La Cina: cultura tradizionale e modernità

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La Cina: cultura tradizionale e modernità
La Cina: cultura tradizionale e modernità
La Cina: cultura tradizionale e modernità
di Anna Di Toro
1. Il mondo cinese
Un grande sinologo francese, Jacques Gernet, ha intitolato il suo bellissimo libro, che
costituisce una summa della storia della civiltà cinese, Il Mondo cinese, coniando una
espressione che si addice straordinariamente bene a descrivere questo paese. La Cina è,
in effetti, un mondo che esiste da millenni in una sua orgogliosa completezza, centro di
irradiazione culturale e punto di riferimento di tutto un universo che occupa una buona
porzione del nostro globo.
Noi continuiamo, però, a percepirlo straordinariamente lontano, indefinito; il solo pensiero ci confonde, perché, sebbene lo abbiamo visto in innumerevoli immagini televisive e
in molti film, sebbene abbiamo letto su di esso articoli di giornale e osservato reportage
fotografici, non sappiamo in fondo come immaginarlo: ci mancano gli elementi per immaginarlo, in un certo senso, dall’interno, per immaginare la percezione del mondo dei
cinesi, i loro valori spirituali, le loro aspirazioni.
Una studiosa del pensiero cinese, Anne Cheng, scrive:
La Cina è quella grande porzione di umanità che resta essenzialmente sconosciuta al
mondo occidentale, senza aver cessato di suscitarne la curiosità, i sogni, gli appetiti –
dai missionari cristiani del XVII secolo agli uomini d’affari d’oggi, passando per i filosofi
dei Lumi e gli zelatori del maoismo (2000: 5).1
Così osserva acutamente un altro studioso, Simon Leys:
Dal punto di vista occidentale, la Cina è semplicemente l’altro polo dell’esperienza
umana. Tutte le altre grandi civiltà sono morte (Egitto, Mesopotamia, America precolombiana) o assorbite troppo esclusivamente da problemi di sopravvivenza in condizioni
estreme (culture primitive), o troppo prossime a noi (culture islamiche, India) per poter
offrire un contrasto così totale, un’alterità così completa, un’originalità così radicale e
illuminante quanto la Cina. Soltanto quando consideriamo la Cina possiamo davvero
1 Cheng (2000), vol. 1.
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prendere una misura più esatta della nostra identità […] La Cina è l’Altro fondamentale
senza il cui incontro l’Occidente non può diventare veramente consapevole dei contorni
e dei limiti del suo Io culturale (1991: 60-61).2
Mi sembra particolarmente stimolante accingersi allo studio della civiltà cinese partendo
da questo presupposto: sforzarsi di pensare la Cina come alterità, sforzarsi quindi di accostarsi a questa civiltà nel modo più aperto e creativo, con la disponibilità ad assumere
punti di vista e procedimenti mentali completamente diversi dal nostro. Nella speranza
che questa disponibilità ci porti non solo ad un’apertura verso un mondo del tutto nuovo
per noi, ma anche, di conseguenza, a conoscere meglio il nostro proprio mondo, la nostra
cultura, e a interrogarci su aspetti che della nostra cultura ci appaiono scontati, mentre
ci interroghiamo sulle particolarità di una cultura diversa.
In queste pagine mi soffermerò su diversi aspetti della cultura cinese antica; questa
scelta potrà stupire, in un contesto che dovrebbe riguardare i cinesi di oggi, i cinesi che
arrivano in Italia portando con sé aspirazioni, interrogativi e problemi legati all’attualità.
Credo però che non sia possibile accostarsi a un popolo complesso come quello cinese
senza avere per lo meno una percezione della sua antichità, della ricchezza della sua
cultura, degli innumerevoli retaggi che hanno contribuito a formarlo. Anche se la Cina appare invasa dai McDonald’s e dalla Coca-Cola, piena di centri commerciali che suscitano
l’invidia dei più moderni e ricchi centri commerciali occidentali, i valori, le relazioni, le
abitudini, le scelte compiute quotidianamente dai singoli individui, sono ancora strettamente legati alla tradizione, e credo che cercare di comprendere alcuni aspetti fondanti
della cultura tradizionale sia l’unico modo per tentare di districarsi nella complessità di
questo mondo.
