Libertà di matita per Forattini Le nostre missioni
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Libertà di matita per Forattini Le nostre missioni
Anno IV - Numero 2 Settimanale della Scuola Superiore di Giornalismo della Luiss Guido Carli Reporter 15 Ottobre 2010 nuovo La polemica Libertà di matita per Forattini Afghanistan Le nostre missioni (quasi) compiute Gamberale L’uomo che fa lievitare le aziende Supermamme «Felici di vivere con 12 figli» L’UE: FERMIAMO QUESTE STRAGI OGNI ANNO IN EUROPA 35 MILA VITTIME. LʼOBIETTIVO: DIMEZZARLE ENTRO IL 2020 Politica Il 14 dicembre la Consulta deciderà sul legittimo impedimento. Il ministro al Colle con la proposta di riforma Tra Fini e il Cav è pace armata Bongiorno e Ghedini trattano sul lodo Alfano, ma Fini avverte: «Niente sconti» Jacopo Matano Che abbia o non abbia detto «niente colpi di spugna sui processi», la sostanza non cambia. Le frasi attribuite mercoledì scorso a Gianfranco Fini durante un incontro con i quatto eurodeputati neo-iscritti a Fli, poi smentite dal portavoce del presidente della Camera, sono il termometro dell’attuale situazione politica. Perché il vero ago della bilancia, nelle prossime settimane, sarà proprio la Giustizia: un salvifico nodo politico su cui ricucire la convivenza à deux con Silvio Berlusconi, o un tragico nodo scorsoio per archiviare l’esistenza della maggioranza di governo. La settimana di fuoco sulla giustizia è iniziata martedì, con l’intervento del presidente della Repubblica Napolitano sulla durata dei processi. Il capo dello Stato, in un messaggio invato all’Associazione Interbancaria Italiana in occasione di un incontro sulla “giustizia elettronica”, ha invitato il mondo politico a compiere «scelte coraggiose» per dare «piena attuazione» ai principi costituzionali del giusto processo. «Serve uno scatto di efficienza che il paese attende da tempo», ha detto Napolitano, non risparmiando parole incisive sull’eccessiva durata dei giudizi, che «mina la fi- DIALOGO Prove tecniche di intesa tra il capo del Governo e il presidente della Camera sulla giustizia ducia dei cittadini nella giustizia e compromette anche la capacità competitiva del nostro Paese sul piano economico». Uno “stop ai duri e puri di Fli”, come hanno azzardato alcuni quotidiani vicini al Pdl? Un fatto c’è: sotto gli auspici del Quirinale, le due componenti del centrodestra hanno raggiunto mercoledì un importante accordo sulla questione delicata delle nomine delle commissioni di Camera e Senato. Consentendo la riconferma agli Affari Costituzionali di Palazzo Madama del berlusconiano Carlo Vizzini (alle prese fin da subito con un parziale stop al- l’esame sul lodo Alfano costituzionale, rinviato a martedì prossimo dopo che solo 4 dei 130 emendamenti erano stati votati), e della finiana Giulia Bongiorno in commissione Giustizia alla Camera, riaffermata con plauso bipartisan. Sarà proprio l’avvocato Bongiorno - accreditato emissario di Fini sulla giustizia - a esaminare il dossier sulle proposte in tema di giustizia assieme al collega Nicolò Ghedini, legale del presidente del Consiglio. Un dialogo che esclude la componente dei colonnelli ex-An e che scatena più di un mal di pancia, tan- to da far pensare (i più fantasiosi) al timore per che Berlusconi abbia in mente di far cadere qualche testa sgradita alla terza carica dello Stato come trofeo di pace, oppure (i più realistici) che voglia riconfigurare i rapporti interni alla maggioranza in vista di una modifica alla legge elettorale. Ipotesi a parte, i malumori hanno spinto Ignazio La Russa a non escludere la possibilità che gli ex colonnelli (il ministro stesso, Maurizio Gasparri e Gianni Alemanno in testa) costituiscano gruppi esterni al Pdl, mentre il capogruppo al Senato ha colto l’occasione per ironizzare sulle molte pre- senze di Ghedini alla trasmissione Anno Zero condotta da Michele Santoro («Ha la sindrome di Stoccolma, simpatizza per colui che lo imprigiona»). Blindati dai rumors e dalle polemiche, gli ambasciatori Ghedini e Bongiorno starebbero studiando le carte per ripartire dal lodo Alfano. Ma stavolta lo scudo per le più alte cariche dello Stato, già bocciato un anno fa dalla Corte Costituzionale, potrebbe avere una marcia in più. All’interno della bozza della riforma della giustizia presentata dal ministro della Giustizia Angelino Alfano al Quirinale giovedì scorso, infatti, oltre alla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri e la creazione di due distinti Csm, ci sarebbe anche l’ipotesi di un provvedimento per alzare a due terzi il quorum richiesto nelle votazioni della Consulta: un espediente per tutelare i provvedimenti del Governo dal giudizio dei giudici costituzionali, di cui Berlusconi non si fida. Ma il tempo, per il Cavaliere, stringe. I togati di palazzo Marescialli, infatti, si dovranno pronunciare sul legittimo impedimento, lo scudo provvisorio che lo tiene lontano dai processi. Almeno fino al 14 dicembre, giorno del “giudizio”. Colloquio con Franco Bevilacqua sulle diverse incarnazioni del vignettista Libertà di matita per Forattini Marco Maimeri Quattro esponenti della Banda Bassotti con casacche rosse e i nomi di testate come Repubblica, Espresso, Unità e Fatto Quotidiano. Questa la vignetta in prima pagina sul Giornale per commentare l’uscita del dossier Marcegaglia. Autore, Giorgio Forattini. Non è la prima volta che il vignettista se la prende con i suoi ex compagni di Repubblica e L’Espresso. Ne abbiamo parlato con Franco Bevilacqua, suo amico e collega in queste testate. «Non condivido le sue scelte politiche attuali ma c’è una giustificazione nel suo furore contro la sinistra, in particolare contro il Pd, ex Pci», spiega l’art director che ancora si dedica a grafica e pittura, dopo aver contribuito alla creazione di Repubblica e alla ristrutturazione dei principali quotidiani italiani. «La satira in Italia funziona solo se politicamente corretta, ovvero 2 15 Ottobre 2010 se è di sinistra. Questa egemonia culturale ha creato un limite lesivo alla libertà di critica. Le vignette che fa ora non mi piacciono più ma le metto nel solco di una satira libera: in un paese democratico si deve poter far satira sia come Vauro o Altan sia come Forattini». D’Alema lo querelò personalmente per 3 miliardi di lire, se ne lavò le mani dimenticandosi di essere responsabile di ogni cosa pubblicata. Infuriato, Forattini si licenziò e D’Alema ritirò la querela. Da allora Forattini è diventato un feroce anticomunista e ha abbracciato la Ha il coraggio di esporsi e rischiare in proprio dopo aver lasciato Repubblica che aveva contribuito a far nascere Cosa porta oggi Forattini ad attaccare la sinistra? «Il problema nacque quando realizzò vignette feroci contro il pensiero di sinistra. Non si poteva ipotizzare che il Pci prendesse soldi dall’Urss, lui lo fece e fu querelato. Panorama e Mondadori pagarono mentre Repubblica, o meglio il direttore Ezio Mauro, quando Forattini realizzò la famosa vignetta sulla lista Mitrokhin e tesi secondo cui Berlusconi sarebbe oggetto di una campagna giudiziaria con la complicità di Repubblica, per lui un giornale di partito». Le sue vignette sono figlie di un mutamento politico? «E’ sempre stato un innovatore e un liberale. Il boom l’ha avuto a Paese Sera quando ci fu la battaglia per il divorzio. All’epoca, anche per una particolare situazione fa- miliare, realizzò vignette incisive e fu cooptato dai radicali, passando per radicale, e, dato che collaborava