nel senso che qui ci fossero molti contadini, era invece un paese di muratori. A Cernusco c’erano gli impresari, qui c’erano i muratori particolarissimi, quelli che non lavoravano il lunedì perché il sabato e la domenica prendevano le sbornie dal momento che guadagnavano bene». «Rispetto a Cernusco, a quei tempi qui c’era la miseria, venivano a prendere gli uomini al lunedì per portarli a lavorare le terre». «Non c’erano né luce né fogne». «Si mangiava polenta al mattino, polenta a mezzogiorno e polenta alla sera. In famiglia non si parlava di politica, ma solo di lavoro e della pagnotta». «A quei tempi si viveva però la comunità del paese e la trattoria era un punto di incontro». «Noi ragazzi andavamo nelle cascine e facevamo il bagno nelle rogge». «C’erano dei clan, i Gerla, i Salvini e altri ancora che erano specializzati a costruire i muri con i mattoni. Erano tutti comunisti, ma comunisti di quelli veri, non cattivi, ma per scelta di classe e avevano un forte senso dell’appartenenza». Difatti, commenta un anziano esponente della politica locale, «finita la guerra c’era quella maledetta ideologia che ha rovinato un po’ tutti e della quale siamo rimasti soggiogati per parecchi anni, fino a che c’è stata la caduta della Russia. Io ho avuto dei dipendenti tra i quali c’erano dei comunisti che erano persone a posto, lineari, grandi lavoratori; poi c’erano anche dei lavativi, ma questo succede in ogni ambiente. Ho avuto gente che è stata qui trenta o quarant’anni e non erano liberali, erano comunisti. Molti non sapevano nemmeno cosa fosse il comunismo, lo erano perché convinti che il partito comunista facesse sempre il loro interesse. Pure i sindacati li avevano convinti che facevano il loro interesse e così molti hanno creduto anche nel sindacato. Questo è potuto avvenire perché allora c’era molto analfabetismo». « A quei tempi qui non esisteva una classe operaia di tipo meccanico, questa è venuta dopo, quando cioè in diversi hanno avuto la possibilità di andare a lavorare all’Innocenti, che è stata un’azienda importante perché quelli che facevano il capo-operaio si sono messi poi per proprio conto aprendo delle piccole officine. Dopo di che c’è stato il boom di quelli della Rizzoli. Il polo chimico, invece, ha sempre usufruito di moltissima manodopera che non abitava e non abita nemmeno oggi a Pioltello. Venivano in treno da lontanissimo, dal bergamasco, ad esempio, e alla stazione di Limito scendevano a frotte. Alcuni poi si sono stabilizzati qui». C’era però anche «una componente di aristocrazia operaia, cioè tutta quella gente che negli anni ‘50-’60 ha contribuito al boom italiano: operai specializzati, gente che conosceva il proprio lavoro, sindacalizzati, consapevoli di tutte le tematiche sociali. Questa aristocrazia operaia era mescolata a manovalanza poco qualificata costituita da chi arrivava qui dalle regioni povere del Sud d’Italia». «Negli anni ‘60 Pioltello era il paese dei meridionali poveri, perché qui potevano prendersi il pezzetto di terreno». «Qui la gente trovava casa e lavoro». All’epoca della costruzione di Piazza Garibaldi e del Satellite «c’è stata la prima storica ondata immigratoria dei meridionali. Questi facevano i muratori e andavano a lavorare nelle grandi imprese della zona». «Dal treno che fermava a Limito scendeva della gran manodopera», «la ferrovia sfornava mille immigrati al giorno con la classica valigia di cartone. Questi avevano bisogno di trovare un posto di lavoro, anche in nero, quello che capitava perché avevano necessità di campare. Erano tutti immigrati che scappavano dalla fame». «C’era un albergo dove alloggiavano almeno trenta persone che lavoravano tutte al polo chimico. La povera gente però, quella che veniva su dal Meridione, era costretta ad affittare la casa e in una stanza dormivano anche in tre o quattro». «Tre quarti delle persone che oggi vivono a Pioltello sono arrivati da altri luoghi e in tanti sono venuti qui pensando che questo paese fosse una zattera. Pioltello di quegli anni è stato come una delle navi di clandestini che oggi attraversano lo stretto tra l’Albania e la Puglia. Molti di loro pensavano di sbarcare in qualche altro posto e consideravano Pioltello un luogo di transizione, in realtà sono poi rimasti qui in tanti». «Qui si è trasferito per il 60% una paese della Sicilia. Pioltello è così diventato il doppio di Pietraperzia. C’è stato un periodo in cui venivano qui addirittura gli amministratori di quel comune a fare la propaganda elettorale». «C’erano anche personaggi in soggiorno obbligato con le loro corti ed era un vero e proprio marasma». «Una delle cose che ricordo bene è che le persone del Sud che arrivavano qui e avevano bisogno di lavoro. Il sindaco di allora concedeva loro la residenza e le aiutava a trovare una collocazione, cosa che non faceva invece il sindaco di Cernusco, pure lui democristiano, il quale concedeva la residenza solo a chi aveva un posto di lavoro». Ricorda un amministratore dell’epoca: «Quando facevo il sindaco c’erano mille pioltellesi, cinquemila del Nord e trentamila del Sud. A Pioltello esisteva dunque una comunità con mentalità, idee, usi e costumi differenti e integrare tutte queste persone non era di certo facile». «Tant’è - osserva un parroco - che per diverso tempo in molte famiglie meridionali è invalsa l’abitudine di far nascere i figli al proprio paese d’origine al fine di mantenere un legame con la propria terra e le proprie tradizioni. Qui da noi ogni venerdì santo si celebra un rito che è originario di Pietraperzia e buona parte di chi vi partecipa è gente che vive a Seggiano da più di trent’anni. Mentre prima questo rito era gestito dai pietrini, ora vi partecipano anche quelli che non sono originari di quel paese e questo sicuramente è un segnale positivo». Il processo d’integrazione però non è di certo stato facile, né per gli immigrati del Sud né per quelli che provenivano dalle regioni dello stesso Nord d’Italia. «Per assurdo, mi trovavo molto peggio io che venivo dalla campagna bresciana piuttosto che uno che proveniva da Pietraperzia o da altre realtà del Mezzogiorno. I meridionali riuscivano almeno a stabilire dei rapporti personali. Per me, il disagio comportato dal trasferimento da un mondo contadino all’ambiente di Pioltello è stato grande. Io mi sentivo spaesato e non riuscivo ad integrarmi. In quei tempi ho conosciuto una forte solitudine. Mi trovavo di fronte a una cultura di città che era diversa da quella che avevo acquisito nella piccola comunità contadina d’origine. Passare dal carro trainato dal cavallo alla metropolitana è stato per me un salto notevole. Capitava che mi dovessi confrontare con comportamenti e atteggiamenti che erano assolutamente estranei alla mia cultura. Quando in quegli anni andavo al Satellite, succedeva che la gente buttava i rifiuti fuori dalla finestra, li buttava sulla strada e c’era un’anarchia comportamentale che mi intimidiva molto, anzi mi spaventava. Io mi sentivo aggredito. La sensazione era quella di vivere nel far west. Poi invece crescendo, intessendo dei rapporti di amicizia, integrandomi nella comunità, su questi comportamenti costruivo anche delle leggende e con il tempo essi stessi sono diventati elementi che hanno contribuito a crearmi un’identità di questa realtà. La crisi d’identità che avevo vissuto io la verificavo nei miei stessi amici i quali al pari di me erano intimoriti da certi altri ragazzini, nonché da certi altri personaggi che si trovavano in Pioltello. Con il passare degli anni poi con queste stesse persone ho stabilito un rapporto e pure una comunanza. Piano piano c’è stata una trasformazione e questi comportamenti che potevano anche essere motivo di distinzione si sono sempre più marginalizzati e si è andati verso nuovi livelli di convivenza. La gente è diventata sempre più normale». Un altro motivo di disagio era dovuto all’assenza delle infrastrutture di pubblica necessità. «Per chi intendeva continuare gli studi dopo le elementari sul territorio comunale non c’erano le scuole e doveva andare in città. Io e i miei fratelli, dal momento che appartenevamo a una famiglia che ne aveva la possibilità, abbiamo studiato a Milano». «Anch’io per studiare dovevo prendere tutti i giorni il pullman per Milano e a quei tempi ero l’unica ragazzina a frequentare la scuola media, mentre le poche altre che avevano deciso di continuare gli studi si recavano a Gorgonzola dove frequentavano l’avviamento commerciale. Allora non c’era nessuno che ci dicesse quanto fosse importante lo studio, chi andava avanti a studiare era perché aveva una forte volontà». «Mio fratello frequentava l’università e a quei tempi a Pioltello ce n’erano solo altri due o tre, mentre a Cernusco erano già in trenta o quaranta». E la stessa vita comunitaria non risultava affatto agevole. «Soprattutto al Satellite non ci si conosceva affatto perché eravamo tutti immigrati. Ad aggregare allora c’erano solo gli oratori, gli scout e poi c’era la banda». «Quando alla fine degli anni ‘60 sono giunto qui ho trovato una situazione tipica di una realtà territoriale in piena espansione. Mancavano tutta una serie di condizioni perché una persona potesse condurre tranquillamente la sua vita. Non c’erano ancora tutte le scuole, si facevano i doppi turni, mancavano i servizi. Sulla base dell’immaginario personale mi sento di dire che lo sviluppo di Pioltello è stato segnato da tre eventi fondamentali: la costruzione delle scuole; la costruzione delle fogne che ha comportato, tra la metà e la fine degli anni ‘70, uno sventramento generale delle strade; poi la trasformazione del comportamento individuale delle persone». 5 - Dalla crisi dell’agricoltura alla terziarizzazione «Pioltello è sempre stata considerata il Bronx dell’area della Martesana, perché negli anni ‘60 la speculazione edilizia del Satellite aveva fatto sì che ci fosse una concentrazione di immigrazione selvaggia tale da far nascere la delinquenza e una disoccupazione di volontà legata a problemi assistenziali» , osserva un operatore culturale che pioltellese non è. «Rispetto agli anni ‘60, però, Pioltello è di molto cambiata» , puntualizza un amministratore pubblico. «Dal punto di vista della vivibilità è sicuramente peggiorata. Sta infatti diventando sempre più difficile vivere con una grande massa di persone che mostra segni di difficoltà nel trovare un senso di appartenenza. Da altri punti di vista, invece, la situazione è decisamente migliorata. Negli anni ‘60 le fogne non c’erano, il gas metano non c’era. Mentre però sul piano dei bisogni materiali sono stati fatti dei notevoli passi in avanti, rispetto ai bisogni immateriali c’è stato un decadimento». Comunque sia, «rispetto ai tempi andati, quando era una sorta di paese dormitorio, Pioltello è diventata sempre più una cittadina normale. Un tempo se si percorrevano le strade del paese al mattino o al pomeriggio non si incontrava nessuno, perché la gente era a lavorare in fabbrica o a Milano, oggi invece non è più così, anche di giorno nelle vie cittadine c’è vita». «Ora Pioltello si sta avvicinando a passi da gigante ai livelli standard milanesi. Vengono organizzate iniziative che erano impensabili per la realtà locale fino a dieci anni fa. Del resto, la stessa realizzazione della grande multisala cinematografica è una cambiale firmata a suo favore, nel senso che se questa multinazionale estera ha scelto di insediarsi in questo comune, non lo ha certo fatto soltanto perché l’Amministrazione comunale gli ha forse offerto maggiori facilitazioni di altre sull’area. Se questa fosse un’area da Bronx nessuno si sarebbe mai sognato di aprire qui una multisala del genere. Poi c’è da dire che è cambiato l’approccio stesso con Pioltello. Mentre prima c’era la nomea che rendeva difficile vendere un appartamento situato in questo comune, al punto che uno nell’inserzione sui giornali doveva scrivere ‘vicinanze Cernusco’, oggi tutti scrivono tranquillamente Pioltello e anche questo è un segnale molto eloquente del fatto che si è ormai affrancato da quella brutta immagine». E mentre altri testimoni sottolineano questo positivo mutamento, c’è chi manifesta un attaccamento a questa realtà locale che a qualcuno può apparire sorprendente. «Qualche tempo fa ho proposto a mia moglie di comprare una casetta nel mio paese d’origine. Essendo però lei nata a Pioltello, non ha voluto nemmeno considerare l’idea di andarsene via da qui. In verità, anch’io sono affezionato a Pioltello, qui ho fatto la famiglia, sono diventato imprenditore, ho avuto le soddisfazioni della mia vita e ho fatto degli amici. Mi sento insomma sotto il campanile, anche se di tanto in tanto mi viene voglia di camminare libero sui sentieri di campagna e respirare l’aria pulita». «Noi - racconta un altro operatore economico - abitavamo a San Siro, ai limiti dell’ippodromo, dove ci sono molte ville di famiglie ricche. Quando da San Siro mi sono trasferito qui i miei amici si sono tutti meravigliati proprio perché a quel tempo Pioltello era una località conosciuta solo per la cronaca nera. Devo invece confessare che io non sono mai stato così tranquillo come da quando vivo qui. Certo, io non sono inserito in questa comunità e vivo un po’ appartato, però qui ci sto bene». Di cambiamenti, in effetti, in questi ultimi decenni ce ne sono stati parecchi. Anzitutto, è venuta trasformandosi la struttura economica di Pioltello. «L’agricoltura sta ormai sparendo del tutto, anche perché qui non ci sono più i grossi appezzamenti di terreno di un tempo». «Oggi l’agricoltura è ridotta a ben poca cosa. Le cascine incominciano ad avere destinazioni d’uso alternative e ci sono contadini che hanno smesso di coltivare i campi causa l’incompatibilità di esistenza con l’industria». C’è però chi non manca di deprecare la dismissione del lavoro contadino. «Si è lasciata andare la campagna in un modo veramente sconcertante. Quando qui arriva uno come me e nota che in questa zona, a soli quattro chilometri da Milano, esistono ancora le rogge le quali, da quel che si dice, sono state disegnate da Leonardo Da Vinci, e poi ci sono i fontanili e vede che sono stati lasciati andare, s’incazza con la vita, s’incazza con i ricchi, s’incazza con la storia. E’ mai possibile distruggere o lasciar deperire un patrimonio di storia della nostra civiltà così importante? Noi che abbiamo un allevamento di cavalli in Toscana sappiamo bene che la campagna non dà guadagno in nessuna parte del mondo. Ma non c’è solo il problema del guadagno, ci deve essere un attaccamento alla terra così come appunto avviene in Maremma». E c’è chi invece pensa che il destino dell’agricoltura, in questa parte della provincia milanese, sia inesorabilmente segnato in termini negativi. «Di aziende agricole a Pioltello non c'è ormai quasi più niente. Noi facciamo monocoltura, ma dal punto di vista agricolo questa zona non ha prospettive perché questa posizione è strategica per l’industria. Qui ci sarà la stazione di porta che avrà una certa importanza per lo sviluppo dell’alta velocità. Noi siamo vicinissimi alla stazione, seguiamo la linea ferroviaria Milano-Venezia che va in Germania, e proprio per questa ragione quest’area può avere uno sviluppo enorme dal punto di vista industriale se si fanno i raccordi ferroviari. Con il vecchio piano regolatore una parte di quest’area era giustamente destinata allo sviluppo dell’artigianato, con quello nuovo invece l’area torna ad essere a destinazione agricola. Si tratta a mio avviso di una scelta sbagliata, nel 2000 non si può tornare indietro nello sviluppo, ma bisogna andare avanti. In quest’area, se non oggi fra venti o trent’anni di certo, l’agricoltura è destinata a sparire. Si salva il lodigiano, il cremasco, ma qui nell’area milanese tutto cambierà, questa linea ferroviaria è la più importante d’Italia». E non manca nemmeno chi ritiene che «per l’Amministrazione comunale l’agricoltura non ha mai contato. Il Comune è proprietario di questo fondo da venti o trent'anni, non solo lo ha per lungo tempo trascurato, ma ancora oggi non ha deciso cosa farne». E poi c’è chi all’ente pubblico addossa addirittura la responsabilità della cessazione della propria azienda agricola. «Io sono venuto qui 36 anni fa, proveniente dal pavese, per coltivare la terra come affittuario. Mi sono trasferito per ingrandirmi e quindi per migliorare l’attività. Nei primi anni non ho avuto problemi, poi invece ho incominciato ad avere discussioni con un’azienda chimica del luogo. A quei tempi, questa non aveva il depuratore e mi mandava acqua sporca e inquinata. Ora la depurano e si dice contenga un inquinamento dell’8%; allora invece conteneva l’80% di sostanze nocive e questa situazione è durata fino a metà degli anni ‘70. Io ho sempre reclamato, ma in Comune mi hanno sempre risposto che non potevano farci nulla. Avrebbero invece dovuto imporre all’azienda l’obbligo di mandarmi l’acqua pulita. Non si sono resi conto subito che concedendo a questa azienda lo sfruttamento dei pozzi avrebbero danneggiato l’agricoltura e quando l’hanno capito non si sono dati da fare per rimediare la situazione. Anche gli ambientalisti non si sono mai curati dei miei problemi, loro facevano le dimostrazioni, ma poi le cose ritornavano ad essere quelle di sempre. Non ho mai avuto la solidarietà di nessuno. Sono andato anche dai Coltivatori diretti, ma anche questi mi hanno risposto che se dovevano dare l’acqua a me bisognava toglierla a qualcun altro. Dagli anni ‘70 ad oggi è stato un continuo calvario. Io ho continuato a coltivare la terra, ma alla fine ho dovuto desistere. Coltivavo granturco, frumento, orzo e foraggio, avevo anche gli animali. Tra grossi e piccoli sono arrivato ad avere 165 capi. Come azienda la mia era una delle prime. Ora però, a causa della mancanza dell’acqua, questo patrimonio non c’è più. Io avrei voluto lasciare l’azienda ai miei figli, ma nelle condizioni in cui mi sono venuto a trovare ho dovuto rinunciare a questo proposito. Io non potevo fare il granturco come gli altri, perché senz’acqua era impossibile. Ora i miei campi vengono lavorati da altri e per avere l’acqua questi devono aspettare la pioggia. Io ho smesso dal momento che i raccolti rischiavano di bruciare mentre l’affitto e le tasse dovevo comunque continuare a pagarli». A soppiantare le coltivazioni agricole sono stati dapprima gli insediamenti industriali, poi le imprese di trasporto e della logistica. Pioltello è parte di un’area territoriale estremamente apprezzata dagli operatori economici. La sua vicinanza alla città e la presenza di un sistema infrastrutturale assai ricco e articolato hanno senz’altro favorito l’insediamento su questo territorio di molte imprese. Oltre all’espansione e all’ammodernamento del polo chimico, negli anni ‘70 e ‘80, qui hanno trovato collocazione gran parte di quelle aziende che sono sfuggite al congestionamento della città di Milano e che in quest’area hanno individuato le condizioni per ampliarsi ulteriormente. E’ infatti proprio a partire da Pioltello e da Cernusco che, estendendosi verso l’Adda, prende corpo il distretto industriale n° 14 che riguarda il settore della lavorazione dei metalli e della produzione di macchine. Oltre ai settori metalmeccanico e chimicofarmaceutico, nel comprensorio di Melzo, specie negli ultimi anni, hanno trovato sviluppo attività grafiche, imprese di servizi e, appunto, quelle di magazzinaggio, stoccaggio, smistamento e trasporto. Ecco come il responsabile di una struttura che si occupa di incontro tra domanda e offerta di lavoro descrive la realtà economica della zona. « Si tratta di un territorio dove non ci sono grandi aziende, se non alcune di servizi. In prevalenza ci sono piccole e piccolissime imprese, più o meno la media per impresa è di 6 addetti, con una capacità di diversificazione molto ampia. I settori prevalenti sono quelli del metallo e delle macchine, che risentono della presenza del distretto industriale, poi quelli della grafica e della chimica. Dopo di che ci sono i servizi alle imprese, il commercio e anche l’edilizia. E’ un territorio variegato e flessibile, soggetto a uno sviluppo tale da garantire non solo una tenuta, ma un’espansione occupazionale. Qui non si verificano mai delle impennate e le crisi si risentono sempre con un certo ritardo. Si può dire che sia un territorio moderato, cioè che risente poco del cambio dei cicli e perciò è reso più tranquillo. Per assistere alle crisi delle grandi aziende bisogna risalire agli anni ‘70 e ‘80, dopo di allora qui sono prevalse le piccole realtà le quali si sono dimostrate flessibili e perciò stabili. Il decentramento delle realtà produttive da Milano in quest’area è iniziato negli anni ‘60 ed è tuttora in corso. Abbiamo una presenza dell’industria, ma ora sta crescendo anche il terziario che dopo aver invaso la prima fascia di comuni intorno alla città, sta investendo anche la periferia. Fino ad ora la presenza del terziario è risultata limitata, però sta aumentando. Ci sono sempre più aree destinate al terziario per cui si costruiscono centri direzionali i quali si allontanano sempre più dalla città essendo anche collegati con le nuove vie di comunicazione. Anche questa zona, dunque, vive uno sviluppo del terziario. Il tessuto produttivo che è insediato qui regge perché è dinamico, se però si va a vedere bene ci si accorge che si tratta di una realtà di aziende di piccole dimensioni che, come tali, non possono competere perché non sono in grado di fare adeguati investimenti. Per essere competitive devono misurarsi sul mercato come area territoriale. Esiste perciò il rischio che esse si trovino di fronte a delle difficoltà e questo porta a sottolineare l’esigenza che si operi per far crescere un sistema. Qui la subfornitura è presente in maniera abbastanza consistente; direi che siamo molto dipendenti da Milano dal momento che le nostre aziende sono fatte soprattutto di laboratori e fanno riferimento all’azienda madre. L’indotto, nell’area del distretto, sembra essere pari a circa il 30%». C’è infine chi sostiene che lo sviluppo di Pioltello «sia stato condizionato dalla presenza del polo chimico» e chi invece pensa che ciò sia vero solo in parte dal momento che «l’influenza di questo polo sullo sviluppo complessivo dell’economia pioltellese è stata molto relativa». E’ opinione comune però che «mentre si è sviluppato il settore dei servizi alle imprese, non c’è stato affatto uno sviluppo del terziario avanzato». 6. Il sistema delle imprese Lamenta un amministratore pubblico degli anni ‘70: «Abbiamo costruito un paese di poveri, senza un sistema di aziende che porti denaro e ricchezza, anche culturale. Tutte le fabbriche che sono qui insediate occupano in tutto 300 dipendenti su 35.000 abitanti. Sulla rivoltana abbiamo anche grosse aziende di importanza nazionale, purtroppo però nessuna di queste influisce sul territorio comunale». E altri nostri testimoni commentano:«Qui di stabilimenti ne sono rimasti pochi, una volta qualcosa c’era, oggi invece sono spariti. Ci sono gli autotrasportatori e poi c’è la grande distribuzione. Oggi a Pioltello il lavoro è precario». «Un po’ di fabbriche ci sono ancora però non vantano un grande assorbimento di manodopera perché ormai sono tutte automatiche. Manca la piccola e media industria e anche l’artigianato». «Tempo fa il quadrante di Pioltello era l’area della provincia che aveva un maggior tasso di attività manifatturiera, sia come numero di imprese, che nella generalità erano piccole , sia come occupazione. Nel giro di cinque o sei anni il paesaggio industriale si è però quasi dissolto. Sono scomparse le aziende che costituivano l’indotto delle grandi industrie e la piccola impresa non si sa bene che fine abbia fatto». «Ci sono i supermercati che non possono essere demonizzati, però non assicurano il lavoro che danno invece le fabbriche». Fa presente il delegato sindacale di un’azienda della grande distribuzione: «Prima il comune di Pioltello poteva contare sul fatto che qui vi erano occupati molti suoi cittadini, oggi invece questi sono pochissimi perché la maggioranza di chi è occupato qui proviene da fuori». E altri interlocutori osservano ancora: «L’industrializzazione di Pioltello non è stata di qualità perché qui ci sono soprattutto grandi depositi e l’unica realtà di grandissima qualità e di alta tecnologia era situata nel polo chimico che però è un mondo a sé». «Su cento che lavorano nelle aziende del polo chimico i residenti a Pioltello sono solo il 5%, il resto dei lavoratori arrivano da fuori e l’occupazione garantita dal polo chimico è un mito». «Le piccole imprese locali non hanno mai lavorato per le aziende del polo e qui non c’è mai stato l’indotto. L’unico effetto positivo che esso ha avuto su Pioltello è stata la presenza di tecnici e di altro personale che alloggiava in un albergo di Seggiano e in una piccola struttura alberghiera di Limito. Queste infatti sono sempre state pieni di stranieri. Non è esistito l’impresario locale che entra nelle aziende del polo chimico per costruirvi la torre o altro». «Uno dei grossi errori che i nostri amministratori pubblici hanno compiuto è stato quello di dare spazio agli autotrasportatori i quali non costituiscono affatto un terziario avanzato. La grande distribuzione, ad esempio, comporta la presenza di una dirigenza di qualità, ma poi il resto di chi vi lavora in questo settore non vanta specifiche professionalità». «A differenza di taluni comuni del circondario come Cernusco e Cassina de’ Pecchi che sono stati capaci di attrarre significative aziende del terziario avanzate come la Microsoft o la Hewlett Packard, Pioltello è sempre stato escluso come luogo di insediamento da parte di aziende di quel genere. Qui si sono formate molte società di pulizia che trent’anni fa non c’erano; il facchinaggio, il trasporto, l’intermediazione delle case, agenzie varie, sono tutte attività che hanno avuto una fioritura in questi ultimi anni. A Pioltello c’è un grandissimo numero di società immobiliari che fanno prevalentemente intermediazione di appartamenti e questo è da mettere in relazione proprio al turn over che qui esiste. Questo tipo di imprese non arricchisce certo il territorio, non comporta di per sé valore, perché non crea valore aggiunto e quindi benessere. Io mi occupo di informatica e devo dire che quando sulla rete cerco Pioltello difficilmente trovo offerte di servizi e questo vuol dire che anche culturalmente qui non si è ancora preparati alle relazioni telematiche o quanto meno non se ne avverte la necessità e non ci si attrezza. Le nostre aziende non incentivano il processo di informatizzazione. Credo che il territorio di Pioltello non sia riuscito in questi anni ad accrescere la sua capacità competitiva proprio perché qui storicamente non c’è stata programmazione. Le aziende non si sono insediate perché non hanno trovato disponibili infrastrutture e posizionamenti adeguati. Si sta cercando di farlo solo oggi». «Di garanzie circa uno sviluppo dell’occupazione a Pioltello non ce ne sono. La grande distribuzione è l’unica realtà che negli anni ha consolidato la sua capacità di assorbire forza lavoro, così non è stato per le altre aziende presenti sul territorio». Non tutti però manifestano preoccupazioni e riserve sul sistema delle imprese locale. Gli operatori finanziari, ad esempio, esprimono valutazioni e giudizi che sono invece positivi. «L’economia di Pioltello è solida, qui ci sono delle aziende sane, anzi delle bellissime aziende. Molte hanno acquisito importanti posizioni sui mercati e competono bene. Le aziende più importanti hanno bilanci sani, trasparenti, sicuramente con buone prospettive per il futuro. Ci sono parecchie imprese che sono leader dei loro settori, sono cioè importanti. Non c’è solo il polo chimico, c’è anche la zona di via San Francesco che vanta la presenza di aziende valide e competitive. Alcune aziende di Pioltello sono adeguatamente capitalizzate e rispetto ad esse noi siamo un accessorio, altre invece risultano sottocapitalizzate e queste sono la maggioranza. Questa però è una caratteristica di tutte le aziende italiane. Le aziende di Pioltello operano sui mercati di tutto il mondo, nessun continente è escluso. Sui mercati esteri ci va soprattutto la media azienda, mentre la piccola lavora prevalentemente nel settore della subfornitura». «A me piace andare a vedere la clientela e mi considero un osservatore attento. Devo dire che fino ad oggi ho ricavato una buona impressione, le aziende sono solide, esportano, sono competitive, qui sono insediati dei leader mondiali. Il sistema economico di Pioltello è sano, le persone con cui sono venuto in contatto sono serie e preferiscono lavorare bene. Le aziende sono delle belle realtà e questa è stata una bella sorpresa per me. Da Milano continuano a uscire aziende e uffici e questo processo investirà ancora Pioltello. In base a dati nostri a uso interno a Pioltello esistono 700 artigiani circa e 1.400 ditte individuali, almeno questi sono quelli registrati; le società di capitale sono 150». Di fatto la situazione non è poi così negativa come ci è stata descritta da molti. Tabella n. 5 Indici della dinamica delle unità locali del secondario e terziario e relativi addetti - 1951-1996 unità locali addetti 1951 100 100 1971 459 899 1981 661 1203 1991 910 1410 1996 925 1241 Fonti: Istat, Regione Lombardia e Aspo Come si può osservare nella tabella n.5, nel corso della metà del secolo scorso, Pioltello ha conosciuto un progressivo incremento sia del numero delle imprese insediate sul suo territorio sia del numero di addetti, anche se a metà degli anni ’90 questi ultimi hanno fatto registrare una flessione. A fronte di un incremento della popolazione, come abbiamo già avuto modo di evidenziare, pari a poco più di cinque volte, le unità locali si sono moltiplicate per più di nove volte e gli addetti sono cresciuti di oltre dodici volte. La percezione dunque che a Pioltello, in questi scorsi decenni, sia diminuito o comunque non sia aumentato il numero delle imprese e dei posti di lavoro non è del tutto esatta. Se si confronta la dinamica che ha conosciuto il sistema delle imprese di Pioltello con quanto è avvenuto su scala comprensoriale e provinciale, tra l’81 e il ‘96, si scopre che i processi qui intervenuti sono stati caratterizzati più dalle tendenze che si sono verificate a livello dell’intera provincia milanese piuttosto che da quelle che hanno investito l’area di Melzo. E anche per quanto riguarda la composizione delle aziende per numero di addetti, il sistema imprenditoriale di Pioltello, avendo mantenuto nel tempo pressoché costanti i rapporti, Tabella n. 6 Indici della dinamica delle unità locali del secondario e terziario e relativi addetti. Pioltello, Comprensorio di Melzo, Provincia di Milano - 1981-1996 unità locali addetti 1981 100 100 1990 132 106 1996 129 108 1981 100 100 1990 126 107 1996 160 141 1981 100 100 1990 113 100 1996 135 96 Pioltello Compr. Melzo Prov. Milano Fonti: Itat e Aspo presenta indici che risultano molto più vicini alle medie provinciali di quanto non lo siano invece quelli relativi al comprensorio di Melzo. Nel quindicennio preso in considerazione, la piccolissima impresa ha infatti continuato a rappresentare oltre il 90% delle unità locali presenti sul territorio, garantendo il posto di lavoro a un terzo degli addetti. In rapporto poi alla composizione della unità locali per settore, c’è da prendere atto che nel ‘96, mentre le imprese industriali risultavano essere sotto la media provinciale di quasi un punto e mezzo, quelle delle costruzioni erano quasi raddoppiate. I due terzi delle aziende presenti appartenevano al terziario e risultavano comunque essere sotto la media provinciale di ben sette punti percentuali. Gli addetti all’industria rappresentavano ancora il 37,3% del totale contro il 56,7% degli appartenenti al terziario. Tabella n. 7 Distribuzione percentuale delle unità locali del secondario e terziario per composizione degli addetti - Pioltello, Comprensorio di Melzo, Provincia di Milano - 1981-1996 ‘81 1-9 add. ‘96 10 add. e oltre 1-9 add. 10 add. e oltre Pioltello unità locali 90,2 9,8 92,6 7,4 addetti 29,7 70,3 31,5 68,5 unità locali 87,6 12,4 89,7 10,3 addetti 23,8 76,2 25,1 74,9 unità locali 90,1 9,9 92,9 7,1 addetti 32,4 67,6 39,6 60,4 Compr. Melzo Prov. Milano Fonti: Istat e Aspo Infine, a proposito delle categorie professionali dei dipendenti delle unità locali, va ricordato che, in base a un censimento compiuto nel ‘94, solo il 51% di essi risultavano essere operai, mentre il 49% era composto da impiegati e dirigenti. Questo dato contraddice evidentemente la tesi secondo cui il sistema della imprese locali si avvarrebbe quasi esclusivamente di manodopera a basso grado di specializzazione. Tabella n. 8 Distribuzione percentuale delle unità locali e degli addetti per settore - Pioltello, Comprensorio di Melzo, Provincia di Milano - 1996 Industria costruzioni commercio altri servizi Pioltello unità locali 14,9 18,0 33,1 34,0 addetti 37,3 6,0 27,7 29,0 unità locali 19,2 11,6 34,3 34,9 addetti 45,4 4,5 26,8 23,3 unità locali 16,3 9,7 32,5 41,5 addetti 36,4 6,1 25,0 32,5 Compr. Melzo Prov. Milano Fonte: Aspo Tabella n. 9 Classificazione per categoria professionale degli addetti alle unità locali - 1994 (valori percentuali) valori % Imprenditori, liberi professionisti, lavoranti in proprio e coadiuvanti 25,0 dirigenti e impiegati 36,7 operai e altri dipendenti 38,3 Fonte: Aspo 7. Caratteristiche e problemi della media e grande azienda Per la verità, anche se il sistema locale delle imprese appare solido, motivi di preoccupazione non mancano di certo. A Pioltello ci sono aziende storiche che sono precipitate in uno stato di crisi e la cui prospettiva appare decisamente incerta. Come è risaputo, nel polo chimico sono presenti tre aziende medio-grandi e una di piccole dimensioni. La più storica di queste aziende da qualche tempo ha fermato gli impianti e sospeso l’attività produttiva e il suo futuro non è garantito. «Si tratta di una delle realtà più significative della chimica italiana la quale ha saputo misurarsi sul mercato mondiale con prodotti che sono il frutto della propria ricerca e della propria invenzione. Da piccola azienda che era alla fine degli anni quaranta è diventata una leader multinazionale. Fino a un dato periodo ha puntato sulla chimica primaria, poi si è specializzata nella chimica secondaria. E’ così diventata un gruppo multinazionale con tre stabilimenti, due in Italia e uno all’estero. Purtroppo, recentemente ha fatto delle produzioni che sono entrate in concorrenza con quelle di un colosso mondiale della chimica e questo gruppo multinazionale ha reagito scatenando una guerra commerciale». «Per superare la difficile situazione in cui è venuta a trovarsi, ha dovuto vendere una grossa parte dei suoi stabilimenti», puntualizza un responsabile dell’azienda. “Per lungo tempo abbiamo chiesto insistentemente di poter fare delle nuove produzioni, ma le autorità locali hanno sempre tirato in lungo le decisioni. Un’azienda non può vivere su produzioni obsolete, il mercato ha delle sue leggi e questi ritardi hanno complicato le cose». «Anche nel passato l’azienda ha attraversato momenti drammatici; sin dall’inizio si è trovata a vivere in un ambiente dominato dai giganti pubblici per cui ha vissuto facendo una sorta di guerra di corsa pagando sempre in proprio». «E non è affatto un ferraccio, bensì è un’azienda che sul mercato è sempre stata competitiva e se dovesse cessare l’attività sarebbero in molti a dimostrarsi interessati ad acquistare i suoi brevetti industriali e a proseguire le sue produzioni». «E’ stata l’unica produttrice di un prodotto importante come l’acido isoftalico. Questo prodotto ora sta suscitando un po’ di problemi perché sul mercato stanno subentrando altri produttori e i margini di concorrenza si stanno riducendo». «L’azienda è certificata sia per la qualità dei prodotti (Iso 9002) che per l’ambiente (Iso 14000). Essa risulta profondamente interconnessa con le altre realtà industriali del polo chimico e questo impedisce che possa essere spostata». «Partita con un organico di 10 persone dopo la guerra, nel 1967 ha superato le 800 unità. Nel ‘78 ha compiuto una riconversione di tutti gli impianti che ha portato al dimezzamento della manodopera. Prima della crisi eravamo attestati su un organico di 450 dipendenti circa. I lavoratori residenti a Pioltello erano circa il 30% dell’organico dello stabilimento di Limito. Poi vi lavoravano 100-120 dipendenti delle imprese molti dei quali erano pure di Pioltello». «A fine anno, dopo la chiusura, i dipendenti in carico sono scesi a 370 unità. Le trattative tra l’azienda, le organizzazioni sindacali e le istituzioni non hanno finora approdato ad alcuna soluzione che possa far intravedere una ripresa dell’attività». A essere coinvolta in una delicata fase di ristrutturazione è pure un’altra storica grande azienda del polo chimico e anche se le prospettive produttive e di mercato fanno ben sperare, dal punto di vista occupazionale anche in questo caso la situazione si prospetta carica di incertezze. «Noi operiamo nel settore che viene chiamato del balk farmaceutico e abbiamo tre stabilimenti di cui uno in Spagna. Inoltre abbiamo una partecipazione azionaria del 51% in una joint venture con un partner cinese. Il nostro core business è la produzione di principi attivi per antibiotici, ma abbiamo anche un segmento che è un’autonoma divisione interna e la quale produce reagenti per laboratori chimici. Poi abbiamo anche una piccola unità produttiva in Normandia. Nel primo semestre del ‘99, per le cefalosporine è improvvisamente accaduto quello che per le penicilline era già avvenuto negli anni scorsi, cioè in un solo semestre si è verificato un crollo verticale dei prezzi a causa dell’irruzione sul mercato dei copetitors asiatici. Questa vicenda ci ha costretti a procedere a una ristrutturazione aziendale. Abbiamo cioè messo in piedi un programma che sta camminando su due binari: per prima cosa abbiamo preso atto che siamo un’azienda che produce principi attivi per antibiotici e non ci possiamo riconvertire a 180 gradi nel giro di poco tempo, quindi dobbiamo cercare di rimanere competitivi sul nostro mercato tradizionale riducendo drasticamente i costi con un modello organizzativo che assicuri le medesime quantità di produzione con un organico ridotto, riducendo così le spese generali. Questa operazione però non è ancora sufficiente a traghettare l’azienda fuori dallo stato molto problematico in cui si trova, ma rappresenta almeno il 50% della soluzione. L’altro 50% invece è costituito da una diversificazione produttiva parziale, ma graduale che riguarda la produzione di principi attivi più avanzati, più efficaci e più vicini al prodotto, magari con meno controindicazioni e con uno spettro più ampio. Questa operazione non è però fattibile in tempi brevi. L’azienda ha in organico tra i 450 e i 500 dipendenti, poi c’è l’indotto che si calcola sia altrettanto, il che porta a un migliaio circa di posti di lavoro». I rappresentanti sindacali di questa azienda ricordano che «nel ‘70 vi lavoravamo 1.200 persone, ora invece se ne contano poco meno di 500. Molti reparti sono fermi e il sistema di produzione ha subìto molte evoluzioni». A parte queste due aziende che hanno fatto la storia del polo chimico di Pioltello-Rodano, tutte le rimanenti godono di buona salute e le loro prospettive sono incoraggianti. «La nostra azienda oggi vanta 65 insediamenti in Italia. Dalla centrale di Limito sono stati costruiti ben 550 chilometri di ossigenodotti e questo reticolato viaggia verso il Nord Est fino a Udine. Da Limito noi alimentiamo, in sostanza, tutto il Nord industriale, con esclusione dell’Emilia Romagna che è servita da altri impianti. Qui poi abbiamo incominciato il primo processo di cogenerazione, di produzione in proprio dell’energia elettrica al quale abbiamo poi affiancato altri impianti nel Sud d’Italia. Forniamo gas, vapore ed energia elettrica. Quest’ultima la produciamo solo all’interno del polo chimico perché la legislazione vigente ci considera piccoli produttori e la forniamo all’Enel. Con le nuove norme però possiamo cederla ad altre aziende e in futuro passeremo alla produzione su più larga scala. La fornitura di gas invece è generalizzata e investe industrie e ospedali. In Italia e nel mondo siamo il numero uno non solo nella produzione di ossigeno, ma anche nella telemedicina e nella teleassistenza. La nostra posizione di leadership è indiscussa. A livello italiano abbiamo 1.594 indipendenti; gli occupati a Pioltello e zone adiacenti sono 120. Nella centrale di Limito ce ne sono una cinquantina». «Noi abbiamo due stabilimenti qui nella zona e ne abbiamo dislocato un terzo in una provincia vicina», ci racconta il dirigente di un altro complesso industriale locale. «Stampiamo libri e pubblicazioni in generale, in particolare libri d’arte e scolastici. In ambito europeo siamo una delle tre aziende più grandi che stampano per conto terzi e che hanno macchinari all’avanguardia, perciò linee di produzione altamente specializzate. Noi forniamo lavoro a parecchie aziendine del luogo nelle quali lavorano diverse persone di Pioltello. Anche tra i nostri 270 dipendenti circa ci sono molti residenti locali». «La maglia della squadra nazionale di calcio – ci dice orgogliosamente un imprenditore tessile - è fatta con tessuto prodotto da noi e si tratta di un tipo di prodotto unico al mondo. Questa maglia, oltre ad essere elastica, permette ai giocatori la traspirazione immediata e quindi offre un confort notevole. Abbiamo la divisione sportiva che vanta prodotti ad alta tecnologia, mentre nel settore industriale abbiamo i compositi che sono destinati ad assicurare il rispetto dell’ambiente e consentono di inquinare meno con gli idrocarburi. Essendo materiali leggeri vengono usati per produrre una vasta gamma di beni, dal tessuto per l’abbigliamento agli scafi fino agli aeroplani. In futuro entreremo nel settore geotessile, cioè produrremo tessuti antisismici perché anche questa produzione fa parte della nostra tecnologia. Siamo la prima azienda al mondo nel nostro settore e le nostre produzioni sono destinate per il 65% al mercato nazionale e per il 35% invece vengono esportate in tutto il mondo, soprattutto in America. Vendiamo molto anche in Cina. Facciamo ricerca e sviluppo e tutta la progettazione è qui a Pioltello. Siamo certificati Iso 9001, mentre tutte le altre aziende tessili sono certificate 9002. I nostri dipendenti sono circa 170 e sono tutti residenti in quest’area territoriale. Le previsioni sono di un ulteriore incremento del personale». «La nostra azienda - asserisce il dirigente di un laboratorio - appartiene a una multinazionale francese. Noi importiamo dalla Francia parecchi farmaci mentre altri li produciamo noi stessi e poi li distribuiamo sull’intero territorio della regione Lombardia e su parte di quello della Liguria. Come unità produttive, oltre alla casa madre in Francia, siamo presenti in Italia, in Spagna, in Belgio, negli Stati Uniti, nei Caraibi, in Canada e in India, poi abbiamo uffici di rappresentanza in tutto il mondo. Produciamo e distribuiamo farmaci omeopatici che servono per molte patologie, dalla tachicardia al mal di gola, al mal di stomaco, all’ansia e all’insonnia. Abbiamo una produzione di circa 600-700 farmaci al giorno i quali sono destinati a mezzo migliaio di farmacie. Quello dell’omeopatia è un mercato in crescita, vent’anni fa in Italia in questo settore operavano solo tre persone, oggi il personale dipendente dalla nostra multinazionale ammonta a 240 unità distribuite su sei stabilimenti. Fra vent’anni la nostra sarà sicuramente una grossa azienda. Tra i nostri dipendenti ce ne sono solo tre o quattro che risiedono a Pioltello». «Alla fine degli anni ‘60-primi anni ‘70 la nostra manodopera ammontava a 60 unità circa, oggi contiamo 200 dipendenti», commenta il manager di un’altra impresa. «Allora il fatturato era di circa 20 miliardi di lire, oggi si aggira attorno ai 90. All’origine la nostra era una ditta artigianale che lavorava il piombo e faceva sifonerie, oggi è un’impresa industriale che lavora la plastica e che è produttrice globale di impianti idrotermosanitari a uso civile e industriale. Vendiamo in tutti i Paesi europei e, tramite delle partecipate, in Australia e in sud America. Abbiamo anche costituito una joint venture al 50% con una società tedesca che è quotata in borsa per produrre il tubo multistrato il quale è destinato al mercato del riscaldamento e che attualmente commercializziamo senza produrlo. Abbiamo in progetto la costruzione di un nuovo reparto che permetterà la produzione a Pioltello del tubo multistrato e questo significherà l’assunzione di altro personale. Siamo certificati Iso 9002 dal ‘96 e oltre a questa certificazione ne abbiamo altre valide per i diversi singoli Paesi nei quali collochiamo i nostri prodotti». «Noi - invece - siamo un’azienda leader a livello nazionale nel campo dei cavi elettrici speciali e in Europa siamo sicuramente ai primi dieci posti. Abbiamo un altro stabilimento in zona, mentre negli Stati Uniti abbiamo aperto una piccola base commerciale per assaggiare il mercato. Facciamo fatica a servire il mercato europeo e molto spesso siamo costretti a lasciar cadere ordinazioni e quindi a sfruttare tutte le opportunità che ci vengono offerte. Abbiamo una realtà produttiva inadeguata e dobbiamo farci aiutare da aziende amiche. Siamo presenti nel mondo della ‘Formula Uno’ avendo con la Jordan rapporti non solo di sponsorizzazione, ma anche di partnership tecnica sui cavi. Abbiamo le certificazioni Iso 9000 e con il 2001 partiremo con la certificazione ecologica, probabilmente l’Iso 14000. Oggi più del 40% di quanto produciamo va all’estero e ci siamo dati l’obiettivo di arrivare al 50% nell’arco di uno o due anni». Un altro imprenditore del medesimo settore merceologico ci spiega: «Noi abbiamo iniziato l’attività come produttori di cavi elettrici e abbiamo continuato a farlo affiancando nel tempo la produzione di fibre ottiche. Circa il 50./. di ciò che produciamo va all’estero, soprattutto nel Regno Unito, poi nel Medio Oriente (Emirati arabi) e nell’Estremo Oriente (Singapore, Indonesia, Hong Kong). Qui ora lavorano quasi 60 persone, nel ‘75 erano poco più di 20. La prospettiva è quella di aumentare gli organici anche perché abbiamo una sempre maggiore richiesta da parte della clientela di documentazione. Siamo certificati Iso 9001 e 9002 e questo comporta l’impiego di maggior personale per i lavori d’ufficio». Di aziende solide e con buone prospettive di ulteriore sviluppo esistono anche nel settore terziario. «Noi siamo un’azienda di distribuzione alimentare italiana e operiamo in cinque regioni del Centro-Nord in alcune delle quali siamo primari. Oggi vantiamo 108 punti di vendita, mentre solo tre anni fa ne avevamo circa 70. La nostra è un’azienda ad elevata stabilità economica e con una buona garanzia occupazionale avendo negli ultimi tre anni raddoppiato il personale». «Oltre ai circa 1.000 dipendenti - aggiunge un delegato sindacale - nel nostro deposito operano mediamente, tramite le cooperative che svolgono lavori di facchinaggio e di fatturazione, tra le 500 e il migliaio di persone. Ora è in previsione la realizzazione di un nuovo stabilimento all’interno dell’area già occupata dall’azienda e questo dovrebbe comportare la creazione di altri cento posti di lavoro in pianta stabile». «La nostra attività - ci racconta il dirigente di un’impresa di trasporto e logistica--- è quella di spedire merci in tutto il mondo. Abbiamo una sezione doganale privata e il traffico conteineristico si è andato sempre più sviluppando. Le merci arrivano e partono per tutte le destinazioni del mondo. Qui a Pioltello abbiamo ormai raggiunto il tetto massimo, siamo strutturalmente al limite, perché non ci sono più spazi per poterci ampliare, da una parte c’è la ferrovia, dall’altra c’è la strada. Come spazio siamo proprio in sofferenza. La nostra è un’attività che subisce una continua e radicale trasformazione. Mentre prima lo spedizioniere si limitava a trasportare le merci, oggi è impegnato ad attivare tutte le tecnologie che consentono di fare addirittura degli ordini ai fornitori dei suoi clienti. Dobbiamo rendicontare le giacenze delle merci del cliente che da noi fa magazzeno, in sostanza, ci occupiamo della sua gestione garantendo un servizio che va dal momento della consegna della merce fino alla sua partenza. Come clienti tipici abbiamo il ‘Cafè do Brasil’, l’Infostrada, che distribuisce i pacchetti di linee telefoniche, e pure l’Alitalia alla quale garantiamo il rifornimento delle dotazioni di bordo di tutti gli aerei sia nazionali che internazionali. Consegniamo in tutti e cinque i continenti, mentre la logistica è concentrata soprattutto in Italia. Il personale in forza ammonta a 400 persone, poi c’è l’indotto, cioè quelle persone che entrano ed escono quotidianamente». «La nostra è una società francese leader nel settore della refezione collettiva che è presente in Italia dal ‘74 e serve scuole, aziende e sanità. I lavoratori in Italia sono 8.700. Qui a Pioltello c’è l’unico centro di cottura della Lombardia e vi lavorano 40 persone circa, ma variano a seconda delle produzioni. Abbiamo in progetto di verificare se ha senso anche da noi la produzione del pasto refrigerato che in altri Paesi europei è già diffusa, ma che in Italia, per la cultura che esiste, incontra difficoltà e resistenze. Questo potrebbe essere un modo per espanderci. Qui ci sentiamo stretti e stiamo studiando le possibili prospettive che sono in dipendenza anche delle scelte strategiche che faremo: se cimentarci con la catena del freddo o meno». «Noi siamo una cooperativa aderente alla Lega Coop che ha iniziato a operare nel campo della movimentazione merci e che poi ha programmato l’inserimento nel settore televisivo. Facciamo anche trasporti, gestioni di magazzino e scenografie. I nostri principali clienti sono Mediaset e Mondadori. Siamo quasi esclusivisti per i servizi alla televisione. Per acquisire questo ruolo specialistico la nostra cooperativa ha investito moltissimo in quadri, in strutture e in formazione. Siamo in 230 soci e siamo forse l’unica cooperativa in Lombardia a proprietà collettiva, qui non c’è nulla che non sia patrimonio della cooperativa stessa. Noi abbiamo buone prospettive di mercato, però paghiamo l’incertezza del futuro che investe il mondo della cooperazione. Non riusciamo bene a capire cosa succederà domani alle cooperative. Per l’area di Pioltello ci sono notevoli possibilità di sviluppo nel settore della televisione, soprattutto se pensiamo che nei prossimi anni ci sarà una espansione della tv satellitare. Oggi nella provincia di Milano c’è una carenza terribile di studi televisivi, gli unici che esistono sono in via Mecenate e vengono affittati a prezzi altissimi. Tutte le società televisive, a cominciare dalla Rai fino a Mediaset e a Telepiù, hanno bisogno di studi e ne avranno sempre più perché la televisione satellitare si svilupperà a temi come è il caso, per Telepiù, di Happy channel o Disney channel. Ci saranno dibattiti prima di ogni programma e quindi ci sarà bisogno di studi piccoli, grandi e grandissimi. A Pioltello si potrebbe far fronte a questa esigenza e si aumenterebbe così anche l’occupazione dal momento che intorno agli studi televisivi c’è un sacco di lavoro: imprese elettriche, per impianti scenografici, ecc.. Noi siamo già su questa strada e siamo impegnati a trovare capannoni, magari vecchi e da riadattare. Qui a Pioltello ci sono delle aree dove si potrebbe anche costruire». «La nostra - invece - è una cooperativa che opera nel settore dei traslochi, del facchinaggio e del carico-scarico. Siamo associati a un consorzio di Milano che ci aiuta quando prendiamo grossi appalti. Noi lavoriamo prevalentemente con il full service, con la grande distruzione e con le imprese tecnologistiche che ci impegnano ogni volta 40 o 50 persone. Il 70% del nostro personale opera per una grande azienda della distribuzione. Facciamo capo alla Lega Coop e i nostri soci raggiungono ormai le 260 unità la maggioranza dei quali sono di Pioltello. Siamo partiti con venti soci, nel ‘90 eravamo una cinquantina, nel ‘97 abbiamo superato i cento. La previsione è che presto saremo oltre i trecento. Di cooperative del nostro genere qui a Pioltello ce n’è una marea». 8. I disagi della piccola imprenditoria Come si evince dalla tabella n. 7, a Pioltello non esistono solo le medie e grandi aziende, anzi, sono proprio le piccolissime a costituire oltre il 90% del sistema imprenditoriale e l’artigianato risulta essere molto diffuso. C’è però chi sostiene che esso «è poco visibile» e la ragione di questa opacità dipenderebbe dal fatto che «Pioltello si è inizialmente sviluppato come zona industriale, di fatto però è poi divenuto un grosso centro di magazzinaggio. Noi abbiamo tanti capannoni, ma sono tutti magazzini. Di indotto qui non ce n’è o ce n’è poco, il suo sviluppo è stato penalizzato anche dal fatto che noi siamo nella prima fascia dell’hinterland milanese e i prezzi dei terreni sono elevati. Se si va a Vignate si vede subito la differenza. Gli artigiani illustri di Pioltello hanno chiuso e l’artigianato nobile non c’è più. Da una parte c’è la logistica, dall’altra c’è il polo chimico e l’artigianato non è cresciuto proprio perché non ci sono stati i presupposti. Bisognava porre un limite all’espansione dei magazzini e curare di più le attività produttive che sono quelle che creano valore aggiunto e anche occupazione, ma così non è stato. C’è poi da considerare che l’artigianato, il tipografo in particolar modo, è vittima della tecnologia. Oggi il tipografo è più informatico che creativo e questa professione si è disumanizzata. Io ho dovuto continuamente rinnovarmi e chi non ha avuto questa capacità si è perso». Tabella n. 10 Unità locali artigianali e relativi addetti - Pioltello, Comprensorio di Melzo, Provincia di Milano - 1996 (valori percentuali su totale unità locali e addetti) unità locali addetti Pioltello 44,6 15,7 Compr. Melzo 29,7 9,6 Prov. Milano 26,0 13,0 Fonti: Istat e Aspo Se però si guardano i dati censuari del ‘96 ci si accorge che l’artigianato pioltellese non è poi una realtà così striminzita e sofferente come qualcuno crede. Esso rappresenta quasi la metà delle unità locali è dà occupazione a più di un sesto degli addetti. Le sue dimensioni in rapporto al sistema delle imprese e al totale dei posti di lavoro sono decisamente superiori agli indici che fanno registrare sia il Comprensorio di Melzo che la provincia di Milano. Osserva a proposito dello sviluppo di questo settore produttivo un amministratore pubblico: «Nel passato gli artigiani trasformavano la loro piccola azienda in una media industria, almeno questa era la tendenza. Oggi non è più così, uno che fa l’artigiano da dieci anni può solo implodere se non è in grado di crescere. Diventa peraltro difficile instaurare con questa categoria un dialogo per ricercare le soluzioni di un suo sviluppo. Di aree destinate all’artigianato ce ne sono, noi ne abbiamo previste due nuove proprio per favorire una loro espansione. Molti artigiani ancora oggi sono collocati nel centro storico dove, ai fini di una limitazione del traffico, esiste una vera e propria incompatibilità (dalle carrozzerie ai gommisti). Addirittura esistono dei porticati dove i camion non ci passano e allora succede che per cambiare le gomme ai camion questi devono fermarsi sul suolo pubblico, nella piazza. Quando si avanza loro una proposta di ricollocazione non c’è affatto verso che diano ascolto. Sono ormai abituati a vivere tra la loro officina e l’abitato e lo spostarsi per loro significa modificare il proprio standard di vita e perciò diventa un trauma». «La stessa cosa - continua il nostro interlocutore - succede per i commercianti i quali continuano a lamentarsi e piangere per il continuo insediamento dei supermercati. Noi come amministrazione abbiamo resistito, ma nei comuni vicini la grande distribuzione ha proliferato, il caso più significativo è Vignate. I piccoli commercianti non si rendono però conto che è il commercio stesso ad andare in quella direzione e che pertanto o loro sono capaci di convertirsi e di specializzarsi oppure vengono travolti. E’ comunque singolare il fatto che qualsiasi iniziativa che noi intraprendiamo al fine di rendere più gradevole il centro storico viene contrastata perché considerata un attacco alla loro condizione». «Il Comune - dichiara un esercente - per la verità cerca di incentivare la nostra attività facendo un po’ di feste, ma noi non ne traiamo grande giovamento». E altri aggiungono: «La festa fine a se stessa non è una promozione del commercio, soprattutto quando non si fa nulla per impedire che la gente vada a fare la spesa al supermercato». «Manca un input forte». «Ci sono alcuni paesi le cui amministrazioni comunali hanno esentato per due anni dalle tasse coloro che hanno aperto un negozio e a chi ha ristrutturato i locali sono stati fatti degli sconti sugli oneri di urbanizzazione. A Pioltello queste agevolazioni non ci sono mai state». «Nessuno ha mai badato al commercio e forse qualcosa stanno facendo adesso, ma ormai è troppo tardi perché siamo prossimi alla fine». «Nel ‘75-’80 avevamo avuto addirittura l’assegnazione del terreno che però poi è stato ceduto a un’azienda della grande distribuzione. E pensare che noi commercianti avevamo già costituito la società. Abbiamo anche fatto ricorso al Tar senza però ottenere nulla. Si può dunque dire che l’associazionismo dei commercianti non è stato affatto favorito dalle istituzioni. Quello era il periodo dello sviluppo dei grandi supermercati e noi avevamo capito quali erano le prospettive del settore, perciò ci siamo mossi in quella direzione, purtroppo però...». «Nemmeno la liberalizzazione delle licenze ha favorito i commercianti perché ormai non esistono più le condizioni perché questo possa avvenire: nessuno investe soldi nell’impiantare un’attività se non ha molte probabilità di successo. La liberalizzazione è arrivata cioè in un momento in cui la selezione era già avvenuta naturalmente». «Da noi poi la possibilità di diversificare gli orari non è stata ancora sfruttata a dovere e anche questi accorgimenti sono serviti a poco». Le insoddisfazioni e le lamentele provengono in particolare da alcuni quartieri di Pioltello. «Dieci anni fa qui a Limito c’erano sette macellai e lavoravano tutti, c’erano le drogherie, i negozietti con la loro piccola specializzazione e poi c’era il mercato attorno al quale si creava un movimento. Oggi non c’è più neanche una sola macelleria. E’ rimasta una sola panetteria che tra l’altro non è ubicata in centro al paese e tutto questo è strano. Rispetto al passato Limito ha subìto un vero e proprio declassamento. La gente oggi va a fare la spesa al supermercato dove trova tutto». «La chiusura di via Dante durata un anno a causa della nuova pavimentazione ci ha fatto perdere un buon 50% del lavoro. Il Comune, a quel tempo ci aveva promesso degli aiuti, degli sgravi fiscali che però non sono mai stati attuati. Ovviamente, la chiusura di parecchi negozi non è dipesa solo da questo, ma anche dallo sviluppo della grande distribuzione». «Noi commercianti di Limito siamo un po’ tagliati fuori dalla vita di Pioltello. Manteniamo diversi buoni clienti però non sono del paese, provengono dalle aziende del posto e molti arrivano da Milano, da Melzo, da San Felice». «Purtroppo, dal punto di vista del valore commerciale, l’essere insediati qui al Satellite non soddisfa più, vuoi per come viene considerato questo quartiere, vuoi per il dilagare della grande distribuzione. Qui ci sono mille famiglie, è un vero e proprio paese e la presenza dei negozi ha la sua importanza. I più vecchi qui, oltre a me, sono il pescivendolo e il panettiere e siamo tutti nella stessa situazione. Come lavoro reggiamo ancora, però le difficoltà crescono ogni giorno». «Tutti vorrebbero venire su questa via (la via Roma) che è centrale, ma qui non ci sono negozi, quelli che esistono sono dei commercianti vecchi e non avranno mai sviluppo. Anche facendo un’isola pedonale, questa zona non potrà mai diventare un agglomerato di negozi, non potrà mai essere un centro come quello che c’è a Cernusco, per fare un esempio significativo». Tabella n. 11 Indici della dinamica delle unità locali e degli addetti al commercio. Pioltello, Provincia di Milano - 1951-1996 ‘51 ‘96 100 439 addetti 100 1008 % u.l. commercio su totale u.l. 69,7 33,1 % addetti su totale posti di lavoro 34,2 27,7 abitanti per ogni unità locale 57 66 abitanti per ogni addetto 29 15 100 159 addetti 100 211 % u.l. commercio su totale u.l. 36,2 32,5 % addetti su totale posti lavoro 13,8 24,6 abitanti per ogni unità locale 41 38 abitanti per ogni addetto 15 11 Pioltello unità locali del commercio e pubblici esercizi Prov. Milano unità locali commercio e pubblici esercizi Fonti: Regione Lombardia e Aspo Così come è avvenuto per l’artigianato, anche il settore del commercio in realtà ha conosciuto in questi decenni passati uno sviluppo tutt’altro che trascurabile. I dati ci dicono che, dal ‘51 al ‘96, le unità locali del settore sono più che quadruplicate e gli addetti decuplicati, mentre in provincia di Milano gli aumenti sono stati molto più modesti: le imprese sono cresciute del 60% circa e gli addetti sono raddoppiati. Simili differenze di sviluppo sono attribuibili alla spropositata presenza a Pioltello, nel 1951, delle attività commerciali rispetto ai settori primario e secondario. Nel complesso si può dunque dire che, salvo alcuni aspetti particolari, la strutturazione del commercio pioltellese non si discosta molto dal modello e dalle dinamiche che hanno caratterizzato l’insieme della provincia. «Il problema vero - sottolinea un esponente di questo mondo - è che ormai i supermercati aprono a dismisura e in questi insediamenti ci sono poi tutti i negozi specializzati che vendono di tutto». Tabella n. 12 Autorizzazioni commerciali in essere. Pioltello, Provincia di Milano - 1994 (valori percentuali) Pioltello prov.Milano Commercio all’ingrosso 10,5 19,1 commercio al minuto 70,3 69,0 pubblici esercizi 19,2 11,9 Fonte: Regione Lombardia «Con la presenza di questi centri i commercianti spariscono. Il fenomeno è certamente di ordine generale, però va detto che si può mettere mano al commercio solo laddove c’è un tessuto sociale che lo consente. A Cernusco, per esempio, ci sono delle boutique e dei negozi che sono degni di Milano e questo grazie al fatto che lì c’è un tessuto sociale che purtroppo a Pioltello manca». «La nostra zona - ci dice il responsabile di un’associazione dei commercianti - è una di quelle caratterizzate da una forte presenza della grande distribuzione. Ora ci preoccupa abbastanza l’insediamento di una mega struttura a Vignate. Questa si estenderà su un’area di 106 mila metri quadri dei quali 46 mila dovrebbero essere coperti e l’area di vendita sarà compresa tra i 25 e 30 mila metri quadrati. E’ un classico progetto di centro commerciale con una grossa superficie specializzata e con molti negozi al suo interno. Oggettivamente questo insediamento danneggerà e frantumerà tutto il tessuto commerciale sia tradizionale che avanzato della zona. Oltretutto provocherà problemi viabilistici e di inquinamento. Il centro si collocherà in mezzo alle due tangenziali, la cassanese da una parte e la rivoltana dall’altra e provocherà inevitabilmente grossi problemi alle comunità del luogo». «Nel 2000 i supermarket hanno sicuramente una loro funzione - ci tiene a precisare un piccolo commerciante - però, come sostengono molti dei miei clienti, c’è bisogno di un servizio più immediato, più qualificato e più vicino a chi non ha la possibilità di spostarsi. Assecondare queste richieste non è certo facile perché un esercizio può stare aperto solo se ha dei vantaggi economici e non sempre questi sono assicurati». «Per reggere alla grande distribuzione - ribatte un esponente della categoria - il piccolo esercente deve specializzarsi, deve qualificare il suo servizio. Rispetto alla zona, a Pioltello questo processo è un po’ in ritardo e incontra delle difficoltà. Chi apre oggi fa necessariamente un’indagine di mercato per verificare le possibilità di riuscita della propria attività, chi invece il negozio ce l’ha già non si preoccupa di fare questi accertamenti e si viene a trovare in difficoltà. In genere, a Pioltello i livelli qualitativi di professionalizzazione degli operatori commerciali sono bassi, questo però non significa che non esistano commercianti validi, preparati e avveduti. C’è poi da considerare che il business commerciale avviene in base alla tipologia urbanistica che si configura in un comune e a questo riguardo Pioltello, pur essendo una realtà che è in fase di recupero rispetto al passato, sia in termini di abitanti che in termini di reddito spendibile, era e resta un po’ la cenerentola della zona. Gli elementi economici e commerciali di alto profilo si ritrovano invece a Cernusco sul Naviglio, città ricca di soggetti, di target e con alti indici di spendibilità economica». Se è pur vero che anche su questo versante Pioltello sconta disfunzioni e arretratezze, non è da trascurare il fatto che pure qui esistono risorse e volontà perché si determini una svolta. «Io mi sento un po’ come un artista - dichiara una anziano commerciante - e penso che mi si dovrebbe permettere di lavorare la domenica in modo da garantire un migliore servizio al cliente». «Oggi noto soprattutto nelle frazioni di Pioltello una forte volontà di rilanciare le attività commerciali. Questa spinta deve essere favorita e gli organi competenti devono intervenire a rimuovere le ipoteche strutturali. Dai nostri associati di Pioltello, per esempio, riceviamo delle lamentele a riguardo dell’abusivismo commerciale, specie al Satellite. Su questi aspetti l’Amministrazione comunale può e deve svolgere un ruolo positivo per migliorare la situazione». Sta di fatto che anche a Pioltello le cose stanno cambiando in profondità. «Crescono nuove attività, i vecchi negozi vengono soppiantati da quelli nuovi, alle vecchie professioni si sostituiscono quelle moderne»; «dilagano le agenzie immobiliari», «crescono le professioni dedite alla cura del corpo», insomma, anche il commercio sta vivendo una sua rivoluzione. 