2Leys, L’Humeur, l’Honneur, l’Horreur. Essais sur la culture et la politique chinoises, Paris, Robert Laffont (1991),
trad. it.: Leys (2004).
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2. Brevi cenni di geografia
Mappa da M-C Bergère, 2000, La Cina dal 1949 ai giorni nostri, Bologna, Il Mulino: 15.
La Cina odierna si divide in due entità statali che non si riconoscono l’un l’altra, sostenendo ciascuna di essere l’unica entità statale legittima al governo dell’intera Cina: la
Repubblica Popolare Cinese (RPC) e la Repubblica di Cina (Taiwan). La Repubblica di
Cina fu fondata nel 1912, dopo la caduta dell’ultima dinastia imperiale (la dinastia Qing,
1644-1911). Dopo la terribile invasione giapponese della Cina (1937-1945) e la sanguinosa guerra civile che vide le forze legate al Partito nazionalista al governo scontrarsi con
le forze rivoluzionarie guidate dal Partito Comunista, nel 1949, il governo nazionalista
fu costretto a fuggire sull’isola di Taiwan che divenne la nuova sede della Repubblica di
Cina. Nello stesso anno, 1949, fu fondata la RPC, che domina la grande porzione della
Cina situata sul continente.
Il territorio della RPC ha una superficie complessiva pari quasi a quella dell’Europa, per
una popolazione che oltrepassa il miliardo e 300 milioni di abitanti. Storicamente, in
tutti i periodi di prosperità, la Cina è stata caratterizzata da una popolazione molto numerosa.
La Cina attuale confina con la Russia, la Mongolia, il Kazakhstan, il Pakistan, l’India,
il Nepal, la Birmania, il Laos, il Vietnam e la Corea. È evidente come questo mondo, a
causa della sua stessa estensione geografica, sia venuto in contatto con le culture più
diverse, dal mondo turchico islamizzato, alla realtà europea rappresentata dalla Russia,
alla cultura mongola, al mondo indiano e tibetano, al mondo del Sud Est asiatico e quello
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delle culture ancora più a Oriente. Tali realtà si ritrovano tutte all’interno stesso della
Cina, rappresentate da porzioni considerevoli della popolazione: tendiamo infatti spesso,
a causa sia della distanza, ma soprattutto di un’operazione di uniformizzazione e omogeneizzazione culturale tipica del mondo cinese, a dimenticare queste importanti diversità
che lo abitano, a dimenticare per esempio che la RPC è abitata da decine di milioni di
musulmani e di persone di etnia non cinese, che parlano lingue non cinesi.
Solo l’11% del territorio cinese è costituito da terre coltivabili, che corrispondono in pratica alle grandi pianure alluvionali del Fiume Giallo (Huanghe, che scorre a nord), del basso
Fiume Azzurro (Yangzijiang, Changjiang o ancora Yangtse, centro-sud) e la pianura del
Fiume delle Perle (a sud). Queste zone grosso modo corrispondono alla Cina propriamente
detta; esse sono abitate da popolazioni di lingua cinese, e vanno distinte dalle regioni
periferiche a cui accennavamo sopra (le principali: Mongolia, Xinjiang, Tibet), abitate in
prevalenza da popolazioni non cinesi, con lingue di ceppo diverso e culture assai lontane
da quella cinese. Un’altra zona periferica è costituita dalla Manciuria (nord-est), la quale
però, in seguito a un secolare moto migratorio proveniente dalle regioni della Cina centrale, è quasi completamente sinizzata.
Lungo questi grandi fiumi, e in particolare lungo il Fiume Giallo e il Fiume Azzurro, si
sono sviluppati i primi centri della cultura cinese propriamente detta, la cultura degli
Han, che è appunto l’etnia cinese prevalente (la RPC oggi conta 56 etnie diverse, le cosiddette ‘minoranze etniche’).