con Paese Sera, per comunista. Spostatosi alla Repubblica, grazie alla lungimiranza di Scalfari, fece vignette come Spadolini nudo, La Malfa tartaruga, Berlinguer in vestaglia, e visse un periodo di rara creatività. All’epoca la satira era libera ed equidistante: si poteva prendere in giro il Papa, Berlinguer, Rumor, Andreotti. E Scalfari lasciava fare. Dopo l’affaire D’Alema, si è incarognito, è diventato più becero e meno raffinato, ma non è una cosa scandalosa: lo scandalo è dire che siccome ora è di destra, non può più fare vignette. Certo, le sue vignette infastidiscono, però ci vuole anche un controcanto: il pensiero unico mi spaventa». Lo ritiene un vignettista ancora in grado di castigare i costumi? «Continua a fare il suo lavoro, porta avanti una batta- SATIRA Ecco la vignetta del Giornale che ha fatto discutere glia personale, con un’accentazione a volte esagerata ma almeno ha il coraggio di esporsi e rischiare in proprio. Paradossalmente, dopo la vicenda D’Alema, gli è stata preclusa la possibilità di lavorare con Repubblica e Stampa e non ha trovato più posto neanche in giornali di destra. Le onerose cause civili che si intentano ora contro i vignettisti “scomodi” lo hanno reso ancora più sgradito. Molti direttori hanno paura di lui: le sue vignette sono for- ti e pericolose, a rischio querela, e i costi, in caso di sconfitta, andrebbero pagati o dal giornale o scaricati su lui, come fece Ezio Mauro. Perciò ora Forattini è senza giornale: le vignette sul Giornale, che io sappia, sono gratuite, lui le manda, loro le pubblicano ma senza un contratto fisso. L’Italia è un paese in cui la stampa, non navigando in acque tranquille, ha troppa paura di querele e richieste danni per consentire una satira libera». Reporter nuovo Primo Piano L’Afghanistan costa 675 milioni solo quest’anno. Diminuiscono i fondi per le altre attività Le nostre missioni (quasi) compiute Crosetto: «A Kabul si chiude il cerchio, ma per il ritiro serve stabilità» Stavolta “San Lince”, come lo chiamano affettuosamente i militari, non è riuscito a proteggere i soldati italiani in Afghanistan. A dilaniare il blindato, lasciando sul campo i quattro alpini della brigata Julia, un ordigno improvvisato appostato dai talebani sul ciglio di una strada sterrata nella zona est della provincia di Farah. Ma se in Afghanistan gli italiani af“Una vis”, recita il motto delle forze armate. Una sola, grande, forza per le 33 missioni che impegnano l’Italia e i suoi 9.300 militari dislocati in ventuno paesi del mondo, da Cipro ai balcani, dall’Albania all’India. Più di un terzo delle risorse richiede soltanto l’Afghanistan: 3.950 uomini, un numero destinato ad aumentare ancora su richiesta della Nato. «La domanda è collegata alla exit strategy, che prevede un passaggio graduale di consegne alla polizia e all’esercito afgano delle zone che le forze della coalizione stanno aiutando a controllare», spiega il sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto a Reporter Nuovo. E il passaggio di consegne, soggetto alla stabilità del governo di Karzai e alle sue forze sul campo, rende il ritiro di tutte le truppe straniere entro un anno una missione impossibile. «La strategia della Nato che prevedeva il ritiro entro il 2011 verrà rivista a novembre», ammette il sottosegretario, ottimista sulla soluzione del conflitto: «L’esercito regolare afgano è in formazione, le forze di polizia locali sono rafforzate, le scuole sono riaperte e la partecipazione alle elezioni è sempre più alta, si sta chiudendo il cerchio aperto nove anni fa, si sta ricostruendo un paese che non è quello che i talebani volevano». Che i talebani non lo volessero, è apparso evidente negli ultimi mesi. Dall’inizio dell’anno il conto delle vittime della coalizione ha già superato le cinquecento: una scia di attentati - l’ultimo sempre ai danni degli italiani a soli quattro giorni dalla tragica morte degli alpini - compiuti per la maggior parte con ordigni piazzati ai lati della strada, attentati che Crosetto spiega così: «Le forze della coalizione si avvicinano sempre più ai posti che sono rimasti nelle mani dei talebani e dove sono concentrati, specialmente nel sud. Questo provoca un loro spostamento nell’area e rende il nostro comando occidentale un’area di cerniera». Reporter nuovo frontano le insidie dell’insorgenza, in Italia la politica è alle prese con un impiego di uomini sempre maggiore, e con le polemiche legate alla proposta del ministro della Difesa Ignazio La Russa di armare i caccia italiani con delle bombe. Con un occhio alle tante altre missioni di peacekeeping, peace-enforcing, addestramento e attività umanitarie, dove i nostri soldati esportano il modello della “mano tesa” (copiato, giurano alla Difesa, anche dagli Stati Uniti), e alle risorse destinate al finanziamento di questo impegno, eroso sempre più dall’ “avventura” di Kabul. A parlare con Reporter Nuovo di exit strategy dall’Afghanistan e delle altre attività delle forze armate nel mondo è il sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto. NEL MONDO La mappa delle missioni italiane all’estero e il sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto Nell’impegno italiano all’estero non ci sono solo Kabul, Farah e Herat. Pattugliamento dei confini, assistenza umanitaria, addestramento delle polizie locali: nella lista delle attività internazionali rese ufficiali dalla Difesa c’è spazio per molti tipi di attività. Ma a farla da padrone, nel conto economico, è sempre e solo l’Afghanistan. Dei quasi sei miliardi di euro che l’Italia ha speso per le missioni all’estero dal 2005 ad oggi, poco meno della metà li ha richiesti l’impegno di “Isaf”. Una bolletta in crescita: per il 2010 Camera e Senato hanno dato un via libera quasi bipartisan a una spesa complessiva di 675 milioni di euro, 75 in più rispetto al 2009. E hanno frenato le altre spese, complice anche il fatto che in alcuni dei teatri in cui gli italiani svolgono peacekeeping, supporto umanitario o legale la situazione è in via di stabilizzazione. In Kosovo, ad esempio, il nostro paese schiera 1.400 unità tra soldati e personale per le missioni Kfor (su mandato Onu-Nato) e Eulex (su mandato europeo). Ma la presenza si dimezzerà, e i fondi diminuiranno drasticamente: “solo” 59 milioni di euro per il secondo semestre di quest’anno, contro i 71 milioni del primo semestre . «Il Kosovo non è più la regione che abbiamo trovato quando ce ne siamo andati», afferma Crosetto, che mette comunque in guardia sulla necessità di continuare a vigilare sui conflitti etnici. Spese in calo anche in Iraq, dove le risorse per le attività di addestramento delle forze armate irachene da parte dei nostri ottanta militari scendono dai 5,4 milioni del primo semestre ai 3,9 del secondo semestre. E in Libano, dove sotto i vessilli dell’Onu l’Italia funge da forza di interposizione tra hezbollah e Israele, con un disimpegno di almeno 41 milioni di euro. Ma nel paese dei cedri il rischio rimane alto: «La situazione è di relativa tranquillità fin quando regge la non belligeranza tra Hezbollah e Israele. Il giorno in cui degenerasse, per i nostri militari non ci sarebbe posto peggiore in cui stare». Tra le missioni ancora “calde”, spicca quella di pattugliamento anti-pirateria nelle acque della Somalia, dove l’Italia opera nel quadro delle due missioni Ocean Shield (Nato) e Atalanta (Ue) e dove passano il 70 per cento dei traffici commerciali diretti a occidente. «La Somalia sarà uno dei