ferite a morte

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ferite a morte
 FERITE A MORTE
di Serena Dandini
con Lella Costa, Giorgia Cardaci, Orsetta De Rossi, Rita Pelusio
messinscena Serena Dandini
aiuto regia Francesco Brandi
costumi Alberto Moretti
Mismaonda srl, La Contemporanea srl
Femminicidio: violenza estrema da parte di un uomo verso una donna, perché é
donna.
Diana Russel, sociologa
Serena Dandini ha attinto dalla cronaca e dalle indagini giornalistiche per dare voce
alle donne che hanno perso la vita per mano di un marito, un compagno, un amante o
un “ex”. Per una volta, sono loro a parlare in prima persona. Come in una Spoon River
del femminicidio, ognuna racconta la sua storia la ̀da dove si trova ora e riprende vita
e spessore, uscendo finalmente da una catalogazione arida e fredda.
Serena Dandini, con la collaborazione ai testi e alle ricerche di Maura Misiti,
ricercatrice del CNR, ha scritto una breve storia per ciascuna di loro, pensata in chiave
teatrale per sensibilizzare, attraverso il linguaggio della drammaturgia, le Istituzioni
italiane e l'opinione pubblica circa un fenomeno dai dati ancora incerti, ma che
comporta in Italia – come ci raccontano le rare statistiche – una vittima ogni due, tre
giorni.
La scena è sobria: un grande schermo rimanda filmati ed immagini evocativi, la
musica accompagna le donne a raccontare la loro storia assieme agli oggetti che
hanno caratterizzato la loro tragica avventura. Sul palco, ad interpretare le vittime,
quattro donne che si alternano a dare voce a queste storie, in uno spettacolo teatrale
drammatico, ma giocato, a contrasto, su un linguaggio leggero e coi toni ironici e
grotteschi propri della scrittura di Serena Dandini.
In ogni piazza in cui va in scena Ferite a morte vengono ospitate donne in
rappresentanza della società civile della città dove ha luogo lo spettacolo.
Ferite a morte è anche un libro edito da Rizzoli.
Ferite a morte
Ferite a morte nasce dal desiderio di raccontare le vittime di femminicidio. Ho letto
decine di storie vere e ho immaginato un paradiso popolato da queste donne e dalla
loro energia vitale. Sono mogli, ex mogli, sorelle, figlie, fidanzate, ex fidanzate che
non sono state ai patti, che sono uscite dal solco delle regole assegnate dalla società,
e che hanno pagato con la vita questa disubbidienza. Così mi sono chiesta: «E se le
vittime potessero parlare?» Volevo che fossero libere, almeno da morte, di raccontare
la loro versione, nel tentativo di ridare luce e colore ai loro opachi fantasmi.
Desideravo farle rinascere con la libertà della scrittura e trasformarle da corpi da
vivisezionare in donne vere, con sentimenti e risentimenti, ma anche, se è possibile,
Emilia Romagna Teatro Fondazione – Teatro Stabile Pubblico Regionale, Sede Legale: Teatro Storchi, Largo Garibaldi 15, 41124 Modena. Sede Organizzativa: Via Ganaceto, 129 ‐ 41121, Modena Centralino: Tel. 059 2136011, Biglietteria:. 059 2136021, e‐mail: [email protected] C.F. e P.IVA 01989060361 con l’ironia, l’ingenuità e la forza sbiadite nei necrologi ufficiali. Donne ancora piene di
vita, insomma. Ferite a morte vuole dare voce a chi da viva ha parlato poco o è stata
poco ascoltata, con la speranza di infondere coraggio a chi può ancora fare in tempo a
salvarsi. Ma non mi sono fermata al racconto e, con l’aiuto di Maura Misiti che ha
approfondito l’argomento come ricercatrice al CNR, ho provato anche a ricostruire le
radici di questa violenza. Come illustrano le schede nella seconda parte del libro, i dati
sono inequivocabili: l’Italia è presente e in buona posizione nella triste classifica dei
femminicidi con una paurosa cadenza matematica, il massacro conta una vittima ogni
due, tre giorni. Lo so, molti commentatori storcono il naso davanti al termine
femminicidio, certo se ne possono trovare altri più aggraziati o pertinenti:
chiamiamolo pure come ci pare ma almeno affrontiamo il dramma per quello che è,
senza far finta che non esista. Dietro le persiane chiuse delle case italiane si nasconde
una sofferenza silenziosa e l’omicidio è solo la punta di un iceberg di un percorso di
soprusi e dolore che risponde al nome di violenza domestica. Ma tanto si può ancora
fare: ecco perché abbiamo voluto aggiungere anche le leggi e le pratiche virtuose che
altrove, nel mondo, sono già state attuate con successo. Finché anche in Italia il tema
non sarà al primo posto della famosa agenda di qualsiasi nuovo governo, le donne non
si fermeranno e si faranno sentire con ogni mezzo. Mi auguro che Ferite a morte
diventi uno di questi.
