Alice Fanti - Idee in Rete

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Alice Fanti - Idee in Rete
IL RITORNO VOLONTARIO ASSISTITO NEL SISTEMA DELLE POLITICHE MIGRATORIE IN ITALIA
Il sistema di attuazione della misura del ritorno in Italia alla conclusione della quarta annualità
del Fondo europeo Rimpatri, esperienze, esiti e complessità.
ROMA 23 MAGGIO 2013, ore 9.30 – 13.30
I progetti di ritorno: modelli ed esiti sviluppati
Progetto REMIDA II - Reinserimento Migranti in Difficoltà e loro Accoglienza
Alice Fanti, responsabile progetto, CEFA capofila
Innanzitutto una domanda: perché una ONG di cooperazione internazionale ad occuparsi di
Rimpatri Volontari Assistiti? Quando abbiamo deciso, alla fine del 2010, di avvicinarci a questa
tematica, ideando e presentando il progetto REMIDA, ci siamo chiesti quale potesse essere il
valore aggiunto che il CEFA avrebbe potuto apportare lavorando su questo strumento, così
complesso e controverso. Noi siamo una ONG che da 40 anni si occupa di progetti di
cooperazione. Ad oggi lavoriamo in 8 paesi in Africa dell’Est, Area Mediterranea e America
Latina, ci occupiamo di diverse tematiche, dallo sviluppo agricolo a quello sociale, passando
per alfabetizzazione, formazione, progetti ambientali.
Decidendo di lavorare sul Rimpatrio Volontario Assistito abbiamo deciso di mettere a
disposizione la nostra presenza di lungo corso e la nostra conoscenza dei contesti di origine dei
migranti per realizzare interventi di reinserimento e reintegrazione che fossero di qualità e
davvero sostenibili.
Per questo motivo abbiamo optato per lavorare soltanto in contesti in cui o noi direttamente o
altre ONG nostre partner nel progetto già siano presenti con progetti di cooperazione. Siamo
profondamente convinti che la conoscenza del paese, la forza e l’ampiezza delle reti che negli
anni si sono potute creare, il riconoscimento che si ha presso istituzioni ed altri organismi
rilevanti siano elementi fondamentali per poter davvero sostenere i beneficiari in un percorso
di reinserimento che sia stabile e sostenibile nel tempo.
Il progetto REMIDA prima fase, iniziato nel 2011, è stato concepito come un piccolo progetto
pilota destinato solamente ai cittadini di origine marocchina residenti sul territorio nella
Regione Emilia-Romagna.
Il Marocco venne scelto pe due ordini di motivi: in primis, la forte presenza della comunità
migrante marocchina sul territorio regionale e, secondariamente, perché il CEFA è presente in
Marocco dal 1998 ed ha realizzato nel paese numerosi interventi di successo, che ci hanno
permesso di essere un soggetto riconosciuto ed apprezzato e di mettere in piedi una rete
molto forte di enti di varia natura (associazioni, istituzioni, banche, patronati, ecc).
Con il progetto REMIDA 2 abbiamo ampliato le zone di azione sia in Italia, allargando il campo a
tutte le province emiliano-romagnole, alla Regione Lombardia (Milano, Brescia e Pavia) ed al
Piemonte, sia come paesi di origine, affiancando al Marocco la Tunisia, in cui lavoriamo
direttamente come CEFA, il Senegal, in cui lavora la ONG torinese CISV e lo Sri Lanka, in cui
opera Overseas, una ONG di Spilamberto, provincia di Modena, entrambe partner di progetto.
Il progetto presenta una strutturazione su due moduli, uno di attività in Italia, che includono la
sensibilizzazione dei territori, i colloqui informativi, la mediazione culturale, l’assistenza legale,
l’orientamento e la formazione, ed un Modulo di reintegrazione in loco con attività di
accompagnamento alla creazione di micro attività imprenditoriali, la ricerca di lavoro, la
formazione per i candidati e i loro famigliari, l’accompagnamento alla ricerca di credito e
qualsivoglia altra necessità emerga durante il percorso di rientro e di reinserimento.