teatri importanti per l’impegno italiano dei prossimi anni», promette Crosetto. Con un monito. «Le nazioni unite decisero di andarsene da questo paese troppo presto, quando si pensa di poter abbandonare un conflitto occorre pensare alle conseguenze». Nel dibattito sugli armamenti dell’aeronautica c’è un’altra idea Quando la guerra bussa alle porte, la politica deve rispondere. Nei palazzi di Roma l’idea del ministro della Difesa La Russa di armare i Tornado italiani con le “bombe intelligenti” ha già scatenato un ampia polemica. Questa settimana il ministro, riferendo alle Camere sull’attentato contro gli alpini, ha annunciato di voler rimettere la decisione al Parlamento dopo il vertice Nato. Ma la battaglia si preannuncia dura. Sulle barricate è il Partito Democratico, che ritiene «non opportuno» l’impiego delle bombe sui velivoli tricolori, mentre Nichi Vendola e Antonio Di Pietro tornano a chiedere il ritiro dall’Afghanistan (l’Idv è la sola for- Minniti: «Aerei teleguidati anziché bombe sui caccia» za politica a non aver votato il rifinanziamento della missione), e l’Udc chiede un’«assunzione di responsabilità» sulla missione da parte del governo. Ma a una settimana di distanza dal tragico attentato di Farah, c’è chi mette in guardia contro la possibilità che il dibattito sulle bombe sia un fuoco di paglia. E’ Marco Minniti, ex sottosegretario alla difesa del governo Prodi e oggi presidente della fondazione Icsa, che a Reporter Nuovo spiega la sua visione. «Il problema vero non riguarda gli aerei di cui parlano in Parlamento» spiega il parlamentare, rimandando a un dossier sugli armamenti pubblicato dalla sua fondazione qualche mese fa. «I caccia Amx non vengono impegnati a fondo nel teatro afgano, visto che sarebbero costretti a volare a quote troppo basse e ad esporsi al fuoco nemico». Pagina a cura di Jacopo Matano Inoltre, «non sono stati progettati per avere un puntamento per le proprie bombe», e pur aggiungendo gli strumenti necessari «c’è il rischio di un range di errore di 2-3 km». «Bisognerebbe armare, piuttosto, gli aerei a controllo remoto, che sono più efficaci, economici e sicuri», propone il deputato, spiegando come l’Italia sia l’unico paese della coalizione a utilizzare dei “Predator” privi di armi. Per Minniti, l’armamento degli aerei radioguidati rappresenterebbe una «postazione avanzata di difesa», senza rischi per il dettato costituzionale, che invece sarebbero rappresentati dalle bombe sganciate dall’alto. Era stato, d’altronde, lo stesso La Russa ad escludere l’utilizzo delle bombe. In un dibattito alla Camera, il 28 luglio 2009, il ministro aveva detto: «Con le bombe vi è un rischio, minimo mi dicono, ma vi è un rischio di colpire soggetti estranei all’attacco. Un rischio che non vogliamo correre». Il rischio, probabilmente, non si correrà. Anche perché sulla questione è piombato mercoledì scorso il niet di Bossi: «Meglio i soldi alla ricerca che per alle bombe sugli aerei». 15 Ottobre 2010 3 Mondo La proposta della destra di Lieberman divide la stampa e il governo. Critiche Ue e Chiesa Israele, Stato ebraico? È polemica Anche i neo-cittadini arabi dovrebbero riconoscerlo giurando fedeltà Davide Maggiore Il suo partito si chiama Israel Beitenu, Israele casa nostra. E Avigdor Lieberman, ministro degli Esteri di Tel Aviv, evidentemente, crede molto a questo slogan. Tanto da essere il grande sponsor dell’ultima controversa iniziativa sulla cittadinanza licenziata dal governo israeliano con la firma del primo ministro Netanyahu in persona, ma non ancora approvata in Parlamento. Secondo la proposta di legge chiunque richiederà d’ora in poi la nazionalità locale dovrà giurare fedeltà allo Stato “democratico ed ebraico”, e non solo allo “Stato” come in precedenza. La proposta dell’incendiario ministro di estrema destra sembra a prima vista l’idea di un Bossi mediorientale. Ma gli stranieri non ebrei che chiedono la nazionalità israeliana sono molto pochi. Con un’eccezione: gli arabi, soprattutto palestinesi, che la acquisiscono ad esempio per matrimonio con un cittadino. Per Lieberman è questa la posta in gioco: lui la definisce «lealtà allo Stato». Alludendo in modo trasparente al milione e mezzo circa di arabi di nazionalità israeliana (un quinto della popolazione del Paese) che Israel Beitenu aveva duramente attaccato in campagna elettorale mettendo in dubbio la loro fedeltà. Una linea che aveva fatto dell’ultradestra il terzo partito in Parlamento, decisivo per la formazione del governo Netanyahu. E pronto a MINISTRO Avigdor Lieberman (a lato), titolare degli Esteri. A sinistra coloni di un insediamento israeliano in Cisgiordania passare all’incasso. Quando il momento è arrivato, il premier ha infatti appoggiato Lieberman, definendo Israele uno Stato «in cui tutti i cittadini hanno uguali diritti», ma anche la patria «del popolo ebraico». Chi vi si unisce, ha concluso, dovrà riconoscerlo. Non sarà il caso, per il momento, degli immigrati di religione ebraica, che per la cosiddetta “legge del ritorno” ottengono quasi auto- GLI ALTRI OSTACOLI ALLA PACE Non solo gli aspiranti cittadini, secondo Benjamin Netanyahu, dovranno riconoscere Israele come Stato ebraico. Un’analoga richiesta è stata fatta dal premier all’Autorità nazionale palestinese, offrendo in cambio il blocco (per due o tre mesi) delle nuove costruzioni in Cisgordania. Proposta rifiutata dalla leadership di Ramallah, secondo cui le due questioni vanno tenute separate. Ma anche in caso di un improbabile accordo, a creare difficoltà a Netanyahu sarebbero i circa 280 mila coloni, attestati su posizioni fortemente nazionalistiche e già critici della precedente moratoria di dieci mesi scaduta a fine settembre. Gli insediamenti, la cui legalità è sostenuta da Israele ma contestata al- maticamente la cittadinanza o degli arabo-israeliani dallo status ormai acquisito. Ma tutti gli altri dovranno pronunciare quelle parole, stato ebraico, tabù anche per i governi della regione. Come quello del I nodi: colonie Gerusalemme Muro e rifugiati l’estero, sono però solo uno degli ostacoli all’infinito processo di pace. Gerusalemme (Al-Quds in arabo), è contesa per ragioni religiose e politiche: Israele la considera (contro la comunità internazionale) sua capitale «storica e indivisibile», i palestinesi ne rivendicano allo stesso scopo la parte orientale a maggioranza araba, definita «territorio occupato», e controllata dalla Giordania fino al 1967. presidente siriano Bashar el-Assad, che ha parlato addirittura di «fascismo», mentre la Lega araba ha denunciato l’«integrazione forzata» dei palestinesi in Israele. E anche l’Unione Europea ha invitato Dividono anche i 790 chilometri (406 già costruiti) del Muro, la barriera di confine costruita da Israele. Che ingloba però, oltre a Gerusalemme, anche alcune colonie e l’otto per cento circa della Cisgiordania, isolando completamente alcuni villaggi palestinesi. Ultimo e intricato nodo, quello dei rifugiati palestinesi. Dal 1948 sono aumentati di numero, fino a raggiungere (secondo l’Onu) circa 4 milioni 800 mila, sparsi tra Libano, Giordania, Siria e i territori del futuro Stato palestinese. Un loro rientro in massa modificherebbe i rapporti di forza della regione, motivo per cui Israele nega il “diritto al ritorno” rivendicato dagli arabi. Israele a garantire i pari diritti di tutti i suoi cittadini, ebrei e musulmani. Ancor più netta la Chiesa: il patriarca copto cattolico di Alessandria, Antonios Naguib, dal