9. Pioltello e la globalizzazione Il generale processo di trasformazione che sta coinvolgendo l’intero sistema economico del pianeta ha ovviamente i suoi effetti anche a Pioltello. I processi di modernizzazione stanno investendo anche le imprese locali costringendo gli operatori ad adattarsi alle nuove regole della competitività e ai nuovi vincoli di mercato. C’è chi ritiene che in questa realtà territoriale il passaggio dal fordismo alla globalizzazione non abbia avuto molti riflessi sui processi produttivi dal momento che «qui la grande industria non c’è. Semmai gli effetti che si sono registrati hanno riguardato maggiormente la richiesta di personale. Oggi vengono ricercate persone che abbiano caratteristiche diverse dal passato». E c’è invece chi crede che «la crisi del fordismo per quest’area abbia significato uno snaturamento della tradizione imprenditoriale». Altri, al contrario, fanno notare come nei comuni della zona dell’Est Milano «ci sono ancora piccoli imprenditori che lavorano 15-16 ore al giorno e che hanno aziende sane. Questi battono la concorrenza proprio con la loro dedizione. Sono tra l’altro queste le aziende che creano i posti di lavoro e proprio per questa ragione dovrebbero essere maggiormente aiutate dallo Stato». Cosa certa, come sottolinea un esponente del mondo imprenditoriale, è che«nel nostro tempo non si può più vivere di cabotaggio o in posizioni di rendita perché il mercato non lo consente più. Le aziende che abbiamo qui sono competitive e stanno dentro a questa logica. Sul territorio milanese si registra un tasso di know how progressivo avanzatissimo, la globalizzazione impone l’innovazione e chi non innova rischia la chiusura». «Dall’87 ad oggi - rammenta il delegato sindacale di una grande azienda - i cicli economici internazionali si sono fatti più rapidi e tumultuosi, gli scenari sono cambiati più in fretta e noi abbiamo dovuto affrontare con l’azienda il problema di una ristrutturazione della produzione a causa della necessità di rivedere volumi di mercato e prezzi dei prodotti. Ora stiamo gestendo gli effetti di quell’accordo sindacale che ha portato a dei significativi cambiamenti nello stabilimento e nella condizione di noi lavoratori». «Anche noi - afferma il dirigente di un’azienda di medie dimensioni - dovremo porci il problema dell’internazionalizzazione, perché la continua crescita cui siamo indotti ben difficilmente ci consentirà di restare all’infinito un’azienda di tipo familiare. Dovremo probabilmente cedere parte del capitale a un grande gruppo oppure dovremo procedere a una quotazione in borsa». E altri imprenditori ancora osservano: «Un tempo si produceva e si mettevano le merci a magazzino, oggi non è più così. Ora si produce solo su richiesta del mercato, anzi in base alle esigenze dei nostri clienti i quali sanno farsi valere bene. Anche da noi vale ormai la regola del just in time». «Mentre un tempo questa azienda aveva una programmazione a medio termine, cioè di 56 mesi, oggi la programmazione è ridotta a circa 3 mesi. Riempiamo gli spazi produttivi mese per mese, addirittura di quindici giorni in quindici giorni. Il just in time ha investito anche il settore dell’editoria. Oggi si è giunti al punto di realizzare la produzione di un libro in bianco e nero dalla tiratura modesta attraverso un ordine telefonico». Per poter rispondere prontamente alle nuove esigenze di mercato le aziende hanno dovuto “smagrirsi” decentrando parte delle loro produzioni e affidando a terzi la gestione dei servizi. «Le grosse aziende fanno ricorso al subappalto e affidano a imprese esterne lavori che un tempo svolgevano al proprio interno e con personale proprio. Questo decentramento consente loro una grossa mobilità nella gestione della manodopera». « In questi anni - spiega il direttore di un’azienda multinazionale - noi abbiamo definito il nostro core business che è appunto la parte centrale della produzione e abbiamo esternalizzato tutte quelle attività che non risultano strettamente collegate ad esso». «Anche noi - aggiunge un altro dirigente d’azienda - dopo aver enucleato il nostro core business, abbiamo esternalizzato il resto affidando a società di logistica esterne la gestione dei magazzini. Qui, oltretutto, non abbiamo lo spazio necessario e lo stesso semilavorato che viene movimentato all’interno e all’esterno dello stabilimento è stato affidato in gestione a una società con propri mezzi e propri dipendenti». Esistono anche imprese che subiscono a loro volta i processi di esternalizzazione. «Oggi le multinazionali del nostro settore tendono a tenere per sé la testa e la coda della produzione e la parte centrale la esternalizzano. Ecco, noi assicuriamo questa parte centrale alle nostre aziende clienti». Fatto è che, in un modo o nell’altro, tutte le grandi e le medie aziende ormai esternalizzano e per farlo spesso ricorrono all’ausilio delle cooperative le quali, a Pioltello, operano in diversi settori, svolgendo però in prevalenza funzioni di magazzinaggio e di stoccaggio. Ammettono alcuni responsabili d’azienda: «Noi affidiamo alle cooperative solo il carico e lo scarico dei mezzi di trasporto». «La nostra azienda utilizza le cooperative anche per le operazioni di facchinaggio e presso di queste imprese trovano occupazione tra le 50 e le 70 persone». «Da noi - precisa il responsabile della Rsu di una grande impresa - fino al ‘90 erano tutti lavoratori dipendenti e non si sapeva nemmeno cosa volesse dire la parola appalto, con il ‘91 invece sono intervenute le cooperative. A quel punto l’azienda ha incominciato a ristrutturarsi e ad espandersi». E accanto ai processi di esternalizzazione hanno galoppato pure le innovazioni tecnologiche. «In questi anni la nostra azienda ha innovato sia sul prodotto che sul processo determinando significativi cambiamenti nell’organizzazione del lavoro». «La nostra azienda in questi ultimi tempi ha innovato in maniera consistente sia sul prodotto che sul processo. Il nostro è un mercato che fa una selezione notevole e chi non è all’avanguardia viene facilmente superato dalla concorrenza. Noi ci siamo sempre orientati su prodotti innovativi e tali da entrare in tutte le fasce di vendita e non abbiamo mai smesso di perfezionare quanto produciamo». Ma ci sono anche imprese che, pur essendo questi due sistemi di innovazione quasi sempre interdipendenti, hanno innovato in una sola direzione e oggi avvertono il bisogno di riequilibrare gli sforzi. «Noi in questi anni abbiamo innovato di più sul prodotto che sul processo e ora, scelti i prodotti che intendiamo fare, puntiamo a innovare il processo». «Da noi hanno innovato molto sul processo, piuttosto che sul prodotto - sostiene un delegato sindacale - perché questo esige ricerca e investimenti e purtroppo la piccola impresa non è sempre in grado di mantenere fede a impegni che richiedono molte risorse». E quello della ricerca, infatti, è un problema che travaglia non poche piccole e medie aziende del luogo. Se ci sono imprese che possono affermare di avere «un centro ricerche che sta sviluppando tantissimo l’automazione degli impianti per rendere sempre più autonoma la produzione», ne esistono altre che su questo fronte sono decisamente in sofferenza. «Per noi è un problema. Abbiamo poche risorse da destinare alla ricerca e allo sviluppo. Oggi spendiamo una somma che è molto piccola rispetto a quanto spendono i nostri competitors europei». E’ chiaro del resto che «un’azienda, se vuole restare competitiva sul mercato, deve necessariamente crescere anche dal punto di vista dell’innovazione tecnologica. Se si ferma rischia di tornare indietro, a meno che non operi in nicchie particolarissime di mercato dove, anziché il prezzo, predomina la specializzazione. Una volta noi puntavamo molto su queste nicchie, oggi invece sono difficili da trovare e più si va avanti se ne troveranno sempre meno, perché ormai c’è la certificazione, cioè si produce su modelli di qualità standard». Insomma, fare impresa nell’epoca della globalizzazione non è affatto semplice. «Di problemi ce ne sono abbastanza», commenta un direttore di stabilimento. «C’è quello del mercato, quello della riorganizzazione che abbiamo in corso, quello del cambiamento del mix qualitativo dei dipendenti, poi c’è anche quello di ecologizzarci e di essere in rapporto corretto e dialettico con le pubbliche amministrazioni». Soprattutto, in un’epoca di transizione come quella che stiamo vivendo, non è semplice dirigere un’azienda a causa dei rischi e dei pericoli che sono impliciti nei meccanismi della concorrenza e della concentrazione dei capitali. A questo riguardo i disagi e le incertezze manifestati dallo stesso ceto imprenditoriale non sono né pochi né banali. «Una ricchezza solida la si crea solo se si produce, cioè se si crea valore aggiunto e non invece tramite le operazioni finanziarie che si limitano a spostarla da una parte all’altra e non creano nulla. Se l’industria, come sta avvenendo, diminuisce di peso a favore di altre attività, questo non è certo un buon segno. La finanza è un mezzo e non può certo diventare un fine». « Io faccio l’imprenditore e il mio mestiere è quello di sviluppare l’economia, di costruire ricchezza e lavoro, di fare profitto. Quello che oggi succede con la globalizzazione non è solo una maggiore libertà nella circolazione delle merci, ma anche una tendenza accentuata da parte dei grandi di mangiare i piccoli dal punto di vista economico. Questa legge oggi mette in ginocchio gli artigiani. E tutto questo comporta una diminuzione della distribuzione della ricchezza indotta dal lavoro e una concentrazione di essa nelle mani di pochi. Lo stesso commercio è lì a dimostrarlo, la grande distribuzione ammazza i dettaglianti». E a manifestare perplessità e preoccupazione è pure un operatore che si colloca tra la old e la new economy. «La mia azienda cinque anni fa aveva una redditività dell’8% e oggi ce l’ha del 22%, mentre le previsioni parlano addirittura del 30% fra non molti anni. La globalizzazione equivale a un liberismo vergognoso. Gli accorpamenti, le fusioni e le concentrazioni finanziarie stanno portando vantaggi esclusivamente agli azionisti e non ho ancora visto nulla a favore dei consumatori». La globalizzazione costringe dunque ogni operatore economico ad affrontare quotidianamente una sfida che non può essere vinta da tutti e questo significa che la competizione cui essa induce presuppone una ferrea selezione. Sul piano dello sviluppo economico locale, però, essa ha comportato non solamente problemi e rischi, ma anche alcuni benefici. «Noi siamo un gruppo belga che vanta strutture di proiezione cinematografica in Belgio, Franca, Spagna e in Polonia. Ora stiamo operando, oltreché in Italia, anche in Olanda. Nel territorio di Pioltello abbiamo individuato il luogo ideale per un nostro insediamento. Noi abbiamo già una struttura dalle caratteristiche di quella che costruiremo qui a Pioltello, in un comune dell’hinterland di Madrid. In questa località spagnola prima non esisteva uno schermo, ora ci sono 25 sale con 9.000 posti ed è il cinema più grande del mondo. Questa struttura funziona benissimo. La condizione per poter avere una gestione positiva è appunto quella che ci sia uno schermo ogni 10.000 abitanti e in questa zona dell’Est Milano c’è uno schermo ogni 27.000 abitanti, perciò esistono buoni margini di mercato. Il nostro bacino di utenza è tutta la zona est della città di Milano e la zona nord-est della provincia. Il complesso che costruiremo è composto da 14 sale di proiezione che variano da 100 posti fino a 350. Ci saranno 1.500 posti di parcheggio auto. Tutta la parte di fronte, dal punto di vista architettonico, sarà in vetro e ben curata. Noi poi faremo anche dei miglioramenti urbanistici di quest’area i quali andranno a vantaggio della comunità. Oltre che un carattere ricreativo-culturale, la costruzione di questo centro avrà dei risvolti economici proprio perché il cinema è un notevole veicolo di circolazione di denari. Oltre al business-plan d’investimento, abbiamo anche un baget di 42 miliardi di lire per il lancio dell’operazione. Nella struttura verrà installata una cassa automatica dove si potrà pagare anche con le carte di credito e ci sarà pure uno sportello bancomat. Ci sono poi quattro locali destinati a ristorante-pizzeria e bar. Dovrebbe esserci pure una libreria e verranno venduti anche i classici. Forse questa struttura porterà un po’ più di traffico, ma di sicuro favorirà anche una maggiore conoscenza di Pioltello e porterà gente che prima qui non è mai venuta. Questa multisala è quindi destinata a qualificare ulteriormente questa città. La realizzazione dell’opera comporterà 70 nuovi posti di lavoro diretti e poi una trentina e più nelle attività commerciali che si affiancheranno alla multisala. Oltre a questi, vanno calcolati i posti di lavoro relativi alle attività di pulizia e di vigilanza per la sicurezza. Nel complesso credo che le nuove occupazioni si aggireranno attorno alle 120 unità». Ma, oltre a questo complesso cinematografico, a Pioltello stanno sorgendo altre attività imprenditoriali destinate alla gestione del tempo libero le quali contribuiscono sicuramente a diversificare l’economia creando i presupposti per un nuovo modello di sviluppo. Racconta l’acquirente di una vecchia cascina contadina: «Noi abbiamo un allevamento di cavalli per il salto degli ostacoli e per il dressage. Si tratta di cavalli importantissimi che noi alleviamo in Toscana e quando incominciano a diventare atleti li portano qui. Questa è la zona dell’allenamento e del grande lancio perché diventino campioni. In Lombardia ci sono molte più opportunità che in Toscana, poi qui ci sono i concorsi e noi siamo vicini a Milano. Pioltello è a cinque minuti da Linate e a dodici minuti dal centro di Milano, vanta cioè un’allocazione strategica di estremo interesse. Abbiamo ristrutturato la cascina come era originariamente. Le strutture che stiamo costruendo sono relative al maneggio coperto perché qui ci sono la pioggia e il freddo. Noi, per fortuna, apparteniamo alla categoria di quelle persone che possono vivere senza bisogno di dover guadagnare e speculare e da ciò che facciamo non intendiamo ricavare una sola lira di guadagno. Questo purtroppo molti pioltellesi non l’hanno ancora capito. Qui possiamo portare anche dei grandi concorsi e organizzare manifestazioni a carattere internazionale. In duemila metri quadrati di terreno si può ricavare una struttura polivalente dove possono essere comodamente accolti 1.500 spettatori. Nel caso lo desideri, questa struttura potrà essere messa a disposizione anche del Comune». Del fatto che l’economia di Pioltello, dietro la spinta della modernizzazione su scala globale, sia coinvolta in un processo di rapida e inesorabile trasformazione, se ne sono ben resi conto i suoi stessi amministratori pubblici i quali si sono riproposti di seguire con attenzione e di accompagnare questi cambiamenti anche attraverso interventi che hanno come obiettivo quello di qualificare lo sviluppo sociale. «Ci siamo dati da fare - dice un esponente dell’Amministrazione pubblica - per portare fuori dalla città di Milano e insediare sul nostro territorio una famosa fonderia artistica, la Maf. L’obiettivo che ci siamo dati è quello di arricchire e qualificare il territorio. Il realizzare l’insediamento della Maf vicino alla stazione di porta, significa avere sul nostro territorio un centro artistico che ci dà prestigio dal momento che l’Accademia di Brera intende affiancare ad essa le aule per i corsi di scultura e di fusione». Dunque, coloro che ritengono che a Pioltello gli effetti della globalizzazione non siano ancora visibili, a fronte di questa pur sommaria panoramica dell’assetto economicoproduttivo della città, il quale evidenzia come esso sia tutt’altro che statico e asfittico, ha sicuramente di ché ricredersi. E’ anzi forse il caso di dire che, come non mai nel passato, a Pioltello si offrono oggi l’occasione e l’opportunità di diventare soggetto attivo e consapevole del suo stesso destino e questo proprio anche in forza della dinamicità dei suoi attori economici. 10. Le sofferenze occupazionali Seppure lo stato di salute del sistema locale delle imprese sia nel complesso buono, esso non garantisce un livello occupazionale tale da potersi considerare soddisfacente. E’ opinione diffusa che «tutto sommato, in questi anni, il problema occupazionale non ha fatto registrare esplosioni in forme virulente». «Noi qui vantiamo un tasso di disoccupazione che è fisiologico, caratteristico dell’area dei comuni della cintura milanese. Ad avere difficoltà di collocazione sono le persone senza professionalità e con bassi livelli culturali». «Il lavoro qui non manca, lo assicurano le aziende presenti, il problema semmai è che non sempre è disponibile un lavoro sicuro». «Se si va a Milano - fanno notare le operatrici di un’agenzia di lavoro interinale - si trova un sacco di candidati, qui invece succede il contrario. In questa zona la domanda di manodopera non manca e questo è ciò che constatiamo tutti i giorni. Se da noi entrassero le persone giuste con una professionalità e le competenze adeguate, noi saremmo nella condizione di assumere tutti i giorni. Il mercato qui è in crescita al di là delle richieste stagionali». E uno stesso operatore della formazione professionale sostiene: «Fortunatamente noi viviamo una situazione territoriale particolarmente favorevole perché nell’Est Milanese, e in modo specifico nell’area della Martesana, la disoccupazione ha caratteristiche diversissime di quella di altre aree lombarde. Da noi il disoccupato è veramente disoccupato e ce ne sono pochi percentualmente. Di posti di lavoro ce n’è un sacco e chi oggi non trova occupazione è solo perché si trova in condizioni disperate, cioè non ha una qualificazione, oppure è in stato di emarginazione sociale o ha problemi di carattere culturale generale. Pioltello poi è un’enclave particolare che ha risolto almeno per il 60% i suoi problemi e anche dal punto di vista occupazionale, mentre un tempo era anomala, ora invece non lo è più». Resta però il fatto che «i disoccupati della zona di Melzo sono difficili da collocare» e a dirlo è proprio un dirigente del collocamento. Egli precisa comunque che«nelle liste ci sono dei gonfiamenti. Siamo nell’ordine di un 20-30% di iscritti che di fatto non sono disoccupati. La disoccupazione in questa zona dovrebbe aggirarsi attorno al 4-5%, cioè ben al di sotto della media provinciale. Che i disoccupati qui siano di meno lo dice il fatto che quando forniamo gli elenchi alle aziende, queste hanno difficoltà a trovare le persone disponibili. A volte è successo che a fronte di cento nominativi non si è riusciti a trovare una sola persona disponibile». Ne è infatti prova l’esperienza compiuta nel ‘98 dagli Scica di Melzo e Cassano, quando hanno invitato a presentarsi i 14.641 iscritti alle liste di collocamento della zona per sostenere un colloquio. Ebbene, solamente 3.840 di loro, cioè il 26,2%, ha risposto all’appello. A quell’epoca, i disoccupati iscritti residenti a Pioltello erano 2.446 e solo 604 di essi, cioè il 24,7%, si sono presentati. Molto probabilmente «tutti gli altri si erano trovati nel frattempo uno di quei lavori precari nei cantieri o di assistenza alle persone e alle famiglie che da noi sono molto diffusi». Se si fanno i conti con il passato, però, ci si imbatte con tassi di disoccupazione che sono ben al di sopra delle medie provinciali. Come dimostra la tabella n. 13, secondo i dati Istat, il tasso di disoccupazione allargata relativo alla città di Pioltello, all’inizio degli anni ‘90, era pari a una volta e mezzo a quello della provincia di Milano. Per l’oggi, purtroppo, non ci sono stime Istat disponibili. Tabella n. 13 Indici dei disoccupati e delle persone in cerca di prima occupazione. Pioltello, Provincia di Milano - 1981-1991 ‘81 ‘91 100 191 13,3 13,6 100 109 8,3 8,9 Pioltello indice disoccupati e in cerca di nuova occupazione % disoccupati su pop. attiva Prov.Milano indice disoccupati e in cerca di nuova occupazione % disoccupati su pop. attiva Fonte: Istat Se si prendono in considerazione i dati relativi agli iscritti alle liste di collocamento, si può notare come mentre fino al ‘98 nei comprensori di Melzo e Cassano le iscrizioni hanno fatto registrare un andamento assai più contenuto di quello verificatosi a livello provinciale, nel ‘99, sorprendentemente, la dinamica ha subìto un’impennata invertendo così la tendenza positiva che durava da anni. I dati parziali del 2000 confermano questa svolta. Tabella n. 14 Indici degli iscritti alle liste di collocamento. Comprensori di Melzo e Cassano d’Adda, Provincia di Milano - 1991-1999 (valori medi) Melzo-Cassano Prov.Milano 1991 100 100 1992 92 107 1993 95 123 1994 116 132 1995 116 137 1996 141 153 1997 151 162 1998 143 159 1999 207 147* * indice su dati parziali. Fonti: Regione Lombardia, OML Provincia Milano e Scica Melzo-Cassano-Centro Lavoro Est Milano Nell’agosto del ‘98 gli iscritti alle liste di collocamento residenti nel comune di Pioltello rappresentavano il 25,6% del totale degli iscritti agli Scica di Melzo-Cassano, mentre nel giugno del 2000 costituivano il 17%. Se si tiene presente che gli abitanti di Pioltello risultano essere l’11-12% della popolazione residente nei due comprensori, si ha chiara l’idea di come in questo comune la domanda di occupazione risulti decisamente superiore alle medie comprensoriali e provinciali. Il fatto che non tutti gli iscritti risultino poi disponibili ad essere in qualche modo collocati attenua ovviamente il problema, ma di certo non lo smentisce. E questo fa sì che a Pioltello l’offerta di forza lavoro non trovi piena soddisfazione nella domanda delle imprese locali. «La realtà socio-economica di Pioltello è per certi aspetti invisibile, poco decifrabile. Molti di quei 600 e più iscritti alle liste di collocamento che si sono presentati al colloquio hanno manifestato esigenze che sono difficilmente realizzabili. C’è chi cerca il lavoro part time, chi manca di una qualsiasi specializzazione, chi non disponendo dell’auto vuole il lavoro sotto casa. Si tratta di un’offerta di lavoro abbastanza indifferenziata e difficilmente collocabile». E pure «a livello comprensoriale abbiamo una giacenza di persone iscritte al collocamento che non riescono a fuoriuscire da questa situazione. Si tratta in prevalenza di donne con bassa qualificazione e che pur avendo una forte dinamicità non risolvono i loro problemi con un inserimento a termine. Per avere un reddito di cui hanno necessità e per inserirsi socialmente hanno bisogno di un posto di lavoro di lungo periodo. Hanno poi una scarsa disponibilità alla mobilità territoriale dal momento che i nostri comuni non sono legati tra loro da mezzi di trasporto pubblico. Muoversi da un comune all’altro è un impedimento forte per chi non dispone del mezzo proprio come è il caso della maggioranza di queste donne». E sono soprattutto proprio le donne a risultare fuori mercato. «Si tratta di donne che hanno già avuto esperienze lavorative, ma che dopo essere diventate madri hanno dovuto rimanere a casa. Molte di queste si sono poi adattate a lavorare in nero svolgendo mansioni povere e semplici, facendo pulizie e oggi fanno fatica a trovare una risposta occupazionale. La situazione attuale è caratterizzata dal pendolarismo e questo rende difficile il reinserimento nel mercato del lavoro di una donna madre con figli in età scolare e con un’autonomia minima dovuta magari al fatto che non ha la patente. Con le poche ore che ha a disposizione non è materialmente in grado di raggiungere zone che non sono vicine a casa. Questa è una delle categorie che si rivolgono a noi più spesso», spiega un’operatrice del Centro Lavoro. «Un’altra categoria di persone in sofferenza occupazionale è poi costituita da quei lavoratori che sono prossimi al pensionamento e che risultano ‘esuberi’ nell’azienda in cui lavoravano essendo stati posti in mobilità. Questi non sono d’interesse per nessuno». Anche a Pioltello, dunque, non mancano casi drammatici di disoccupazione, «in specie tra quei soggetti anziani che sono stati espulsi dal mercato del lavoro e che per quasi una vita si sono sentiti appartenere all’azienda presso la quale lavoravano. Questi casi spesso si trasformano in vere e proprie crisi esistenziali. Noi purtroppo – continua l’operatrice del Centro Lavoro - non siamo in grado di svolgere un’azione da psicologi, ci limitiamo a sostenere il lavoratore nello spendere le sue competenze che spesso sono trasversali. Sollecitiamo l’utente a praticare tutti i canali possibili per trovare la soluzione. Gli suggeriamo anche di rivolgersi alle agenzie di lavoro temporaneo, ma non sempre questo nostro prodigarsi risulta sufficiente a trovare la soluzione ai loro problemi». «Questo è spesso il caso di persone di 45-50 anni che hanno avuto problemi di salute e che non possono lavorare in ambiti dove la fatica fisica è elevata e le garanzie sociali sono minime». «Io - racconta un nostro interlocutore - ho a che fare con una persona di 62 anni la quale ha esaurito l’ultimo anno di mobilità e ha versato i contributi previdenziali per 34 anni. Questa persona è in uno stato di forte disagio perché non può ancora godere della pensione e non riesce più a trovare una collocazione per completare il periodo di versamento dei contributi che gli consentirebbe di avere il sussidio. Mi sono rivolto direttamente persino a un imprenditore per vedere se c’era la possibilità di procurargli un lavoro per almeno 13 mesi, ma ancora non sono riuscito a risolvere il problema». «Di lavoratori in mobilità ne abbiamo parecchi iscritti alle liste - conferma un operatore del collocamento - essi però sono dispersi sul territorio. Si tratta di situazioni che vengono gestite più sul piano soggettivo che su quello sociale. Il sindacato ne è a conoscenza, però il fenomeno, essendo molto parcellizzato e trattandosi solitamente di dipendenti di piccole aziende, si presenta difficile da governare». «I progetti che i Comuni hanno elaborato per i lavori socialmente utili hanno incontrato enormi difficoltà. Qui ormai non se ne fanno più». «Da noi - spiega un dirigente dello Scica - sono venuti a lamentarsi diversi lavoratori in mobilità perché erano stati inviati a operare in comuni distanti dalle loro abitazioni e a quel punto conveniva a loro di più starsene a casa piuttosto che accettare simili offerte. Poi avviene che molti di questi lavoratori in mobilità vadano a fare i lavoretti presso le piccole aziende. Se per un verso è giusto che esistano gli ammortizzatori sociali, per un altro è da considerare che in molti casi la cassa integrazione e la mobilità hanno prodotto dei danni sociali. E’ il caso di gente che conosco e che è stata in cassa integrazione per dieci, quindici anni, a differenza di altri lavoratori che invece sono stati costretti a lavorare fino all’età pensionabile». C’è però anche da considerare che non sempre il sistema imprenditoriale si dimostra sensibile e disponibile a recuperare questi lavoratori adulti i quali nella stragrande maggioranza, e data la drammatica situazione in cui si sono venuti a trovare, si rendono disponibili nonostante le ovvie difficoltà fisiche e psichiche anche ad intraprendere nuove esperienze e nuove attività pur di ritrovare un posto di lavoro. Una testimonianza in questo senso ci viene dall’esperienza compiuta, alla fine degli anni ‘90, dagli 87 lavoratori e lavoratrici della Turati Lombardi di Trezzo d’Adda posti in mobilità. Le disponibilità dichiarate dalla maggioranza di essi sono state le seguenti: - disponibile a un’occupazione part-time il 51,79%; - a tempo pieno il 98,21%; - a tempo determinato l’83,93%; - a lavori occasionali il 46,43%; - a stage e corsi di formazione il 41,07%; - a turni diurni il 78,57%; - a turni notturni il 30,36%; - a turni festivi il 19,64%. Non si può dunque dire che negli stessi lavoratori in età non più giovane sia assente la disponibilità a riconvertire la propria professionalità e a riadattarsi a nuovi ambienti e situazioni. Semmai è da denunciare una carenza, questa riguarda proprio quei soggetti che dovrebbero aiutare e accompagnare questi lavoratori nell’affrontare un passaggio della loro esistenza che indubbiamente risulta essere denso di ostacoli e di problemi. Questo vale in linea generale, ma in particolar modo per i comprensori di Melzo e Cassano dove il fenomeno della disoccupazione adulta fa registrare indici al di sopra della media provinciale. Commenta a questo riguardo un operatore del collocamento: «Qui si evidenzia uno zoccolo duro di disoccupati che sono iscritti da ben oltre quel tempo che viene considerato di lungo periodo, cioè i due anni, senza che si apra per loro una qualsiasi prospettiva di reingresso nel mondo del lavoro regolare. Questi soggetti si ritrovano nelle categorie delle donne, degli uomini con un’età superiore ai 40 anni, nelle persone che hanno una bassa o nessuna qualificazione professionale o un basso o nessun titolo di studio. Queste persone hanno bisogno di sostegni, di accompagnamento al lavoro, di occasioni e di opportunità mirate d’impiego e il sistema pubblico se ne deve far carico». Nel ‘99, per l’esattezza, gli iscritti da oltre 24 mesi alle liste di collocamento nelle circoscrizioni di Melzo e Cassano ammontavano a oltre 3.500, pari cioè al 25% del totale. Tabella n. 15 Composizione degli iscritti alle liste di collocamento. Comprensori di Melzo e Cassano, Provincia di Milano - Valori percentuali medi anni ‘90 (1991-1998) Melzo-Casano Prov.Milano Donne 61,6 56,1 di età fino ai 25 ani 38,0 39,5 di età dai 29 anni in su 45,5 40,7 iscritti di lunga durata 47,1 47,6 Fonti: OML Provincia Milano e Scica Melzo-Cassano-Centro Lavoro Est Milano «In sofferenza occupazionale può essere però anche il neo diplomato che ha scarse competenze informatiche e non ha conoscenze linguistiche, il quale risulta interessante per l’azienda solo per la sua giovane età, ma per null’altro, considerato che non ha esperienze e conoscenze tecniche. Anche questo è un soggetto debole». I soggetti comunque in maggior sofferenza occupazionale sono gli immigrati, gli svantaggiati e i disabili. «Mentre però questi ultimi sono in qualche modo supportati dalla legge, i componenti delle altre due categorie sono proprio abbandonati a se stessi. Gli svantaggiati sono coloro che non hanno riconosciuta l’invalidità, ma che sono in uno stato oggettivo di disagio sociale o perché hanno problemi in famiglia o perché ex detenuti, ex tossicodipendenti, o giovani drop out, cioè persone ai limiti della società. Come Centro Lavoro stiamo lavorando anche in direzione di queste figure in termini di progetti e in collaborazione con i servizi sociali comunali, proprio perché, a seguito di una lettura della realtà locale, ci siamo resi conto che mancano delle azioni coordinate di sostegno. Al nostro sportello arrivano poi molti immigrati e in genere sono stranieri ,anche senza permesso di soggiorno. Tra loro ci sono dei soggetti deboli dal punto di vista lavorativo perché non hanno la conoscenza della lingua italiana e mancano di una specializzazione. Il vantaggio che hanno è quello di essere molto più adattabili e flessibili dei nostri, così come del resto lo sono i giovani meridionali, quelli che provengono dalle regioni italiane dove la disoccupazione è alta. In molti stranieri abbiamo riscontrato una disposizione all’apprendimento e alla formazione notevole e ci sono diverse persone che si preparano per un lavoro specializzato in fabbrica. Sono poi numerose le donne immigrate che si rivolgono allo sportello per assistere le persone e noi e le inviamo alla formazione che oggi è divenuta indispensabile per lavori di quel genere. Devo dire che nel complesso accettano di buon grado di formarsi». Nel giugno scorso risultavano iscritti alle liste di collocamento 208 stranieri residenti a Pioltello, 128 maschi e 80 donne, poco più del 10% degli iscritti pioltellesi. «Le difficoltà maggiori le incontrano proprio le donne immigrate che a causa dell’assenza di una qualificazione sono costrette a ricercare un’occupazione nel settore dei servizi alla persona. E’ questo un ambito che non riguarda le imprese, ma le famiglie e spesso questo tipo di prestazioni, che sono molto richieste, vengono gestite da cooperative e organizzazioni che offrono lavoro nero e precario, sottopagato e senza rispetto dei diritti. C’è chi sfrutta la condizione di difficoltà della persona immigrata il cui stato di necessità la rende disponibile ad accettare qualsiasi condizione pur di lavorare. Agli immigrati vengono riservati i ruoli faticosi e disagiati, il lavoro serale, quello notturno e festivo. E’ questo il mondo in cui sopravvive il caporalato». «Se si viene fuori dai cancelli di questa azienda al mattino presto - denuncia un delegato sindacale - si può assistere alla selezione di chi può entrare a lavorare e chi no. Io ho invitato l’Ispettorato del lavoro, ma le cose continuano ad andare come sono sempre andate. Tutti sanno ma nessuno vuole intervenire. Ultimamente abbiamo notato che assieme agli extracomunitari arrivano temporaneamente gruppi di lavoratori delle regioni del Sud. Arrivano qui con il pullman e si fermano per tre, quattro giorni. Chiaramente queste persone che fanno la ‘vacanza lavorativa’ sono controllate da chi esercita il caporalato». 11. Un mercato del lavoro complesso da governare Se da una lato a Pioltello esiste la sofferenza occupazionale, dall’altro le aziende hanno bisogno di personale che non sempre si ritrova disponibile sul mercato. «Noi siamo in cerca di giovani tra i 22 e i 30 anni e quelli disponibili sul mercato sono sempre meno. Nelle regioni del nord c’è ormai la piena occupazione e assumere è diventato un dramma», asserisce un dirigente d’azienda. E una lamentela di questo genere è ricorrente nel mondo imprenditoriale. «Quando ho richiesto qualche figura professionale non sono riuscito ad ottenere nulla, purtroppo di personale specializzato non ce n’è». «Io sto cercando un perito chimico per potenziare l’ufficio relativo all’assicurazione della qualità e non riesco a trovarlo». «Reperire personale con esperienza tecnica industriale è un problema. Noi abbiamo soprattutto bisogno di periti tecnici, di conduttori di macchine complesse, di responsabili di produzione. Tutti i nostri impianti sono dotati di controlli elettronici e la manodopera che ci occorre riguarda persone in grado di capire tutti gli aspetti tecnologici legati all’impianto. A trovare le figure giuste facciamo fatica». «Noi dobbiamo importare i laureati chimici dall’estero». «In azienda abbiamo un mix tra laureati e non laureati che è al di sotto della media accettabile. Dobbiamo garantirci le professioni giuste ma il mercato locale di queste figure è molto ristretto e incontriamo molta concorrenza. Facciamo fatica non solo ad avere personale professionalizzato, ma pure a trattenere in azienda quello che abbiamo». «In questa zona le imprese hanno bisogno a tal punto di manodopera che le stesse agenzie di lavoro temporaneo faticano a trovarla», conferma un operatore del collocamento. E a denunciare questo squilibrio tra domanda e offerta di lavoro è anche un amministratore pubblico. «Attraverso il Centro Lavoro, al Comune di Pioltello abbiamo assunto per sei mesi una diecina di persone per il progetto tributi. Ebbene, non è stato semplice trovarle, perché per assolvere a quella mansione occorreva conoscere l’informatica e avere qualche nozione in materia fiscale. Purtroppo ad avere questo bagaglio non erano in molti. I disoccupati ci sono, ci sono anche le persone disponibili, però se si cerca la professionalità, la soluzione al problema non è affatto semplice. E questo vale anche per i concorsi interni ai quali in genere si presentano pochissime persone. Ai concorsi per l’assunzione di geometri, per esempio, abbiamo incontrato delle difficoltà addirittura nel trovare i candidati e questo è un altro aspetto del mercato del lavoro locale». «La difficoltà - spiega un dirigente d’azienda - sta anche nella scarsa disponibilità del diplomato a fare l’operaio e a lavorare su tre turni, anche se poi il giovane rischia di fare il disoccupato. In Italia non c’è ancora la mentalità giusta perché chi ha studiato si possa adattare a fare l’operaio. E più che la scuola, ad essere responsabile di questo è la famiglia». «Certe figure professionali non le trovano non tanto e solo perché ce ne sono poche, ma anche perché le pagano male», controbatte un delegato sindacale di fabbrica. E pure chi fa selezione e formazione si sforza di spiegare simili incongruenze. «Le aziende esigono spesso requisiti così precisi in termini di competenze e di tecniche che diventa molto difficile reperire simili figure sul mercato»; «c’è la tendenza delle aziende a richiedere personale non solo formato, ma con competenze ed esperienze specifiche e questo complica le cose». Sta di fatto che il fare incontrare la domanda con l’offerta di lavoro rappresenta un serio problema, soprattutto perché la dinamica del mercato del lavoro locale è sempre stata estremamente elevata e certi squilibri hanno assunto nel tempo carattere strutturale. Tabella n. 16 Indici e valori percentuali della popolazione attiva. Pioltello, Provincia di Milano - 1971-1991 ‘71 ‘81 ‘91 indice pop.attiva 100 122 150 % su pop. residente 40,2 46,5 48,4 indice pop.attiva 100 96 97 % su pop. residente 44,8 44,7 46,5 Pioltello Prov.Milano Fonti: Istat e Regione Lombardia Tabella n. 17 Indici e valori percentuali dei residenti occupati suddivisi per settore. 1971-1991 Indici valori %su occupati ‘71 ‘81 ’91 ‘71 ’81 ‘91 100 111 127 100 100 100 - agricoltura 100 97 57 1,2 1,0 0,5 - industria 100 83 88 69,2 51,1 43,2 - terziario 100 182 267 29,6 47,9 56,3 Occupati totali di cui in: Fonti: Istat e Regione Lombardia «Il 40% e più della popolazione attiva di Pioltello lavora sul territorio comunale grazie al fatto che in questi anni sono state destinate aree allo sviluppo della piccola e piccolissima impresa e questo ha ridotto il tasso di pendolarismo. Per un paese che ha il problema della coesione sociale, il fatto che si siano procurati posti di lavoro in loco non è certamente poca cosa». Lo squilibrio tra occupati residenti e posti di lavoro disponibili sul territorio comunale continua però a persistere, nonostante che nell’arco di quarant’anni le occasioni occupazionali in loco siano cresciute molto di più rispetto agli occupati residenti. Osserva un nostro testimone: «Se si viene qui al mattino alle cinque e mezza si vedono migliaia di persone che quotidianamente prendono l’autobus per andare a lavorare fuori. Pioltello, per certi aspetti, è rimasto ancora un paese dormitorio». Tabella n. 18 Indici occupati e addetti alle unità locali - 1951-1991 ‘51 ‘71 ‘81 ‘91 Residenti occupati 100 365 428 489 addetti alle unità locali 100 899 1203 1410 55,5 48,1 37,4 36,0 % differenza occupati/addetti Fonti: Istat, Regione Lombardia, Aspo «Questa è un’area dove il lavoro è fatto di ruoli estremamente interessanti, ricchi e coinvolgenti», osserva il dirigente di una struttura impegnata a governare il mercato del lavoro. E in effetti i progressi che in questi anni si sono registrati sul fronte dell’innovazione tecnologia hanno modificato la qualità della domanda di manodopera da parte delle imprese. «Mentre un tempo la nostra azienda assumeva soprattutto classe operaia, negli anni recenti è maggiormente interessata alla categoria degli impiegati e dei tecnici, soprattutto di quelli specializzati. Oggi è orientata soprattutto verso il mondo ingegneristico». «Da noi gli impianti sono ad alta tecnologia e richiedono personale ad alta professionalità, cioè periti e ingegneri. Solo marginalmente abbiamo bisogno di manodopera con bassi livelli di professionalità». «Alla fine del ‘99 avevamo 25 operai tecnici, 90 operai generici, 70 impiegati e 6 dirigenti. Quando eravamo in 60 c’era un caporeparto e per il resto erano tutti operai generici. I 25 tecnici sono il cuore dell’azienda, 5 di loro sono stati reperiti già formati, gli altri 20 fanno parte di quei 60 che componevano l’organico vent’anni fa. Il personale specializzato è ormai fidelizzato, mentre quello generico ci viene a volte sottratto e questo avviene anche perché noi lavoriamo sul ciclo continuo e l’impegno in termini di orario non viene accolto volentieri specialmente dal personale più giovane». «La nostra manodopera è abbastanza specializzata; qui ci sono ingegneri e diplomati. Tra gli addetti alla produzione ci sono molti operai altamente qualificati. La maggior parte dei dipendenti sono cresciuti qui, ultimamente però abbiamo assunto delle persone che avevano già esperienza e che provenivano da un’azienda che ha chiuso». Per le imprese, dunque, il reperire in loco personale con alti livelli di qualificazione costituisce un serio problema considerato che a Pioltello le figure professionali tendono ad attestarsi sui livelli bassi. «Da noi ci sono molti muratori, ma in genere sono manovali e pochissimi vantano una qualità professionale». «Presso il nostro sportello - puntualizzano le operatrici di un’agenzia interinale vengono persone che non sono nemmeno in grado di sostenere un colloquio non avendo compiuto gli studi. Sono quei soggetti che alla fine vanno a lavorare nelle cooperative». E pure al Centro Lavoro segnalano di aver constatato che «moltissimi utenti hanno una scarsa professionalità. Questo però - aggiungono - non significa che a Pioltello ci sia una Tabella n. 19 Indici e valori percentuali delle figure professionali. Pioltello, Provincia di Milano - 1991 (occupati residenti = 100) Pioltello occupati residenti indice % 100 Priv.Milano addetti unità locali* indice ** % % 19,6 67,6 25,0 23,2 100 80,4 49,4 75,0 76,8 - dirigenti e impiegati 100 34,1 57,0 36,7 45,3 - operai e assimilati 100 38,4 52,8 38,3 28,9 Imprenditori, liberi professionisti, lavoranti in proprio, coadiuvanti lavoratori dipendenti di cui: * dati 1994 ** in rapporto agli occupati residenti Fonti: Istat, Regione Lombardia, Aspo presenza di persone dequalificate più alta rispetto ai residenti nei comuni vicini. Qui ci sono anche persone con qualifiche e titoli di studio di un certo livello. C’è da considerare che a Pioltello c’è gente che arriva da tutto il mondo e questo significa necessariamente anche basse qualifiche». A un basso livello professionale del mondo del lavoro dipendente fa poi riscontro una minore presenza di occupati in condizione autonoma e, come alcuni sostengono, anche per loro si registra un basso livello di qualificazione. «Qui ci sono molte piccole industrie familiari di imbianchini, muratori, idraulici e molte di queste forme di lavoro autonomo assicurano a chi le pratica la semplice sopravvivenza». Annota un esponente politico: «Con tutto il rispetto per la categoria, a Pioltello esistono cinquanta parrucchieri e questo è un dato eloquente. La professione del parrucchiere è quella intrapresa dal ragazzo che non ha né arte né parte, è il lavorare in bottega con le proprie mani, con la propria esperienza e comunque non è paragonabile a quella dell’operaio specializzato di fabbrica che fa tutta una serie di percorsi. Anche oggi a Pioltello c’è tutto un filone di classe operaia qualificata la quale, però, si interseca con questa realtà che è parte della tradizione di chi è arrivato qui. Noi, per altro, abbiamo delle grosse potenzialità di lavoro virtuale. Oggi abbiamo qui un’aristocrazia virtuale fatta di soggetti in prevalenza giovani che pur non essendo direttori d’azienda o consulenti o libero professionisti, vantano professionalità intermedie molto interessanti. Questi però sono qui anagraficamente, ma non si riconoscono in Pioltello. Si può dire che in un certo senso qui si verifica una fuga dei cervelli, anche perché non è mai stato affrontato un discorso di imprenditoria giovanile e di nuove forme di lavoro. Chi guarda esclusivamente alla multisala Kinepolis perché crea 70 posti di lavoro, che sono senz’altro ottimi, non si rende conto che questi continuano a essere destinati a chi fa le pulizie, a chi serve al bar; ci sarà di certo anche qualche tecnico cinematografico, ma non più di tanto. Questa è ancora la Pioltello che guarda alla grande distribuzione come serbatoio di occupazione. Il che indubbiamente è positivo perché non ci sono solo lavori di facchinaggio, ma ciò a cui occorre guardare sono proprio quelle capacità imprenditoriali che esistono e che potrebbero essere illuminate e valorizzate». Difatti, pure a Pioltello, sullo stesso fronte del lavoro e delle professioni le cose stanno subendo mutamenti veloci e in profondità. Ci dice un esperto in materia: «Il mercato del lavoro della zona Est Milano che coinvolge 30 Comuni, tra cui Pioltello, è sicuramente dinamico e in sviluppo. Nel corso del ‘99 ci sono stati circa 17.000 avviati contro i 14.000 circa dell’anno precedente. Questo aumento è dovuto in buona misura allo sviluppo del lavoro temporaneo, infatti queste 3.000 assunzioni in più riguardano proprio contratti a tempo determinato, di formazione lavoro, di lavoro interinale». E questo fa ritenere che «almeno nel breve periodo la situazione attuale di bassa disoccupazione dovrebbe mantenersi tale e le aziende dovrebbero continuare ad assorbire manodopera. Salvo ovviamente l’esistenza di quello zoccolo duro di iscritti al collocamento che per essere ridotto necessita di particolari politiche attive del lavoro». Un giudizio analogo viene espresso da un operatore del collocamento: «In quest’area territoriale - questi afferma - la disoccupazione è destinata a diminuire perché c’è un tessuto di microaziende che garantisce lo sviluppo e la crescita dei posti di lavoro». 12. La diffusione dei lavori atipici L’innovazione tecnologica e la rivoluzione informatica hanno comportato anche per la realtà di Pioltello profondi mutamenti nel modo di produrre e di lavorare. «Sono ormai finiti i tempi del tipografo come figura specializzata per eccellenza, i tempi cioè dell’arte grafica. La tecnologia applicata di oggi esige del personale qualificato come il perito grafico o il perito meccanico o elettronico, figure che devono comunque avere un certo livello culturale. I lavoratori di oggi devono essere persone in grado di capire velocemente cosa deve essere fatto in una qualsiasi fase del ciclo e quindi di adattarsi alle nuove situazioni. Occorrono dinamicità e cultura. L’arte grafica non esiste più, esistono dei conduttori di impianti che gestiscono una linea la quale può produrre anche altro, farmaci o caramelle, e non solo libri o stampati. Viene sempre meno la necessità dello stampatore vecchia maniera, diventa invece sempre più indispensabile l’ingegnere meccanico o elettronico. Questa evoluzione si è verificata nell’ultimo decennio ed è tuttora in lenta e continua progressione. Le vecchie figure professionali che noi avevamo qui si sono adattate a questi processi, comunque in questo ultimo decennio abbiamo avuto un turn over abbastanza importante». «Ieri si avevano costanti cicli economici alla fine dei quali si arrivava ad espellere la manodopera sovraeccedente attraverso gli ammortizzatori sociali, oggi e soprattutto domani il rischio è e sarà di trovarsi nella condizione di dover “rottamare” delle persone non per l’età, non per le crisi economiche, ma per la mancata corrispondenza alla sofisticazione tecnologica. Fa notizia il fatto che la new economy non riesce a trovare persone e che gli Usa hanno aperto le frontiere a 200 mila informatici provenienti dall’Europa, ma non ci si rende conto che anche nella old economy esistono dei grandi fabbisogni di manodopera specializzata». «Siamo in presenza di una tendenza che favorisce lo sviluppo del lavoro autonomo. Uno da casa, con il computer collegato in linea con un’unità centrale, può svolgere tranquillamente il lavoro che ieri faceva in ufficio». «Negli anni addietro non c’era Internet e l’azienda non era collegata in tempo reale attraverso le video-conferenze come lo è ora con Torino e la Spagna. Queste innovazioni hanno comportato un cambiamento radicale nel modo di lavorare. Spazio per la manualità ne esiste ovviamente ancora, ma molti sono ormai i lavoratori che operano sulla base di precise indicazioni tecniche e in sostanza viene richiesta una maggiore professionalità, maggiori conoscenze e competenze». «A seguito dell’entrata sul mercato dei competitori orientali, qui ci si trova costretti a cambiare il ciclo produttivo anche due volte l’anno e questo rimette in discussione continuamente i rapporti consolidati e dà luogo a una continua contrattazione». «Il nostro organico in questa fase è tutto a tempo indeterminato, siamo ancora fordisti. Questo anche perché prima di abbassare gli organici abbiamo fatto scadere i termini dei contratti a tempo determinato che avevamo, compreso il lavoro interinale. Una volta che avremo superato questo processo ci troveremo nella condizione di far fronte a picchi di produzione per affrontare i quali siamo intenzionati a creare una forte mobilità interna e ad esternalizzare non la produzione, ma tutte quelle attività di servizio che non rientrano nella nostra missione come la manutenzione. Noi tenderemo ad avere organici rispondenti alle normali esigenze di produzione e di manutenzione e nel momento in cui dovessero aumentare le esigenze di produzione sposteremo i manutentori in produzione, creando così la figura del multi job, ed esternalizzando la manutenzione. La logica organizzativa è quella della massima flessibilità interna e della esternalizzazione dei servizi». Anche la diffusa esigenza di flessibilità contribuisce a mutare ruoli e rapporti nel mondo dell’impresa. «I problemi maggiori che dobbiamo affrontare non sono tanto quelli della qualità del prodotto che resta competitivo, ma quelli del costo del lavoro e della flessibilità. A me vengono richieste grandi commesse per far fronte alle quali devo essere molto più flessibile di quanto lo sono oggi nella gestione degli orari di lavoro». «La flessibilità viene conseguita sia all’interno, a livello contrattuale, che all’esterno con l’utilizzo delle cooperative. Con i nostri dipendenti abbiamo la possibilità di modificare gli orari e perciò conseguiamo la flessibilità che ci occorre». «Qui si lavora a due turni per cinque giorni la settimana, a tre turni per cinque giorni la settimana, a due turni e a tre turni a ciclo continuo e, in rapporto alle esigenze di mercato, la tipologia di turni può cambiare nel corso dell’anno». «Noi abbiamo un orario di lavoro che non è distribuito in modo uniforme sull’arco dell’anno. Di norma, nei reparti di produzione, lavoriamo i primi sette mesi dell’anno a sette settimi a ciclo continuo, dove il ciclo è formato da tre giorni di lavoro e uno di riposo. Nel mese di agosto ci fermiamo per le ferie. Poi riprendiamo in settembre con i sei settimi, con il giorno di riposo, per passare poi alla fine dell’anno ai cinque settimi con due giorni di riposo. Questa distribuzione ci permette di rispettare il contratto e di conseguenza la flessibilità necessaria della forza lavoro». Tutti questi cambiamenti nel modo di produrre e di lavorare hanno comportato e stanno comportando una vera e propria rivoluzione nelle forme stesse del lavoro. «Oggi l’ingresso nel mondo del lavoro avviene per vie diverse rispetto al passato. Il 6070% degli avviamenti avviene ormai a tempo determinato, questo però non significa che il 70% delle persone che lavorano siano a tempo determinato; queste saranno il 5-10%. L’avviamento all’interno dell’azienda si realizza ormai quasi esclusivamente attraverso forme di cosiddetto lavoro precario. Che sia un bene o un male non lo so, sta di fatto che questo di per sé non è una cosa negativa. Poiché non ci si accontenta di un posto di lavoro qualsiasi, va bene che l’ingresso avvenga anche in queste forme». «Noi non dovremmo chiamare lavori atipici quelli diversi dal lavoro standard. Oggi è atipico il posto fisso, mentre quelli che chiamiamo atipici sono i lavori del 2000, quelli della nuova economia. Se pensiamo che il lavoro interinale e il lavoro atipico siano un passaggio di nicchia dalla disoccupazione al vero lavoro significa che abbiamo capito niente. Dalla new economy non si ritorna indietro, il nuovo corso è avviato e la old economy avrà spazi sempre minori. Non si dimentichi che negli ultimi dieci anni la grande industria ha perso più del 50% dei posti di lavoro che assicurava». Per la verità, diverse aziende di Pioltello continuano a mantenere con i propri dipendenti un rapporto di lavoro dalle forme tradizionali. A confermarlo sono alcuni stessi imprenditori. «La stragrande maggioranza dei nostri dipendenti è assunta alla vecchia maniera, cioè a tempo indeterminato; abbiamo solo qualche persona con contratti diversi». «I rapporti di lavoro da noi sono ancora quelli standard, l’unica innovazione è costituita dai contratti di formazione lavoro. I giovani che abbiamo assunto tramite questo rapporto di lavoro sono poi stati tutti confermati. Non abbiamo mai fatto nessuna prova con contratti di lavoro saltuari perché consideriamo i dipendenti una risorsa e poi perché noi abbiamo bisogno di personale che conosca il linguaggio dell’azienda e sia in grado di fare più prodotti e perciò deve essere preparato e fidato. Anche chi fa lavori di facchinaggio e pulizie da noi fa parte dell’organico». «La stragrande maggioranza dei nostri 500 circa dipendenti hanno un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato. Ci sono alcuni contratti di formazione lavoro e a tempo determinato. A part time c’è solo qualche unità negli uffici. Anche il lavoro interinale è raro, anzi rarissimo, c’è forse qualche lavoratore in affitto in segreteria. Anche quelli assunti con contratti di formazione lavoro o a tempo determinato alla fine di regola sono sempre stati assunti dall’azienda». «La maggior parte dei dipendenti è a contratto a tempo pieno e indeterminato. Part time non ce n’è, ci sono gli interinali (4 o 6 casi) e i giovani vengono assunti con il contratto di formazione lavoro». Accanto però a queste realtà produttive, per lo più storiche, se ne accompagnano altre nelle quali la sperimentazione di nuovi rapporti di lavoro è già in atto da tempo. Comunque, anche laddove vige la tradizione, la situazione sta rapidamente cambiando e la prospettiva per l’avvenire è quella di un incremento a livello complessivo delle nuove forme di rapporto. «Da noi ci sono alcuni lavoratori assunti a tempo determinato, ma di regola alla fine vengono assunti a tempo pieno e indeterminato. Nel reparto intestatura-confezionamento abbiamo delle donne alcune delle quali lavorano a orario ridotto, 6 ore anziché 8». «I nostri 400 in maggioranza sono assunti a tempo indeterminato, anche perché questa è una tradizione dell’azienda. Ora però si stanno valutando le prospettive per il futuro e non è da escludere che, dati i tempi, si introducano forme contrattuali non standard (contratti a termine, part time oppure contratti job call, cioè di lavoro a chiamata). Deve comunque essere creata una nuova mentalità a riguardo del rapporto di lavoro e questo avverrà solo con le nuove generazioni». «Quasi tutti i 940 dipendenti sono a tempo indeterminato; c’è solo un poco di part time tra i 350 impiegati, ma non supera il 4-5%. Poi succede però che questi stessi part time, verticali od orizzontali che siano, di fatto si trasformano in full time, perché in questa azienda l’orario di lavoro è infinito. Qui chi vuol lavorare può fare un’infinità di straordinario», racconta un delegato sindacale. «C’è invece il salario d’ingresso che significa per un giovane 180.000 lire in meno al mese per i primi tre anni. Oltre ad avere gli sgravi fiscali previsti dalle leggi, l’azienda gode anche di questo vantaggio che comunque contribuisce ad aumentare l’occupazione. Per fare la selezione del personale l’azienda fa poi ricorso al lavoro interinale e alle assunzioni a termine. Questi sistemi le consentono di ritardare i tempi delle assunzioni a tempo indeterminato. Dal punto di vista della gestione della manodopera, in sostanza, l’azienda si avvale di tutti gli strumenti possibili per ottenere flessibilità e basso costo: dall’uso delle cooperative a tutto quanto oggi le leggi consentono». «I nostri quaranta dipendenti hanno rapporti di lavoro molto vario. In prevalenza, chi fa servizio a mezzogiorno, è assunto a part time; a full time ci sono solo coloro che lavorano in produzione e i cuochi. Comunque tutto il personale è assunto a tempo indeterminato ed è cautelato circa il posto di lavoro perché quando c’è un cambio di appalto viene assunto da chi subentra». «Ora sostituiamo il lavoro straordinario con il lavoro precario, tipo lavoro interinale o contratti a termine, di cui io farei volentieri a meno. D’altronde, però, l’aumentare troppo del personale comporta delle serie ipoteche». «Noi facciamo uso parziale di lavoratori interinali per coprire le situazioni scoperte. Mediamente abbiamo in azienda tra gli 8 e i 10 interinali». «Io faccio ricorso al lavoro interinale ma in modo che questi abbiano ad allungare la giornata dei miei dipendenti e siano a loro volta accompagnati da questi. Sono però solo degli espedienti destinati a non durare nel tempo». «Siamo molto aperti alle nuove soluzioni. L’impiego di lavoratori temporanei è però limitato alla sola produzione, sui computer non mettiamo personale esterno perché esistono dei dati riservati che costituiscono un segreto industriale». «Del lavoro interinale abbiamo fatto uso però in percentuali molto basse, abbiamo invece fatto ricorso molto di più ai contratti a termine per far fronte a picchi di produzione oppure alle assenze temporanee. Al lavoro interinale preferiamo il contratto a termine curandoci noi le selezioni considerato che abbiamo il personale capace di farlo. Questo ci rassicura molto di più. Inoltre il lavoro interinale costa un po’ di più». «Per fortuna ora è stato introdotto il lavoro interinale che ci consente di verificare il valore delle persone che assumiamo, perché fino a ieri noi avevamo non pochi problemi nella gestione della manodopera sia per i tempi di assunzione che per la qualità dei soggetti». E persino l’Amministrazione comunale di Pioltello «assume a tempo determinato e un tempo ci sono anche state delle collaborazioni», afferma un delegato sindacale. I cosiddetti lavori atipici, dunque, trovano di fatto larga diffusione anche nel comprensorio di Melzo e Cassano. «C’è anche qui una tendenza a una maggiore occupazione che si accompagna a una maggiore precarietà», precisa il responsabile del Centro Lavoro. Tabella n. 20 Avviati in forma atipica . Circoscrizioni di Melzo, Provincia di Milano - 1991-2000 (valori percentuali su totale avviati) ‘91 ‘96 ‘98 2000* 33,7 41,2 70,8 57,0 8,9 20,1 25,2 27,3 38,1 57,7 62,5 85,9 9,8 29,5 32,7 33,2 Melzo avviati a tempo parziale e determinato avviati senza cancellazione (per tempi molto ridotti) Prov.Milano avviati a tempo parziale e determinato avviati senza cancellazione (per tempi molto ridotti) * Percentuali su dati parziali. Melzo-Cassano: 11 mesi; Prov.Milano: 1° trimestre. Fonti: OML Provincia Milano, Scica Melzo-Cassano e Centro Lavoro Tabella n. 21 Avviati al collocamento residenti a Pioltello – 1999 % su totale avviati a tempo pieno e indeterminato a tempo part time e indeterminato a tempo pieno e determinato a tempo part time e determinato 46,1 8,9 40,9 4,9 Fonte: Centro Lavoro Est Milano «Circa gli sbocchi di chi si rivolge al Centro Lavoro, un buon 60% finisce per fare lavori atipici, mentre il restante 40% trova il lavoro fisso», afferma un’operatrice di questa struttura. Al giugno ‘99, infatti, nell’area di Melzo, il Centro Lavoro aveva favorito 123 rapporti di lavoro così distribuiti: 60 a tempo determinato; 19 contratti di formazione lavoro; 14 rapporti di collaborazione; 11 a tempo indeterminato; 11 ancora come apprendisti e 6 soci di cooperative. «C’è una precarizzazione del lavoro che è in crescendo», dichiara un sacerdote. «Da qualche tempo ci sono capitate diverse persone sui 40-45 anni che erano in cerca di lavoro perché avevano perso quello che avevano e molte di queste persone sono state anche un anno, un anno e mezzo in condizioni di incertezza, lavorando nelle cooperative, facendo turni massacranti. Il dramma è soprattutto di chi essendo avanti in età si vede costretto a tornare ad andare a scuola per imparare un nuovo mestiere». «Qui il lavoro atipico è molto diffuso più per necessità che per scelta deliberata», aggiunge un amministratore pubblico. «Spopolano le cooperative e la figura del socio-lavoratore fasullo è frequente. Un giorno, tra mezzanotte e mezza e l’una, mi è capitato di vedere 100-150 immigrati extracomunitari entrare a lavorare in una civilissima azienda locale per svolgere lavori di facchinaggio. Si tratta di lavori sottopagati, non garantiti, non tutelati». Le operatrici di un’agenzia interinale, da parte loro, fanno notare che «il 40% dei lavoratori temporanei, al termine della missione, vengono assunti a tempo indeterminato dalle aziende che li hanno utilizzati», e pertanto la condizione di precarietà sarebbe per molti solo transitoria. C’è però chi, pur ammettendo che «il lavoro interinale può essere un buon trampolino di lancio per chi è potenzialmente in grado di offrire una professionalità, per cui può significare un periodo di prova e di inserimento», non manca di ricordare che esso «non può certo offrire tranquillità e garanzie». «Per alcuni dei nostri utenti le esperienze di lavoro temporaneo sono risultate interessanti e alcune si sono anche trasformate in lavoro a tempo indeterminato. Questo però è potuto avvenire grazie alle capacità e all’abilità dell’utente stesso», osservano al Centro Lavoro. «Il lavoro temporaneo costringe il lavoratore ad affrontare situazioni nuove e differenti e quindi a mettersi in gioco di continuo. E quando non si è competitivi questo esercizio non può che logorare». Non tutti però condividono simili giudizi e qualcuno preferisce sottolineare gli aspetti positivi di queste nuove forme di lavoro. «Il pretendere un determinato posto di lavoro è stato un errore e ha rovinato il tessuto sociale. Bisogna invece cercare di adattarsi perché in questo modo si riesce a rimediare anche il posto fisso nelle aziende. In questo senso il lavoro temporaneo rappresenta uno stimolo». I lavori atipici , come si sa, si intrecciano spesso con forme di lavoro nero e sommerso. A proposito delle forme di lavoro irregolare, qual è la situazione nell’area dell’Est Milanese e in specifico di Pioltello? «Devo dire che sul nostro territorio di lavoro nero non ce n’è tanto», risponde un operatore del collocamento. «Conosco tante aziende che coltivano ortaggi e che sono in difficoltà perché da noi la manodopera costa moltissimo. Queste aziende sono penalizzate dalla concorrenza di quelle delle regioni del Sud le quali fanno appunto uso di manodopera extracomunitaria. Da noi invece il lavoro nero è sporadico. Tolte le cooperative, qui non ci sono aziende che operano in nero o se ci sono, sono molto rare». Altri però sostengono il contrario. «Il lavoro nero qui è parecchio diffuso, così come lo sono i cosiddetti lavori atipici, e il suo sviluppo è da mettere in rapporto alla caduta occupazionale verificatasi nei grandi insediamenti industriali. Fare una stima diventa difficile, noi riteniamo però che a Pioltello, dove per una serie di ragioni la forza lavoro è dequalificata, ci sia una presenza diffusa di rapporti precari e in nero. Il mondo del facchinaggio, delle pulizie è fatto di questi rapporti e nelle cooperative c’è anche una percentuale di lavoratori che sono soci fasulli». «In molti casi chi svolge lavoro nero incontra difficoltà a uscire dalla situazione in cui si è cacciato. Generalmente si tratta di lavori di pulizia, magari occasionali, di lavori generici. Non è molto diffuso tra i giovani, anche se le vendite per telefono non mancano, mentre viene più spesso praticato dagli adulti, specie dalle donne». Stabilire con precisione l’entità dei lavori atipici è cosa impossibile. Come abbiamo già fatto notare nella premessa, oggi non sono a disposizione strumenti di rilevamento in grado di percepire e monitorare i fenomeni inediti che stanno investendo il mondo della produzione e lo stesso mercato del lavoro. Evidentemente nelle centrali statistiche il postfordismo non è ancora arrivato. Ma è pure da notare che non risultano nemmeno chiare le stesse categorie interpretative di ciò che sta mutando nel mondo del lavoro. Si possono solo azzardare delle stime, per di più a livello macro. Analizzando i dati disponibili, scomponendoli e riaggregandoli ai fini delle riflessioni che sin qui abbiamo svolto, è possibile ipotizzare che alla fine degli anni ‘90 il mercato del lavoro in provincia di Milano fosse configurabile nel modo seguente. Tabella n. 22 Ipotetica configurazione del mercato del lavoro in provincia di Milano a fine anni ’90 (valori percentuali) % su popolazione attiva occupati a tempo pieno e indeterminato 70,0 collaboratori 13% Inps 11,5 disoccupati e in cerca di occupazione 8,0 occupati a tempo parziale 7,5 occupati a tempo determinato 4,0 altre forme di lavoro atipico 1,0 Elaborazioni su dati OML Provincia di Milano e Inps 13. Cambia anche la cultura del lavoro Le forme del lavoro stanno dunque subendo un vero e proprio sconvolgimento. Il posto fisso non è più la forma consueta di entrata nel mercato del lavoro e l’assunzione a vita, quale garanzia esistenziale, ha ormai fatto il suo tempo. E’ il caso perciò di chiedersi come in presenza di un simile epocale cambiamento stia mutando la cultura del lavoro. «L’istinto mi fa dire che da noi la cultura del posto fisso è ancora radicata e diffusa», asserisce un amministratore pubblico che si occupa di orientamento. «Le persone che vengono a chiedere un posto di lavoro fisso sono ancora tante. Però, se devo dare una risposta da ricercatore, devo dire che si sta via via indebolendo. La gente, magari anche controvoglia, si sta adattando alla nuova situazione. Quando qualche anno fa facevo i colloqui per l’orientamento, il tema ricorrente era quello del posto fisso, del posto di lavoro che doveva durare per tutta la vita. Anche i ragazzi di 15 anni ragionavano così. Oggi invece sta entrando nella coscienza della gente che il posto di lavoro è qualcosa di dinamico e che la modalità di entrata nel mercato del lavoro è ormai progressiva; non entri per una scelta da compiersi una volta per tutte. Per far accettare a tutti questo criterio, però, occorre accompagnare il passaggio in atto, perché mi pare di capire, purtroppo, che le competenze sono ancora scarse e il sistema sociale debole». «Noi facciamo inserzioni su Internet e sui giornali e contattiamo spesso le persone. In molti casi, quando diciamo di essere di un’agenzia interinale, ci sentiamo rispondere immediatamente che a loro interessa solo il posto fisso. C’è addirittura chi è in cerca di lavoro e nell’inserzione precisa che non è disponibile per un lavoro temporaneo. Questo è frutto di una cultura ancora molto diffusa. Si ravvedono solo quando li si pone di fronte all’alternativa: o una collocazione anche per poco tempo oppure niente occupazione». «La richiesta prevalente da parte degli utenti del Centro Lavoro, anche di quelli in giovane età, è quella del lavoro fisso e questa preferenza viene spesso dichiarata di primo acchito. Il posto fisso è sinonimo di tranquillità e questa è la ragione principale di tale richiesta. Solo quando facciamo vedere il rovescio della medaglia, cioè evidenziamo come un lavoro che si conclude può essere un buon biglietto da visita per un lavoro successivo, si convincono che può essere presa in considerazione anche un’occupazione a termine. A volte il far capire questo diventa difficile. I giovani però in genere sono ricettivi, le difficoltà si incontrano soprattutto con le donne che chiedono garanzie e soluzioni tutelanti». A confermare l’esistenza di una difficoltà di approccio con le nuove forme del lavoro da parte delle generazioni adulte è anche un delegato sindacale di fabbrica. «I lavoratori di questa azienda faticano a rendersi conto che il mondo del lavoro sta cambiando e che siamo in presenza della crisi del posto fisso anche perché il nostro ambiente è ancora prevalentemente fordista. Qui i casi di lavoro interinale e di altri nuovi tipi di rapporto sono pochi». Fatto è però che tra i disoccupati, anche tra quelli adulti, le disponibilità per prestazioni a tempo determinato e ridotto sono già oggi ampie. I 3720 iscritti alle liste di collocamento presso gli Scica di Melzo e Cassano che hanno partecipato ai colloqui, hanno dichiarato di rendersi disponibili a un lavoro part time per l’85,3%, a un’occupazione a tempo determinato per l’87,2% e a lavori occasionali per il 64,2%. Ma sono soprattutto le nuove generazioni ad adeguarsi con più facilità alla nuova realtà. «I giovani sono i soggetti preferiti per il lavoro temporaneo, sono loro stessi ad andare alla ricerca di una flessibilità molto più ampia al fine di coniugare interessi diversi come la frequenza dell’università piuttosto che la ricerca di approfondimenti formativi». «I giovani di 18, 19 anni sono più aperti e molti di loro vengono qui da noi a chiedere di poter svolgere lavori stagionali nel periodo estivo anche per periodi brevi», afferma l’operatrice di un’agenzia di lavoro interinale. «Questo è il segno di una nuova cultura, di un nuovo approccio con il mondo del lavoro che ancora qualche anno fa non c’era. A far crescere questa disponibilità aiutano molto le esperienze di stage che si stanno ormai diffondendo in molte scuole. Da noi vengono giovani studenti che ogni fine settimana si impegnano a lavorare nei call center, nei telemarket e in altre attività del genere». «Il problema del cambiamento che sta subendo il mondo del lavoro, per esempio la crisi del posto fisso e il dilagare di nuovi lavori precari, saltuari, non garantiti è una preoccupazione più di noi anziani che abbiamo vissuto già delle esperienze lavorative piuttosto che dei giovani», sostiene un operatore della scuola. «Essi si approcciano alle novità con meno ansia, anzi, con normalità valutando serenamente le opportunità che la situazione offre. Si dispongono alla prospettiva di cambiare posto di lavoro più spesso, con spontaneità e sanno di doverselo costruire. Secondo me loro sono predisposti, mentre ad essere preoccupati siamo noi adulti. Noi abbiamo alle spalle una società statica, una società che cambiava ogni secolo, loro invece vivono nella società del cambiamento, in un contesto in cui i processi si susseguono con sorprendente rapidità e di questo si rendono conto e non si sentono a disagio come noi». «A me non pare ci siano conflitti tra genitori e figli causa la crisi del posto fisso, ciò che più importa alla famiglia è che il giovane lavori». Le opinioni a riguardo del rapporto giovani-lavoro però non sempre coincidono. «Gli atteggiamenti dei giovani verso il mondo del lavoro sono diversi e uno tra i più diffusi è quello che considera importante che il lavoro renda, che non occupi tanto tempo e garantisca tempo libero. Essi lavorano in sostanza per la vacanza o per guadagnare tanti soldi». «Io vedo anche diffuso, soprattutto in chi ha studiato, l’atteggiamento che porta a privilegiare ruoli socialmente utili come è il caso dell’educatore professionale, ruolo che richiede un apprezzabile impegno sociale». «Negli anni ‘60 si stava bene con qualsiasi tipo di occupazione perché i giovani di allora erano meno esigenti, anche perché erano meno preparati culturalmente. Quelli di oggi invece sono alla ricerca della qualità del lavoro». «Quando arrivano al nostro ufficio personale per cercare lavoro e vengono a sapere che si fanno i tre turni - dice un dirigente aziendale - i giovani si meravigliano e si dimostrano indisponibili. Magari poi fanno le tre di notte al bar. In questo momento è scemata la cultura del lavoro. Io preferisco i cinquantenni perché mi danno più garanzia da questo punto di vista. I giovani sono più interessati a scegliere tra quello che il mercato offre. Noi ricorriamo agli extracomunitari però questi non sono qualificati. Una volta comunque c’era più voglia di apprendere». «Tra le vecchie e le nuove generazioni c’è proprio un cambio di cultura del lavoro e la questione dell’orario è un aspetto dirimente. Spesso esso costituisce un ostacolo per i giovani i quali tengono alle amicizie e considerano disagiato lavorare a turni. Si fatica a far accettare l’orario a turni oppure a far lavorare il sabato e la domenica e spesso ci sono giovani lavoratori che se ne vanno, magari per fare lavori differenti e anche precari in altri settori». «Posti di lavoro a sette chilometri di distanza non vengono accettati perché non sono sotto casa. A volte passa la voglia di darsi da fare per aiutare alcuni soggetti quando dopo aver individuato un posto di lavoro corrispondente alle loro competenze ci si trova di fronte a un rifiuto. Questo fenomeno si spiega con il fatto che il giovane si sente alle spalle la famiglia dalla quale si stacca sempre più tardi e quindi non ha impellenze tali da dover accettare qualsiasi soluzione. Poi ci sono giovani che pretendono da subito un buon stipendio ed è diffusa la tendenza a non volersi sporcare le mani». «Questo succede anche perché in questi anni si è elargita a piene mani la filosofia secondo cui l’importante è essere flessibili, mentre la specializzazione non esisterebbe più. Se questa filosofia ha fatto comprendere ai giovani la portata del cambiamento in atto, ha anche dato loro modo di pensare che non occorre più essere professionalmente preparati. Succede invece che nel mondo del lavoro si continua ad entrare attraverso l’occupazione di un posto che ha una sua specifica mansione e non perché si è flessibili. Questa è una dote dello spirito che non garantisce la professionalità». Ma come vivono i giovani la condizione di lavoratori atipici ? E’ proprio vero quanto sostiene un esponente della formazione e cioè che «le collocazioni atipiche non vengono vissute ancora molto bene da parecchi giovani, perché la cultura del lavoro fisso non è ancora del tutto superata nella loro mentalità» ? Ecco come si esprime a riguardo del rapporto giovani-lavoro una neo-diplomata che sta facendo l’esperienza di collaboratrice coordinata e continuativa. «In questa società che è dominata dalla competitività è dura a farsi avanti. Intanto occorre scendere a diversi compromessi che spesso mortificano. Uno studente che esce dalla scuola e che non vanta esperienza e competenze si trova ad avere a che fare con persone che approfittano di questo suo stato ed esercitano su di lui molti ricatti. Nel mio campo ci sono moltissimi studi che accolgono i giovani disponibili a fare lo stage gratis per il praticantato, ma che non sono affatto intenzionati a garantire poi l’assunzione nel momento in cui uno supera l’esame di stato il quale consente di firmare i progetti. Uno deve a quel punto arrangiarsi e aprire uno studio per proprio conto. Io oggi ho almeno un minimo, proprio un minimo di stipendio e questo mi consente di non pesare completamente sulla famiglia. Simili difficoltà le incontrano anche i neolaureati e questo è un aspetto di sofferenza per molti giovani. Io lavoro appena da settembre e ho vissuto da poco l’impatto con il mondo del lavoro. Ho un diploma da geometra e ho fatto una specializzazione in arredamento d’interni. Qualche tempo fa ho fatto una settimana di prova in uno studio di geometri e dal momento che sono una ragazza mi è stato detto in modo carino che non andavo bene. Ora lavoro in un altro studio e mi trovo bene perché il titolare mi fa vedere tutto, però lavoro solo al mattino. Non sono assunta, ho invece un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa con la ritenuta d’acconto. Questo studio è aperto da un anno solamente, ci sono delle spese da sostenere e poi ha già degli altri collaboratori, perciò è improbabile che io possa essere assunta. A me piacerebbe lavorare in uno studio e fare la geometra a tempo pieno, però non so quando mi sarà possibile avere un bel posto fisso con otto ore al giorno. Per ora sono precaria e se domani questo ufficio non avrà più la mole di lavoro che ha oggi la mia collaborazione è destinata a cessare immediatamente. Quello che constato parlando con amici e conoscenti giovani, è che questo sistema della ritenuta d’acconto, cioè della collaborazione ha preso abbastanza piede. Per i datori di lavoro diventa molto comodo, per i giovani invece la cosa è diversa. Se è vero che c’è anche chi lo gradisce perché gli va bene, per i più, almeno parlo di quelli che conosco, significa precarietà. Per ora mi fa comodo farmi la mezza giornata e insieme un’esperienza, però davanti a me non ho alcuna sicurezza. Devo solo sperare di trovare qualcuno che mi faccia un’offerta migliore». 