Serena Dandini
Ferite a morte: “Un contributo importante e una prova letteraria
affascinante”
Le motivazioni scritte da Fabrizio Battistelli, ordinario di Sociologia alla “Sapienza”, per
il premio Fregene a Serena Dandini. 27 giugno, 2013
Conduttrice, scrittrice e sceneggiatrice, Serena Dandini ha incarnato a lungo quella
“comicità d’autore” che persiste coraggiosamente in alcune trincee della produzione
televisiva di qualità, scampate alla demolizione mentale e morale dell’ultimo
ventennio. Se fin dagli esordi della sua carriera in RAI Serena ha ideato e realizzato
programmi radiofonici e televisivi capaci di tenere insieme humour, buon gusto e
impegno culturale, con il volume “Ferite a morte” edito quest’anno da Rizzoli il tono si
fa serio e l’impegno assurge a testimonianza civile»: questo è l’incipit delle
motivazioni con cui sabato 29 giugno verrà consegnato il premio Fregene per la
narrativa a Serena Dandini. «Testi nati come tessere di un mosaico teatrale - Fabrizio
Battistelli, Ordinario di Sociologia, Direttore del Dipartimento di Scienze Sociali ed
Economiche presso la“Sapienza” di Roma - portato nelle piazze di varie città italiane
da interpreti di eccezione, attrici e non – danno vita a un libro speciale. Innanzitutto
perché il prodotto è un racconto unitario pur nella polifonia delle voci e nella
compresenza di almeno due stili espressivi diversi. Nella prima parte quello narrativo,
che è incalzante, sorprendente, coinvolgente. Nella seconda parte (con la
collaborazione di Maura Misiti) quello saggistico, che è sobrio, razionale, documentato.
L’uno e l’altro, comunque, con un tratto di fondo in comune: la durezza. Non si tratta
di un espediente letterario; è l’oggetto che è irrimediabilmente duro. Qui prende corpo
la seconda specificità del libro. “Ferite a morte” narra infatti le uccisioni di donne per
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casi all’anno, pari al 17% degli omicidi a livello mondiale, con picchi di 10 casi
ogni 100.000 donne in El Salvador, Guatemala, Giamaica, Sudafrica. Per
descrivere questo tragico fenomeno oggi esiste un termine: “femminicidio”. La
sociologa Diana Russell – lo definisce “l’assassinio di donne ad opera di uomini, perché
sono donne”. A questa categoria appartengono i delitti “d’onore” nel Sud del mondo e
i delitti “passionali” nel Nord. Non che “Ferite a morte” ignori le differenze individuali,
anzi. Raccontando le storie dell’italiana Carmela, dell’americana Maggie, della
giapponese Tomoko, dell’afghana Amina, il libro è sapiente nel delineare con tocchi
precisi il contesto della vicenda, la personalità del carnefice, della vittima, dei
testimoni, le cose stesse – gli ingredienti di un piatto, i vestiti indossati – che danno
sapore e colore alla vita. Anche il linguaggio è un aiuto prezioso quando, come nella
scena italiana, lascia cadere indizi dialettali molto vivi e molto veri, che
immediatamente la situano a Napoli o nella pianura padana. Ritratti ricostruiti con
l’immaginazione a partire da fatti rigorosamente veri. Descrizioni di eventi inquietanti
offerte con empatia e tenerezza. Addirittura con un’impercettibile ironia, plausibile in
un paradiso di persone che dall’alto osservano questo nostro mondo inutilmente
crudele. Un contributo importante alla consapevolezza di un’emergenza sociale
misconosciuta e, insieme, una prova letteraria affascinante che non allontana ma anzi
avvicina il lettore».
Mogli, fidanzate, figlie, sorelle, ex, giovani, anziane, italiane, europee e non. La storia
è sempre la stessa. Uccise. Con armi da fuoco, coltelli, a botte o con qualsiasi oggetto
capiti a tiro. A farlo sono i mariti, fidanzati, padri, fratelli, ex. Insomma, noi uomini.
Lo spettacolo Ferite a morte di Serena Dandini ha messo in parole una serie di storie
di donne diversissime tra loro per età, nazionalità, cultura ed estrazione sociale, ma
accomunate tutte dallo stesso destino: la morte per mano di un uomo. Questo
spettacolo, dopo aver debuttato a Palermo il 24 novembre scorso, è arrivato a
Bruxelles, dove grazie all’organizzazione di cinque eurodeputate Pd (Patrizia Toia, Rita
Borsellino, Silvia Costa, Francesca Barracciu e Francesca Balzani) è stato messo in
scena al Parlamento europeo.