sinodo sul Medio Oriente ha ripreso le parole di papa Benedetto XVI sulla necessità di «pace e giustizia» per la regione. Definendo la proposta israeliana «una contraddizione» rispetto ai principi democratici enunciati dallo Stato. Lo stesso governo israeliano è stato tutt’altro che compatto: 22 i ministri favorevoli alla bozza, otto i contrari, cinque del partito laburista e tre del Likud di Netanyahu. Altrettanto divisa la stampa: linea dura per il conservatore Jerusalem Post, per cui la legge è addirittura «un passo modesto» per affermare l’ebraicità di Israele. Diversa è la posizione dei liberal di Haaretz: il provvedimento evidenzia «un odio dei valori liberali», e Lieberman vuole «umiliare» gli arabi. E anche il diffusissimo Yedioth Ahronoth, di destra, dà spazio a voci critiche. Come quella di Ahmad Tibi, parlamentare arabo-israeliano che denuncia un «progetto graduale di pulizia etnica per cacciare più arabi possibile da Israele». Anche l’editorialista Dov Weissglass parla di decisione «impropria» e «ridicola». È incerto se le polemiche basteranno a fermare la determinazione di Netanyahu e Lieberman, ma, se giuramento ci sarà, la convivenza in Israele rischia di farsi sempre più difficile. I mille anni di Hanoi. Con Pietro Masina, il punto sulla realtà del paese Luci e ombre del Vietnam in festa Andrea Pala LA FESTA Fuochi d’artificio e spettacoli ad Hanoi 4 15 Ottobre 2010 Il Vietnam festeggia il primo millennio di Hanoi, la capitale del paese. Tante le iniziative organizzate dal governo per celebrare l’evento. Il momento più importante dei festeggiamenti è stato il festival “Hanoi, un cielo di pace”, con centinaia di aquiloni che hanno invaso le strade della capitale, riempiendo di luci e colori la città. La festa è però l’occasione per riflettere su se e come il paese si è trasformato in questi ultimi 35 anni. «Il Vietnam – spiega Pietro Masina, docente di economia e politiche dello sviluppo dell’Università degli studi di Napoli L’Orientale - è uno dei paesi che, in questi anni, ha ridotto di più la povertà e sta vivendo un periodo di forte crescita e stabilità economica». Il Vietnam resta un paese povero, ma si sta integrando pienamente nell’economia internazionale. «Dal 2006 – dice il professore – la nazione è entrata a far parte della WTO e si stanno compiendo importanti passi avanti nella riduzione della povertà. È in atto uno spostamento di produzione dalla Cina verso il Vietnam, perché qui il costo del lavoro è più basso, ma sono in aumento le disuguaglianze fra le diverse fasce della popolazione». Dall’unificazione a oggi molte cose sono cambiate nel rapporto fra il nord e il sud del paese, un tempo divisi. «Oggi – analizza Masina - stanno lentamente scomparendo le differenze tra sud più economicamente vivace e nord centro amministrativo. Anche la zona di Hanoi, infatti, sta vivendo un periodo di forte crescita economica». I paesi occidentali, Stati Uniti in testa, hanno compreso l’importanza del Vietnam nell’area. Per questo motivo hanno riallacciato negli ultimi quindici anni i rapporti diplomatici con il Vietnam. Il paese, infatti, è fondamentale per arginare la Cina, che detiene il dominio politico ed economico su tutta l’area. Nell’immediato futuro, secondo il professor Masina, la leadership politica vietnamita dovrà affrontare tre questioni importanti: due economiche e una politica. «Oggi il paese è nettamente in vantaggio nella produzione di beni che necessitano di manodopera. Nei prossimi anni, si vedrà se il Vietnam sarà in grado di sviluppare una produzione di beni tecnologici a più alto valore aggiunto e se saranno colmate le profonde differenze esistenti all’interno del paese e fra i diversi ceti sociali. Il paese è politicamente molto solido, forse quello con il più elevato grado di stabilità nella regione. Sono presenti a livello sociale delle richieste per un maggiore pluralismo politico, ma sono molto blande. Sono invece presenti forti spinte popolari verso una maggiore lotta alla corruzione». Reporter nuovo Economia Convegno Aniem a Roma sulla piccola e media impresa: quali opportunità per tornare a crescere Solo insieme le pmi si salveranno Sempre meno bandi per appalti pubblici. L’esperto «Ora creare una lobby» Federica Ionta Cogliere il cambiamento nel rapporto con la pubblica amministrazione ma allo stesso tempo ottenere migliori condizioni di accesso al credito e una revisione del sistema di gare. Sono queste le sfide che la piccola e media impresa italiana, oltre il 99 per cento del tessuto imprenditoriale, si troverà ad affrontare nel prossimo futuro. «Il ruolo delle pmi è cambiato», spiega il presidente dell’Associazione nazionale delle imprese edili e manufatturiere Dino Piacentini, ospite a Roma del convegno “Ritornare a crescere: internazionalizzazione e reti d’impresa”. «Il settore pubblico, che è e rimane il nostro principale interlocutore, si è progressivamente disimpegnato nella gestione delle opere pubbliche, lasciando spazio ai soggetti privati». In questo senso, i numeri parlano chiaro: nei primi otto mesi del 2010 i bandi rivolti a partenariati pubblico-privati sono cresciuti del 62 per cento. Ma per le piccole e medie imprese non si tratta necessariamente di un dato positivo. «La tendenza è quella della diminuzione massiccia dei lavori sotto i 500 mila euro mentre cresce il nu- MICRO e piccole imprese: il 99,7 per cento delle aziende operanti nel settore delle costruzioni ha meno di 50 addetti (dati Istat 2008). Nella quasi totalità dei casi si tratta di attività a gestione familiare mero di bandi che superano i 100 milioni e sono tecnologicamente più complessi». Appalti, cioè, che vedono le grandi imprese del settore edilizio meglio qualificate e quindi avvantaggiate. Si pensi ai progetti, in gran parte realizzati in project financing, per l’ampliamento delle linee della metropoli- tana di Roma su cui lavorano i grandi dell’edilizia italiana, da Astaldi a Vianini, da Lega Cooperative ad Ansaldo. Come possono le piccole e micro imprese – il 99,7 per cento delle aziende italiane di costruzioni è nella classe con meno di 50 addetti (Istat 2008) – adattarsi a questo scenario in evoluzione e ritagliarsi uno spazio rispetto allo strapotere delle grandi? «Investire in innovazione tecnologica è senz’altro una priorità – prosegue Piacentini – ma allo Stato chiediamo anche di sostenere la competitività del sistema intervenendo sul costo del lavoro e consentendo alle pmi edili di avvalersi dei contratti di rete: il soggetto aggiudicatario di un appalto deve poter affidare i lavori ad altre imprese, senza che ciò costituisca subappalto». Sul fronte finanziario una grande problematica della piccola imprenditoria è costituita dalla scarsa patrimonializzazione delle imprese che chiedono finanziamenti, che si traduce nell’assenza di credito da parte delle banche. Per Angelo Alessandri, presidente della Commissione ambiente della Camera, «Serve un rapporto diverso con le istituzioni finanziarie» che devono aiutare le imprese, altrimenti si rischia di «trasformare l’Italia da un Paese fondato sul lavoro a un Paese che vive di finanza». D’accordo anche il vice presidente della stessa commissione, Salvatore Margiotta, che spiega come il Parlamento stia già lavorando su «una legge per compensare debiti e crediti con lo Stato». Infine, in merito ai criteri di aggiudicazione delle gare d’appalto, «Dobbiamo superare definitivamente la logica del massimo ribasso come parametro selettivo», chiosa