Corriere del Ticino

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Il rintocco del Big Bendi Nicol Degli Innocenti
La grande fuga del dopo Brexit
Alcuni giornali inglesi la chiamano già la grande fuga. Imprese grandi e piccole, ospedali
pubblici e banche private, aziende agricole e università, tutti hanno lanciato l’allarme: gli
europei se ne stanno andando. Delusi dall’esito del referendum del giugno scorso che ha
sancito l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, molti dei 2,8 milioni di cittadini UE
che vivono e lavorano nel Regno Unito stanno pensando di tornare in patria o di trasferirsi in
un altro Paese UE.
Il senso di disagio per il clima più ostile e la retorica anti-stranieri che domina sui tabloid
popolari e nelle conversazioni nei pub è stato poi aggravato dal rifiuto del Governo di Londra
di dare garanzie agli europei già residenti qui. La premier Theresa May ha dichiarato che non
intende garantire il loro diritto a restare anche dopo l’uscita dalla UE senza prima ottenere in
cambio una garanzia equivalente sui diritti del milione di cittadini britannici residenti in Paesi
UE.
La settimana scorsa un emendamento alla legge su Brexit che avrebbe costretto il Governo a
garantire ai cittadini UE già qui il diritto di residenza permanente è stato sconfitto in
Parlamento per 332 voti contro 290. Trattati da Londra come merce di scambio, incerti sulle
loro prospettive future, anche i più anglofili tra i cittadini UE si sentono tremare la terra sotto i
piedi e stanno cercando una via d’uscita.
Le conseguenze si stanno già facendo sentire. Un esempio: dopo Brexit è crollato del 90% il
numero di infermiere da Paesi europei che hanno fatto domanda per lavorare in Gran
Bretagna. Adesso sono un centinaio al mese – 101 in gennaio per la precisione – contro una
media di oltre 1.300 prima del referendum e 3.700 prima che si parlasse di Brexit. Ogni mese
circa 400 infermiere che lavoravano per il sistema sanitario nazionale danno le dimissioni per
tornare in Europa.
Il Nursing and Midwifery Council, l’associazione nazionale di settore, ha reso noti i dati «per
senso di responsabilità», dato che la sanità britannica, già provata dai tagli dei costi, non può
andare avanti senza il contributo delle infermiere, dei medici e degli assistenti provenienti
dalla UE. Allo stato attuale mancano 24 mila infermiere a livello nazionale e le carenze di
personale riguardano ogni singolo ospedale in Gran Bretagna.
La Sanità pubblica è solo uno dei settori che ha sollevato il problema. Secondo dati
dell’Ufficio nazionale di statistica, il numero di nuovi lavoratori in arrivo dalla UE si è
dimezzato da una media di 20 mila al mese prima del referendum a 10 mila al mese dopo
Brexit.
Un nuovo sondaggio tra migliaia di datori di lavoro, condotto dal Chartered Institute of
Personnel and Development (CIPD) con il gruppo Adecco, rivela che l’esodo graduale ma
costante dei cittadini UE sta creando carenza di personale in molte imprese.
Ci sono circa mezzo milione di posti di lavoro vacanti nei settori dell’ospitalità, delle vendite e
della distribuzione e nelle fabbriche di ogni genere, ma non si riesce a trovare personale
qualificato e disponibile. Secondo il sondaggio, gli interpellati temono inoltre che oltre un
quarto dei loro dipendenti attuali abbia intenzione di lasciare il lavoro e la Gran Bretagna nel
2017.
Il risultato, secondo Gerwyn Davies, responsabile del lavoro per il CIPD, è «grandi difficoltà
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per i molti settori che hanno sempre contato su lavoratori non britannici e una mancanza di
manodopera che potrebbe rivelarsi un freno per l’economia britannica negli anni a venire».
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