14. La problematica condizione di chi lavora Tra gli studiosi delle scienze economiche e sociali è diffuso il convincimento che il nuovo modo di produrre e di lavorare, quello cioè tipico dell’era postfordista, comporti un maggior coinvolgimento dei lavoratori nella gestione del ciclo produttivo e una conseguente loro maggior gratificazione dal punto di vista sia professionale che economico. Quali sono al proposito i giudizi dei lavoratori che operano nella realtà produttiva di Pioltello? Si lavorava meglio ai tempi del fordismo oppure si è più garantiti e gratificati oggi? «Dal punto di vista dell’impatto ambientale, rispetto agli anni passati si lavora sicuramente meglio ora, per altri aspetti invece le condizioni sono peggiorate. Oggi, ad esempio, c’è molta burocrazia, si lavora tutto sulla carta e mentre ieri a fronte di un problema i tecnici si incontravano e discutevano, oggi si mandano le e-mail, usano Intranet. L’informatizzazione ha rinsecchito i rapporti tra le persone». «Qui da noi il coinvolgimento del lavoratore nel ciclo produttivo non c’è, si pretende solo che esso lavori a comando, che mantenga i tempi stabiliti dalla direzione. Mi risulta che in certe aziende, prima di fare certi interventi, si consultano i lavoratori, viene cioè chiesto il loro parere, qui invece questi sistemi non sono mai esistiti, il coinvolgimento non esiste. Vige ancora il classico modo di lavorare secondo cui uno comanda e gli altri obbediscono in silenzio. Tra gli stessi lavoratori non c’è affiatamento, ognuno pensa per sé. Se la nostra azienda è competitiva è anche perché tiene i prezzi più bassi rispetto ai suoi concorrenti e questo lo può fare grazie al non rispetto dei diritti e delle normative. Si lavora più sulla quantità che sulla qualità perciò fanno girare più velocemente le macchine. Spesso noi operiamo con un organico ridotto, sulle macchine dovrebbero essere impiegati cinque lavoratori, invece di solito ce ne sono solo quattro». «Tempo fa come sindacato avevamo accettato di fare la sperimentazione di un nuovo sistema di produttività, ma poi ci siamo resi conto che mentre il lavoro era triplicato, la busta paga era rimasta la stessa e allora abbiamo disdettato l’accordo. A quel punto la direzione è ricorsa all’uso delle cooperative». «Da un po’ di anni noi stiamo lottando sul fronte della ristrutturazione degli orari di lavoro. L’azienda pretende l’introduzione delle 6 ore giornaliere e delle 4 squadre, mentre ora al sabato si lavora solo come straordinario. Fino ad ora la questione della flessibilità l’hanno risolta con lo straordinario, ora vogliono che si lavori in maniera fissa anche al sabato». «Qui c’è gente che proviene da aziende chiuse e che è stata assunta con categorie inferiori e buste paga più basse». «I giovani di Pioltello non fanno le corse a venire qui a lavorare perché la nostra ditta paga poco, oltre al fatto che qui c’è un clima che non gratifica per niente». «Io sono qui da otto anni e prendo ancora la paga di quando sono entrato, quanto cioè prevede il contatto, non ho mai avuto un solo aumento». «Da quando sono arrivato qui ad oggi la situazione è migliorata di poco e quel poco di buono che si è ottenuto è solo grazie al lavoro sindacale che abbiamo fatto. Qualcosa si è mosso, specie a livello di sicurezza. I ritmi di lavoro però sono aumentati». «Mentre tra i lavoratori anziani continua a essere diffusa la vecchia cultura dei rapporti sociali, nei giovani ci sono comportamenti che sottendono la logica della competitività individuale. Per guadagnare di più del compagno di lavoro non esitano a lavorare più di lui». «Succede che gli stessi operai passano sopra il loro diritti per ottenere 50.000 lire in più al mese. Il dio denaro conta sempre più degli ideali». «Qui non c’è una vera mensa, non ci sono degli spogliatoi, non c’è nemmeno un’uscita di sicurezza, non ci sono gli estintori. Ora stanno facendo qualcosa in forza della ‘626’, ma all’inizio era una cosa drammatica. Abbiamo scritto lettere su lettere, ne abbiamo discusso anche con il direttore. In alcuni luoghi di lavoro c’erano più di 40° di temperatura e solo da poco hanno messo l’aria condizionata. Per fortuna di infortuni ce ne sono pochi. Comunque succede che se un ragazzo assunto con contratto di formazione si fa male difficilmente questo sta a casa in infortunio, generalmente entra in malattia. L’azienda non te lo può certo imporre, però ti fanno capire che è meglio mettersi in malattia». «Rispetto alla legge 626 siamo messi male: loro espongono dei cartelli, ma poi le norme non sono rispettate e questo anche perché gli stessi lavoratori non si curano di rispettarle, se ne fregano». «Pur di farsi distinguere dal capo evitano queste misure al fine di risultare più efficienti. C’è la complicità, nonostante si siano fatte quattro assemblee di un’ora e mezza per spiegare la ‘626’. Abbiamo fatto anche i corsi professionali e sono entrati in fabbrica gli specialisti. Eppure la gente se ne frega e questo succede anche perché quel lavoratore che si rifiuta di operare se non vengono rispettate le misure di sicurezza paga poi questo suo atteggiamento in termini di cattiva considerazione da parte dei capi e della direzione». «Fino a poco tempo fa tutti gli infortuni venivano registrati, da qualche tempo a questa parte taluni casi non vengono nemmeno più segnalati e vengono fatti passare per altre cose, questo comporta la complicità degli stessi lavoratori. Le nostre Rls (Rappresentanze lavoratori sicurezza) hanno incontrato grandissime difficoltà non tanto dal punto di vista formale, visto che i comportamenti dell’azienda sono ineccepibili, ma da quello sostanziale perché le responsabilità vengono demandate alle cooperative. Qui da noi il tasso di infortuni è alto e i motivi vanno fatti risalite a due cause: alle molte ore di lavoro e ai turni elevati. Qui c’è gente di cooperativa che fa anche 16-18 ore al giorno, cioè due turni filati e chi si rifiuta di fare orari lunghi viene minacciato di non essere più impiegato». Fortunatamente non ovunque le cose stanno così. «Nel ‘96 noi abbiamo fatto un accordo aziendale il quale non contempla affatto vantaggi economici per i lavoratori legati alla produzione e questo proprio per consentire di migliorare l’ambiente di lavoro e la sicurezza. I premi sono legati al comportamento stesso dei lavoratori verso l’ambiente e la sicurezza: uno viene incentivato se è attento e rispetta le norme». La situazione, nel complesso, è dunque più di disagio che di soddisfazione. Persino chi dipende dall’ente pubblico ha motivo di lagnarsi: «In genere sono sempre stati considerati di più gli impiegati che non gli operai e questo come sindacato non lo abbiamo mai accettato, anche se purtroppo a privilegiare chi è negli uffici è lo stesso contratto collettivo di lavoro». I fattori che determinano questo stato di sofferenza sono ovviamente parecchi e come fa notare un esperto di mercato del lavoro, questa situazione è dovuta anche al fatto che in questi anni «l’occupazione nella grande industria è calata di molto proprio perché oggi l’operaio sul posto di lavoro rende molto di più che nel passato. Oggi viene richiesto un maggiore impegno nelle fabbriche, mentre prima il lavoratore era troppo tutelato». «Qui a Pioltello - osserva un sacerdote - c’è una fetta di gente, che è abbastanza consistente, la quale si fa il mazzo lavorando sodo dal lunedì al venerdì, facendo anche molte ore straordinarie. E’ disposta a sopportare anche grandi sacrifici pur di portare a casa soldi che poi vengono spesi per l’auto da ostentare o per altri beni voluttuari del genere». A determinare questa condizione di disagio concorre anche una difficoltà da parte delle strutture sindacali aziendali nell’aggregare i lavoratori e nell’esercitare poi conseguentemente un ruolo corrispondente alle esigenze di tutela dei loro diritti. «Nella nostra azienda - racconta un delegato - c’è una divisione tra operai e impiegati che si trascina dagli anni ‘60 e mai nessuno ha saputo affrontarla. La direzione dell’azienda è stata bravissima a spezzettare qualsiasi aggregazione. Se si va negli uffici ci si accorge che sono stati disposti tutti a piccoli gruppi e poi c’è la piramide. La logica adottata è quella che tutti devono essere responsabili e in questo modo tutti sono controllabili e controllati». «Abbiamo anche il problema delle elezioni. La nostra è l’unica azienda in Italia che non consente di fare assemblee dei lavoratori se non esiste il delegato eletto che convoca l’assemblea. Ovunque lo possono fare gli operatori territoriali, qui invece esiste un accordo che non siamo mai riusciti a modificare. Da due anni stiamo cercando di svolgere le elezioni, ma con la nuova formulazione che richiede il 50 + 1% nella partecipazione al voto, siamo paralizzati perché è ben difficile che si superi il quorum considerato che dei tanti impiegati presenti nessuno si reca a votare». A complicare ulteriormente le cose concorre poi lo stato di incomunicabilità tra i lavoratori che vengono considerati «garantiti» e quelli che invece sono in condizioni atipiche . «Il rapporto tra noi dipendenti in pianta stabile e i lavoratori delle cooperative è molto difficile. Si può dire che qui ci sono due mercati del lavoro con regole diverse: c’è chi è garantito e chi no. Non ultimo c’è poi anche il fatto che prima di affrontare una vertenza sindacale tu devi ormai fare i conti con culture differenti e questo complica ulteriormente le cose». E a Pioltello, come abbiamo già avuto modo di constatare, di cooperative ce ne sono parecchie e il mercato del lavoro irregolare ha un’indubbia consistenza. «Qui da noi le cooperative fanno facchinaggio e impiegano carrellisti, gente che fa fatturazione e pulizie, in pratica i lavori meno qualificati. Si tratta delle operazioni che sono più soggette ai picchi, ai flussi, quelle più mobili. I colli in arrivo in questa azienda variano di giorno in giorno. Un giorno ne arrivano 40.000, un altro 90.000 e le cooperative hanno il compito di movimentarli. Tutti questi lavoratori sono di fatto soci fasulli di cooperative essendo dei lavoratori subordinati». «Tantissime cooperative trattano i ragazzi in maniera assurda; fanno fare loro degli orari impossibili. Cosa dietro le cooperative ci sia non si capisce bene. Non rispettano nessun diritto del lavoratore. Quando noi assumiamo un ragazzo che ha lavorato con le cooperative dobbiamo attendere dei mesi prima di poter avere la restituzione del libretto di lavoro», raccontano le operatrici di un’agenzia di lavoro temporaneo. «Ad entrare in queste cooperative sono spesso quei giovani che abbandonano la scuola superiore e che a Pioltello sono ancora molti. L’attrattiva dell’immediato guadagno, che tra l’altro facile non è, li mette nelle condizioni di svolgere lavoro dequalificato». «Ci sono anche state diverse cause e sentenze che hanno condannato la nostra azienda per intermediazione di manodopera, però le cose non sono cambiate». Conferma il dirigente di una delle più grosse cooperative di facchinaggio presenti a Pioltello: «Di vertenze sindacali ne abbiamo avute diverse, del resto tutti ci provano, anche certi lavoratori assunti che si sono poi rivelati dei lavativi. Quando si va davanti al giudice, vuoi per quell’ora al giorno e per altro, c’è sempre qualcosa per cui devi pagare. Le vertenze ci sono state e non saranno le ultime, perché per un motivo e per un altro, a volte anche per una parola, ti chiamano in causa». «La presenza delle cooperative a Pioltello è molto forte», precisa un esponente dell’ente pubblico. «Di recente ho scorso l’elenco delle denunce degli infortuni sul lavoro e mi sono trovato di fronte a una lista infinita di casi da cui emerge un mondo del lavoro precario e semi-precario che dà una risposta alle esigenze di reddito senza dare una risposta alle esigenze di lavoro. E’ un mondo del lavoro questo che è decisamente fuori da qualsiasi controllo istituzionale». Posti di fronte alle accuse di non rispetto della legislazione del lavoro, i dirigenti di queste imprese collettive si giustificano. «Quando una cooperativa di facchinaggio perde un appalto viene a trovarsi in mezzo alla strada». «Il rapporto che c’è oggi nella cooperativa è questo: si riunisce l’assemblea dei soci a novembre quando viene presentato il bilancio preventivo; in questa occasione viene discusso e deciso da tutti l’ammontare della retribuzione dell’anno successivo. E’ un’impresa collettiva che si divide i guadagni, ma anche il rischio. Per statuto è comunque stabilito che la retribuzione dei soci non può essere inferiore a quella stabilita dai contratti collettivi». «Un socio che entra da noi deve avere come minimo una quota di capitale sociale di 4 milioni di lire. Oggi abbiamo una media di 7 milioni di capitale sociale a testa». «Noi abbiamo sempre cercato di avere un socio lavoratore all’altezza della situazione, leale e responsabile del posto di lavoro. Noi siamo partiti dal principio che il socio è la nostra fonte di lavoro e se abbiamo dei soci in gamba il lavoro va avanti da solo, se invece abbiamo dei soci che intendono sfruttare la situazione questi creano inevitabilmente dei problemi. Da circa sei, sette anni abbiamo investito sui soci lavoratori. Facciamo sempre le assemblee e li chiamiamo in causa solo quando c’è qualche problema. Nel rapporto di lavoro loro si autogestiscono le ferie e tutto quanto e i capisquadra fanno sistematicamente i loro rapporti. Se c’è qualche problema vengono qui in consiglio di amministrazione». «Di assemblee dei soci ne facciamo come minimo tre o quattro all’anno, compresa quella del bilancio e sono sempre in prima convocazione. Ci troviamo per la cena sociale alla quale partecipano in 200 su 265, l’ambiente è buono e ci troviamo bene. Il problema nostro è come gestire i soci-lavoratori. I nostri hanno quasi tutti gli stessi diritti di un dipendente, sono tutti assunti in regola quasi come un dipendente. Noi siamo controllati ogni due anni, di recente abbiamo avuto il controllo della Lega delle Cooperative, quello della Finanza e poi di un altro ente ancora». «Negli ultimi cinque anni abbiamo avuto tutti controlli possibili: l’ufficio imposte, l’ufficio Iva, l’ispettorato del lavoro, l’Inps, ecc. e a questi abbiamo messo tutto a disposizione. Dalle cooperative spurie invece non ci vanno, non solo perché spesso non hanno la sede, ma anche perché hanno paura, e questo me lo diceva proprio un ispettore dell’Inps». E a riguardo delle rivendicazioni che nei confronti del movimento cooperativo avanzano le organizzazioni sindacali, il presidente di una di una delle più grandi cooperative esistenti a Pioltello afferma: «Il problema che ci viene posto è quello di riconoscere come soggetto contrattuale all’interno di un rapporto sociale l’organizzazione sindacale. Questa richiesta è una contraddizione. Io sono iscritto alla Cgil da sempre e con il sindacato ho sempre avuto un rapporto buono, non solo di appartenenza, ma di suggerimento e di aiuto. Ora che lo si vuole far diventare un soggetto contrattuale nel rapporto sociale cooperativo mi chiedo dove vada a finire la caratteristica della cooperazione e quale sarà il mio ruolo domani. E questo mi pesa». «Il problema - controbatte un esponente sindacale - è che non si riesce a capire, o non si vuole capire, a chi spetta stabilire se queste cooperative sono o no a posto legalmente. Nei fatti esse garantiscono la massima flessibilità e consentono alti risparmi alle aziende sul costo della forza lavoro. Un anno e mezzo fa, noi siamo riusciti a organizzare sindacalmente una cooperativa la quale, prima in Italia, ha avuto il riconoscimento da parte del giudice del lavoro del diritto di organizzazione sindacale del socio-dipendente. Questa operazione dovrebbe essere generalizzata». Ma c’è chi fa notare che «anche le stesse amministrazioni comunali hanno le loro belle responsabilità. Quando fanno gli appalti seguono la logica del massimo risparmio e appaltano certi servizi a cooperative di questa natura il cui scopo è solo quello di speculare. A Pioltello di questi personaggi strani se ne conoscono parecchi». «I lavori vengono appaltati a imprese generalmente al massimo ribasso e io questa cosa non l’ho mai condivisa. Questo tipo di appalti non ha mai garantito la qualità del servizio e occorrerebbe fare dei controlli. Il prezzo non può non essere un fattore importante per un’amministrazione pubblica, però esso deve essere proporzionato alla qualità. In queste cooperative ci sono i soci fasulli che lavorano per dieci, dodicimila lire all’ora. L’amministrazione pubblica non può non sapere queste cose perché appalta lavori a 1617.000 lire e dunque è facile comprendere che il lavoratore viene sfruttato». E a questo riguardo precisa un esponente dell’ente pubblico: «Noi abbiamo ereditato dalla precedente amministrazione una situazione che era deregolamentata esistendo contratti fatti a importi al di sotto dei minimi contrattuali di lavoro. Nel giro di tre anni abbiamo regolarizzato tutto. Ora gli appalti li assegniamo a condizioni tali da garantire chi vi lavora in queste imprese e teniamo conto della qualità del servizio che ci viene fornito. Di recente abbiamo estromesso una cooperativa perché, da quando abbiamo fatto i controlli a monte e a valle, ci siamo resi conto che questa anziché garantire al lavoratore le 26.000 lire orarie, né riconosceva solo 17.000. Era una cooperativa che faceva capo a una nota associazione nazionale. A questo riguardo va detto che in genere, da una lato c’è un’ignoranza dell’amministratore pubblico, dall’altro c’è l’ignoranza e la furbizia dei responsabili di queste cooperative». 15. Livelli di reddito sotto la media provinciale Secondo il comune pensare dei pioltellesi, i problemi che dovrebbero essere affrontati in via prioritaria risultano essere i seguenti: il caos urbanistico; la carenza di infrastrutture, in particolar modo di quelle viarie; la diffusa criminalità e il conseguente problema della sicurezza; la minaccia ambientale causata dalla presenza del polo chimico; la carenza cronica di servizi. A tutto questo si aggiunge un’altra questione, quella cioè relativa alla persistenza di bassi livelli di reddito che, a dire di molti, farebbero di Pioltello una città povera. E’ fuori di dubbio che la vita comunitaria di questa realtà sia segnata da tali caratteristiche negative le quali non solo hanno condizionato il passato, ma continuano ancor oggi a rappresentare un’ipoteca sui suoi sviluppi futuri. Il peso però che viene attribuito a taluni aspetti non certo positivi della realtà pioltellese appare eccessivo e il fatto stesso che soprattutto su di essi venga a concentrarsi l’attenzione generale, comporta il venir meno di una capacità di analisi obiettiva dal momento che tende ad offuscare altri fattori negativi e deleteri pur presenti i quali appunto meriterebbero altrettanta considerazione critica che invece non sempre c’è. E’ il caso di rilevare poi che se ci si sforza di andare oltre certi pregiudizi consolidatisi nel tempo, non è corretto e giusto tralasciare di prendere atto che alcune delle tare e delle inadeguatezze che vengono insistentemente denunciate, sono state nei tempi più recenti oggetto di particolare attenzione e di intervento da parte delle pubbliche istituzioni. E che pertanto alcuni significativi passi in avanti rispetto al passato sono stati pur compiuti. Progressi questi che purtroppo non sempre sembrano essere adeguatamente riconosciuti e apprezzati. Va poi rilevato che, proprio in rapporto alla crescita che in questi anni ha fatto registrare il sistema economico e sociale locale, altri e nuovi fattori oltre a quelli vecchi sono intervenuti a complicare, ostacolare e frenare uno sviluppo qualitativo superiore di Pioltello. E questo, appunto, a detrimento di quella migliore qualità del vivere collettivo e del maggior benessere sociale che vengono unanimemente invocati e auspicati. Quello dell’occupazione e della qualità del lavoro, ad esempio, rappresenta, come abbiamo appena visto, anche se non da oggi, una delle questioni di fondo sulle quali l’opinione pubblica e le forze di governo di questa comunità sono chiamate a prestare un’attenzione maggiore di quanto si è fatto fino ad oggi. Ma oltre a questo enorme problema che investe una consistente parte della realtà sociale pioltellese, sono da sottolineare come deterrenti un progresso ulteriore della comunità locale anche i seguenti fattori: a) la percezione di una scarsa capacità dei soggetti economici e sociali locali di fare coalizione e di agire perciò in sinergia tra di loro e con le pubbliche istituzioni; b) la permanenza di bassi livelli di istruzione e di formazione professionale, unitamente a una carenza di promozione culturale a tutti i livelli capace di favorire una crescita qualitativa del senso comune, secondo le esigenze imposte dai processi di modernizzazione; c) infine, l’acuirsi della crisi del protagonismo sociale e politico che rischia di accentuare ulteriormente il preoccupante processo di disgregazione e di anomia già in atto da tempo. Anche su questi aspetti tutt’altro che secondari, anzi decisivi ai fini di uno sviluppo ordinato, occorre concentrare l’attenzione degli operatori sia pubblici che privati e della stessa opinione pubblica, in modo che vengano individuate le opportune linee di intervento correttivo. Ma vediamo di affrontare con ordine e in maniera possibilmente organica questo insieme di problematiche. E’ scritto in un documento delle Parrocchie di Pioltello: «Lo status sociale dominante è quello del ceto medio-basso, con l’eccezione del quartiere San Felice dove è più alta la concentrazione del ceto borghese». E due nostri interlocutori sostengono a questo riguardo: «La condizione sociale di partenza di questo paese non era neanche quella fatta di classe operaia classica, ma di muratori e di braccianti agricoli e questo ha pesato e peserà sempre. Se uno non è proprietario di terra non è sollecitato a valorizzarla e proprio per questo la realtà di Pioltello è sempre stata di basso livello». «C’è da dire che il ceto sociale di Pioltello è medio-basso e assomiglia molto più alla realtà di Cologno Monzese o di Cinisello Balsamo piuttosto che a quella di Cernusco o di Segrate. Qui c’erano quattro proprietari terrieri che hanno poi venduto e favorito la costruzione di casermoni, mentre a Cernusco ognuno si è costruito la propria casetta sul proprio pezzetto di terra». E a confermare queste interpretazioni sono gli stessi operatori del credito. «La sensazione che io ho è che rispetto a Segrate e a Cernusco, Pioltello vanta una popolazione meno ricca. Nelle prime due città c’è una presenza di imprese molto più estesa. Il reddito prodotto a Pioltello, rispetto all’indice della provincia è inferiore alla media, mentre il reddito distribuito è nella media. La nostra operatività di banca a Pioltello è molto minuta, è cioè tale da poter essere fatta al di fuori dello sportello bancario, purtroppo però qui non si fa uso dei metodi moderni di prelievo. Per questo c’è sempre la coda per operazioni banali, mentre le filiali bancarie vicine non hanno di questi problemi. Questo è indice che a Pioltello probabilmente c’è una popolazione meno ricca che altrove. Comunque il risparmio c’è e la gente oggi è più attenta di ieri nel fare uso del denaro». «La maggior parte dei nostri clienti, quelli che hanno il conto corrente, sono lavoratori a tempo indeterminato, cioè con il posto fisso, però ci sono anche dei giovani che lavorano in cooperative i quali comunque tutti i mesi versano delle somme sul conto corrente. La gente di Pioltello risparmia come si fa altrove, non è né cicala né formica». «Nel complesso, i cittadini di Pioltello vantano una capacità di spendibilità commerciale che è inferiore a quella delle comunità vicine», afferma un esponente della categoria degli esercenti. «Se poi lo si considera dal punto di vista della domanda di assicurazione, Pioltello è una realtà la cui situazione economica è da considerarsi bassa. Io ho 2.700 clienti e quelli che hanno un pacchetto di polizze è un numero molto ristretto. Solo ora si incomincia ad avere l’assicurato sull’automobile che fa anche la polizza di accantonamento, cosa che fino a qualche anno fa era difficile succedesse anche perché onestamente i più non erano in condizioni economiche per farlo. Dalla compagnia di assicurazione cui appartengo, per posizione reddituale polizzeambiente, la mia agenzia era ritenuta buona in forza dell’inserimento di certi clienti. Se però toglievo questo gruppo di clienti particolari, la mia posizione diventava critica. Otto o nove anni fa era uscita una casistica elaborata dalla mia società assicurativa in cui Pioltello, nella graduatoria dei comuni lombardi, figurava tra gli ultimi dieci posti». «Una conferma che a Pioltello risiede un ceto con redditi di basso livello la si ha dalla scadente qualità dei locali pubblici presenti sul territorio. Qui esiste una bassa qualità dei bar e dei ristoranti che si coniuga con una bassa percentuale di domanda e quindi di frequenza di questi luoghi. Su 35.000 abitanti esiste forse un solo locale di un certo tenore e questo è senz’altro indice dei bassi livelli di consumo». In effetti, se si prendono in considerazione i dati sui depositi bancari si ha la conferma dei giudizi espressi. Tabella n. 23 Percentuali dei depositi bancari sul totale della Provincia di Milano. Pioltello, Cernusco, Segrate - 1995-1998 % su Prov.Mi n° sportelli indice residenti ‘95 ’98 bancari (Pioltello = 100) Pioltello 0,32 0,28 8 100 Cernusco s.N. 0,50 0,48 13 83 Segrate 0,70 0,79 25 105 Fonte: Regione Lombardia Bassi livelli di reddito, dunque, ma non solo. «Da noi ci sono anche sacche di povertà e pur se non abbiamo mai fatto delle stime, abbiamo un riscontro di casi. La povertà culturale è tale per cui gli stessi mezzi di sussistenza a disposizione di una parte della popolazione sono estremamente ridotti». «Pioltello è una realtà che vanta la presenza di parecchie famiglie a rischio di povertà. In queste condizioni sono soprattutto le famiglie monoreddito, però ci sono anche famiglie che vantano un doppio reddito le quali non sono proprietarie di casa e hanno dei figli, oppure quelle che si sono indebitate per acquistare l’appartamento e la cui capacità di spesa è molto limitata. C’è gente che risparmia persino sui cibi». «Esistono famiglie di pensionati che vivono con la sola pensione sociale, cioè con poco più di 600.000 lire al mese. Di questa gente, purtroppo, il Comune si preoccupa poco». «Sul territorio di Pioltello ci sono poi delle forme di povertà che sono abbastanza evidenti. Si tratta di famiglie di bassa estrazione culturale che non hanno gli strumenti per difendersi dalla società, che hanno difficoltà a relazionarsi col mondo, che non riescono a essere competitive. Io le considero vittime della società», annota un sacerdote. «Poi c’è tutta la fascia degli anziani che spesso sono unifamiliari e che hanno pensioni decisamente basse. Ci sono quindi persone che lavorano in settori un po’ a rischio e quelli che fanno capo alle cooperative di pulizia e di facchinaggio i quali non sempre vengono chiamati a lavorare. Questa categoria di persone, pur essendo in serie difficoltà, rispetto agli stranieri, chiede anche meno alle istituzioni. Questo lo verifico al nostro centro di distribuzione dove in genere si presentano stranieri, mentre gli italiani sono pochi. Si tratta soprattutto di persone in stato di disagio, in specie donne appartenenti a famiglie che si sono spezzate e che non hanno una specializzazione. Esistono poi donne che fanno prestazioni in famiglie anche benestanti e che vengono retribuite in maniera vergognosa». «Avendo fatto l’assessore ai servizi sociali - dichiara un esponente della precedente Amministrazione comunale - sono venuto a contatto con una realtà che un cittadino medio non ha la minima idea che possa esistere e che, tra l’altro, ancora oggi rappresenta una percentuale alta della popolazione di Pioltello. Il problema nostro non è quello costituito dagli extracomunitari, ma da questa realtà. Non sono in grado di stabilire la percentuale, però è certo che esiste uno strato amplissimo, forse un quarto o un quinto della popolazione che è in condizioni di disagio e di povertà. I processi economici in atto portano inevitabilmente a un aumento delle sacche di povertà. E questo avviene a Pioltello, a Segrate, a Vimodrone, nell’area della provincia di Milano verso la Martesana. E’ una realtà non diversa da quelle che ho visto a Bruxelles, a Parigi, a Madrid, a Zurigo, a Berlino. Dieci anni fa andavo a New York e quello che oggi sta avvenendo qui l’ho già visto in occasione di quei miei viaggi nella metropoli americana. I poveri sono sempre più poveri, i ricchi sempre più ricchi». «Il rischio di povertà è un dato di fatto», asserisce con cognizione di causa un operatore del credito. «Gente che vive con pensioni basse ce n’è di certo e a Pioltello la percentuale di queste persone sul totale della popolazione e forse più alta che altrove». «Il nucleo nel quale lavora solo il capofamiglia e questo fa l’operaio, ha dei figli da mantenere e la moglie a carico, l’affitto da pagare, considerato oltretutto che il posto di lavoro oggi non è più certo come lo era un tempo, ebbene, questa famiglia è a rischio di povertà. Se poi c’è l’automobile di mezzo, lo è ancora di più. Io mi chiedo spesso come le persone facciano ad acquistare l’appartamento con i prezzi che ci sono. A volte, come operatore bancario, mi capita di dover far capire a una persona che è meglio che non gli conceda il mutuo perché il farlo significherebbe metterla in difficoltà per il futuro». Il quadro che viene dipinto dai nostri interlocutori non è certamente incoraggiante, c’è però da rilevare che rispetto al passato, anche su questo versante, le cose stanno migliorando. «Pioltello sta venendo fuori molto bene e molto velocemente anche rispetto ai livelli di reddito», sostiene un operatore della cultura. «Negli anni ‘70 c’era un nucleo familiare di immigrazione numeroso con un solo reddito che aveva dei problemi di sopravvivenza, oggi questa famiglia tipo nella migliore delle ipotesi ha la stessa struttura con quattro o cinque redditi per cui i problemi sociali immediati si sono attutiti». Le testimonianze di recupero sul piano della capacità reddituale della comunità di Pioltello provengono da due fonti. La prima è costituita dalla sensibile modificazione in positivo del rapporto tra il reddito pro-capite dei pioltellesi e le medie provinciali. Non bisogna del resto dimenticare che ancora a metà degli anni ‘80 Pioltello appariva al 209° posto della graduatoria dei comuni milanesi i quali, come è risaputo, a quel tempo erano 247. Tabella n. 24 Reddito pro-capite. Pioltello, Provincia di Milano - 1981-1995 ‘81 ‘95 9.300.000 34.500.000 100 325 4.700.000 23.779.000 indice di crescita 100 506 rapporto Pioltello/Prov.Milano 50,5 78,8 Prov.Milano reddito pro-capite in lire correnti indice di crescita Pioltello reddito pro-capite in lire correnti Fonti: Banco di Santo Spirito e Istituto Tagliacarne La seconda fonte è costituita dal bene casa. «La situazione della casa a Pioltello oggi è positiva, la maggior parte della gente è proprietaria del proprio alloggio. Anche se qui da noi la casa è un po’ una partita di giro, nel senso che la gente prima ne acquisisce una in zone delicate come il Satellite, poi dopo un po’ di tempo vuole migliorare e allora la vende e ne ricompra un’altra in una zona migliore». C’è chi fa notare con una punta di preoccupazione che «le ragazze nere che prima ‘battevano’ i marciapiedi si stanno insediando tutte qui, con quattro soldi si stanno comprando la casa a Pioltello». Sta di fatto che anche il numero della abitazioni in proprietà è cresciuto negli anni e pure questo è un indice di maggiore capacità di reddito e di risparmio. A confermarlo, del resto, è ancora un operatore finanziario. «Oggi sono in molti ad avere l’esigenza di mutui per acquistare la casa. In questi due anni c’è stata la discesa dei tassi di interesse che ha fatto sì che molti affittuari si siano decisi ad acquistare la propria abitazione. C’è una forte ripresa immobiliare e alla banca arrivano molte richieste di mutuo. La casa torna ad essere un bene per cui vale la pena di fare debiti proprio grazie ai bassi tassi d’interesse. Un tempo era difficile sostituire un affitto con un mutuo, ora invece è possibile. La richiesta principale che abbiamo oggi è proprio questa». Tabella n. 25 Indici e valori percentuali delle abitazioni occupate, in proprietà e in affitto. Pioltello, Provincia di Milano - 1981-1991 ‘81 ‘91 abitazioni occupate: indice 100 130 % su totale abitazioni 94,9 95,0 % abitazioni occupate in proprietà 52,4 71,9 % abitazioni occupate in affitto 47,6 28,1 nuclei familiari 100 130 abitazioni in proprietà 100 185 abitazioni occupate: indice 100 130 % su totale abitazioni 93,3 92,2 % abitazioni occupate in proprietà 48,7 65,2 % abitazioni occupate in affitto 51,3 34,8 nuclei familiari 100 105 abitazioni in proprietà 100 141 Pioltello Prov.Milano Fonti: Istat e Regione Lombardia 16. L’insistente domanda di sicurezza e di servizi «Un altro problema che Pioltello ha è che non c’è più sicurezza. Qui gira la droga, girano le armi, al Satellite ci sono ancora quei personaggi famosi, a Seggiano si spara e si fa a botte», denuncia un giovane. «I nostri governanti a livello generale hanno mollato troppo le redini e chissà dove andremo mai a finire», ammonisce un commerciante. La questione della sicurezza, infatti, viene posta in maniera insistente. «Uno dei provvedimenti più importanti e urgenti che dovrebbe essere preso dalle autorità è quello della sicurezza perché i cittadini qui hanno veramente paura. Legato a questo c’è poi quello della circolazione in città durante le ore notturne». «La sera non c’è nessun controllo del territorio e questo è grave. Un comune non molto distante dal nostro ha assunto dei vigilantes per le ore prive di controllo e questo è un fatto molto importante». Ad essere preoccupati non sono solamente i residenti, ma anche alcuni operatori economici. «Nella zona - annuncia il rappresentante di un’associazione degli interessi - abbiamo svolto un’indagine attraverso un questionario distribuito ai commercianti e abbiamo constatato che le preoccupazioni per la questione della criminalità erano tutto sommato abbastanza contenute. Dei tredici comuni interessati all’indagine, però, Pioltello si è distinto per una percentuale più alta della media di commercianti preoccupati. Sul territorio esiste la macrocriminalità, ma i nostri associati temono di più la microcriminalità perché una rapina può tradursi con estrema facilità in una uccisione». E la stessa Pastorale ecclesiastica in un suo documento sottolinea la necessità di «soddisfare il bisogno di sicurezza materiale (spazio di appartenenza)», oltreché quello della «sicurezza spirituale o del senso di identità (spazio di identificazione)», e in conseguenza di «darsi delle regole e farle rispettare». «Noi abbiamo avuto una rapina anche se non violenta da parte di due orientali e mia moglie si è spaventata parecchio», racconta un commerciante. «Di violenze non ne ho mai subite - aggiunge un altro - però anni fa mi hanno rubato due o tre volte la merce, cosa che ora non ruba più nessuno». «Noi abbiamo subìto anche dei furti - avverte il dirigente di un’azienda di Seggiano - e abbiamo dovuto assumere dei vigilantes e ricorrere ai sistemi di allarme. Specie la sera questa zona è deserta e qui ci sentiamo isolati». «Nella nostra agenzia c’è stata una rapina tre anni fa, da allora però non è più successo nulla. Il problema della sicurezza lo sentiamo sollevare dai nostri clienti», afferma un direttore di banca. A Pioltello ci sono stati però anche dei fatti di una certa gravità. «Di recente c’è stato l’omicidio del barista all’angolo di via Bellini è questa vicenda ha colpito a fondo la coscienza dell’opinione pubblica». Poi c’è stato anche un tentato omicidio, come ci racconta la sua stessa vittima. «Un signore di 59 anni che cercava lavoro e per il quale io mi ero impegnato a trovarglielo, perché mi dispiaceva di vederlo in quella condizione, il 19 marzo dell’anno scorso mi ha fatto la festa, si è presentato qui in cooperativa e fuori all’entrata, dopo avermi rimproverato di averlo preso in giro per un mese, ha estratto la pistola e mi ha sparato scaricandomi addosso tre colpi. A salvarmi è stato il telefonino, comunque sono stato in rianimazione quindici giorni. Non gli ho assicurato un posto di lavoro fisso e lui evidentemente ha perso la testa». Nel rapporto di ricerca sulla criminalità che l’Amministrazione comunale ha di recente affidato a un gruppo di studio specializzato è tra l’altro detto: «Cosa nostra, ‘ndrangheta, Camorra, Sacra corona unita e Stidda sono tutte presenti sul territorio milanese. Nell’area metropolitana agiscono tuttora gruppi criminali appartenenti a tutte cinque le organizzazioni mafiose italiane. Tra le diverse mafie è sicuramente la ‘ndrangheta calabrese quella che è stata capace di svilupparsi di più. I mafiosi calabresi infatti rappresentano sicuramente più della metà dei mafiosi presenti nell’area milanese. L’aspetto più interessante per un mafioso nella realtà milanese è quello della droga». Infatti, sembra essere proprio «il narcotraffico la principale attività dei mafiosi presenti a Pioltello. Il gruppo dei caulonesi (Caulonia - RC) è ben conosciuto nel territorio di Pioltello». Non è dunque un caso che «Piazza Garibaldi si presenti tutt’oggi come una sorta di bunker inaccessibile, tendenzialmente autogovernato, in cui la presenza delle istituzioni è pressoché nulla». «Al Satellite - invece - un tempo abitavano famiglie i cui membri entravano e uscivano da prigione in continuazione e si conoscevano pubblicamente anche i nomi. Un tempo via Cilea era sempre alla ribalta della cronaca nera». «Per fortuna, però, ora non è più così. Di malavitosi ce ne saranno ancora, ma mediamente non più di altri paesi. Forse qui avranno il terreno più fertile perché c’è una storia alle spalle. Quelli che ora preoccupano sono gli immigrati non in regola, quelli che spacciano e che sono i più brutti». «Al Satellite lo fanno con discrezione, sono bravi perché si autoregolano: di macchine ne rubano non più di tante, di furti negli appartamenti ne fanno in numero ridotto». «Bisogna comunque ammettere che ultimamente la situazione è migliorata. Rispetto a tre o quattro anni fa, sarà perché li hanno individuati o per altra ragione, fatto è che si verificano meno furti. Comunque sia, il bisogno di tenere sotto controllo il fenomeno esiste ancora». Che le cose vadano meglio è una conclusione alla quale è giunta la stessa ricerca sulla sicurezza. Infatti, essa conclude: «La città di Pioltello è soggetta a un numero sempre minore di abusi e molestie da parte dei suoi principali utenti: i cittadini. Il processo di ‘riconciliazione’ tra Pioltello e i pioltellesi è in fase di progressivo consolidamento». E questo fa dire a qualcuno che se «dal punto di vista della criminalità è pur vero che a Pioltello sono successi episodi che hanno fatto cronaca, la situazione oggi non appare molto differente da quella di altri comuni della cintura milanese». Tabella n. 26 Numero dei delitti per 100.000 abitanti. Pioltello, Provincia di Milano, Lombardia - 1996* n° delitti x 100.000 ab. Lombardia 5.265 Provincia di Milano 7.732 Pioltello 3.157 * Il 1996 è l’anno in cui a Pioltello si è registrato il più alto numero di delitti rispetto al 1997 e al 1998. Fonti: Regione Lombardia ed elaborazioni del Gruppo Abele su dati della Prefettura di Milano «Rispetto alla questione della criminalità e della sicurezza va detto che c’è stato un periodo, esattamente a metà degli anni ‘70, in cui si diceva che nel carcere Beccaria, che a quel tempo conteneva dalle 150 alle 180 persone, più della metà degli ospiti fossero ragazzi di Pioltello. E’ chiaro che questo era un segno di una situazione per nulla tranquillizzante. Però, anche alla luce di questo dato che testimonia lo stato di malessere di quel tempo, Pioltello non era affatto dissimile da una serie di comuni dalle identiche caratteristiche sotto l’aspetto della criminalità. Se è pur vero che le cronache dei giornali riportavano le vicende di Pioltello con un alone di negatività, non è che andassero meglio le cose negli altri comuni. Il problema è che a Pioltello non c’era nulla da contrapporre in alternativa a questo fenomeno, il paese faceva notizia solo per questo». Il fatto che il clima sia migliorato non giustifica certo un eventuale disimpegno sul fronte della prevenzione e della vigilanza, considerato che a Pioltello continua comunque a essere diffusa la microcriminalità. «Qui ci sono rioni nei quali, come assicuratore, devo entrare con attenzione. Spesso mi arrivano qui in ufficio ragazzi con un pacco di centomila lire per fare l’assicurazione integrale e io devo rifiutare la richiesta. Ho una clientela che devo salvaguardare e che non posso compromettere. Tra il ‘73 e il ‘75, quando avevo da poco assunto in carico l’agenzia, ricordo che la mia compagnia, su 60 milioni di premi complessivi me ne cancellò 30 perché certe auto che assicuravo in via Galilei piuttosto che al Satellite mi creavano due, tre sinistri all’anno ed erano tutti riferibili all’uscita o all’entrata nei parcheggi. Erano i tempi più brutti, quando l’inserimento per un meridionale risultava difficile». E oltre a una sempre più efficace lotta alla criminalità viene reclamata da molti nostri interlocutori anche una più assidua vigilanza urbana. «La sera e il sabato ci sono degli automobilisti che percorrono vie a senso vietato e la vigilanza non c’è. I vigili sono in funzione solo durante la giornata e se li si chiama, quando va bene, arrivano dopo un’ora che è successo il fatto. Questo vale anche per i carabinieri». «Nei parcheggi si possono vedere addirittura per settimane e anche per mesi auto rubate, con i vetri rotti, addirittura bruciate senza che i vigili vi facciano caso». «Ho notato che se un vigile viene mandato a presidiare una scuola è come se avesse il paraocchi; non vede niente, non dirige, non dimostra perspicacia». Qualcuno giustifica questa carenza di vigilanza facendo notare che «ogni comune dovrebbe avere un vigile ogni ottocento abitanti, ma a Pioltello non ce ne sono tanti quanti ce ne dovrebbero essere, l’organico è inadeguato, perciò ci sono dei disservizi». Una critica che invece sembra non trovare né giustificazioni né attenuanti è quella relativa alla inadeguatezza dei trasporti pubblici extraurbani, in particolare di quelli riguardanti il collegamento con le strutture sanitarie e con la città di Milano. «Quello che soprattutto manca qui sono i trasporti. Non c’è un collegamento con la metropolitana e con gli ospedali. Se io vado a Cernusco so quando c’è e dove passa un mezzo di trasporto pubblico. Qui a Pioltello non è così. Soprattutto per noi anziani quello dello spostamento è un problema serio». «Non c’è un mezzo di trasporto che da Pioltello porti all’ospedale di Cernusco. Io non ho la patente e se domani mio marito dovesse essere ricoverato in ospedale mi troverei in grande difficoltà». «Lo stesso discorso vale per i collegamenti con l’ospedale di Melzo e con il San Raffaele che è ormai diventato l’ospedale di Pioltello. Anzi, per raggiungere questi luoghi è ancora più difficile». «Abbiamo sempre avuto i pullman e anche se erano da far west sono sempre stati tanti. A Limito un tempo oltre alla stazione c’era il tram che passava sulla statale e c’erano delle reti di collegamento molto valide, oggi invece non c’è più niente». Ma a lamentarsi della carenza dei mezzi di trasporto pubblico non sono solamente gli anziani. «Chi va a Milano è ancora fortunato, mentre chi deve andare a Monza deve affrontare un’avventura. Ho un figlio ingegnere che da tre anni va a lavorare alla Malpensa e al mattino deve partire alle 5 per poi tornare la sera alle 20 proprio a causa della mancanza di mezzi di trasporto funzionali ed efficienti». «Io vengo da Como ogni giorno e non posso utilizzare il mezzo pubblico per arrivare qui, la metropolitana non vi arriva». «Questa zona è ben attrezzata come viabilità automobilistica, a livello di trasporti pubblici invece è scarsamente servita. Quando capita che qualche cliente proveniente da Milano deve venire da noi, questi si trova in grande difficoltà». «I candidati che vengono da fuori Milano - fa notare l’operatrice di un’agenzia interinale hanno difficoltà a raggiungere questa zona perché non è ben servita dal trasporto pubblico e anche questo è un fattore di difficoltà per chi cerca lavoro. Gli stessi collegamenti tra Pioltello e Segrate, tra S. Felice e Segrate sono difficoltosi e se abbiamo un candidato che ha le competenze, che ha voglia di lavorare, ma che non ha l’automobile è ben difficile che questo accetti un posto di lavoro presso un’azienda del luogo. Questo è un problema davvero tragico per questa zona». E a riguardo dei servizi pubblici in genere le insoddisfazioni e le lamentele non si esauriscono. «La posta di Pioltello fa schifo, tant’è che io vado a Cernusco. Oltre alle code ci sono degli impiegati maleducati». «Forse è perché lavorano in uffici situati in buchi perfidi, indegni di avere quella funzione e allora si sono abbruttiti anche loro». «Il Comune dovrebbe intervenire per creare una struttura che informi e che aiuti le persone a fare il vaglia postale, perché c’è gente che non è capace di farlo». Poi «a Pioltello mancano le strutture per gli handicappati». «Non c’è una ludoteca spaziosa da mettere a disposizione non solo dei ragazzini, ma anche delle mamme, perché il disagio familiare e la mancanza di luoghi di socializzazione da noi sono molto forti. E a soffrirne sono soprattutto le donne, anche perché in virtù di come è nata e cresciuta Pioltello, mancando le scuole e certi servizi, sono riuscite a qualificarsi professionalmente in poche. Oggi sono molte le donne che sono ‘in giro’ nel senso che non hanno modo di occupare il loro tempo perché, a parte quello domestico, sul territorio di lavoro femminile ce n’è poco. Ci sarebbe bisogno di trovare perciò un luogo dove far ritrovare bambini e mamme per ricostruire un po’ di questi momenti di socializzazione. Le mamme non sono abituate a partecipare ai giochi dei loro bambini e noi lo constatiamo quando organizziamo le nostre iniziative. Pensare dunque a uno spazio grande dove far interagire bambini e genitori sarebbe l’ideale, soprattutto per un quartiere come il Satellite. Pensare a una ludoteca significa anche dare delle opportunità alle donne di crearsi qualcosa, anzi, potrebbe essere gestita proprio dalle mamme stesse. Sicuramente si creerebbero degli stimoli che avrebbero un beneficio sugli stessi figli. Dal punto di vista familiare qui a Pioltello c’è una sofferenza che è terrificante. Non è che qui ci siano fenomeni di asocialità, c’è invece bisogno di creare qualcosa che metta insieme la gente. E questo vale per tutta Pioltello, compresa la Pioltello vecchia, cioè la Pioltello ‘bene’». E sempre a riguardo dei servizi pubblici, il dirigente di un’impresa sottolinea l’opportunità della realizzazione di una mensa in una località di Pioltello molto frequentata e della quale potrebbero trarre beneficio molti lavoratori di quella zona, ma non solo loro: «Qui ci sono molti dipendenti che sono costretti ad arrangiarsi in qualche modo e poi ci sono anche molti camionisti che vanno e vengono e l’ipotesi di realizzare un piccolo ostello con una mensa non è del tutto fuori luogo. Rappresenterebbe a mio avviso un grosso affare, perché anche la notte molti camionisti sono costretti a dormire in cuccetta. C’è gente che si fa addirittura da mangiare con il fornellino elettrico. Ora c’è un camioncino che fa sosta e distribuisce i panini ed è sempre pieno di gente». Le cose da fare, come sottolineano i nostri testimoni, sono parecchie, va però anche ricordato che a riguardo dei servizi sociali e pubblici Pioltello non è affatto all’anno zero. Uno stesso critico delle stato di cose presenti ammette: «Va riconosciuto però che negli ultimi anni la qualità dei servizi è migliorata; qui ci sono due asili nido, poi c’è la piscina». Soprattutto, «c’è un servizio che l’Amministrazione comunale sta offrendo ai cittadini più disagiati il quale rappresenta la prima sperimentazione compiuta sul territorio italiano. Per 24 ore su 24 è in funzione un telefono, un numero verde che non costa nulla, che ti può dare una mano se ne hai bisogno. La centrale operativa fa capo a una società svizzera la quale ha maturato una lunga esperienza nel settore dell’assistenza. Il servizio assicura il pronto intervento del medico, dell’elettricista, dell’idraulico, ma in determinati casi anche dello psicologo e della guardia giurata. L’onere finanziario di questo servizio se lo è completamente assunto il Comune. L’esperimento è stato avviato nel giugno del ‘99 e ogni mese io ricevo un resoconto degli interventi effettuati il quale serve anche a identificare le vie dove succedono i furti o accadono avvenimenti particolari e funziona, in sostanza, anche come monitoraggio. In un anno ci sono stati 60 interventi e in verità non sono molti, mentre sono state numerose le chiamate di assistenza e per chiedere spiegazioni. I dati ridimensionano il diffuso convincimento che a Pioltello siano estesi i fenomeni di criminalità, ma sottolineano l’esistenza di una discreta domanda di assistenza per servizi di tipo casalingo (dall’idraulico all’elettricista). Noi abbiamo in sostanza messo a punto un network che fornisce informazioni e addirittura preventivi per gli interventi richiesti. Ora questo servizio lo stiamo ampliando e per tre mesi lo sperimenteremo anche nei negozi». 17. L’uso irrazionale del territorio e il problema degli alloggi Anche a riguardo del modo in cui nel passato è stato fatto uso del territorio e della sua programmazione le insoddisfazioni sono parecchie. «Il centro storico a Pioltello non c’è, a Limito dicono di averlo fatto, ma dov’è? Con il centro storico si riempiono la bocca, buttano fumo negli occhi alla gente». «Pioltello non ha un centro storico, e perché non ce l’ha? Perché qui nel 1400, 1500, 1600 nessuno aveva i soldi per fare un centro storico». «Pioltello ha una chiesa senza piazza e un paese senza piazza è un paese disperato e significa che c’è qualcosa in esso che non funziona». «Il centro storico di Pioltello è una cosa oscena, hanno rimesso a posto le case, ma sono rimaste brutte lo stesso». «Pioltello è costruita da sei sestieri o da sei rioni che non sono coesi; la parte vecchia che è il ceppo storico sopravvive disperatamente perché non ha un ruolo». Limito poi, «è tagliata fuori dalla ferrovia, in via Monza c’è solo il sottopasso. Si è avuto uno sviluppo quando si sono insediate le aziende del polo chimico che hanno creato dei posti di lavoro, però poi lo sviluppo si è bloccato anche a causa delle lamentele per l’inquinamento». «Limito ha una grossa penale, cioè quattro confini ben delimitati: la ferrovia, il polo chimico, la rivoltana e un progetto di espansione urbana sull’altro lato il quale prevede la costruzioni di abitazioni prevalentemente di lusso e poi un’area commerciale. A breve partirà il progetto di raddoppio della rivoltana che ci separa da quest’area e sarà come raddoppiare la barriera. Andando verso Milano, Limito va a morire contro quei capannoni che sono tutti adibiti a magazzini e depositi. In sostanza è una realtà chiusa». «E’ una realtà tutta da rivedere. Come si fa a fare un centro storico se la via Dante è a senso unico?». Ma anche «Seggiano è cresciuto in modo raffazzonato come Dio ha voluto. Ora poi qualcuno ha avuto la bella idea di far edificare in un’unica zona destinata a ville dei palazzi di quattro o cinque piani, cioè si costruiscono ancora case popolari in mezzo a case destinate a gente non povera». «L’aspetto peggiore è che nel passato dentro la città si sono insediati capannoncini un po' qua e un po' là. C’è stato uno scempio con gli insediamenti delle aziende di autotrasporto che hanno stravolto Limito e la via Dante e la cui situazione appare antidiluviana dal punto di vista dell’organizzazione di un territorio. E’ chiaro che ora queste aziende ci sono e non si possono cacciare via, con loro si deve convivere e anche per l’Amministrazione comunale gestire una simile situazione non diventa cosa semplice», commenta un esponente politico dell’opposizione. «Si deve pianificare lo sviluppo territoriale così come hanno fatto a Cernusco, a Segrate e in altri comuni lungimiranti». Per poter dare ordine «bisogna però mettere in condizione le aziende di spostarsi sul territorio stesso del comune. Quelle che si trovano in mezzo all’abitato sono impiccate e la loro situazione è un non senso. Bisogna bonificare e trovare un punto di incontro degli interessi in gioco affinché siano spostate all’esterno con tutte le garanzie del caso». A riguardo della programmazione urbanistica il manager di una grande impresa insediata a Pioltello sostiene: «Il territorio deve diventare competitivo e interessante, bisogna però che le persone si rendano conto che non è possibile cambiare il contesto entro cui Pioltello è cresciuta. Ciò che occorre è favorire un equilibrio e l’Amministrazione pubblica deve assolvere al compito di far convivere i diversi interessi che in certi casi sono contrapposti». E un altro operatore economico osserva: «Dal punto di vista economico-imprenditoriale Pioltello non ha ancora sviluppato le potenzialità che ha. Se si vuole mettere in piedi un’azienda qui non c’è una zona industriale omogenea». Mentre un libero professionista fa notare che «a Pioltello non c’è un solo palazzo destinato agli uffici, tutti quelli esistenti si trovano al piano terra e hanno dovuto essere sistemati nei buchi disponibili. Io, ad esempio, ho un ufficio che è diviso in tre parti. Non c’è poi un centro direzionale quando intorno a noi li troviamo ormai ovunque». Tabella n. 27 Superfici territoriali destinate alla produzione e aree dismesse - 1987-88- 1997 ‘87-’88 ‘97 Superfici territoriali produttive (ha) 91,8 121,8 aree dismesse (mq) 4.794 6.000 Fonte: Cciaa di Milano Se si prendono in considerazione i dati relativi al territorio destinato alle attività produttive e quelli riguardanti le aree dismesse che sono disponibili per la reindustrializzazione, ci si rende conto che non è affatto mancata in questi anni recenti la volontà di favorire gli insediamenti e che pure esiste sul territorio una sia pur modesta disponibilità di edifici vecchi da ristrutturare. Osserva un operatore pubblico non di Pioltello: «La struttura urbanistica di questa città è fatta di quartieri popolari dormitorio ed è una realtà dura da amministrare». In effetti, «Pioltello ha fatto registrare nei decenni trascorsi una continua costruzione di case popolari, Gescal, Ina-case, case in 167, di edilizia economica popolare», sostiene un amministratore pubblico degli anni ‘70. «E’ una città di 35.000 abitanti molto simile a Cinisello Balsamo, Sesto S. Giovanni, Cologno Monzese. Qui c’è tutta povera gente, non c’è un solo industriale che risieda qui, non c’è una villa che sia degna di questo nome». «Allora ad amministrare Pioltello c’era la Dc che è rimasta al governo fino agli anni ‘70 rammenta un esponente politico di sinistra - ma non si può certo dire che le giunte ‘rosse’ che sono succedute non abbiamo perpetuato quella stessa logica, anzi, l’hanno cavalcata assegnando una parte preminente dei terreni alle cooperative popolari e giustificando quelle scelte con un bisogno di case che sicuramente c’era, ma che non legittima certe politiche edilizie che sono state poi attuate». «Questa era la Stalingrado lombarda», controbatte un nostro testimone che si colloca in un’area politica opposta. «Prima c’erano i democristiani, poi sono andate al governo le sinistre e a quel punto il Comune ha costruito case popolari in misura maggiore di tutti gli altri comuni d’Italia. Le giunte social-comuniste hanno dato tutti i terreni alle cooperative attraverso la 167 e di conseguenza hanno portato qui tutto un ceto popolare». «Gli stessi uomini della sinistra riconoscono che nei venticinque anni di governo socialcomunista a Pioltello sono stati costruiti palazzi piccionaie». Ma anche laddove è intervenuta l’iniziativa dei privati le cose non sono andate molto diversamente. Ricorda un libero professionista: «A Seggiano, io amministravo condomini e avrò venduto almeno 400 appartamenti con etti di cambiali per non dire chili, per altro tutte onorate. Si trattava di gente che magari saltava il pasto ma pagava la cambiale, lavoratori seri, gente onesta. C’erano famiglie che dopo aver acquistato con sacrifici enormi l’appartamento, si preoccupavano di acquistarlo per i propri figli. Erano meridionali immigrati che avevano voglia di lavorare e avevano bisogno di inserirsi». «Bisognava invece offrire la possibilità di costruire case di qualità per tentare di portare qui personaggi che qualificassero questa realtà comunale». «Un conto era la casa in affitto e un altro quella in proprietà per la quale la gente veniva legata a un mutuo per vent’anni e quindi condizionata. Tutto sommato le cooperative hanno assolto a un grande compito per i primi tempi, ma poi hanno procurato problemi nella destinazione del territorio che poteva essere gestita meglio, questo almeno con il senno di poi. In sostanza, poteva esserci un ordinamento diverso». Un dirigente del movimento cooperativo precisa che «tutte le Amministrazioni comunali di sinistra che hanno governato il Comune di Pioltello dal ‘72 in poi, con il solo intermezzo della giunta leghista, cioè dal ‘93 al ‘97, hanno sempre favorito lo sviluppo del cooperativismo». «Qui sono presenti molte cooperative non locali», chiarisce un attento osservatore della realtà locale. «L’unica cooperativa del posto è stata quella costituita da don Civillini che ha costruito alcune case e poi si è bloccata. Si è trattato delle prime case costruite in cooperativa a Pioltello e non si è mai capito perché si siano poi fermati. Localmente non c’è mai stata una cooperativa forte, qui ci sono sempre state delle diramazioni delle grandi cooperative, mentre a Cernusco esiste la famosa cooperativa ‘Costante’ che è una potenza e che è nata con capitali e con mentalità manageriali cernuschesi. Qui ci sono le grandi cooperative che hanno beneficiato di piani regolatori pilotati e che in quegli anni si sono spartite le opportunità costruendo case di bassa qualità. Chi entrava in quelle case, spendeva una barca di soldi, si impegnava e alla fine si ritrovava una casa che dopo trent’anni era da buttare giù. Hanno costruito le case a tunnel, in cemento armato, le quali oggi devono essere risistemate. In questi casi ci sono state senz’altro delle responsabilità politiche importanti». Simili giudizi, ovviamente, non sono condivisi da chi del movimento cooperativistico è stato protagonista e fautore. «A Pioltello esistono altre cooperative, ad esempio legate alle Acli che hanno fatto in maniera positiva degli interventi, così come li abbiamo fatti noi e in modo sporadico li hanno fatti altri. La Cooperativa del popolo di Limito è arrivata ad avere 1.500 soci ed ha assegnato direttamente circa 400 alloggi e in collaborazione con altre cooperative altri 500-600. Gli alloggi costruiti a Pioltello da tutte le cooperative qui esistenti saranno più di 2.000, cioè un quinto delle abitazioni di questa città. Questo è un aspetto storico positivo. Tre o quattro anni fa la nostra cooperativa ha fatto richiesta di poter far parte dell’albo delle cooperative, cioè di godere della certificazione che viene rilasciata dal Ministero del lavoro e la quale attesta che abbiamo sempre operato con intelligenza e rispettando le norme. Per quel che ci riguarda noi abbiamo sempre lavorato con la Lega delle Cooperative che è stata per noi un valido referente. La nostra è stata una delle prime cooperative che oltre a costruire alloggi ha realizzato box in edilizia convenzionata con il Comune. Ne abbiamo costruiti 180 nel sottosuolo. Ci sono poi state altre due cooperative che hanno fatto la stessa cosa. Sicuramente la cooperazione ha dato una risposta importantissima al bisogno di acquisizione di case da parte di chi ha un reddito basso. L’ultimo intervento l’abbiamo fatto in piazza Schuster dove, nel ‘96, abbiamo consegnato gli ultimi alloggi. Attualmente abbiamo oltre 300 soci che ci stanno chiedendo case in cooperativa. Il 95% di questi sono di Pioltello e sono o inquilini in affitto oppure proprietari di casa con la necessità di alloggi più grandi. Noi abbiamo dato casa a genitori e a molti loro figli. Questo risultato ci ha soddisfatto e ha gratificato il nostro impegno sociale dal momento che la cooperativa non ha scopi di lucro. Le prospettive odierne sono quelle di gestire l’area di 167 che ci viene destinata dal prg per costruire nuovi alloggi e per questo abbiamo già iniziato le preiscrizioni. Per il futuro speriamo di avere la possibilità di operare finalmente oltre l’ambito della costruzione degli alloggi e conseguire invece altre finalità sociali. Le vicende di ‘tangentopoli’ che hanno pure investito la realtà di Pioltello non hanno toccato il mondo cooperativo. Qualcuno c’è cascato dentro, ma non perché legato al movimento cooperativo. Al di là di qualche problema non abbiamo mai avuto traumi di quella natura». Un altro aspetto sempre relativo alla questione degli alloggi e su cui viene manifestato da più soggetti un senso di disagio e di preoccupazione è quello relativo a una diffusa presenza del subaffitto. «Qui a Pioltello è diffusa la pratica del subaffitto, specie in zone come il Satellite e piazza Garibaldi, e investe in particolare il mondo degli extracomunitari. Da parte dei vigili urbani sono state fatte anche delle retate e in alloggi di due, tre locali sono state trovate stipate anche dieci persone. La cosa grave è che a subaffittare sono le stesse persone che in tempi non lontani si sono trovate nelle medesime condizioni di sfruttamento. Subaffitti fatti da poveri cristi a poveri cristi sono purtroppo vicende ricorrenti. Quali dimensioni abbia questo fenomeno però non sono in grado di stabilirlo, so che ci sono stati periodi in cui venivano affittati anche i box come luoghi dormitorio». «Qualcuno dà via l’appartamento a 1.500.000 lire al mese e chi ci va dentro o non paga più o per poter pagare quella cifra deve farne un uso illecito. C’è chi ospita 8-10 persone a dormire e piglia un sacco di soldi, fa lo speculatore, l’usuraio. E così il Satellite diventa un porto di mare e a pagare sono quelli più tranquilli». «Se dovessero fare un censimento al Satellite si accorgerebbero che nel giro di sei mesi cambia continuamente il tipo di extracomunitari presenti. Prima erano i marocchini a vivere stipati in venti in un solo appartamento gestito dal meridionale che a sua volta in Germania aveva vissuto una vicenda di ricatto. Ora i marocchini sono diventati muratori e guadagnano abbastanza bene e se ne stanno andando. Poi sono arrivati quelli del Bangla Desh che si sono comprati la casa, infine gli albanesi. Mentre i palazzi esterni del Satellite sono belli perché hanno degli spazi enormi di verde, all’interno ci sono le due torri che non avrebbero dovuto esistere e che sono delle cose pazzesche. Sono questi i luoghi dove si insediano i disperati e dove avvengono frequenti passaggi di proprietà. Dall’interno si passa all’esterno e poi da qui si investe altrove. Molta gente che è venuta da Milano e che si era comprata l’appartamento al Satellite, quando si è resa conto che il suo vicino non era più il milanese, ma l’extracomunitario, si è fatta la villetta a schiera altrove». «Non è certo semplice, ma bisognerebbe impedire ai proprietari di queste case di compiere questi atti», suggerisce una nostra interlocutrice. E altri ancora osservano: «Gli amministratori per rimediare tutto dovrebbero buttare giù piazza Garibaldi e le torri che sono nel centro del Satellite». «Di questo dovrebbero farsene carico le autorità. Occorre selezionare la gente che entra, anche se capisco che questo non è facile perché prima lo deve fare il proprietario e poi deve anche intervenire la gente e le autorità». «Il sindaco è intervenuto proibendo l’insediamento qui della casa da gioco, però quello era un negozio dove la gente va e viene. Un’abitazione è invece un’altra cosa, li ci stanno in permanenza. Dipende dal buon senso della gente». Dopo di che, come fanno notare alcuni nostri interlocutori residenti al Satellite, esiste anche il «problema delle insolvenze che penalizza le famiglie oneste». «Noi qui siamo in 220 famiglie e tra queste ci sono cinque o sei persone che non pagano e gravano sul condominio. A buttarli fuori non si può e qualora si tentasse di farlo si impiegherebbero dieci anni. Per le opere straordinarie questi gravano su tutti gli altri. Spesse volte ci sono degli amministratori che dovrebbero darsi da fare per risolvere simili questioni e invece non lo fanno. Conosco gente che fa sacrifici, suda sette camice per stare qui. In questo condominio noi abbiamo pagato due volte le ristrutturazioni in quattro anni e ancora non è finita. Io personalmente ho speso 52 milioni di lire per la ristrutturazione e non ho avuto neanche pulito il balcone di casa. A chi ha l’appartamento, quando rifanno i frontalini del balcone, deve pagare 6-7 milioni di lire. Ci sono più spese straordinarie che ordinarie e questa è la ragione per cui l’appartamento non rende più. A quel punto uno si stufa e vende. E di casi del genere se ne sentono raccontare tutti i giorni». «A questo punto entrano i faciloni, quelli che dicono che pagano e poi non lo fanno. Ora ci sono i marocchini , gli albanesi e così via. Al Cilea 1 c’è un gruppetto di belle famiglie tra cui un dottore che nel condominio ha fatto molte spese, ha messo il riscaldamento autonomo. Sopra di lui però c’è una squadra fatta di gentaglia che ne combina di tutti i colori e di notte non riesce a dormire. Ora ha deciso di mettere in vendita l’appartamento e così facendo lo butta via. Succede che la parte buona della popolazione del Satellite se ne va». «Il sindaco lo sa che l’anno scorso qui c’era una mora per il gas e per l’acqua di 200 milioni di lire». Insomma, di problemi non ne mancano per davvero. Come però intervenire per dare soluzione a situazioni tanto complesse e difficili da affrontare, per certi aspetti addirittura drammatiche, nessuno è in grado di indicarne i termini e i modi. 18. I propositi per un riordino urbano «Noi - dichiara un amministratore comunale - abbiamo cercato di far sì che con il nuovo piano regolatore potesse esserci una rinascita della città, un rilancio di questo comune che ha delle potenzialità notevoli. Abbiamo cercato di fare i conti con il fatto che Pioltello non è disposta come altre città similari e che l’assenza di un centro cittadino ben individuato non facilità affatto una senso di appartenenza. Per questo abbiamo teso a favorire una ricostruzione dei diversi centri e a stabilire una connessione tra loro in modo da far sentire la città maggiormente propria dei cittadini e insieme più sicura. Per la posizione che vanta Pioltello, chi proviene dall’Est Milanese per arrivare a Milano deve per forza attraversarla. Questa sua posizione strategica deve essere sfruttata e non deve comportare solo un dare, ma può anche significare un ricevere senza risultare in posizione di subordine nei confronti della metropoli. Certo, i problemi sono tanti: c’è la presenza del polo chimico, una diffusione di aziende di trasporto e logistica, il passaggio sul territorio di Pioltello di due grandi arterie viabilistiche e della ferrovia, c’è poi il problema delle cascine da salvaguardare. Si tratta indubbiamente di fattori macroscopici che fanno deprimere al solo pensiero di mettere mano a questo territorio». A sottolineare l’impegno dell’Amministrazione comunale nell’affrontare questa complessa situazione è uno stesso esponente dello schieramento di opposizione il quale così commenta le scelte che si stanno compiendo: «Stiamo approvando un piano regolatore che ha tra l’altro l’obiettivo di disegnare la struttura urbanistica anche dal punto di vista dell’evoluzione sociale del territorio e alcune scelte come quella di portare fuori dai centri storici alcune unità produttive in modo che abbiano l’opportunità di avere accessi più rapidi e comodi, la quale costituisce una vera e propria novità per Pioltello dal momento che i piani regolatori sono sempre stati fatti sulle case». Anche se qualcuno fa notare che «oggi a Pioltello ci sono solo due grossi immobiliaristi, e perciò sul fronte del frazionamento delle proprietà non ci sono più interessi per cui litigare o per prendere iniziative di un certo interesse», non mancano critiche per il modo in cui gli amministratori pubblici hanno trattato certi proprietari di terreni. «Noi oggi abbiamo ancora dei terreni a Pioltello che cerchiamo di rendere edificabili. Erano tali in seguito alla convenzione sulle infrastrutture che avevamo sottoscritto con il Comune tempo fa, ora però ci troviamo di fronte a degli espropri e tutto quello che noi abbiamo fatto nel passato per la comunità locale è stato completamente dimenticato. E’ una cosa abominevole. Ci odiano e con il piano regolatore ci hanno dato solo legnate. Ci sono rimasti solo 40-50.000 metri quadrati e anche questi sono sotto mira del Comune. Noi saremo forse stati cattivi, ma i nostri errori li abbiamo pagati attraverso i minori ricavi e non dovrebbero perciò metterci in croce, anche perché noi siamo sempre stati adempienti verso l’amministrazione pubblica e quando essa ha avuto bisogno di aree le abbiamo cedute e abbiamo sempre collaborato». In merito al destino delle aree di una certa estensione non ancora edificate un amministratore pubblico precisa: «Non abbiamo voluto punire nessuno. Qui c’è un’area sulla quale a metà degli anni ‘80 si parlava di costruire una cittadella della televisione e successivamente di una cittadella della telefonia. Quello che noi abbiamo fatto è stato di cercare di ridurne l’impatto, perché secondo noi si trattava di un impatto eccessivo che avrebbe comportato un carico viabilistico notevole quando praticamente non ci sono infrastrutture sufficienti a reggerlo. Più o meno si trattava di un milione di metri cubi e noi l’abbiamo ridotto del 50% e abbiamo imposto 120 mila mq complessivi circa, 80 mila destinati al terziario e 40 mila, cioè un terzo, alla residenza la quale serve come presidio della zona onde evitare il degrado notturno. Cosa poi i proprietari ci costruiranno sopra non ho la benché minima idea». «Stiamo poi cercando di spostare le aziende che sono storicamente collocate all’interno dell’abitato e che risultano incompatibili con il vivere tranquillo dei cittadini i quali hanno diritto di poter dormire la notte e di non sentire le puzze e i rumori», aggiunge un esponente dello schieramento di maggioranza. «Questo sforzo nel cercare di dare ordine a Pioltello è una politica che a noi sta molto a cuore. A causa degli errori compiuti nel passato, però, ci troviamo nella condizione di non avere abbastanza territorio per poter compiere scelte tali da conseguire gli effetti positivi desiderati». E l’elenco di ciò che si è inteso conseguire con il nuovo strumento urbanistico continua. «Abbiamo anche cercato di tradurre l’urbanistica in sicurezza, nel senso della percezione di una sicurezza personale, unitamente ad altre iniziative specifiche dal momento che il problema assume diversi aspetti. Oltre all’operazione relativa al coordinamento tra i diversi comuni della zona, ci siamo adoperati per garantire la sicurezza nelle scuole e negli edifici pubblici investendo fior di quattrini per il rilevamento degli impianti e l’applicazione delle norme su tutti gli apparati elettrici che erano privi delle garanzie più elementari (dalle uscite alla presenza di eternit sulle coperture). In tre anni abbiamo in sostanza messo in sicurezza tutti gli edifici. Nel piano regolatore abbiamo attuato una salvaguardia estrema del verde e addirittura ci sono delle fasce ecologiche che vanno a salvaguardare alcuni percorsi e alcune trame preesistenti come i fontanili, alcuni dei quali non sono più attivi. L’intenzione nostra è quella di riattivarli, così come abbiamo fatto al Castelletto, per ricreare quell’ambito florovegetativo che caratterizzava Pioltello nel dopoguerra. E’ questa una testimonianza attiva di come era il territorio e noi la vogliamo offrire alle nuove generazioni. Questi percorsi sono stati fatti anche per controllare l’immagine dell’espansione della città, quindi per contenere l’ambito urbano. Abbiamo pure stabilito che nei prossimi dieci anni la popolazione pioltellese non deve avere un aumento superiore a quello fisiologico, cioè non deve superare il 10%, un limite giusto per i figli che nascono e le persone che si sposano». «Attorno a Pioltello ci sono comuni che non hanno più nemmeno un metro quadrato di terreno per metterci il vaso di fiori - osserva un’esponente della maggioranza - e noi non intendiamo fare quella fine». «Poi abbiamo fatto in modo di riqualificare i cascinali per dare la possibilità di nuove attività economicamente interessanti». Una prospettiva questa che viene accolta favorevolmente da un operatore economico il quale suggerisce: «Le cascine potrebbero essere ristrutturate e trasformate in botteghe d’arte e dei vecchi mestieri, oltre che come luoghi che ospitano centri dell’informatica. Si possono poi utilizzare anche come residenza di persone handicappate sole che sono assistite dal volontariato. Si potrebbero altresì utilizzare per favorire l’autoimprenditorialità dei giovani ricorrendo ai fondi dell’Unione Europea e dando vita a legatorie di libri, restaurazione di mobili, officine per il ferro battuto, e così via. Questo sarebbe non solo motivo di aiuto ai giovani sul fronte occupazionale, ma anche una maniera per promuovere la socializzazione e l’aggregazione sociale». Non tutti però apprezzano gli sforzi compiuti dall’Amministrazione comunale nel redigere il nuovo piano regolatore e mettono in discussione gli obiettivi che con esso si intendono perseguire. «Anziché dare la possibilità agli artigiani di crearsi una prospettiva di sviluppo destinando questi terreni all’espansione industriale, hanno preferito riconfermare l’agricoltura il che è antimoderno. Hanno preso la scusa di salvaguardare il verde contro il rischio della cementificazione. E’ giusto tenere conto che l’uomo deve respirare e che il verde è necessario, però se per certi luoghi va bene, questa regola non vale per noi. Questa è una zona di sviluppo e non la si può tenere ferma». «Ritengo che il fare una pista ciclabile in una zona industriale come hanno fatto qui sia un errore. Vedo utili queste realizzazioni solo nelle zone residenziali». «L’ultima cosa che hanno fatto è stata quella degli orti per gli anziani, in via S. Francesco. Hanno fatto un prato ed è rimasto un filare di una quindicina di alberi vecchi di settant’anni. Fanno il progetto urbanistico, disegnano gli orti, fanno la pista ciclabile e poi abbattono gli alberi per sostituirli con dei nuovi. E’ stata una scelta inaudita, io ho avuto un impatto emotivo bruttissimo e penso lo sia stato per tutte le mille persone che abitano in quella zona. Gli alberi erano sanissimi e per realizzare gli orti e la pista ciclabile non era indispensabile abbatterli». C’è poi chi ritiene che per ridare un volto moderno a Pioltello «sarebbe il caso di rivolgersi e far prendere in mano la situazione a professionisti del livello di Renzo Piano». Ma dello stesso avviso non è chi ha la responsabilità di amministrare Pioltello. «Sullo strumento urbanistico si manifestano ovviamente sensibilità diverse: uno ha la fissazione della salvaguardia del verde, un altro quella del traffico e c’è anche chi si preoccupa della zona artigianale e degli insediamenti industriali. Che poi questo sia necessariamente indice di una sensibilità particolare o di una precisa politica, direi proprio di no. La vocazione dell’urbanistica è proprio quella di essere partecipata e la partecipazione è parte integrante del suo progetto costitutivo. Solo di recente è stata avviata a Pioltello una fase delicatissima che ha significato una riappropriazione e un riuso del territorio. Pioltello oggi si presenta decisamente come una città policentrica. Lo sviluppo storico di Pioltello può essere, a mio avviso, inquadrato a partire dal tema della deterritorializzazione. La trasformazione dei luoghi in siti è parte integrante del processo di degrado delle metropoli e delle aree conglobate nelle metropoli dove si verifica l’abbandono della cura della città da parte della comunità insediata. La città non appare più di nessuno. A Pioltello interi quartieri di residenza vivono questo problema. La perdita di sapienza ambientale ha provocato la rottura di delicati equilibri che ora torna difficile ricostruire. Si tratta di un territorio completamente lobotomizzato. Oggi che il processo di consumo del territorio è in stato avanzato, diventa necessario riorganizzare il ‘genius loci’ e mettere in campo un’intelligenza collettiva per individuare e dare soluzioni ai bisogni che esprime la comunità». 