Al di là, però, degli aspetti tecnici e formali del progetto (se dovessero esserci dubbi, curiosità o
richiesta di chiarimento in merito a ciò rimango a disposizione), mi piacerebbe condividere con
voi alcune riflessioni su una misura, quella del RVA, per alcuni versi poco considerata, per altri
duramente criticata e che ha invece rappresentato per i molti migranti che abbiamo incontrato
in questi due anni una reale opportunità per ricominciare un percorso di affermazione che
sembrava destinato a concludersi con un fallimento, una caduta con poche opportunità di
risalita.
Pochi di noi, iniziando a lavorare nel progetto REMIDA, erano davvero consci della complessità
con cui ci saremmo trovati a fare i conti:
- Reticenze dei beneficiari: diffidenza circa la reale esistenza in loco di qualcuno che li
sostenesse una volta rientrati; timore dell’irreversibilità della scelta, vista la consegna del
permesso, tavolta in corso di validità (seppur irrinovabile) alla frontiera; grande difficoltà
ad ammettere un cambio nei propri piani, nel percorso migratorio che ci si era immaginati
emigrando; senso di vergogna e fallimento; frustrazione nel non vedere alternative al
rientro
- Atteggiamenti opposti dei servizi in Italia: da un lato, rifiuto di assistenti sociali ed
operatori ricorrere allo strumento del RVA, visto come antitetico rispetto al mandato degli
assistenti stessi, ossia quello di accogliere, integrare e fornire servizi in Italia “Far
rimpatriare un mio assistito sarebbe come ammettere un mio fallimento professionale”);
dall’altro, visione del RVA come strumento per alleggerire i servizi di casi, individuali o
famigliari, molto onerosi e con poche prospettive di reintegrazione in Italia (“Questo
candidato deve partire per forza, non sappiamo più che cosa fare con lui, le abbiamo
provate tutte, è carico dei servizi da troppi anni”).
- Complessità burocratica e poca chiarezza normativa: gestione molto complessa a
livello progettuale, che spesso impedisce di realizzare il percorso con il beneficiario così
come lo si era immaginato; tempi incerti per la realizzazione dei percorsi; normativa che
lascia troppo margine di interpretazione circa le categorie ammissibili alla misura.
Ciò che per noi è stato fondamentale sin dal principio è stato l’accertarsi della reale
volontarietà della persona a rientrare, anche di coloro messi di fronte a ben poche alternative
perché privi di permesso e con tempi piuttosto brevi. Il percorso in Italia dei nostri candidati è
piuttosto lungo e richiede anche un grande impegno degli stesi (partecipazione a diversi
colloqui con operatori e mediatori), orientamento alla formazione e, poi, all’autoimpiego,
formazione.
Crediamo che l’adesione da parte di un migrante ad un percorso di RVA come quello offerto
dal Remida debba essere vissuta dalla persona come un vero e proprio investimento su se
stesso e, quindi, che debba richiedere impegno e partecipazione a tutte le fasi. Abbiamo, con
l’esperienza, avuto modo di capire che solo così emerge la reale motivazione e la volontarietà
che, di fronte ad una scelta cosi radicale come quella di rientrare definitivamente nel proprio
paese di origine, va davvero verificata e messa alla prova.
A nostro avviso, il RVA rappresenta uno strumento davvero importante da mettere a
disposizione dei migranti, perché, di fronte alle difficoltà che il momento storico presenta,
possano avere un ventaglio di scelte il più ampio possibile. Affinché ciò sia possibile riteniamo
che debba essere fatto un investimento da parte della Comunità Europea e dei governi
nazionali su questo strumento, non solo a livello economico, ma anche in termini di diffusione
e sensibilizzazione.
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