La Cina propriamente detta può essere divisa in due grandi regioni naturali, le cui peculiarità contrastanti hanno contribuito alla formazione della civiltà cinese. Il Nord, dove
hanno sempre prevalso le colture asciutte (grano, miglio, sorgo, ecc.) e i trasporti sono
stati per lo più terrestri, ha rappresentato per molti secoli il centro politico ed economico
della Cina. Caratterizzato da una certa carenza di difese naturali, è stato sottoposto lungo
tutto il corso della sua storia alle incursioni delle popolazioni nomadi provenienti da nordovest. A difesa di questi territori così esposti, nel corso di vari secoli è stata edificata la
Grande Muraglia, impressionante barriera difensiva, al giorno d’oggi solo in minima parte
restaurata.
Il Sud, caratterizzato da colture di tipo sommerso (zona del riso) e in cui i trasporti e le
comunicazioni si sono svolti per secoli prevalentemente sfruttando le risorse fluviali e un
complesso e avanzatissimo sistema di canali, era in origine abitato da popolazioni di ceppo etnico e linguistico diverso da quelle della Cina del Nord. Il processo di integrazione
delle aree meridionali è stato un fenomeno molto lungo e di fondamentale importanza per
la nascita della civiltà cinese. Le zone del Fiume Azzurro, benché ricchissime di risorse
naturali e adatte alla coltivazione, nel remoto passato furono a lungo scarsamente popolate, e solo grazie a una serie di ondate migratorie provenienti dal Nord furono nel tempo
completamente assimilate alla Cina propriamente detta e divennero un importante centro
economico e culturale.
I cinesi del Nord e del Sud mantengono caratteri molto diversificati, nei tratti fisici, nel
temperamento, nelle tradizioni sociali e alimentari. È opinione comune che i cinesi del
Nord siano fisicamente più alti e vigorosi, rudi, semplici, privi di artifici, combattivi, più
legati alle tradizioni e grandi mangiatori d’aglio e di spaghetti. I cinesi del Sud, fisica136 | CLUSS
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mente più minuti, sarebbero invece più portati per la dialettica e le attività intellettuali,
amanti della poesia, della musica, degli svaghi, meno combattivi ma più astuti dei loro
connazionali settentrionali, mangiatori di riso e di pietanze sofisticate. Si tratta ovviamente di generalizzazioni, e bisogna anche ricordare che oltre alle differenze tra Nord e
Sud sono presenti in Cina innumerevoli altre differenze regionali, ma pure è utile tener
presente che i cinesi non sono affatto una popolazione dalle caratteristiche unitarie, ma
sono i variegati abitanti di un paese grande quasi come un continente.
3. Nel segno della continuità: storia, storiografia e istituzioni
La civiltà cinese ha origini antichissime e vanta una delle più antiche e ricche tradizioni
storiografiche al mondo.
Un dato rilevante che differenzia la civiltà cinese da ogni altra civiltà è la sua apparente
continuità. Tale concetto va considerato sotto due aspetti differenti:
- il concreto manifestarsi del processo storico;
- la coscienza soggettiva della continuità, che trova espressione nella più vasta produzione storiografica prodotta da una civiltà in tempi premoderni.
Il concreto manifestarsi del processo storico in Cina ha visto nel 221 a.C., dopo secoli e
secoli di antichissime dinastie il cui dominio era essenzialmente simbolico-religioso (la
più antica di queste dinastie comparve nel III millennio a.C.), la ‘Prima unificazione’ dinastica a opera di Qin Shi Huangdi (letteralmente, Primo Imperatore della dinastia Qin).
Il Primo Imperatore, noto ai profani soprattutto per l’impressionante esercito di terracotta
costituito da migliaia di statue di dimensioni umane poste a difesa del suo mausoleo, fu
un personaggio tirannico e crudele, ma pure riuscì a dare per la prima volta un carattere
unitario e statuale alla Cina. La sua opera unificatrice segnò così profondamente la civiltà
cinese che, nonostante le numerose epoche di divisione che la Cina ha conosciuto lungo
i secoli, dopo il regno del Primo Imperatore si è sempre mantenuta l’idea di una cultura
e di un impero unitari, tanto che, durante i periodi di divisione, l’idea della possibile restaurazione di un impero unitario era sempre viva.
La produzione storiografica cinese si esprime in modo esemplare nelle Storie dinastiche.