19. La questione ambientale «Ancora oggi il polo chimico rappresenta un problema per la popolazione locale perché continua a disturbare in termini di rumore. E’ certo vero che rispetto agli anni passati sono diminuite le emissioni di odori, ma checché se ne dica, dal punto di vista pratico la bonifica non è ancora partita. Esistono poi differenti risultati tra il monitoraggio fatto dalle aziende e quello fatto da altre strutture e questa diversità di valutazioni induce a preoccupazione», chiariscono gli esponenti del movimento ambientalista locale. Non solo, ma «con il passare del tempo al caso del polo chimico si sono aggiunti i problemi dei trasporti nell’area di Seggiano, quelli della ferrovia che sono ancora aperti, poi c’è il passaggio degli aerei, insomma, qui ci sono problemi molto forti dal punto di vista ambientale». Nel ciclone, a dire degli interessati, si ritroverebbe in particolare Limito. «Questa è la parte di Pioltello più disperata perché qui ci sono sia le industrie chimiche che gli autotrasportatori i quali lavorano anche la notte e disturbano gli abitanti con il funzionamento degli impianti e con la movimentazione dei muletti». «Sia il polo chimico che gli autotrasportatori hanno causato degli scompensi che durano ormai da vent’anni e per i quali non si è ancora trovata una soluzione». Il movimento ecologista locale è infatti nato e cresciuto contestando il polo chimico. «A cavallo degli anni ‘80 - raccontano - c’è stata un’indagine fatta da alcuni medici che evidenziava dei casi di tumore, soprattutto polmonari, concentrati a Limito che era una zona a rischio proprio a causa delle emissioni sia nell’aria che nelle acque di falda da parte di un’azienda del polo chimico. La contestazione è partita da lì». Quell’indagine venne però contestata dall’azienda in questione e pure dai rappresentanti sindacali dei lavoratori. «La tesi secondo cui nell’area di Pioltello-Rodano si sia verificata una percentuale superiore di morti di cancro è stata smentita dalle statistiche. Il problema vero è che vale la regola corrente e diffusa secondo cui si riconosce l’utilità dell’inceneritore o della discarica di rifiuti, però nessuno li vuole vicini a casa propria. E’ chiaro che qui non si fabbricano bambole, ma prodotti chimici. Noi lavoratori comunque siamo sempre stati impegnati a far si che i processi produttivi non avessero a danneggiare la salute dell’uomo né dentro né fuori la fabbrica», sostengono i delegati di una delle aziende del polo chimico. Di opinione differente sono invece alcuni residenti di Limito i quali ricordano che fin da bambini scorgevano «montagne bianche di rifiuti senz’altro tossici e il fondo del suolo non era stato preparato per impedire le infiltrazioni. Questa situazione è durata venti o trent’anni, senza alcuna protezione e con i rifiuti abbandonati all’aperto. Qualche problema c’è dunque stato. Noi abbiamo cambiato di recente le inferiate dei balconi ed erano tutte corrose, il ferro si sbriciolava nonostante fossero sempre state verniciate a dovere. Figuriamoci quali sono gli effetti che queste emissioni hanno avuto e hanno ancora sulle persone». Non tutti però la pensano in questo modo. «Che l’inquinamento abbia causato dei danni alla salute non lo so. Hanno detto che c’è stato un alto tasso di mortalità per cancro, ma io vedo che di questo brutto male si muore in tutti i paesi, anche in quelli di montagna». «Il polo chimico a me non ha mai procurato dei problemi anche perché è a sud della mia abitazione e sia l’aria che l’acqua vanno in quella direzione». E a proposito delle mobilitazioni ecologiste di quel tempo il rappresentante di una delle aziende chimiche afferma: «Ci sono state delle fasi di grossa conflittualità non tanto con la popolazione, ma con i gruppi ecologisti locali che le hanno generate e che erano l’espressione della piccola borghesia in rivolta più che del popolo. Si è trattato di quei milanesi che avevano abbandonato la città e si sono fatti la casa a Pioltello i quali si sono poi ritrovati le fabbriche chimiche a ridosso. Ogni malodore che si avvertiva, a dire di molti, era necessariamente prodotto da una ben individuata azienda, magari poi si scopriva che era emesso da un’altra. Questa allora diventava il mostro da sbattere in prima pagina perché rappresentava i cattivi. Il tutto all’interno di un gioco di strumentalizzazioni e di demagogia. Tutte le Amministrazioni comunali hanno dovuto pagare un pedaggio pesante a questi gruppi i quali hanno saputo creare un’atmosfera di allarme, di paura spesso infondata. Il caso più tipico è quello di una causa che è stata intentata dall’azienda in questione contro questi gruppi perché avevano sostenuto che erano successe al suo interno certe cose, quando invece il danno che in quella circostanza si era registrato era pari a quello di una piccola tanica di benzina verde buttata per terra. Loro avevano sostenuto in quell’occasione che il primo maggio di quell’anno poteva essere l’ultimo per Pioltello e Rodano». «A quell’epoca, noi come sindacato ci siamo trovati tra due fuochi», rammenta il responsabile della Rsu di questa azienda. «Da una parte avevamo il datore di lavoro, dall’altra l’ambiente esterno come società civile. Abbiamo subìto i ricatti occupazionali da parte dell’azienda perché pretendeva che fossimo noi a difendere il suo operato e così abbiamo rischiato di essere scambiati come degli antiambientalisti nel difendere la nostra condizione di lavoratori. Noi siamo sempre partiti dal principio che non si inquina fuori se non si inquina all’interno della fabbrica dove operano i lavoratori. Se non c’è la compatibilità ambientale non si può e non si deve continuare a lavorare». Ma in difficoltà a quei tempi non è venuto a trovarsi solo il sindacato. «Quando io come sindaco, spinto dai sindacati, ho incominciato a fare in modo che la sicurezza fosse assicurata all’interno dell’azienda e poi anche per gli abitanti della zona, dopo che avevo emesso delle ordinanze, mi sono trovato ad avere a che fare con cento operai di quell’azienda che mi volevano linciare perché erano convinti che io compromettevo il loro posto di lavoro. I medici che entravano nelle aziende per eseguire i controlli venivano cacciati fuori malamente. Eppure, la magistratura non è mai intervenuta e alla fine questi medici hanno dovuto desistere dallo svolgere i dovuti controlli». Da parte loro le imprese si giustificano sostenendo che quelli erano «anni in cui non si aveva la consapevolezza dei danni che venivano recati all’ambiente per cui, se è vero che ne sono state fatte di tutti i colori, a farle sono stati tutti. L’ecologia allora non era conosciuta. Anche noi abbiamo fatto cose che con la coscienza di oggi non sarebbero state fatte e purtroppo i rapporti con la popolazione hanno cominciato ad essere conflittuali». «Restano tutt’oggi delle remore, c’è ancora un sottofondo di antindustrialismo che di tanto in tanto emerge e che sicuramente è da mettere in relazione al fatto che quello di Pioltello è l’ultimo polo chimico dell’hinterland milanese», rimarca un dirigente d’azienda. Mentre un altro precisa: «Le difficoltà sono dovute anche al fatto che per definizione le aziende chimiche sono un problema per l’ecologia e la popolazione delle zone in cui siamo insediati vuole ovviamente vivere in modo tranquillo dal punto di vista della sicurezza». Sta di fatto che l’inquinamento c’è stato e rischi e pericoli non sono ancora scomparsi. Non molto tempo fa i tecnici della Asl hanno trovato nelle acque dei fiumi del lodigiano delle sostanze inquinanti. «Proprio l’anno scorso nei pozzi di acqua potabile fino a Lodi è stato trovato un composto delle cefalosporine che è l’MMTT il quale non è tossico, però avrebbe dovuto essere depurato dall’impianto», spiega un medico. Ma il problema più preoccupante resta indubbiamente quello della presenza delle discariche. «Nel sottosuolo di un’azienda del polo chimico si trovano nascoste delle vere e proprie bombe. Il suo stesso amministratore delegato qualche tempo fa ha ammesso pubblicamente per la prima volta che in quelle discariche ci sono sostanze altamente nocive, compreso il mercurio». E le rappresentanze sindacali dell’azienda in questione così descrivono la situazione: «Noi abbiamo tre discariche, la ‘A’, la ‘B’ e la ‘C’ che è quella che più fa discutere. il fatto è che non si sa esattamente cosa ci sia al suo interno. Mentre per le prime due sono in discussione alcuni esami fatti per accertare il grado di nocività del contenuto, per la ‘C’ la situazione è molto confusa. L’intesa raggiunta al Ministero è quella di costruire due sarcofaghi di cemento e poi di travasare in questi i rifiuti accumulati in modo che siano isolati e posti sotto controllo». Mentre il rappresentante della stessa azienda precisa: «Una delle questioni che è rimasta sul tappeto è quella delle discariche e l’azienda, per tagliare la testa al toro, si è assunta l’onere di realizzarle, anche se non spetterebbe ad essa farlo. Non si può infatti applicare la regola del ‘chi ha sporcato paga’ perché l’azienda ha sporcato sì, ma in anni in cui non era vietato sporcare, cioè erano tempi quelli in cui ogni complesso industriale aveva la sua discarica di accumulo. Ci sono dei bidoni, dei rifiuti del cui smaltimento l’azienda, dopo un tira e molla infinito, ha deciso di farsene carico. Perché si possa rimediare a questa situazione, però, è necessario che all’azienda venga concesso di fare nuove produzioni e di modificare quelle attuali. Questo si scontra con la teoria delle Amministrazioni comunali precedenti che è stata quella della delocalizzazione e la quale non tiene conto dell’esperienza di Pero dove le aziende se ne sono andate scaricando tutta la responsabilità della bonifica sulle spalle della comunità. I più illuminati hanno capito invece che è bene che l’azienda resti lì e che si lavori insieme, attraverso i dovuti controlli, per risanare e assicurare una pacifica convivenza. Le organizzazioni sindacali hanno questo atteggiamento e così la pensano anche gli esponenti della Asl». E chi ha appunto la responsabilità del controllo ambientale chiarisce: «La discarica ‘C’ è quella più pericolosa perché contiene tutti i composti più inquinanti: dagli ftalati al mercurio, ai policiclici e questo, secondo me, omologa la falda. A questo riguardo, però, c’è una divergenza tecnica tra noi e i periti dell’azienda. In questa discarica, che è da mettere definitivamente in sicurezza al più presto, ci sono anche duemila fusti. La preoccupazione deriva dal fatto che si tratta di sostanze attive e nessuno può escludere che ci sia un accumulo e poi un riaccumulo di qualcuna di esse che scappa all’impianto di depurazione. Noi abbiamo sempre chiesto di collettare le acque di processo a un vero corso d’acqua che non deve servire per irrigare i campi e non deve finire in fognatura». Una rappresentante dell’organizzazione ambientalista fa presente che oltretutto «esistono delle incompatibilità per le quali non si può fare finta di niente: la vicinanza della discarica alla linea ferroviaria, ad esempio, è una cosa davvero terrificante». L’aspetto inquietante è che la bonifica promessa rischia di non essere portata a compimento, come da accordi sottoscritti da tutte le parti interessate, dal momento che l’azienda in questione ha cessato l’attività ed è stata dichiarata in stato fallimentare. Rispetto alla situazione generale i tecnici dell’Asl assicurano che «il territorio di Pioltello dal punto di vista ecologico è sotto controllo. In confronto ad altre realtà, come è il caso di Castellanza, la situazione di questo polo chimico è molto migliore. Dopo le denunce e le vicende giudiziarie le aziende si sono allineate e hanno fatto alcuni lavori importanti. La stessa azienda che maggiormente è responsabile dell’inquinamento si è allineata ai parametri di legge ed è andata anche oltre. Oggi è una delle migliori aziende chimiche che si conoscano dal punto di vista del rispetto dei termini di sicurezza, lasciando ovviamente a parte il problema delle discariche. Lo stesso discorso vale per le altre aziende lì insediate. E tutto questo è dimostrato dalle cifre: tutti i parametri d’inquinamento sono scesi, alcuni addirittura di dieci volte rispetto a quelli che si registravano un tempo. Le condizioni che c’erano vent’anni fa non ci sono più. I problemi esistono, ma non hanno più la drammaticità del passato e possono essere inquadrati in un ambito di scelte politiche di tipo amministrativo e non più sanitario». A confermare lo stato di normalità sono gli stessi ambientalisti: «In tutti questi anni di lotte e di contestazioni abbiamo sempre avuto la preoccupazione del polo chimico. Oggi possiamo dire che come non mai siamo in presenza di una situazione di tranquillità dal punto di vista ambientale. Va detto che per la maggior parte delle aziende insediate nel polo chimico, rispetto al passato, oggi c’è molta più disponibilità alla collaborazione. Una di queste aziende ha deciso di installare più di una centralina per monitorare l’inquinamento acustico, ha poi deciso di realizzare la barriera verde e questo per noi è un riscontro importante delle lotte che abbiamo fatto in tutti questi anni». Ed è pure cambiato il linguaggio degli stessi rappresentanti delle imprese: «Noi sappiamo di essere un gruppo che ha anche inquinato l’Italia in tempi in cui lo stato di conoscenza della scienza e la sensibilità della gente erano molto arretrati rispetto ad oggi. Ora però il gruppo è molto attento verso i problemi ecologici». E una maggiore attenzione è il requisito dichiarato da tutti gli operatori industriali. «Faccio periodicamente tutte le analisi sulle emissioni, sui rumori e sono disponibile ad avere tutti controlli che vengono richiesti. Quello che chiedo è che mi si metta in condizioni di lavorare». Anche l’azienda più discussa, prima di cessare le produzioni, aderiva al progetto «Responsable Care» il quale «è un progetto di responsabilità ambientale. L’azienda ha ottenuto poi tutti i più selettivi parametri Iso 9000 ed è stata una delle prime in Italia a conseguire un determinato parametro di qualità ambientale, perciò vanta tutte le caratteristiche e le prerogative del caso». Annota il dirigente di un’altra azienda del complesso chimico: «I problemi più grossi che abbiamo avuto sono derivati dalla grande ostilità della gente al polo chimico, ma anche dalla scarsa attività che l’azienda ha fatto per farsi conoscere e per sottolineare le sue specificità e le differenze rispetto al resto del polo chimico. Come recenti studi hanno dimostrato, noi siamo l’azienda che, pur essendo classificata nella categoria ‘grandi rischi’, ha un impatto ecologico quasi nullo. Ora da questa situazione stiamo lentamente uscendo anche grazie a una serrata politica di attenzione verso il sociale». Le rassicurazioni e il clima disteso non cancellano però del tutto le ragioni perché si continui ad essere preoccupati a riguardo del destino futuro del polo chimico. Afferma un tecnico dell’Asl: «Se capisco l’atteggiamento assunto verso queste problematiche dalle popolazioni, non riesco a comprendere l’atteggiamento che invece hanno avuto le Amministrazioni comunali le quali hanno recepito in maniera troppo piatta le lamentele della gente. Mentre un Comune agiva per la chiusura, noi come Asl agivamo per la bonifica e questo ha comportato una divergenza che non ha certo favorito la soluzione dei problemi. Una cosa chiara è che non si può chiedere alle aziende del polo chimico di bonificare il territorio e poi costringerle a chiudere i battenti, magari perché le pubbliche istituzioni intendono costruire su quell’area una stazione di interscambio metropolitana-ferrovia. A quel punto dovrebbe essere il pubblico a bonificare la zona dopo aver dato un incentivo alle aziende per trasferirsi altrove. Una dislocazione del polo chimico nell’attuale congiuntura economica, ma anche in quella di dieci o vent’anni fa, è un’utopia. Fra le ditte da dislocare, per esempio, ce ne sarebbe una che ha qualcosa come 300 chilometri di ossigenodotto che parte da lì e serve tutta Italia, il che creerebbe indubbiamente qualche problemino. C’è invece un’azienda che ha impianti di trent’anni fa i quali vanno chiusi. La strada giusta è quella delle convenzioni ecologiche. E’ una strada un po’ stretta, però è percorribile, e se fossi io nei panni delle Amministrazioni comunali la percorrerei anche ai fini del mantenimento dell’occupazione che oggi assicura il polo chimico. Il Comune di Pioltello ha accolto il mio suggerimento di non dire alle aziende niente in assoluto, ma di proporre di volta in volta delle convenzioni ecologiche. Ovviamente, per alcune aziende le condizioni devono essere abbastanza rigide, specie sul piano dell’edificabilità, dal momento che tutte sono fuori dei limiti. Però è necessario che permettano loro di fare delle lavorazioni nuove, il proibirglielo sarebbe un errore». A riguardo delle iniziative intraprese nei confronti delle aziende del polo chimico un amministratore pubblico precisa: «Il problema grosso è quello della falda e a me sarebbe piaciuto che si fosse trovato il modo di risolverlo. All’interno delle norme del nuovo piano regolatore abbiamo inserito la possibilità di fare delle convenzioni per ogni nuovo impianto, così come è stato previsto dall’accordo con la Regione. Per ora ne abbiamo fatta solo una relativa al polo chimico, ma siamo fermamente intenzionati a proseguire su questa strada. Il problema è che purtroppo nessuno ha saputo darci una traccia circa la strutturazione di queste convenzioni perché sono una novità in assoluto. Credo comunque che ce la siamo cavata discretamente e proprio sulla scorta di questa esperienza positiva riproporremo un’identica soluzione ad altre aziende anche in situazioni differenti». A riguardo del fatto che tra l’Amministrazione comunale e le aziende del polo chimico ci debba essere una volontà di trattativa e di collaborazione, si registra consapevolezza anche tra i cittadini. «Non si devono chiudere le aziende, esse possono coesistere con le abitazioni, vanno invece migliorate le cose con gli strumenti tecnici che oggi ci sono»; «io credo che occorra andare a un’operazione di sfoltimento nell’area del polo chimico per rendere quella realtà produttiva molto più compatibile con l’ambiente». E c’è pure chi sostiene che la presenza delle aziende del polo chimico potrebbe portare addirittura dei benefici alla comunità pioltellese. «Un problema non risolto è quello relativo allo sfruttamento del vapore dell’acqua. Una delle aziende del polo chimico rilascia molto vapore dalle torri di evaporazione e anziché disperderlo questo vapore potrebbe essere usato benissimo per il teleriscaldamento, risparmiando così energia per il riscaldamento delle case». E a questo riguardo il rappresentante di una di queste aziende ricorda di aver «proposto che le emissioni di vapore acqueo fossero utilizzate per il teleriscaldamento, il che avrebbe significato il rimpiazzo di centinaia e centinaia di piccole caldaie che inquinano. Nonostante fossero stati fatti dei progetti a questo riguardo, i quali tra l’altro, sono costati miliardi, non se ne è fatto nulla perché, secondo qualcuno, questo avrebbe significato radicare l’azienda sul territorio. E’ successo così che le amministrazioni comunali hanno bocciato una simile prospettiva». Ma i problemi di compatibilità ambientale non si limitano alla presenza del polo chimico. Lagnanze e addirittura vere e proprie vertenze tra aziende e cittadini si sono verificate anche in altre zone cittadine dove certe attività produttive si trovano insediate all’interno o a ridosso dei centri abitati. Raccontano i dirigenti di alcune di queste aziende: «Il problema che abbiamo avuto in questo stabilimento è proprio costituito dalle lamentele della gente che abita qui vicino. Nei nostri confronti c’è stata quasi una psicosi, tutto quanto veniva percepito come rumore di disturbo era attribuito a noi. C’erano addirittura delle persone che facevano intervenire i vigili perché un camion, in attesa di scaricare, teneva il motore acceso. E qui da noi ne arrivano dai 12 ai 18 al giorno. Oggi ci sopportano anche perché noi abbiamo cercato di eliminare tutte le fonti di disturbo». «L’inconveniente che abbiamo è la concomitanza di un’area industriale con un’area residenziale e questo provoca disagi a chi vi abita. Dal mattino alle 7,30 fino alle 19-19,30 di sera, a volte anche oltre, qui c’è attività e quindi movimento. Noi abbiamo un potere sul personale interno, ma non su quello esterno. Se un automezzo con il compressore per la cella frigorifera non spegne il motore e se ne va per i fatti suoi, non è cosa semplice per noi intervenire per farlo spegnere. I cittadini hanno giustamente ragione di lamentarsi, ma d’altra parte non è colpa nostra se le loro abitazioni sono state costruite ai confini dell’azienda. Per evitare i disagi lamentati noi dovremmo cessare di lavorare. Si sta cercando da tempo di trovare le giuste soluzioni, ma la cosa non è semplice». In effetti, l’uso promiscuo che si è fatto del territorio è all’origine di tutte queste contraddizioni. «E’ accaduto che progressivamente intorno alla nostra azienda si sono insediate anche le abitazioni e la speculazione edilizia ha dilagato. Questo è avvenuto a seguito dei processi di immigrazione e ha fatto sì che si venisse a creare una situazione contraddittoria dal punto di vista ambientale». Non manca però chi sostiene che comunque esistono delle aziende che creano danni per l’ambiente circostante indipendentemente dal fatto che la loro localizzazione sia interna o esterna all’abitato. «Se l’Asl facesse un salto qui ogni mese sarebbe un’ottima cosa. Qui certe irregolarità avvengono di notte quando appunto l’Asl è chiusa», denuncia un delegato sindacale. A provocare danni e disagi «è poi la presenza delle aziende trasportatrici che massacrano il territorio. Noi abbiamo speso un miliardo per sistemare una strada che era stata ridotta in uno squallore incredibile e nel giro di pochi mesi gli autotrasportatori l’hanno nuovamente resa malconcia. E’ un continuo ripristinare danni che si ripropongono. Anche per queste aziende useremo il criterio delle convenzioni ecologiche in maniera che contribuiscano materialmente anche loro a mantenere in buona qualità l’arredo urbano», afferma un pubblico amministratore. Ma ad alimentare le preoccupazioni di una parte dei pioltellesi non sono solamente le fonti di disturbo e di inquinamento che già esistono, bensì concorrono anche gli insediamenti che sono previsti per il futuro. «Quattordici sale, tre spettacoli al giorno quante automobili verranno qui a Pioltello? Soprattutto, è il caso di chiedersi: cosa porterà la multisala a Pioltello? Niente! Ci saranno trenta-quaranta addetti ai lavori dei quali venti per le pulizie e poi per dei tecnici che qui non si trovano sicuramente. E tutto quell’ambaradam per così pochi posti di lavoro pone inevitabilmente degli interrogativi». «La multisala poteva essere pensata meglio, è una cosa gigantesca con pub, pizzeria, Mc Donald’s il che equivale a una torre nel deserto, giustificata solo dall’intento di fare soldi e non invece, come si dice, per aiutare Pioltello a vivere meglio. Il parco delle cascine poteva rientrare sotto l’area protetta, ma questa operazione non l’hanno fatta». «Un’impresa ‘culturale’ che non è stata presa molto bene dal nostro circolo - afferma un’esponente del movimento ambientalista locale - è quella della costruzione della multisala cinematografica la quale viene insediata in un polmone verde, cioè nel parco delle cascine. Abbiamo un po’ combattuto contro questa decisione, ma non siamo riusciti a fare molto anche perché quell’area era edificabile e l’alternativa al cinema era quella di un centro commerciale. E ovviamente, a quel punto, il centro cinematografico è meglio del centro commerciale, anche in considerazione che da 4.500 posti si è scesi a 3.000 e poiché la cosa che a noi preoccupava di più era il parcheggio, possiamo dire che rispetto al progetto originario c’è stato un ridimensionamento. Anche se è fatto di blocchetti con l’erbetta, il parcheggio è sempre cemento. Su questo aspetto c’è stata una bella battaglia che ha messo in discussione non la costruzione in sé, ma il traffico che inevitabilmente ne deriva, perché al cinema la gente vi andrà con l’auto. Noi abbiamo chiesto che si facesse uno studio di impatto ambientale e l’Amministrazione comunale ha proceduto a farlo. Ora noi lo valuteremo le cose volta per volta». Ma c’è anche chi pensa che «forse il megacinema procurerà un po’ di caos alla zona, però c’è da tenere in conto che ormai ovunque si tende a inglobare e se non lo fa Pioltello sicuramente lo avrebbe fatto qualche altro paese vicino e i disturbi ci sarebbero sempre stati». A respingere gli allarmismi ci prova il rappresentante della stessa società multinazionale che gestirà il centro cinematografico. «Per quanto riguarda l’ipotesi che l’apertura delle multisale accresca il traffico nella zona c’è da dire che le abitazioni insediate in essa non sono molte, è un’area abbastanza isolata. Comunque questo è un problema ormai generale, stamattina per fare 30 chilometri, dalla Brianza a qui, ho impiegato tre quarti d’ora. Sulla cassanese il traffico c’è in ogni ora del giorno e questo da sempre, perciò trovo pretestuoso contestare la multisala con queste motivazioni». Da parte loro gli amministratori pubblici sostengono che l’insediamento del centro cinematografico rappresenta la «soluzione migliore di altre possibili come quella, ad esempio, della realizzazione di un centro commerciale». Ma c’è anche chi, a proposito di questa disputa invita alla riflessione. «Buona parte della discussione che si è sviluppata sulla opportunità o meno di dare corso a questa iniziativa si è concentrata tutta sugli effetti di impatto ambientale, cioè su quante automobili avrebbe messo in circolo, quanti parcheggi sarebbero serviti, quali problemi di viabilità avrebbe creato, ecc.. Mentre a riguardo delle opportunità che una simile struttura può creare sul fronte dell’occupazione e dello sviluppo non si è manifestato affatto alcun interesse e non c’è stata alcuna discussione. Sia chiaro, i problemi della viabilità sono certo importanti, però anche il resto credo lo sia. E questo modo di ragionare viene applicato anche alle vicende del polo chimico, uno dei pochi ormai rimasti nella provincia di Milano. C’è grande sensibilità sugli effetti, sulla bonifica delle discariche, sugli aspetti ambientali, però sui temi della riconversione, della riqualificazione, del futuro sviluppo non si registra altrettanta sensibilità. Questo anche perché c’è stata una divisione radicale e storica nella cultura dei pioltellesi. Fino a ieri, da una parte c’era chi ha difeso a spada tratta la presenza del polo chimico senza porsi alcun problema sul fronte della tutela ambientale, dall’altra chi invece avrebbe voluto eliminarlo a tutti i costi. Oggi succede che posti di fronte alla necessità di mettere in campo una scelta alternativa a queste due ipotesi per renderlo invece compatibile con l’ambiente, si registra in tutti molto imbarazzo». A proposito degli aspetti ambientali, in conclusione, la realtà dei fatti dimostra comunque che, nel complesso, la qualità dell’aria che in questi anni si è respirata a Pioltello, almeno per quel che è dato di saperne attraverso le fonti ufficiali di rilevamento, non è affatto risultata peggiore di quella che respirano coloro che vivono nella metropoli. Il che è un dato incoraggiante e che smentisce taluni ingiustificati allarmismi. Tabella n. 28 Rilevamenti della qualità dell’aria e confronti con altre località - 1992-1998 (valori mediani microgrammi per metro cubo) Biossido di azoto (NO2) ‘92 ‘93 ‘94 ‘95 ‘96 ‘97 ‘98 Limito 65,8 62,0 56,4 56,4 60,2 56,4 56,4 Agrate Brianza 67,7 67,7 63,9 63,9 56,4 60,2 63,9 Mi - viale Marche 97,8 90,2 90,2 90,2 79,0 82,7 90,2 Biossido di zolfo (SO2) valore annuo medio minimo massimo ‘94-’95 8,9 2,1 14,8 ‘97-’98 7,5 1,3 19,8 ‘94-’95 8,7 4,7 15,9 ‘97-’98 4,7 1,8 12,9 ‘94-’95 22,0 6,2 42,7 ‘97-’98 16,8 2,2 35,3 Limito: Cassano: Mi-Marche Monossido di carbonio (CO) Limito: ’95 1,6 0,6 2,8 ’98 1,6 0,0 3,0 ’95 1,0 0,2 2,1 ’98 1,6 1,0 3,0 ’95 3,7 1,5 5,9 ’98 3,5 2,0 6,0 Cassano: Mi-Marche Fonte: Regione Lombardia 20. Il complesso problema delle infrastrutture «Logisticamente Pioltello è ben collocata, vanta una buona accessibilità viabilistica complessiva, dovuta principalmente alla prossimità dei caselli autostradali e all’esistenza di una ricca rete infrastrutturale regionale e intercomunale sia radiale che tangenziale; poi risulta favorita dalla vicinanza di centri intermodali privati». «Qui ci troviamo bene, la rivoltana è un buon collegamento e poi siamo vicini a infrastrutture essenziali». «I vantaggi di stare qui sono costituiti dalla vicinanza della ferrovia, dell’aeroporto e dell’autostrada. Il nostro centro intermodale è uno dei più attrezzati e con queste caratteristiche c’è solo il quadrante Europa di Verona». «E poi c’è il progetto dell’interporto che accresce la funzionalità di quest’area». Ecco come si esprime il mondo delle imprese a riguardo dell’essere insediati sul territorio di Pioltello! «L’unico handicap è la non inclusione nella rete telefonica di Milano, un problema questo che però si dovrebbe risolvere presto». Anche per questa sua allocazione strategica, «Pioltello risulta essere il perno di tanti progetti che riguardano la viabilità della zona dell’Est Milanese: centro intermodale, quadruplicamento della linea ferroviaria, trasformazione della rivoltana e della cassanese, soprattutto la nuova stazione di porta che offrirà l’occasione per fare di Pioltello la vera e propria porta di Milano, fondamentale punto di passaggio tra l’Italia e l’Europa centroorientale». La ricchezza infrastrutturale e la particolarità logistica di quest’area comporta però anche dei notevoli problemi. Il congestionamento del traffico e il fatto stesso che la città sia attraversata da due importanti arterie viabilistiche e poi anche dalla strada ferrata creano dei disagi e degli ostacoli sia alla popolazione che alle stesse aziende. «Il principale problema che abbiamo oggi - dichiara il dirigente di una grande azienda - è proprio quello della viabilità che con il passare del tempo è peggiorata, anzi oggi è orrenda. Noi siamo estremamente interessati all’interporto, alla stazione di porta, all’autostrada, perché se è vero che con Internet possiamo mandare un messaggio a Hong Kong in un secondo, noi non possiamo di certo impiegare ore e ore per raggiungere l’aeroporto. Occorrono più infrastrutture e meno burocrazia. E’ auspicabile che a livello comunale e pluricomunale si realizzino delle iniziative per creare quelle infrastrutture che consentono a quest’area e al Paese di poter competere e ciò vuol dire strade, ferrovie, svincoli, servizi. In questo ambito, se noi oggi abbiamo un problema, questo riguarda proprio lo spazio e le strade. Qui siamo veramente ingolfati. Abbiamo bisogno di avere aree intorno a noi e una viabilità scorrevole. Per noi il problema della viabilità è fondamentale». E lo è anche per i semplici cittadini e per chi a Pioltello trascorre buona parte del proprio tempo per ragioni di lavoro. «Io abito a Verderio e per arrivare qui ogni mattino impiego oltre un’ora, un’ora e un quarto per fare solamente 40 chilometri»; «per entrare sulla cassanese negli orari in cui c’è il traffico dei pendolari noi impieghiamo un sacco di tempo»; «io mi meraviglio che siamo ormai entrati nel 2000 e ancora il problema del traffico non è stato risolto». «E pensare che ancora qualche anno fa in centro al paese passava il cavallo con il carretto, mentre oggi ci sono alcune zone nelle quali si fa fatica a circolare». «Quello che meraviglia è che all’interno dell’abitato siano ancora insediate alcune grosse aziende e pure gli autotrasportatori la cui presenza complica la circolazione e incrementa l’inquinamento dell’ambiente». «E poi il passaggio continuo di mezzi pesanti rappresenta un motivo di dissesto delle strade. Non essendoci gli spazi sufficienti, i camion rischiano di rovinare la strada». «Da quando ci siamo insediati qui - ammette un imprenditore - abbiamo creato non pochi problemi alla viabilità. Per parecchi anni abbiamo avuto un buon afflusso di camion, di automezzi pesanti che hanno procurato alla collettività dei disagi. Con il tempo abbiamo ridotto pesantemente la movimentazione degli autotreni che erano nell’ordine di 20 al giorno. Un tempo avevamo poi anche un flusso del prodotto finito e del semilavorato che comportava la presenza di altri automezzi, mentre ora questo traffico è stato di molto ridimensionato». I disagi dovuti al transito dei mezzi pesanti e la pericolosità sulle strade ha persino indotto in più circostanze gruppi di cittadini a rivolgere petizioni di protesta all’Amministrazione comunale. «Nel tratto di dieci chilometri - fa presente un artigiano - abbiamo Lambrate, come attraversamento della ferrovia, il ponte di Segrate e quello di Limito e il traffico che c’è è tale da non poter essere sostenuto dalle strutture viarie esistenti. In particolare, il ponte di Segrate è abbastanza pericoloso. Io lo attraverso due o tre volte al giorno e ci ho rimesso due o tre specchietti talmente è stretto. Ci sono quindi delle perdite di tempo che incidono sia sulle imprese che sui lavoratori». Se si tiene conto della sproporzione che si registra tra la crescita del numero di veicoli circolanti sulle strade della provincia di Milano e il modesto potenziamento che di riscontro hanno avuto in questi ultimi decenni le infrastrutture viarie, non ci si può affatto sorprendere che oggi ci si trovi in una situazione che è ai limiti della sopportabilità. Tabella n. 29 Indici degli autoveicoli e della rete stradale. Provincia di Milano - 1961-1995 ‘61 ‘95 Autoveicoli in circolazione 100 763 rete stradale (km) 100 112 autoveicoli per 1 chilometro 97 661 n° abitanti per autoveicolo 9,8 1,5 Fonte: Anfia, Regione Lombardia In pregiudicato è non solo la viabilità esterna all’abitato, ma anche quella interna. «Abbiamo avuto lamentele sui problemi relativi alla viabilità dai nostri associati di via Roma, di via Milano e da quelli di via Dante a Limito», fa presente il dirigente di una delle associazioni dei commercianti. E uno dei diretti interessati spiega: «Quelli che amministrano hanno attuato una viabilità caotica e noi abbiamo chiesto delle modifiche che però non sono state prese in considerazione. Non solo hanno pasticciato, ma hanno agito con molta prepotenza. Ora si parla di 150 giorni di chiusura per rifare la viabilità, ma io temo che diventino 300. In via Dante, quando hanno rifatto la pavimentazione si è verificato il disastro. Non dico che sia stato un errore, perché qualcosa a queste vie bisognava pur fare, solo che nell’agire in fretta i tecnici hanno commesso degli errori». E proprio a riguardo di via Dante si riscontra un coro di lamentele. «Qui ci hanno fatto un salottino, ma quando hanno chiuso c’è stata la rivolta dei commercianti e alla fine è intervenuta la mediazione del senso unico. Questa soluzione che ha permesso una viabilità solo di passaggio, concretamente non risulta utile al commercio. Credo sia più propositivo adeguarsi a un discorso di via chiusa con un contorno di parcheggi, di situazioni che consentono di spostarsi per fare gli acquisti avendo l’auto vicino. Se ci fosse la chiusura, mi chiedo cosa farebbe mai il negozio di ferramenta che è collocato qui. Come potranno mai essere riforniti delle materie prime gli artigiani del luogo? Occorre far sì che la gente di fuori possa venire a Limito con tranquillità a fare gli acquisti e se trova la via Dante chiusa deve poter parcheggiare vicino». «Il problema che abbiamo è proprio quello del parcheggio. A volte i nostri clienti non riescono a trovare posto dove mettere l’auto». «Abbiamo poi il grosso problema della manutenzione di via Dante. Il fondo stradale ha un aspetto gradevole, però è molto delicato e la strada si dissesta facilmente. Si verificano cedimenti del fondo e ora ci sono dieci punti critici che rischiano di diventare pericolosi se si ritarda nella manutenzione. Poi la via Dante è carente di parcheggi, gli spazi per farli ci sono e il problema può essere facilmente risolto». Accanto a chi protesta c’è però anche chi esprime apprezzamenti. «Togliendo il pavé e facendo la pavimentazione hanno fatto un bel lavoro però non è stato risolto il problema del parcheggio. Prima comunque in via Dante passavano pullman, camion e tir, c’era un traffico intenso e noi avevamo il problema di uscire dai portoni, ora invece si sta bene». E la questione dei posti auto viene sollevata anche dai commercianti del Satellite. «Il problema attuale è quello dei parcheggi. Avevano permesso la sosta per mezz’ora e andava bene, poi invece l’hanno tolta. Ora è un disastro perché non c’è più il posto per mettere l’automobile. Non so chi e perché ha chiesto una simile modifica, sta di fatto che un giorno qualcuno ha reclamato, compreso qualche esercente che più che essere tale è un mestierante, e hanno tolto la mezz’ora. Da me, una volta al mese e specie durante le festività natalizie, vengono clienti meridionali da Bergamo a prendere le specialità e faticano a trovare il posto per parcheggiare l’auto. Si tratta di una disfunzione che deve essere corretta, occorre vietare anche agli stessi esercenti di parcheggiare davanti ai propri negozi per un tempo infinito. Uno che viene qui a prendere due piedini non può rischiare di prendersi 50.000 lire di multa parcheggiando in doppia fila». Eppure, non si può certo dire che sul fronte delle infrastrutture e del riordino della viabilità interna l’Amministrazione comunale si sia dimostrata insensibile e non abbia operato al fine di trovare una soluzione ai problemi sollevati. Documenta il responsabile amministrativo della viabilità: «Ci siamo occupati della sicurezza stradale intervenendo attraverso l’istituzione di zone a traffico limitato dal momento che nella nostra realtà è impensabile fare delle isole pedonali perché ovunque ci sono passi carrali. Abbiamo cercato di migliorare le cose non solo con la segnaletica stradale, ma anche con interventi strutturali, cioè modificando la sede stradale, sistemando i marciapiedi, realizzando piste ciclo-pedonali e piccole rotatorie al fine di limitare l’inquinamento e favorire la circolazione. Sul piano più generale abbiamo in programma la messa in galleria artificiale della cassanese che permette una congiunzione, una ricucitura del territorio e soprattutto una continuità del sistema delle aree verdi a sud con quelle a nord-ovest destinate a parco». «Con l’interramento della cassanese - aggiunge un altro amministratore pubblico possiamo costruire un prato e dare così continuità al territorio. Questa è una delle cicatrici che intendiamo curare». Recentemente, infatti, è stato firmato l’accordo tra le Ferrovie dello Stato, il Ministero delle Finanze, la Regione, la Provincia e i Comuni di Milano, Segrate e Pioltello per procedere nell’opera di interramento. «Per la rivoltana, che è un altro elemento di frattura del territorio, anche se separa solamente la parte di San Felice a sud che è area agricola, è previsto invece il raddoppio. Con gli insediamenti che ci saranno in quell’area si pone però un problema di connessione e allora abbiamo ideato un sistema viabilistico e di attraversamento ciclo-pedonale che dovrebbe connettere la parte nuova con quella storica». Poi è in programma «la realizzazione della stazione di porta che è un altro veicolo di qualificazione del territorio il quale dovrebbe favorire l’approdo di operatori economici e di investimenti sviluppando così l’economia locale. Anche questo è un provvedimento di connessione del tessuto urbano perché la stazione verrebbe realizzata su un doppio affaccio, a nord con la piazza della stazione e a sud dove è previsto un parcheggio pubblico che è un elemento di valorizzazione di quella parte del territorio. Questo consentirebbe il superamento dell’attuale divisione che è comportata dalla stessa ferrovia». Non tutti però confidano nella bontà di un simile progetto. «L’idea di fare una stazione di porta può far credere che si tratta di una soluzione comoda per chi vuole andare a Milano a lavorare perché non accetta i lavori dequalificati che ci sono qui, anche se saranno sempre pochi. Non può invece significare un accrescimento del livello della qualità della vita di chi vive a Pioltello». «Alla stazione di porta non siamo gran che interessati, perché il nostro collegamento ferroviario ci garantisce già a sufficienza», precisa il dirigente di un’azienda di stoccaggio e logistica. Comunque, «prima di realizzare la stazione di porta dovrebbero creare le necessarie infrastrutture. Ben venga la nuova stazione perché assicura un migliore servizio per la zona, però occorre il parcheggio per chi viene in macchina, occorrono i collegamenti adeguati per accedere a questo nuovo servizio». Oltre a coloro che manifestano riserve sul progetto c’è anche chi diffida della sua stessa realizzazione. «Ricordo che davanti al Malaspina un tempo c’era un cartello che annunciava la costruzione di una rotonda e di un cavalcavia della ferrovia che avrebbe dovuto sbucare lì davanti e dovevano perciò allargare la rivoltana. Quel cartello un giorno è sparito e di lavori non se ne sono mai visti. Ecco, come spesso vanno le cose e qui da noi ci sono problemi irrisolti da più di vent’anni. Non vorrei che anche i progetti di oggi facessero quella fine». La complessità nell’affrontare la questione delle infrastrutture nella specifica realtà di Pioltello è dovuta al fatto che qualsiasi intervento su di esse e la loro stessa programmazione non sono purtroppo di competenza dei poteri pubblici locali, bensì, data l’importanza d’area che esse assumono, il loro governo è affidato a enti sovraccomunali. Questo comporta delle implicazioni di carattere regionale e nazionale. va poi aggiunta la problematicità della loro stessa gestione a causa proprio del loro elevato grado di interdipendenza. «La presenza di Linate - ad esempio - ha sviluppato la logistica e ha accresciuto le opportunità per questo territorio. La stessa metropolitana e pure la linea ferroviaria MilanoVenezia hanno aumentato il suo valore. Tutto questo però ha anche creato grossi problemi. Alla presenza di due autostrade, la Milano-Bologna e la Milano-Bergamo, si associa una congestione tale sulla tangenziale est che risulta ingestibile e causa scompensi alla situazione infrastrutturale dell’intera zona». «I problemi di Pioltello sono quelli di un’area metropolitana tipica e la necessità prioritaria è quella di una maggiore razionalizzazione dei collegamenti e dei servizi. Poiché tutta l’area del Nord Est milanese vivrà ancora fenomeni di delocalizzazione dal centro della città capoluogo e non avrà più delle connotazioni nette come le avute nel passato, ma ci sarà una mescolanza di industria, di terziario, di servizi, magari anche di attività agricole in forme estremamente marginali, occorre creare le condizioni per attirare attività imprenditoriali, anche di servizio e individuali, opportunità di nicchia o di collocazione». «Il nostro problema è proprio questo», avverte un altro imprenditore. «Mentre dal punto di vista del mercato abbiamo buone prospettive, dal punto di vista della gestione territoriale ci sentiamo nella cacca». «Pioltello sarà competitiva solo se noi riusciamo a farla diventare tale», fa presente un amministratore pubblico. «Oggi lo è solo in potenza essendo in una collocazione territoriale favorevole ed essendo vicina alla metropoli e a una serie di reti infrastrutturali fondamentali. Se vanno in porto certe scommesse e se si risolvono determinate contraddizioni, queste potenzialità possono tradursi in capacità competitiva. Come ente locale abbiamo però scarsi poteri d’intervento. Quando si tratta di affrontare il problema dell’alta velocità ci accorgiamo che esiste tutto un sistema istituzionale fatto di strutture burocratiche che non risulta affatto in sintonia con i processi di modernizzazione». Poi «risulta difficile portare al tavolo tutti questi soggetti e quando si riesce ad averne uno manca poi l’altro». «Rispetto alle politiche infrastrutturali e alla presenza e distribuzione dei servizi sul territorio è indubbiamente mancata una sintesi delle istituzioni sovraccomunali e Pioltello, già penalizzata nel passato perché esclusa dai benefici politici che invece hanno avuto altri comuni, continua a soffrirne. A questo deficit noi dobbiamo sopperire in qualche maniera e perciò abbiamo fatto quello che ci è stato possibile dal momento che la Regione Lombardia è ancora nel campo delle cento pertiche riguardo a tutto e la Provincia di Milano, con la stessa passata amministrazione di sinistra, ha mancato di prendere determinate decisioni». «Abbiamo chiesto alla Regione di avviare un piano d’area che obbligherebbe a riflettere sul futuro di questo territorio e sulla sua programmazione». «I progetti infrastrutturali per quest’area esistono - sostiene il dirigente di una struttura comprensoriale - alcuni sono in cantiere da anni. Il problema è che non si realizzano. Poi, per valorizzare al meglio le vocazioni di questo territorio mancano le sedi per sviluppare un dibattito politico-programmatico. I comuni sono 30, si va da 1.500 abitanti a 34.000; c’è un’area abbastanza densamente popolata che riguarda la fascia dei comuni di Segrate, Vimodrone, Cernusco e Pioltello i quali insieme fanno oltre centomila abitanti. A differenza però di Sesto S. Giovanni o di Monza, questi quattro comuni hanno quattro amministrazioni politicamente differenti e tra di loro non ci sono grandi rapporti, non c’è in sostanza un tavolo di confronto. Succede allora che a svolgere un ruolo di promozione notevole ci provi Melzo. Tentativi simili li vedo anche nell’Amministrazione comunale di Pioltello però essa non riesce ancora a svolgere quel ruolo di guida che per sua natura gli spetterebbe». «A riguardo dei problemi infrastrutturali e di urbanizzazione dell’area Est Milano - osserva un amministratore di Pioltello degli anni ‘70 - non c’è una visione d’insieme. La Provincia di Milano è sempre andata per i fatti suoi e della Regione Lombardia è meglio non parlarne». Non solo dunque c’è difficoltà d’intesa, ma sembra che ci siano anche delle idee confuse sul da farsi. «Quando si parla di quadruplicamento della ferrovia Milano-Venezia, di stazione di porta, di scambio intermodale ferro-gomma, ecc., sembra che il polo chimico non abbia alcun senso di esistere. Il rischio è che venga assunto come oggetto di altri interessi. Tempo fa qualcuno ha suggerito di destinare quest’area alla realizzazione di un polo di sviluppo del terziario avanzato e questo è un modo per generare incertezza e confusione». Sono perciò in molti a sottolineare l’urgente necessità di un confronto sull’insieme dei problemi relativi alle infrastrutture e alla programmazione di questo territorio e per fare questo viene invocato uno «sforzo di cooperazione su progetti chiari». «Gli enti locali potrebbero e dovrebbero creare forme di raccordo, di coordinamento, dovrebbero fare sinergia». «Tocca alle Amministrazioni locali giocare un ruolo sul piano delle politiche industriali e questa esigenza oggi è avvertita da molti». Precisa a questo riguardo un pubblico amministratore: «Un tavolo di concertazione a livello di quest’area territoriale non esiste, esistono invece diversi tavoli gestiti da Regione e Provincia e ai quali noi veniamo di tanto in tanto chiamati a partecipare. Questi tavoli risultano però segmentati, sono tra di loro incomunicanti su un’infinità di problemi: dalla grande viabilità al polo chimico, dalla stazione di porta all’aeroporto di Linate. Questo fa sì che noi veniamo coinvolti in tanti progetti, in tante discussioni, ma non abbiamo delle responsabilità complessive e non c’è nessuno che abbia una visione unitaria dei problemi e delle cose da fare. Ho addirittura fatto una polemica in Regione perché alla riunione sulla stazione di porta i tecnici regionali erano convinti che il polo chimico si stesse spostando, quando invece non è così, perché mentre a quel tavolo si parlava di delocalizzazione, a un altro tavolo si programmava la reindustrializzazione della stessa area. Insomma, sono pasticci». Eppure, nonostante queste incongruenze, «nella provincia di Milano esistono esperienze che dimostrano la possibilità e la positività di un’azione di integrazione e partenariato. Anche Pioltello dovrebbe operare maggiormente in questa direzione». 21. Il bisogno crescente di “fare concertazione” Affrontare il problema delle infrastrutture, far coincidere la programmazione del territorio con l’obiettivo di conseguire una più alta qualità dello sviluppo e soddisfare in questa maniera le esigenze dei vari attori economico-sociali, risulta indubbiamente un’operazione difficile soprattutto perché tra questi ultimi e le pubbliche istituzioni si riscontra una precarietà, se non addirittura una vera e propria mancanza di rapporti e di dialogo. Molto spesso da parte del privato esiste addirittura un senso di disistima nei confronti di tutto quanto sa di pubblico e in alcuni casi emerge anche un atteggiamento di chiara avversione. Sotto questo aspetto Pioltello non fa di certo eccezione nel panorama milanese e italiano. E’ però il caso di riconoscere che non sempre le cause di questo deplorevole clima sono da imputarsi esclusivamente a dei pregiudizi. «Come spesso succede - fa notare un manager - la sensibilità delle imprese rispetto ai cambiamenti in atto è molto più elevata di quella delle strutture governative, non tanto sulla percezione dei problemi che pure oggi c’è, ma sui processi decisionali e sulla scelte conseguenti che devono essere fatte. La burocrazia e la vecchia cultura sono d’impedimento. In Italia non ci si rende ancora conto che in un processo di globalizzazione le imprese per resistere devono assumere dei ritmi decisionali, organizzativi, commerciali molto elevati, mentre le strutture pubbliche arrancano dietro. Non si è ancora capito che sono vincenti quei Paesi le cui strutture pubbliche sanno interpretare le esigenze delle imprese. Questa è la palla al piede del sistema Italia». E le lamentele degli imprenditori e dei dirigenti d’azienda verso gli enti pubblici non hanno fine. «Il vero grande problema italiano è quello della burocrazia. L’apparato pubblico è veramente molto inadeguato alle esigenze della società moderna. Più il mondo progredisce e più si nota questo divario. Quando da noi arrivano gli stranieri strabuzzano gli occhi». «Sui livelli di competitività aziendale pesano la burocrazia, il fisco, lo Stato. Questi sono i nostri veri problemi». «Per avere un’autorizzazione che all’estero la si ottiene entro un mese qui da noi ci vogliono tempi infiniti». «Esiste il problema delle bollette di accompagnamento che ci fa perdere molto tempo, mentre in Francia non c’è. Là c’è molto più autocertificazione, meno timbri, meno controlli, meno pratiche, meno code agli uffici». «Dello sportello unico ne abbiamo sentito parlare sui giornali e alla tv, ma di benefici concreti noi non ne abbiamo ancora avuti. Così è per le semplificazioni amministrative e per il fisco, nonostante vengano fatti anche degli sforzi per semplificare, alla fine tutto risulta sempre più complicato. Si stava meglio quando si stava peggio. Rispetto ai concorrenti anche queste complicazioni pesano perché in altri Paesi tutto è molto più funzionale». «Velocizzare la macchina pubblica non è semplicemente un problema politico, ma è anche una questione di cultura. Prima di abituare l’apparato pubblico a lavorare più velocemente e meglio ce ne vuole di certo del tempo. Mentre l’azienda che opera sul mercato è costretta a velocizzarsi, il pubblico ha bisogno necessariamente di input e purtroppo questi non sempre ci sono. Io lavoro molto con i Paesi scandinavi e devo dire che è un altro mondo: rispettoso, veloce, serio, e poi duro con chi non rispetta le regole». «Anche a livello locale c’è bisogno di avere un rapporto più veloce e snello con l’amministrazione pubblica. Si è parlato di sportello unico, ma chissà quanto tempo occorrerà perché sia operativo. A noi è successo che per mettere a posto un parcheggio non sono bastati sei mesi e ancora oggi le pratiche burocratiche non sono esaurite. Non avendolo recintato, proprio per le lungaggini, qualche disgraziato lo ha scambiato per una discarica e vi ha depositato del materiale che ora il Comune ci contesta e ci obbliga, giustamente, a smaltire». «Oggi stiamo sviluppando un’attività con il Comune che forse è la più consistente da quando siamo insediati qui. Si tratta del nostro progetto di ampliamento. Tutti i tempi che noi c’eravamo prefissati per realizzare il nuovo capannone da adibire al reparto estrusione e per ristrutturare il reparto stamperia slittano di mese in mese. Noi ci eravamo dati dei tempi che sono stati completamente smentiti. Si sa che le complicazioni sono d’obbligo, le nostre lungaggini però sono incredibili. Ora abbiamo un concentramento di impianti e di personale in un’area che risulta eccessivo, provoca dei costi e diventa sempre più inagibile». Non tutti hanno però avuto esperienze negative. «Io ho sempre contestato all’Amministrazione pubblica di Pioltello la grande lentezza con cui abbiamo gestito il rinnovo della convenzione, però devo dire che se mi misuro con altre disavventure avute sul territorio italiano e con altri processi che altre imprese hanno con la pubblica amministrazione, quella di Pioltello è stata ancora rapida. In cinque-sei mesi abbiamo completato il tutto. Cinque-sei mesi che sono sempre troppi rispetto a un mese o due mesi che occorrono in Belgio o in Germania, comunque sono sempre un record rispetto ai 36 mesi di altre regioni italiane». «Con le Amministrazioni comunali non abbiamo mai avuto dei rapporti consistenti, ci siamo sempre limitati a chiedere ciò che ci era necessario e nei limiti delle leggi abbiamo sempre ottenuto ciò che desideravamo. Ci è voluto comunque tempo e fatica. Una cosa che abbiamo rilevato in ambito comunale è che rispetto a un dato problema abbiamo sempre trovato immediatamente la persona giusta a cui rivolgerci». A lamentare i disagi della burocrazia non sono però solamente le imprese, anche il semplice cittadino ha di che recriminare. «Un giorno stavo portando la carta da buttare in un cassonetto e un dipendente del Comune mi ha detto che da un mese era entrato in vigore il ritiro periodico sotto casa da parte del servizio pubblico e mi ha consegnato un volantino dell’assessorato che io non avevo ricevuto. Allora mi sono recato in Comune per ritirarne un po’ di copie da distribuire nella mia via. Allo sportello ho dovuto attendere 25 minuti perché il capo ufficio era al telefono, dopo di che, quando si è liberato e gli ho spiegato la ragione della mia presenza, in maniera sprezzante mi ha detto che lui non aveva tempo da perdere per darmi dei volantini. Ho dovuto minacciare di rivolgermi al sindaco e quando poi si sono decisi a fornirmeli per fotocopiare venti volantini hanno impiegato un’eternità. Quando c’era da conteggiare l’Ici a fare servizio agli utenti c’erano tre geometri e io mi sono divertito tanto perché ognuno di questi mi ha fatto calcoli differenti». A riconoscere ritardi e disfunzioni è del resto lo stesso dirigente di una struttura pubblica: «Andrebbero riviste molte norme, la privatizzazione del pubblico non si è verificata e i rapporti sono sempre informati a troppa burocrazia. Noi stessi siamo ancora legati alle procedure, alle norme e non invece ai risultati. E’ un passaggio culturale non certo facile da gestire». E pure un ex amministratore pubblico denuncia: «La difficoltà maggiore che io ho incontrato nel fare l’assessore è stata la burocrazia. Non sapevo neanche cosa fosse la macchina comunale, venivo da un’esperienza totalmente diversa e mi sono scontrato con il prefetto, con il Magistero delle acque, con la Provincia, con lacci e lacciuoli. La burocrazia è infernale. Per fare quello che abbiamo fatto abbiamo dovuto spendere cento energie ottenendo un risultato di dieci. Lo Stato deve di certo avere i suoi vincoli, perché la deregolation e il liberalismo selvaggio porterebbero al caos, però ci deve essere un equilibrio». Un operatore economico sottolinea come verso l’istituzione pubblica esistano dei veri e propri preconcetti i quali però in taluni casi trovano una valida giustificazione. «Noi siamo ormai abituati a vedere nelle istituzioni statali delle strutture di controllo e non degli organismi di supporto alle attività industriali. Quando pensiamo alla Asl è perché c’è la grana di mezzo, mentre quando pensiamo allo sviluppo aziendale non facciamo affatto riferimento ad alcuna struttura pubblica perché non entra nell’ordine di idee la possibilità di trovare in essa un aiuto alla soluzione di un nostro problema. Quando si devono fare delle analisi o si ha bisogno di servizi si ricorre sempre al privato. Infatti, quando ci é capitato di avere qualche controllo da parte delle strutture pubbliche noi abbiamo sempre avuto una grande perdita di tempo». Ma oltre alle lungaggini vengono anche denunciate delle inadempienze. «Lo svantaggio delle imprese italiane è di non avere alle spalle lo Stato quando vanno all’estero, a differenza degli altri Paesi europei che invece da questo punto di vista sono molto sostenuti e favoriti. L’Ice, ad esempio, non ci garantisce un credito all’estero. E nonostante queste difficoltà operiamo sui mercati di tutto il mondo e siamo la quinta potenza industriale». Il distacco tra il “pubblico” e il “privato” non è solo metaforico, esso è anche fisico. Fatta eccezione di alcuni casi particolari, la generalità degli operatori economici dichiara, almeno per il passato, una inesistenza di relazioni con le pubbliche istituzioni. «Con l’Amministrazione comunale, nei limiti che abbiamo, collaboriamo. Partecipiamo, ad esempio, alla festa degli anziani a Natale, a quella cittadina, abbiamo finanziato la ricerca degli architetti. Quando il sindaco ci chiama, se noi possiamo, non manchiamo di fornire il nostro contributo». «Con l’Amministrazione comunale stiamo operando per una convenzione la quale tende a sanare le vecchie situazioni. L’esperienza che abbiamo fatto in questi mesi è stata positiva e se fosse intensificata sarebbe sicuramente un fatto positivo. Quella che stiamo sperimentando è una metodologia corretta». «Mi è capitato più di una volta di essere invitato al dialogo da parte delle Amministrazioni comunali, anche da parte di quella di Pioltello il cui impegno è di migliorare la città e i rapporti con i commercianti. Con essa abbiamo posto le basi per uno studio sulla fattibilità di rifacimento di una piazza in fondo a via Roma, dove c’era anche la localizzazione di un mercato settimanale, e perciò di un’azione sinergica. C’è stata poi l’interlocuzione su altri vari aspetti». Ma per i più la regola è un’altra: «Non siamo abituati a essere consultati dal Comune quando si tratta di prendere delle decisioni importanti. Sarebbe certo utile che i privati fossero investiti dei problemi e venissero sollecitati ad esprimere i loro pareri e le loro proposte, ma questo non è mai accaduto». «Con le istituzioni pubbliche non abbiamo mai avuto rapporti». «Mi pare di capire che l’Amministrazione comunale non sa nemmeno chi io sia, non sono mai venuti a trovarmi, non c’è mai stato un dialogo. Forse con le aziende del polo chimico hanno avuto dei rapporti, con noi no di certo. Dalle amministrazioni precedenti mi sono sempre tenuto io stesso un po’ distaccato. Non ho mai avuto il piacere in trent’anni di bere un caffè con un sindaco di qualsiasi formazione politica egli fosse. Operiamo da trent’anni a Pioltello, paghiamo le tasse, abbiamo garantito dei posti di lavoro, non abbiamo mai trasferito nessuna lavorazione, nessun macchinario fuori da questo stabilimento. Credo che chi rappresenta la comunità di Pioltello potrebbe almeno avere un dialogo quando si tratta di stabilire se la strada qui sotto deve essere più grande oppure no, se fare un centro sociale o non farlo, se fare un centro ricreativo per i giovani o altro». Ammettono gli stessi attuali responsabili del governo della città: «L’esigenza di un rapporto con le aziende locali fino ad ora è emerso solo nei casi in cui c’erano di mezzo le dismissioni o si poneva l’esigenza di un intervento di riqualificazione o di recupero. Per avere relazioni diverse sarebbe occorso mettere in campo delle politiche attive del lavoro, cosa che non è nella tradizione degli enti locali». Eppure, l’ipotesi di un dialogo permanente, di un contatto non affidato all’emergenza, ma finalizzato a una reciproca conoscenza dei problemi e a un confronto al fine di trovare le giuste soluzioni, incontra il favore di tutti, seppure con qualche distinguo e ad alcune condizioni. «Sarebbe certamente positivo il fatto che esistesse una struttura, uno strumento che in modo permanente consentisse alle aziende e all’Amministrazione comunale di parlarsi, di comunicare i loro rispettivi problemi al fine di trovare le giuste e le più sollecite soluzioni. Questo permetterebbe anche di fare delle valutazioni anticipate su quelle che possono essere le problematiche future. Interloquire prima che si inizi una pratica, un iter, diventa importantissimo. Sarebbe un’opportunità, un grosso vantaggio per le imprese avere dei luoghi referenti dove periodicamente discutere dei problemi che si hanno». «Tutte le occasioni per conoscere meglio la realtà del paese le ritengo positive, quindi se esistesse un tavolo di concertazione attorno al quale discutere dei problemi comuni verrebbero favoriti gli scambi di informazioni e di opinioni e si potrebbero trovare le soluzioni necessarie». «Se lo spirito è quello di incontrarci per fare qualcosa io sono disponibile a farlo tutte le settimane, se invece si tratta di incontri di compiacenza non sono disponibile». «Se si decidesse di far incontrare le varie aziende non per scambiarsi semplicemente le opinioni e quindi perdere tempo, ma per ragionare su dei progetti e su delle problematiche precise, la cosa sarebbe interessante». «Se ci fosse sul territorio un organismo stabile di dialogo tra i vari soggetti con il compito di scambiarsi informazioni e tenersi aggiornati sugli avvenimenti sarebbe una garanzia per tutti». «E’ indubbio che se ci fosse un’istanza attraverso la quale dialogare meglio tra aziende e struttura pubblica i problemi sarebbero di meno. Senza dialogo le cose rischiamo invece di complicarsi». E anche dai settori del commercio e dei servizi provengono sollecitazioni affinché i rapporti tra pubblico e privato siano più stretti e collaborativi. «Il dialogo tra commercianti, artigiani e Amministrazione comunale più ancora che utile è indispensabile, perché i commercianti si sentono veramente abbandonati, questa almeno è la sensazione che io continuo ad avere quando partecipo alle riunioni. Anzi, si sentono quasi sfruttati dalla stessa Amministrazione comunale quando si fanno le feste, perché a dominare è lo sponsor del Comune. Comunque l’Amministrazione dovrebbe prendere un tavolone, far sedere tutti attorno ad esso, rendersi disponibile a sentire le lamentele, raccogliere un può di idee e poi avanzare delle proposte, togliendosi così da quella posizione di presunzione che fa dire a qualcuno ‘qui decidiamo noi!’». «Il messaggio che mi sento di mandare al Comune è appunto quello di stabilire dei collegamenti anche con noi, di offrirci l’occasione di un interscambio di informazioni. Pioltello è un mare di cantieri e con i nuovi insediamenti diventa importante anche per noi che operiamo nel mondo del credito essere meglio informati per gestire in maniera giusta i rapporti con questa realtà. Sarebbe utile che ci fossero maggiori contatti soprattutto rispetto a scambi di informazione su ciò che l’ente pubblico intende fare sul territorio. Se nel tempo a disposizione dell’Amministrazione comunale fosse possibile ritagliare mezz’ora al mese per riunire le varie banche allo scopo di fornire loro delle informazioni sarebbe un’ottima cosa». «Anche noi - afferma un operatore della scuola - riteniamo che nel futuro i rapporti con gli attori sociali e istituzionali del territorio debbano essere più stretti, perciò i contatti devono essere ricercati e migliorati. Questa è una delle condizioni della nostra stessa crescita». Anzi, «se l’Amministrazione comunale mettesse un giorno tutti gli operatori delle scuole locali attorno a un tavolo per ragionare sul proseguimento dei percorsi di studio e per verificare la possibilità di avere rapporti e relazioni più rapidi tra di noi, sarebbe una cosa ottima. Lo sforzo che andrebbe fatto è quello di mettere assieme le realtà che già esistono per evitare un dispendio di energie e mettere in rete le diverse esperienze». Tutto questo, però, «deve essere fatto con spirito aperto», «deve esserci molta disponibilità alla comprensione», «anziché istruire nuove procedure sarebbe più utile che le cose si facessero a livello di collaborazione effettiva», «i tavoli di concertazione non devono servire a fare chiacchiere». «Io credo - asserisce il dirigente di un’azienda multinazionale - che l’Amministrazione pubblica più che costruire tavoli di concertazione deve essere un agente che favorisce la coagulazione e non deve presentare a livello locale degli schemi e delle formule rispetto alle quali ci si atteggia con una certa prevenzione. Quando oggi si parla di concertazione il primo sinonimo che viene in mente è l’immobilismo. Se un domani l’Amministrazione pubblica locale favorisse un tavolo di concertazione nella speranza di creare una coagulazione a mio avviso fallirebbe; se invece individua un fabbisogno e intorno a quel fabbisogno che può interessare le imprese crea un progetto allora la cosa riesce. Direi che il criterio può essere quello di incontrarsi per risolvere un problema, mettendo in comune le forze e favorendo le sinergie. Questo potrebbe almeno ridurre l’individualismo, non certo superarlo considerato che sta nel dna dell’italiano». E di sollecitazioni a un impegno più assiduo da parte delle pubbliche istituzioni nel “fare rete” provengono anche dagli operatori di alcune strutture comprensoriali: «Sarebbe opportuno che le Amministrazioni comunali si occupassero maggiormente anche del governo della sanità dal momento che esiste un’assemblea che non funziona. Non c’è la dovuta attenzione ai problemi e alle politiche sanitarie e l’impressione che si coglie è che ognuno si accontenti di ottenere qualche servizio al quale è interessato, ma che badi poco alla gestione complessiva. Noto che sullo sportello unico, materia di competenza sia delle Asl che dei Comuni, c’è molta tiepidezza, anzi ci sono resistenze sia politiche che amministrative, mentre sulla vigilanza urbana nei cantieri edili c’è una scarsa cooperazione». «Eppure c’è l’esigenza di fare concertazione. Questo territorio della Martesana ha caratteristiche omogenee storiche e la difficoltà di un’azione sinergica consiste nella presenza di comuni troppo piccoli. Forse una conferenza delle Amministrazioni locali, dei sindaci o qualcosa di analogo potrebbe rappresentare un avvio. Se non si vuole partire da strutture, ma invece da una verifica della volontà politica, credo che potrebbe essere istituita una conferenza permanente delle Amministrazioni locali, anche a guida alternata, attraverso la rotazione fra i diversi membri, la quale potrebbe darsi dei programmi di lavoro. Il modello che potrebbe essere preso ad esempio è quello di Vimercate dove le Amministrazioni di quel territorio, indipendentemente dal colore politico, hanno deciso di fare questa conferenza e piano piano sono riuscite a costruire delle strutture di servizio ad hoc, da una parte il Centro Lavoro dall’altra l’Agentec che è un’agenzia di servizio alle imprese, un consorzio di servizi sociali. In sostanza, si tratta di un modello che riadattato a questa realtà potrebbe risultare utile. L’idea che, secondo me, sarebbe opportuno sollecitare e spingere avanti è quella di puntare su una struttura leggera che possa servire ai Comuni per favorire in maniera veloce la fattibilità dei progetti». «Ci vorrebbe un ente capace di sviluppare la programmazione nel senso di cogliere le dinamiche che ci sono sul territorio e di incentivarle, farne oggetto di una riflessione comune. A fare questo potrebbe essere la Provincia insieme alle Amministrazioni comunali che io vedo molto più attente e interessate rispetto al passato. Le vedo cioè alla ricerca di un lavoro comune, impegnate a superare i localismi che ci sono sempre stati e noto una maggiore tendenza a individuare terreni comuni di lavoro e a costruire gli strumenti di reciproco sostegno. I servizi per l’impiego, che sono una componente fondamentale operante sul territorio, è una testimonianza di questa tendenza. Vedo un tentativo interessante di fare altrettanto con le imprese». «Risulterebbe importante la costituzione di una struttura del tipo agenzia di sviluppo il cui scopo potrebbe essere quello di costruire un’identità socio-economica di questo territorio, invertendo così la tendenza storica alla dipendenza passiva dalla città capoluogo e mettendo in campo un soggetto attivo di sviluppo della propria realtà». «Una simile struttura potrebbe avere un ruolo, ad esempio, di analisi del territorio, nel tessere i rapporti con le aziende, nel coordinare le politiche d’incontro tra domanda e offerta di lavoro piuttosto che gestire direttamente la partita del collocamento dei disoccupati». «Intorno a Milano - fa presente un dirigente d’azienda - ci sono delle realtà che si stanno riconvertendo in forma molto interessante. Tutti, ad esempio, ci si aspettava un inesorabile tramonto di Sesto S. Giovanni dopo la chiusura delle acciaierie Falk, mentre oggi si assiste a una sua formidabile rinascita. Ecco perché credo che gli amministratori di quest’area devono stare attenti, se essi colgono le opportunità possono attirare qui investimenti e l’evoluzione può esserci. Questa è la settima area in Europa in termini di Pil, è una delle più vitali e se non è la prima come qualità della vita, è indubbio che, come si dice a Milano, i dané scorrono qui». «Anch’io guardo con interesse e attenzione a quanto si sta facendo a Sesto S. Giovanni aggiunge il dirigente di una struttura comprensoriale - perché è una fucina di iniziative e può essere per noi un esempio di come muoverci. Perché, ad esempio, non sviluppare iniziative di cottage del lavoro quando su questo territorio abbiamo l’ingresso della metropolitana e il passaggio della ferrovia? Iniziative di questo genere trovano le condizioni ideali per svilupparsi facilmente considerato anche che possono trovare beneficio nel dinamismo dell’imprenditoria locale. Qui abbiamo la presenza della televisione, delle telecomunicazioni, delle società di informatica, però mancano iniziative adeguate ed efficaci come avviene in altri territori. Forse questa carenza di iniziativa è giustificabile con il fatto che qui non abbiamo vissuto delle crisi molto forti e perciò si è portati a sopravvivere all’infinito, continuando con dinamiche non governate o almeno non apparentemente governate. Ci vogliono poi i cervelli, un interscambio con l’università e purtroppo a me non risulta che qui esista una volontà e le condizioni per fare questo. La stessa realtà economica della città di Milano da questo punto di vista non è che dia grandi garanzie. Il caso più significativo resta appunto quello di Sesto S. Giovanni dove stanno avvenendo processi molto interessanti. Se si vuole mettere in campo un progetto occorre portare a sintesi le risorse che ci sono attraverso un’azione che può essere svolta solo dal sistema istituzionale locale in rapporto con la Camera di Commercio e con l’università. Laddove c’è una sorta di concertazione delle politiche industriali, com’è il caso di Sesto attraverso l’Agenzia di sviluppo Nord Milano, si individuano anche più facilmente gli strumenti per favorire questa convergenza». Del resto, le stesse esperienze dei «patti territoriali» che anche in alcune aree della Lombardia e della stessa provincia di Milano sono state compiute o sono tuttora in corso, stanno a dimostrare che laddove si riesce a fare concertazione i vantaggi sul piano della crescita e della qualificazione dello sviluppo sono assicurati. 