Piacentini, secondo il quale bisogna creare sistemi in cui il prezzo non pesi più del 40 per cento e siano valutati altri elementi, come la capacità di innovazione o le attrezzature specifiche. Anche la costituzione di enti di controllo, che «vigilino sulla reputazione delle imprese», potrebbe aiutare in tal senso. L’obiettivo è quello di arrivare a un “sistema-pmi” protagonista e completamente rinnovato. Ma il superamento dei tradizionali vincoli burocratici che ostacolano il dinamismo dell’impresa, fa notare il giornalista economico Oscar Giannino, «può avvenire solo costituendo una lobby rappresentativa, che si ponga come interlocutore unico di fronte al governo e al Parlamento». Si tratta, quindi, di operare in primo luogo un cambio di mentalità che porti le piccole imprese italiane a uscire dall’attuale condizione di nanismo e rivedere il modo tradizionale di fare impresa: “insieme, per crescere”. Vita e miracoli di Vito Gamberale, dal pastificio abruzzese a manager d’oro L’uomo che fa “lievitare” le aziende Alessio Liverziani Quand’era poco più di un bambino, all’età di otto anni, aiutava il padre nel pastificio di famiglia ad Agnone, in provincia di Isernia. Vito Gamberale, classe 1944, oggi è l’amministratore delegato nonché fondatore di F2i, il più grande fondo italiano di investimento, finalizzato al finanziamento delle infrastrutture. Uno che “le mani in pasta”, oggi, ce l’ha sul serio. Nel suo “portafoglio”, che vale circa un miliardo e 850 milioni di euro, annovera quote di partecipazioni per oltre 800 milioni in società attive nei settori dell’energia, tra cui Enel, e nel comparto delle infrastrutture di trasporto, principalmente autostrade e aeroporti. Un vero e proprio tesoretto. Vito Gamberale nasce a Castelguidone, un paese di 400 anime vicino Chieti. Qui trascorre la sua giovinezza tra giornate passate a impastare tagliatelle fresche con il padre e partite a calcio con i compagni Reporter nuovo delle superiori. Giocava da mediano, come il grande Eugenio Fascetti della Juventus campione d’Italia del ‘60. Da qui la passione per la “Vecchia Signora” e il carattere grintoso e battagliero tipico del ruolo, che si porterà dietro per tutta la vita. Poi l’università a Roma, dove consegue la laurea in Ingegne- Furono gli anni della svolta per Gamberale. Anni segnati dalle inchieste su Tangentopoli. E lui, vicino agli ambienti socialisti, finì nel vortice del giustizialismo dei pm di Mani pulite. Il 27 ottobre del 1994 fu arrestato per “concorso in tentata concussione” e “abuso d’ufficio”. Tutto era comincia- Dopo banche e telefonia, è a capo di F2i, il fondo italiano che finanzierà la Salerno-Reggio Calabria e aeroporti ria Meccanica all’età di 23 anni. E i primi incarichi al Nord. Manager tutto d’un pezzo, ha fatto “lievitare” i bilanci delle società in cui ha lavorato. Prima di approdare nella telefonia è passato per le banche (Imi), lo sviluppo industriale (Gepi) e l’Eni. Poi il salto di qualità con il Gruppo Stet, nel 1991, come amministratore delegato della società telefonica Sip e poi direttore generale di Telecom Italia (maggio 1994). to da una frase, «li ho un po’ terrorizzati», che l’ex vice segretario del Psi, Giulio Di Donato, aveva detto al telefono con Gamberale, al tempo amministratore delegato della Sip. L’intimidazione, secondo i magistrati, sarebbe stata rivolta a due dirigenti della Ipm, società fornitrice della Sip, che per non aver assunto quattro diplomati raccomandati dal deputato sarebbero stati puniti da Gamberale con un taglio del- le commesse. Ma dal processo, dopo sedici giorni trascorsi nel carcere napoletano di Poggioreale e otto mesi agli arresti domiciliari, uscì a testa alta. Assolto. Il ricordo di quei giorni è affidato, oltre che alle cronache giudiziarie, anche al libro della figlia di Gamberale, Chiara, “Una vita sottile”, divenuto anche fiction per la Rai. Risarcito dallo Stato per l’ingiusta detenzione, la rivincita più grande Gamberale la ottiene quando riceve l’incarico di amministratore delegato di Tim-Telecom Italia Mobile (luglio 1995), il braccio operativo nel settore dei telefonini cellulari. Nel 1998 entra nel gruppo Benetton con l’obiettivo di partecipare alla privatizzazione di Autostrade e diventa vicepresidente di “21 Investimenti”, società di partecipazioni industriali. Dopo due anni è già amministratore delegato di Autostrade, fino al 2006. Sotto la sua gestione, l’utile del gruppo raddoppia da 1 a 2 miliardi di euro. Poi l’intuizione. Nel 2007 costituisce BIGMANAGER Gamberale di Fondi italiani per le infrastrutture F2i, il fondo di investimento italiano per le infrastrutture. Tra i suoi sponsor annovera istituti del calibro di Unicredit e Merrill Lynch, del gruppo Bank of America, sette fondazioni bancarie, tra cui Cariplo e Monte dei Paschi di Siena, e due casse di previdenza (Inarcassa e Cipag). Per Vito Gamberale le sfide non finiscono mai. Dopo la recente acquisizione del 65 per cento di Gesac, la società che gestisce l’aeroporto di Napoli Capodichino, il patron di F2i punta ad acquisire quote di maggioranza anche di altri scali strategici come Milano Malpensa, Cagliari e Genova, e a finanziare opere come la Salerno-Reggio Calabria, la Roma-Latina e nuove arterie al Nord in vista dell’Expo di Milano 2015. L’obiettivo è quello di portare avanti una strategia di settore che migliori i servizi infrastrutturali dell’intero “Sistema Italia”. Non a caso, nella mente del manager d’oro frulla un’altra idea: realizzare un fondo di investimento, stavolta dedicato alle nuove infrastrutture (greenfield) e non a quelle già esistenti (brownfield), da tre miliardi di euro. Lui sì che ha le mani in pasta. 15 Ottobre 2010 5 Cronaca Giornata della sicurezza: far scendere della metà il numero delle 35 mila vittime annuali L’Europa vuole fermare la strage In arrivo nuove norme per conducenti, mezzi e strade. Che fa l’Italia Enrico Messina Un milione 250 mila morti e 50 milioni di feriti in un anno a causa degli incidenti stradali nel mondo. 35 mila feriti e oltre un milione e mezzo di morti solo in Europa: una media di 100 vittime al giorno. 130 miliardi di euro all’anno spesi per affrontare quella che è ormai un’emergenza continua. Numeri che hanno spinto la Commissione europea a intensificare gli sforzi in materia di prevenzione stradale. Per la terza giornata europea della sicurezza stradale (1314 ottobre) il motore politico del vecchio continente ha previsto una due giorni di incontri per presentare i nuovi orientamenti della di- li anche alle strade rurali. Particorezione generale trasporti della lare attenzione è dedicata alle caCommissione per la sicurezza sul- tegorie di conducenti più a rischio, le strade. Tutto per rendere reale come i motociclisti: l’intento è mil’ambizioso obiettivo che l’Europa gliorare la comunicazione fra le ausi è posta: dimezzare le vittime de- torità e gli appassionati delle due gli incidenti nei prossimi 10 anni. ruote e introdurre revisioni perioIL PIANO. Il programma sulla si- diche obbligatorie per le moto. Dicurezza stradale (2011-2020), adot- versi, dunque, gli strumenti che la tato in estate, è orientato a rag- Commissione userà: campagne di giungere il risultato che il piano sensibilizzazione, studi, leggi eu2001-2010 non è riuropee ad hoc, coopescito a centrare: la rirazione e condivisioduzione del 50 per In Italia parte la ne delle migliori pracento delle morti. Per tiche adottate dai paecampagna raggiungere l’obiettisi membri