Questa produzione ha ulteriormente rafforzato la coscienza della continuità della civiltà
cinese.
Cosa sono le Storie dinastiche e quale è stato il loro significato?
Fin dalla più remota antichità, la scrittura storica è stata uno dei generi fondamentali
della civiltà cinese. Due dei Cinque Classici3 (il Classico dei documenti e gli Annali delle
primavere e autunni) erano testi di storia. La storia era narrazione degli eventi, ma tali
eventi erano trasformati, interpretati sotto una luce morale. In tal modo il testo storico
diveniva anche un modello con cui l’azione reale dei governanti, e soprattutto dei fun-
3I Cinque Classici, testi fondanti della cultura cinese compilati tra l’XI e il I sec. a.C., sono: il Classico dei mutamenti,
il Classico delle odi, il Classico dei documenti, gli Annali delle primavere e autunni e le Memorie dei riti.
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zionari, i letterati che avrebbero dovuto guidare i governanti, si sarebbe sempre dovuta
confrontare.
La tradizione delle Storie dinastiche ha inizio con lo Hanshu (Storia della dinastia Han
[Anteriore]4), di Ban Gu, autore vissuto durante la successiva dinastia degli Han Posteriori
(25-220). L’autore si rifà comunque a un modello precedente: lo Shiji (Memorie di uno
storico) di Sima Qian (145-87 a.C.), che fornì lo schema a questo genere storiografico,
anche se il suo testo non era ancora una storia dinastica.
A partire dallo Hanshu, ogni dinastia ha scritto la storia della dinastia che l’ha preceduta,
servendosi del materiale raccolto dagli storici e gli annalisti della dinastia decaduta. Questa usanza ha portato, ovviamente, a rafforzare l’idea di una continuità della tradizione
imperiale, tanto che, anche durante i periodi di divisione dell’impero, era in genere una
delle tante dinastie regnanti a far redigere la storia dinastica del periodo precedente. In
tal modo tale dinastia si autoinvestiva del ruolo di dinastia legittima erede dell’impero.
Dallo Hanshu in poi sono state compilate venticinque storie dinastiche, realizzando una
imponente opera storiografica che ha rappresentato un potente strumento di unificazione
culturale, un continuo appello all’ideale dell’impero unitario nei periodi di divisione e, nei
periodi di decadenza, un richiamo alla grandezza della Cina.
Il senso della continuità storica dell’impero cinese è stato rafforzato anche dal trasmettersi, nel corso dei secoli, di alcuni concetti fondamentali, quali la funzione del sovrano e
il concetto di Stato. Pur mutando le dinastie regnanti, infatti, la funzione dei sovrani, che
rimaneva immutata almeno nei suoi aspetti simbolici fondamentali, assicurava una continuità tra le varie dinastie. Il sovrano, che aveva per nascita un rapporto privilegiato col
Cielo (era detto infatti Figlio del Cielo, Tianzi), aveva il compito di assicurare l’equilibrio
tra società umana e ordine naturale.
A rafforzare tale ruolo del sovrano, si andò formando il concetto di ‘Mandato celeste’
(Tianming)5: secondo questa dottrina era il Cielo, suprema espressione dell’ordine cosmico, che conferiva il mandato di governare la società umana a una famiglia e che lo
trasferiva ad altre famiglie, quando quella che lo aveva ricevuto precedentemente se ne
fosse mostrata indegna. Nel togliere il Mandato, il Cielo agiva attraverso intermediari, che
potevano essere di volta in volta identificati in vari modi: a volte si trattava di un’altra famiglia aristocratica, a volte poteva trattarsi dello stesso popolo. Per questo nel corso della
storia cinese più di una rivolta popolare ha rovesciato una dinastia.
Se quindi da un lato l’imperatore, nella Cina tradizionale, era geneticamente legato al
Cielo, il suo potere era però in qualche modo limitato dal suo stesso ruolo di autorità suprema e dalle sue responsabilità. In quanto garante dell’ordine umano e cosmico, punto
di contatto tra Cielo, Terra e Uomo, il sovrano era tenuto a un comportamento moralmente
corretto, a rispettare i riti e a tenere presenti i bisogni del popolo. Calamità naturali, carestie, miseria erano segni possibili della indegnità morale di un sovrano, e legittimavano
un suo eventuale allontanamento dal potere, anche tramite azioni di forza.