22. Il Centro Lavoro e le nuove strutture del collocamento «Il ragionamento sulle opportunità di una concertazione tra enti locali e parti sociali deve necessariamente essere approfondito - sostiene un pubblico amministratore - anche perché le esigenze e le possibilità sono molteplici». Una delle urgenze a questo riguardo è senz’altro quella relativa al governo del mercato del lavoro il quale sta vivendo un processo di decentramento e di innovazione molto importante. «La riforma avviata con la legge 469/97 - osserva il responsabile del Centro Lavoro - mi sembra che stia cominciando ad entrare nel vivo. Intanto i collocamenti così come li abbiamo conosciuti in questi cinquant’anni sono scomparsi e il decentramento è stato innescato. Le competenze in termini di indirizzo sono passate alle Regioni mentre la gestione è affidata alle Province in raccordo con i Comuni. L’impostazione legislativa è positiva e laddove ci si è mobilitati i risultati si sono visti. Si sta sviluppando una copresenza di più attori perché, accanto al servizio pubblico puro, ora ci sono i Centri per l’impiego che sono un misto di pubblico e privato e poi c’è il privato che è fatto di agenzie interinali e di intermediazione. Una contraddizione è costituita dal fatto che mentre la legislazione sull’impostazione dei servizi per l’impiego parla di una convergenza tra formazione, orientamento e servizi, la Provincia di Milano ha deciso di dividere in due l’assessorato competente e questa scelta solleva molti interrogativi. Nella nostra provincia siamo decisamente avanti rispetto ad altre nella costruzione dei servizi all’impiego, però mi pare che ancora non ci siano le idee chiare circa il sistema di gestione definitivo». A dire invece di un dirigente dello Scica, «il passaggio di competenze dallo Stato alle Province non ha portato ad alcun cambiamento; la modifica radicale c’è stata nel ‘91 con la legge 223 che ha cambiato tutto il collocamento. Prima l’azienda poteva avere il nulla osta per assumere un dato numero di lavoratori, mentre per i rimanenti aveva l’obbligo di chiederli all’ufficio di collocamento che a sua volta li sceglieva attraverso le graduatorie. Da quel momento, cioè dal ‘91, il collocamento è cambiato di molto, ora invece è stata cambiata solo l’etichetta: non ci chiamiamo più Ministero del lavoro, ma Centri per l’impiego. Le aziende hanno l’obbligo di comunicarci le assunzioni entro cinque giorni, per il resto le cose vanno come sempre. Lo scombussolamento che c’è stato é dovuto al fatto che molti addetti sono rimasti al Ministero e così le Province si sono trovate a dover assolvere al funzionamento degli Scica, cioè a un servizio per loro nuovo, con pochissimi operatori a disposizione. A chi viene da noi, facciamo l’intervista e mettiamo il loro curriculum nel computer. Noi abbiamo sempre cercato di snellire le procedure. Il lavoro previsto dal nuovo programma è bellissimo, solo che non abbiamo personale sufficiente per poterlo realizzare in maniera completa. Oggi, tutto quanto perviene nel nostro ufficio viene digitato». Alla luce di questi non marginali cambiamenti, cresce il protagonismo delle strutture pubbliche periferiche. Osserva un amministratore locale: «Occorre incrementare le politiche attive del lavoro, senza avere l’illusione di risolvere con queste il complesso problema occupazionale che non è certo risolvibile né dai Comuni né dai Centri Lavoro. Quello che possono fare le nuove strutture è di essere più vicini ai cittadini monitorando i loro bisogni ». La riforma ha prodotto, tra l’altro, una proliferazione delle strutture che si occupano di incrocio tra domanda e offerta di lavoro e anche nell’Est Milanese sono sorte in questi anni numerose agenzie private d’intermediazione. «E’ proprio la comparsa delle agenzie interinali ad aver cambiato il mondo del lavoro. Anche noi a questo punto dovremmo essere autonomi, come Centro per l’impiego, dovremmo cioè essere messi in condizioni di fornire noi stessi il lavoratore alle aziende, ovviamente dietro pagamento in modo così di coprire i costi di questo servizio», sostiene un operatore dello Scica. «Non abbiamo ancora censito le strutture che si occupano di mercato del lavoro e che si sono insediate sul nostro territorio, è comunque chiaro che dovremo tendere a far sì che esse operino in maniera collegata tra di loro, cioè in rete». «Io supponevo che ci sarebbe stata l’immediata integrazione tra noi e i Centri Lavoro, invece così non è stato. Perché la Provincia deve farsi carico di pagare noi e anche i Centri Lavoro? Dovremmo assemblarci, fare un centro unico, invece per ora hanno tenuto in piedi due corpi. Sarebbe utile che si facesse un esperimento. Se stanno in piedi le agenzie interinali, mi chiedo perché mai non dovremmo stare in piedi noi. Potremmo metterci in concorrenza con il privato ed offrire il nostro servizio alle imprese». «A riguardo delle assunzioni del lavoro temporaneo non abbiamo ancora il dato definitivo, possiamo però dire che il 60-70% degli avviamenti a tempo determinato (ogni mese sono 400-500 su un totale di 1.400 assunzioni) è frutto di assunzioni tramite le agenzie interinali. Una parte di queste assunzioni si trasformano poi in rapporti a tempo indeterminato». Il Centro Lavoro Est Milano, come si sa, è nato due anni fa su iniziativa della Provincia e attraverso l’associazione di 18 Comuni del comprensorio. «La sua importanza è indubbia. Esso vuole significare la volontà di creare un bacino di riferimento per ridare un’identità alla zona della Martesana e valorizzare le sue specificità occupazionali, produttive, merceologiche. Oggi purtroppo non esiste una riflessione, una ricerca, una elaborazione politica in materia di lavoro, perché i Comuni hanno una funzione marginale in questo campo. Non esistono degli assessorati, non esistono degli addetti che abbiano competenze adeguate per occuparsene e allora il Centro Lavoro può essere una modalità per portare all’interno delle Amministrazioni locali il problema nel suo complesso, per favorire una riappropriazione della conoscenza del territorio, per fare ricerca e per mettere a disposizione dei cittadini un servizio e delle opportunità. Un tempo Pioltello era sede dell’ufficio di collocamento che poi è stato spostato a Melzo. Nel corso di questi anni passati, assieme a questo ufficio, Pioltello ha perso altri servizi pubblici importanti e il fatto che la presidenza del Centro Lavoro sia stata affidata a noi lo considero come un’occasione per rilanciare il ruolo di questa città. Qui poi è stato aperto uno sportello la cui attività sta dimostrando la giustezza della scelta compiuta». Racconta infatti un’operatrice dello sportello di Pioltello: «Questa sede distaccata del Centro lavoro registra un buon afflusso di persone. Se inizialmente la tipologia dell’utenza si poteva collocare in una fascia medio-bassa, col passare del tempo si è incrementato l’accesso di diplomati e anche di qualche laureato, oltre a persone già occupate che sono in cerca di una diversa collocazione. Allo sportello si presentano persone che hanno anche bisogno di informazioni, e noi, oltre a spiegare i termini del servizio che offriamo, cerchiamo di individuare il bisogno dell’utente e di definire i passaggi successivi di un intervento a suo favore. Formiamo informazioni sia sulla legislazione che sul mercato del lavoro. Sollecitiamo poi tutti gli utenti a frequentare corsi di formazione, specie coloro che risultano deboli dal punto di vista professionale, questo come buona carta per accedere o per restare nel mercato del lavoro. Non alimentiamo illusioni, ma chiariamo che noi facciamo preselezione e non selezione e perciò non siamo noi a trovare il lavoro, ma noi mettiamo insieme i pezzi e costruiamo gli itinerari perché chi ne ha bisogno rimedi poi un’occupazione. Abbiamo constatato che la chiarezza paga, molti utenti tornano qui per avere chiarimenti, informazioni, per accedere agli annunci e questo dimostra appunto che abbiamo acquisito la loro fiducia. Noi ormai, qui in via Leoncavallo, insediati tra gli anziani e i campi da tennis, siamo diventati visibili per tutta la popolazione di Pioltello. Allo sportello ne arrivano da Seggiano, da Limito e questo dimostra la nostra visibilità. Ma oltre a quelli di Pioltello, abbiamo anche utenti di Segrate, di Cernusco e di Vimodrone. Si tratta di Comuni grossi che non hanno aderito all’associazione. Essendo però noi una struttura che fa servizio su tutta la provincia ci mettiamo a loro disposizione. Non sono moltissimi quelli che vengono da fuori comune, però ce ne sono. Dell’afflusso che abbiamo siamo soddisfatti e per il momento basta così, anche perché quando siamo aperti al pubblico non torna semplice gestire gli utenti che già si rivolgono a noi. Siamo in due operatori e nonostante ci suddividiamo il lavoro (accoglienza, interviste di preselezione e colloqui di approfondimento) spesso siamo in difficoltà. Andrebbe potenziata la presenza degli operatori dal momento che mentre ci si aspettava un calo di affluenza, abbiamo invece registrato un progressivo aumento degli utenti. Pioltello è una realtà dove la presenza delle persone si rinnova di anno in anno e questo alimenta la richiesta di prestazioni del Centro». Le aziende di Pioltello che, nel periodo 1/12/99-30/6/00, hanno fatto richiesta di personale allo sportello del Centro Lavoro sono state 22 e hanno riguardato 35 profili professionali; gli avviamenti sono stati 34. Il numero di assunti nelle diverse forme contrattuali sono stati invece 49, a fronte di 98 proposte di lavoro fatte pervenire agli utenti. Gli utenti presenti in banca dati presso lo sportello di Pioltello, al 30/6/00, erano 941. Durante il primo semestre 2000 allo sportello di Pioltello si sono presentati 220 nuovi utenti e sono transitate 768 persone. La presenza di utenza femminile è stata pari al 63%. Le domande aziendali pervenute al Centro Lavoro Est Milano, dal momento della sua entrata in funzione al 30/6/00 sono state 597, per un totale di posizioni da coprire pari a 1.235 unità. Le aziende che si sono rivolte al Centro sono state 379. Gli avviati sono stati nel complesso 228, a fronte di contatti con ben 3.853 disoccupati . Di questi ne sono stati segnalati alle aziende 1.954. Le aziende hanno intrattenuto colloqui di selezione con 966 candidati. La banca dati del Centro Lavoro Est Milano, al 30/6/00, era formata da 6.099 curricula. Nel primo semestre 2000 si sono rivolti agli sportelli del Centro Lavoro di Melzo 955 nuovi utenti e sono transitate 2.988 persone. Puntualizza il direttore del Centro: «Attualmente stiamo lavorando con la categoria della mobilità e poi stiamo mettendo a punto progetti per altre categorie come quelli sul disagio e sull’abbandono scolastico. Stiamo operando in rapporto stretto con le strutture del territorio, in particolare con le scuole superiori». «Anche noi svolgiamo un servizio per i disoccupati - precisa il direttore di un centro di formazione professionale - però in automatico è diventato un servizio che facciamo alle aziende, nel senso che da noi arrivano in media una decina di richieste di personale al giorno. Questi imprenditori scavalcano lo Scica e il Centro Lavoro e arrivano direttamente a noi. Loro ci precisano le caratteristiche della figura professionale di cui hanno bisogno e noi, tramite gli utenti dei nostri corsi e in base alla banca dati che abbiamo, verifichiamo le disponibilità. In banca dati abbiamo ormai un migliaio di aziende sia della zona sia di Milano che del Vimercatese, di Monza e anche della Bassa Bergamasca. Il nostro servizio consiste in momenti di colloquio individuale, a partire dall’accoglienza, e poi nel fare un bilancio di competenza con approfondimenti a livello individuale. Facciamo anche una serie di incontri di gruppo che servono come orientamento e per capire meglio le attitudini dei partecipanti ai corsi. Per quanto riguarda lo Scica stiamo aspettando che in Provincia definiscano un po’ meglio i rapporti tra noi e il Centro per l’impiego, tra noi e il Centro Lavoro e tra gli stessi Scica e Centro Lavoro. Sarebbe estremamente interessante per lo Scica fare un bilancio di competenza degli iscritti alle liste di collocamento e noi siamo a questo riguardo molto più attrezzati di loro. Il limite dei Centri per l’impiego e della struttura pubblica è proprio quello di non fare il bilancio di competenza quando invece esso porta a dei risultati estremamente interessanti, perché consente di collocare la persona giusta al posto giusto». A ricercare una collocazione di lavoro per le persone che ne hanno bisogno sono impegnate anche le agenzie interinali. «La nostra agenzia è stata aperta nell’agosto ‘99 - raccontano le sue responsabili - prima la zona di Segrate-Pioltello era seguita da una filiale di Milano-Lambrate che però a un tratto è giunta sul punto di scoppiare per il troppo lavoro e allora si è deciso di decentrare. Di agenzie nostre in zona ce ne sono una a Melzo e una a Cernusco. Le aziende di Pioltello le abbiamo assunte in carico a partire dallo scorso ottobre. Non ci si aspettava proprio che in questa zona ci fosse una richiesta tale da dover poi dividere questa filiale in due, cioè una per Segrate e una per Pioltello. Prossimamente, infatti, divideremo il locale e ne ricaveremo due filiali distinte. Tra Segrate e Pioltello abbiamo 34 clienti-aziende. In questa zona c’è molto terziario avanzato e a Segrate in particolare ci sono molti centri direzionali. Noi lavoriamo sia per l’industria che per il terziario. Mentre per Segrate le richieste riguardano soprattutto le figure impiegatizie, per Pioltello c’è un po’ di tutto, anche se a prevalere sono le figure operaie. Serviamo diverse importanti aziende medio-grandi e anche piccole di Pioltello. Ci sono poi anche aziende che ricorrono a più agenzie interinali. Abbiamo cioè un buon portafoglio di aziende clienti, mentre abbiamo in carico 95 lavoratori, dei quali una quarantina sono di Pioltello. Le aziende preferiscono rivolgersi alle società di selezione, alle agenzie di reclutamento e di selezione, alle nostre agenzie interinali piuttosto che agli uffici di collocamento e questo fa sì che mentre chi si iscrive alle liste degli Scica vi rimane per lungo tempo senza essere chiamato, chi viene da noi trova rapidamente collocazione. La pubblicità come agenzia di lavoro temporaneo ce la facciamo tramite i siti Internet, poi distribuiamo anche materiale nelle scuole, nelle sedi di Informagiovani, nei negozi e nelle biblioteche». 23. La scarsa propensione alla coalizione La riforma del collocamento ha decentrato i poteri, ha liberalizzato il mercato del lavoro, ha favorito la nascita di nuovi soggetti, però non ha ancora creato le condizioni perché si sviluppasse un’azione sinergica fra tutti gli attori che operano sul mercato del lavoro e che comunque sono interessati a favorire un nuovo rapporto tra scuola e mondo del lavoro. «Nella riforma del collocamento noi non siamo stati coinvolti - afferma un preside di scuola media superiore - probabilmente perché si ritiene che la scuola non abbia un rapporto immediato con il mondo del lavoro, non abbia cioè il ruolo di fornire immediatamente manodopera, anche se poi è quella che prepara la classe dirigente del futuro. Il rapporto con il mondo del lavoro è più stringente per gli istituti professionali o tecnici piuttosto che per i licei». Ma il mancato coinvolgimento viene rimarcato dagli stessi imprenditori. «Il Centro Lavoro Est Milano non lo conosciamo», dichiara un dirigente d’azienda. «Come imprenditore, nella gestione del Centro Lavoro non sono mai stato direttamente coinvolto». «Quando dobbiamo assumere del personale ci rivolgiamo ai Servizi sociali del Comune e ci facciamo indicare da loro gli eventuali soggetti bisognosi. Che un tale servizio lo faccia il Centro Lavoro proprio non lo sapevo». Ad apprezzarne l’esistenza sono invece alcuni giovani ai quali torna confortante la presenza sul territorio di una struttura cui ci si può rivolgere quando si è in cerca di una prospettiva occupazionale. «Il fatto che a Pioltello ci sia il Centro Lavoro, anche se fino ad ora non abbiamo ancora avuto modo di usufruire dei suoi servizi, è una buona cosa perché è un’opportunità per noi oltreché per le imprese». «Del Centro Lavoro di via Leoncavallo mi hanno parlato abbastanza bene, io personalmente però non ci sono mai andata». «C’è un mio amico che è molto soddisfatto perché è riuscito a trovare un’occupazione seppure a tempo determinato». Sull’istituzione di queste strutture e sulla loro operatività non mancano però riflessioni critiche e riserve. «Sulla formazione i Centri Lavoro sono totalmente spiazzati per due motivi: primo perché sono stati investiti del grosso problema del lavoro e questo assorbe di per sé tutte le scarse risorse a loro disposizione; secondo perché non si è ma capito bene il ruolo che questi Centri intendono giocare. Con i loro responsabili ci siamo incontrati parecchie volte e l’impressione che io ne ho ricavato è che anziché disporsi a collaborare alla pari essi siano interessati solo ad avere una copertura, come è il caso dei corsi sull’apprendistato», osserva il dirigente di un centro di formazione professionale. Che la fase attuale risulti essere per queste nuove strutture un periodo necessariamente di assestamento e che occorra pertanto ancora chiarire ambiti di intervento, competenze e quindi definire i rapporti che devono essere stabiliti tra i vari soggetti in campo, è cosa ben chiara nella coscienza di chi dirige queste strutture. «Il compito che ci siamo dati è proprio quello di far comunicare tra loro i vari soggetti e va detto che il metterli in rete non è facile. Esistono problemi di gelosie, timori di invadenze. Con la dovuta attenzione stiamo mettendo in moto un processo nuovo. Tra gli obiettivi statutari abbiamo appunto quello di mettere in relazione l’un con l’altro cercando di valorizzare le specificità di ciascuno. Ognuno ha la propria storia e il mettersi in discussione costa fatica, però c’è una grossa sensibilità e tutti incominciano a rendersi conto che ognuno può fare la propria parte. Purtroppo sul territorio esiste un deficit di concertazione e questo non favorisce la coalizione. Le organizzazioni imprenditoriali non sono presenti se non per garantire i servizi ai propri associati; le organizzazioni sindacali sono presenti con strutture decentrate in funzione più organizzativa che di direzione politica. Il problema è che anche quando sono presenti in termini di attività, molti di questi soggetti operano in una loro specificità e non colloquiano con gli altri». C’è poi da aggiungere che anche le associazioni rappresentative degli interessi sono state investite in questi anni da una crisi di rappresentatività e che pertanto anche loro faticano a rapportarsi alle esigenze dei loro stessi associati. Comunque, il mettere in rete i vari attori economici e sociali e il proporsi la costruzione di condizioni tali per cui si riesca a fare coalizione nel perseguire obiettivi di interesse generale non è di certo affatto cosa semplice. Gli ostacoli da superare sono molti e spesso di natura costituzionale. «Con i sindacati non abbiamo mai avuto rapporti - confessa la responsabile di un’agenzia di lavoro temporaneo - e questo è anche dovuto al fatto che i nostri lavoratori sono supertutelati e godono del rispetto di tutti i loro diritti. Abbiamo invece un buon rapporto con l’Ufficio di collocamento che ci fornisce gli elenchi delle categorie protette. Diverso è il discorso con il Centro Lavoro, essendo questa una struttura che opera sul nostro stesso terreno. Difficoltà ne abbiamo avute anche con i centri di formazione professionale quando abbiamo chiesto di avere le liste delle persone che frequentano i corsi. C’è in sostanza un clima un po’ ostile nei nostri confronti e forse perché ancora non hanno ben compreso quante offerte di lavoro noi possiamo garantire. I rapporti di collaborazione incontrano molte difficoltà, si fa fatica a dialogare». Conferma il direttore di un centro di formazione: «Noi riceviamo tutti i giorni richieste di fornitura di nominativi da parte delle agenzie interinali e delle numerose agenzie private di selezione e di collocamento che esistono sul territorio. Il nostro è un no automatico, dal momento che queste agenzie non fanno un servizio sociale, bensì speculativo. Collaboriamo invece con il Centro lavoro e con lo Scica. Con il Centro Lavoro abbiamo fatto una collaborazione specifica con tirocini che abbiamo monitorato tramite il nostro personale. Si è trattato di un’esperienza contenuta, ma significativa. Quando però si tratta di trovare forme di collaborazione più stabili ci si trova inevitabilmente di fronte ad atteggiamenti concorrenziali. Noi facciamo questo servizio da cinque-sei anni e ora arriva il Centro Lavoro e tenta di fare le stesse cose che noi facciamo con competenza. E’ da notare una paurosa dispersione di forze rispetto a quelli che sono gli interlocutori che esistono sul territorio. Anziché diminuire la competizione si accentua. Capita di trovare interlocutori diversi che fanno le stesse cose e invece di collaborare tra loro si trovano in oggettive situazioni di concorrenza». «Un ruolo importante nello spingere i vari soggetti a dialogare e a fare tra loro sinergia potrebbe essere giocato dall’Assolombarda, ma questa organizzazione sembra essere interessata solo alla realtà di Milano e poco a quella periferica e diventa faticoso coinvolgerla in iniziative locali», annota il dirigente del Centro Lavoro. E la tradizionale tendenza a operare in base alle proprie specifiche esigenze e in funzione esclusiva dei propri obiettivi viene messa in risalto dagli stessi operatori economici. «Le associazioni di rappresentanza hanno dimensione provinciale e rispetto alla realtà territoriale nostra non c’è alcuna istanza rappresentativa. Io per la verità, a livello territoriale non ho mai sentito la mancanza di una struttura che mi rappresentasse. L’Assolombarda ha già delle sezioni territoriali che servono fondamentalmente a organizzare mezze giornate di studio su singoli argomenti e quindi a evitare che ci si debba recare in via Pantano a Milano. Non credo ci sia una necessità di avere qui strutture specifiche». «A Pioltello non c’è una realtà specifica di riferimento per le aziende, noi abbiamo come referente l’Assolombarda. Finora la necessità di fare coalizione in loco non l’abbiamo avvertita, abbiamo sempre fatto le nostre cose per conto nostro e senza disturbare gli altri. Lo scambio non c’è mai stato. Se però ai tempi del fordismo questa assenza di collaborazione poteva anche andare bene, oggi con la globalizzazione si avverte la necessità di relazionarsi e di operare in modo sinergico. Da quando poi l’Amministrazione comunale ha incominciato a operare in modo aperto, questo bisogno lo si avverte ancora maggiormente. Prima ci sentivamo un po’ controparti, oggi non è più così». «Con l’Associazione degli industriali abbiamo un ottimo rapporto, con le altre categorie di interessi invece non abbiamo alcun legame». «Con le altre aziende qui attorno non abbiamo contatti anche perché non abbiamo nulla da condividere». «Di rapporti con le altre aziende di Pioltello non ne abbiamo. L’eccezione si registra con l’azienda che è nostra vicina perché abbiamo un interesse comune a riguardo dei terreni e per i quali stiamo discutendo con il Comune da illo tempore». «I rapporti con gli altri attori fino ad oggi sono stati tiepidi; permane sempre quel senso tipicamente italiano di individualismo che passa dalla persona alla gestione stessa dell’impresa. Si tratta di un paradosso dal momento che l’impresa italiana va nel mondo. C’è da dire che essa a volte perde punti proprio perché preferisce non associarsi piuttosto che affrontare assieme le cose. Nel mondo ci copiano i distretti, eppure queste realtà sono prigioniere di certi schemi di derivazione medioevale di cui è necessario liberarci. Devono essere compiuti dei veri e propri salti perché, come ha detto paradossalmente uno studioso, oggi il tempo dura meno. Qui da noi si fa coalizione con difficoltà, mentre all’estero c’è una maggiore capacità di coagulare il consenso». «L’associazione dei commercianti c’è sul territorio, tiene la contabilità ed esaurisce così la sua funzione. Prima era un po’ più sentita da tutti perché eravamo in tanti e in un primo tempo ci eravamo addirittura organizzati in categorie, ora invece il presidente dei commercianti non fa nemmeno più l’esercente e non abita più qui. Siamo ormai così in pochi che non ci poniamo nemmeno più il problema dell’organizzazione». «Noi siamo nella Confcommercio e ci sentiamo ben rappresentanti, anche se la convivenza con le piccole imprese è un po’ una contraddizione», sottolinea il dirigente di un’azienda della grande distribuzione. «Esiste ancora l’Asco che sta spendendo le ultime energie dei commercianti proponendo le feste per attirare la gente nei negozi. Raggruppa sia i commercianti che gli artigiani e suo obiettivo è quello di vivacizzare un po’ il paese, al di là di questo però i rapporti di interesse sono scarsi». Per certi aspetti si può dire che siano addirittura conflittuali. Afferma infatti un rappresentante della categoria: «Le Asco sono delle belle realtà che noi vorremmo fossero dei bracci operativi del sistema che noi rappresentiamo. Noi però con le Asco non centriamo e anzi, nel momento in cui da parte dell’Amministrazione comunale vengono messi a disposizione dei contributi destinati ai commercianti, noi desidereremmo che tutte le associazioni fossero poste su un piano di parità. Spesso infatti succede che la presenza delle Asco contribuisca a far perdere il riferimento istituzionale dell’organizzazione associativa. Con le altre categorie di interessi non abbiamo rapporti. Gli stessi artigiani che da noi sono fortemente presenti non sono organizzati più di tanto sul territorio». A faticare nel fare rete e coalizione sono soprattutto le vecchie generazioni, «laddove invece avviene il ricambio e subentrano i giovani, la mentalità cambia e si fa avanti l’avvertenza dell’importanza di fare sinergia. I tradizionali segreti, le antiche invidie che erano tipiche dei vecchi commercianti, con l’avvento dei giovani decadono e si fa invece forte l’esigenza del dialogo, dello scambio e dell’iniziativa comune». «Quella dei commercianti è una brutta categoria perché è difficile metterli assieme», sentenzia un esponente dello stesso mondo degli esercenti. «Fino a quindici anni fa c’era un’associazione commercianti che funzionava e che aveva come obiettivo quello di creare un punto vendita in Pioltello, poi invece tutto si è disfatto». E neppure coloro che hanno lavorato per decenni la terra non sono mai stati capaci di unificarsi e di raccordare i loro interessi. «Come agricoltori di Pioltello non ci siamo mai riuniti, ognuno ha sempre agito per proprio conto secondo i propri interessi. Anni fa io mi sono interessato un po’ di politica rappresentando gli agricoltori, ma anche in quella circostanza non ho mai avuto con loro uno scambio di idee circa le prospettive dell’agricoltura». «Gli agricoltori non si sono mai messi assieme per difendere l’agricoltura, ognuno ha pensato per sé, hanno fatto studiare i propri figli perché trovassero un’alternativa a quella di fare il contadino». E persino nel mondo della cooperazione prevale la tendenza all’individualismo imprenditoriale. «Un rapporto tra di noi cooperative non c’è mai stato e non c’è tuttora. Esiste semmai un po’ di concorrenza ed è normale che sia così, perché si cerca di lavorare e fino a quando non si toccano le tariffe le cose vanno bene a tutti». A tentare di compiere uno sforzo sinergico ci stanno provando invece alcuni operatori della scuola. «Con il Gramsci abbiamo qualche rapporto di collaborazione anche perché in passato abbiamo lavorato entrambi sul progetto qualità», afferma un preside di liceo. «Loro sono certificati. Con le altre scuole invece abbiamo rapporti sporadici. Un rapporto stretto l’abbiamo anche con il Centro di formazione professionale di Cernusco perché ci ha fornito un servizio, cioè gli abbiamo dato in gestione dei corsi pomeridiani perché sono più specializzati di noi. Con l’autonomia possiamo fare operazioni di questo genere che sicuramente rendono un servizio migliore al territorio». Ma anche in questo ambito le difficoltà non mancano: «Con le scuole che esistono sul territorio per il momento non ci sono particolari forme di collaborazione», precisa la responsabile delle «150 ore». «Occorre trovare un aspetto concreto su cui lavorare insieme e per ora il bisogno di operare in sinergia non è ancora avvertito da tutti». 24. Il ruolo strategico della formazione L’obiettivo di mettere in rete i vari soggetti che operano sul territorio per stimolarli a una pratica coalizionale torna senz’altro funzionale anche al bisogno di favorire l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro determinando al tempo stesso un nuovo rapporto tra il mondo della scuola e quello del lavoro. «Noi abbiamo il problema di trovare le giuste professionalità. C’è da dire che la scuola non prepara affatto i giovani al lavoro». «Io, come studio, ricevo dieci, dodici domande di lavoro alla settimana da parte di ragazzi che sono diplomati, ma in pratica essi non sanno poi fare nulla». «La scuola è da riformare, noi sforniamo dei diplomati e dei laureati che non sono preparati ad affrontare il mondo del lavoro, a parte il fatto che non sanno neanche l’italiano e se si leggono i temi dei concorsi pubblici e privati c’è ragione di mettersi le mani nei capelli. Soprattutto, non hanno una capacità professionale, mentre oggi la professione è tutto. Quel che manca è appunto la base». E’ da tenere presente che «nel comprensorio Est Milano viene realizzato solo il 5,17% dei corsi di formazione professionale che si svolgono in tutta la provincia di Milano, mentre gli occupati rappresentano il 7%». Anche per questa ragione «occorre attrezzarsi sul versante della formazione e della creazione di opportunità di finanziamento per promuovere corsi di formazione, campo questo in cui è debole non solo il territorio dell’Est Milanese, ma la stessa realtà di Milano. La formazione professionale è stata distrutta perché la Regione quando ha giustamente abbandonato il settore della prima formazione non ha poi sviluppato il settore conseguente della seconda formazione. A Melzo c’è L’Enaip e un Cfp per l’handicap, però il sistema è debole e inadeguato. Io conosco abbastanza la realtà di Milano e posso assicurare che anche nel capoluogo la situazione è insoddisfacente. Il rilanciare la formazione professionale a partire dalle necessità dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro può essere la modalità giusta e più adeguata per risolvere il problema occupazionale», sostiene un amministratore pubblico. In effetti le strutture formative esistenti sul territorio Est Milanese sono scarse. «Per la formazione qui a Pioltello esiste un centro territoriale permanente, ex ‘150 ore’, che è situato dietro al municipio e che fa servizio gratuito. Noi siamo in contatto con questo centro e ci sforziamo di formalizzare gli invii che sono numerosi. Si svolgono corsi di lingua inglese, di informatica e quest’anno dovrebbero istituire anche un corso di livello intermedio avanzato. Fanno poi corsi di italiano per stranieri e i docenti sono bravi. Per noi è un buon punto di riferimento». In zona esistono poi altre strutture specializzate le quali sono interessate a soddisfare al meglio la domanda di formazione che proviene da Pioltello. «Dietro nostra sollecitazione l’Amministrazione comunale ha deciso di darci ospitalità in una scuola media di via Bizet dove, a partire dal prossimo settembre, svilupperemo dei corsi destinati a ragazzi di tipologia particolare: si tratta di un corso per elettricisti impiantisti a bassa tensione e di un corso di addetti alla grande distribuzione», precisa il direttore di un centro professionale con sede a Melzo. Purtroppo però, rispetto al fabbisogno l’attività formativa si dimostra inadeguata sia in termini di quantità che di qualità. «Mancano dei progetti di formazione, di qualificazione, di accompagnamento al lavoro, forme di inserimento anche parziali finalizzate a far rientrare nel mercato le figure maggiormente in difficoltà». «Se guardo al piano della formazione della provincia di Milano e leggo i corsi che vengono proposti per le varie figure, mi ritrovo ancora attività formative per operatori d’ufficio addetti alla contabilità generale e cose del genere che ormai appartengono al passato. E’ proprio a partire da simili impostazioni che bisogna cambiare. I vari centri professionali hanno avuto la capacità di adattarsi ai tempi moderni e hanno inserito l’informatica e altre attività all’insegna dell’innovazione, ma se la Regione obbliga a mantenere questa vecchia mentalità significa che proprio non ci siamo». Per colmare il divario esistente tra domanda e offerta di formazione «è necessario costruire a livello comprensoriale un’associazione temporale di scopo e poi ricorrere ai finanziamenti che l’Unione Europea mette a disposizione per la formazione», sostengono al Centro Lavoro. Mentre il direttore di un centro di formazione professionale argomenta: «Noi abbiamo corsi di base, di formazione iniziale rivolti ai ragazzi più giovani; abbiamo poi tutta una serie di corsi rivolti a giovani in possesso di diploma di scuola superiore, corsi di post-diploma, di qualifica, di specializzazione della durata massima di un anno. Da cinque-sei anni interveniamo poi sempre più massicciamente su un’utenza di adulti in stato di disoccupazione e pure di mobilità e cassa integrazione e, infine, organizziamo degli stages mirati della durata di 150 o di 300-350 ore». In un rapporto del Centro Lavoro viene documentato che «l’81% degli utenti sono privi di conoscenze informatiche, mentre il 34% mancano della conoscenza di almeno una lingua straniera». Conferma un operatore della formazione: «Le richieste più grosse che ci vengono fatte sono sul fronte dell’informatica, sia informatica di base che avanzata. Noi pensavamo che le grosse aziende fossero ormai in condizioni ottimali anche dal punto di vista dell’automazione e dell’informatizzazione, invece ci accorgiamo che sono ancora in difficoltà non solo sul piano dell’informatica avanzata, ma anche su quello dell’informatica di base». «Stiamo però intervenendo parecchio anche sul fronte delle lingue, sia per l’inglese che per il francese. Interveniamo poi sul discorso della comunicazione con interventi che possono sembrare banali, ma le aziende si sono accorte che anche a livelli bassi, dal centralinista al portinaio, c’è la necessità di alzare il livello delle capacità relazionali, di front-office con l’utente esterno e infatti stanno intervenendo su questi aspetti. Noi operiamo poi anche nell’ambito della qualità e pure in quello della sicurezza organizzando la formazione dei rappresentanti dei lavoratori sulla ‘626’ con un modulo classico di 32 ore». E a proposito dell’importanza di avere una conoscenza delle lingue un dirigente d’azienda commenta: «La nostra organizzazione è molto internazionale, spesso vanno e vengono ingegneri di varie nazioni e la conoscenza dell’inglese diventa sempre più impellente. Fino ad oggi la stragrande maggioranza della nostra manodopera era indifferente all’inglese anche perché si considerava tutelata dal fatto che presso ogni stabilimento almeno il direttore era in grado di svolgere una conversazione in inglese o in francese. Oggi non è più così perché le visite e i contatti sono sempre più frequenti e solo per la gestione del millenium bag è stato necessario coinvolgere un numero rilevante di persone che a loro volta dovevano essere in contatto con un numero rilevante di colleghi stranieri e questa è stata la prova più evidente della necessità di avere all’interno un maggior tasso di internazionalizzazione. Del resto tutti i nostri collaboratori si rendono ormai conto dell’esigenza di conoscere le lingue proprio attraverso le innumerevoli sollecitazioni che essi hanno dall’esterno, sia attraverso la pubblicità televisiva che attraverso la carta stampata. Si nota infatti una continua crescente comparsa di espressioni inglesi il cui significato è ormai dato per scontato. Lo stesso Internet richiede la conoscenza dell’inglese. Noi abbiamo dei sofisticati sistemi di comunicazione interna attraverso la posta elettronica e se i nostri collaboratori non hanno le conoscenze di base rischiano di essere tagliati fuori». C’è chi fa notare però che «non tutti i settori e non tutte le imprese sono coinvolti in questo processo. L’imprenditore della subfornitura non è ancora entrato in questa mentalità, vincolato dalla rigidità del suo modo di produrre e dalle sue relazioni industriali, egli fa molta fatica a cambiare. Valuta l’impresa ancora dal punto di vista dei costi e non da quello dei progressi sul piano dell’innovazione». Ad avvertire il bisogno della formazione e della riqualificazione del personale sono soprattutto le aziende medio-grandi. «Noi abbiamo scelto la strada della formazione interna che viene gestita dagli stessi nostri fornitori di impianti. Acquistiamo gli impianti chiavi in mano e a questi impianti leghiamo del personale che viene formato in più cicli in modo da consentire loro di acquisire il massimo delle nozioni. Ci stiamo poi creando in casa una struttura tecnica che ci assicura una formazione continua anche per quel personale che non vanta livelli di istruzione adeguati alle esigenze produttive». «A riguardo della formazione professionale, al nostro interno abbiamo sviluppato due approcci diversi: facciamo addestramento professionale che è strettamente legato alle esigenze tecnico-organizzative e produttive dell’impresa e poi facciamo la formazione globale che è un concetto che stiamo affrontando adesso perché da un punto di vista strategico noi siamo molto preoccupati dell’evoluzione futura. Nel 2025, in Italia ci saranno 8 milioni di persone in meno a causa della crescita zero e questo comporterà un rischio molto elevato per il sistema economico del Paese. O questa parte della popolazione viene rapidamente sostituita oppure si devono trovare dei correttivi. La sostituzione non può avvenire in maniera superficiale come spesso si crede, cioè attraverso l’apertura delle frontiere alla forza lavoro proveniente dal bacino del Mediterraneo, perché questo personale, purtroppo, non ha le competenze tecniche necessarie per inserirsi immediatamente nel ciclo produttivo e per sostituire la manodopera locale, almeno questo non è possibile nel nostro ciclo produttivo. Mentre va bene per molte acciaierie nostre clienti, per aziende con alti livelli tecnologici come la nostra l’inserimento della manodopera non è così immediato e di conseguenza la nostra maggiore criticità nei prossimi cinque-dieci anni sarà di sicuro costituita dal tasso di obsolescenza della manodopera. A questo noi intendiamo riparare coinvolgendo sempre di più le persone in progetti di formazione che a volte possono anche non essere direttamente collegati alle loro prestazioni perché sono più globali». «Da noi un nuovo assunto fa una settimana di formazione e viene accompagnato a conoscere l’azienda. Viene istruito a dovere dal momento che opera in una unità produttiva chimica dove esistono certi rischi». «La direzione aziendale sta programmando corsi di formazione per macchinisti anche perché incominciano ad avere dei resi a causa della scarsa qualità della produzione». «Qui si fa formazione sia sulle mansioni che sulla sicurezza. In alcuni casi c’è anche l’affiancamento dei giovani assunti». «Con l’applicazione della ‘626’ in azienda si fa maggiore informazione e formazione al fine di garantire la sicurezza dei lavoratori». «La formazione la facciamo noi spiegando le norme igienico-sanitarie e le regole che devono seguire. Negli ultimi due-tre anni a livello di gruppo è entrata in funzione anche una scuola che fa dei corsi per neolaureati e neodiplomati i quali fanno degli stages e poi vengono assunti. Essendo un’azienda leader nel nostro settore siamo in qualche misura obbligati a crearci le figure professionali in casa». «Noi avvertiamo forte il bisogno di formazione, ma purtroppo quello che il sistema formativo offre è insufficiente. Gli istituti professionali risultano ormai superati dalla moderna tecnologia e non rispondono alle esigenze delle imprese le quali hanno bisogno di tecnici preparati e capaci. E’ allora l’azienda che deve promuovere questo tipo di formazione. Noi ci stiamo provando, abbiamo promosso dei corsi interni, stiamo realizzando dei filmati con dei computer per mostrare le varie parti degli impianti e per evidenziare i rischi in virtù della ‘626’. Si tratta di cose non semplici e noi siamo chiamati a colmare le deficienze del sistema scolastico. Qui ospitiamo anche delle persone che vengono a fare gli stages e per stendere la tesi. In genere provengono dall’università di Castellanza dove c’è la facoltà di ingegneria grafica. Abbiamo spesso anche delle visite da parte dei ragazzi dell’istituto Rizzoli che servono a far capire loro che non necessariamente lo sbocco dopo la scuola è quello di lavorare in ufficio. Alcuni di questi ragazzi li collochiamo anche nei nostri reparti e si tratta di giovani che non hanno paura di sporcarsi le mani». «Lo stage - commenta chi si preoccupa di far incrociare domanda e offerta di lavoro potrebbe essere uno strumento da utilizzare in svariati casi, invece esso viene destinato esclusivamente ai ragazzi che hanno già dei requisiti». «Noi stiamo facendo un grosso lavoro abbastanza accurato a proposito degli stages. C’è però da stare molto attenti perché spesso queste forme di introduzione dei giovani nel mercato del lavoro diventano delle opportunità per le aziende ai fini di un risparmio sul costo della manodopera. Questo avviene soprattutto nel campo dei consulenti del lavoro, degli uffici professionali e anche nella piccola azienda; a volte c’è anche la grande azienda che tenta il colpaccio richiedendo 9-10 persone in stage. Noi richiediamo sempre la dimostrazione che esistono realmente finalità occupazionali», puntualizza un operatore della formazione. Solo le cooperative di facchinaggio non avvertono un impellente bisogno di formazione. «Ai nostri nuovi assunti facciamo fare 5 giorni di addestramento e poi li teniamo in prova per 3 mesi e questo basta per avviarli alle loro mansioni». E una certa trascuratezza viene denunciata anche dalle istanze sindacali dello stesso ente pubblico locale. «La formazione da noi è prevista nel contratto ma non è decollata. Si sono fatti un po’ di corsi per l’uso del computer, però una formazione vera e continua non c’è, non è ancora partita. Eppure di formazione c’è bisogno sia per chi lavora in ufficio che per gli operai. Noi all’interno della nostra piattaforma avevamo incluso il problema dell’aggiornamento professionale, però non si è venuti a capo di nulla. C’è da dire che di formazione nelle strutture pubbliche se ne fa proprio poca». Ci sono invece aziende che su questo fronte stanno facendo sperimentazioni di avanguardia. «Con il Politecnico abbiamo un sistema di formazione permanente a tutti i livelli e i risultati sono inimmaginabili, essendoci una crescita complessiva straordinaria. Certi metodi teorici servono ad aprire l’orizzonte e anche gli operai di linea dimostrano di conseguire un’apertura mentale non indifferente». «Io sto realizzando finalmente il sogno che ho maturato da vent’anni. Noi in Italia abbiamo degli ottimi diplomati (vedi Bergamo con i cotonifici, Biella con i lanifici, Como con i setifici), però siamo l’unico Paese a non avere l’università tessile. Lo Stato mi ha concesso il permesso e io farò presto l’università internazionale tessile. Trovo però che cinque anni siano troppi, perciò limiterò i corsi a tre anni che bastano dal momento che siamo legati ad aziende con alta tecnologia. Nel nostro campo questo basta e risulta valida anche la laurea breve». L’impegno che su questo fronte viene profuso da parte della generalità delle imprese medio-grandi testimonia l’importanza strategica che nell’epoca della globalizzazione assume la formazione professionale, sia quella necessaria al giovane per accedere al mercato del lavoro, sia quella svolta in forma continua e permanente e destinata a chi il lavoro ce l’ha già al fine di poterselo mantenere o di sapersi riconvertire a nuove mansioni. «Le aziende chiedono ancora il titolo di studio, ma oggi più ancora di questo richiedono capacità di competenze, abilità, flessibilità, adeguamento rapido ai cambiamenti dell’organizzazione del lavoro, dei metodi produttivi e dell’ambiente». «Le stesse banche oggi privilegiano il giovane che ha frequentato il liceo scientifico pur dovendolo adibire a un lavoro amministrativo, perché chi ha fatto quell’indirizzo scolastico ha una cultura più vasta e sa districarsi meglio anche nei rapporti con il cliente», osserva un formatore. Del resto, «oggi i lavoratori vengono giudicati per le loro attitudini e predisposizioni e non solo per quel che sanno fare come mestiere. Una persona può avere anche meno competenze però deve essere pronta a gestire i cambiamenti, deve essere adattabile e saper svolgere un ruolo che la vede più partecipe rispetto al passato. E’ questo un processo che si svolgerà nel tempo e solo i giovani vantano simili caratteristiche». La risposta che però danno i lavoratori a questo mutamento di esigenze da parte delle aziende non è univoca. «C’è chi risponde bene avendo caratteristiche personali di adattabilità e intuizione, ci sono altri invece che non si adeguano e questi vengono destinati a incarichi per i quali la specializzazione non viene richiesta», annota un dirigente d’azienda. La situazione sembra però essere più positiva di quanto qualcuno tende a descriverla. «Le persone di Pioltello che frequentano corsi qui da noi - precisa il dirigente di una scuola di formazione situata fuori dai confini comunali - sono più di 60 e rappresentano il 10-15% dei nostri alunni. Si tratta di un dato strutturale perché si ripete negli anni e dimostra che una domanda c’è, anzi che è tale da ipotizzare l’istituzione di un centro di formazione in Pioltello. Il problema è che il far partire una scuola civica dal nulla è un investimento non da poco». Qualche tempo fa, nel corso dei colloqui che gli esponenti dello Scica hanno avuto con gli iscritti alle liste di collocamento, a questi ultimi è stato chiesto se erano interessati a frequentare un corso professionale, a indicare l’area di attività e a tenersi disponibili per dei contatti successivi di approfondimento e di orientamento. Una risposta positiva a questa eventualità è stata data dal 42,74% dei 1590 interpellati e ciò dimostra che anche tra gli aspiranti lavoratori esiste ormai la consapevolezza dell’importanza della formazione. Dei 600 disoccupati residenti a Pioltello che si sono presentati ai colloqui, ben 360 si sono detti disposti a frequentare dei corsi di formazione. Commenta l’operatrice del Centro Lavoro: «Devo confessare che una grandissima disponibilità alla formazione da parte degli utenti non c’è. Sicuramente però una domanda esiste e questa purtroppo non può essere soddisfatta in loco. Comunque, è da tenere in conto che sia Melzo che Cernusco sono raggiungibili con una certa facilità. Poi quest’anno verranno organizzati a Pioltello due corsi e questo potrebbe rappresentare un’indicazione importante circa il fabbisogno e le effettive disponibilità». Cosa certa è che le difficoltà nel fare formazione sono parecchie. «Noi siamo partiti quest’anno con l’apprendistato e abbiamo incontrato molte difficoltà a causa del fatto che le aziende si sono chieste ripetutamente e insistentemente se erano per davvero obbligate a mandare i giovani assunti con contratto di apprendistato ai corsi di formazione. Ci siamo trovati di fronte addirittura a casi di promozione dell'apprendista al livello di operaio pur di non staccarlo dal posto di lavoro per la formazione e anche a casi di autolicenziamento dell’apprendista stesso il quale non intendeva assolutamente partecipare ai corsi. In molte aziende non c’è ancora la percezione che la qualificazione delle risorse umane è uno dei fattori della competitività aziendale». E questo succede nonostante gli indiscussi vantaggi che la formazione offre sia alle imprese che ai senza lavoro. «Fino a qualche tempo fa il 70-80% di chi frequentava i nostri corsi trovava un’occupazione quasi immediatamente, oggi il 90-95% di coloro che frequentano il percorso di orientamento vengono assunti. Non si tratta di assunzioni a tempo indeterminato, spesso sono occupazioni temporanee, però le persone vengono collocate», fa notare il direttore di un centro professionale. E’ comunque da tenere presente che «una fascia di giovani è in chiara difficoltà. Si tratta di quelli che oggi fanno l’operaio e che a quarant’anni saranno ancora operai proprio perché non hanno una mentalità dinamica. A livello di formazione io ho cercato di chiedermi cosa si possa fare per questi giovani e ancora non sono riuscito a darmi una risposta. Il mercato del lavoro flessibile esclude molto di più di quello fisso e mentre le persone in gamba si destreggiano, quelle che sono in difficoltà soccombono. Il cosa fare per questa categoria di persone è la sfida del domani». Quello dei cosiddetti drop out e di quei ragazzi che dopo la scuola dell’obbligo si immettono immediatamente nel mercato del lavoro senza alcuna qualificazione è senz’altro uno degli aspetti più spinosi della questione. Esso mette in risalto l’importanza che assume un’azione di orientamento al lavoro sia nelle scuole che sul territorio. «Io faccio di mestiere l’operatore nel campo dell’orientamento presso il Comune di Milano, perciò ho ben presente la problematicità del rapporto tra formazione e politiche attive del lavoro. Una diecina di anni fa avevo aperto proprio qui a Pioltello un servizio di consulenza, un consultorio psico-pedagogico per i ragazzi che era finalizzato all’orientamento scolastico. Uno dei primi Informagiovani della provincia di Milano è sorto proprio in questa città e quindi possiamo dire che a Pioltello vantiamo una tradizione in questo campo. Da anni facciamo un’iniziativa nelle scuole per i diplomandi che si chiama ‘18anni e poi’ e che fa conoscere le aziende agli studenti. E anche nelle scuole medie facciamo entrare del personale specializzato che affronta con i ragazzi i temi dell’occupazione e della disoccupazione». E pure nelle scuole superiori si opera in questa direzione. «Noi facciamo un orientamento abbastanza incisivo sulla scelta della facoltà universitaria più che sull’avviamento al lavoro. Quando abbiamo tentato di fare qualcosa in questo senso abbiamo avuto poca corrispondenza dal momento che pochi ragazzi del liceo sono indirizzati verso una scelta di attività lavorativa. Nell’azione di orientamento per la scelta della facoltà universitaria abbiamo un ottimo rapporto di collaborazione con i Lions di Segrate i quali ci danno la possibilità di avere qui a scuola la presenza di esponenti della varie professioni e del mondo del lavoro che si incontrano con gruppi di studenti e offrono loro informazioni sulle prospettive del futuro. Noi cerchiamo di trasmettere nei giovani anche una capacità di relazionare, di orientarsi in un mondo che cambia in continuazione e lo facciamo utilizzando anche la cultura tradizionale. Ci preoccupiamo di far crescere non solo il bagaglio delle conoscenze, ma anche il bagaglio delle loro capacità e anche quando insegniamo materie tradizionali come il latino e la filosofia ci sforziamo di far crescere le loro capacità di analisi e di giudizio e quindi le capacità critiche. Se il ragazzo ha sviluppato queste capacità è poi in grado di approfondire e analizzare qualsiasi fenomeno. Del resto, il nuovo esame di stato tende ad accertare questi tre elementi: le conoscenze, le capacità e le competenze». Del problema dell’orientamento si occupa lo stesso mondo della formazione. «Sui ragazzi di quarta e di quinta delle scuole superiori interveniamo in termini di orientamento alla scelta sia universitaria che lavorativa. Obiettivo dei nostri corsi è quello di dare delle competenze non solo di tipo professionale, ma anche per autoricercarsi il posto di lavoro, per costruire bene un curriculum vitae, per gestire il colloquio con il selezionatore dell’azienda, per consultare banche dati, per saper leggere e scrivere una domanda-offerta di lavoro sui quotidiani; tutte cose queste che sembrano semplici ma che non lo sono affatto». Ad entrare nelle suole per spiegare ai giovani come sta cambiando il mondo del lavoro sono le stesse agenzie interinali. «Mesi fa abbiamo fatto una presentazione del nostro servizio in una scuola superiore di Pioltello e il corpo docente è stato favorevolmente colpito dal fatto che noi, durante l’incontro, abbiamo spiegato come si fa un curriculum vitae, come si sostiene un colloquio, cos’è il mondo del lavoro». E pure qualche cittadino privato si dice impegnato a offrire le proprie competenze per favorire l’incontro tra scuola e lavoro. «Faccio parte del Rotary e so che per dare un indirizzo alle scuole ci devono essere le aziende le quali hanno diritto e dovere di assunzione. Ebbene, questo collegamento non c’è da nessuna parte e allora io sto cercando disperatamente con le Amministrazioni comunali di potenziare nelle scuole l’attività di orientamento. Perché quel che si fa oggi a questo riguardo non è all’altezza delle esigenze del sistema economico-produttivo». Come si può dunque constatare, se è pur vero che esistono carenze e difficoltà, non mancano di certo volontà di fare e progetti. Di risorse ce ne sono abbastanza per migliorare la situazione, il problema diventa semmai quello di gestirle nel modo giusto e più efficace. 25. Bassi livelli di istruzione e politiche formative Le difficoltà nel fare incontrare la domanda con l’offerta di lavoro sono anche dovute al fatto che a Pioltello i livelli di istruzione scolastica della popolazione residente sono al di sotto delle medie provinciali. «Il livello culturale della nostra gente è piuttosto basso rispetto a quello di altri comuni perché qui, in specie al Satellite, ci sono diversi giovani che hanno avuto un cattivo rapporto con la scuola e con la cultura», afferma una giovane. E un operatore della formazione asserisce: «Poiché a Pioltello ci sono dei livelli di istruzione più bassi si rende necessario un più incisivo intervento da parte delle istituzioni preposte non solo verso i giovani, ma anche nei confronti degli adulti e noi stiamo proprio operando nella logica della formazione continua. Non ci si deve assolutamente fermare nell’apprendere né quando si è raggiunto un titolo di studio e nemmeno quando si è trovato un lavoro. Questo discorso vale non solo per i disoccupati, ma per gli stessi occupati». Ecco come alcuni dei nostri interlocutori spiegano le cause e gli effetti di questo deficit di frequenza scolastica. «Il consumo culturale qui è quasi inesistente e sarebbe interessante conoscere la quantità dei libri venduti. Nel corso dell’esperienza che ho fatto in dieci anni di insegnamento alla scuola popolare ho constatato la presenza a Pioltello di molte persone che non avevano conseguito la licenza elementare». «Per esperienza acquisita lavorando con gli adulti, posso affermare che ci sono ancora oggi molte persone che non hanno ultimato la scuola elementare e che comunque hanno un basso livello di preparazione di base e quindi di cultura. Esistono poi diffusi problemi di alfabetizzazione e di rialfabetizzazione». «A causa dell’invasione della televisione sono in calo anche le vendite dei giornali, la gente non legge più». «Noi anziani abbiamo bisogno più dei giovani di imparare. Tra di noi c’è un bel 45% che non sa né leggere né scrivere, io me ne accorgo quando espongo un cartello e con la scusa di non avere gli occhiali molti vengono a chiedermi di leggere il suo contenuto. Questo avviene qui al Satellite». «Tre anni fa, come centro sociale abbiamo deciso di inserire nelle nostre attività un corso per apprendere meglio la lingua italiana in modo di aiutare a scrivere chi non lo sapeva fare. Ebbene, non c’è stata una sola persona che si sia iscritta». «Qui si sa tutto su Richy Martin, ma si è indifferenti al fatto che il Cenacolo è stato restaurato. E non è che non interessi, proprio non entra nell’ordine di idee e la gente sembra dimostrare che si può vivere e morire senza averlo neanche mai visto. Forse a somigliare un po’ a Pioltello è Cologno Monzese, però Pioltello è una realtà tutta particolare». «Di soldi ne guadagnano anche, perciò non sono affatto tagliati fuori, qui c’è gente che spende, però risulta pur sempre tagliata fuori dal punto di vista culturale. Magari su cinque uno emerge, ma gli altri quattro restano tagliati fuori. E non è nemmeno a causa del basso livello di istruzione, è qualcosa di diverso, di atipico. Non ci siamo geneticamente, manca la consapevolezza che si può vivere anche in un’altra maniera. Questo è il vero problema». E i riscontri empirici non mancano. «Noi apparteniamo al circuito di biblioteche dell’Est Milano dove la media dei prestiti di libri per abitante è uguale a 1. Ebbene - spiegano in Comune - a Pioltello l’indice è dello 0,25, cioè solo un quarto della media». «Durante le nostre mostre di libri organizzate in ambiti non scolastici - testimonia un’operatrice culturale - noi abbiamo notato una cosa banalissima: si vendono tantissimi libri per bambini, pochissimi per adulti. Questo dipende sicuramente dagli impegni di lavoro, ma dimostra anche che c’è poca abitudine a leggere. La fascia tra i 15 e i 35 anni non si ferma neanche a guardarli. Gli anziani poi alle nostre mostre di libri non li abbiamo mai visti e quei pochi che si sono fatti vedere si sono premurati di giustificare la loro presenza con il fatto che erano interessati a verificare se c’erano dei libri per i loro nipotini». Ma a confermare che la situazione è per certi aspetti preoccupante sono le stesse statistiche. Un dato confortante è costituito dal forte recupero che si è registrato negli anni ‘80 e questo fa supporre che la tendenza al miglioramento sia proseguita anche nel decennio appena concluso. Sul rapporto tra cultura e modernità un dirigente d’azienda tiene a precisare: «Il fatto per cui oggi si è in presenza di un ritorno al semianalfabetismo non é certo da imputarsi alla new economy, bensì al dissesto del sistema scolastico. Anche se, proprio per l’esperienza che ho fatto all’estero, devo confessare che io non manderei mai un mio figlio a fare l’università in altri Paesi. Lo manderei magari a fare il master, ma non certo a frequentare le scuole, perché Tabella n. 30 Livelli di istruzione. Pioltello, Provincia di Milano - 1981-1991 (valori percentuali su popolazione residente) Pioltello Laureati ‘81 ‘91 ‘81 ‘91 1,0 1,9 3,4 5,0 diff. ‘91 su ‘81 diplomati + 108% 8,0 diff. ‘91 su ‘81 media inferiore Prov.Milano + 44% 16,3 13,4 + 131% 25,5 diff. ‘91 su ‘81 22,3 + 63% 34,3 27,8 + 53% 32,2 + 13% licenza elementare, senza titolo e analfabeti diff. ‘91 su ‘81 65,5 47,5 - 18% 55,4 40,5 - 29% Fonte: Istat in Europa al livello dell’ingegnere italiano c’è solo quello tedesco. In termini di competenza gli altri, che pure sanno vendersi meglio, non sanno certo offrire la stessa real ability come si dice in inglese. L’istruzione di massa non ha però curato la qualità dei programmi e i ragazzi di venti-venticinque anni che non sanno scrivere in italiano sono la conseguenza di quella politica che pensava di riuscire ad attribuire tutto a tutti, ma che in realtà non ha cambiato niente, perché pochi hanno continuato ad avere tutto e molti hanno avuto solo la parvenza di avere quello che desideravano». «Rispetto ai cambiamenti comportati dalla cosiddetta modernità qui a Pioltello esistono luci e ombre», sostiene un amministratore pubblico. «Ci sono delle fughe in avanti e poi esiste una realtà che richiede invece un lavoro di semina e che deve essere pazientemente seguita. C’è senz’altro una grossa potenzialità intellettuale e intellettiva che è assolutamente da valorizzare e da mettere a frutto. Il problema è che queste risorse non si riconoscono nella loro città e in un progetto per qualificarla. Noi abbiamo un liceo che è portato in palmo di mano nella provincia di Milano per la qualità delle sue prestazioni. A fianco c’è poi un Istituto tecnico commerciale che è certificato, uno dei tre esistenti in Italia. Abbiamo quindi delle perle incastonate in un contesto che è fatto di retaggi e una simile realtà reclama un bisogno forte di recupero». «E’ un luogo comune dire che nell’area di Pioltello c’è un livello medio culturale piuttosto basso - sostiene un preside di scuola - l’esperienza del nostro liceo smentisce questo convincimento. Ci sono due fattori da considerare: intanto, il livello medio culturale, sociale ed economico della popolazione di Pioltello sta crescendo come del resto avviene altrove; poi nella zona ci sono altri istituti tecnici e professionali, l’omnicompresivo di Cernusco e altri, per cui la popolazione scolastica si distribuisce sull’insieme di queste istituzioni scolastiche. Qui ci sono 850 ragazzi che provengono da tutto il bacino territoriale, arrivano anche da altre località come Gorgonzola, Pessano e Bussero che pure sono coperte da altri licei, però c’è chi preferisce venire qui. Noi riteniamo che la nostra scuola abbia un ottimo nome, del resto è un dato confortato da elementi oggettivi. Ad esempio, l’anno scorso abbiamo avuto 22 votazioni massime, cioè 100 su 100, con una percentuale del 16%, mentre la media nazionale è del 5% e quelle dei licei è del 9%. Stessi risultati si sono avuti l’anno precedente. Quest’anno, invece, siamo in linea con la media nazionale. I dati confortanti arrivano anche dalle indagini che abbiamo fatto sui nostri studenti diplomati. Da queste emerge infatti che la quasi totalità degli studenti che si iscrivono all’università continuano gli studi e riescono a laurearsi. Si sa che in Italia a livello universitario solo il 30-40% degli iscritti consegue il titolo di studio. E la grande maggioranza di chi esce dal nostro liceo si iscrive all’università, in special modo alle facoltà scientifiche, dalle scienze sociali all’economia, dall’ingegneria alla medicina. Il nostro liceo nel contesto socio-istituzionale locale gode di una buona considerazione, questo non si può certo dire per la scuola italiana in genere. E’ noto che in Italia la scuola ha un ruolo marginale, è la cenerentola, per la scuola si investe poco, nonostante i licei italiani siano le migliori scuole del mondo e questo è un dato accertato. Ora la riforma e il riconoscimento dell’autonomia esigono un rapporto molto stretto con il territorio per rispondere alle sue esigenze culturali e formative. A partire dall’anno prossimo noi avremo non solo il classico e lo scientifico, ma ospiteremo anche sei classi di un istituto professionale di Pioltello e nella prospettiva si potrebbero avere anche delle classi dell’istituto tecnico con la creazione di un polo unico con più direzioni e con più offerte formative. Qualcosa abbiamo già fatto in questo senso. Gli interlocutori per noi ora sono essenzialmente le famiglie e la nostra utenza scolastica. In questo spirito, l’anno scorso abbiamo offerto la possibilità a tutti di frequentare corsi pomeridiani di lingue e di informatica e la risposta è stata massiccia». Già a partire dagli anni ‘60 è attiva a Pioltello la scuola popolare che ha convertito l’attività dall’alfabetizzazione ai servizi per gli adolescenti e preadolescenti. «Da due anni - afferma una sua operatrice - i corsi che prima erano di scuola media sono diventati di competenza del centro territoriale permanente che si occupa non più solo di persone che devono prendere il diploma di terza media, ma anche di chi vuole rientrare nella formazione e che è interessato o a prendere il diploma di licenza media o a imparare la lingua italiana. Quest’anno, infatti, abbiamo molti stranieri e offriamo la possibilità a chi lo vuole di seguire percorsi di studio nei più vari ambiti culturali. Abbiamo dei corsi di informatica, di inglese, di cultura generale. Anni fa c’erano cinque corsi di ‘150 ore’ in questo distretto scolastico, ora siamo noi l’unico centro territoriale e abbiamo anche una sede a Gorgonzola. Il territorio è molto vasto e forse il centro andrebbe articolato. La domanda di ‘150 ore’ in questo territorio è sempre più crescente e il centro territoriale sta dando risposte diversificate perché le richieste sono anche sempre più specifiche. Oggi le ‘150 ore’ diventano essenziali per molti ai fini di rimediare un lavoro o per migliorare la posizione lavorativa acquisita. Queste almeno sono le motivazioni iniziali, poi lungo il percorso chi frequenta la scuola si costruisce altre motivazioni. Abbiamo un’utenza mista, ci sono persone adulte, ma ci sono anche parecchi giovani che sono stati bocciati più volte e i quali poi rientrano nella scuola proprio attraverso i corsi delle ‘150 ore’. Noi, in sostanza, funzioniamo un po’ da paracadute dopo che questi ragazzi hanno tentato di trovarsi un lavoro e si sono scontrati con l’importanza di avere un minimo di cultura e un titolo di studio. Negli anni passati le ‘150 ore’ erano vissute come il frutto di una conquista da parte dei lavoratori e in chi le frequentava vi era la consapevolezza di questo diritto acquisito attraverso lotte e sacrifici. Per questa ragione c’era in loro lo sforzo per usare al meglio l’opportunità che si erano conquistati. Ora questa tensione è venuta meno, resiste ancora solo in certe figure come è il caso delle casalinghe le quali sono interessate ad apprendere sia per aiutare i figli, sia per sentirsi più attive e partecipi nelle discussioni in famiglia o con gli amici. Quest’anno abbiamo fatto un’esperienza interessante di teatro, un laboratorio di libera espressione e improvvisazione teatrale che è stato un approccio all’utilizzo di forme di comunicazione diverse da quelle classiche della parola. Noi puntiamo sulla possibilità di organizzare nel futuro visite nelle aziende, fino ad ora purtroppo non siamo stati nella possibilità di realizzarle. Uno degli obiettivi che abbiamo raggiunto quest’anno è stato quello di far iscrivere parecchi giovani, anche stranieri, alle scuole professionali. Abbiamo dato loro delle indicazioni e talvolta li abbiamo accompagnati presso le rispettive scuole anche perché molto spesso non hanno alle spalle una famiglia molto presente. Anche attraverso queste esperienze costruiamo i rapporti con le scuole del sistema professionale». Un’esperienza interessante di formazione scolastico-professionale è anche quella compiuta da una scuola civica ubicata in un comune confinante e frequentata da diverse persone residenti a Pioltello. «La nostra scuola - racconta il suo direttore - si è ritagliata una nicchia ben definita rispetto ai corsi riconosciuti e ha implementato in modo definitivo l’attività cosiddetta libera di corsi civici che sono finora al 90% a domanda individuale emergente dal territorio. Da qualche anno a questa parte stiamo operando una piccola riconversione proponendo anche delle attività a domanda organizzata da aziende e da amministrazioni comunali. Qui girano ogni anno 700 persone. I rapporti con la gente del territorio sono tanti perché questo centro di formazione è ormai riconosciuto da tutti. Da vent’anni organizziamo corsi di lingua straniera e nonostante tutti i Comuni della zona abbiano deciso di convenzionarsi con un operatore privato di Monza, noi ogni anno abbiamo 200 persone che si iscrivono a questi nostri corsi di inglese». Se dunque Pioltello si è storicamente contraddistinta per livelli di istruzione al di sotto della media provinciale, oggi offre abbondanti segni di recupero e vanta oltretutto la presenza sul suo territorio, o comunque ai suoi margini, di una rete di strutture scolastiche e formative che fanno ben sperare per il futuro. A fine anni ‘90, infatti, avevano sede nel comune cinque scuole superiori: il liceo classico, il liceo scientifico, l’istituto tecnico commerciale, l’istituto tecnico per periti aziendali e l’istituto professionale commerciale. Complessivamente queste strutture assicuravano 61 classi e raccoglievano all’incirca 1.300 alunni. I giovani studenti di Pioltello che, a fine anni ‘90, avessero inteso frequentare scuole di altro indirizzo potevano trovare nella zona circostante tutte le opportunità del caso, essendo presenti sul territorio comprensoriale: la scuola magistrale, l’istituto tecnico per geometri e l’istituto tecnico industriale, a Gorgonzola; l’istituto professionale industriale a Cernusco, a Cassano e a Melzo; per chi invece avesse voluto frequentare il liceo artistico avrebbe dovuto recarsi a Milano. Se dunque a riguardo del sistema delle strutture scolastiche presenti sul territorio non ci si può certo lamentare, rispetto alle politiche di sostegno che queste strutture richiedono per poter funzionare al meglio, da alcuni nostri testimoni vengono sollevate delle riserve. «I rapporti che abbiamo con gli enti locali della zona sono difficoltosi» , lamenta il responsabile di una scuola civica. «La causa di queste difficoltà sta nel fatto che la scuola appartiene a un determinato Comune il quale investe risorse significative, si tratta di 200 milioni l’anno, mentre gli altri Comuni non si sono lasciati e non si lasciano coinvolgere dal punto di vista economico». «Qualche anno fa avevo proposto di aprire una scuola civica a Pioltello, visto che noi abbiamo parecchi utenti residenti in questo comune, e avevo assicurato il supporto del nostro know how e l’accompagnamento fino alla sua completa autonomia, ma una simile ipotesi è rimasta senza risposta, eppure io continuo a considerarla fattibile». Un giudizio positivo a riguardo dell’atteggiamento che le pubbliche istituzioni hanno verso la scuola viene invece espresso da una direttrice scolastica. «L’Amministrazione comunale di Pioltello ci ha sempre garantito un contributo economico per la campagna di informazione sui corsi e l’anno scorso ci ha dato un supporto piuttosto valido per gli interventi che intendiamo fare all’interno dei corsi stessi». Perché comunque il sistema scolastico-formativo possa rispondere in maniera sempre più efficace alle domande dei diversi soggetti sociali è indispensabile che esso stesso sia in grado di operare in rete e agire in termini di sinergia. Questo sforzo sembra però essere solo agli inizi e non manca di incontrare difficoltà. «Con il Centro Lavoro stiamo iniziando una collaborazione che dovrebbe portare all’apertura di percorsi specifici come la presenza degli operatori ai corsi per parlare del lavoro e fare orientamento. Continueremo e perfezioneremo i rapporti con i centri di formazione professionale e poi rafforzeremo i legami con l’università delle tre età d Pioltello che propone dei percorsi formativi e culturali». «Noi poi abbiamo contatti con l’Enaip di Melzo, con il centro di formazione professionale di Cernusco e con quello di Gorgonzola. La Provincia ci fornisce le informazioni in tempo reale, attraverso la banca dati, dei corsi di formazione del Comune di Milano, di quelli della Regione e del Fondo sociale europeo. Questi rapporti hanno però bisogno di essere rafforzati e perfezionati». «Da poco abbiamo iniziato a intervenire nell’istituto tecnico di Pioltello con dei moduli di breve durata, dalle 25 alle 50 ore, rivolti ai giovani del primo anno della scuola superiore che dopo la riforma della scuola secondaria sono ancora da orientare. A riguardo però della cultura del lavoro nella scuola restano ancora molte cose da fare». 