per la prevo, l’Europa vuole raf- “Non guidare a fari venzione degli inciforzare la sicurezza denti. spenti” su tre livelli: utenti, GLI OBIETTIVI vetture, infrastruttuSTRATEGICI. Sono re. La commissione sette i traguardi che la punta alla formazione dei condu- direzione generale ha fissato: micenti; a rendere omogenee le rego- gliorare la sicurezza dei veicoli, lamentazioni nazionali per far sì che rendendo obbligatori diversi strututti i cittadini europei siano puniti menti elettronici che assistono la allo stesso modo; a promuovere il guida (come il controllo elettroniriconoscimento delle revisioni in co della stabilità o il sistema per il tutti i pesi membri; ad applicare le frenaggio d’emergenza); miglioranorme in vigore sulle vie principa- re le infrastrutture, solo quelle COSTI ENORMI L’Unione europea spende ogni anno 130 miliardi di euro per fronteggiare quella che è ormai un’emergenza continua conformi alle direttive sulla sicurezza stradale saranno finanziate da fondi europei; incrementare le tecnologie che permettono la comunicazione fra i veicoli e tra i veicoli e le autorità. Altri obiettivi strategici riguardano l’istruzione alla guida e il sistema per il rilascio patenti, con l’introduzione di requisiti minimi comuni per gli istruttori e la possibilità di periodi di prova per i neopatentati, e il miglioramento dei controlli per strada. Altro traguardo è la definizione di una strategia comune per la classificazione e il trattamento dei feriti e per il primo soccorso. L’ultimo obiettivo riguarda i motociclisti: l’introduzione obbligatoria di sistemi di frenata assistita nei motocicli e l’obbligo per i motociclisti di indossare indumenti particolari (come la giacca con l’airbag incorporato) potrebbero essere oggetto delle nuove norme europee. IN ITALIA. Anche il nostro Paese si sta muovendo per ridurre il numero delle vittime della strada. È stata da poco presentata da Mario sifica di paesi europei che hanno ridotto maggiormente tra il 2001 e il 2009 il numero delle vittime della strada, diminuite del 43 per cento. IL SONDAGGIO. A chiedere un intervento deciso della politica sono tutti i cittadini europei. Un sondaggio di Eurobarometro ha rivelato che in tutti i paesi membri i cittadini chiedono agli stati di potenziare i loro sforzi per migliorare la sicurezza stradale. Nove europei su dieci considerano la guida in stato di ebbrezza il principale problema relativo alla sicurezza stradale, mentre otto su dieci credono che questo sia costituito, invece, dalla velocità. Secondo il 52 per cento degli intervistati, il miglioramento delle Valducci, presidente della Com- infrastrutture stradali dovrebbe esmissione trasporti della Camera, la sere la prima o seconda priorità decampagna sulla sicurezza visiva gli stati membri. Il 42 per cento ristradale “Non guidare a fari spen- tiene, invece, che sia meglio conti, se vedi bene guidi meglio”, pro- centrarsi su un’applicazione più mossa dalla Commissione traspor- severa delle leggi. ti a seguito dei dati del rapporto LE VITTIME. L’identikit di chi perIstat-Aci, secondo cui quasi il 60 per de la vita per strada è molto variecento degli incidenti stradali nella gato. In Europa 3 vittime della penisola sono attribuibili a proble- strada su 4 sono maschi. La maggior mi di vista. Realizzata con la colla- parte ha meno di 49 anni e quasi un borazione del grupquarto meno di 25. Il po Ottica Avanzi, la 40 per cento delle vitcampagna prevede Per nove cittadini time della strada non è la possibilità per tutalla guida del veicolo su dieci l’alcool ti i conducenti di al momento dell’inciveicoli di usufruire è la causa prima dente: si tratta di pasdi un controllo della seggeri (19 per cento) vista gratuito nei ne- delle morti su strada e pedoni (21 per cengozi Avanzi. to). Gli scontri mortaSecondo i dati li nel vecchio contiIstat, nel nostro Paese si verificano nente avvengono per la maggior parin media 598 incidenti stradali al te (48,5 per cento) in macchina o in giorno, che provocano la morte di taxi, in moto (18 per cento) e in bi13 persone e il ferimento di altre cicletta (7 per cento). 3 incidenti su 849. E fino a dieci anni fa le cose an- 4 avvengono sulle strade urbane, ma davano anche peggio. Secondo la i tassi di mortalità indicano che reDirezione trasporti europea, infat- stano le extra-urbane le strade più ti, l’Italia è all’ottavo posto nella clas- pericolose. Sei elisuperfici in più al 118, una è messa a disposizione dalla caserma Macao Nuovi spazi per i soccorsi aerei Ilaria Del Prete EMERGENZE Un elicottero del 118 in azione 6 15 Ottobre 2010 Le eliambulanze dirette al Policlinico Umberto I avranno presto una piazzola su cui atterrare. È questo l’accordo tra i vertici aziendali dell’Ares 118 e i responsabili della caserma Macao. Nei prossimi giorni sarà infatti firmato il protocollo d’intesa per cui i velivoli di soccorso potranno usufruire dell’elisuperficie militare per il trasporto dei degenti. La nuova base si affianca alle cinque piazzole in fase di costruzione secondo quanto stabilito dal piano della Regione Lazio presentato lo scorso settembre dalla governatrice Renata Polverini, dal direttore generale dell’Ares 118 Antonio De Santis e dal responsabile dell’elisoccorso Alessandro Giulivi. Grazie ai circa 745 mila euro stanziati, sono state ultimate entro il termine fissato per il 30 settembre la base di Acquapendente, prima piazzola pubblica della provincia di Viterbo, e quella di Formia, che va a coprire l’area del sud della regione assieme alla base di Terracina, ancora da ultimare. In fase di realizzazione sono anche le elisuperfici di Amatrice, che andrà a servire l’ospedale Francesco Grifoni e le decine di piccoli comuni della provincia di Rieti, e quella di Ostia, che servirà l’ospedale Grassi guadagnandosi il primato per la zona “mare”. Nello scorso anno, i tre elicotteri a disposizione del 118 grazie all’appalto con la ditta Elitaliana, società che fornisce i mezzi e lo staff tecnico (pilota e copilota), si sono attivati su circa millenovecento richieste di soc- corso, trasportando i pazienti principalmente verso il Gemelli, il Policlinico Umberto I e il San Camillo Forlani. Anche se nella maggior parte dei casi l’elisoccorso è utilizzato come trasporto interospedaliero, gli elicotteri sono preziosi anche in caso di incidente automobilistico, grazie alla capacità di raggiungere il posto in maniera repentina: in soli tre minuti dalla richiesta d’intervento si può passare al decollo. “Nei casi d’intervento più critici – dichiara Stefano Valentini, portavoce dell’Ares 118 – i nostri mezzi possono avvalersi del supporto della polizia stradale, che bloccando il passaggio alle auto fornisce una piazzola improvvisata per gli elicotteri”. Quando le condizioni del territorio non consentono l’atterraggio in sicurezza del velivolo, o le condizioni del paziente non permettono un recupero in volo (missioni Hho, helicopter hoist operations), non c’è comunque da preoccuparsi: “Nel caso non fosse possibile far atterrare il mezzo nelle prossimità del luogo d’intervento - ha continuato Valentini - il soccorso è assicurato da un’azione combinata con i mezzi terrestri”. Reporter nuovo Cronaca Zoom sulla famiglia Ricci, premiata dal Comune come la più numerosa di Roma: vivono in 80 mq «Siamo felici di essere in tanti» Per i 12 figli, letti a castello e mini bus. Unanimi gli elogi dei vicini La loro casa è stipata di letti a castello, l’automobile su cui si spostano è un