4 Regno: 206 a.C. - 24 d.C.
5 La dottrina del ‘Mandato Celeste’ è antichissima: la troviamo formulata già nel più antico testo di storia a noi
pervenuto, il Classico dei documenti, compilato tra l’XI e il VII sec. a.C., con aggiunte fino al III sec.
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Legato a tale concetto sacrale del sovrano è il concetto di Stato nella Cina tradizionale; lo
Stato è espressione terrena dell’armonia cosmica: come le costellazioni ruotano intorno
alla Stella Polare, così tutte le strutture dello Stato, i ministri, i funzionari di ogni livello,
agiscono illuminati dalla luce del sovrano che dà loro il giusto orientamento, in un sistema di gerarchie che si immagina sempre armonioso.
Benché possa apparire strano, tale concezione dello Stato si è trasmessa fino ai nostri giorni: il governo della RPC, pur essendo di stampo socialista, si considera il fulcro
dell’ordine politico, sociale e anche morale del paese. Indicativo di tale concezione è
lo slogan lanciato dai vertici del Partito Comunista cinese a partire dal 2004, con cui
si afferma la volontà di costruire una ‘società armoniosa socialista’ per affrontare i più
scottanti problemi legati alla crescita economica del paese (disparità sociali, corruzione
dilagante, ma anche la diffusione di egoismo e lassismo). Il concetto di ‘armonia’ è un
richiamo esplicito agli ideali politici della tradizione cinese.
4. Una civiltà del segno scritto
Il sistema di scrittura cinese è uno dei più antichi al mondo, insieme ai caratteri cuneiformi dei sumeri e ai geroglifici egiziani; l’unicità del cinese, rispetto a questi altri sistemi,
è rappresentata dal fatto che i caratteri cinesi sono la più antica forma di scrittura tuttora
in uso.
Un altro aspetto che rende la scrittura cinese particolarmente originale e di difficile apprendimento è costituito dalla sua natura morfografica: è cioè una scrittura che non indica
sistematicamente il suono delle parole, ma che utilizza una serie di segni che rappresentano graficamente i morfemi della lingua, e cioè le sue unità minime dotate di significato.
In pratica, mentre grazie all’invenzione delle lettere le lingue dotate di un sistema di scrittura alfabetico possono rappresentare le decine di migliaia di parole che ne costituiscono
il vocabolario con due o tre decine di segni, teoricamente nel cinese dovremmo avere un
numero di caratteri equivalente al numero delle parole della lingua. Anche se questo, per
necessità legate all’economia intrinseca e alla funzionalità della lingua, non avviene, il
numero dei caratteri del cinese moderno è comunque molto elevato. La maggiore difficoltà nello studio della scrittura cinese è quindi rappresentata dalla necessità di memorizzare un elevato numero di segni. Mentre nelle lingue dotate di alfabeto i bambini in pochi
mesi apprendono un sistema di segni che consente loro di leggere qualsiasi parola della
loro lingua, pur senza comprenderne necessariamente il significato, i bambini cinesi sono
costretti a studiare ogni giorno nuovi segni per lunghi anni, durante tutto il percorso delle
scuole elementari e delle medie inferiori.
A causa delle enormi sacche di analfabetismo provocate dalle difficoltà di apprendimento
della scrittura cinese, nella prima metà del XX secolo in Cina molte voci si sono levate
a favore dell’adozione di un sistema alfabetico, suscitando numerosi e vivaci dibattiti.
Infine, ha prevalso una soluzione di compromesso che ha portato, nei primi anni dopo la
fondazione della RPC, all’adozione di un certo numero di caratteri semplificati, ma che
ha sostanzialmente mantenuto intatto il sistema di scrittura tradizionale.
