Repubblica Palermo - Il grande fratello secondo

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Repubblica Palermo - Il grande fratello secondo
Repubblica Palermo - Il grande fratello secondo Perriera
il grande fratello secondo perriera
Repubblica — 30 ottobre 2008
pagina 10
sezione: PALERMO
S critta nel 1988 e pubblicata nella raccolta "Gli atti del bradipo" (Sellerio) dieci anni dopo,
"Come, non lo sai?" è una pièce di Michele Perriera andata in scena, per la regia dello stesso
autore, nel 2007. La sua storia si estende dunque per quasi un ventennio dell' attività
drammaturgica di Michele Perriera: un arco di tempo vasto e significativo che certamente
assegna a questo testo, al suo messaggio etico-fantastico, un valore centrale nella poetica dell'
autore palermitano. "Come, non lo sai?" si svolge all' interno di un "antro tecnologico", in un
sofisticato ventre di balena in cui convergono cinque attori in cerca d' autore. Una pirandelliana
camera della tortura, quindi, ma anche un set posticcio e claustrale da Grande Fratello (più
quello televisivo che quello orwelliano). L' azione ha inizio intorno a una tavola imbandita, con
una rappresentazione iconica che rimanda per un verso a una conferenza stampa, cioè a una
comunicazione formalizzata e ufficiale, e per l' altro a un' ultima cena, a un rituale di commiato
denso di funesti presagi. Sarà subito chiaro, infatti, che la tavola è un succedaneo dell' altare,
dell' ara sacrificale. La morte dell' attrice indicata con il numero 5 (ruolo interpretato da Giuditta
Perriera) si presenta come una variazione simbolica sul tema, tipico del mystery, del delitto
nella camera chiusa. Per Gianfranco Perriera, che al dramma paterno ha dedicato un breve e
denso libro analitico ("Sparizione & ritorno", Navarra editore, che si presenta all' auditorium
della Rai), l' ironia della domanda retorica segnala una progressione che dalla prigionia
perviene all' annullamento personale e alla morte. Un teatro epifanico scaturisce pertanto da un
sottosuolo dostoevskiano, un luogo imo e oscuro, "asettico e ombroso", esoterico e
inquisitoriale, accostato esplicitamente al pozzo e al pendolo di uno fra i più noti racconti di
Edgar Allan Poe. L' ipogeo è soprattutto una prigione per sepolti vivi, progettata per una visione
totale dei reclusi. Un Panopticon, dunque, in cui si consuma un "destino epocale" che tuttavia
finge di rispettare il libero arbitrio individuale. è infatti teoricamente possibile abbandonare l'
antro, se lo si vuole. Ma volerlo è praticamente impossibile, poiché non essere visibili equivale
ipso facto a non-essere: «Sottrarsi all' occhio della telecamera significa autocondannarsi al
confino della non esistenza sociale». Per spiegare questa condizione di inconsapevole
costrizione, mascherata da ambizione carrieristica, Gianfranco Perriera ricorre al mito platonico
della caverna. I cinque attori sono «simulacri di se stessi» cui manca «quella beata
spudoratezza di tanti personaggi dei reality dei nostri giorni, quella esibizione della semplice
presenza che diviene tanto più virtuale e riproducibile quanto più indulge al trionfo del
corporeo». Si tratta pertanto di fantasmi condannati a circuitare nell' Eterno Ritorno dell' irrealtà
televisiva. Nell' era della riproducibilità tecnologica della vita, essi sono ombre di ombre che
appartengono all' archivio totemico dell' immaginario televisivo. Ovvero a un nulla che è il
risultato sia della dissoluzione dei corpi, sia del sopravvento di un vuoto interiore. Se tutto è
divenuto mera immagine di uno spettacolo che deve comunque andare avanti, come recita un
noto imperativo dello star system, riappropriarsi di se stessi significa rivendicare la propria
corporeità di esseri viventi e quindi morenti. è un Truman Show al contrario, per certi aspetti,
quello messo in scena da Michele Perriera, in cui il pubblico superficiale (ammesso che ancora
esista) non è più in grado di percepire la finzione, mentre i protagonisti sono consapevoli (senza
tuttavia trarne alcuna implicazione etico-politica) che non c' è più differenza tra essere e
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apparire, tra la realtà e il suo ologramma telematico. Questa parodia rovesciata e
desacralizzata della consustanziazione per cui il corpo umano si assottiglia fino a combaciare
con la sua virtuale raffigurazione tecnologica si consuma in un infero tecnologico, versione
aggiornata dell' atanor alchemico, cioè del luogo-contenitore dove si distilla l' essere fino a farne
una quintessenziale proiezione spettrale. Nell' Ade-studio televisivo immaginato da Michele
Perriera si gioca una partita di potere: un "cavaliere albino" si aggira inquietante, come assiso
su un trono, unito simbioticamente a una tartaruga (simbolo, col suo corneo carapace, della
compattezza e della stabilità del dominio politico). Alla durezza del potere-testuggine, alla sua
burocratica e conservatrice staticità, si contrappone un altro tipo di lentezza, quella del bradipo,
figura emblematica della negligenza silente che «risulta ancora sfuggente allo sguardo
manipolativo del sistema». Col suo ralenty naturale, il bradipo riesce a sottrarsi al vorticoso
dinamismo dei media, in quanto «si limita a esserci», non pretende null' altro. Ma proprio per
questo appare una presenza irriducibile al nulla, cioè non eliminabile e quindi particolarmente
inquietante per i Signori della Telepotere. Nel sottosuolo, nella specula subliminale, vige il
«narcisismo più sfrenato». Lo specchio tecnocratico dei desideri disinibisce la vocazione
postmoderna all' esibizionismo. L' unica cosa che conta, la ragion d' essere, sic et simpliciter, è
andare in onda, sussistere nel flusso indifferenziato dell' apparire. Alle luci della ribalta
corrisponde fatalmente il buio della coscienza. Ecco perché nell' antro vige una severissima
interdizione di parole e concetti che richiamino la morte. Come Orfeo non deve voltarsi a
guardare indietro Euridice, così anche gli attori (rappresentanti di un' umanità inebetita) non
devono guardare in avanti, a quell' oltre misterioso che solo può darci coscienza del nostro
concreto essere al mondo. La missione di Mandrake, il mago ipnotizzatore interpretato da Lollo
Franco, è quindi di rielaborare il lutto con ipocrite onoranze funebri e soprattutto ricondurre lo
spazio in cui si è verificata la violazione del tabù nell' ambito di un avanspettacolo
irresponsabile. Col suo disinvolto e fascinoso ottimismo da belle époque, l' uomo in frac deve
ricreare l' illusione farsesca e carnascialesca che, una volta sacrificato il capro espiatorio, lo
spettacolo può continuare senza più paura. Basterà sottacere la morte, affidarsi all' eternità
contraffatta dell' immagine infinitamente duplicata. La magia dell' occhio tecnologico, del grande
ipnotismo di massa, è tutta qui, in questa negazione della vita mercé la negazione della morte. MARCELLO BENFANTE
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