26. La crisi d’identità e il bisogno di un nuovo senso comune «Purtroppo questa è una città che non ha cultura. Qui non c’è una libreria, quando uno deve prendere un libro deve andare o a Cernusco o a Milano. Un tempo c’era un cinema, ora non c’è più». «In effetti Pioltello è carente dal punto di vista della presenza di determinate strutture come la libreria e la formazione, ma quello che manca è una politica culturale generale, un coordinamento». «Il nostro circolo culturale è nato proprio sull’idea di realizzare una libreria comunale, non più solo farmacie comunali, ma anche librerie. La carenza di certe strutture che sono indici di cultura è però anche il prodotto della storia stessa di Pioltello che ha vissuto nei decenni una trasformazione continua». «La nostra biblioteca comunale è situata nel seminterrato di una scuola ed è anche lontana da tutte le abitazioni del paese; è perciò scomoda per tutti e poi ha pochi libri, non è ben fornita. L’ambiente poco invitante e la stessa scarsità di personale scoraggiano ancora di più chi vorrebbe farne uso. Comunque, chi per queste ragioni sostiene che a Pioltello c’è una cultura di qualità inferiore sbaglia». Ammette un amministratore pubblico: «Noi siamo un comune di 33 mila abitanti ed è vero che abbiamo una biblioteca nel sottoscala e pure che non esiste una libreria commerciale, per cui chi vuole comprare libri deve recarsi in altre città. Devo confessare che di questo mi vergogno. Si tratta di gravi contraddizioni culturali che noi dobbiamo affrontare e risolvere». «Per uno come me che si trasferiva dalla città per venire ad abitare a Pioltello, lo scoprire che qui non c’era una sala cinematografica, non esisteva una libreria e a quel tempo non esisteva nemmeno una piscina, è stata una vera e propria sorpresa». Qualcuno fa presente che «non corrisponde affatto al vero l’affermazione secondo cui a Pioltello non ci sarebbe mai stata una sala cinematografica, perché fino a non molto tempo fa a Seggiano esisteva un cinema e nei tempi precedenti esisteva anche a Pioltello, anche se si trattava di strutture da paese. La verità è che hanno chiuso perché non lavoravano a sufficienza per poter tenere i battenti aperti». E sempre a riguardo dell’assenza di queste strutture un altro nostro testimone argomenta: «Se è vero che a Pioltello manca una sala cinematografica c’è da dire che questo è un fenomeno tipico ormai di molti comuni della periferia milanese. Stesso discorso vale per l’assenza di una libreria. Noi, in Italia, abbiamo un concetto strano della cultura, essa viene propagandata, sostenuta cioè soltanto a parole. Se io faccio il libraio e vado dal grossista o dalla casa editrice, questo mi fa mediamente il 32% lordo di sconto e se sono insediato in un territorio molto limitato come questo, con quattro centri commerciali a ridosso che si permettono il lusso di vendere qualsiasi libro con il 20% di sconto sul prezzo di copertina, come piccolo operatore culturale io sono destinato a morire dopo tre settimane. Cernusco, che viene sempre portata come esempio di paragone, ha sempre avuto una sola libreria parrocchiale che c’è ancora. Negli anni ‘80 era nata una libreria privata che è durata solo quattro o cinque anni e poi è morta proprio per ragioni economiche». A dare una spiegazione della ferrea legge del mercato intervengono anche, e con cognizione di causa, il responsabile della multisala che entrerà prossimamente in funzione a Pioltello e un commerciante locale. «La riduzione delle sale cinematografiche che si è registrata in questi decenni è un fenomeno generalizzato ed è dovuta al fatto che ci sono sempre più occasioni e possibilità di divertimento. I cinema che non si sono rinnovati ma sono rimasti tali e quali nel tempo, sono entrati inevitabilmente in crisi. Anche nel cinema è necessario investire altrimenti si perdono le chances». «Fino a dieci anni fa noi, in negozio, trattavamo molti più i libri, solo che chi richiede un certo titolo lo vuole subito e con i milioni di titoli che ormai esistono sul mercato è pressoché impossibile anche per le grosse librerie disporre di tutto. Per avere una struttura ricca di titoli, la zona non si presta, non si regge economicamente. Questa è la ragione vera per cui a Pioltello non esiste una libreria». Al di là della presenza o meno di certe strutture, la sensazione che si coglie è che, anche a Pioltello, il fare cultura non sia semplice e a testimoniarne le complicazioni sono gli stessi esponenti di alcune associazioni culturali. «Nell’ambito delle attività culturali, anni fa avevamo tentato dimettere in piedi l’Associazione Arcobaleno attraverso la quale si intendeva coprire un vuoto di iniziativa culturale e di aggregazione specie verso i giovani. Per una serie di ragioni, però, il gruppo dei promotori si è autosciolto dopo che alcuni dei suoi esponenti si sono trasferiti in altri paesi». «Noi c’eravamo dati l’obiettivo di costruire dei punti di incontro e di realizzare dei cinema di quartiere. L’attività degli oratori, infatti, da questo punto di vista è carente perché risultano validi ed efficienti soprattutto nei periodi estivi, quando finiscono le scuole, infatti l’oratorio viene utilizzato come centro estivo, per il resto invece si registra un vuoto di iniziativa culturale. Però questo nostro proposito si è scontrato con diversi ostacoli». «Come circolo culturale siamo anche apprezzati da chi ci conosce e ci segue. Il problema grosso per noi è che l’attività ricade sempre sulle nostre spalle. Non siamo in molti e non riusciamo ad avere un turn over e questo diventa un problema. Un centro culturale per essere vivo e stimolante non può che avere un continuo apporto di idee, di energie, di risorse umane, ma così non è. Noi ci siamo mossi molto perché le iniziative che abbiamo fatto sono veramente tante, anzi tantissime, e hanno anche avuto un’evoluzione. Siamo partiti da mostre di libri con la bancarella, piano piano abbiamo costruito una rete di collaborazioni con le varie scuole, con il Comune, attraverso l’assessorato alle attività educative che ha raccolto delle nostre proposte su dei concorsi rivolti alle scuole. Abbiamo fatto anche attività di ricerca, com’è il caso della pubblicazione sulla nascita del quartiere Satellite, e si è trattato di un lavoro difficile perché noi non siamo degli storici e poi perché abbiamo trovato con difficoltà la documentazione e faticato a intervistare le persone. Abbiamo organizzato persino un corso sulla poesia dialettale articolato in cinque incontri e abbiamo avuto in media una trentina di persone per ognuno di essi. Si è trattato di persone anziane con tanta voglia di ricordare e di partecipare e che hanno vissuto questi incontri forse più come un momento di socializzazione e di comunicazione prima ancora che culturale. Sul campo, oltre a noi c’è poi l’‘Uni3’ che è l’università delle tre età ed è una struttura ibrida. Essa è nata nel ‘96 per iniziativa di un medico che lavora qui e ha poi trovato i suoi agganci in Comune. Ha iniziato con conferenze proposte essenzialmente agli anziani, poi si è allarga e dall’anno scorso propone dei mini corsi rivolti a tutti come stimolo culturale. Gli argomenti sono i più vari: si va dalla meditazione alla musico-terapia, all’egittologia. L’anno scorso a questi corsi hanno partecipato 300 persone. Questo dimostra che c’è una domanda, che c’è gente disponibile a fare cultura anche se a livelli non specialistici. Quando si è fatta storia dell’arte, ad esempio, le trenta persone partecipanti sono state poi portate a Brera. Questo smentisce quanto si dice a riguardo della qualità culturale di Pioltello che secondo alcuni risulterebbe di livelli inferiori ad altre realtà». Osservano alcuni semplici cittadini: «Anche l’Amministrazione leghista aveva cominciato a fare le rappresentazioni teatrali durante l’inverno e molti cittadini di Pioltello hanno gradito questa iniziativa anche perché le compagnie teatrali erano abbastanza brave. A Pioltello come cultura non c’era niente e questa è stata un bella iniziativa. Prima di allora di iniziative del genere non ne avevano mai fatte». «C’è da dire però che ultimamente il nuovo assessore alla cultura si sta dando un po’ da fare. Il cinema all’aperto, il parco per i bambini, i concerti in chiesa organizzati dal Comune, ad esempio, sono iniziative positive. Poi qualche spettacolo lo si può trovare nei comuni vicini, tutto sommato però non si fa più di tanto. Il problema poi è che non sempre le iniziative sono pubblicizzate a dovere e di conseguenza uno non lo sa e non vi partecipa». «Certe iniziative di carattere cinematografico o teatrale che ha organizzato il Comune hanno registrato un largo consenso. Io ho visto qualche commedia di Goldoni e la sala era piena di gente». «Di recente sono andata a vedere il ‘Flauto magico’, organizzato in occasione della festa cittadina, e devo dire che per me è stata una cosa interessante. Ho anche però capito che lo spettacolo non era proprio adatto al pubblico di Pioltello dal momento che per apprezzarlo era necessaria una certa cultura. Molta gente che è venuta è rimasta delusa, io ero seduta sui gradoni e ho notato che dopo cinque minuti molti se ne sono andati. Quando si fanno queste iniziative bisognerebbe pensarle anche in modo diverso. Mio papà, per esempio, avrebbe preferito che il ‘Flauto magico’ venisse recitato o cantato e non invece interpretato con i cd e con quelle cose che salivano e scendevano. Era molto simbolico e chi non conosceva il significato non poteva certo apprezzarlo. Io stessa, attraverso quei simboli, non sono riuscita a individuare i personaggi». In questi ultimi tempi si è infatti verificato un incremento delle iniziative culturali attraverso la promozione di feste ricreative. «Da alcuni anni a giugno si fa la festa dello sport e da due anni la si organizza insieme alla festa cittadina che è una manifestazione molto importante. A questa iniziativa partecipano molti cittadini e la si fa con molto volontariato, soprattutto da parte degli anziani che ci mettono l’anima. Ha un buon successo di immagine e ci aiuta a farci conoscere». Non tutti però apprezzano forme e contenuti di queste manifestazioni. «Fare le feste cittadine dove tutti si lamentano perché c’è solo il ballo liscio ed è tutto lì, non basta a soddisfare il bisogno di aggregazione». «La festa cittadina secondo i pioltellesi non va bene. A dirlo non sono solo quelli di Limito, ma anche quelli del Satellite. Si tratta di una festa campestre e in sostanza è una sostituzione di una festa dell’Unità, dell’Avanti o dell’Amicizia, dal momento che la si fa in mezzo ai prati. Loro cercano di coinvolgere il paese, ma qui ci sono quattro rioni e per andare alla festa bisogna recarsi in campagna. Bisognerebbe invece svolgere queste manifestazioni nel cuore della città». Ma i responsabili delle politiche culturali e ricreative ricordano che a Pioltello non si promuovono solo feste cittadine. «Abbiamo anche una rassegna di teatro svolto in classe e ci sono delle produzioni fatte da scolaresche locali con testi impegnativi che è ormai giunta alla sua diciassettesima edizione in un crescendo che sta attirando l’interesse delle scolaresche dei paesi vicini proprio per il suo livello qualitativo. Abbiamo sviluppato anche una rassegna teatrale d’avanguardia che si svolge tutti gli anni a Pioltello e alla quale partecipano gruppi di Milano del teatro giovane d’avanguardia». Ma soprattutto si pensa al futuro. «Il nuovo centro cinematografico dovrebbe comportare uno sviluppo delle attività ricreative e culturali», infatti, «è stato sottoscritto un accordo che consentirà al Comune di utilizzare per 35 giorni all’anno una delle sale per promuovere le iniziative che ritiene più opportune». «La biblioteca dovrebbe essere dotata delle strutture e degli strumenti più moderni e dovrebbe promuovere incontri con gli autori e iniziative interculturali. In sostanza, dovrebbe essere un luogo di coordinamento a tutto campo dove il politico dirige e la gestione viene affidata a una struttura capace di coinvolgere più persone». «Dovrebbe poi nascere lo sportello stranieri che non si limiterà a garantire l’assistenza agli immigrati, ma dovrebbe fare anche cultura favorendo un processo di confronto, di conoscenza e di integrazione». E le condizioni per suscitare un nuovo protagonismo e mettere al lavoro nuovi soggetti non mancano di certo. Dichiara un imprenditore che opera nel campo delle attività del tempo libero: «Una priorità sarebbe quella di costituire un nucleo della società civile formato da persone interessate a impegnarsi sul fronte della cultura e della rivalutazione dell’artigianato e dei vecchi mestieri. Un comitato culturale che stimoli la ricerca e l’interesse sulla nostra storia. Io sono disponibile a collaborare a una simile operazione e a metterci anche i mezzi. Ho collezionato dodici carrozze d’epoca e ho predisposto uno spazio che può diventare un museo. Si potrebbe pensare a una fondazione alla quale dare in gestione con determinate garanzie questo museo. Ho anche una collezione di quadri abbastanza importanti e poi ho racimolato tutte le opere in ferro battuto che ha realizzato l’artigiano d’arte Galbiati di Pioltello e intendo fare un’esposizione permanente. Qui da me già oggi arrivano le scolaresche e io faccio da cicerone ai ragazzi che impazziscono nel vedere le carrozze. Sto pure facendo una ricerca sulle carrozze e sto adoperandomi perché in tutta Europa vengano individuate le migliori e poi la metterò a disposizione di chi è interessato». Una promozione dell’iniziativa culturale a tutto campo è suggerita anche dalla necessità di favorire la comprensione degli avvenimenti di natura epocale che oggi mettono a dura prova la coscienza sociale e rischiano di far perdere l’identità degli individui. Anche tra i cittadini di Pioltello sono abbondanti i segni di un disagio nel gestire la transizione in atto. «Con la globalizzazione la nostra civiltà, quella europea, si sta impoverendo e lo ha documentato di recente anche il Censis. Noi assomigliamo e assomiglieremo sempre più agli americani. Il vuoto di valori viene riempito con i soldi e con l’ego. Lo stesso scadimento della politica ha proprio le radici nel venire meno dei valori», dichiara preoccupato un imprenditore «prestato» alla politica. Ma le riflessioni critiche sono diffuse. «Sul fronte del rapporto tra i cambiamenti in atto e la cultura che abbiamo ereditato la situazione è terribile», «oggi a tenere la società sono le vecchie generazioni e c’è da chiedersi cosa succederà fra dieci anni quando queste si tireranno da parte». «Io capisco la necessità economica e politica di costruire l’Europa, però sono contrario alla massificazione che questa unità porta con sé». «La globalizzazione impoverisce sempre più la cultura del lavoro e insieme i diritti acquisiti da una parte della popolazione». «Il progresso che c’è stato in questi anni non può che essere considerato positivo, esso però porta con sé il rischio che l’uomo non si accontenti di quanto ha acquisito e che pertanto ecceda». «Oggi si inaridiscono gli animi e ciò che conta è la new economy che significa soldi. Il dio che impera oggi è il dio denaro». «Si vive per l’immediato e si trova diffuso un materialismo pratico che fa paura. La memoria storica che è fondamentale per comprendere l’esistente, sta venendo meno». «Il mondo in cui viviamo sollecita a più appartenenze il che se da una parte richiede una maggiore libertà mentale, dall’altra comporta una maggiore confusione mentale, per cui il discorso della coerenza salta e la gente si muove per sensazioni e per istinti. Secondo questa logica uno può essere contemporaneamente solidarista con i bisognosi e intollerante verso gli stranieri. E questo è un indice che si vive alla giornata. L’adulto, sedotto da una società che vive per l’immediatezza, è diventato pragmatico e non è più disposto a progettare il villaggio globale e quindi a mettere in gioco la sua sicurezza e tranquillità; è un integrato. Il giovane, accedendo a un mondo di valori di questo tipo si adegua e vive alla giornata». «Se non è sport, se non è qualcosa che porta la salamella o il ballo o il divertimento, il resto non interessa più. Uno deve avere necessariamente in cambio qualcosa. Non c’è più la soddisfazione dello spirito, il gusto della solidarietà». «Non c’è più la coesione di un tempo, ora si è degli estranei anche se si abita nello stesso cortile». «Fra cinque o dieci anni, se l’Italia va bene, anche a Pioltello la gente avrà un buon reddito, però ognuno sarà destinato a vivere completamente sganciato dall’altro, dilagherà l’individualismo e l’asocialità». L’incertezza, la preoccupazione, l’inquietudine, addirittura l’angoscia contraddistinguono dunque il pensare e l’agire di larga parte degli stessi pioltellesi. Il dovere di chi governa la comunità non può certo limitarsi ad assicurare una risposta ai bisogni materiali, ma deve saper offrire anche dei riferimenti morali e intellettuali. La società civile oggi manifesta, coscientemente o no, una forte esigenza di orientamento e di accompagnamento verso il «nuovo» e quindi il problema della formazione del senso comune non può non essere parte dell’impegno pubblico. Sta scritto in un documento della pastorale delle Parrocchie di Pioltello: «La formazione della personalità fa leva sulla forza persuasiva della ragione e si scontra con un pensiero ‘debole’». E oggi, purtroppo, i principali facitori del senso comune non fanno sempre uso della ragione e spesso alla riflessione prediligono la superficialità, alla complessità la semplificazione. «Nella formazione della coscienza e del senso comune delle persone la famiglia, che nel passato aveva un ruolo primario, oggi più che trasmettere valori svolge una funzione di ammortizzatore sociale». «Oggi esiste questo grosso mezzo che è la tv il quale ti frega e soprattutto per noi che come forza abbiamo solo la parola, la sua capacità di invadenza rappresenta un serio problema», annota un sacerdote. E poi, «i figli, il lavoro, la carriera sono tutte cose che mettono a dura prova una realtà di fede. Anche la Chiesa oggi ha il suo bel da fare». Recita ancora il documento della Pastorale: «In una realtà sociale pluralista e complessa, l’esperienza cristiana non è più perseguita né egemone e molti, pur dichiarandosi credenti, assumono tranquillamente comportamenti poco evangelici». E quindi ricorda come «un’inchiesta del settimanale ‘Città Nostra’ dello scorso anno mette in luce una costante tendenza alla diminuzione dei matrimoni nell’hinterland. Il dato riguarda tanto le unioni religiose come quella civili. Addirittura il calo raggiunge, nella nostra zona, per l’ultimo quinquennio, il 20%; rimane invece invariato il rapporto tra matrimoni religiosi e quelli civili, che è circa di 76 a 24. L’attuale percentuale di matrimoni, ogni mille abitanti è di 4,1 (pù’ bassa della media nazionale che per il ‘98 era del 4,8). A Pioltello i matrimoni sono 4,2 ogni 1000 abitanti e il rapporto tra matrimoni religiosi e civili e di 75 a 25 (dati ‘98)». «Il famoso detto ‘due cuori e una capanna’ ha subìto un’alterazione, sono rimasti i cuori ma non sempre c’è la capanna», commenta un sacerdote. «Oggi, un po’ per motivi economici, un po’ per altre ragioni la vita a due non sempre corrisponde alla vita di famiglia. Mentre ci sono madri che per mantenere un rapporto affettivo materno con il figlio scelgono il part time, ce ne sono altre che rinunciano alla figura materna ed evadono». Eppure, «il cuore dell’uomo è sempre uguale e la cosiddetta modernità con i nuovi modi di comunicare e di relazionare non muta i suoi sentimenti, i rapporti con i suoi simili, le sensazioni che prova. Pure nel 2000 questi restano identici a quelli del 1600 anche se ci sono correttivi sociali e strutture culturali diverse. Quello che sta emergendo adesso è un sentimento adolescenziale che porta a ritenere la trasgressione un comportamento naturale. E allora non sia va più a messa, non si crede più, si lascia che i comportamenti affettivi e razionali siano dominati dall’istintività, dalla sensibilità e dall’immediatezza. E allora si sfidano le tradizioni e le convenzioni, si sfida se stessi e i propri limiti». Poi, sempre a riguardo delle difficoltà che incontra la Chiesa, è da considerare che anche a Pioltello «sono sempre più numerose le famiglie di religione non cattolica, cioè musulmane, anglicane, protestanti, evangeliche e dei testimoni di Geova. Noi qui abbiamo una sala usata dagli evangelici che sono come i cristiani; i testimoni di Geova invece non hanno la ‘sala del regno’ però fanno molto movimento. La presenza di questi credenti non cattolici comporta anzitutto una conoscenza che non sempre è facile perché c’è chi al contatto reagisce con la tesi secondo cui il dio ce l’ha già e non ha bisogno di averne un altro. C’è poi chi, ed è il caso dei testimoni di Geova, ricorre anche a forme di pressione scorretta dimostrandosi un po’ fondamentalisti e non sempre c’è il senso del rispetto». «Nel nostro tempo si è affermata la convinzione che credere non significa necessariamente essere religiosi e in questa logica si affermano i ciarlatani facendo leva sia sul fascino che sull’ignoranza che è molto diffusa. Stiamo passando in sostanza dalla religione cattolica come religione civile e di tutti, a una religione più di scelta, sempre più personalizzata. I cattolici non si sono ancora resi conto che devono dare motivo reale della propria decisione di fede, mentre le altre religioni sono molto più forti come convinzione perché sono una minoranza». «Siamo in presenza di una modificazione etica, non so se è un’etica che ne sostituisce un’altra oppure se si tratta di un suo abbandono in cambio di una scelta permissivistica. Il nostro mondo non è immorale, è amorale oppure, come diceva il mio professore di filosofia, è o-sceno, cioè fuori dalla scena, quella scena che ci permette di assumere la nostra identità. Io sono però convinto che nell’uomo sia inscritta un’etica. L’essere umano ha un suo disegno, una sua scrittura, un suo profilo che poi si reinterpreta attraverso la cultura, i segni, i valori, le scelte. C’è insomma un dna etico che una volta si chiamava morale naturale. L’uomo è grande proprio perché può reinterpretare la sua natura, non la può però cambiare». La crisi di identità agisce dunque nel profondo e se si vuole impedire lo spaesamento e l’insorgenza dell’anomia si è obbligati ad agire. «Ciò che occorre è una nuova consapevolezza culturale, non settoriale, ma multidisciplinare, arricchita di contributi epistemiologici, sociologici, geologici, etnologici, linguistici», suggerisce chi porta la responsabilità di governare la comunità locale. «Ad essere prioritaria oggi è la necessità di trovare gli stimoli perché la gente viva consapevolmente la propria esistenza. Si deve riuscire a far dare importanza non solo al lavoro, alla casa, ma anche a quei valori di cui abbisognano gli esseri umani per vivere in maniera solidale». Nel documento delle Parrocchie si sostiene che occorre «promuovere una lettura condivisa della realtà in cui siamo inseriti e delle novità che in essa si producono. Identificare e attuare le linee di risposta più adeguate alla situazione che si va via via cogliendo. Un primo guadagno da ‘portare a casa’ in ordine a qualsiasi scelta è quello di pensare complessivamente per agire localmente, allargare lo sguardo per leggere meglio i particolari». E di un simile approccio alle novità del nostro tempo c’è indubbiamente estrema necessità. 27. Lo scarso senso di appartenenza e il diffuso campanilismo «Avendo Pioltello vissuto dei forti cambiamenti nel giro di questi ultimi vent’anni, la sua popolazione ne ha sofferto sul piano dell’identità». E «rispetto a Cernusco dove la gente si sente orgogliosa di appartenere al proprio comune e al proprio territorio, a Pioltello non c’è un’identità forte». «Quello che a Pioltello non è scattato è l‘incontro, l’osmosi tra le varie culture che vi coabitano, ma che si sono sempre mantenute nella loro autonomia». «I pioltellesi non hanno potuto avere l’attaccamento alla loro terra perché l’inserimento di ventimila ospiti ha distrutto le loro radici nel territorio». «Le trentamila persone che sono venute qui ad abitare nel corso di questi anni non hanno il senso dell’appartenenza». «Se si va in piazza Garibaldi ci si accorge che non tutti, anche a distanza di molti anni, si sono integrati nella nostra realtà. Al Satellite, per quel poco che ne so, la vita sociale non è sentita come dalla comunità della vecchia Pioltello o della vecchia Limito. Seggiano stessa come realtà sociale è differente dalle altre. Perché tutti abbiano a sentirsi appartenenti a un’unica città ci vorrà ancora del tempo, non è facile amalgamare le mentalità presenti». «Uno rifiuta di essere e di sentirsi pioltellese perché manca l’orgoglio di appartenere a una città la quale ha dato una brutta immagine di sé. Solo chi abita alle ‘quattro strade’ si sente di Pioltello». «Pioltello ha una disposizione un po’ particolare, è divisa in realtà un po’ a sé stanti e diventa difficile mettere assieme la gente. Qui non c’è il corso, non c’è la piazza, non c’è una via che rappresenti tutti. Nemmeno la Parrocchia è rappresentativa di tutti, infatti ce ne sono quattro». Insomma, le ragioni per cui a Pioltello non esiste o quanto meno è carente un’identità collettiva sono tante. «Qui ci sono quattro Parrocchie, due sono tradizionali mentre le altre due sono delle escrescenze. Una di queste è situata al Satellite e risulta troppo vicina alla parrocchiale vecchia e troppo lontana dal quartiere. Da una parte ci sono comunità che io paragono un po’ a quelle protestanti, perché tendono a chiudersi in sé e sono di vecchio stampo, anche se oggi il 50% delle persone che vi fanno capo provengono da fuori, dall’altra parte si è in presenza di un porto di mare perché c’è tantissima gente, in specie tantissimi ragazzi. Mentre in una realtà ci sono relazioni brevi, più dirette ed esiste un clima familiare, quasi come se fosse un club, dall’altra non esiste il senso dell’appartenenza». Questa storica separazione fisica ha fatto sì, come spiega un pubblico amministratore, che nel momento in cui «al pioltellese si mostra la mano, questo vede solo le cinque dita. Detto in forma di battuta, questo è il test del pioltellese. Egli vede cioè Pioltello vecchia, Pioltello nuova, Limito, Seggiano e San Felice. Queste cinque dita, cioè queste realtà geografiche non si percepiscono come un insieme, perciò hanno bisogno di essere riabilitate. Occorre cioè riuscire a far toccare il pollice con il mignolo e questo movimento si rivela nella fattispecie di una raffinatezza estrema perché richiede un coordinamento assolutamente eccelso. Noi siamo distrofici, le nostre dita vanno per conto loro. E questo è un ostacolo per il governo di questa città. Si può dire che nel passato la gente di Pioltello sia stata abbandonata al fatalismo». «E’ verissimo - conferma un «pioltellese doc» - che a mostrare una mano a chi abita qui ci si trova di fronte al rischio che questo non veda la mano ma le cinque dita e cioè la propria specifica realtà. Questo accade perché purtroppo i quartieri sono realtà tra loro differenti, con tradizioni e a volte anche con mentalità diverse, anche se distano solo due chilometri». «E’ vero, a Pioltello c’è campanilismo. Bisogna tenere conto però del fatto che un tempo il quartiere di Limito faceva comune a sé e questa cosa ha pesato. Solo dopo è diventato Pioltello. Non si può di certo dire che qui ci sia un senso comune di appartenenza, se questo c’è è relativo esclusivamente ai quartieri. Io stesso qualche volta incorro nell’errore di definirmi seggianese e non pioltellese proprio per una questione culturale. Seggiano ha comunque rappresentato negli ultimi venti, venticinque anni la parte maggiore di Pioltello in termini di popolazione residente. Questo perché Seggiano ha avuto la capacità di creare un humus grazie alla presenza di un suo parroco. Oggi questo quartiere conta 12-14 mila abitanti e vanta un numero consistente di istituzioni sociali e di volontariato, oltre ad avere gente attiva e impegnata nelle istituzioni pubbliche». «Qui da noi c’è una cultura del territorio che è suddivisa in quattro tronconi: ci sono quelli di Limito, ci sono quelli di Seggiano, quelli del Satellite e quelli di Pioltello. Esistono cioè quattro città. Come succede a Bruxelles dove i valloni restano distinti dai fiamminghi nonostante sia la sede della Comunità Europea». «Succede che quel che fa Limito non lo sa Seggiano, quel che fa Seggiano non lo sa Limito. Un clima di reciproca fiducia non ci sarà mai, è impossibile che ci sia perché esistono realtà differenti. E’ una tradizione». «Pioltello è sempre stato diviso da Limito, però poi in un secondo tempo si è inserita questa struttura intermedia di Seggiano e infine c’è stata l’esplosione del Satellite». «Seggiano ha un’altra identità ancora, perché era vissuta come un’altra costellazione, come quella parte di territorio dove si era insediata l’immigrazione, comunque è sempre stata considerata migliore del Satellite». «Quando io ho incominciato a lavorare in Comune e chiedevo a certe persone se erano di Pioltello, mi sentivo rispondere di no e mi precisavano che erano di Limito. C’erano dunque già delle fazioni quarant’anni fa, erano storiche e sono rimaste tali». «Anche molti anni fa Limito non veniva vissuto come parte di Pioltello, ma era di fatto un altro paese. I ragazzi di Limito venivano a Pioltello a trovare le ragazze, mentre quelli di Pioltello andavano a loro volta a corteggiare le ragazze di Limito come se fossero due paesi diversi». «Ci hanno messo non so quanto tempo per far capire a quelli di Limito che non potevano più scrivere Limito sui cartelli stradali perché l’Europa non lo consentiva e doveva esserci invece scritto Pioltello». «Una volta quelli di Limito hanno addirittura tentato di fare un comitato irredentista per pretendere la separazione da Pioltello». Ma come si spiegano questi campanilismi? «Io abito a Limito e della gente di Limito so tutto; una persona so chi è, chi è suo zio, chi è suo nipote, come si chiama il suo cane, se ci incontriamo per strada ci salutiamo, al Satellite non è così. Mentre al sud della ferrovia il problema della sicurezza non si sente, a nord è fortissimo. Noi a Limito camminiamo tutti liberi anche di notte senza problemi, non si può dire altrettanto per il Satellite e questo significa una non riconoscenza dell’appartenenza a questa città». «I limitesi - aggiunge un amministratore comunale - considerano la barriera a nord costituita dalla ferrovia come una protezione da Seggiano che viene da loro visto come luogo malfamato. Non si tratta affatto di una interpretazione, ma di una manifestazione aperta. E’ assurdo che esista una simile repulsione verso un altro quartiere che più che altro è vissuto da immigrati. Gli stessi abitanti originari di Seggiano si sono trasferiti in altre nuove aree urbanizzate dove la qualità della vita per quanto riguarda la dimensione degli alloggi è diversa proprio per non confondersi con gli immigrati. Questa percezione si è manifestata addirittura in una contrarietà alla realizzazione di un sottopasso della ferrovia perché viene visto da molti abitanti di Limito come un varco aperto che compromette il territorio. Proprio per questa ragione il superamento fisico della barriera costituita dalla ferrovia rappresenta una schiodatura di questo concetto che io considero assurdo». «Sarà molto difficile mettere assieme i quartieri, perché tra la Pioltello vecchia e la Pioltello nuova c’è sempre stata una grande discrepanza. Pur essendo un unico paese, la gente di Pioltello vive la propria specificità di quartiere e questa divisione è stata determinata anche dalle scelte urbanistiche che sono state compiute in virtù della volontà di costruire case e non tanto invece da una razionalità residenziale. Questi grandi casermoni sono stati costruiti quando già stava iniziando il processo migratorio». C’è chi tende a minimizzare queste divisioni: «Forse una volta i quartieri vecchi di Pioltello rappresentavano un po’ l’aristocrazia del paese, oggi invece non è più così perché c’è stata una omogeneizzazione. Comunque questo fenomeno non ha avuto la capacità di riprodursi». Però è chiaro che l’assenza di una coesione della popolazione la si tocca con mano e questo comporta non pochi problemi per chi ha il compito di governare la città. «Persino nel mondo dello sport c’è un po’ di campanilismo. Io avevo tentato tempo fa di creare una sola società di calcio di buon livello, ma il campanilismo ha giocato a sfavore di questa soluzione. Avevo anche cercato di creare una squadra di pallavolo, avendo fatto il presidente di questo settore fino all’anno scorso, perché qui esistono le condizioni per mettere assieme un’élite forte. Ma anche in questo caso ho trovato del campanilismo dovuto probabilmente anche alla presenza degli oratori che senz’altro fanno un lavoro molto utile, essenziale, però hanno poi questo rovescio della medaglia contro il quale ci si scontra quando si tenta di far crescere, di migliorare e di creare realtà nuove». E neppure la Chiesa è riuscita a lenire le competizioni territoriali e a unificare nello spirito le diverse comunità. «Anche a livello di comunità cristiana c’è ancora molto separatismo. Quando sono venuto qui nei confronti di Seggiano ho trovato un atteggiamento non certo incoraggiante perché sembrava che qui, in confronto al resto del paese, fosse concentrata l’ira di Dio nel male. Nella Pioltello vecchia ci sono ancora famiglie che si ritengono un po’ depositarie delle vere tradizioni di Pioltello. Non è un caso che la Lega Nord abbia avuto anche qui a Seggiano un successo nelle stesse sedi storiche della sinistra». «Questo comune è diviso storicamente. Quelli di Pioltello vecchia hanno costruito il loro ‘muro di Berlino’ e non ci hanno mai accettato. Io non sono un meridionale, però mi hanno fatto sentire un forestiero. Ho lavorato in Parrocchia fino all’anno scorso facendo il catechista e per trent’anni ho vissuto con i bambini e ho notato che sono stati cresciuti con una mentalità vecchia. Tra questa gente ho tanti amici, però noto che non c’è affiatamento, non c’è carità, non c’è amore, non c’è niente, anche nella stessa Chiesa. Un giorno, in occasione dell’esposizione della Madonna che avviene ogni 25 anni, uno di Pioltello vecchia mi ha chiesto cosa facevo mai nella loro chiesa. Quando un cristiano parla così significa che non ha capito niente di cristianesimo». «Questo aspetto - osserva un anziano - lo ha evidenziato con diverse lettere ai parroci lo stesso Cardinal Martini sottolineando che sono troppo divisi come parrocchie». «Ero presente anch’io - aggiunge un altro anziano - quando nell’83 è venuto per la prima volta e qualcuno gli ha chiesto cosa ne pensava di questa città. Dopo una breve meditazione, egli l’ha paragonata a Mosé quando passava il Mar Rosso. L’ultima volta che è venuto qui ha però riconosciuto che sono stati fatti dei bei passi in avanti». Nel documento della Pastorale parrocchiale viene sottolineata la «necessita di abbandonare ogni posizione individualistica ed ogni contrapposizione campanilistica. Appare urgente che le quattro comunità pioltellesi inizino ad attrezzarsi, fin da subito, prima di tutto a livello di acquisizione di cultura (cioè di mentalità), e poi a livello di creazione delle strutture necessarie, in modo da creare una rete di collegamenti attraverso la quale far circolare le risorse presenti sul territorio». «La mia prima sensazione, quando sono arrivato a Pioltello - confessa un sacerdote - è stata quella di rilevare che mentre da una parte esisteva qualche forma di autodifesa, dall’altra c’era gente che ancora non aveva messo radici. Ora festeggiamo il trentennio della presenza di questa parrocchia e a questo anniversario abbiamo voluto dare il significativo titolo ‘è ormai tempo di mettere le radici’». Qualcuno si consola ricordando che il campanilismo è un fenomeno non esclusivo di Pioltello. «La nostra situazione è di certo complessa perché il comune è diviso in quattro zone, c’è però da dire che a Segrate ci sono addirittura sette paesi in uno. Mettere assieme uno di Novegro o di Lavanderia con uno di Rovagnasco è come mettere assieme la Svezia con l’Uganda». Al localismo interno si accompagna poi un atteggiamento di esasperata competizione con i Comuni vicini. «Noi siamo sempre in un rapporto di amore-odio con Cernusco». «Tra Cernusco e Pioltello esiste una dualità tremenda e pensare che sono divisi solo da una strada. Si passa da una situazione di prospettiva florida a una realtà che risulta penalizzata da scelte sbagliate compiute nel tempo». «Cernusco è in condizioni migliori perché esiste una politica trentennale di sviluppo ordinato. Infatti, mentre a Pioltello si è favorita l’edilizia popolare, a Cernusco è stato favorito l’insediamento del ceto medio-alto». «Cernusco e Gorgonzola vantano la metropolitana perché hanno sempre avuto rappresentanti politici a livello istituzionale che contavano, mentre Pioltello ha messo in mostra le pezze sul culo e non ha avuto una capacità di contrattazione politica». «Cernusco è riuscito ad accaparrarsi la metropolitana e una serie di servizi e ha fatto di tutto per togliere determinate cose a Pioltello». «A Cernusco c’è un ospedale come in tutti i paesi importanti. Solo Pioltello e Vimodrone non c’è l’hanno». «Quelli di Cernusco sono ricchi sin dal 1400, cioè da quando hanno costruito il naviglio e i loro orti hanno sempre reso tantissimo dal momento che i prodotti venivano portati e venduti al mercato». «Cernusco ha collocato tutta la zona industriale alle spalle di Pioltello, loro sono rimasti una bella cittadina, hanno mantenuto e abbellito il centro storico, mentre su di noi hanno scaricato i disturbi. Quanta gente di via Wagner è andata via per questa ragione?», osserva un anziano. E pure un pubblico amministratore degli anni ‘70 si interroga: «E’ mai possibile che Cernusco si sia mantenuta un bel centro storico scaricando a ridosso di Pioltello la zona industriale?». A questo interrogativo altri nostri testimoni danno però delle risposte secche e chiare: «Gli amministratori pubblici di Cernusco hanno saputo dividere bene i vari settori, l’artigianato, l’industriale, il residenziale, e hanno saputo difendere i loro interessi molto bene, facendolo tra l’altro con una certa eleganza, cosa invece che gli amministratori di Pioltello non hanno saputo fare». «Cernusco ha curato di più i servizi, là c’è la metropolitana, ci sono più scuole e questo sta a significare che quegli amministratori sono stati più attenti di quelli di Pioltello». «A Cernusco c’è stato un sindaco che era democristiano non solo a parole o per interesse, ma era un uomo capace di trascinare capitali, era democristiano nella sostanza», commenta una persona che ha vissuto male il disfacimento del vecchio sistema dei partiti. Anche se c’è chi considera Cernusco «un’enclave stupida e che ha i prezzi più alti del centro di Milano perché c’è quest’aura di essere il paese oasi di lusso, il che è un falso clamoroso», il confronto con questo e con gli altri Comuni confinanti è una componente di fondo della cultura di molti pioltellesi. «Ad essere favoriti sono sempre stati gli agricoltori di Rodano, mentre quelli di Pioltello sono stati continuamente penalizzati, tant’è che ormai tutti i nostri agricoltori hanno abbandonato le cascine». E la competitività la si registra anche a livello istituzionale: «Sulla multisala, ad esempio, i comuni limitrofi, Cernusco e Segrate, hanno cercato di boicottarci in tutti i modi per portarla sul loro territorio. Nel compiere le nostre scelte, noi abbiamo cercato di tenere conto degli effetti che i vari provvedimenti avrebbero avuto sui comuni vicini. Abbiamo lavorato seriamente oltreché onestamente e serenamente, avendo rispetto dei nostri confinanti, mentre questo non si può sempre dire di loro». «Segrate vuole costruirsi il suo cinema in alternativa alla multisala che verrà realizzata prossimamente da noi. Esiste un campanilismo esasperato che è alimentato anche dal fatto che le amministrazioni comunali sono politicamente differenti. Pioltello è sempre stata penalizzata molto da questi atteggiamenti di antagonismo campanilistico, conseguenza forse anche di una gestione politica che non è mai riuscita a guardare lontano, oltre i propri confini». 28. L’immigrazione extracomunitaria e i problemi dell’integrazione Com’è noto, una visione localistica dei rapporti sociali fa a pugni con la presenza sul territorio di una molteplicità di etnie e di culture e da questo punto di vista Pioltello è decisamente un melting pot. Recita ancora il documento della Pastorale: «Gli extracomunitari stimati sono 1.000-1.200 provenienti principalmente da Egitto, Filippine, Albania, Marocco, Ecuador e Peru’». E la ricerca svolta sulla storia del Satellite ha stabilito che «nel ‘99, nel comune di Pioltello risultavano essere residenti 1122 stranieri di cui 389 abitanti al Satellite. Essi provengono da ben 40 Paesi». Tabella n. 31 Indici della presenza degli stranieri residenti e valori percentuali sulla popolazione. Pioltello, Comprensorio di Melzo, Provincia di Milano - 1991-1997/98 indici ‘91 % su popolazione ‘97/’98 ‘91 ‘97/’98 Pioltello 100 218 1,1 2,6 Compr.Melzo 100 172 1,2 2,0 Prov.Milano 100 192 1,6 3,2 Fonti: Regione Lombardia, 0TML Provincia di Milano Tabella n. 32 Valori percentuali degli stranieri residenti sulla popolazione. Pioltello, Cernusco, Segrate 1999 % Pioltello 3,4 Cernusco 2,0 Segrate 4,5 Fonte: OTML Provincia di Milano «Noi abbiamo una forte immigrazione di latino-americani e di pakistani - dicono a Seggiano - poi qui ci sono peruviani, molti equadoregni, incominciano ad essercene qualcuno anche del centro America, del Salvador. In genere essi hanno voglia di lavorare e noi abbiamo l’impressione che si sfruttino anche un po’ fra di loro con il subaffitto». «Una cosa che ultimamente ho notato nella realtà di Pioltello è la massiccia presenza di stranieri situati in particolare al Satellite e a piazza Garibaldi», annota un’operatrice scolastica. Mentre altri nostri interlocutori commentano: «Il problema dell’immigrazione è un aspetto che riguarda di più la parte a nord della ferrovia piuttosto che quella a sud. Verso nord il territorio è molto più disomogeneo». «Oggi al Satellite si stanno installando molti extracomunitari. Si tratta di un extracomunitario povero che sostituisce il meridionale povero, quello che ha acquistato la casa a un prezzo ragionevole da quello che da Milano si è trasferito qui e che poi l’ha rivenduta per sistemarsi meglio». «In questi decenni si è verificato un grande turn over di popolazione a Pioltello. Mentre in alcuni comuni milanesi simili al nostro c’è stata l’ondata migratoria che si è poi sedimentata e la gente ha messo radici, qui ci si è trovati di fronte a una tendenza continua alla mobilità, Pioltello si è dimostrato un luogo di transito. La gente viene qui, ci abita per un anno o due, si accorge che il paese è una schifezza e se ne va, sostituita da altra gente in arrivo. In questi ultimi dieci anni il fenomeno ha preso una piega che non riguarda più la migrazione interna, ma l’immigrazione extracomunitaria». «Il fatto grave è che non è ancora sedimentata la prima immigrazione, quella dei meridionali, e oggi Pioltello è investita da una nuova ondata di immigrazione extracomunitaria». «Abbiamo avuto l’invasione di albanesi e curdi e loro hanno sicuramente le loro ragioni politiche per rifugiarsi qui, però hanno anche portato la delinquenza. E questo avviene ovunque, in specie a Milano dove si viene disturbati anche la notte. Qui però lo notiamo di più perché l’ambiente è piccolo». «Il problema è che quando ci sono le retate della polizia, poiché vige ancora la legge Martelli, questi vengono portati in Questura e poi rilasciati dietro l’intimazione di una loro rispedizione in patria solo dopo 15 giorni. E questi invece di partire rimangono qui». Osserva un amministratore pubblico: «Di extracomunitari ce ne sono molti che lavorano in quelle cooperative che operano nelle grandi aziende e li si può vedere la sera quando in gruppo tornano dal lavoro oppure vanno a fare il turno notturno. Sul versante della richiesta d’impiego però l’immigrazione extracomunitaria incide poco, non c’è una grande pressione sulle strutture del collocamento e per quel che è dato capire, mentre una parte di loro sono occupati nel mercato del lavoro semiprecario, svolgendo magari mansioni rifiutate dai nostri, l’altra parte è impegnata in attività illegali e concorre ad accentuare i problemi di sicurezza che questo territorio presenta». In effetti, a Pioltello, la pressione della forza lavoro extracomunitaria sul mercato del lavoro è superiore alla media comprensoriale, ma è inferiore a quella provinciale. Tabella n. 33 Stranieri iscritti al collocamento. Pioltello, Comprensorio di Melzo, Provincia di Milano Primavera-estate 2000 (percentuale su totale iscritti) % Pioltello Compr.Melzo Porv.Milano 10,4 6,6 14,6 Fonte: Scica Melzo e Centro Lavoro Est Milano Nel ‘99, in provincia di Milano, il 66,7% degli stranieri avviati al lavoro è stato assunto a tempo determinato o parziale, cioè in forme contrattuali atipiche, mentre il 77,5% è stato destinato a mansioni generiche, non specializzate. Dicono nelle aziende: «Da noi ormai lavorano persone di tutte le razze, anche immigrati clandestini. Noi abbiamo avuto l’esperienza positiva dei filippini che sono un gruppo omogeneo e con una precisa identità di vita e che hanno fatto causa all’azienda. Oggi ci sono i marocchini che operano nel reparto del pesce e sollecitano un intervento del sindacato. Io però ritengo ancora prematuro e rischioso aprire una vertenza per la loro stessa permanenza essendo ancora a contratto a tempo determinato». «Noi abbiamo inserito nell’organico delle persone di colore del Centro Africa e l’esperienza che abbiamo fatto è più che positiva. Si tratta di senegalesi e c’è da dire che sono ottimi lavoratori, rispettano le regole del lavoro, hanno una cultura scolastica elevata, si adattano a fare lavori che i nostri giovani non fanno più. Sono qui ormai da tantissimi anni». «L’esperienza con la comunità egiziana che abbiamo qui è positiva, li stiamo sollecitando a seguire i corsi di italiano per stranieri sia perché è importante che lo sappiano parlare, sia perché diventa fondamentale che sappiano leggere e scrivere. Se questi diventeranno nostri operai fissi, sempre per via delle certificazioni di qualità, dovranno saper leggere gli ordini e saper scrivere. Ora invece sono impossibilitati a farlo. Qualcuno di loro ha già confermato la presenza al corso, qualche altro invece ha delle difficoltà causa il basso livello di scolarizzazione». «Qui ci sono pochi immigrati, si tratta solo di tre o quattro egiziani». «Nella cascina ci stanno gli albanesi, quelli giusti ovviamente, i quali lavorano stupendamente. Abbiamo portato qui anche la loro madre e abbiamo creato un ambiente dove si trovano bene». Anche le agenzie interinali si avvalgono ormai di forza lavoro extracomunitaria. «Attualmente - precisano le loro operatrici - per noi lavorano quattro persone immigrate e l’esperienza è positiva, è gente che si dà da fare. Il loro handicap è la mancanza del mezzo di trasporto. Il problema degli immigrati è che in genere non hanno il permesso di soggiorno oppure hanno il tagliandino che comunque non consente una loro assunzione. Poi, mentre alcune aziende sono disponibili ad assumere gli immigrati extracomunitari, altre non ne vogliono assolutamente sapere». Ma è soprattutto nelle cooperative di facchinaggio e di pulizia che vengono impiegati gli stranieri. «I problemi relativi alla presenza degli extracomunitari sono tanti e grossi come quello dei senza permesso di soggiorno. Noi abbiamo una cinquantina di extracomunitari molti dei quali sono senza permesso, sono clandestini. Come cooperativa non ci prendiamo la briga di assumerli perché da noi il nero non esiste, però cerchiamo di aiutarli. A volte siamo andati anche in Questura a richiedere i permessi per inserirli così nel nostro organico. Comunque rispetto a due anni fa oggi notiamo un maggior controllo. Tra questi immigrati c’è, come ovunque, il bravo e il cattivo. Abbiamo un gruppo di rumeni che sono bravissimi, poi ci sono anche degli albanesi e dei pakistani che sono altrettanto bravi. Il problema principale che essi hanno è quello di trovare la casa in affitto». «Accanto a chi rifiuta ideologicamente l’extracomunitario qui c’è anche chi lo cerca», fanno presente al Centro Lavoro. «Ci sono anche delle aree di maggior concentrazione dove si creano fenomeni di disagio pubblico, però complessivamente la situazione è abbastanza tranquilla, non esistono emergenze. Ai nostri sportelli si rivolgono molti immigrati stranieri tant’è che abbiamo deciso di costruire un progetto specifico per loro». «Noi - precisa un imprenditore - abbiamo difficoltà non solo a trovare personale specializzato, ma anche manodopera generica e allora siamo ricorsi a una comunità egiziana composta da sette persone che lavora qui con soddisfazione reciproca». Ma gli stranieri extracomunitari non si limitano a sopperire alle carenze del mondo del lavoro dipendente, essi si cimentano anche con il lavoro autonomo. Commenta un esponente della categoria dei commercianti: «L’espansione del fenomeno dell’immigrazione ha favorito l’insediamento di attività imprenditoriali commerciali gestite dagli stessi immigrati le quali rispondono all’esigenza di una variazione dei consumi che consegue al crescere della loro presenza sul territorio». L’integrazione viene dunque sospinta dagli stessi processi strutturali e il problema diventa quello di governarla. Ma a questo riguardo, come vivono e come giudicano il loro inserimento nella realtà sociale di Pioltello i diretti interessati? Ecco le testimonianze di due immigrati qui residenti. «A Pioltello sono arrivata nel ‘98. Sono partita dal Togo con mio fratello nell’84 per motivi di studio. Lui frequentava la facoltà di medicina a Lomé e poiché ha voluto venire in Italia a specializzarsi, si è dato da fare e ha trovato il modo di poter conseguire a Sassari la specializzazione. Quando si è trasferito qui aveva bisogno di una mano in casa e allora sono venuta anch’io con lui. Inizialmente ho fatto lavori domestici in una famiglia e ho accudito una persona anziana. Poi ho frequentato un corso di infermiera-assistente sociale che ho poi concluso al San Raffaele di Milano. Ora sono diplomata e lavoro al Fatebenefratelli di Cernusco che è un ospedale psichiatrico. Qui mi trovo bene e faccio l’infermiera professionale. Per poter accrescere la mia professionalità e per diventare caposala ora dovrei frequentare l’università, però per fare questo ho bisogno della maturità, cosa per me assai difficile da conseguire. Prima di sposarmi avevo pensato a un simile percorso, solo che ora sono presa dal lavoro, dalla famiglia e poi da un’attività culturale che svolgo con un gruppo del Benin. Ho lasciato il mio Paese con l’intenzione di studiare e poi di ritornarci. Ora però anche nel Togo ci sono molti infermieri che sono disoccupati e io mi devo specializzare se voglio ritornare e trovarmi un posto di lavoro laggiù. Le mie connazionali lavorano alcune ore in qualche famiglia. Ci sono poi quelle che vivono nella famiglia stessa che le ospita e sono libere solo una giornata alla settimana. C’è chi si trova bene e chi no. Il dramma è di quelle donne che hanno lasciato i figli al loro Paese e che non possono ricongiungersi perché le famiglie che le ospitano non sono disponibili. Conosco una mia connazionale che per avere solo chiesto di portare qui la propria figlia è stata licenziata. Non tutte sono regolarmente assunte. In genere hanno il permesso di soggiorno e lavorano saltuariamente e a orari parziali. I miei compaesani che non hanno un diploma o ce l’hanno di tipo diverso dal mio incontrano molte difficoltà a trovare una sistemazione lavorativa. Il limite degli immigrati in generale è che si rendono disponibili a qualsiasi lavoro poiché hanno bisogno di guadagnare soldi e così non possono disporre del tempo necessario per specializzarsi. Molti di loro poi non sono informati sui loro diritti e pertanto vengono facilmente sfruttati». «Per noi immigrati diventa difficile trovare lavoro anche tramite le stesse agenzie interinali , specie quando si è in età non più giovane come lo sono io. Quando notano l’età ti accampano una serie di ragioni, ti chiedono sei hai il computer, ti premettono che si tratta di lavoro precario, ti dicono che il datore di lavoro vuole lo specializzato, insomma, ti creano difficoltà. In Italia non c’è la cultura del merito, i politici e i giornalisti giocano sull’ignoranza della gente e se ne fregano di creare un senso comune che permetta di valorizzare gli stranieri per quel che valgono. Non ci consentono di portare il nostro contributo al miglioramento delle cose in Italia e insieme non ci permettono di lavorare secondo le nostre attitudini. Scattano tre meccanismi: il fatto che siamo stranieri, il fatto che non tutti siamo giovani, l’assenza di una cultura del merito. Spesso poi non ti assumono perché pensano che tu hai molta esperienza e non sei disponibile a farti plasmare come uno che è grezzo. I nostri problemi sono tanti, dal lavoro alla casa, dai diritti agli atteggiamenti intolleranti, dal ricongiungimento con i familiari al problema dei figli. Molto spesso chi subisce delle violenze, anziché denunciarle sta zitto per timore di perdere il lavoro e di essere cacciato». Sostiene un’operatrice culturale che con gli immigrati ha rapporti quotidiani: «La possibilità di trovare un alloggio, un lavoro, una forma di accoglienza decente non è di tutti. Del resto, problemi ce ne sono anche per noi che viviamo qui e non è perciò facile trovare le soluzioni. Uno degli aspetti che mi pare essere più importante da affrontare è quello dell’integrazione nell’ambiente». «Attraverso la Caritas - afferma un sacerdote - abbiamo saputo che una famiglia equadoregna di quattro persone, appena arrivata qui, con due di loro che lavoravano e che guadagnavano due milioni, doveva pagare 250 mila lire al mese a testa solo per il letto. Questo ci dice che da noi oggi si ripetono quelle esperienze che hanno vissuto nel passato i nostri emigranti nei vari Paesi del mondo». «So di un immigrato che lavora regolarmente in ufficio con un posto fisso e che vive in automobile e regolarmente va a lavarsi alla struttura di accoglienza di Limito». «A Pioltello si sa che esistono queste situazioni, però di esse ci si occupa poco. Anche dal punto di vista delle istituzioni si è a conoscenza di certe situazioni del tipo di quella delle case affittate dagli albanesi ai fini speculativi o per altri giri, però l’intervenire per impedire questi abusi diventa difficile persino ai carabinieri». «Se io fossi in Comune - dice ancora l’immigrato - affronterei subito il problema fondamentale degli affitti delle case. La situazione di oggi da questo punto di vista è terribile, c’è una speculazione incredibile. Se uno vuole star da solo deve affrontare affitti impossibili e allora per farcela deve condividere l’alloggio con altri quattro o cinque. Io riserverei agli stranieri e agli anziani una percentuale di case non solo di proprietà pubblica, ma anche di quelle private. Con i privati farei delle convenzioni e in questo modo abbasserei il costo degli affitti. Il lavoro, l’alloggio e l’integrazione sono i tre terreni su cui bisognerebbe darsi da fare». «Gli stranieri che frequentano i nostri corsi - precisa l’operatrice delle ‘150’ ore provengono da tutto il territorio circostante e si tratta di stranieri originari di diversissimi Paesi. Per poter rilasciare dei diplomi noi dobbiamo però avere persone che hanno il permesso di soggiorno. A volte abbiamo accettato anche chi il permesso non ce l’aveva perché ci pesava buttarli fuori dalla scuola nel momento in cui si rivolgevano a noi. Nella scuola l’integrazione diventa un momento di confronto e di lavoro comune che serve agli stessi italiani per constatare che in fin dei conti l’immigrato non è né un delinquente né quello che viene a portarci via il posto di lavoro, come spesso si è portati a pensare. La presenza nella stessa classe di culture diverse, di etnie diverse aiuta sicuramente a farsi conoscere reciprocamente e a farsi rispettare. Difatti, capita spesso che qualche italiano a un certo punto del corso o alla sua fine ci dica che non immaginava che uno straniero potesse essere tanto disponibile e generoso». A darsi da fare sul fronte dell’integrazione nel contesto socio-culturale sono gli stessi immigrati. «Io sono impegnata con un gruppo di immigrati del Benin, dal momento che sono originaria di quel Paese, per far conoscere la nostra cultura. Per ora abbiamo operato nella zona Est Milano. Il nostro progetto è quello di aiutare lo sviluppo del Benin e soprattutto di limitare l’emigrazione. Quando si esce dal proprio Paese d’origine non si sa cosa poi si trova fuori. Si pensa di trovare il paradiso, poi invece si scopre che c’è anche l’inferno. La cosa migliore è quella di far sì che i nostri fratelli trovino lavoro laggiù. Le Acli di Cernusco ci hanno concesso la sede. Ora stiamo cercando di avere un appoggio da parte delle Amministrazioni comunali della zona. Il problema nostro è purtroppo quello di non riuscire ad unirci anche perché proveniamo da Paesi diversi. Molti vengono qui con il preciso scopo di guadagnare dei soldi e poi di ritornare alla propria casa e questo non favorisce certo l’unione e l’iniziativa comune. A questi non interessa altro che guadagnare denaro». «E’ vero, gli immigrati extracomunitari non comunicano tra di loro», sostiene un operatore del volontariato. «Quelli del Bangla Desh, per esempio, non parlano con gli indiani. Così come quelli del Bangla Desh odiano i neri dell’Africa, non riescono a sopportarli. Hanno riportato qui dai loro Paesi di origine i vecchi rancori. Il Satellite è così diventato un serbatoio di conflitti, e pensare che qualcuno si era illuso di poterlo svuotare. Farlo diventare un luogo di convivenza fra più culture ed etnie è quasi impossibile, proprio perché ognuno è autonomo economicamente e autosufficiente e pertanto può permettersi di non avere rapporti con l’altro». A complicare il processo d’integrazione concorrono poi le intolleranze. «Purtroppo sono diffusi gli atteggiamenti razzisti; c’è gente ignorante che ti dice di ritornare al tuo Paese perché stando qui noi porteremmo via il lavoro ai loro figli. Questi dimenticano che ci sono tanti italiani che vivono in altri Paesi e che si sono trovati nelle nostre stesse condizioni. Gli europei che vengono nel nostro Paese sono invece accolti da noi molto bene e viene loro riconosciuto il contributo professionale che danno al nostro sviluppo, mentre noi qui veniamo guardati male e non trattati con dignità. Questa è una vera e propria ingiustizia». «L’intolleranza esiste e quando c’è l’ignoranza c’è anche il razzismo perché sono due cose che vanno di pari passo». Purtroppo i pregiudizi esistono e non solo da oggi. «Quando molti anni fa sono arrivato qui, a ragione o a torto, ho trovato una situazione ostile verso noi meridionali. Questo perché molti di quelli che erano arrivati prima di me si erano comportati in maniera non civile e la gente del posto si è tenuta sulle sue. Personalmente me la sono sempre cavata bene e molti dei miei amici sono proprio originari del posto». «Sono preoccupata per il clima di intolleranza che dilaga fra la gente». «Il fatto che a Pioltello non si sia ancora integrata del tutto la prima immigrazione e che ora ne arrivi un’altra ancora più difficile da integrare rappresenta un problema molto serio». «Gli immigrati trovano spesso ospitalità e solidarietà solo nelle loro comunità, tra amici e parenti. Sono costretti a vivere in una realtà che è molto diversa da quella che pensavano e auspicavano di trovare». «Nei confronti degli immigrati extracomunitari clandestini a Pioltello abbiamo le trincee. In certi condomini la gente non vive più. Pioltello è una realtà in fermento ed è molto difficile gestirla». «Bisogna comunque riuscire a superare le intolleranze che, come in tutti i paesi, esistono anche qui pur se in forme mascherate. Momenti di grosse intolleranze però non ci sono mai stati. In occasione della morte di un barista per mano di un albanese, qui al Satellite è stata organizzata una fiaccolata e non si è registrata alcuna tensione cattiva contro gli stranieri, ma solo disagio. C’è da dire che qui le condizioni di vita non sono favorevoli né per gli italiani né per gli stranieri». Riflette ad alta voce una giovane diplomata che svolge un lavoro precario : «Il problema dell’immigrazione a Pioltello è serio. Anch’io appartengo a una famiglia di immigrati, i miei provengono dalla Basilicata e quando sono venuti qui hanno cercato di ambientarsi, si sono trovati un lavoro, si sono creati il loro spazio e si sono integrati. Ora invece ci sono gli albanesi che dal mattino alla sera te li vedi sempre lì seduti senza che si pongano il problema di trovarsi un lavoro. Sarò forse un po’ razzista, ma questi te li vedi lì seduti con il cellulare, con la macchina grossa, cose che nemmeno io possiedo e mi chiedo come questo sia possibile. Questi vengono qui non per adeguarsi alla nostra società, ma per crearsi una sorta di supremazia, per prendere il potere e allora è ovvio che si crei la malavita e che si abbassi il livello della qualità dei rapporti sociali. Ovviamente non tutti gli immigrati hanno di questi comportamenti, c’è però una piccola parte che danneggia l’immagine di tutti gli altri. Ai marocchini io tolgo il cappello perché quelli che sono qui lavorano, magari in modo saltuario e precario, però si guadagnano da vivere onestamente, cosa che non fanno gli albanesi. Lo spaccio di droga a Pioltello c’era già prima che arrivassero loro, però con la loro presenza è sicuramente aumentato». E altri nostri testimoni non più giovani si sforzano di spiegare le cause del dilagare di certi atteggiamenti xenofobi. «Personalmente io non sono preoccupato della presenza degli immigrati. Ho sempre avuto buoni contatti con loro, anzi ho parecchi amici tra i meridionali i quali si sono integrati benissimo. In tutte le migrazioni purtroppo c’è anche una parte di gente che se ne approfitta della buona fede altrui. Noi qui un tempo lasciavamo aperte le nostre case, a un certo punto questo non lo si è più potuto fare e da qui nasce la reazione che ci ha resi un po’ più cattivi. Per quanto riguarda invece le ultime immigrazioni, quelle dei marocchini e degli altri extracomunitari, purtroppo, per esperienza diretta ho potuto constatare che il rapporto tra delinquenti e gente onesta è molto superiore rispetto all’immigrazione del Su d’Italia. Allora la gente veniva soprattutto a cercare il posto di lavoro, questi invece non sempre hanno intenzione di lavorare». «Sento molte famiglie qui del Satellite che ormai non ce la fanno più a vivere perché nell’appartamento a fianco ci sta l’extracomunitario che non ha riguardi e disturba». «Di immigrati in questo territorio non ne abbiamo moltissimi, però anche a questo proposito andrebbe fatta una bella selezione all’origine. Il soggetto extracomunitario è utile se lavora, non lo è se sfrutta la prostituzione, se è arrogante. La società italiana deve tutelare il cittadino onesto. Noi non possiamo prendere dentro tutti e ogni due anni fare la sanatoria. Ci deve essere una rigidità, perché certi immigrati non sono proprio da sanare. Bisogna invece trovare il modo di trasferire imprese e macchine nei loro Paesi e mandare i nostri tecnici perché insegnino loro a lavorare e favorire così il loro sviluppo». «Quelli di qui non hanno legato neanche con i meridionali, sono rimaste le distinzioni e ancora oggi i bambini delle famiglie originarie di Pioltello che frequentano le scuole elementari, non legano con quelli di origine meridionale e vanno addirittura all’oratorio in orari differenti. Esiste una mentalità diversa. Perché i ragazzi giochino tutti assieme dovranno passare delle generazioni. Con gli immigrati extracomunitari è una cosa ben diversa, i meridionali sono italiani, sono venuti qui per lavorare, questi no». Sulle difficoltà che si incontrano nel far crescere uno spirito di accoglienza e di reciproca comprensione e rispetto si sofferma un sacerdote. «Di fronte all’attuale ondata di immigrazione extracomunitaria, c’è il rischio che gli immigrati di prima, i meridionali, diventino ancor più integralisti di quanto non lo siamo noi del posto. Scatta il meccanismo della concorrenzialità. In Germania c’è un’infinità di turchi, in Francia ci sono molti nord-africani e quelle situazioni non sono di certo paragonabili all’Italia, però in quei Paesi c’è una cultura diversa, quella della relazione, della diversità, dell’accoglienza. La nostra stessa cultura cattolica che è fondata sul solidarismo fatica a entrare in questo ordine di idee, anche perché esiste sempre il discorso del campanile per cui c’è sempre una parte che deve essere difesa a tutti i costi». E c’è anche chi insiste sulla necessità del processo d’integrazione indicando le possibili strade da percorrere e riconfermando il proprio impegno in tal senso. «Se uno vede le diversità come risorse non può tralasciare di considerare positivo un confronto con gli immigrati e una mescolanza con loro. A Pioltello esistono ottime mediatrici culturali e nei rapporti con gli extracomunitari presenti andrebbero valorizzate al massimo». «Noi siamo impegnati a organizzare a fine anno scolastico una festa interetnica come momento aperto alla popolazione e a tutto il territorio. Stiamo pensando anche di produrre del materiale sul tema delle diverse culture e sarebbe interessante e utile verificare se il Comune è disposto a farsi carico della pubblicazione. Del resto, la valorizzazione della diversità è un po’ la storia delle «150 ore» dal momento che essa è sempre stata la caratteristica dei nostri corsi sin dalle origini. Sperimentate dai metalmeccanici, infatti, le ‘150 ore’ sono state poi frequentate dai lavoratori di altre categorie, dalle casalinghe, dai disoccupati e poi la presenza di persone di differenti età e provenienza ha favorito la conoscenza e la comprensione. La stessa presenza di giovani e anziani ha favorito uno scambio di esperienze positivo e molto spesso apprezzato dagli stessi giovani. Noi ci consideriamo perciò un importante veicolo d’integrazione». «Si può dire che Pioltello sia già un esempio di società multietnica e multiculturale e le difficoltà di un amministratore pubblico stanno proprio nel cercare di trasformare la presenza sul territorio di tante culture e tradizioni in una fonte di ricchezza evitando che sia invece motivo di emarginazione e di separazione». E commenta un immigrato: «Si possono fare tante iniziative culturali come il teatro, però nel concreto si fa poco o nulla. Lo stesso gemellaggio con la Costa d’Avorio, ad esempio, è solo un’operazione di facciata, L’anno scorso sono state fatte, e vero, delle iniziative alle quali hanno partecipato soprattutto gli arabi e i cinesi, però poi non c’è stata una continuità. Ci sono poi le iniziative del Cacis, delle scuole, però anche queste sono episodiche, non sono coordinate. Sarebbe bene invece che tra i diversi organismi ci fossero delle relazioni stabili. Per noi diventa impossibile costruire questo tessuto di relazioni periodiche e stabili, spetta proprio al Comune dare ufficialità all’iniziativa. Da tempo si sta tentando di costituire la Consulta dell’immigrazione. Siamo in ballo ormai da due anni e mezzo in questa operazione che va avanti lentamente perché è una questione sociale e non solo politica. Si deve sapere che la Consulta non serve solo agli immigrati, ma all’intera popolazione, perché l’integrazione serve a migliorare la convivenza sociale. Le disponibilità che comunque dimostrano la Caritas e il Comune si scontrano poi con un senso comune che non favorisce certo l’integrazione, ma che pretende invece l’assimilazione». «Che esista una consulta dell’immigrazione noi siamo estremamente interessati sottolinea un’immigrata - certo è però che il riconoscimento del diritto di voto amministrativo sarebbe una cosa molto più positiva e più efficace. Le istituzioni devono dare più informazioni, non solo a noi, ma alla propria gente; hanno il dovere di formare le persone affinché si dispongano ad aiutarci nel processo di integrazione. Ormai qui ci sono le famiglie di immigrati, qui nascono i figli e questi devono essere accolti. Le famiglie italiane devono accettare la convivenza. Questa è la direzione verso cui lavorare». Un invito questo che trova pienamente concorde chi ha la responsabilità del governo locale. «Pioltello è di fatto un laboratorio, magari con grandi sofferenze, ma tale è. Questo vuol dire essere all’avanguardia e tentare soluzioni nuove, ricercarle. Pioltello è un crogiuolo, non è Berlino est-Berlino ovest, non è Beirut est-Beirut ovest, non è neppure Segrate a quartieri omogenei e separati in termini di classi sociali. Pioltello è un crogiuolo dell’accoglienza, perché le persone che sono venute a Pioltello negli anni ‘60 e’70 oggi sono pioltellesi. Qui non c’è stato un fenomeno di rigetto, un fenomeno di razzismo e ora noi diciamo che vogliamo diventare un laboratorio dell’accoglienza per le persone che non sono italiane le quali ci ripropongono la scoperta di ciò che sta nel dna di Pioltello, cioè la sua diversità rispetto ai comuni vicini sul piano della capacità di integrazione. Su questo terreno noi siamo più avanti degli altri. Il contributo che Pioltello dà alla Martesana è proprio quello di essere laboratorio e crogiuolo dell’accoglienza». Sulla stessa onda ci sono anche le Parrocchie: «Una considerazione a cui siamo arrivati è che Pioltello può essere una città laboratorio dal momento che qui ci sono forze giovani e anche qualche entusiasmo. L’esperienza del centro di ascolto cittadino per gli stranieri è proprio lì a dimostrare che esistono le condizioni perché questo obiettivo venga realizzato». E simili propositi fanno ben sperare. 