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Come mai un sistema talmente complesso è rimasto funzionale e vitale fino ai nostri giorni? Esso, indubbiamente, deve presentare dei vantaggi che ne compensino la difficoltà di
apprendimento. Innanzi tutto, rimane il sistema di scrittura più adatto a una lingua dotata
di un numero relativamente limitato di sillabe, caratteristica propria del cinese. In cinese
abbiamo infatti un numero estremamente elevato di omofoni (parole dallo stesso suono e
dal significato diverso): basta sfogliare casualmente un dizionario di cinese ordinato foneticamente per incrociare omofoni quasi ad ogni pagina. Per ovviare a questo problema,
il sistema di scrittura morfografico, che rappresenta i significati e non la pronuncia delle
parole, rimane il sistema di scrittura più adatto.
Un altro vantaggio offerto da questo sistema di scrittura è rappresentato dal fatto che i
suoi segni possono essere letti in vari modi, esattamente come le cifre arabe, che sono
entrate nell’uso in decine di paesi e che possono essere pronunciate in modi diversi, mantenendo il loro significato. Così, in un paese come la Cina, caratterizzato da innumerevoli
e profonde differenze dialettali, la scrittura morfografica, che può essere letta con diverse
pronunce ma che rimane comprensibile a tutti, rappresenta un fondamentale canale di
comunicazione comune.
Da non sottovalutare sono anche i fattori culturali che tendono a conservare l’uso del
sistema di scrittura ideografico in Cina. La scrittura, con tutta la difficoltà data dal lungo
percorso necessario per arrivare a dominarla, possiede una grande autorevolezza: per secoli, se non per millenni, il potere è stato associato in Cina con la capacità di leggere e
scrivere, in quanto la cultura era un requisito necessario per accedere alle cariche governative. Fare studiare i propri figli era il primo obiettivo per qualsiasi cinese che superasse
la soglia della povertà, in quanto accedere alla scrittura significava accedere alla possibilità di realizzare grandi ambizioni. Inoltre, il legame con la grande tradizione letteraria
secolare costituisce un fattore determinante nell’opposizione al passaggio a un sistema di
scrittura alfabetico: perdere la capacità di leggere i caratteri significa creare una frattura
con la propria cultura e la propria civiltà letteraria. Infine, i caratteri cinesi hanno avuto,
nel corso dei secoli, un richiamo culturale talmente potente da essere adottati in paesi
culturalmente e linguisticamente assai diversi dalla Cina, come la Corea, il Giappone e il
Vietnam, contribuendo così a costituire una grande area culturale dove si è verificato un
continuo scambio di saperi.
5. Concezione del mondo tradizionale e religioni
Un aspetto fondamentale che caratterizza il sentire della civiltà cinese differenziandola
profondamente da quella occidentale è la mancanza, nella cultura cinese, dell’idea di
creazione e della figura di un Dio creatore. Il mondo, il cosmo, sono sempre esistiti e
sempre esisteranno, trasformandosi senza posa. Anche nella tradizione cinese esistono
dei miti cosmogonici che narrano della nascita del mondo, ma manca in essi l’idea che
il mondo sia nato da una volontà divina superiore. Manca quindi la concezione cristiana
per cui l’umanità segue uno sviluppo secondo un preciso disegno divino, che parte dal
peccato originale per giungere al giudizio universale. Nel sentire cinese, lo sviluppo non
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è mai lineare, ma circolare, ciclico. Allo stesso modo, manca nel mondo cinese anche
la divisione, tipica del mondo cristiano-occidentale, tra mondo terrestre, associato con
tutto ciò che è transitorio, imperfetto, corporeo e peccaminoso, e mondo celeste, sfera
dell’eternità, della perfezione, dello spirituale, del sacro.
La sfera materiale e quella spirituale nella cultura cinese vivono in un rapporto di continuità: non si escludono l’un l’altra né possono essere giudicate negativa la prima e positiva
la seconda. Non esiste un Dio creatore, ma esiste un pantheon di divinità che abitano un
mondo non dissimile né migliore da quello abitato dagli umani e governato da leggi assai
simili a quelle in vigore nel mondo umano.
Nella concezione cinese manca una volontà divina superiore che guidi il creato: in tutto
ciò che esiste è insito un principio ordinatore, il Dao, la ‘Via’, che indica il percorso delle
cose secondo la loro inclinazione naturale, il moto naturale dell’universo. Tale Via non è
rivelata da un Dio o da profeti, perché è, appunto, principio insito nelle cose. La Via è
alla portata di tutti, tutti ne facciamo esperienza tutti i giorni, basta che ci poniamo in un
atteggiamento di ascolto verso la realtà.