mini pullman e quando fanno la spesa si servono all’ingrosso, neanche fossero una trattoria. Fanno parte di una minoranza silenziosa, quasi inosservata. Eppure, nell’Italia dei figli unici e della crescita zero, esistono anche loro: le famiglie numerose, piccole tribù di almeno sei elementi, ma spesso anche 12 o più. Come i Ricci, un cognome che suggerisce affiatamento e dolcezza. Sono in tanti, 14 in tutto, in una casa che è un nido raccolto e affollato. Nel quartiere romano della Balduina, vivono in un appartamento di 80 metri quadri, organizzati per accogliere sette femmine e cinque maschi tra i sette e i 27 anni, oltre ai due super genitori. Roberta e Adriano sono i capifamiglia del nucleo più numeroso di Roma. Discreti e gelosi del loro anonimato, il 9 ottobre sono stati premiati dal sindaco Alemanno durante una manifestazione al Bioparco. Neanche 50 anni, Roberta è la numero uno delle “Mamme a Roma” – questo il nome dell’iniziativa del Comune – ma oltre a lei sono stati premiati altri 29 titolari di famiglie numerose della capitale. Cinquecento euro, tessere Metrebus e Aci, un pacco di prodotti caseari: aiuti quasi simbolici, ma quando sfami 14 bocche fanno comodo anche quelli. PREMIATA La famiglia Ricci riceve al Bioparco il titolo Mamme a Roma dal sindaco Gianni Alemanno Al centro dell’attenzione, Roberta si schermisce, schiudendo gli occhi verde brillante che sono il marchio di fabbrica di tutta la famiglia: «Perché così tanti? Siamo cattolici, sì, ma non è solo questo – spiega – è che abbiamo deciso fin dall’inizio di accogliere tutti i bambini che sarebbero venuti, e così è stato». I più grandi, ormai, sono indipendenti: un paio lavorano per il Comune, mentre una delle ragazze fa l’animatrice turistica a Sharm El Sheik. «Lo so che visti da fuori possiamo sembrare strani, ma a me sembra di avere una famiglia assolutamente normale – continua – Certo, da noi c’è molta organizzazione, tutti danno una mano, ma dovrebbe essere così in tutte le case, no?». Forse non proprio, visto che chi li conosce li descrive come una famiglia eccezionale. «Sono meravigliosi» esordisce l’edicolante di piazza Morosini, che se li vede passare davanti ogni giorno. Nonostante i più grandi lavorino già, vivono ancora tutti in casa, dividendosi i compiti come in una catena di montaggio. La più grande, capelli corti e occhiali alla moda, va a prendere i piccoli a scuola e, rientrando a casa, non può evitare di fermarsi per un pacchetto di figurine o un giocattolo. «Arrivano con la sorella e sanno già cosa comprare. Non fanno mai i capricci» racconta l’edicolante. Nonostante la loro discrezione, alla Balduina i Ricci li conoscono tutti. In effetti, notarli è facile: quando si riuniscono al completo formano una carovana di 14 persone. Il portiere del loro palazzo ci dice che vivono lì da oltre 20 anni: «Nessun vicino si è mai lamentato, sono bambini educati e silenziosi, mentre qui ci sono certi figli unici che fanno casino per dieci!». Nonostante l’interrogativo diffuso e ricorrente – «Come faranno a tirare avanti?» –qui tutti sembrano affascinati dalla solarità di questa famiglia. Se la mamma è, per ovvi motivi, un’indaffaratissima casalinga, il papà Adriano gestisce una trattoria nel quartiere. Originari del Molise, i Ricci sono una famiglia di ristoratori. Come ci spiega Giovanni Tesone, sindaco di Pietrabbondante, Adriano è andato via dopo le scuole medie, per seguire il fratello a Roma. «Ma io spero che qualcuno dei suoi figli torni a vivere qui e faccia tanti figli per ripopolare i borghi del Molise», si augura il primo cittadino del paesino. Oggi lo zio Giovanni è proprietario di un noto ristorante di cucina molisana e ci racconta volentieri della sua famiglia un po’ speciale: «Sono tutti ragazzi educati e responsabilizzati, anche se in casa non c’è una disciplina ferrea». Certo, se li incontra per strada non è detto che li riconosca tutti, ma i ragazzi sanno farsi voler bene e «a volte vengono anche al ristorante a dare una mano». «Felici di essere in tanti», per questa gioiosa famiglia i problemi maggiori sembrano più che altro economici, come spiega lo zio: «Vivono in affitto in 80 metri quadri, ma almeno hanno un proprietario di casa onesto che non aumenta il canone». Vacanze in coppia neanche a parlarne, e per fortuna che per mangiare fuori ci sono i ristoranti di famiglia. «Ma a mio marito riesco a dargli poco aiuto» spiega Roberta, che confessa: «Momenti di stanchezza ne ho avuti e in molte occasioni i problemi sono stati pesanti» ma, conclude con la concretezza di ogni brava mamma, «l’importante è cercare di risolverli man mano che si presentano». I casi più strani: dagli otto gemelli di Nadya Suleman al parto naturale di una 54enne versiliese Il guinness dei record delle super mamme L’OCTOMUM Nadya Suleman Reporter nuovo In fatto di famiglia, le sorprendenti bizzarrie della natura unite alle galoppanti innovazioni mediche non consentono ai record di durare a lungo. Quanto ci vorrà prima che il primato di Maria del Carmen Bousada Lara, madre a 66 anni di due gemelli ottenuti grazie all’inseminazione artificiale, venga stracciato da una “collega” ancora più anziana? Nel frattempo, però, nel librone dei Guinness la signora spagnola figura da quasi un anno come la mamma più vecchia del mondo. I miracoli della scienza, tuttavia, impallidiscono di fronte a quelli della natura. Pochi giorni fa, l’ospedale di Viareggio ha accolto i vagiti della piccola Adria, una bimba concepita in modo naturale da genitori “super”: 52 anni il papà Bruno e 54 la mamma Giovanna. Un caso, quello della famiglia Paoli, che si registra due volte ogni milione di gravidanze. All’estremo opposto, la 22enne tedesca Daniela è l’orgogliosa mater familias di sei bambini, di cui il primo partorito a soli 14 anni. Anche nell’Italia dei figli unici i record non mancano. A Casoria, nel napoletano, Angelina Sorvillo ha sfidato la crescita zero dando alla luce il suo 14esimo figlio a soli 37 anni. «Ho solo fatto quello che ho sentito nel mio cuore e non giudico affatto le donne che preferiscono avere un solo figlio e magari in tarda età», ha spiegato. A far discutere, invece, è stato il caso di Nadya Suleman, già madre di sei figli tra i due e i sette anni, che ha par- Pagina a cura di Eloisa Moretti Clementi torito otto gemelli concepiti con l’inseminazione eterologa. Subito rinominata “Octomum”, la volontà della Suleman di imitare la famiglia di Angelina Jolie, a cui si sforza di assomigliare anche fisicamente, ha suscitato moltissime critiche. Disoccupata e single, questa americana 33enne sembra aver abusato di chirurgia estetica per assomigliare alla sua eroina ed è stata accusata da un giudice di aver sfruttato due dei suoi gemelli neonati per produrre immagini televisive in clinica. Naturalmente, i produt- tori televisivi di Los Angeles, dove vive la donna, non si sono lasciati scappare la sua storia e hanno proposto alla “octomamma” di partecipare a un reality show, offrendole un compenso di 250mila euro. Ottenuta la celebrità e anche un guadagno consistente, la 33enne Nadya e i suoi 14 figli si apprestano ora a sfidare Angelina, che a 35 anni vanta “solo” sei figli. A dividerle, a conti fatti resta soltanto Brad Pitt. Rispetto a un’imitazione ben riuscita, è comunque sempre meglio l’originale. 