82 - La Masnada

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82 - La Masnada
anno 10
numero 82
estate
2008
calderone di intrugli artistico-culturali
> P AROLE E RRANTI 200 8 <
5° FESTIVALETTERATURA
libri da non leggere
ore 19:00
Recensioni al contrario sull'editoria libraria.
Modera Andrea Giannasi.
tv vs libro
DI CALABRIA
mercoledì 30 luglio
ore 22:00
Riflessione con Franco Dionesalvi (poeta, scrittore e giornalista) e Andrea Giannasi (editore e giornalista) sull’esito e il futuro di questo confronto-affronto.
giovedì 31 luglio
libri da non leggere
ARIO
OMMARIO
SOMM
- abbiamo scherzato...
- Ristoro
Recensioni al contrario sull'editoria libraria.
Modera Andrea Giannasi.
poeti a duello
ore22:00
Reading poetico notturno a microfono aperto.
Parteciperanno: Tito Truglia (Farepoesia),
Franco Dionesalvi, La Masnada.
- Matrioska IV
-
Carmine Torchia
ore 19:00
con la partecipazione di:
» Carmine Torchia > Cantautore
» Don Chisciotte > Libreria
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Cropani
Marina
Residence
F40
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abbiamo scherzato...
t
anti sono i frutti zuccherini di questa superba società. maciniamo i secoli e tritiamo usi e costumi con
voracità inappagata, fabbricandone anestetici per i nostri sensi alterati.
ogni nazione che si rispetti sgomita e si affanna nella crescita collettiva. lo sviluppo è assimilabile alla prova
del nove che i nostri insegnanti tentavano, a volte invano, di farci digerire alle elementari. la prova non sempre
torna, ma se ne attribuisce la causa a una rara congiuntura astrale mista a una eccessiva rigorosità di calcolo.
spiegare a questi signori che la matematica conforta e affascina proprio perché non sottoposta ai capricci
dello stronzo di turno... è pressoché inutile.
tentano il riassetto anche sociologi, artisti e lillipuziani... da decenni essi affermano che bisogna pur operare
delle distinzioni fra sviluppo e progresso: l’uno mercificatorio e borghese per definizione, l’altro indice di una
reale evoluzione umana. ma a loro si dà dei catastrofisti, magari depressi e con tendenza all’omosessualità!
eppure da bambino mi è capitato di sentire che una sorta di ordine prestabilito mi aleggiasse attorno; che
bisognava darsi da fare, conoscere, studiare, crescere per tentare di sbrogliare quella foresta di simboli che
noi umani ci siamo orditi con tanta scrupolosità.
oggi che mi do da fare, inseguo la conoscenza, cresco... mi dicono che no, abbiamo scherzato! l’ordine è rientrato: incolònnati, evita isterismi inutili e vedi di non crearti illusioni circa l’intellettualità dei tuoi simili.
le minoranze più illuministiche, secondo questi signori, sono incidenti di percorso, colonie di bambini non
cresciuti, tutto al più uomini risibili; non di certo stimolo all’evoluzione delle proprie facoltà o coscienze più avvedute.
l’ulteriore aggravante di questo innocente scherzetto sta nella capacità di farlo passare per una semplice e
ineluttabile casualità e non per quello che realmente è, vale a dire una dipartita clamorosa della dignità umana.
cartina al tornasole di una decadenza tacitamente accettata è la condizione di salute del libro.
due sono le scuole di pensiero a riguardo: oggetto dotato di una straordinaria vitalità, messaggero delle più
ardite intelligenze, da sempre simbolo di cultura per alcuni; per altri più utile come spessore, ravviva fuoco, oggetto contundente o soprammobile.
e che a prevalere sia la teoria meno nobile lo dimostrano le classifiche di vendita: il libro sembra essere divenuto regno esclusivo per comparse tv, comici, mestieranti di ogni risma.
e gli scrittori? che fine hanno fatto romanzieri e poeti talentuosi?