Non esistono quindi testi rivelati, come avviene per la Bibbia e il Corano: tutti i testi,
pure i principali Classici o i testi fondanti del taoismo e del confucianesimo, sono opera
dell’uomo.
La Via non ha una connotazione morale: semplicemente, quando si devia dalla Via si cade
in un percorso innaturale, e quindi deviato. Non esiste, come nell’Occidente cristiano, la
contrapposizione tra Dio, forza del bene, e il diavolo, forza del male. Il male per la cultura cinese è conseguenza di una deviazione dalla Via, e tale deviazione avviene a causa
dell’ignoranza che ci induce a sbagliare direzione.
Nella Cina tradizionale hanno per secoli coesistito (e coesistono tuttora) tre principali dottrine: si parla infatti di Sanjiao (le Tre dottrine). Esse sono il confucianesimo, il taoismo e
il buddhismo. Sebbene le prime due non siano nate come dottrine religiose, col passare
dei secoli hanno assunto, almeno parzialmente, diversi connotati tipici delle religioni, per
cui spesso si traduce Sanjiao come le ‘Tre religioni’. Confucianesimo e taoismo sono dottrine autoctone, nate in Cina, mentre il buddhismo nacque in India intorno al VI sec. a.C.
e si diffuse in Cina a partire dai primi secoli della nostra era, caso unico di una dottrina
non cinese in grado di radicarsi sul suolo cinese, esercitando un influsso profondissimo
sugli sviluppi successivi della società, del pensiero e della struttura morale cinesi.
Le Tre dottrine, pur caratterizzate da profonde differenze, hanno sempre convissuto; in
alcuni momenti l’una ha preso il sopravvento sulle altre, in altri periodi vi furono delle
persecuzioni (in particolare contro il buddhismo) o dei momenti di forte tensione, ma
non esistette in Cina nulla di simile alle guerre di religione che insanguinarono per secoli
l’Europa: mai una religione organizzata, mai nessuna chiesa, infatti, ha assunto in Cina
un potere politico determinante, come è avvenuto in Occidente.
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6. Individuo e società
Le concezioni di individuo e società in Cina si sono formate nella remota antichità e si
sono trasmesse fino all’epoca moderna mantenendo praticamente immutati i lineamenti
fondamentali.
Il mondo cinese è senza dubbio ancora segnato dall’impronta datagli da Confucio
(551-479 a.C.). La figura di Confucio può apparirci paradossale: a differenza di altri
grandi pensatori dell’antichità, Confucio non è né un filosofo che ha elaborato un sistema
di pensiero, né il fondatore di una religione; il suo pensiero appare anzi al primo impatto
piuttosto banale. La sua eccezionalità dipende dal fatto “che ha formato l’uomo cinese
per più di due millenni ma, ancor più, dal fatto che ha proposto per la prima volta una
concezione etica dell’uomo nella sua integralità ed universalità”6.
Confucio, quindi, non elaborò un sistema di pensiero compiuto, ma piuttosto si propose
di insegnare agli uomini come diventare veramente uomini, nella prospettiva della costruzione di una società equilibrata che contribuisse all’armonia del mondo e del cosmo.
Per Confucio l’uomo assume valore in quanto in rapporto con gli altri uomini: nel suo
pensiero è centrale la virtù dell’umanità, ren 仁 (‘la sollecitudine che gli uomini hanno gli
uni per gli altri dato che vivono insieme’7). Lo stesso carattere 仁, composto dal radicale
亻(per ren 人, ‘persona’) a cui è affiancato er 二 (‘due’), esprime chiaramente il concetto
per cui un uomo è veramente tale solo se in relazione con altri uomini.
Confucio non propone quindi la costruzione di un individuo, ma di una persona che deve
avere una funzione sociale, che per essere davvero umana deve sapere vivere in relazione
agli altri.