15 Ottobre 2010 7 Costume & Società Lui e lei possono rifarsi ogni parte del corpo. L’ultima moda? Il turismo della bellezza Un ritocchino per tutte le tasche Offerte da supermarket e prezzi “popolari”: il bisturi è democratico “Consuelo 2501” è tra le prime a rispondere alla richiesta di conforto di Stefany: “Aiuto! Domani a quest’ora sarò in sala operatoria! Mandatemi tanti incoraggiamenti!”. Per il suo profilo ha scelto la foto di Pamela Anderson: Consuelo sembra la più adatta a rassicurare le altre. Probabilmente è tra le più esperte. In questo forum on line al femminile dedicato alla bellezza, all’universo rosa, non è difficile imbattersi in discussioni sulla chirurgia plastica. Meglio, estetica. Nel calderone c’è di tutto. Ci sono le paure di chi vorrebbe operarsi e chiede consigli, chi è in cerca di uno specialista e chi vuole una risposta a questo dubbio: “Qualcuno ha fatto l’anestesia totale in sedazione per una mastoplastica? Soffro di aritmia cardiaca, come faccio?”. Oltre alla solidarietà, da questi forum traspare la fiducia che le utenti nutrono fra loro. Forse è una conseguenza della “democratizzazione” di questo tipo di operazioni. Rinoplastiche e lifting sono ormai qua- BISTURI E CONFETTI La chirurgia plastica nella lista nozze si alla portata di tutti. Per molti sono un investimento, e se sei in difficoltà ti aiuta la clinica. Il Cice, Centro italiano di chirurgia estetica di Reggio Emilia, ha ideato una sorta di iniziativa “soddisfatti e rimborsati”: se chi ha subito un intervento è rimasto soddisfatto, può diventare il “gancio” per altri clienti. Se in due anni procaccia una decina di pazienti, recupera il costo dell’operazione, circa sei mila euro. “Splendido splendente/costa poco e finalmente/io sorrido eternamente”, diceva una canzone di trent’anni fa. La profezia s’è avverata. I prezzi di una seduta a base di botulino si aggirano intorno ai 400 euro. Un intervento al seno può scendere a tremila euro: ma molti siti internet avvertono di sospettare delle cliniche che offrono prezzi stracciati. L’ultima moda è la chirurgia low cost all’estero. Ai turisti della bellezza sono offerti pacchetti all inclusive “soggiorno + operazione”: dal Sud America alla Tunisia. In un paese dove più del 20 per cento della popolazione nel 2020 avrà superato gli 80 anni, la paura di invecchiare spingerà molti a varcare le nuove frontiere del bioringiovanimento. La pelle naturalmente, ma soprattutto il volto è il bersaglio preferito del bisturi. Le parole d’ordine sono riempire, rimodellare, ringiovanire. Ma l’evoluzione della ricerca non ha risparmiato il resto del corpo. Quindi per avere un fisico simile a un manichino spogliato non è sufficiente eliminare “le zampe di gallina” dagli occhi, ma è utile anche asportare le “ali di pipistrello” delle braccia. E se l’obbligo di rientrare nei canoni estetici desiderati o imposti non conosce differenza di genere, ecco coinvolti anche gli uomini. Accanto agli innocui trapianti di capelli e ai filler antirughe, sono comparsi gli interventi di muscle enhancing, per aumentare il volume dei muscoli, e quelli di ginecomastia per gli eccessi del seno maschile. E la falloplastica non è più un’illusione. Gli italiani pronti a spendere, ma vogliono più attenzione dagli istruttori In palestra, nonostante la crisi Nuove discipline per forma fisica e benessere mentale I dati si riferiscono al 2006, ma la tendenza sembra valere anche per questi ultimi anni. Secondo la prima Ricerca su “Sport e società” di Censis e Coni, la ginnastica è lo sport più praticato in Italia. Più del calcio, gioco nazional-popolare per eccellenza. La ginnastica supera il concetto di sport, di agonismo, e rientra nell’ampia definizione di wellness, di “star bene”, di cura del corpo. Per questo motivo la platea di chi si dedica al fitness diventa smisurata, intergenerazionale, dai cinque agli ottant’anni. Le novità dell’ultima edizione di Rimini Wellness, il più grande evento sul fitness al mondo, hanno rivelato un boom di quelle discipline che un tempo avremmo definito spiritualistiche. Non solo yoga quindi, ma bioginnastica, riflessologia plantare, shiatsu, e fit to fly. Per non parlare di tutti gli sport praticati in acqua. La bioginnastica, che unisce tecniche occidentali e orientali è una invenzione tutta italiana, dell’Università di Urbino. E’ un’espressione della ginnastica dolce, a bassa intensità che 8 15 Ottobre 2010 punta al benessere globale della persona. Il Jukari fit to fly invece è una nuova disciplina aerobica pensata soprattutto per le donne. Alcuni esercizi si fanno sospesi in aria: chi si allena tiene fra le mani la barra di un trapezio, come quello del circo, e oscilla. Divertimento e to- nunciato dall’associazione dei consumatori Adoc può essere un indicatore della sua diffusione. Secondo l’indagine dell’Adoc, nel 2010, i corsi di pilates hanno fatto registrare un aumento del 5,4 per cento oltre la media del 5 per cento dei corsi di fitness e palestra in ge- Con le macchine supertecnologiche si può fare a meno dei personal trainer. Ma non tutti i clienti sono d’accordo nificazione dei muscoli sono assicurati. L’apripista di queste discipline a bassa intensità e bassa fatica è stato il pilates, che ha conosciuto in Italia un aumento degli appassionati in questi ultimi dieci anni. Si è diffuso dagli Stati Uniti grazie all’alto numero di insegnanti affascinati dal suo programma di oltre 500 esercizi, dai movimenti fluidi e lenti che uniscono ancora una volta il relax alla definizione del tono muscolare. Il “caro-pilates” de- nerale, rispetto all’anno precedente. Probabilmente l’inflazione dei prezzi di ingressi e abbonamenti è una misura emergenziale con cui gli operatori hanno cercato di rientrare dai sacrifici sostenuti nel biennio nero di crisi economica. In verità la recessione non ha colpito il ramo del fitness come è avvenuto per altre attività imprenditoriali. È emblematico il dato di una ricerca della Camera di Commercio di Milano, la patria dei maniaci della cura Pagina a cura di Vito Miraglia del corpo, con oltre centotrenta palestre. Da gennaio a luglio 2009, solo una palestra ha dovuto chiudere i battenti, a fronte di ben cinque inaugurazioni. Il portafogli dei clienti si è assottigliato, ma non la voglia di tenersi in forma. Sempre da Rimini Wellness giungono le indicazioni della domanda del settore. C’è una platea vastissima di potenziali clienti che sono disposti a pagare, anche qualcosina in più, ma in cambio pretendono attenzione e cura dei rapporti interpersonali. Cosa che è più facile trovare nelle piccole strutture, come ci conferma Paolo, istruttore di una palestra del centro di Roma con oltre vent’anni di esperienza. “Magari non trovano i macchinari di ultima generazione, che oramai sembrano le cabine di una vettura di Formula Uno – sostiene – ma hanno a disposizione un allenatore che ti segue da vicino, che conosce i tuoi problemi e ciò di cui hai bisogno”. Si crea un rapporto one-to-one di cui si sente la mancanza nelle palestre delle grandi multinazionali. BOOTCAMP L’allenamento dei marines sbarca nelle palestre Reporter nuovo Settimanale della Scuola Superiore di giornalismo “Massimo Baldini” della LUISS Guido Carli Direttore responsabile Roberto Cotroneo Comitato di direzione Sandro Acciari, Alberto Giuliani, Sandro Marucci Direzione e redazione Viale Pola, 12 - 00198 Roma tel. 0685225558 - 0685225544 fax 0685225515 Stampa Centro riproduzione dell’Università Amministrazione Università LUISS Guido Carli viale Pola, 12 - 00198 Roma Reg. Tribunale di Roma n. 15/08 del 21 gennaio 2008 [email protected] ! www.luiss.it/giornalismo Reporter nuovo