29. La questione giovanile Un altro aspetto problematico della realtà pioltellese è costituito dalla questione giovanile. «A dare qualcosa ai giovani sono le Parrocchie, mentre invece nell’Amministrazione comunale non c’è questa mentalità, il Comune non va incontro alle loro esigenze». «Secondo me, il Comune fa molto di più per noi anziani che per i giovani. Organizzato dal Comune c’è solo il Puccini come scuola di musica, nulla più». E a confermare un simile giudizio è una giovane la quale ricorda come a Pioltello ci siano «molte opportunità per gli anziani come i centro sociali, i campi da bocce, mentre per i giovani non c’è assolutamente niente. L’unica cosa positiva che è stata fatta a livello giovanile è quella della multisala cinematografica, anche se resto convinta che a Pioltello ne sarebbero bastate due tipo l’Agorà di Cernusco. Questa città è molto più organizzata di Pioltello a livello giovanile e culturale, ci sono infatti molte iniziative alcune delle quali rivolte anche ai giovani dei comuni del circondario, come il concorso musicale dell’anno scorso, cosa che a Pioltello non c’è mai stata. Non ricordo che da noi sia mai stato indetto un concorso al quale abbiano partecipato i giovani o gruppi di giovani di altri comuni della zona». Persino un vecchio sindaco è convinto che per i giovani si sia fatto poco. «I giovani di Pioltello sono o sotto i portici o ai giardini o al monumento ai caduti abbandonati a loro stessi e per fortuna c’è qualche oratorio. Per i giovani non si è mai fatto nulla. Si è fatta la piscina che è costata un capitale, però non è molto frequentata». E c’è anche chi sottolinea come «le nuove generazioni vivono poco la vita di Pioltello». Difatti, confermano i giovani, «uno che la domenica vuole fare qualche cosa di interessante deve necessariamente spostarsi. Qui non ci sono discoteche, non ci sono luoghi di aggregazione, non esiste nemmeno una gelateria dove la sera ci si possa sedere e mangiare un gelato dal momento che quelle che esistono sono tutte da asporto». «Io la realtà di Pioltello non la vivo proprio per niente. Ho delle amicizie con dei giovani di Pioltello però come gruppo ci spostiamo verso Melzo o Cassano». «Io ho una figlia di 14 anni che la domenica pomeriggio va a passeggiare o a Milano o a Cernusco, perché qui non c’è un luogo dove si possa fare questo ed è innegabile che l’assenza di luoghi di socialità è il risultato delle scelte urbanistiche che sono state compiute nel passato». «Anch’io ho due figlie, una è integrata nel Gabbiano e dedica parte del suo tempo libero allo sport qui a Pioltello, l’altra invece va a Cassina de’ Pecchi perché frequenta un coro. Per conoscere Pioltello i giovani devono necessariamente essere aggregati a qualche comunità locale o a qualche oratorio o società sportiva, diversamente si spostano in altri comuni». «I giovani dai 15 ai 20 anni sono costretti a spostarsi altrove, una sera a Milano, un’altra a Cernusco e così via, perché non hanno luoghi dove andare. Questo io l’ho constatato con i miei fratelli. C’è peraltro da dire che i giovani di questa età si dimostrano sempre meno interessati alle questioni sociali e anche per questo risultano meno legati all’ambiente in cui risiedono». «E’ il benessere che rovina tutto - sentenzia un anziano - i giovani pensano alla casa al mare e a quella in montagna, si vantano perché sono abbronzati, sono diventati appassionati di sci, fanno la settimana bianca e vivono al di sopra dei propri mezzi». Sta di fatto che anche a Pioltello, come sottolinea un sacerdote, «la realtà giovanile è frammentata, i giovani non li si ritrova più tutti in un posto e soprattutto non li si ritrova più schierati, almeno in generale. Sono più possibilisti, se non arrivisti, comunque molto più preoccupati di sé. Sono il prodotto della società di oggi. Le prediche e i lunghi discorsi non valgono più, per i loro linguaggi frammentati occorrono solo i messaggi. A volte le iniziative preparate in qualche maniera riscuotono successi insperati, mentre quelle preparate per mesi non funzionano. La fascia dei giovani di un certo livello sociale è in cerca di determinati interessi e si muove verso Milano, cioè sul mondo dell’università, della scuola e del lavoro. La fascia più bassa invece ha altri interessi, gioca a pallone e perde tempo. Direi che la maggior parte è a un livello medio-basso». «Tendono ad essere molto individualisti e abituarli a un servizio non è semplice. Non c’è in loro una voglia di ricerca, di conoscenza. Ovviamente in qualcuno c’è, ma in genere c’è piattume. Uno ormai ha il computer e si diverte con quello, ha il motorino, i soldi in tasca non mancano per cui una voglia di capire, di saperne di più non c’è. Il rischio reale è quello di una rottura con la memoria storica e questo è estremamente preoccupante perché mette allo sbando quei giovani che sono molto fragili. Quando questi vanno in crisi non vanno a parlare con uno più grande di loro, ma si confidano tra di loro stessi e non avendo esperienza molto spesso non riescono a trovare le giuste soluzioni, non sanno individuare la strada da imboccare». «Il giovane risponde alle sollecitazioni del mondo adulto e vive anche lui tutti i comportamenti a rischio dell’adulto. Egli però è tendenzialmente più stupido dell’adulto avendo meno memoria. Di fatto la modernità riproduce comportamenti antichi in una struttura sociale più comunicativa e più veloce. I giovani che si spiaccicano contro i muri non sono altro che le vittime di questa sfida portata agli estremi. Tutto quello che il giovane sperimenta, tutto quello che il giovane chiede, tutto quello che il giovane vive non è nient’altro che lo specchio di ciò che il mondo degli adulti gli trasmette. E l’adulto gli trasmette anche valori di trasgressione, magari travestiti. Essendo più nuovi dentro i giovani, quando vengono raggiunti da certe esperienze forti della vita, reagiscono tirando fuori la parte migliore di sé che è quella che cerca aria pura. L’adulto invece spesso è abituato a respirare l’aria viziata». «Non è comunque così per tutti - precisa un nostro interlocutore - io ho un figlio il quale ha degli amici seri e tra di loro si aiutano come non mi è mai capitato di vedere nel passato». E a negare che le nuove generazioni siano meno impegnate di quelle del passato sono coloro che hanno la responsabilità istituzionale della loro formazione. «I giovani sono molto più in gamba di quanto lo eravamo noi ai nostri tempi. Hanno una volontà di fare molto superiore. Il giudizio che il giovane è disimpegnato e non ha i valori lo tiriamo fuori noi che ormai siamo diventati vecchi e ci grogioliamo nei nostri ricordi. I giovani si stanno adattando molto bene al cambio di mentalità, siamo noi che facciamo fatica. Noi, ad esempio, non siamo in grado di seguire i cambiamenti che sta subendo il lavoro e consideriamo disoccupato quel giovane che tenta di impiantare una sua attività legata alle nuove tecnologie. I giovani incontrano dunque difficoltà di carattere psicologico. Noi abbiamo la scuola e l’università che sono ancora molto ingessate e la famiglia che ancora non accetta i nuovi stili di vita». «Quando si dice che i giovani di oggi sono meno impegnati di ieri si fa una considerazione che ha valore più rispetto all’apparenza che alla sostanza. C’è da rilevare che i giovani di oggi hanno un impegno che non è più rivolto in una sola direzione come avveniva per noi che guardavamo prevalentemente allo studio. Quella di ieri era una realtà abbastanza semplice, mentre quella di oggi è complessa e pertanto il loro impegno è più diversificato. Sotto tanti aspetti, rispetto a quello che eravamo noi alla loro età, essi dimostrano una maggiore maturazione». L’aspetto educativo comunque «si rivela sempre più difficile». «La maggiore difficoltà che noi dobbiamo affrontare nella scuola è quella relativa alla complessità dei messaggi che oggi arrivano ai giovani. I messaggi a livello formativo, educativo che noi diamo loro sono analoghi a quelli che vengono dati dalla famiglia, ma sono in contrasto con quelli che inviano altre agenzie formative ed educative, come i mass-media. Questa è una lotta dura, è una vera e propria competizione. Alla fine però forse siamo in grado di spuntarla e io sono molto fiducioso perché vedo che i nostri ragazzi crescono in maggior parte sani e impegnati, sono veramente degli ottimi ragazzi». Non tutti però frequentano la scuola fino al diploma o alla laurea e la maggior parte risultano esposti alle insidie del pensiero «debole». Come ci ricorda una ragazza, «i giovani di oggi si portano dietro tutte le ipoteche della società del consumismo. Persino nelle esperienze d’amore c’è uno scadimento. Per me è ancora importante innamorarsi di una persona e non concepisco la pratica di cambiare ogni giorno il ragazzo. Eppure moltissime delle mie amiche si innamorano un giorno di uno e l’altro di un altro. Molto spesso si sta assieme alle persone per far passare il tempo. Molti giovani hanno ormai questa abitudine, stanno assieme a una persona per comodità o per paura della solitudine. E la solitudine nei giovani è molto diffusa, venendo a mancare un sacco di valori per forza di cose ci si sente soli. E per sfuggire alla solitudine si va in discoteca, si esce con una persona che neanche si conosce e che non interessa nemmeno conoscere un po’ a fondo, oppure ci si affida al branco obbedendo a logiche che spersonalizzano. Sento molti giovani che nei confronti della persona con cui stanno assieme dalla mattina alla sera non nutrono alcuna fiducia. Escono con essa ma non sanno nemmeno quando è nata. E’ brutto da dire questo, però è la verità. Tra di oro c’è poca solidarietà, i loro rapporti sono spesso opportunistici. In molti giovani la famiglia non ha assolutamente alcuna importanza. Nella loro mentalità la famiglia non esiste, c’è il desiderio di essere indipendenti, di fare quel che si vuole. Serve solo perché è il luogo dove si dorme e si mangia, ma il giovane non ha voglia di stare in casa, preferisce uscire, trovarsi con gli amici. Io lo noto con le ragazzine delle medie che stanno in giro la sera e i cui genitori non si preoccupano. La crisi della famiglia non è dovuta solo ai giovani, anzi incomincia proprio dalla famiglia stessa, dai genitori che non trasmettono ai figli i valori della vita». E il disimpegno educativo degli adulti è l’argomento su cui insiste un sacerdote: «Quello che mi impressiona di più è che non c’è ormai più nessuna figura che venga ritenuta importante da rispettare, ognuno si erge a giudice e non c’è nessuno che si oppone a tali pretese. E’ venuto meno il senso del rispetto altrui». «I genitori di oggi dimostrano di avere molta paura del confronto che i figli fanno tra i loro comportamenti e quelli degli altri e se gli altri ragazzi riescono ad ottenere dalla propria famiglia determinate cose anche loro si prodigano a procurarle ai propri. Qui da noi i genitori si riuniscono tutte le settimane per la catechesi e quando si confrontano scoprono che hanno gli stessi problemi esistenziali con i figli. Questi rispondono e non obbediscono e prima che facciano quello che i genitori richiedono loro, ce ne vuole. Non è che noi fossimo migliori di loro, però se la mamma diceva una cosa sapevi che se non la facevi non era cosa giusta e ne tenevi conto, oggi invece questo rispetto non c’è più. I giovani di oggi rispondono ai genitori in una maniera che di certo noi non avevamo. I genitori non hanno poi più il coraggio di dare loro una sberla perché hanno paura che i figli alzino il telefono e li denuncino e poi non sanno più da che parte voltarsi per educarli. Io non sono convinto che nei giovani ci sia una mancanza di valori. Come sempre capita, i disvalori si fanno più pubblicità dei valori. Che però oggi vivere i valori sia diventato più difficile è un dato acquisito». «Gli adulti non si prendono adeguatamente carico dei giovani e spetta proprio ai giovani cercare aria pura. Pioltello è un po’ il concentrato di tutte queste cose. Si fa una fatica tremenda a raggiungerli. Dal punto di vista educativo bisogna creare figure nuove, perché l’immagine bella che un tempo ha avuto un suo valore, quella cioè del prete e anche quelle del cortile, dell’oratorio, del pallone non reggono più. La sensazione che si ricava è che ognuno si faccia i fatti suoi. Alcuni sono disponibili e danno una mano alla Parrocchia e all’oratorio, la maggior parte però sia dei giovani che degli adulti non si lasciano coinvolgere più di tanto e questa è una delle maggiori difficoltà che incontriamo. Giocano molto le amicizie prima ancora della famiglia». Il rapporto dei giovani con la fede poi, «è un bel casino. Con loro bisogna essere franchi e dire esplicitamente che il cammino della fede è un cammino serio che prevedere anche momenti in cui si va in crisi fortemente, specie a 14 o 15 anni». «La fede non ha più alcun senso per la maggioranza dei giovani, avere fede costa troppa fatica. Figuriamoci se uno deve scervellarsi per pensare se esiste o no un dio. Per un giovane di adesso non esiste alcun tipo di valori, vive per il presente, si alza al mattino e si pone solo il problema di come tirare sera. Io lo verificavo con i miei compagni di classe, eravamo solo in due o tre ad andare a messa. I giovani vanno nella direzione degli eventi, vivono passivamente, non si curano di avere un loro protagonismo. Sono in queste condizioni soprattutto quei giovani la cui famiglia non si preoccupa di trasmettere loro dei valori. I miei genitori, invece, mi hanno sempre parlato di fede e sin da piccola mi hanno portato all’oratorio. Chi non ha avuto e non ha alle spalle una famiglia del genere vive passivamente, è privo d’interesse verso tutto». In un suo documento pastorale la Chiesa di Pioltello ribadisce la necessità di costituire un coordinamento giovanile proprio perché, pur esistendo «una buona ricchezza educativa (a volte un po’ snobistica), c’è lentezza nell’appropriarsi di una figura della fede più personale, condivisa e convinta da parte dei giovani». E poi non mancano certo le preoccupazioni per la presenza di episodi di vandalismo e di devianza. «Anche stanotte nella via dietro la chiesa hanno fatto le scritte sulle case e sporcato l’ambiente», lamenta un parroco. «Qui vale poi anche la legge del branco, perché dal branco i giovani si sentono protetti e rispetto a un tempo sono molto meno se stessi. Più volte mi sono sentito ripetere dai giovani ‘se cambiano gli altri cambio anch’io, altrimenti no’ e questo dimostra la grande influenza che la compagnia ha su di loro». «Il problema delle devianze a Pioltello è forte, esiste un mondo legato alla microcriminalità e alla droga che ha radici pesanti e segni marcati. Quello della devianza è un fenomeno che non lo si fa emergere, è conosciuto solo dagli addetti ai lavori ed è difficile da intercettare. Quando ero assessore dal Sert ho avuto il dato dei morti di immunodeficienze a Pioltello e ho avuto un shock. Io che ero contrario a collocare i distributori di siringhe, a quel punto ho mollato tutte le mie difese mentali perché capivo che qualcosa bisognava pur fare contro il comune sentire delle gente che lo rifiutava. E’ un problema molto forte e va di pari passo con il venire meno dei valori». «Qui i giovani vivono una crisi d’identità e tra loro è diffusa la tossicodipendenza. Basta guardare nel tardo pomeriggio il parchetto del Satellite che viene frequentato da gruppi di giovani per averne una testimonianza. Anche se va ricordato che si tratta di un problema che non può essere localizzato solo su Pioltello visto che ha una dimensione generale». «Io abito in un posto dove già dal primo mattino un gruppo di ragazzi si spinella», racconta un anziano. «Quando ero giovane io, andavo a lavorare e non avevo certo il tempo per spinellarmi». «Direi però che in questi ultimi dieci anni c’è stata un’evoluzione», afferma un sacerdote. «Prima, proprio qui davanti all’oratorio, era molto evidente una situazione di droga, ora invece, pur essendoci ancora questo fenomeno, a ricorrere alla droga pesante sono solo quelli di un tempo i quali continuano a farlo, mentre non ho visto altri entrare nel giro, non c’è in sostanza un turn over. Anche le bande o cose di questo tipo non si vedono più in giro come una volta, ci sono invece le compagnie di adolescenti che si spinellano e questi sono controllabili non solo dal punto di vista dell’uso della droga leggera, ma per la loro logica e dinamica». «E’ vero - conferma un curato - il modello del tossicodipendente seduto per strada stravolto che si sta facendo con la siringa infilata nel braccio non c’è più, ora però c’è il bravo impiegato che sniffa cocaina al mattino, a mezzogiorno e alla sera per essere sempre pimpante e poi c’è il giovane che va in discoteca e si prende la pasticca. Questo non fa schifo, non ti fa sentire un tossicodipendente nella forma che è nell’immaginario collettivo e che viene condannata. A Pioltello continuano ad esserci i tossicodipendenti vecchia maniera, però da qualche tempo si coglie questa evoluzione». I dati forniti dalla ricerca sulla criminalità svolta di recente, dicono che “nel 1992 i tossicodipendenti conosciuti dal Not erano 200 e che una stima faceva supporre fossero complessivamente circa 600”, un equivalente cioè pari al 6-7% della popolazione di età compresa fra i 15 e i 30 anni. E a proposito di devianze, osserva un nostro anziano interlocutore: «Si fa tanto scalpore per la droga, ma si dimentica che a Pioltello sono diffusi anche altri due fenomeni che rovinano la salute e tra l’altro impediscono che si facciano donazioni di sangue: si tratta del bere e del fumare. L’alcolismo in particolare fa dei danni che non vengono mai considerati come una devianza, eppure hanno un’incidenza enorme e preoccupante». La questione giovanile a Pioltello assume una notevole rilevanza anche perché «il nostro comune vanta un’alta percentuale di giovani tra i 14 e i 25 anni e la parrocchia di Maria Regina è quella che ha più giovani in assoluto». Ancora la ricerca svolta sulla criminalità e sicurezza ricorda che «la percentuale di giovani tra gli 11 e i 20 anni residenti a Pioltello è superiore a quella stimata in tutta la Lombardia (11,06 per cento contro il 10,56); i minori fino a 10 anni sono il 10,94 per cento. Da questi dati si capisce quanto siano fondamentali politiche giovanili riguardo a prevenzione, formazione e aggregazione: la risorsa principale di Pioltello deriva proprio da loro». In effetti, anche se nel corso di questi ultimi venti anni i rapporti percentuali tra la popolazione giovanile di Pioltello e le medie provinciali hanno fatto registrare un avvicinamento, ancora oggi un abitante su tre ha meno di 30 anni. E una così massiccia presenza di giovani esige senz’altro la messa in campo di efficaci politiche atte a soddisfare la domanda di lavoro, di cultura, di orientamento e formazione e di organizzazione del tempo libero che proviene da questo mondo. Tabella n. 34 Giovani e anziani residenti. Pioltello, Provincia di Milano - 1981-1999/2000 (valori percentuali su popolazione) ‘81 ‘91 ‘99/2000 49,6 43,0 31,6 6,8 8,9 12,6 con meno di 29 anni 41,5 37,0 28,0* con più di 65 anni 11,8 13,9 17,0* Pioltello con meno di 29 anni con più di 65 anni Prov.Milano * stime Fonti: Istat, Regione Lombardia e Comune di Pioltello «Purtroppo noi giovani siamo un po’ disastrati e bisognerebbe fare qualcosa se è vero che siamo la società del futuro. Bisognerebbe che qualcuno ci coinvolgesse in attività che favoriscono la creazione di amicizie durature per distoglierci da altri pensieri». «La generazione di quelli che oggi hanno 13 anni sembra avere le potenzialità per un impegno nuovo, le mentalità stanno cambiando e questi ragazzi sono più profondi, forse con questi diventa possibile costruire qualcosa di positivo». «A riguardo dei giovani io non parlerei di problemi ma di potenzialità. Se c’è un problema è proprio quello di come suscitare questa potenzialità. Noi stessi sacerdoti ci rendiamo spesso conto di non avere le parole adatte, il linguaggio giusto per fare questa operazione». «Gestire i giovani significa anzitutto conoscere la loro realtà, capire quali sono i loro problemi da adolescenti, quelli che devono affrontare tutti i giorni. L’adolescenza è una dei periodi più complessi nella vita di una persona e se si conoscono si affrontano meglio. Conoscendo i loro bisogni a livello scolastico e affettivo, i problemi che pongono possono essere affrontati nella maniera giusta». «Sono due le strade che si devono battere: una è quella dell’appartenenza che può essere risolta con il circolo giovanile, l’altra invece è quella che richiede un discorso molto personalizzato. Non bisogna consentire che nei giovani si arresti la ricerca e la volontà di arrivare da qualche parte». «Il problema principale relativo ai giovani che esiste a Pioltello è quello del disagio che deriva da tutti questi anni di morte sociale». Della necessità di un intervento appropriato ed efficace verso le nuove generazioni sembra avere consapevolezza anche chi ha la responsabilità di governare la città. «Con la ricollocazione di un supermercato che è situato sul territorio comunale e con il suo spostamento in altro luogo, l’attuale edificio viene ceduto al Comune. Sono già stati fatti dei progetti circa il suo utilizzo e tra le varie ipotesi c’è quella della realizzazione di un centro giovanile. Si tratta di circa 4 mila metri quadrati e l’area verrà dotata di servizi di interesse provinciale». Si tratta di un progetto che sicuramente è destinato a incontrare il favore dei giovani, ma se si vuole che esso corrisponda pienamente alle loro aspettative è necessario che si pensi a una gestione aperta al loro stesso contributo. Avverte una giovane: «Io so cosa non farei. Pensare ai giovani non significa affatto limitarsi a fornire loro un contenitore dentro il quale ritrovarsi, perché si rischia poi di ritrovarsi dentro a un contenitore vuoto. Bisogna invece rendere chiaro ai giovani che non gli si chiede un’opinione quando poi qualcuno ha già scelto cosa fare per loro. Occorre dar loro spazio di decisione. Verso le istituzioni da parte dei giovani oggi c’è una diffidenza a priori ed è proprio questa che deve essere abbattuta». In questi ultimi anni l’Amministrazione comunale si è pure aperta alle istanze giovanili e almeno in due circostanze ha tentato di sperimentare un rapporto nuovo con questo mondo variegato e complesso. Queste esperienze però hanno prodotto nei giovani che ne sono stati coinvolti anche insoddisfazione e delusione. «Nel programma elettorale dello schieramento di centro-sinistra si è dichiarato molto interesse verso i giovani, specie verso i minori. Il progetto ‘città dei ragazzi’ però è rimasto un po’ in sordina», afferma una componente della stessa coalizione di governo. Di questo progetto è stata animatrice, tra gli altri, una giovane studente universitaria la quale così giudica l’esperienza da lei vissuta. «Proprio il progetto ‘città dei ragazzi’ avrebbe potuto e potrebbe essere uno strumento di coinvolgimento dei giovani, oltre che degli anziani e dei cittadini in generale, recuperando così il loro interesse all’impegno sociale. Con esso l’Amministrazione comunale si proponeva di costruire una città a misura di bambino coinvolgendo i ragazzi delle scuole elementari e medie in proposte di riqualificazione di alcune aree cittadine. In teoria, noi dovevamo essere quelli che seguivano in un determinato percorso i ragazzi all’interno delle classi. Si doveva seguirli fino alla formulazione di una proposta di sistemazione di un’area verde. Si può immaginare che sia stato inizialmente costituito un gruppo di persone che erano interessate a questo argomento e che poi insieme hanno cercato di portarlo avanti. Di fatto non è stato così, perché il gruppo è stato messo assieme in modo abbastanza improvvisato, non c’erano cioè le condizioni perché diventasse lo strumento in grado di sopportare tutta l’esperienza in modo organico dal principio alla fine. Non è un caso che poi ci si è dispersi. Il primo anno abbiamo lavorato con due scuole elementari e una scuola media; il secondo anno con una scuola media e una elementare per un totale di cinque classi e il lavoro che abbiamo fatto lo scorso anno si è strutturato meglio in rapporto con la didattica e con gli insegnanti rispetto all’anno precedente. La ragione ufficiale per cui ci siamo fermati è che si è voluto evitare di continuare a far fare progetti ai ragazzi che poi non si concretizzavano. L’idea era quella di concentrarsi sui progetti proposti dai ragazzi nel ‘98 e nel ‘99. Io ho condiviso questa decisione anche perché è utile capire bene dove si vuole andare. Il problema sorge quando l’esperienza con la scuola si conclude. Dopo essere passato un anno da quando hanno fatto le loro proposte i bambini si sono chiesti: ma perché il nostro quartiere scolastico è rimasto tale e quale a prima? Non c’è stato un momento comune di confronto tra l’Amministrazione, la scuola e il gruppo di studenti di architettura che era stato coinvolto. Se ci fossimo messi in contatto con altre esperienze strutturate di questo genere probabilmente le cose sarebbero andate diversamente. A Pioltello di recente si è fatto il Piano regolatore, però questa esperienza non ha trovato occasione di integrazione, è rimasta su un piano ufficioso quando invece avrebbe potuto e dovuto interagire. Infatti, il progetto ‘città dei ragazzi’ non ha senso se è fine a se stesso, ma ce l’ha solo se rientra in un quadro strategico e cioè nell’approccio che l’Amministrazione comunale ha nei confronti del territorio». La seconda esperienza è quella relativa ai rapporti stabiliti con i giovani del centro «Antiorario». Ecco il racconto di uno dei protagonisti. «Il Centro Antiorario è nato nel ‘93-’94 e noi che allora eravamo un gruppo di giovani molto impegnati, siamo entrati mentre i fondatori lo hanno abbandonato. Loro pensavano a un centro sociale vero e proprio, estremista, noi invece volevamo una cosa per Pioltello. A quel punto siamo andati a patti con la Lega Nord dal momento che questa ci ha concesso quello che avevamo chiesto. Ci avevano riconosciuto uno spazio per riunirci una volta la settimana e duecentomila lire per la Siae, cose che non fanno mai male. Piano piano siamo arrivati a fare feste in paese, a promuovere concerti, abbiamo fatto teatro e animazione di strada. Poi la Lega se n’è andata con mille promesse non mantenute e noi ci siamo sentiti fregati. Quando incominciava la campagna elettorale abbiamo invitato tutti i movimenti politici e abbiamo fatto dei dibattiti sul problema dei giovani facendoci dire cosa ci avrebbero dato. A quel tempo avevamo uno zoccolo duro di trenta persone ed eravamo molto attivi. Il Centro sociale ha accolto anche persone giovani e meno giovani con grossi problemi, persone che avevano un disagio psicologico molto forte. Nel gruppo c’erano molti operatori sociali, animatori, educatori, c’era chi studiava sociologia, chi psicologia e questi hanno creato una cultura sul ‘terzo settore’ molto forte. Abbiamo prodotto un corso di teatro che è durato due anni, abbiamo allestito mostre di fotografia, organizzato rassegne teatrali. All’auditorium abbiamo organizzato un corso di animazione di strada e impegnavamo quel locale almeno per tre o quattro giorni la settimana, al punto che avevamo cominciato a considerarlo come uno spazio tutto nostro, con un senso di appartenenza molto forte. A quel tempo le cose giravano, qualche soldo l’avevamo, siamo diventati anche associazione. Abbiamo partecipato alle feste cittadine con un grosso impatto, poi abbiamo addirittura lavorato con gli oratori. A Pioltello funzionano bene gli oratori e noi, per la prima volta nella storia, in occasione del carnevale siamo riusciti a riunirli tutti insieme, cosa di per sé incredibile, e a farli lavorare con l’Amministrazione comunale. Tutti erano allibiti e il fulcro della situazione eravamo noi. Ecco quale era la risorsa del centro sociale! Questo progetto di impegni intensi è durato un anno, però dopo quattro anni di attività si è fatta avanti la stanchezza. Da trenta persone che eravamo inizialmente siamo scesi a venti, poi a dieci, poi a cinque e poi sono sorti i vari problemi interni tra persone e tra gruppi, quei conflitti che sono cose normali. Come centro sociale abbiamo avuto una sorta di disagio interiore ed è così sopravvenuto il declino. A quel punto la sede ha dovuto essere ristrutturata perché c’era l’amianto e nonostante noi avessimo fatto di tutto per rientrarne in possesso, alla fine lo spazio non ci è più stato riconosciuto. Noi lavoravamo bene con il Comune, con i dipendenti, visto che li conoscevo tutti, mentre non era così positivo il rapporto con gli assessori. Nostro intendimento era quello di creare un centro socio-culturale su altri livelli e fare progetti di musica da strada, teatro di strada, ecc., dal momento che ormai eravamo in grado di gestire molte attività. Ci siamo proposti anche per la festa cittadina. L’Amministrazione comunale ci ha detto che avrebbe valutato la cosa, ma sono passati quattro mesi senza che più nessuno si facesse vivo. A quel punto è crollato tutto e ognuno è andato per la sua strada. Per quanto riguarda il Comune è stata una generale delusione: fai una campagna elettorale sull’autopromozione del cittadino e poi tratti l’unica risorsa giovanile attiva che hai sul territorio in questo modo. Noi avevamo proposto di creare un osservatorio giovanile, loro invece hanno contrapposto la costituzione di una consulta, però poi in pratica non hanno fatto più nulla». 30. Potenzialità e difficoltà del ‘terzo settore’ Una delle particolarità di Pioltello è senz’altro costituita da una diffusa presenza sul territorio di forme di associazionismo e di volontariato le quali rappresentano un’importante risorsa che la società civile assicura ai fini del progresso e di una qualità della vita sempre migliore. «L’anno scorso sono state censite le associazioni e noi siamo rimasti molto sorpresi dal numero delle presenze: a Piolello ne esistono una cinquantina», racconta un’esponente di questo mondo. E osserva al riguardo un leader politico locale: «Pur avendo una dinamica non brillantissima dal punto di vista della partecipazione, Pioltello ha però una capacità associativa notevole e sono molte le società sportive e di altro tipo presenti sul territorio, anche se questo universo resta relegato a un livello di basso profilo». «Le associazioni sportive e ricreative sono circa una quarantina, dunque sono tantissime, e sono raccolte in una consulta sportiva che si riunisce periodicamente, a volte mensilmente a volte a scadenze più lunghe, per discutere e valutare le problematiche relative allo sport, all’associazionismo sportivo e cultural-sportivo, come, ad esempio, le associazioni di ballo che non sono un vero e proprio sport. La consulta è nata circa trent’anni fa e a quel tempo era un’associazione non riconosciuta voluta da alcune società sportive che ritennero di unirsi per concretizzare assieme agli amministratori pubblici le politiche dello sport, dalla costruzione degli impianti alla promozione delle manifestazioni. Ora la consulta serve a prendere decisioni non di politica dello sport, ma di ordine tecnico-gestionale. Alla consulta ogni società sportiva deve presentare i propri bilanci e deve essere in regola con i pagamenti delle strutture perché se non lo sono perde il diritto ad accedervi». Il fatto che esista una consulta dello sport si giustifica ovviamente con la diffusa presenza sul territorio di associazioni sportive, ma soprattutto perché «verso lo sport esistono molte sensibilità e un grande interesse nel senso comune della gente». «A Pioltello ci sono un paio di sport forti e sono il calcio e la pallavolo. Ad eccellere è comunque la pallavolo. C’è stato un tempo in cui chi veniva a giocare a Pioltello se ne andava via bastonato. Ci siamo trovati ad avere due squadre di pallavolo in serie “C” e avremmo potuto puntare a fare una squadra che ambisse alla serie “B”, ma questo non è stato possibile proprio a causa dell’esistenza di campanilismi. Anche nella pallavolo, come nel calcio, per essere competitivi bisogna cercare atleti esterni alla realtà di Pioltello e questo evidentemente non è compatibile con uno spirito municipalistico che a volte si è rivelato esasperato. Nonostante questo però lo sport a Pioltello è andato avanti. Il numero dei partecipanti alle attività totali si può valutare intorno alle 3.500/4.000 unità e questo ci dice che un buon 15% della popolazione fa attività sportiva. Tra questi ci sono anche gli scolari e gli studenti. Esclusi i ragazzi delle scuole, a fare tennis e altri sport ricreativi o agonistici sono più del 20%, forse 1 su 4 dei cittadini di Pioltello, e questo significa che anche da noi la qualità della vita sta migliorando. A fare sport sono di più i giovani, anche se gli anziani fanno ginnastica oppure giocano alle bocce. Il livello è soddisfacente e la domanda e l’offerta si compensano, potrebbero esserci dei problemi se la domanda dovesse eventualmente alzarsi oltre il 5%. Nelle scuole elementari l’anno scorso siamo riusciti come consulta a inserire gli insegnanti di educazione fisica che fanno parte delle varie associazioni e riteniamo che si tratti di una cosa importante. A farsi carico degli oneri che questa operazione di inserimento comporta, che tra l’altro è di non poco rilievo, è intervenuto il Comune. La realtà che opera nel mondo dello sport di Pioltello è fatta di gente non professionista in tutti i campi e di sponsorizzazione c’è solo qualcosina. Quando abbiamo investito le aziende locali ci siamo trovati di fronte ad alcune risposte positive e ad altre negative. Comunque le società sportive di Pioltello godono di buona salute, riescono a trovare i soldi necessari per gestirsi. Questo non significa che tutte abbiamo i bilanci in attivo. Poiché i bilanci devono essere portati tutti in Comune, i soci delle organizzazioni che alla fine dell’anno sono in deficit concorrono di persona a pareggiarli. Noi abbiamo un centro di medicina dello sport che è stato creato dalla consulta con delle grosse battaglie sostenute quindici-venti anni fa. Il centro di fisiologia dello sport serve per fare le prove agli atleti sotto sforzo. Hanno tentato di portarcelo via, con l’intendimento di trasferirlo in qualche altro comune, di farcelo chiudere e in ogni caso non ce l’hanno fatta. Dobbiamo comunque difenderlo con i denti». «Pioltello ha avuto anche la possibilità di avere una università dello sport negli anni ‘80, ma purtroppo la cosa si è trascinata fino agli anni ‘90 senza che venisse sfruttata», tiene a ricordare un amministratore comunale del passato. «I problemi delle società sportive sono quelli relativi al costo dei trasporti. Poi oggi le leggi sullo sport sono molto rigide e le società devono avere la partita Iva. I quattrini che escono per gli allenatori devono essere dichiarati e questo comporta la denuncia dei redditi. Ci sono adempimenti quasi simili a quelli di una normale azienda e in molti casi rappresentano dei problemini per chi le dirige. La consulta ha anche un compito di assistenza delle società nell’adempimento di questi obblighi. Per quanto riguarda le palestre l’impiantistica di Pioltello è ottimale, anzi è uno dei paesi del circondario dove si sta meglio. Non manca certo la necessità di rivedere qualcosa, perché i problemi di impiantistica portano con se altri problemi come il riscaldamento, l’acqua calda, e altri ancora. Per quanto riguarda invece i campi all’aperto, dalla piscina ai campi di calcio, di tennis, la domanda è in crescita. Nonostante i passi che sono stati fatti da questa Amministrazione comunale per il campo di Seggiano e per altri campi di quartiere, quello che c’è non basta perché esiste una richiesta superiore. Manca un bocciodromo coperto per l’inverno, c’è solo quello in via Leoncavallo per l’estate e anche per questo c’è una certa domanda. Oltre al bocciodromo sono anche richiesti i campi da tennis perché quelli esistenti sono un po’ carenti». Commenta una giovane pioltellese: «Qui da noi c’è il campo di atletica, c’è la piscina che mi hanno detto che è molto bella, ci sono poi un paio di palestre. Non ci sono grandi cose, però se uno vuole muoversi e fare sport ha di certo delle possibilità per farlo. Sarebbe comunque bello promuovere delle iniziative che servano a incentivare sia lo sport che l’interesse culturale. Se si organizzasse una marcia, un giro collettivo per Pioltello potrebbe significare favorire l’avvicinamento allo sport di molti giovani e non solo di questi». Ma Pioltello non è ricca solo di associazioni sportive. «Qui c’è anche una forte presenza di due associazioni riconosciute a livello nazionale: la Caritas a livello cattolico e la Lega ambiente a livello dell’area laica, di sinistra e progressista». «La Caritas cittadina è il frutto della collaborazione delle quattro Caritas che esistono nelle parrocchie dove ci sono dei centri di distribuzione di alimenti e vestiti. A Limito offrono anche la possibilità alle persone di far fare la doccia. Esse operano negli stessi ambiti: ammalati, extracomunitari, anziani. Esiste ed opera poi una struttura cittadina per la cura particolare delle emergenze inerenti alla realtà delle persone extracomunitarie che giungono a Pioltello: il Cacis, Centro accoglienza stranieri. Oltre a questo c’è la presenza del gruppo ‘Dai una mano alla pace’ che pure svolge alcune attività caritative». «Come Caritas stiamo cercando di aiutare questa gente. Da noi vengono soprattutto quelli che non hanno il permesso di soggiorno e sono in tanti, in un anno girano più di cento persone. Noi ovviamente diciamo subito loro che se non hanno il permesso di soggiorno devono tornare al loro Paese. Quando invece riusciamo a trovare un lavoro gli facciamo fare la richiesta, ma questi poveracci devono fare una trafila di infinite pratiche burocratiche. Diamo loro un tesserino che serve, a seconda dei vari bisogni che vengono valutati attraverso i colloqui, per ritirare vestiti o cibo oppure per interventi per i bambini e che dura tre mesi. Cerchiamo di seguire le donne mandandole a fare le varie cure di cui hanno bisogno, anche se non sempre questo risulta facile a causa della loro cultura. Abbiamo aperto anche uno sportello per gli italiani, in particolare per gli ex carcerati per piccoli reati che hanno bisogno di essere seguiti in modo da essere reinseriti nella società e seguiamo pure le loro famiglie». «Considerato che in questo territorio i problemi sono immensi, a un certo punto la Lega ambiente ha deciso di occuparsi, oltreché di politica ambientale, anche di politica sociale. Organizziamo iniziative nelle scuole, sul territorio e operiamo nelle situazioni sociali più complesse e disagiate com’è il caso del Satellite. Le nostre iniziative verso i bambini, ad esempio, sono state molto apprezzate e hanno registrato una forte partecipazione. Noi li facciamo giocare sulla strada chiusa al traffico, facciamo costruire loro delle cose con il cartone e con la plastica. L’obiettivo è quello di allontanare i bambini dalle automobili e di far loro usare la strada come terreno di gioco. E la risposta del territorio a queste iniziative è molto positiva, si nota che sono assetati di festa, di giochi, di momenti di socializzazione». Ma oltre a queste due associazioni di diramazione nazionale ne esistono altre che seppure abbiano carattere locale assolvono a compiti di grande rilevanza. «Alla Croce Verde fanno capo circa 150 persone. Da tantissimi anni abbiamo una convenzione con il Ministero della difesa che ci assegna degli obiettori di coscienza. Per conto della presidenza del Consiglio dei ministri facciamo poi i sostituti del Ministero della difesa. La nostra esperienza di volontariato non nasce nella Pioltello storica, ma al Satellite, presso la chiesa nuova, attorno a Don Ercole che è un prete con la nostra mentalità, un tipo un po’ strano, fatto a modo suo, ma capace ed è l’unico prete che qui fa il parroco da trent’anni. E’ stata fondata quando al Satellite erano arrivate molte persone da Milano che più o meno stavano bene e che avevano fatto esperienze particolari. C’era chi aveva fatto lo scout, chi altro e ad un tratto ci siamo ritrovati. Da noi la tradizione degli scout non esisteva. E’ successo così che alcuni padri di questi ragazzini avevano fatto l’esperienza nella Croce Verde. Qui del resto mancava una struttura di protezione civile e se qualcuno si fosse fatto male l’ambulanza avrebbe dovuto arrivare da Cernusco. A quel punto è emersa una figura in gamba, un martinit, tal Rognoni che lavorava in banca, e lui e don Ercole hanno deciso di mettere in piedi qui a Pioltello la Croce Verde. Questo non è avvenuto nel contesto del paese, ma all’oratorio del Satellite per iniziativa di persone provenienti un po’ da tutte le parti, cioè milanesi, veneti, piemontesi, meridionali. Questo succedeva 25 anni fa e l’esperienza che prendeva corpo era sganciata sia da qualsiasi formazione politica, pur essendo quelli i tempi in cui ogni formazione aveva un suo referente, sia dal mondo economico. Tant’è che questa sede è di nostra proprietà. L’iniziativa venne pianificata sin da allora con una mentalità tale in modo che avesse a dare i risultati che noi oggi verifichiamo. Il volontariato come il nostro è una protezione civile specializzata e quello che noi facciamo è ciò che formalmente fa lo Stato quando una persona chiama il 118. Se noi siamo disponibili, quando il 118 chiama interveniamo. Ora stiamo recuperando l’handicappato, l’anziano al quale garantire una prestazione qualitativa che altri non danno. Noi manteniamo nel nostro piccolo, e ci ripromettiamo di mantenerla in futuro, una scuola di qualità della vita, proprio perché a Pioltello una qualità della vita non esiste. Assicuriamo il servizio di pronto soccorso e ospitiamo la guardia medica che fa capo all’Asl. Agli obiettori di coscienza e a una struttura che stiamo recuperando vogliamo far fare dei servizi elementari che però sono importantissimi. Poi siamo nel meccanismo della protezione civile come appoggio sanitario, questo però è un settore in piena revisione e ristrutturazione. L’aspetto negativo è che non c’è mai la verifica dei servizi che garantiamo, ci autocertifichiamo noi stessi. Quando ci sono le varie campagne contro l’Aids le varie organizzazioni promotrici si appoggiano a noi. Facciamo poi anche un servizio di consegna di medicinali per chi non è in grado di muoversi, anche se non sono molti quelli che ne usufruiscono perché, nonostante tutto, si registra ancora un senso di solidarietà tra vicini di casa. Il fronte su cui noi vorremmo fare di più è quello culturale però ci vuole gente. Negli ultimi due anni le cose sono cambiate in maniera così veloce che fare una previsione per il futuro della Croce Verde diventa difficile. C’è oltretutto il problema del 118 che ci pone nelle condizioni di interrogarci se è giusto che noi facciamo ciò che dovrebbe fare lo Stato. Stiamo attendendo delle chiarificazioni che invece continuano ad essere rinviate nel tempo. Può essere che un giorno il servizio del 118 non lo faremo più e che ritorneremo a fare i nostri servizi minuti, come i corsi di pronto soccorso che a molti sono serviti per orientarsi nella loro professione: chi a fare l’infermiere professionale, chi a diventare addirittura medico. A Pioltello esistono altre associazioni di volontariato e noi siamo un po’ il riferimento per tutte quelle che operano nel campo socio-sanitario. C’è un volontariato classico formato dalla S. Vincenzo, dalla Caritas e quando hanno bisogno di trasportare le persone noi siamo loro referenti dal momento che abbiamo i mezzi. Facciamo qualità della vita, cosa questa che però ci viene poco riconosciuta. Vorremmo contare di più, non per interesse personale, ma per il servizio che svolgiamo». E poi ci sono le sezioni dell’Avis e dell’Aido. «Nel ‘77 mi sono ammalato di un male un po’ brutto e se sono sopravvissuto lo devo alle donazioni di sangue le quali non solo mi hanno fatto riacquistare la salute, ma mi hanno anche cambiato il cervello. Quando sono rientrato dall’ospedale mi sono infatti dato da fare per aprire una sezione dell’Avis a Pioltello. L’Aido è nata in seguito come costola dell’Avis. Gli iscritti all’Avis sono 120, gli attivi sono 75. Quest’anno abbiamo già fatto un’ottantina di donazioni. L’Aido è da tempo in una situazione di difficoltà, anche perché di fatto a questa associazione non ritorna niente in termini di gratificazione». E a Pioltello non mancano neppure esperienze di volontariato che hanno una dimensione meno organizzata e dal carattere più personale. «Un giorno, dopo che ero andato in pensione, ho saputo che cercavano dei volontari per far funzionare i centri sociali e io mi sono reso disponibile. Ho preso così in mano la situazione che nei primi tempi era abbastanza dura perché la gente non intendeva capire cosa fosse e significasse un centro sociale. Col tempo però questa esperienza è maturata e cresciuta. Oggi sono contento di quello che ho fatto, sono sempre stato presente ogni giorno qui al centro sociale degli anziani e mi fa piacere pensare che questa città cresca bene e continui a crescere. Desidero che tutti ricordino che gli anziani hanno fatto qualcosa non solo per il presente, ma anche per quelli che dovranno venire». «Io ho fatto il volontario nella Croce Bianca che fa servizio di trasporto degli ammalati a Lourdes e sono orgoglioso di questa mia prestazione». Ma la solidarietà dei pioltellesi non conosce confini e varca addirittura le frontiere. «Attorno al progetto Cernobyl, che è stato promosso da un gruppo di famiglie della parrocchia di Seggiano, ogni anno ci sono nuove disponibilità a ospitare i bambini, e questo si registra anche al Satellite. Anzi, ora c’è l’interesse anche di famiglie dei paesi vicini. Siamo al sesto anno e questa esperienza dimostra un alto grado di sensibilità sociale che fa ben sperare. E’ un esempio di quanta voglia di socializzare ci sia. Alcuni si sono resi disponibili perfino ad imparare il russo per favorire i rapporti con i bambini ospitati». «Ora qui a Pioltello sta per essere realizzata anche la banca del tempo». Ad essere impegnate sul fronte della solidarietà ci sono pure entità imprenditoriali del mondo della cooperazione. «La nostra cooperativa ha rapporti solidaristici con Cuba da quando è caduto il ‘muro di Berlino’ e tutti gli aiuti internazionali che partono dall’Italia verso l’isola caraibica passano da noi dal momento che li spediamo gratuitamente. E’ questo un lavoro che facciamo in modo volontario. Ogni mese abbiamo 4 o 5 conteiner da spedire. Noi siamo stati e siamo internazionalisti. Durante la stagione del Vietnam eravamo l’anello finale di tutti gli aiuti diretti a quel Paese, ma l’abbiamo fatto anche con il Mozambico e con l’Angola. In Vietnam c’è un reparto di un ospedale che porta il nome della nostra cooperativa proprio come riconoscimento degli aiuti che abbiamo fornito loro». Pioltello vanta dunque un «terzo settore» notevolmente dinamico e di qualità. Solo che anche questo mondo oggi incontra delle difficoltà. «Ci troviamo di fronte a un problema che è comune a tutte le associazioni come le nostre e che è la grossa crisi del volontariato. Non si trova più gente disponibile. La difficoltà di reclutamento la si riscontra più che nei giovani nella media età. Noi stiamo recuperando gente che è venuta in Croce Verde tanto tempo fa e per diversi anni e che adesso, essendo andata in pensione, si rende disponibile. Queste persone non più giovani da noi si rivitalizzano, però questo aspetto positivo non può consentire di trascurare le difficoltà che incontriamo nel rapporto con le generazioni più giovani». «Il numero delle associazioni del volontariato presenti è ormai consolidato, ma non vedo una nuova fioritura, anzi, credo che anche questo settore risenta di un venire meno della partecipazione e questo vale sia per la Croce Verde, sia per la Caritas che per tutto il resto. Quello che invece mi pare stia venendo avanti è un insieme di forme spontanee di impegno solidale. La ‘Missione Arcobaleno’, ad esempio, registra un sacco di adesioni e di disponibilità forse proprio per la specificità dei suoi obiettivi e non certo perché esista un retroterra di pensiero culturale che va nella direzione del volontariato tradizionale. Mi sembra più un’adesione immediata e contingente, non destinata a durare nel tempo». Chi sembra soffrirne di più solo le associazioni delle donazioni. «Oggi il volontariato è in crisi perché stanno cambiando i valori. Tutti ormai sono interessati a discutere su ciò che c’è da prendere, sul donare invece non c’è interesse. La Caritas a Pioltello continua a essere attiva anche perché quanto riceve lo distribuisce e la gente ha un interesse. Noi invece non abbiamo nulla da distribuire, per fare il donatore ci vuole soprattutto l’animo. La generosità purtroppo è un bene che oggi è in calo. Credevo che l’Avis avesse un riconoscimento sempre più crescente nell’opinione pubblica, invece devo constatare che questa società sta sempre più degradando. Non c’è più lo spirito che ci ha animati quando abbiamo aperto la sezione, non c’è più la dovuta sensibilità non solo tra i giovani, ma tra gli anziani, tra gli stessi consiglieri. C’è un disimpegno ed è venuto meno lo spirito di solidarietà. Se non ci fossi io la sezione chiuderebbe. La realtà è che manca il sangue e l’anno prossimo rischiamo di rimanere senza. Eppure dare il sangue è un bene anche per chi lo dona e i nostri donatori sono sottoposti a tre controlli medici l’anno. Se non si trovano incentivi, se non si è capaci di convincere le persone che donare è un bene perché significa anche fare prevenzione, andremo sicuramente verso l’esaurimento dell’Avis». «Noi qui abbiamo anche il circolo degli anziani e io faccio fatica a tenerlo aperto, ormai ce l’ho tutto sul gobbo. Ieri ho dovuto fare anche un po’ di servizio. E’ dura, e non solo per me, ma anche per le altre associazioni che vedo faticano a tenere aperti i battenti. Ormai nel volontariato moderno un posto per gente come me non c’è più. Ho ormai 80 anni e mi pare di capire questo mondo non faccia più per me». E’ il caso dunque di riflettere a fondo sulle difficoltà che incontra il volontariato e di compiere uno sforzo per individuare i possibili interventi al fine di favorirne un rilancio nelle forme e modalità corrispondenti ai nuovi stili di vita. Tutti i nostri interlocutori convengono sull’importanza che a questo riguardo può comportare un ruolo attivo dell’ente locale e pertanto avanzano suggerimenti e proposte, non tralasciando di esprimere giudizi critici e riserve sulle esperienze passate e recenti. «Anche per il volontariato il Comune fa poco o niente, non premia ad esempio chi fa volontariato, mentre invece dovrebbe farlo». «A differenza di tante altre associazioni del volontariato, noi non abbiamo mai ricevuto un contributo dal Comune, anche perché non l’abbiamo mai chiesto. Non abbiamo mai voluto ricevere contributi essendo interessati a mantenere la nostra autonomia. Ad aiutarci dovrebbero essere le strutture della sanità, l’Asl in primo luogo. Il Comune invece dovrebbe rendersi conto che la nostra è una funzione di civiltà e quindi gratificarci moralmente. O magari sostenerci con dei servizi. Nei comuni dove l’Avis funziona esiste un pulmino che porta i donatori all’ospedale, qui invece non è così. Se avessi un aiuto del genere potrei senz’altro incentivare le donazioni. Basterebbe avere assicurato questo servizio anche una volta la settimana. Invece ci devo andare io e non solo per le donazioni, ma anche per il ritiro degli esami». E una sollecitazione all’ente pubblico perché presti maggiore attenzione ai bisogni di questo mondo arriva anche dalle altre forme dell’associazionismo. «All’inizio, quando è stata fondata la consulta dello sport, abbiamo fatto una riunione di tutte le associazioni. L’iniziativa è nata come un progetto che doveva essere una cosa molto produttiva, il ‘progetto Camelia’, poi in realtà tutto è naufragato. Ci si è visti quella volta ma poi non siamo più stati riuniti. In quella sede non è scattata una scintilla di collegamento tra le varie associazioni per cui alla fine ognuno è andato per conto proprio e non ci si è più collegati. Abbiamo difficoltà a metterci in contatto tra di noi. Se ci fosse una consulta specifica della cultura le cose cambierebbero, anche se l’individuare le associazioni che fanno attività di questo tipo non è cosa facile. Dovremmo poter contare su uno stimolo da parte del Comune». «Il passo che come comunità cristiane intendiamo fare nei confronti del pubblico è quello di richiedere l’istituzione di un osservatorio politico che sia in grado di quantificare e segnalare i bisogni emergenti». 31. Il nodo della rappresentanza sindacale Un altro soggetto che incontra difficoltà nell’adempiere alla sua storica funzione e che risente della crisi di rappresentatività che investe l’insieme dei soggetti collettivi è il sindacato dei lavoratori. «Con la globalizzazione le cose sono molto cambiate anche per il sindacato e non sempre esso si dimostra preparato ad affrontarle», dicono i componenti di una Rsu. «Una volta nelle fabbriche era possibile anche per il lavoratore medio attivarsi a fronte di ciò che veniva contrattato con l’azienda, oggi invece si chiudono intere aziende anche con 2-3 mila dipendenti e non si verificano reazioni, questo proprio perché viviamo in un sistema globalizzato che consente di trasferire le produzioni da un capo all’altro del mondo senza più nessun ostacolo e controllo». Qualcuno ricorda come nel passato il polo chimico sia stato luogo di conflitti sindacali e come la capacità di mobilitazione dei lavoratori fosse elevata. «La nostra è un’azienda che ha una presenza antica sul territorio e che è stata teatro di gloriose lotte operaie. Negli anni ‘60 sono stati respinti i tentativi della direzione aziendale di decapitare il sindacato, poi, negli anni ’80 in seguito agli scontri sull’ambiente, ci sono stati diversi licenziamenti tra cui 8 membri del consiglio di fabbrica». «In passato da noi i rapporti sindacali sono stati difficili, c’è stato un periodo in cui l’azienda aveva assunto atteggiamenti arroganti con le organizzazioni dei lavoratori. E non solo con queste, perché spesso faceva quel che voleva e non era disposta a renderne conto nemmeno alle autorità. E’ successo persino che non ha permesso allo stesso sindaco di entrare in fabbrica e questo atteggiamento è durato fino ai primi anni ‘90». Da allora, però, «ci sono stati dei radicali cambiamenti», fanno osservare alcuni delegati di fabbrica. «Ormai nemmeno quando c’è il rinnovo del contratto collettivo di lavoro facciamo sciopero e l’ultimo contratto fa schifo proprio perché non si è fatta una sola ora di sciopero». «Nonostante tutto i rapporti con la direzione sono consolidati, qui il sindacato è sempre stato forte e continua a esserlo». «Il tasso di sindacalizzazione è molto alto, raggiungiamo addirittura il 70% e probabilmente siamo una delle fabbriche più sindacalizzate dell’hinterland milanese e forse della Lombardia. In linea di massima, qui non si muove nulla se il sindacato non è d’accordo e questo è appunto indice di una forte capacità di contrattazione». «Qui da noi la metà dei lavoratori sono iscritti al sindacato mentre gli altri, anche se non sono iscritti, seguono abbastanza le nostre indicazioni. I rapporti con la direzione sono buoni, salvo il fatto che l’azienda sta attraversando un periodo di crisi». «Soltanto il 30% della nostra popolazione aziendale è sindacalizzato - osserva il dirigente di un’azienda multinazionale - comunque è pur sempre un tasso al di sopra della media di Assolombarda che si attesta sul 24%. E’ da rilevare che mentre ieri il sindacato rappresentava tutti i dipendenti o quasi, oggi non rappresenta nemmeno la maggioranza e la cosa che meraviglia ancor di più è che non rappresenta aree crescenti di rapporti di lavoro che sono insofferenti a un certo modo di intermediazione degli interessi». Se infatti nelle vecchie roccaforti operaie il sindacato vanta una soddisfacente capacità di rappresentanza, nelle aziende di nuovo insediamento, in specie quelle del settore terziario, incontra notevoli difficoltà a insediarsi e ad affermarsi come soggetto della contrattazione. Racconta il delegato sindacale di un’azienda della grande distribuzione: «Gli iscritti al sindacato da noi sono circa un centinaio che aderiscono alla Cisl, una ventina alla Uil e una settantina alla Cgil. Qui ci sono 400 impiegati, 200 intermedi e 300 e rotti operai ed equiparati. Le prime due categorie che sommano a 600 persone non si sentono affatto rappresentate dal sindacato, sia perché questo non ha mai preso in considerazione le loro istanze, sia perché l’azienda appena vede che uno di loro si avvicina al sindacato lo discrimina. C’è poi da dire che qui accanto al sindacato di categoria dovrebbero esserci le nuove strutture rappresentative dei lavoratori atipici perché qui ce ne sono parecchi, ma queste organizzazioni evidentemente non sono presenti». A proposito della capacità da parte del sindacato di rappresentare gli interessi dei lavoratori, un esponente del mondo della formazione professionale commenta: «Con le dirigenze sindacali abbiamo buoni rapporti a livello di zona, però ci siamo resi conto che nella piccola azienda il sindacato non controlla più nulla. Gli è sfuggita di mano parecchia roba in questi anni». «Io lavoro in un’azienda dove la crisi di rappresentatività del sindacato è lì per esplodere da un momento all’altro e sono abbastanza scettico sulla sua capacità di evitarla e di farsi ascoltare», afferma un iscritto che è pure impegnato sul fronte politico. In effetti, due categorie di soggetti in particolare le giovani generazioni e i lavoratori cosiddetti atipici , nei confronti del sindacato manifestano un’evidente indifferenza, quando non addirittura un chiaro senso di sfiducia. «Da noi c’è il turn over e i giovani entrano in fabbrica. Mentre però un tempo entravano giovani con bassi livelli di istruzione, oggi entrano laureati e diplomati i quali si pongono l’obiettivo di fare carriera e questo li mette in competizione tra di loro non favorendo certo la loro adesione al sindacato. Da parte loro non c’è interesse verso l’impegno sindacale e nessuno sgomita per iscriversi». Racconta una giovane donna: «A riguardo del sindacato mi sento spesso chiedere dai miei amici se è proprio vero che esso aiuta e se in definitiva serve. E si tratta di giovani operai, non di studenti o di benestanti. Loro non sono impegnati a nessun livello e non sanno nemmeno dove stia di casa il sindacato». Il dirigente di una struttura che si occupa di incrocio tra domanda e offerta di lavoro ritiene che «le organizzazioni sindacali non dovrebbero limitare il loro interesse a chi il lavoro ce l’ha già, ma dovrebbero farsi carico anche di chi l’occupazione non ce l’ha e pure di chi opera nell’area grigia del lavoro temporaneo e precario». Persino un esponente del mondo imprenditoriale si dice preoccupato della crisi di rappresentatività del sindacato.«Se dilaga la sfiducia nelle rappresentanze storiche dei lavoratori si corre il rischio o della microconflittualità oppure di avere interi settori o aree che sfuggono alle forme di controllo reciproco. Basta vedere ciò che succede in certi servizi come quello infermieristico a Milano, dal Niguarda al San Raffaele. La crisi di rappresentatività sociale non può non preoccupare». A determinare questa situazione di difficoltà hanno concorso e concorrono diversi fattori. «Il deposito dell’azienda che ne rappresenta il cuore, un tempo era gestito dalla Cgil, mentre la parte distributiva era gestita dalla Cisl. Per molti anni si è andati d’accordo, poi nel ‘87-’88, quando si è trattato di gestire il processo di ristrutturazione, si sono verificate le divisioni che hanno portato quasi allo sfascio del sindacato all’interno dell’azienda e questo ha fatto sì che sul piano delle adesioni scendessimo ai minimi livelli storici». «Se con le Rsu delle altre aziende del polo chimico abbiamo dei collegamenti ed esiste anche un coordinamento, e quando ci sono dei problemi ci riuniamo e in qualche occasione ci mobilitiamo anche unitariamente, con le Rsu delle altre aziende del territorio ci vediamo invece raramente, anzi non abbiamo nessun collegamento e questo è un male. Qui non c’è una unione delle strutture sindacali; così come non si fanno mobilitazioni a livello di territorio, mentre invece ce ne sarebbe bisogno». Ma non solo manca un coordinamento territoriale che, come sostiene un delegato, «sarebbe una cosa importante, anzi un’esigenza», «non esiste nemmeno un rapporto tra le Rsu dello stesso settore. Alla mia organizzazione sindacale ho chiesto più volte di mettere in piedi delle riunioni periodiche, ma questo non è mai stato fatto. L’assenza di collegamenti tra di noi ci impedisce di capire dove va il settore, ci espone alle manovre della controparte facendoci trovare impreparati di fronte a certe scelte imprenditoriali. Siamo così destinati a subire le ristrutturazioni e i cambiamenti che ormai sono periodici». C’è dunque anche un deficit di rapporti tra le strutture di rappresentanza dei lavoratori, una carenza di relazioni sindacali sia a reti corte che a reti lunghe. «Sulla base della costituzione dei comitati aziendali europei, che comprendono anche la rappresentanza dei datori di lavoro, abbiamo un incontro all’anno con le altre realtà sindacali del gruppo, però questi rapporti non consentono un gran ché di scambio di informazioni e di confronto. Strutture come i Cae permettono di tenere sotto controllo l’attività di uno specifico settore produttivo, non certo quella del gruppo multinazionale al quale apparteniamo. Noi, ad esempio, rappresentiamo solo il 6% del capitale sociale e al nostro settore non sembra che venga data molta importanza. Su questo fronte, rispetto alle evoluzioni che hanno avuto le aziende le quali varcano i confini e si diffondono a livello globale, il sindacato è in arretrato di parecchi anni». E poi viene lamentata una carenza di rapporti tra il sindacato e le istituzioni pubbliche locali. «Con l’Amministrazione comunale c’è stato nel corso degli anni un rapporto di incomprensione e ancora oggi non si può certo dire che sia idilliaco. Noi avvertiamo la necessità di ricostruire una relazione alla pari perché consideriamo indispensabile avere un dialogo con i poteri locali», avverte il delegato di un’azienda chimica. L’esigenza di relazioni più frequenti e tali da allargare i termini del confronto viene sottolineata dalla stessa rappresentanza sindacale dell’ente pubblico locale. «I rapporti che abbiamo con il Comune sono limitati alla pianta organica e alle condizioni di lavoro, non investono invece la qualità dei servizi. Anche se il sindacato dovrebbe occuparsi di questo, purtroppo noi non siamo ancora pronti a misurarsi a questo livello». Nel riconoscere dunque l’utilità e l’opportunità di dare corso a conferenze di servizio, cioè a momenti di verifica, di riflessione sul funzionamento della macchina comunale, attraverso cui conciliare le istanze rivendicative con le esigenze di efficienza che si richiedono a un ente erogatore di pubblici servizi, le rappresentanze sindacali manifestano un certo disagio e mostrano i loro ritardi e limiti. Ma a contribuire alla crescita dei fattori che determinano una minor presa del sindacato sui lavoratori interviene anche l’azione che svolgono le nuove strutture di governo del mercato del lavoro. Raccontano le operatrici di un’agenzia di lavoro temporaneo: «Noi a Natale, da parte dei candidati, abbiamo ricevuto un sacco di regalini, dalle scatole di cioccolatini ai fiori, dai panettoni e pandori al vino bianco. Questo si spiega con il fatto che i lavoratori che abbiamo in carico si sentono bene accolti e ci sono grati per aver trovato loro un posto di lavoro che li garantisce di tutti i diritti. Ogni venerdì noi riceviamo i lavoratori che ci portano le loro qualifiche di lavoro e in quell’occasione ci raccontano come vanno le cose e questo modo di fare accresce la fiducia e stabilisce tra di noi un legame. Quando poi insorgono dei problemi noi interveniamo immediatamente per risolverli. Il vedere che sono contenti e che si sentono rassicurati ci procura tanto piacere. Quando capita qui da noi qualcuno che ha già lavorato nelle cooperative, dopo avere constatato come noi lo trattiamo, si rifiuta di rifare quell’esperienza passata. A differenza delle cooperative noi non solo gli garantiamo tutti i diritti, ma lo seguiamo di più. Noi ci diamo da fare per occuparlo subito dopo che ha finito una missione. Gli facciamo la lettera di assunzione, gli spieghiamo cos’è un contratto, cosa prende all’ora, quali sono i suoi diritti e tutto questo lo rassicura e lo rende contento. Questo vale in particolare per i ragazzi i quali non conoscono nulla e non sanno nemmeno cosa sia il libretto di lavoro e quale importanza abbia nella regolarizzazione della posizione lavorativa». Nei fatti, queste nuove agenzie assicurano al lavoratore talune forme di assistenza che, almeno in parte, tendono ad esautorare o quanto meno inducono a considerare superflua la tradizionale funzione del sindacato. A riguardo del grado di credibilità e di fiducia che il sindacato gode, va rilevato che mentre tra le file del lavoro dipendente si colgono i segni di una diffusa insoddisfazione rispetto al suo modo di essere e di agire, negli ambienti imprenditoriali il giudizio sull’evoluzione che esso ha fatto registrare in questi anni si rivela invece decisamente positivo. Salvo la riserva di chi non riesce ancora a considerarlo «un interlocutore capace di interpretare la realtà economica», in genere le valutazioni sono di indubbio apprezzamento. «Con i sindacati abbiamo rapporti normali. In questa fase poi non ci sono più momenti conflittuali». «Con il nostro consiglio di fabbrica dialoghiamo bene e le relazioni sono soddisfacenti. Di grossi problemi non ne abbiamo ormai da tempo». «I rapporti con il sindacato sono buoni, abbiamo degli incontri mensili con la Rsu aziendale e con le strutture esterne. Fino ad ora siamo sempre riusciti a trovare un punto di incontro». «Qui da noi non c’è la rappresentanza sindacale, non c’è mai stato nessuno che si è preso la briga di interessarsi e di esporsi. Saltuariamente però i sindacati vengono a fare le assemblee, ma di vertenze non ne abbiamo mai avute». «I rapporti con le organizzazioni sindacali sono ottimi, anche se occorre fare delle distinzioni perché con i nostri molteplici insediamenti abbiamo un’articolazione di rapporti. Un giorno abbiamo chiamato tutti i nostri 75 delegati sindacali attorno a un tavolo e abbiamo avuto l’occasione di notare modi diversi di ragionare, di affrontare i problemi, di fare politica industriale. Nello stabilimento di Limito i rapporti sono ottimi perché i delegati sono consapevoli delle scelte che l’azienda ha fatto e qualche volta sono stati anche di sostegno nei rapporti con l’Amministrazione pubblica». «Noi abbiamo dei rapporti con i nostri dipendenti che fanno sentire ogni lavoratore gratificato del proprio ruolo e questo scongiura conflitti sindacali». «Il bello della nostra azienda è l’ambiente familiare, qui siamo tutti amici, non ci sono gerarchie, ma solo le qualifiche ed esiste un collettivo. Il personale è mobile al massimo. Siamo in 23 e c’è una rappresentanza sindacale che garantisce due assemblee all’anno. Siamo senza cartellino e ognuno si autocontrolla, perciò le ragioni perché sorgano vertenze sindacali non ce ne sono». 32. La crisi della politica e della partecipazione La crisi di rappresentatività, purtroppo, investe l’intero mondo degli interessi sia materiali che immateriali . «In difficoltà è la stessa Chiesa e pure il rapporto che la gente ha con la fede e con i valori oggi è messo a dura prova». «Pur se i quattro oratori funzionano bene e sono le uniche strutture che ancora riescono a raccogliere e organizzare i giovani contribuendo a creare il senso comune, le difficoltà non mancano». Qualcuno ricorda come negli anni ‘70, l’oratorio di Seggiano fosse «il punto di riferimento e di aggregazione non solo dei cattolici, ma anche della sinistra extraparlamentare e il luogo dove si è radicato il cosiddetto cattolicesimo democratico», per sottolineare poi come oggi anche quella realtà risulti di molto cambiata. A Pioltello, come ormai avviene ovunque, dilaga «un’apatia tale da far venire meno la tenuta democratica e questo dato spaventa». «La gente pensa soprattutto ai fatti propri». Qualche tempo fa «è stata fatta un’indagine telefonica per quanto riguardava le iniziative culturali del Comune e il risultato è stato che la gente vede i cartelli, guarda il bollettino del Comune, tutto sommato sa che le iniziative ci sono, però il coinvolgimento, la partecipazione risultano scarsi». «In politica la gente non ha più fiducia, né nella destra né nella sinistra; queste vengono considerate ormai uguali. La politica è vissuta male, non incanta più». Le spiegazioni che vengono date a questo fenomeno sono diverse. C’è chi pensa che «la gente di Pioltello non ha mai avuto coscienza politica», chi ritiene che il «diffuso clima di sfiducia politica sia dovuto principalmente alla presenza di un basso livello culturale» e chi invece si dice convinto che «lo scetticismo è da attribuirsi soprattutto al fatto che la gente si è sempre sentita fregata da chi ha amministrato il paese e purtroppo, mentre ha pagato è sempre stata zitta. Ora non ne può più». Ma non manca nemmeno chi si dice sorpreso del fatto che«nonostante le ideologie siano in crisi, a Pioltello sopravvivano ancora i comunisti. Come facciano a resistere dopo quello che è successo nel mondo non è proprio spiegabile». Di fatto, però «tutti i partiti sono in crisi perché la gente è stufa. Alla gente interessa che venga aggiustata la strada che è rotta dal momento che ci troviamo di fronte a una cultura concorrenziale e individualistica». «I partiti come strumenti storici della democrazia hanno perso il ruolo che hanno avuto per lungo tempo e questo è un fatto grave e preoccupante. Forse c’è bisogno di nuovi strumenti, di nuove forme di organizzazione, di nuovi vocaboli, per il momento però esiste un vuoto». «I partiti hanno perso quella capacità di orientare e accogliere la gente. Sono a Pioltello dall’83 e devo dire che qui è sempre stato difficile svolgere attività politica, ora però la situazione è decisamente peggiorata. Di attività di sezione non ho più sentore. I partiti ormai sono solo dentro le istituzioni e si vedono solo nel momento delle elezioni». «Il Pci - ricorda un dirigente politico locale - vantava 600 iscritti, oggi al partito dei Ds risultano iscritte solo 150 persone». «Non c’è più interesse nella gente e poi non c’è neanche più un partito alle spalle. Quelli che continuano a fare militanza sono degli eroi». Ci sono ancora «alcuni esponenti politici locali che dimostrano di avere la sensibilità e la voglia di affrontare e risolvere i diversi problemi che sono presenti a Pioltello, solo che ormai la gente che gira nell’ambiente dei partiti è molto scarsa». «La crisi della rappresentanza politica l’ho vissuta malissimo», confessa un militante di un partito che ha cessato di esistere. Ma anche l’esponente di una delle formazioni politiche nate in questi anni a seguito del collasso del vecchio sistema partitico commenta: «Oggi la politica non c’è. Io sono cresciuto alla scuola repubblicana di La Malfa e ho inteso la politica qualcosa di ben diverso da quello che vedo ora. Da tre o quattro anni sono impegnato politicamente in maniera un po’ più seria e devo dire che ho trovato il vuoto in tutti gli schieramenti. Viene da piangere perché non si riesce più a fare un ragionamento filosofico o intellettuale con nessuno. Se a un comunista gli parli di Marx questo non sa neanche chi fosse ed è come parlare delle encicliche del papa con un cattolico. Ma forse sono io che appartengo ormai a un’epoca superata». Accade così che se nei confronti della politica e dei partiti i giovani si dimostrano disinteressati, i meno giovani appaiono disillusi. «Di politica non so assolutamente nulla, vuoi per scarsa informazione o per scarso interesse, comunque non sono sollecitata a interessarmi»; «nei giovani non c’è interesse a fare dei discorsi impegnati. Ad esempio, noi quando siamo in compagnia non parliamo mai di politica, e anche se questo a me personalmente pesa, le cose vanno così. A volte, quando io accenno a qualche ragionamento vengo considerata come la noiosa. La frase che sento dire più spesso è ‘io la politica non la capisco, non mi interessa’. C’è in pratica un rifiuto totale», affermano due giovani ragazze. Non tutti però manifestano segni di preoccupazione. Un giovane che pure vanta un passato di impegno politico-sociale così si esprime: «I ragazzi più giovani che conosco se ne fregano della politica, sia di quella del territorio che di quella più in generale, e questo è buono perché sono riusciti a staccarsi da questa cozza della politica che negli ultimi anni era diventata soffocante. Per questo, quando si esprimono sono più razionali, più trasparenti, non sono tanto confusi sulle cose, sono immediati». E’ un atteggiamento questo che, come dice un giovane, trova giustificazione nel fatto che «quando si assiste al Consiglio comunale e si vede che si scannano tra di loro, si prova un senso di pena e alla politica non ci si affeziona di certo». «Ho fatto militanza politica dal ‘45 ritenendomi un buon socialista», confessa un’ottantenne. «Ho anche fatto il segretario di sezione del Psi. A casa mia il socialismo veniva dopo S. Francesco e S. Antonio. Credevo che la sinistra facesse come fanno i missionari, invece ho poi scoperto che non era proprio così. A un certo punto ho capito che per diventare come loro avrei dovuto abbaiare e io non ho abbaiato. Sono molto spiaciuto perché nel partito socialista vi erano tante persone buone e oneste». E un lavoratore impegnato sul fronte sindacale, giustificando il suo distacco dalla politica attiva, asserisce: «Gli ideali sono stati persi per la strada. Io incomincio a dubitare che la stessa sinistra sia in grado e abbia la voglia di risolvere i problemi degli operai». Eppure anche a Pioltello ci sono stati tempi in cui il protagonismo politico-sociale era intenso. «Nel passato, quando c’era una più forte partecipazione alla vita politica della gente e c’era un più alto livello di militanza, un ruolo di protagonismo della società civile venne svolto dai partiti stessi e per favorirlo vennero anche costituiti i consigli di quartiere. Si trattò però di un’esperienza poco confortante perché queste strutture non furono affatto dei luoghi di elaborazione, ma si trasformarono ben presto in autentici parlamentini. Comunque a quel tempo c’erano l’impegno e la tensione». «Con il ‘68 si era politicizzato tutto, anche la scuola dove erano sorti gli organi collegiali, e qui a Pioltello c’è stata una grande battaglia politica». «Ora ad avere un sede di partito, siamo ormai solo noi, anzi ne abbiamo tre e ci possiamo considerare ricchi dal momento che viviamo ancora su qualche alloro del passato», afferma il dirigente di una locale sezione. «Ma l’assenza fisica dei luoghi della politica è un segno di enorme sofferenza anche per noi». «Lo sperimentiamo nel nostro stesso circolo dove ci troviamo sempre tra gli stessi e non riusciamo a impegnare nuove persone, soprattutto giovani», ammettono i dirigenti del locale movimento ambientalista. «Quel poco che siamo riusciti a ottenere a riguardo del polo chimico è frutto di decenni di lotta e perché si facesse qualcosa abbiamo dovuto lottare per 35 anni. Il circolo è formato da gente che lavora e che presta attività in forma di volontariato; c’è poi anche gente che fa politica e che si è sempre mossa sul piano dell’impegno sociale. I soci sono una cinquantina e sono tutti di Pioltello. Gli attivi però sono solamente una diecina. Ogni martedì ci troviamo all’oratorio di Seggiano». Ma la crisi della militanza ha comportato non solo un calo di presenze, bensì un «venire meno della stessa capacità di elaborazione politica, anche se va detto che qui a Pioltello si è sempre vissuto di luce riflessa, non si è mai elaborato gran che. Quando il mio stesso partito vantava il 40% dei consensi ha commesso l’errore di seguire pedissequamente le indicazioni che venivano prese a livello milanese e questo ha fatto sì che non ci fosse autonomia e che i cervelli andassero all’ammasso. Non ci si è preoccupati di studiare una politica locale. Oggi capita di assistere ogni tanto a momenti di elaborazione, di analisi e di individuazione di obiettivi che suscitano speranze ed entusiasmo, però poi ci si accorge che non c’è una continuità, non c’è capacità politica e organizzativa di tradurre intuizioni e suggerimenti in strategie e in azione politica. E’ su questo difficile passaggio che crollano poi anche le migliori intenzioni». «Sulle problematiche dello sviluppo, dell’economia, del lavoro, del welfare le forze politiche sono pochissimo attrezzate. I livelli di progettualità sono quasi zero», conferma un altro dirigente politico locale. E a riguardo dei rapporti con la politica sentenziano gli operatori del mondo economico: «Le forze politiche sono relativamente attente ai nostri problemi e spesso succede che prendano dei provvedimenti che ci riguardano senza neanche consultarci o tenere conto dei nostri orientamenti. Notiamo un rinverdire di intenzioni solo nel momento elettorale, quando c’è bisogno di raccogliere il consenso, poi invece svaniscono». «Le forze politiche a parole si dimostrano sensibili ai problemi dello sviluppo e dell’occupazione, nei fatti però si rivelano disimpegnate. Se lo fossero per davvero non ci sarebbe l’animosità che oggi caratterizza il mondo politico. C’è la corsa al potere non per risolvere i problemi, ma per occupare gli spazi e le poltrone. Poi si tende a fare quel che produce consenso nell’immediato e non invece ad affrontare quelle questioni che per essere risolte esigono del tempo. Io non le vedo affatto preparate ad affrontare i nodi epocali che abbiamo davanti a noi come è il caso del conflitto tra le generazioni. Non le vedo lungimiranti». Che nei partiti esistano delle rigidità mentali lo conferma uno stesso esponente politico: «La mia esperienza di amministratore pubblico non viene vissuta molto bene dalla mia parte politica proprio per gli scarsi livelli di preparazione che denuncia. Essendo assessore, io vengo visto dai miei compagni di partito solo come colui che gestisce il potere e che fa le mediazioni. Dal partito perciò ho poco sostegno nella mia attività e faccio fatica a portare al suo interno certe problematiche». Ma la fatica e la problematicità della militanza non sono peculiarità esclusive di uno solo schieramento politico e neppure delle sole formazioni storiche. «Vai a capire il mio stesso movimento - afferma l’esponente di una forza politica nata di recente - io che ci sto dentro faccio fatica a interpretare certe decisioni e certi suoi modi di essere. Figuriamoci quali impressioni può ricavarne chi lo osserva dal di fuori. E un mondo molto complesso e dal punto di vista culturale è un bel buione». Un tempo Pioltello vantava uno schieramento di sinistra molto forte. «Questo era un comune craxiano al 35%, i socialisti ora sono scomparsi oppure sono finiti nel polo di centro-destra». Ricorda un sindaco del tempo: «C’è stato il periodo di ‘tangentopoli’ e Pioiltello non è stato esente. Ha però colpito un partito solo e non gli altri e questo probabilmente ha scoraggiato e allontanato ancora di più una parte dell’elettorato». «Politicamente qui da noi si sono registrati spostamenti nell’opinione pubblica da palo in frasca e il fatto che certe formazioni abbiano raccolto fino al 40% dei voti è lì a testimoniarlo. Questo loro successo era dovuto anche perché di particolari interessi da difendere qui la gente non ne aveva e non ne ha». «Alle elezioni europee vince il centro-destra, alle provinciali vince il centro-sionistra, a livello locale invece si guarda all’uomo, alla persona e il suo orientamento politico conta poco». «La vittoria della Lega è il segno di una mobilità elettorale ed è proprio da interpretare come una voglia di cambiamento. La gente che è qui da tanti anni era insoddisfatta di come le cose andavano e ha tentato di cambiarle in quel modo». «La larga fiducia data alla Lega sino al punto di farla governare - commenta un esponente di questo movimento - è stata una dimostrazione di protesta che è da situare in una fase storica ben precisa. I cittadini erano stufi di tutti, il degrado era diffuso, la malversazione la si registrava a tutti i livelli, il dipendente comunale onesto era additato come lo scemo del villaggio: ecco quali sono stati i motivi del successo della Lega! E noi abbiamo avuto il consenso da una componente che per il 75% era di origine meridionale». Ma le interpretazioni di questo sorprendente avvenimento politico sono le più varie. Osservano altri nostri interlocutori: «L’Amministrazione leghista è stata semplicemente il Tabella n.35 Andamento elettorale degli schieramenti politici. Elezioni politiche, europee, regionali 1975-2000 (valori percentuali) sinistra e centro-sinistra centro destra e centro-destra '75 64,4 30,3 5,3 '76 65,4 30,3 4,3 '79 63,4 31,3 5,3 '80 63,3 31,3 5,4 '83 61,5 31,6 6,9 '84 65,7 30,0 4,3 '85 62,9 29,6 7,5 '87 65,9 27,0 7,1 '89 67,5 25,7 6,8 '90 58,9 25,7 15,4 '92 52,7 23,9 23,4 '94 32,8 8,9 58,3 '95 40,1 7,4 52,5 '96 39,8 3,8 56,4 '99 34,1 10,0 55,9 '00 37,3 2,2 60,5 Fonti: Regione Lombardia e Comune di Pioltello frutto di una frattura, di una rivolta da parte di uno strato di cittadinanza disposta a dare il voto a chicchessia purché non fossero quelli di sempre». «La Lega a Pioltello ha vinto e ha conquistato il Comune in forza di ‘tangentopoli’, cioè per fattori politici e relativi alla specificità locale. Infatti, dopo che le vicende si sono ridimensionate anche il fenomeno leghista si è sgonfiato». «Ha vinto proprio al grido di ‘basta alla speculazione edilizia, basta alla rapina del territorio!’». «Prima del suo successo due dei tre ultimi sindaci erano finiti in galera. L’affermazione leghista è dunque da far risalire ai grandissimi errori fatti a Pioltello da una sinistra ottusa, presuntuosa e che ha persino creato un clima di odio tra le persone», afferma un dirigente dello stesso schieramento di sinistra. Comunque, «che il voto alla Lega fosse un voto di reazione è spiegato anche dal suo rapido declino. Si è trattato di un segnale». Grafico n.1 Andamento elettorale degli schieramenti politici. Elezioni politiche, europee, regionali - 1975-2000 70 60 50 1 40 2 30 3 20 10 0 '75 '79 '83 1 - sinistra e centro-sinistra '85 '89 2 - centro '92 '95 '99 3 - destra e centro-destra «Il successo della Lega non è altro che una reazione al fatto che anche certe fasce del ceto medio sono state finalmente obbligate a pagare le tasse. Lo Stato, infatti, viene vissuto da molti come un vessatore». «A mio parere, il successo della Lega è un non senso: Bossi viene a predicare contro i terroni maledetti e poi succede che proprio a piazza Garibaldi e al Satellite i meridionali votano Lega. E’ un fenomeno che non si spiega razionalmente. E’ una reazione a uno stato di fatto». «Il successo dei leghisti è anche il frutto di una mancanza di coscienza politica, di cultura e di autonomia degli abitanti di Pioltello la cui maggioranza è stata abituata nel tempo a votare secondo le indicazioni del capo clan. Non c’è senso critico nel giudicare le cose, non c’era ieri e continua a non esserci oggi». «Ciò che appare chiaro è che in questa vicenda c’è anche una nostra responsabilità dovuta al fatto che nessuno di noi non si è più interessato di politica. C’è stato cioè un abbandono del campo». Ma a costituire materia di riflessione e di preoccupazione non è solo il rapido e facile spostamento delle posizioni politiche nell’opinione pubblica. Anche a Pioltello si registra un fenomeno che ha sicuramente implicazioni ancor più gravi sul piano della democrazia, si tratta della crescente e progressiva diserzione delle urne elettorali. Anche se qualcuno sostiene che «l’astensionismo è l’unica risposta seria che si può dare alla crisi di fiducia nei partiti», questo fenomeno non può che inquietare. «L’astensionismo, dicono gli studiosi, è dovuto anche al fatto che ci sono molte persone anziane le quali per una serie di motivi non vanno a votare. Questo succede però quando la politica non ha più argomenti per ottenere la loro fiducia. Di fatto si registra una scarsa capacità delle forze politiche di comunicare con i cittadini. Poi, a creare un distacco dalla politica, hanno contribuito anche i cambiamenti intervenuti nei meccanismi e nei sistemi elettorali, visto che ai ballottaggi c’è sempre meno gente che va a votare». Oltre a tutto questo però c’è evidentemente anche una vera e propria disaffezione alla politica. «Sono a conoscenza di molti nostri compagni che non sono andati a votare alle ultime elezioni», commenta il segretario di un partito della sinistra. E poi sono venute meno le occasioni di una partecipazione più diretta e meno delegata. «Di strutture di rappresentanza a livello di quartiere a Pioltello non esistono. Io vorrei che ci fossero strutture del genere, perché se ne avverte il bisogno, però non spetta a me promuoverle. Ci deve essere una disponibilità dall’alto, ma soprattutto qualcosa che scaturisce dal basso, dalla stessa società civile perché altrimenti l’autonomia non si realizza». «Io credo che dovremmo rivedere il nostro giudizio sui consigli di quartiere e tentare magari di ricorrere anche a maniere un po’ maldestre al fine di incoraggiare la gente a un maggior interesse verso le questioni comunali e alla partecipazione. Quel che mi preme è che la gente torni ad avere un minimo di voglia di essere protagonista anche nella vita pubblica. Il disinteresse è pericoloso perché si trasforma in esclusione sociale e in un deficit di democrazia». «A Milano con la morte dei partiti sono sorti i comitati spontanei, a Pioltello invece questo non è avvenuto e con il declino dei partiti qui è morta la partecipazione. In passato c’è stato il comitato antinquinamento che ha avuto un ruolo positivo per vent’anni, dal momento però che si è istituzionalizzato entrando di fatto nell’Amministrazione comunale, è sparito ed è così cessata anche la tensione sociale. Oggi esiste Lega Ambiente che però fa poco o niente. A parte i comitati degli orti che emergono nel momento in cui l’Amministrazione comunale Tabella n.36 Astensionismo elettorale - 1975-2000 (valori percentuali astensioni, schede bianche e nulle su totale aventi diritto al voto) politiche europee regionali '75 9,4 '76 7,5 '79 10,1 '80 '83 15,9 15,5 '84 18,4 '85 '87 10,4 9,0 '89 21,0 '90 12,4 '92 10,4 '94 9,9 24,5 '95 '96 '99 18,9 17,7 39,8 '00 41,7 Fonti: Regione Lombardia e Comune di Pioltello decide di regolamentare il territorio, io non vedo altre iniziative che rappresentino una volontà della popolazione di intervenire nella vita pubblica. Tanto meno sono presenti a Pioltello espressioni che abbiano uno spessore etico propositivo e non esclusivamente di protesta. Proprio per questa ragione nel nostro futuro vedo sempre meno democrazia». «Il problema della partecipazione a Pioltello è drammatico e come responsabile locale della formazione politica cui appartengo mi sto inventando mille espedienti per cercare di snidare la gente dal proprio ambito privato e farla reagire a uno stato di abulia verso i problemi collettivi», confessa un leader politico locale. E accanto a chi si propone di rivitalizzare le antiche forme della partecipazione c’è chi si dice impegnato nella ricerca di quelle nuove. «Una delle lotte politiche che io ho condotto e sul cui esito ho dovuto prendere atto della mia sconfitta è quella riguardante la consultazione. Può sembrare populistico e può essere Grafico n.2 Astensionismo elettorale - 1975-2000 (astensioni, schede bianche e nulle su totale elettori) Astensionismo 50 40 30 20 10 0 '75 '76 '79 '80 '83 '84 '85 '87 '89 '90 '92 '94 '95 '99 '00 considerato strumentale, ma il convocare spesso i cittadini in assemblee serve sicuramente a indirizzare politicamente le decisioni. Non capisco perché quando si tratta di prendere una decisione importante io non possa e non debba sentire i cittadini i quali, anche se non formalmente, quando percorro una via o mi reco al mercato o vado al cimitero ho modo di sentire comunque quel che pensano e quel che vogliono». «Sui giornalini che il Comune distribuisce si parla tanto di partecipazione - osserva una nostra giovane testimone - è bene si sappia che per favorirla occorre una maggiore propensione all’ascolto di chi sta dalla parte del comando. Capire, ascoltare, mantenere fede agli impegni assunti sono il presupposto per creare fiducia, partecipazione e autonomia di giudizio». E da parte sua, chi ha la responsabilità del governo locale così si pronuncia a riguardo dei deficit di partecipazione e di protagonismo: «E’ senz’altro necessario ripensare i modi e le forme del coinvolgimento dei cittadini nella politica locale; occorre lavorare per una rigenerazione del sistema dei partiti e della loro immersione nella società civile stessa. Politica e cittadini devono essere considerati due facce della stessa medaglia. Una pubblica amministrazione trae giovamento dal confronto con una comunità consapevole dei propri diritti oltreché dei propri doveri. La competenza della comunità e la sua capacità di controllo sono la miglior garanzia contro le inefficienze della pubblica amministrazione». 