Tale idea della persona vista in una prospettiva sociale, collettiva, e mai individuale, è
rafforzata dalla assoluta preminenza della famiglia e delle esigenze familiari su quelle
individuali. Anche la centralità della famiglia è un momento importantissimo del pensiero confuciano; modello in piccolo dello stato e dell’intero cosmo, la famiglia è alla base
stessa dell’ordine cosmico: relazioni familiari ordinate porteranno a un paese ordinato e a
un mondo ordinato e armonioso.
Così le gerarchie familiari, e quindi quelle sociali, vanno rigidamente osservate: i ruoli di
padre, madre, fratelli maggiori e minori, ecc., sono molto ben definiti, e la virtù della pietà filiale è una delle virtù fondamentali dell’uomo cinese. Contravvenire ai principi della
pietà filiale significa contravvenire a regole sacre, macchiarsi di empietà.
Da ciò deriva che anche nella Cina attuale la famiglia resti il fulcro della società. Le decisioni, anche nel caso degli adulti, e anche quando coinvolgono la sfera più intima, sono
sovente prese dal gruppo familiare (e in particolare dai genitori anziani che mantengono la
loro autorità fino alla morte). Le relazioni sociali e lavorative sono fondate spesso su base
familiare o per lo meno personale. Per trovare un buon posto, occorre generalmente avere
delle buone guanxi (‘relazioni’), cioè avere un rapporto di parentela o di amicizia (considerata un’estensione del rapporto di parentela) diretto o indiretto con il datore di lavoro.
6 Cheng (2000: 44).
7 Definizione data da Zheng Xuan (esegeta del II sec. d.C.), citata in Cheng (2000: 52).
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Le esigenze collettive hanno quindi la preminenza su quelle individuali. Questa propensione alla collettività propria della cultura tradizionale cinese si è fusa profondamente con
le esigenze di una società socialista collettivistica, e ha reso possibile attuare politiche
che incidono fortemente anche sulla vita privata dei cittadini, come ad esempio quella sul
controllo delle nascite che vieta ai cinesi Han di avere più di un figlio. Ovviamente, nel
corso dei secoli, ma soprattutto negli ultimi decenni, si sono levate molte voci al di fuori
del coro della collettività, voci che vogliono affermare esigenze e aspirazioni individuali,
legate o a una ricerca individuale (è il caso di molti intellettuali) o a fenomeni legati
all’età e all’esposizione ad altri modelli, in particolare quelli occidentali (come avviene
per moltissimi giovani).
Bibliografia
La presente bibliografia (comprensiva anche di una breve filmografia) propone al lettore non specialista,
oltre ai testi citati, alcune letture generali su vari aspetti della cultura cinese. Una attenzione particolare
è stata posta a libri e saggi sulla situazione dell’emigrazione cinese verso l’Italia.
1997, Cina a Milano, Milano, AIM.
1994, L’immigrazione silenziosa. Le comunità cinesi in Italia, Torino, Fondazione Giovanni Agnelli.
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Ceccagno A. (a cura di), 1997, Il caso delle comunità cinesi. Comunicazione interculturale e istituzioni,
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Ceccagno A., 2003b, Migranti a Prato, Milano, FrancoAngeli.
Ceccagno A., 2005, “Importatori transnazionali, commercianti e microimprenditori: i migranti cinesi in
Italia fronteggiano la crisi economica”, in M. Scarpari, T. Lippiello (a cura di), Caro Maestro… Scritti
in onore di Lionello Lanciotti per l’ottantesimo compleanno, Venezia, Cafoscarina: 317-330.
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Cheng A., 2000, Storia del pensiero cinese, Torino, Einaudi, 2 voll.
Chow G. C., 2007, Conoscere la Cina, Roma, Armando Editore.
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Filmografia essenziale
L’ultimo Imperatore, di B. Bertolucci
La stella che non c’è, di G. D’Amelio
Addio mia concubina, di Chen Kaige
Lanterne rosse, di Zhang Yimou
Keep cool, di Zhang Yimou
Non uno di meno, di Zhang Yimou
Hero, di Zhang Yimou
Mangiare bere uomo donna, di Li Ang (Ang Lee)
Lussuria, di Li Ang (Ang Lee)
Happy together, di Wong Kar-wai
In the mood for love, di Wong Kar-wai
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