“Sarebbe bello che l’Italia, da fanalino di coda sulla violenza domestica e del
femminicidio potesse diventare all’avanguardia e spronare gli altri Paesi europei a
ratificare la convenzione di Istanbul sulla violenza sulle donne, che l’Italia ha
ratificato, e quindi renderla una legge europea”, dice la Dandini. E sì perché l’entrata
in vigore della Convenzione (stipulata l’11 maggio 2011 dal Consiglio d’Europa) è
vincolata alla ratifica di almeno dieci Paesi, di cui otto appartenenti all’Unione
Europea. Oggi ad averlo fatto sono solo 4 Paesi su 29 che l’hanno firmata.
L’Italia ha firmato e ratificato. Ma la violenza domestica nel nostro Paese è un
problema tutt’altro che estinto. Secondo la “Casa delle donne per non subire violenza”
di Bologna, nel 2012 sono state 124 le donne uccise. Praticamente una ogni tre giorni.
Una mattanza. Una vergogna. Uno schifo.
“Purtroppo la violenza domestica e il femminicidio sono gli unici fenomeni trasversali
in tutta Europa, anzi in tutto il mondo. Per questo è giusto trovare anche un altro
linguaggio, quello del teatro e della letteratura, per denunciare queste cose, un
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Dandini. Impossibile infatti non farsi scuotere mente e anima dai racconti messi in
scena dalla Dandini stessa, da attrici come Paola Cortellesi e Sonia Bergamasco,
giovani ragazze e le stesse deputate organizzatrici dell’evento. Tra queste,
particolarmente toccante la lettura di Rita Borsellino, sia per l’età che per la
delicatezza di voce e presenza.
Secondo l’ultimo rapporto annuale delle Nazioni Unite, presentato il 25 giugno 2012,
“a livello mondiale, la diffusione degli omicidi basati sul genere ha assunto proporzioni
allarmanti”. Ma non si pensi che questo capita solo nel terzo mondo o nei paesi arabi.
Le letture recitate, basate su fatti di cronaca ed indagini giornalistiche, quindi a fatti
davvero accaduti, parlano di casalinghe siciliane, donne in carriera lombarde, giovani
ragazze di una provincia italiana qualsiasi. Eh sì perché in Italia non esiste nemmeno
un osservatorio nazionale sul femminicidio come in altri paesi, per esempio Spagna e
Francia, ma i dati vengono raccolti da associazioni e gruppi di donne basandosi
esclusivamente dalle notizie divulgate dai mass-media. Eh meno male che l’Italia l’ha
pure ratificata la Convenzione di Istanbul.
Il gruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo ha ricordato
nell’occasione il “Women’s day Manifesto” con il quale si chiede di contrastare il pay
gap (differenza salariale), la povertà, la disoccupazione, la precarietà e, appunto, la
violenza ai danni delle donne. Intenzioni ottime, per carità, ma pur sempre
“intenzioni”. Invece, ad esempio in Italia, il problema sembra essere soprattutto
culturale. Sì perché, nonostante tutto, di una simile mattanza non si parla ancora
abbastanza, ci sono ancora troppe scuse, troppe attenuanti, troppe vittime. Forse più
che una firma su una convenzione, serve una lacrima, una smorfia di disgusto dopo
essere stati colpiti allo stomaco, al cuore e al cervello da un simile spettacolo
AlessioPisano
L’appello
All’inizio di maggio 2013, in occasione della tappa di Ferite a Morte a Marsala, è stato
lanciato un appello rivolto al Governo e al Parlamento italiano affinché vengano
convocati con massima urgenza gli Stati Generali contro la violenza sulle donne.
L’iniziativa ha ottenuto grande visibilità sui mass media e in meno di 48 ore la
petizione ha raggiunto le diecimila firme. Tra i primi a sottoscriverla Riccardo Iacona,
Gustavo Zagrebelsky, Susanna Camusso, Concita de Gregorio, Ezio Mauro, Paolo
Ferrero, Massimo Gramellini, Gianantonio Stella, Fabio Fazio, Adriano Celentano,
Claudia Mori e molti altri.
“Una donna maltrattata, minacciata, molestata, umiliata da violenze fisiche o
psicologiche – spiega Serena Dandini – è un dramma e un danno per la società intera,
non un trascurabile effetto collaterale di una storia d’amore andata a male. Siamo
tutti coinvolti e responsabili, anche se non direttamente violenti, perché abbiamo
comunque ignorato o avallato comportamenti considerati bonariamente scontati,
endemici della nostra cultura mediterranea, simpatici machismi che fanno folklore e
nessun danno”. Insomma, conclude Dandini, “La violenza maschile sulle donne non è
una questione privata, ma politica. Ecco perché vi chiedo di firmare l’appello al
Governo e al Parlamento per la convocazione senza indugi gli Stati Generali contro
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istituire finalmente un Osservatorio Nazionale che segua il fenomeno”.
Sottoscrivi l’appello sul sito: www.feriteamorte.it/appello/
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