33. Il giudizio sulle Amministrazioni comunali passate L’atteggiamento ormai disincantato assunto della società civile nei confronti della sfera politica porta i singoli cittadini a giudicare l’operato degli stessi poteri istituzionali locali con un accentuato spirito di autonomia e di critica. «Pioltello è stata amministrata malissimo e anche l’opposizione non ha fatto il suo dovere», sentenzia categorico un operatore economico. Una valutazione molto severa che trova però riscontro nella generalità dei nostri interlocutori. «Purtroppo in questi anni passati, parlo degli anni ‘60 e anche di quelli prima, noi abbiamo avuto delle amministrazioni che di Pioltello proprio se ne sono fatte un baffo. Il tram che passava per Pioltello e che portava a Milano si è trasformato in metropolitana che serve Cernusco e questo è frutto del disinteresse di chi ci ha governato». «Qui c’è sempre stato il centro-sinistra. Prima c’erano i socialisti assieme ai democristiani, poi ha governato la sinistra». «Negli anni ‘60, purtroppo, noi abbiamo avuto degli amministratori che erano incapaci e ignoranti. Bisognava vedere il sindaco di allora come faceva la firma. Io ho fatto il presidente dei genitori a scuola e ricordo che l’assessore alla cultura di quel tempo era quasi analfabeta. Si trattava indubbiamente di brave persone, però non sapevano nulla di architettura, di urbanistica, bastava che si costruisse e che la casa non crollasse e per loro tutto andava bene. Questa gente era stata eletta da un popolo che non aveva grandi pretese. In tempi successivi sono poi entrati in Comune molti meridionali, gente brava, io ne ho conosciuti parecchi, i quali si sono anche dati da fare, però senza avere nemmeno loro grandi competenze». «Il sindaco degli anni ‘60 era un architetto, non era un ignorante. Egli andava a costruire a Cologno Monzese, mentre il sindaco di quella città, pure architetto, veniva a costruire qui. Le Amministrazioni che sono venute dopo hanno così dovuto rimediare i numerosi danni che si erano verificati». «A quel tempo per chi amministrava valeva il criterio secondo cui chi costruiva le case doveva poi realizzare le scuole oppure una piazza. E non è che lo facessero per soldi, era proprio una questione di cultura. L’abitudine di prendere soldi è arrivata più avanti negli anni». «Quando io lavoravo in Comune, e ci sono stato per 33 anni - afferma un pensionato non si poteva proporre niente e anche se si diceva qualcosa di buono, gli amministratori facevano quel che volevano. A decidere molto spesso era la burocrazia, cioè i dirigenti del Comune». «Pioltello è sempre stato vissuto come paese dormitorio e il perché non lo si capisce. Forse questo significa che c’è stata una miopia da parte degli amministratori pubblici del passato i quali si sono dimostrati incapaci di fare dei piani regolatori che tenessero conto delle evoluzioni e della dinamica dell’industria e del lavoro e di assegnare quindi a questo tipo di sviluppo le aree adeguate. Forse è mancata una lungimiranza. Quando poi si è giunti al punto in cui non c’era ormai più nulla di economicamente valido si è fatto posto con estrema facilità agli autotrasportatori. Si è fatta così una gestione un po’ miope del territorio ed è proprio da questa logica che nascono poi le note vicende speculative che hanno investito le aree edificabili». Eppure c’è chi assicura che agli amministratori comunali dei tempi andati non mancavano assolutamente le doti dell’onestà, della serietà e della dedizione. «Negli anni ‘60 io seguivo il sindaco quando andava nelle frazioni a verificare come stavano le cose, era un uomo che intendeva la politica come servizio fatto alla gente e che si accordava anche con i comunisti che a quel tempo erano all’opposizione. C’è invece da dire che si è stravolto tutto negli anni ‘70 quando è cambiato il modo di fare politica e sono arrivati i mestieranti. Chi era preposto a governare la realtà di Pioltello nel corso delle sue trasformazioni non ha fatto gran che per aiutare la popolazione ad affrontarle e quindi ad accompagnarla nel cambiamento. Dagli anni ‘70 in poi non c’è stata più grande attenzione alle persone e solo ora mi pare che l’attuale Amministrazione comunale se ne prenda cura». «A segnare in negativo la storia di Pioltello sono sicuramente stati i venti anni di governo social-comunista. Si è trattato di persone stimabilissime, ma le coalizioni politiche a cui facevano capo erano internamente condizionate da una serie di meccanismi di corruzione e non hanno saputo garantire né uno sviluppo cittadino all’altezza del ruolo di Pioltello né un senso di appartenenza e d’identità ai suoi abitanti». «Qualcuno era interessato più agli affari che al bene pubblico». «Tutte le amministrazioni precedenti hanno pensato solo al guadagno, anche illecito, inserendosi nelle grandi direttrici di ‘tangentopoli’. «Questo è potuto avvenire perché Pioltello non aveva il personale politico di qualità che invece ha avuto Cernusco». Ma a fronte di questi severi giudizi, come si difendono e come valutano il loro operato coloro che vengono posti sul banco degli imputati? «Io sono stato eletto sindaco nel ‘72 e ho ricoperto quella carica fino all’80. E’ stata per me un’esperienza traumatica perché a quel tempo Pioltello da paese di agricoltori e contadini e di qualche operaio che era si è trasformato in città. Io sono diventato sindaco per reazione. Avevo comprato un pezzo di terreno da un contadino per costruire una villetta, in un luogo dove mi era stato garantito che era destinato a villette. Quando un giorno sono tornato dalle vacanze, ai primi di settembre, mi sono trovato di fianco alla mia casa un escavatore che aveva fatto una buca come se cercasse il petrolio. Dopo di che a due metri dal confine hanno costruito un palazzo di nove piani. Era il periodo della vacatio legis e di conseguenza, non avendo Pioltello a quel tempo un piano regolatore, non fu possibile arrestare quei lavori. Il Comune allora non faceva pagare gli oneri di urbanizzazione, in compenso però aveva fatto costruire quell’obbrobrio della ‘Città Satellite’, come pure piazza Garibaldi a ridosso della stazione e della Sisas. Mio padre era socialista e mi aveva sempre pregato di non darmi alla politica perché, diceva, si doveva dare l’anima senza avere nulla in cambio. Quando però ho saputo che il sindaco era un socialista e per di più era un architetto, mi sono incazzato come una iena. Mi sono messo in lista e sono stato votato dalla gente fino a diventare poi sindaco. Ero almeno uno di Pioltello, perché prima di allora i sindaci venivano inviati qui dalle federazioni milanesi dei partiti non essendoci persone del luogo che intendevano darsi da fare. Quando sono diventato sindaco io, tutto l’hinterland milanese era in quella situazione; erano cioè pochi i comuni amministrati con capacità e competenza e, soprattutto, in ogni dove c’era la presenza di un tessuto sociale variegato e complesso da amministrare. Ho dunque fatto il sindaco in momenti brutti e ho dovuto persino imparare i dialetti siciliani. La prima cosa che abbiamo fatto è stata la fogna. Milano non ha ancora oggi il depuratore, noi invece abbiamo fatto l’impianto fognario già a quell’epoca. Quel palazzo che hanno costruito a fianco di casa mia aveva davanti un giardino di otto metri e mezzo e in esso avevano ricavato due pozzi perdenti. Dopo una settimana che la gente si era insediata, succedeva che chi abitava all’ottavo piano quando faceva la pipì se la vedeva fuoriuscire dal pozzo perdente. Come sia stato possibile far costruire con quei criteri si spiega solo con una miopia amministrativa e tecnica. E’ vero, qui ci sono state delle grosse incompetenze. Come sindaco avevo ereditato una realtà che era una babele e nonostante ciò siamo riusciti a fare delle buone cose. Abbiamo cominciato prendendoci in carico un paese poverissimo, con quattro gatti in Comune, quattro vecchi funzionari che conoscevano tutti ed erano loro stessi l’anagrafe storica, e tre vigili urbani. Abbiamo dovuto rifare in pratica l’Amministrazione comunale. La nostra era una compagine che aveva voglia di lavorare, purtroppo però gli assessori validi venivano da fuori Pioltello. Ci siamo indebitati all’inverosimile perché non si poteva mandare a scuola trenta bambini di prima elementare al piano terra nei negozi del Satellite facendo per di più i doppi turni, una settimana al mattino e un’altra al pomeriggio. Non c’erano le scuole medie sufficienti per tutti, non c’era un asilo nido, c’era una sola scuola materna a Pioltello Vecchia. Quando io ero sindaco avevo altre priorità rispetto ad oggi, erano le fogne, le scuole, gli asili. Poi c’era la fame. Abbiamo rifatto il Comune nuovo, grazie purtroppo a concessioni edilizie fatte a S.Felice. E’ grazie appunto agli oneri di urbanizzazione che abbiamo istituito noi, perché prima non c’erano, se abbiamo potuto costruire la scuola materna, il liceo, la palestra e poi il palazzo del Comune. Ci siamo fatti pagare non in soldi, ma in natura. Noi siamo partiti con gli asili nido, le scuole materne, le elementari, le medie, il liceo classico e quello scientifico, l’Ipso e oggi abbiamo anche ragioneria e i geometri, cioè tutti i gradi di scuola. Ci sono state in conclusione delle circostanze storiche ben precise che hanno condizionato la vita di Pioltello e che noi abbiamo affrontato con impegno. Le critiche sono ben accette, perché sono il sale della vita politica, ma va detto a questo riguardo che nessuno ha mai avuto il coraggio di dirci dove abbiamo sbagliato. Io ho sempre avuto molti suffragi ed ero anche benvoluto, nonostante i brutti momenti che ho passato. Ho sempre avuto grande solidarietà e senso di amicizia, specialmente dagli avversari politici, gente dalla scarpa grossa ma con il cuore grande, se non tanto dal cervello fino. Quando io mi sono messo in lista ho avuto suffragi inattesi. E probabilmente per tanti anni ho garantito un buon governo perché se il paese è cambiato in meglio lo si deve proprio a quel periodo che va dal ‘71 fino ai giorni nostri». «Fatto è che Pioltello porta in faccia e sul corpo delle cicatrici che non si possono nascondere», dice un nostro testimone. «’Tangentopoli’ ha coinvolto due sindaci e il capo dell’ufficio tecnico». Come ricordano le cronache, nel 1996, in cinque comuni della provincia di Milano, tra cui Pioltello, sono stati rinviati a giudizio ben 76 imputati coinvolti in una vicenda di tangenti. «In Comune a quel tempo c’era un direttore tecnico, che non so in che misura avesse a che fare con gli amministratori, il quale decideva a modo suo nel rilasciare le licenze edilizie. Alcuni si sono fatti per bene i loro affari», annota un anziano. «Nelle passate amministrazioni per avere una licenza edilizia ci volevano dieci anni, perché c’erano i raggiri e qualcuno è anche finito in galera. Ora invece le cose, a quanto pare, si sono un po’ più sveltite». Racconta un imprenditore: «Anni fa avevamo bisogno di trovare un’area su cui cominciare a costruire, ci siamo guardati in giro e ci siamo trovati ad avere a che fare con un personaggio che aveva in mano tutto lui e che ci ha fatto perdere un bel po’ di anni. Abbiamo rimediato allo stato di necessità costruendo qui a fianco, mentre il personaggio è finito in galera. Questa vicenda ha influito notevolmente in modo negativo sull’azienda. La maniera in cui come azienda siamo cresciuti non è certo la migliore perché ci è costato molto in termini di risorse e non abbiamo risolto i nostri problemi e ancora oggi siamo da capo. Avremmo potuto anche decidere di trasferirci in altro comune, ma poiché abbiamo voluto restare qui a Pioltello abbiamo dovuto pagare dei prezzi altissimi. Forse avremmo dovuto capire prima com’era la situazione e probabilmente siamo stati un po’ ingenui. Avevamo bisogno di arretrare il cancello e la richiesta ci è stata respinta sempre dal solito personaggio ripetutamente per molti anni. La ragione era forse da attribuirsi al fatto che il progetto era stato redatto da un tale piuttosto che da un tal altro». «La corruzione purtroppo c’è dappertutto, però c’è da dire che le Amministrazioni comunali un po’ più avvedute hanno dato al proprio paese delle strutture di servizio pubblico che a Pioltello non ci sono, nonostante quel che si dica». Dopo i social-comunisti «è arrivata la Lega. In Consiglio comunale vi erano 18 o 20 consiglieri che non erano di Pioltello e quando arrivavano qui per le riunioni dovevano chiedere alla gente dov’era situato il Comune, quando andavano via si dovevano far indicare la strada per tornare alla loro casa». «Nel periodo in cui c’era la Lega in Comune si voleva fare una rivoluzione generale, però poi si è operato nei particolari in modo sbagliato. Hanno tentato di mettere assieme qualcosa senza riuscirci. Hanno fatto come la vecchia signora ottantenne che si rimette il belletto e si rifà le ciglia spendendo molti soldi senza ottenere i risultati sperati, proprio perché da rifare non era tanto l’esteriorità quanto il corpo stesso». «Qui a Pioltello quelli della Lega hanno improvvisato molto, non avevano una proposta e una strategia politica. Loro avevano promesso tutto a tutti ma poi era diventato difficile stabilire a chi bisognava togliere. Non hanno potuto fare sconti perché i denari servono se si vuole fare qualcosa. Hanno fatto cioè un buco nell’acqua e questo sta a dimostrare che non ci si improvvisa amministratori pubblici». «A riguardo delle politiche ambientali, quando la Lega è andata al governo si è accodata al comitato antinquinamento anche perché, essendo saltati due sindaci, ha preferito muoversi con i piedi di piombo». «Nei nostri confronti - precisa il rappresentante di un’azienda chimica - l’Amministrazione leghista ha avuto un atteggiamento un po’ sommario, demagogico e semplificatorio e questo non ha certo favorito le prospettive dell’azienda. Quando il nostro amministratore delegato si è recato dal sindaco, questi gli ha chiesto quand’è che ce ne saremmo andati via da Pioltello». C’è però anche chi esprime giudizi differenti. «La Lega non coinvolgeva certo di più, ha fatto poche cose, ma ha fatto quel che aveva promesso. I progetti urbanistici che ha redatto, personalmente mi facevano abbastanza ridere, però li ha fatti». «La passata amministrazione ha voluto fare una festa all’anno, l’hanno chiamata festa di Santa Lucia e siccome è andata bene i commercianti hanno continuato a farla». «Io devo ringraziare la Lega per avermi dato il terreno per la chiesa nuova e i contributi per l’oratorio feriale». Pure il rappresentante sindacale dei lavoratori dell’ente locale valuta quell’esperienza non del tutto negativa: «Con l’Amministrazione leghista i rapporti sindacali sono stati difficili all’inizio, poi invece si sono normalizzati. Abbiamo dovuto fare una bella battaglia sulla vigilanza urbana perché volevano il terzo turno mentre non c’erano le condizioni per farlo». E mentre qualcuno ricorda che «pur essendo monocolore la giunta leghista non ha concluso il suo mandato a causa di conflitti interni ed è stata così commissariata», un suo esponente rievoca nel modo seguente l’esperienza compiuta. «Quando ero assessore mi sono battuto per fare il centro civico dove è stato poi insediato il centro-ricreativo culturale della terza età e il Centro Lavoro. Nel centro sociale di via Leoncavallo, quando sono diventato assessore, c’erano i drogati, ne abbiamo addirittura trovati due con le siringhe in mano. Allora quella era una struttura fatiscente. La società che l’aveva costruita era fallita e si scontavano almeno dieci anni di degrado. Noi volevamo dare più spazio alle associazioni affinché avessero una sede e fossero valorizzate. La svolta con la giunta Torre è servita a cambiare i rapporti tra politica e città. Prima, per vent’anni, gli amministratori erano sempre quelli e si scambiavano le poltrone con alleanze di ferro e tra l’Amministrazione e il cittadino c’era un distacco enorme; se non si aveva la raccomandazione non si otteneva nulla. Noi della Lega eravamo invece persone che non erano conosciute da nessuno e non abbiamo chiesto voti personali a nessuno, perciò non abbiamo dovuto fare favori a nessuno. Il percorso da noi intrapreso ha portato a un cambiamento nella mentalità sia degli amministratori che dei dirigenti comunali e degli operatori. C’è stata un crescita generale a livello politico dal momento che si è verificato un ricambio di classe politica. Rispetto al passato e al di là del tipo di Amministrazione, oggi c’è sicuramente un taglio diverso nell’affrontare i problemi. C’è stata una epurazione e non solo per una questione di tangenti, ma proprio per ragioni culturali. Oggi il cittadino entra in Comune con la testa alta, alza la voce e chiede il rispetto dei suoi diritti». 34. Critiche ed apprezzamenti per gli amministratori di oggi Come viene giudicato invece l’operato dell’Amministrazione comunale attuale? «Circa il giudizio da dare a questa Amministrazione preferirei non entrare nel merito, perché io non posso non ricordare che un tempo c’era chi sputava parole di fuoco contro di me quando ero sindaco, per la mia supposta incapacità di intervenire contro un’azienda del polo chimico. Ora queste persone sono al potere e a riguardo di quella stessa vicenda non hanno fatto niente. Questa è gente che dovrebbe ravvedersi. Credo comunque che abbiamo capito che un conto è pensare le cose ideologicamente e un altro conto è porvi mano. A quel tempo dicevano che noi eravamo dei cementificatori, ora stanno facendo cose peggiori sul piano dell’edificazione con interventi che sono molto discutibili. Non vorrei essere frainteso, ma va detto che nelle ultime amministrazioni di nuovo a Pioltello non è stato fatto proprio nulla. Al posto della piscina c’erano tante altre cose da fare». Un altro nostro interlocutore ha motivo di lamentarsi sia dell’operato delle passate amministrazioni che di quello dell’attuale. «La proprietà di questa cascina è del Comune, io sono in affitto dal ‘36 e rispetto al problema del tetto diroccato l’Amministrazione comunale si è sempre disinteressata. Prima c’era mio padre al quale sono subentrato io e ora a me è subentrato mio figlio. Quando si ha a che fare con i privati si sa che se non viene curato il tetto si è inadempienti, mentre invece quando si tratta di un ente pubblico che non se ne preoccupa le cose diventano più complicate. Uno degli affittuari di una parte della cascina, dieci anni fa, ha dovuto citare in tribunale il Comune per fargli fare dei lavori altrimenti rischiava di cadere tutto. E’ una cosa inverosimile. Le varie amministrazioni comunali si sono scaricate le responsabilità l’una con l’altra. Il fatto è che non hanno mai saputo dare una destinazione precisa a questo fondo e la situazione si è trascinata per trenta, quarant’anni senza che si trovasse una soluzione. Di proposte ne abbiamo fatte un sacco, eppure non hanno mai risposto una sola volta. Ogni amministrazione che si è insediata, da ultimo quella attuale, ha dimostrato di non sapere cosa fare e così siamo sempre nel campo delle cento pertiche, come diciamo noi contadini». Un commerciante invece accusa addirittura chi governa di assumere atteggiamenti autoritari. «C’è da dire che Cernusco ha incominciato a metà degli anni ‘60 a fare quello che sta facendo oggi Pioltello. E hanno incominciato per gradi e non in modo drastico come fanno i nostri attuali amministratori che hanno chiuso il paese. Quando l’anno scorso hanno preso questa decisione hanno discusso con noi, però sono stati molto prepotenti. Lo stesso assessore competente mi ha confessato che si è trattato di una ripicca perché qualcuno di noi commercianti avrebbe sostenuto che non si doveva muovere una foglia. Rispetto alla possibilità di un dialogo tra noi e l’Amministrazione comunale sono molto scettico. Con questi non c’è nulla da fare, noi ci siamo andati in cinquanta quando c’è stata la questione della viabilità, ma questi danno segno di voler comandare loro. Tra fascisti e comunisti non c’è nessuna differenza, la dittatura è dittatura». E altri lamentano di non essere stati consultati nel momento in cui si è elaborato il nuovo piano regolatore. «Quando hanno proceduto alla definizione delle nuove norme urbanistiche non ci hanno interpellati. Sono solo stato informato che quest’area è diventata residenziale», sostiene un imprenditore. «Se la mia azienda sta qui cento anni nessuno la può spostare, se però vado via qui non può subentrare nessun’altra azienda. Non sono stati comunque molto generosi né carini nemmeno nel coefficiente di costruzione, però io faccio l’industriale e non il costruttore». «Sul nuovo piano regolatore non siamo stati coinvolti, mentre saremmo stati interessati a ragionare a riguardo della situazione di conflitto che come azienda abbiamo in atto con gli abitanti della zona». «Nel momento in cui a Pioltello si è avviata l’istruttoria per il piano regolatore, a rappresentare gli interessi delle imprese è intervenuta l’Assolombarda che credo abbia fatto tutto quello che era possibile fare. Noi, assieme a un’altra azienda confinante, l’autunno scorso abbiamo discusso con l’Amministrazione comunale a proposito della possibilità di costruire su questo comparto. Il nuovo Prg prevede però che le nostre aziende non possono più esistere su questo territorio. E’ successo che mentre l’Amministrazione comunale ci sollecitava a discutere sul destino di quest’area, è saltato fuori un articolo di legge che blocca la produzione e lo sviluppo. Purtroppo, per una normativa nazionale decisa anni fa dal Ministero dell’ambiente a Roma, le aziende che vengono considerare insalubri, com’è il caso nostro, vengono classificate di classe 1a e in questa categoria sono state inserite tutte le aziende che hanno una lavorazione di materie plastiche a caldo. Per un refuso politico, e anche perché l’Amministrazione di Pioltello ha inteso bloccare l’espansione del polo chimico, cosa che è anche comprensibile, si è fatto di tutta l’erba un fascio e si è bloccato tutto. C’era invece la possibilità di riclassificare le zone e in quel modo si sarebbe potuto evitare che sulle nostre aziende venissero imposti dei vincoli. Noi avevamo in progetto di costruire, ora invece non lo possiamo più fare, anzi, non possiamo nemmeno modificare il ciclo produttivo. Contro questa norma hanno fatto opposizione sia la Asl che le Organizzazioni sindacali. Va detto che se ci fosse stato un dialogo preventivo, l’Amministrazione comunale avrebbe potuto avere le informazioni sufficienti per capire la portata del problema ed evitare così i pasticci in cui oggi ci troviamo». «I pubblici amministratori non si sono premurati nemmeno di consultare il mondo dell’agricoltura quando hanno redatto il piano regolatore». «Si è trattato di una scelta fatta a tavolino che ha creato dei problemi agli operatori. Io ho contestato talune destinazioni e devo dire che hanno capito e si sono perciò impegnati a rimediare. Secondo me hanno fatto le cose un po’ troppo di fretta». «Sarebbe stato importante nel momento in cui si è fatto il piano regolatore sentire tutte le parti in causa, cioè gli operatori e i proprietari di terreni, a prescindere dalle intenzioni e dalle decisioni che si sarebbero poi prese. Questo per impedire che, come avviene spesso, venissero adottate delle soluzioni, dei sistemi, dei regolamenti che sono contrari al buon senso. Loro vedono le cose dalla loro angolazione e credono di far bene a compiere certi atti, ed è giusto che sia così, però io credo farebbero meglio ad osservare le cose anche da altre angolazioni e il sentire il parere degli altri arricchisce le conoscenze e perfeziona le decisioni». «Questa amministrazione non ha fatto male, però si è impuntata con questo piano regolatore che non favorisce certo quei dieci o venti miei amici che hanno dei grossi interessi. Questi sono stati mortificati anche se per questo non muoiono di certo». Le relazioni tra l’ente pubblico e la società civile non appaiono dunque sempre soddisfacenti. «Purtroppo con l’Amministrazione comunale i rapporti non sempre sono felici perché a volte ci vengono richiesti interventi che noi non siamo nelle condizioni di soddisfare», sostiene un dirigente d’impresa. E pure un giovane manifesta le sue perplessità: «Questa amministrazione di centrosinistra ha mandato molti messaggi dimostrando che è interessata a come vive la gente, però poi non ha dato le risposte che ci si aspettava. Sono convinto che essa stia facendo qualcosa per risvegliare questa realtà. I buoni propositi ci sono, non è questo che contesto. Il problema è che sta sparpagliando energie e risorse senza riflettere molto. Io non vedo un disegno e sarebbe bello che in nome della trasparenza e dell’autopromozione del cittadino si facesse vedere bene quello che si vuole e si sta facendo. Non sempre si capisce se l’Amministrazione fa una politica di territorio o una politica nazionale o se invece insegue altri obiettivi. I nostri amministratori non si parlano tra di loro, non si passano informazioni. In occasione di un progetto che investiva due assessorati noi, quando operavamo come gruppo giovanile, ci siamo accorti che questi non comunicavano tra di loro, anche negli aspetti più elementari». «Il sindaco è venuto alla nostra mostra - ricorda una giovane - e ha fatto un bel discorso, però poi non ha più avuto un rapporto diretto con i ragazzi che hanno fatto il progetto. Può sembrare una cosa da nulla impegnare dei ragazzi a fare dei progetti e poi non farsi più vedere, ma in questo modo si consuma la propria credibilità. Rimane nella testa dei ragazzi il fatto che quel loro progetto non è stato apprezzato e realizzato». «Quello che non ho mai capito bene di questa Amministrazione - aggiunge un’operatrice culturale -è la divisione tra l’assessorato alla cultura e l’assessorato all’istruzione. Fino ad ora non era così, le due competenze facevano capo a un solo assessorato. Questa separazione di responsabilità crea di fatto una frattura tra scuola e territorio». Un amministratore pubblico degli anni passati sottolinea come rispetto ai suoi tempi chi attualmente governa Pioltello risulti favorito dalle condizioni economiche più favorevoli. «Le ultime Amministrazioni comunali hanno goduto del fatto che si sono sbloccati gli organici e hanno così potuto assumere personale, cosa che a noi risultava difficile. Poi in Comune ha incominciato a scorrere la lira, i debiti sono stati pagati e si è aperta la possibilità di avere maggiori contributi. Pioltello è cioè diventato più accettabile autonomamente. Oggi si rifà spesso l’asfalto delle strade quando una volta lo si faceva solo a fine legislatura e a scopo politico-elettotale. Altre cose invece non se ne vedono, si spendono soldi a valanghe per il porfido in centri storici che tali non sono. Perché mai buttare via tanti soldi? Pioltello ha invece bisogno di costruirsi un tessuto sociale diverso». «In effetti - asserisce un commerciante impegnato in una commissione comunale come rappresentante del fronte di opposizione - io lo dico sempre a mia moglie, questi stanno lavorando bene, anzi io non so dove vadano a prendere così tanti soldi. Se lo domandano tutti, comunque non sono affatto affari miei. Stanno lavorando e lavorano più degli altri, stanno facendo quello che doveva essere fatto vent’anni fa, quando qui arrivavano sindaci scelti a Milano. Io sono in commissione edilizia e di lotte non ne faccio poi tante perché tutto quel che si fa è regolare. Succede solo che a volte si tengono nascoste certe cose, te le fanno vedere solo per dieci secondi e poi raccontano anche alcune frottole. Se devo esprimere un consiglio agli attuali amministratori direi che devono essere più morbidi e dire sempre la verità. Devono essere più genuini e più democratici. Non devono dare delle risposte da cafoni e da prepotenti». Tabella n.37 Entrate delle Amministrazioni comunali. Pioltello, Cernusco N., Peschiera B., Segrate, Provincia di Milano - 1995 (valori percentuali e assoluti) capacità entrate proprie trasferimenti Stato (1) Regione (2) pressione tributaria (3) Pioltello 39,2 350 17 392,7 Cernusco 16,5 328 28 730,2 Peschiera 15,1 157 4 695,2 Segrate 27,4 160 10 856,0 Prov.Milano 23,4 501 184 715,9 (1) Entrate extratributarie/(entrate tributarire+contribuiti/trasferimenti correnti+entrate extratributarie) x 100 (2) In migliaia di lire - totale trasferimenti/popolazione (3) In migliaia di lire - totale entrate proprie/popolazione Fonte: Regione Lombardia Di tono diverso sono invece le valutazioni che esprime un altro rappresentante del fronte dell’opposizione. «Pur non facendo parte dello schieramento che è al governo di Pioltello, verso alcuni componenti di questa Amministrazione nutro grande rispetto. Di problemi la coalizione di maggioranza ne ha tantissimi e sono problemi che considero di casa loro, poiché ognuno deve guardarsi in casa propria. Questa Amministrazione ha mantenuto la linea che noi abbiamo tracciato nella tornata precedente. Questo stesso colloquio dimostra come sia cambiato il clima politico a Pioltello. L’Amministrazione Torre ha aperto una nuova era, l’Amministrazione De Gaspari l’ha continuata. E quel che io mi auguro è che la prossima Amministrazione, qualunque essa sia, continui su questa strada. Oggi il cittadino si sente rappresentato, si sente tutelato, sa che se ha bisogno di qualcosa oggi trova chi gli risponde con competenza. Questa Amministrazione sta cercando di dare un senso di appartenenza ai cittadini valorizzando le cose positive che esistono. Si tratta comunque di un processo sociologico di lungo periodo». Tabella n.38 Spese delle Amministrazioni comunali. Pioltello, Cernusco N., Peschiera B., Segrate, Provincia di Milano - 1995 (in migliaia di lire per abitante) spesa corrente spesa per investimenti Pioltello 1.143 361 Cernusco 1.217 329 Peschiera 1.000 173 Segrate 1.154 289 Prov.Milano 1.758 1.671 Fonte: Regione Lombardia Un giudizio positivo viene anche dalla rappresentanza sindacale dei dipendenti comunali. «Con questa Amministrazione ci sono state delle novità e loro rispettano totalmente i contratti, si fa concertazione, se c’è un problema lo si affronta fino a trovare la soluzione, naturalmente entro i confini in cui sono stati blindati i contratti del pubblico impiego. Ogni volta che abbiamo sollevato un problema abbiamo sempre trovato la disponibilità ad affrontarlo. Ci ha portato via moltissimo tempo il riordino professionale sul quale la nostra piattaforma è stata accettata solo in parte perché l’Amministrazione comunale ha fatto delle proposte che comunque abbiamo considerato buone. Anche se sono uno che punta spesso i piedi, devo dire di ritenermi soddisfatto. I problemi aperti e più spinosi riguardano la gestione degli asili nido, la gestione del metano e la scarsa considerazione dei dipendenti operai. Un tempo ce n’erano trenta e si facevano molti lavori, ora invece siamo carenti e siamo costretti alla polivalenza. Il servizio del metano dovrebbe andare ai privati, ma per il momento è ancora in gestione nostra e questa incertezza crea problemi di manutenzione. Dal momento che si lavora sempre in emergenza questo servizio comporta anche problemi di sicurezza. Devo confessare che da un po’ di tempo non mi sento tranquillo dal punto di vista della sicurezza nella gestione del metano proprio a causa della scarsità del personale e dell’assenza di precise politiche per il futuro. Si rimedia con la reperibilità dei dipendenti. O il servizio lo si affida a una società pubblica, non certo ai privati che ci speculerebbero, oppure si governa come si deve, cioè con tutte le garanzie di sicurezza del caso. E’ questo un settore strategico e non può essere trattato così alla leggera. Sugli asili nido, infine, noi abbiamo fatto molti accordi che non sono mai stati rispettati, specie sulle sostituzioni. Si è teso solo ad esasperare il personale e si sono pagati dei prezzi in termini di qualità del servizio. A me basterebbe essere sindaco per un sol giorno per risolverlo. Devo dire che un simile problema con la Lega non l’abbiamo avuto; loro volevano chiuderne uno, non ci sono riusciti e l’hanno dovuto tenere, però non hanno scaricato i suoi costi sul personale. Secondo me non c’è solo un problema di qualità del servizio, ci deve essere anche un buon rapporto tra questo personale e il Comune, mentre sul comportamento dell’Amministrazione comunale a riguardo della gestione dei nidi, dal punto di vista sindacale sono molto critico. Questo comunque è l’unico punto di scontro. Di conferenze di servizio noi qui non ne abbiamo mai fatte, i problemi sindacali sono talmente tanti che l’incidere sulla qualità dei servizi diventa impossibile. Se l’iniziativa la prendesse l’Amministrazione comunale sarebbe una buona cosa. Persone in grado di dare dei contributi in questo senso ce ne sono. A volte nelle riunioni noi entriamo nel merito della qualità dei servizi, ma c’è sempre qualcuno che teme si voglia interferire nelle loro proprie competenze. Nell’organico del Comune in questi dieci anni c’è stato un forte ricambio generazionale che è servito moltissimo, ci sono molti giovani che dimostrano tanta volontà e vedono il lavoro come un servizio sociale, poi hanno portato idee nuove e a confronto con il vecchio impiegato che era il classico burocrate questi giovani sono più aperti e dinamici. Quel che devono capire gli amministratori pubblici è che non è giusta e non paga la politica verso il personale che privilegia e premia le 5, 6, 7 persone che vengono erroneamente ritenute decisive nella gestione della macchina comunale, per affidare poi a lunghe ed esasperanti trattative il rispetto dei diritti del resto del personale. Noi dipendenti comunali abbiano una questione salariale che non è stata ancora affrontata ed è sicuramente una questione generale, però da noi è più marcata che altrove. Quando un operaio del Comune fa presente che pur essendo specializzato porta a casa 1.700.000 lire al mese, non può sentirsi dire dal manager ‘perché non te ne vai?’. Questo è un insulto, è il segno della non volontà di volerlo valorizzare visto che l’operaio è uno capace e ci tiene a fare il servizio alla sua città. Il sindaco dovrebbe rendersi disponibile ad ascoltare i lavoratori del Comune, soprattutto quelli che gli sono più distanti». Tabella n.39 Abitanti per ogni dipendente comunale. Pioltello, Cernusco N., Peschiera B., Segrate, Provincia di Milano - 1997 abitanti per ogni dipendente Pioltello 120 Cernusco 145 Peschiera 135 Segrate 143 Prov.Milano 509 Fonte: Regione Lombardia Ma tra i nostri testimoni coloro che si dichiarano soddisfatti dell’operato dell’Amministrazione in carica sono la maggioranza. «Sull’operato di questa Amministrazione comunale mi sento di dare un giudizio nettamente positivo e lo esprimo in base alla conoscenza diretta che per l’attività che svolgo ho avuto nel passato con le precedenti Amministrazioni e in base a ciò che oggi si sta facendo. Queste sono persone che hanno dato un taglio diverso al rapporto con i cittadini. Questa Amministrazione cerca di parlare, di aprirsi, di dialogare con tutti e questo prima non è mai stato fatto, non c’è mai stata una volontà di ascoltare tutti e se non si colgono questi cambiamenti dobbiamo concludere che la politica è fatta per gli affaristi e basta». «Da parte dell’Amministrazione comunale, ultimamente, noi abbiamo trovato un’apertura alle nostre istanze, mentre prima avevamo a che fare con gente che nemmeno era disposta ad ascoltarci». «In questi anni il rapporto con le istituzioni è sempre stato difficile, ma direi che con questa Amministrazione si sta dialogando un po’ di più anche se con estrema difficoltà. C’è purtroppo una minoranza molto attiva che pesa e crea confusione». «L’amministrazione attuale presta più attenzione alle esigenze delle aziende e si dimostra sensibile nel risolvere i problemi che abbiamo». «Pur con alcune riserve e non condividendo scelte come quella del cinema megagalattico, devo dire che l’amministrazione complessiva della città è positiva». «Io sono qui da dieci anni e ho visto un cambiamento notevole. Prima il paese veniva costruito in modo disordinato, mentre ora invece si è incominciato a costruire con un altro criterio. Cercano di rimediare tutti gli spazi come il giardinaggio e il verde». «Un dato positivo che va ascritto a questa Amministrazione comunale è l’impegno a costruire la città non solo come atto formale, che pure è stato realizzato, ma con iniziative tendenti a unire veramente una comunità che vive su un territorio urbanisticamente tagliato a fette dalle infrastrutture e cresciuto storicamente in maniera disordinata». «Stanno cercando di fare uno sforzo per costruire un’identità comune e questo è importante». «Noi siamo soddisfatti, vediamo tanti lavori. Lo spazio che hanno dato ai giardini è enorme, cosa che una volta non si sarebbe neanche potuto immaginare». «In alcune piccole porzioni della città vedo un tentativo di cambiamento, hanno realizzato alcuni percorsi di pista ciclabile e c’è una volontà di recuperare una migliore qualità della vita». «In questi anni sono stati fatti dei miglioramenti importanti come gli interventi scolastici, quelli sociali, quelli ambientalistici e anche se il tessuto di Pioltello non può certo dirsi ancora competitivo, vedo che anche su questo si sta lavorando». «Come preti oggi abbiamo un buon rapporto e con l’Amministrazione ci troviamo almeno due volte l’anno per discutere sulle varie problematiche. Devo dire che c’è sempre stata una buona attenzione sia alla questione giovanile che ai problemi del lavoro e dei bisogni. Noi non ci sentiamo in concorrenza o in alternativa all’intervento pubblico, ma in genere ci si aiuta e ci sono anche dei contributi economici per gli oratori feriali. Credo però che i rapporti possano essere potenziati ancora di più». «Con tutte le Amministrazioni con cui abbiamo avuto a che fare abbiamo trovato delle cose positive e delle cose negative. Devo dire però che ultimamente, in questi ultimi dieciquindici anni, a parte qualche piccolo screzio, i rapporti sono stati e sono ottimi. Siamo soddisfatti, anche se noi cerchiamo di avere sempre qualcosa di più, ma in genere quel che chiediamo lo otteniamo, magari anche litigando e scontrandoci con l’assessore». «La pubblicazione periodica di un giornalino su cui vengono affrontati i problemi di Pioltello, ma dove ci sono anche i nomi e i numeri di telefono degli amministratori pubblici è il segno di una volontà di contatto con la cittadinanza e questo è una buona cosa». E oltre agli apprezzamenti per l’operato vengono espressi anche sentimenti di stima verso le persone. «Pioltello è cresciuta perché ad amministrare hanno messo delle persone più evolute, con una certa cultura. Gente che ha visto come le cose vengono fatte altrove e cercano quindi di mettere in campo le migliori soluzioni». «Pioltello sta migliorando moltissimo e il sindaco sta facendo molto». Persino un amministratore degli anni ‘70 riconosce l’impegno di chi regge il governo: «Il sindaco si è dato da fare, ha battuto i pugni sul tavolo giusto ed è riuscito a garantire una presenza più assidua e costante dei Carabinieri. Ora si vedono circolare più pattuglie. Ai miei tempi il prefetto mi aveva accusato di volermi fare la campagna elettorale con i soldi della Questura». E il riconoscimento viene pure da altre espressioni della società civile. «Sull’ultima vicenda che abbiamo avuto a seguito della ristrutturazione aziendale il sindaco di Pioltello ci è stato vicino e noi abbiamo dei buoni rapporti con il Comune. Pure essendo la nostra azienda insediata per il 90% sul territorio di un altro comune è stata proprio l’Amministrazione di Pioltello a farsi maggiormente viva e a interessarsi intervenendo quando era necessario». «Il sindaco sta facendo anche un’operazione molto intelligente di marketing dimostrando che Pioltello è un comune normale», egli «ha delle buone idee». «Conoscendolo, io ho scoperto che dopo anni di amministrazione non sempre seria, finalmente Pioltello ha un sindaco valido. E questo lo dico come figlio di un sindaco democristiano eletto nel ‘58». 35. Le istanze della società civile Alle critiche che vengono loro rivolte e alle insufficienze lamentate dai cittadini, così rispondono gli amministratori pubblici in carica. «La gestione del piano regolatore è un discorso durato tre anni perché sta per concludersi adesso. Noi abbiamo lavorato solo sugli interessi pubblici, non siamo stati a badare gli interessi di nessuno. Io ho avuto una miriade di pressioni e ho resistito a tutti. Ho prestato attenzione alle proposte condivise dalla maggioranza, è il caso dell’insediamento della multisala, dello spostamento, del supermercato, dell’insediamento nell’area un tempo oggetto di interessi illeciti. Per il resto il criterio è stato quello di riqualificare il territorio, recuperare le aree che potevano essere utilizzare e quindi evitare eventuali espansioni urbanistiche, riducendo gli indici di edificazione per quei comparti che avevano già una destinazione. Siamo giunti alla fine senza accontentare o scontentare nessuno. Abbiamo usato un metro che è stato valido per tutti. Abbiamo coinvolto i cittadini con quattro o cinque assemblee, ma non i proprietari. Ci ha salvato la coerenza. Una volta adottato il piano io non ho voluto saperne di riceve nessuno durante la fase delle osservazioni e delle controdeduzioni. E’ stato il lavoro più faticoso che io non abbia mai affrontato. Forse potevamo fare prima e anche meglio. Alcuni ricorsi sono passati in giudicato e ci hanno messo in qualche difficoltà. Non abbiamo atteso e abbiamo già incominciato a mettere in atto alcune cose che prefiguravano l’impostazione del piano, soprattutto quella della zona della stazione di porta. Il problema della cascina dal tetto diroccato è da mettere in relazione al fatto che qualcuno, nel passato, si è dimenticato di dare la disdetta agli attuali conduttori-affittuari. Si è così creata una situazione indecente che non ci consente di mettere mano a quel manufatto se non passando sotto le forche caudine di chi avrebbe il dovere di porre riparo alla situazione. Come è possibile condurre un fondo se poi gli interessati non lo mantengono in piedi? Con i pochi soldi che gli affittuari versano per quel fondo noi non siamo nemmeno in grado di pagare gli avvocati dal momento che nei confronti dell’Amministrazione comunale questi signori hanno intentato una procedura giudiziaria. Noi abbiamo avanzato diverse proposte per addivenire a una soluzione del problema e alla fine abbiamo mandato la disdetta. Non è possibile che un’amministrazione pubblica venga umiliata da un conduttore, così come non è possibile accettare certe assurde richieste». «Noi in tre anni abbiamo dissodato tutta una serie di terreni, da quello culturale a quello urbanistico e abbiamo fatto la scelta di conservare e di dare valore aggiunto a un’entità percepibile della città. Abbiamo cioè voluto conservare uno stacco geografico tra l’abitato nostro e quello di Segrate e Milano attraverso la destinazione a parco e a verde di certe aree in modo che Pioltello sia riconoscibile come cittadina la quale ha una sua autonomia, una sua peculiarità e quindi una sua identità. Questa identità si fonda sulla diversità, l’identico equivale a essere diverso da e questo è un concetto che abbiamo speso a livello urbanistico, economico e culturale. Poi abbiamo cercato di chiudere questioni di un certo rilievo che si trascinavano da anni. E’ il caso delle costruzioni a San Felice. Ci siamo proposti di chiudere il caso di un contenzioso tangentato vecchio di vent’anni e molto scabroso e ora siamo appunto in fase conclusiva. Abbiamo poi operato per portare qui una sala cinematografica di rilievo regional-nazionale per creare un valore aggiunto sotto il profilo culturale, artistico e dello spettacolo. Abbiamo fatto una convenzione con un’azienda della grande distribuzione per la cessione gratuita all’Amministrazione comunale di un edificio, un supermercato, che diventerà un polo culturale multimediale a servizio non solo di Pioltello ma di tutta la provincia. Dunque, forte volontà politico-amministrativa di costruzione e rafforzamento dell’identità di Pioltello e poi una serie di iniziative di respiro più ampio, non soltanto per persone che da Pioltello vanno fuori, ma anche occasioni per i milanesi, i segratesi, ecc. di venire a Pioltello. La gente che arriva non ci spaventa. Ci si apre se si ha qualcosa di cui si è certi, altrimenti ci si confonde e ci si rinserra in se stessi. Noi non vogliamo la confusione e la chiusura, vogliamo l’apertura». «Nella nostra esperienza ci sono sicuramente da aggiustare tante cose. Il rapporto tra di noi, ad esempio, esige un maggior sforzo di coordinamento. Le nostre iniziative devono essere caratterizzate da una maggiore capacità di elaborazione programmatica. Dobbiamo elaborare meglio alcune linee politiche. I rapporti in giunta sono cordiali e anche amichevoli a livello personale, lasciano invece un po’ a desiderare dal punto di vista della capacità di svolgere un lavoro di équipe. Però come squadra abbiamo funzionato e i risultati sono lì da vedere». «Forse è mancata un’adeguata cultura politica, però occorre ricordare che la Pioltello moderna nasce in condizioni difficili e che ha dovuto tirare le cinghia e pertanto gli investimenti nei servizi sociali, nell’istruzione, nei bisogni di base hanno impegnato grandi risorse». «In questa nostra Amministrazione non c’è una sola persona che sia coinvolta in un qualsiasi scandalo di oggi o di ieri, non ce n’è una sola che abbia avuto una pendenza con la magistratura e dati i precedenti non è cosa di poco conto». «Sono poi da considerare alcune inevitabili difficoltà che noi abbiamo incontrato e incontriamo nell’affrontare i problemi più scottanti. Per esempio, noi abbiamo sei assessorati: urbanistica e territorio, ecologia e tutela ambientale, servizi sociali, cultura, commercio, bilancio e demanio-patrimonio. Nell’impianto istituzionale dell’ente locale materie come quella del lavoro e dell’economia che oggi hanno una grande rilevanza, proprio non trovano posto e nemmeno risorse. Nella sensibilità di chi amministra le istituzioni pubbliche locali quello del lavoro e dello sviluppo è, per tradizione, un tema marginale, affidato agli organi superiori e agli operatori privati. Gli enti locali mancano di una capacità e di una cultura adeguata per intervenire nelle politiche industriali, non hanno una visione organica di questo problema, per non dire dell’assenza di una legislazione a supporto. Se noi pensiamo all’importanza che a Pioltello, ma anche altrove, hanno i processi di riconversione produttiva, le politiche attive del lavoro, la formazione professionale, per citarne solo alcuni, nella determinazione del benessere economico e della qualità della vita, ci rendiamo presto conto di quali siano i limiti del nostro operare. Su questi fronti i Comuni continuano a muoversi dentro gli schemi tradizionali. I modelli di organizzazione e di operatività restano ancora costruiti sul modello dell’esecuzione dei compiti stabiliti dall’alto e non invece su quelli della ricerca, dell’autonomia e del risultato. E questa arretratezza legislativa, politica, culturale pesa, anche perché poi mortifica chi amministra sul piano delle risorse. Il Comune oggi più che mai è chiamato a ricomporre gli interessi che insistono sul proprio territorio. Esso però non può fungere da semplice mediatore, come se fosse una sorta di giudice di pace, di fronte alla complessità sociale e alle priorità che emergono dalla società civile deve avere il coraggio di schierarsi e questo non sempre incontra il consenso generale dei cittadini. Perché in questa sua non facile funzione l’ente pubblico locale possa garantire il conseguimento dell’interesse collettivo senza far sentire penalizzata una parte della comunità, si rende necessario un rapporto stretto, un dialogo continuo con la cittadinanza e con tutti coloro che operano sul suo territorio. E per ottenere questo risultato occorre un sostegno attivo, anche critico, di tutti i soggetti». «Le aziende insediate sul nostro territorio, per esempio, devono fare un passo avanti a livello di coinvolgimento sul piano della cultura d’impresa. Un imprenditore non deve pensare di essere qui a Pioltello solo per sfruttare esclusivamente le risorse esistenti sul territorio, così come si usava fare negli anni ‘60 e’70. Ci deve essere invece anche da parte loro una responsabilità etico-economica che consenta di restituire in proporzione a quanto si riceve, e non solo in termini di tasse». A questo riguardo è il caso di ricordare che sul territorio di Pioltello non solo esistono imprenditori e dirigenti d’azienda che riconoscono in pieno le difficoltà dell’operare di un ente locale nell’epoca della globalizzazione e nel suo doversi rapportare a un sistema economico in profonda modificazione, ma come dimostra l’esperienza di questi ultimi anni, ci sono aziende che hanno già incominciato a farsi carico di significativi interventi di natura socio-culturale. «Purtroppo anche il povero sindaco si scontra inevitabilmente con certe procedure e con delle leggi che non sempre gli permettono di fare ciò che vorrebbe». «Gestire la globalizzazione diventa più facile per il livello amministrativo centrale piuttosto che a livello periferico. Per un ente locale è molto difficile mettere in campo un’adeguata cultura e una capacità tali da poter competere sulle scelte imposte dall’economia e dal mercato». «Il sindaco e gli assessori si trovano spesso ad avere a che fare con una bailàmme di leggi incredibili da gestire e poi anche con rapporti sociali e sindacali estremamente complessi». «Ovviamente, quando il Comune di Pioltello si fa promotore di iniziative intese a favorire sia il suo territorio sia chi opera su di esso, come è il caso nostro, non può che averci al suo fianco, così come del resto è già avvenuto in passato». «Noi ci riteniamo dei protagonisti della realtà locale e se il Comune domani avesse a trovare i modi più idonei per consultare e coinvolgere le imprese in progetti di innalzamento delle capacità competitive di questo territorio, noi siamo interessati ad essere parte attiva». «Quando abbiamo fatto la lunga trattativa che ha portato alla convenzione per l’insediamento di nuovi impianti industriali, la nostra azienda ha proposto l’istituzione di borse di studio per indirizzare i ragazzi alle facoltà tecniche, per premiare i giovani residenti di Pioltello che completano gli studi in ingegneria. Consideriamo questo atto una testimonianza concreta di collaborazione». La disponibilità ad essere parte attiva del processo di cambiamento in atto e dello sforzo che l’ente pubblico sta compiendo per fare di Pioltello una città all’altezza delle attese dei suoi cittadini, trascende la stessa polemica politica e sospinge i vari attori a formulare suggerimenti e proposte che, pur nella loro disorganicità, costituiscono un saggio eloquente del potenziale di intelligenze e di risorse che si annida nella locale società civile. «Chi amministra Pioltello non deve fermare il progresso». «Deve proteggere l’economia locale perché questo consente di garantire alla comunità una qualità della vita superiore». «Deve considerare il proprio territorio come qualcosa di strettamente connesso a tutti gli altri Paesi d’Europa e del mondo. Deve perciò risolvere i problemi di area perché è da questi che ne consegue il successo o meno del nostro fare comune». «Deve considerare l’impresa come un bene da coniugare con le esigenze della collettività e perciò evitare le crociate contro le imprese, specie contro quelle chimiche». «Deve incentivare possibilmente la localizzazione di qualche industria nei dintorni perché qui c’è bisogno di lavoro». « Deve pensare per davvero agli interessi produttivi e valorizzare il lavoro». «Deve andare da quelli del polo chimico e far rispettare i diritti di chi lavora la terra». «Deve garantire una maggiore presenza come ente coordinatore e come soggetto propositivo per tutte le attività commerciali e artigianali». «Deve spingere le aziende a consorziarsi oppure favorire la creazione di strutture di servizi qualificati alle imprese». «Deve mettere a disposizione di chi vuole fare impresa una consulenza legale e amministrativa offrendo così ai giovani l’opportunità di sperimentare progetti di autoimprenditorialità e di verificare la loro capacità di stesura dei business plan». «Deve sfruttare tutte le leggi sulle pari opportunità a favore delle donne». «Deve riunire qualche volta le Rsu per sentire i loro problemi». «Deve essere sempre più vicino alle aziende perché in queste ci lavorano molti cittadini di Pioltello». «Deve creare delle opportunità per il personale che rimane senza posto di lavoro a causa delle crisi aziendali». «Deve coordinare l’intervento delle Asl e delle istituzioni per limitare gli infortuni sui luoghi di lavoro». «Deve saper affrontare il problema della formazione professionale con un progetto globale». «Deve sollecitare le aziende a garantire la formazione continua». «Deve organizzare un corso di formazione per tutti i dipendenti comunali». «Deve mettere in circolo tutte le scuole che esistono sul territorio». «Deve costruire una rete o comunque un coordinamento di tutte le iniziative culturali istituendo una consulta oppure facendo funzionare la biblioteca come un centro di documentazione di tutte le cose che vengono prodotte in loco dal punto di vista culturale». «Deve dare maggiore visibilità alla sua azione a favore degli immigrati stranieri accelerando la costituzione della consulta per l’immigrazione». «Deve promuovere tutte le iniziative possibili per favorire un incontro tra le diverse culture salvaguardando le rispettive identità e trasformandole in una nuova ricchezza per la comunità». «Deve essere disponibile al confronto e al dialogo e affrontare un problema alla volta». «Deve dedicare un anno ai giovani e unificare tutte le forze disponibili per affrontare questo spinoso problema». «Deve prendere in considerazione la presenza a Pioltello degli operatori di strada». «Deve informatizzare certi servizi pubblici e collegarli a Internet in modo che uno possa usufruirne standosene a casa sua e insieme possa esercitare un controllo». «Dovrebbe considerare la possibilità di gemellarsi con qualche comune o provincia di Cuba». «L’Amministrazione comunale deve essere sempre più presenzialista, deve essere presente sul territorio in maniera tale da risultare, come si dice in Inghilterra, un civil servant , stimolando con formule e progetti nuovi la gente, avvicinandola e coinvolgendola». «Un’operazione importante che l’Amministrazione comunale dovrebbe fare è quella di stabilire un dialogo continuo con chi abita e opera a Pioltello. E anche se i cittadini la criticano essa deve essere disponibile al confronto e al dialogo». 36. Considerazione conclusiva Compiendo uno sforzo di estrema sintesi si può concludere che dalla realtà sociale di Pioltello emergono tre precise esigenze le quali risultano tra di loro strettamente intrecciate e interdipendenti ai fini di un loro soddisfacimento. Esse sono: - la generale aspirazione a una maggiore sicurezza economico-sociale e a livelli superiori di qualità della vita; - il conseguimento o la ricomposizione di un’identità collettiva; - la messa in campo di nuove forme di partecipazione e di protagonismo. La condizione per dare una risposta in positivo a queste domande che chiamano in causa, in prima persona, i pubblici poteri è quella di mettere al lavoro in un disegno organico tutti i soggetti che compongono il tessuto economico, sociale e culturale della città. Avendo consapevolezza che: a) per migliorare i livelli di qualità della vita non basta far leva sulle risorse economiche, ma occorre contemporaneamente valorizzare i “saperi” vecchi e nuovi e tutte quelle conoscenze che si trovano diffuse, spesso in modo occulto nella società civile e che costituiscono la sua vera fonte di ricchezza; b) per favorire la crescita di un’identità comune in grado di unificare ciò che oggi appare diviso e contrapposto, occorre saper gestire la complessità che contraddistingue la società moderna e, soprattutto, occorre valorizzare le diversità e sviluppare il confronto tra culture differenti che a Pioltello sono ormai una componente strutturale; c) per dare risposta all’emergente e diffuso bisogno di protagonismo è necessario fare leva sia su quanto ancora rimane delle forme antiche di rappresentanza che su strumenti nuovi di partecipazione che vanno pazientemente ricercati e sperimentati con l’ambizione di esaltare l’autonomia dei singoli stimolando le capacità intellettive e la creatività di ognuno. In sostanza, occorre che venga bandita la retorica, che non siano temute le contrarietà e che la critica sia vissuta come un fattore di crescita collettiva. Di fronte all’inevitabile conflitto di interessi che è destinato a riproporsi in continuazione devono essere messe a punto forme di contrattazione tendenti non già a consolidare le differenze sociali esistenti, bensì a perseguire livelli superiori di giustizia e di progresso sociale. «Il Comune - recita un articolo del suo statuto - garantisce l’effettiva partecipazione democratica di tutti i cittadini all’attività politico-amministrativa, economica e sociale della comunità». Ebbene, gli attori istituzionali e sociali di Pioltello non devono fare altro che rendere concreto questo proposito con il loro quotidiano impegno. Appendice Testimoni privilegiati della ricerca 1) Loris Abate - Dressage cavalli - Cascina Soresina 2) Angelo Agresta - Preside Liceo Machiavelli 3) Marco Anfossi - Dirigente Sodexho 4) Antonio Angioni - Dirigente Air Liquide Italia - Milano 5) Giovanni Appollonio - Vicepresidente Cooperativa Rad 6) Gianmario Arosio - Presidente Croce Verde 7) Edoardo Bai - Medico ASL - Gorgonzola 8) Luigi Baiardi - Commerciante 9) Claudio Bianchi - Direttore Enaip - Melzo 10) Franco Brevini - Consulente Sisas Group - Milano 11) Luciano Brioschi - Titolare Cavicel 12) Terry Brissi - Centro sociale anziani 13) Massimo Brivio - Rsu Antibioticos - Rodano 14) Guido Calcavecchia - Oltrelepagine 15) Pier Giorgio Cimardi - Centro sociale anziani 16) Angela Colombo - Centro sociale anziani 17) Antonello Concas - Democratici di Sinistra - Consigliere comunale 18) Ermanno Consonni - Dirigente Magazzini Generali Milanesi 19) Antonella Conte - Operatrice Centro Lavoro Est Milano 20) Santino Cortellini - Direttore filiale Banca Popolare di Milano 21) Giovanni Cortesi - Direttore Scica - Melzo 22) Roberto Cristofoli - Dirigente Intercond 23) Mario De Gaspari - Sindaco 24) Luigi Dell’Accio - Centro sociale anziani 25) Luigi Fiorentino - Rsu Sisas Group 26) Angela Follia - Lavoratrice atipica 27) Renzo Fossati - Direttore generale Esselunga 28) Antonio Frigerio - Direttore filiale Cariplo 29) Gaetano Gadda - Ras Assicurazioni 30) Lorenzo Gagliardi - Presidente Itam 31) Giovanna Gagliardoni - Lega Ambiente 32) Carla Galbiati - Dressage cavalli - Cascina Soresina 33) Giuseppe Galbiati - Agricola Beta - Milano 34) Egidio Gerli - Commerciante-tipografo 35) Angelo Giovanetti - Direttore Centro formazione professionale - Cernusco Sul Naviglio 36) Antoinette Goussikpe - Immigrata extracomunitaria 37) Paola Indelicato - Adecco - Segrate 38) Antonio Lepore - Cooperativa del popolo di Limito - Consigliere comunale 39) Daniela Lepore - Studentessa 40) Giuliano Maccarini - Dirigente Coes 41) Raffaella Magni - Adecco - Segrate 42) Nicola Mancinelli - Presidente Consulta dello Sport 43) Andrea Margaritora -Dirigente Laboratoires Boiron 44) Marco Marongiu - Centro sociale Antiorario 45) Roberto Mauri - Vicesindaco - Partito Popolare Italiano 46) Albertino Meazzi - Commerciante 47) Alberto Meazzi - Presidente Avis e Associazione del Fante 48) Maria Elena Mejani - Insegnante «150 ore» 49) Franco Menin - Centro sociale anziani 50) Sebastiano Monaco - Rsu Comune 51) Luciano Monti - Centro sociale anziani 52) Laura Negri - Lega Ambiente 53) Antonio Nichetti - Assessore Urbanistica 54) Giancarlo Ornaghi - Dirigente Rotolito Lombarda 55) Mario Palermo - Direttore Centro Lavoro Est Milano - Melzo 56) Don Enrico Parazzoli - Curato Regina Maria e S. Andrea 57) Ruggero Parisio - Presidente Movicoop 58) Pino Pietropaolo - Rsu Sisas Group - Consigliere comunale 59) Fiorenza Pistocchi - Oltrelepagine 60) Ivano Polidori - Rsu Antibioticos - Rodano 61) Renato Polli - La Tecnica 62) Carlo Pozzi - Commercialista, ex sindaco 63) Giovanni Pozzi - Dirigente Esselunga 64) Stefano Recagni - Rsu Rotolito - Cernusco sul Naviglio 65) Roberto Quber - Direttore Antibioticos - Rodano 66) Giovanni Santi - Cascina Castelletto 67) Eugene Sawyerr - Immigrato extracomunitario 68) Michele Sgueglia - Rsu Antibioticos - Rodano 69) Giuliano Spinelli - Rsu Esselunga 70) Alberto Taetti - Assessore - Rifondazione comunista 71) Don Felice Terreni - Parroco di Seggiano 72) Mario Trivillin - Lega Nord - Consigliere comunale 73) Andrea Vaglio - Centro sociale anziani 74) Stijn Vanspauwen - Direttore Fox Kinepolis 75) Caterina Villa Bianchi - Antico Albergo 76) Giuseppe Vitali - Unione Commercio - Melzo 77) Enrico Zamproni - Rsu Rotolito - Cernusco sul Naviglio 78) Angelo Zanini - Contadino in pensione Bibliografia - A colpo d’occhio su... - Ivan Cortesi - Centro Lavoro Est Milano - Analisi sociologica di Comunità: Pioltello - Danilo Marzona - 1972 - Annuario statistico regionale 1999 - Regione Lombardia-Unioncamere-Istat - Bozza di progetto del Coordinamento Interparrochiale di Pioltello - 2000 - Domanda e Offerta di Lavoro Dipendente - 1991-1996 - Provincia di Milano - Enrico Toti 4 - F. Brevini - Sisas Group - 1997 - Excelsior. Sistema informativo sull’occupazione e la formazione - Lombardia 1997 - I diversi modelli di localizzazione delle imprese nel territorio provinciale: dinamiche e caratteristiche. Una proposta metodologica ed esemplificativa di ricerca sull’area campione del Distretto di Melzo - 1994 - Il mercato del lavoro lombardo nella transizione postfordista - V Moioli - Cgil Lombardia - 2000 - Indagine sul lavoro interinale in Lombardia - Unioncamere - Ottobre 1996 - Insegnare e apprendere verso la società conoscitiva - Commissione europea 1996 - Laboratori Territoriali - Competizione e Leadership nella Questione Settentrionale - Cnel - 1996 - La nuova fascia industriale di Milano - Banca Popolare di Milano - Nuova Mercurio - 1962 - La società del rischio. Vulnerabilità ed esclusione sociale lombarda - C. Ranci Irer - Guerini e Associati - 1997 - Lavoro e sviluppo in Lombardia - Confindustria Federlombardia - 1999 - Lavoro temporaneo: bilancio e prospettive - Adecco/Cesri-Luiss-Ismo - 1999 - Le modificazioni nel lavoro e nuovi atteggiamenti dei cittadini lombardi - Irer-Ires Lombardia - 1997 - L’occupazione in Lombardia - G.Giorgetti e R. Romano - Ufficio Studi Cgil Lombardia - 1999 - Lombardia: le infrastrutture per il lavoro, la formazione e l’occupazione Confindustria Federlombardia - 1999 - Monitoraggio dei servizi all’impiego in Lombardia - a cura della Regione Lombardia - marzo 1998 - Nota informativa sull’andamento del mercato del lavoro nella provincia di Milano I° Trimestre 1999 - Provincia di Milano - Nota informativa sull’andamento del mercato del lavoro nella provincia di Milano I° Trimestre 2000 - Provincia di Milano - Opinioni e atteggiamenti verso gli immigrati in Lombardia - Ricerca Irer-Ispo 1998 - Osservatorio sui lavoratori della Turati Lombardi S.p.a. - Comune di Trezzo sull’Adda/Centro Lavoro Est Milano - Pioltello. Storie di lavoro nella grande Milano - S. Malpezzi, A.Pettinelli e C.Assi - Editrice la Martesana - 1998 - Quaderni di storia e tradizioni locali: La vera storia del Palazzo Opizzoni Comune di Pioltello - Ottobre 1998 - Quaderni di storia e tradizioni locali: La sicurezza a partire dalle realtà locali Comune di Pioltello - Febbraio 2000 - Quaderni di storia e tradizioni locali: 1943-1945 - La Resistenza a Pioltello Comune di Pioltello - Aprile 2000 - Quaderni di storia e tradizioni locali: Il Satellite di Pioltello. Alla ricerca delle origini - Comune di Pioltello - Settembre 2000 - Rapporto sul mercato del lavoro in Lombardia a fine anni ‘90 - Regione Lombardia-Irs - 1999 - Report attività 1999-2000 - Centro Lavoro Est Milano - Rapporto sul Mercato del Lavoro nella provincia di Milano - 1998 - Provincia di Milano - Screening sugli iscritti alle liste di collocamento - Scica di Melzo e Cassano d’Adda - Febbraio 1999 - Un’informazione continua sulle imprese, il lavoro e il territorio. I diversi modelli di localizzazione: il distretto di Melzo - Regione Lombardia-Unioncamere - 1994 - Un modello previsivo del mercato del lavoro in Lombardia. Alcuni scenari al 2002 - Regione Lombardia - Un progetto per Pioltello. Considerazioni sparse su quattro anni di vita amministrativa M.De Gaspari - 2000