semplicemente risultano inghiottiti dall’innocente scherzetto; del resto... vogliamo
per caso fossilizzarci su astrusi teoremi letterari? una società dei consumi che si
rispetti ha il dovere di fagocitare tutto ciò che incontra sul suo cammino; e nel conseguente processo di assimilazione, tenere per sé solo ciò che la accresce e la lusinga, espellendo fardelli inutili ed eccessivamente liberi.
l’arte, e non tanti paiono rendersene conto, è in assoluto la disciplina più eversiva
che l’uomo sia in grado di concepire. l’esistenza, col suo carico di amori, dolori,
passioni e indifferenze, viene trasposta dal gesto estetico in modelli universali e
svincolata dalle contingenze del quotidiano. così facendo la realtà smette di essere
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ciò che è, e sublimata dai ricordi e dalle fantasie dell’artista svela il reale potenziale umano.
questo processo di destrutturazione della realtà reca con sé un rifiuto dei rapporti sociali costituiti e l’instaurazione di un bisogno altro. è questa la ragione per cui le istituzioni e il potere in genere hanno un atteggiamento di chiusura nei confronti dell’arte. i concetti di bello, illusione, ricordo e speranza contenuti in un’opera
potrebbero segnare un loro deciso tracollo.
e in quest’ottica il libro assume un ruolo guida. perché se è vero che ci sono forme d’arte più universali come
la musica e la pittura, è altrettanto vero che il libro ha in sé una completezza superiore: chiede di più al lettore e
inevitabilmente di più restituisce. l’immaginazione che una poesia può sprigionare col suo retrogusto di grazia e
fascino ha un che di ipnotico, di magico.
è il motivo per cui tante ciarle possono essere riassunte da pochi deliziosi versi.
questi sono quelli di velimir chlebnikov, poeta russo vissuto tra la fine dell’800 e primi del 900:
il rifiuto
è per me di gran lunga più gradevole
osservare le stelle,
che sottoscrivere una sentenza di morte.
è per me di gran lunga più gradevole
ascoltare le voci dei fiori,
che bisbigliano: “è lui!”,
quando passo per il giardino,
che vedere i fucili,
che uccidono quelli che vogliono
uccidere me.
ecco perché non sarò mai
e poi mai
un uomo di governo!
velimir chlebnikov
a volte, calandomi nello stato d’animo di quand’ero bambino, penso a quando ci risveglieremo da questo torpore diffuso che ci avviluppa da capo a piedi. penso al momento in cui torneremo ad attribuire all’esistenza il
valore che le spetta. poi ci rifletto su ancora un po’, e realizzo che forse sono i bambini ad avere una percezione
deviata della realtà, e che quella robusta fiducia nel mondo, in verità è il più innocente di tutti i giochi che l’infanzia regala.
poco più in là... ci si rià alla vita, ci si confronta, ci si divide: da un lato burattini e burattinai, dall’altro burattini
autonomisti che attentano ai burattinai. capirete che solo un bambino può avere l’ardire di spingersi tanto oltre.
gianluca pitari
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Ristoro
Cerco ristoro alle mie ferite
Per il mio ermetismo prosaico.
Al mio dolore lacero
In una donna
Ella rincasa su se stessa e resto solo.
Per la sporcizia dei miei versi
Della mia anima e dell’anima altrui.
Per chi è templare di nessuna religione
Cerco ristoro in un gruppo di umani
Vicini alle mie strampalataggini
Ma mi sento sempre più solo.
Cammino per strada
Nel tentativo di trovare
Dell’anime gemelle
Ma cammino solo.
Esproprio la soavità dalla donna
La forza dell’unione dal gruppo
La solitudine buona consigliera
Da una passeggiata notturna.
Colgo l’essenza delle cose.
E il mio ristoro non sovviene.
Se la vita fosse poesia
Io non saprei scriverla
Se la vita fosse l’incanto
Io lo noterei alla morte
Se la vita fosse
Questa che vivo
Soffocherei
In un inferno invisibile
Del quale cogliere soltanto
Il bruciore delle fiamme.
Perché scrivo?
Per conseguenza
Senza mode, titoli e modelli da perseguire.
E combattente di nessuna guerra.
Per ogni marinaio che ha scelto questa lugubre
Oscura orsa maggiore che qualcuno chiama poesia.
Per chi cerca ristoro fuori dalla frivolezza.
Per chi non si rassegna alla fine dell’amore.
Per chi non crede più nelle fiabe.
Per chi le storie le racconta
Per chi ha il coraggio di ascoltarle
Per chi la storia la scrive.
Per chi aspetta qualcosa per cui vivere e non morire.
Per chi lascia dietro di sé una scia da lumaca
Nel lento, affannoso percorso
Verso un futuro che sembra non esistere.
Per chi ogni tanto la speranza la perde.
Per chi legge gli scritti e non sa interpretare la persona.
Per me e per tutti quelli disposti ad ascoltarmi.
Per chi vive le ore con dieci minuti meno
Dedicati all’incanto e alla disperazione.
Per chi origlia alla mia porta inventata.
Per chi aspetta invano che le fiamme
Del suo inferno prendano a bruciare meno
Per chi le fiamme di quell’inferno le appicca.
Per chi si arrende.
Per chi ogni giorno perde un pezzo di sé
Nell’inchiostro sfumato di una pagina
Per chi non capisce
Per chi non mi conosce
Per chi è un miserabile come me ma ha più problemi nel dirlo.
Matteo Mazza
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Matrioska (rubrica di impressioni letterarie)
pt. IV - Edoardo Cacciatore
L
a poesia è una matrioska con decine di significati, infilati l'uno nell'altro.
Questo mese vi propongo una poesia tratta dal poemetto "tutti i poteri" di Edoardo Cacciatore.
Componimento n°9 presentimento primo "il giorno dell'epifania"
Spietato adesso è il dì non diviene mai tardi
Capsule sul tappeto restano ed astucci
5 Un bel da fare per chi giuoca ginocchioni
10
E ti andrebbe magari e raccolto ti accucci
Chiusa a chiave chiesa - ma rotto il tetto guardi
Lo zodiaco medianico degli arnesi.
Che ti strazia e ti allevia abbozzandoti a dito
Zenit ad ipsilon Bivio i cui due tronconi
Combaciano e irraggeranno in pubblico rito
Epifania frontale e sagome esegesi.
Sprizzante è rinascita sempre è genetliaco
E mentre oggetti annaspi ed inneschi di azzardi
15 L'anonimo indossi del nesso che impersoni.
Quanto spietato è il dì - l'ora è ora al più tardi
L'inferno infondo è qui ma fu paradisiaco.
L'uomo nuovo, l'uomo moderno è assorbito in toto dal complesso gioco capitalistico, in maniera tale da essere accecato dal suo illusorio bagliore. L'uomo esiste, ormai sventrato, solo a due estremi: manodopera da un
lato, consumatore dall'altro. In mezzo esiste l'immensa (e quasi invisibile) macchina consumistica che governa
ogni ramo del vivere umano. La vita diviene così una frenetica corsa da un estremo all'altro, una maratona del
consumo in cui qualsiasi valore autentico si sgretola e viene sostituito dal valore delle cose.
"Spietato adesso è il dì non diviene mai tardi", questo primo verso sottolinea la perversa frenesia moderna.
Il giorno si espande, quasi, oltre i suoi limiti, invadendo la notte. Sembra che la notte non debba venir mai,
che la notte sia solo un contrattempo faceto al gran turbine della modernità.
L'uomo comune è ignaro di tutto questo, o almeno ne è partecipe ma ad un livello subalterno e, dunque, può
percepirne solo alcuni aspetti, quelli più allettanti e lusinghieri. Sembra un gioco: "un bel da fare per chi giuoca
ginocchioni / e ti andrebbe magari e raccolto ti accucci", ma non lo è, è una realtà alienante dalla quale riemergendo si può scorgere lo smacco, rompendo il tetto si può guardare "lo zodiaco medianico degli arnesi".
I versi 5,6,7 sono epifanici, svelando la natura quasi paradossale del capitalismo stravolgono l'idea che di
esso si può avere. E così gli arnesi meccanici non sono al servizio dell'uomo ma viceversa: l'uomo è arnese dell'arnese meccanico, il "dito" umano dell'attrezzo. L'uomo diviene solo una componente meccanica, "l'anonimo
indossi del nesso che impersoni"(v. 13).
Nella devastazione dei valori, nella maratona cieca del consumo e nello svilimento ad essere anonimo risiede
l'alienazione. L'uomo senza più riferimenti, disorientato dallo snaturamento, è rattrappito in sé, ridotto ad automa.
L'ultimo verso si chiude però con una nota positiva: "l'inferno infondo è qui ma fu paradisiaco", questo è l'inferno ma avrebbe potuto essere un paradiso. La tecnologia in sé non è malvagia, è l'uso distorto che ne fa il
capitalismo a renderla nociva.
Se l'uomo riesce a non subire il tutto, può diventare un paradiso.
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Angelo Tolomeo
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Mi pagano per guardare il cielo
la recensione
di Salvatore Mercurio
capire l’unicità del neonato disco di Carmine basta aprire la copertina del cd
P ere sfilare
l’e-book all’interno per leggere sullo sfondo:
C’è un uomo / che fa il suo mestiere con passione /
che lavora all’ombra dei giorni / in perfetta antitesi col mondo;
Già dal titolo gli intenti del disco appaiono chiari: Mi pagano per guardare il cielo!
Mi sembra che tale frase racchiuda il senso del fare il cantautore oggi.
Gli elementi di cui è costituito il disco di Carmine Torchia sono la passione per la musica, uno sguardo critico verso la società e una propensione all’amore... quello non banale. Concetti riflessi negli stilemi armonici e
negli arrangiamenti. Essi sono sempre moderni e perfettamente originali e, sebbene omogenei tra di essi, si modellano ad ogni canzone a seconda delle tematiche affrontate nei testi. Ecco svelate le immense capacità di
Torchia, un autore che ammette di “oscillare tra De André e Pink Floyd” e capace di creare uno stile proprio.
L’autore, come i cantautori più classici, combina musica e poesia con un grande equilibrio; ma allo stesso
tempo raccoglie le sfide del tempo che vive: “Sarebbe inutile riproporre vecchi modi di fare musica” – mi ha confidato – “Questa è la sfida di oggi: attualizzare la musica d’autore!”.
L’amore è la prima tematica affrontata dal disco. Il brano d’apertura Eccoti è l’immagine del giorno delle
nozze e dell’attesa. Nonostante l’attuale status di celibe la canzone riflette molto l’esperienza personale... le
immagini sembrano riferirsi ai luoghi del paese natio che è Sersale. La canzone ha un arrangiamento lieve, come
denota il notevole uso di archi. Chiare risultano le inflessioni mediterranee sia nei ritmi che in alcuni suoni percussivi... “D'altronde io ho questa forte debolezza per le bellezze mediterranee” ammette Carmine.
La tematica viene ripresa da altri brani come A mezzanotte sui portoni che è una serenata in cui si descrive
la dichiarazione d’amore alla propria innamorata. Quest’opera è più decisa e profonda della precedente e si
riflette anche negli arrangiamenti più complessi ed elettronici, per creare al meglio l’atmosfera notturna che la
caratterizza.
La canzone più scanzonata è invece La controfigura, nella quale l’autore immagina di farsi rimpiazzare da
una controfigura in occasione delle crociate di shopping o delle cene di lavoro della sua Signorina. “Quando
ho scritto la controfigura ho pensato al chitarrista che l’avrebbe dovuta suonare, che si sarebbe dovuto fare il
culo per una coglionetta (leggasi burla)”. Nell’incisione del disco Torchia si è fatto aiutare da un musicista di
chitarra classica di Sersale Francesco Scarpino.
Poco più di un minuto dura il brano Le Tele, nel quale l’autore che si esibisce esclusivamente con chitarra
classica e voce, paragonando la pittura all’atto amoroso... vagamente richiamata quindi l’arte pittorica: un altro
aspetto della vita del Torchia.
Il brano d’amore di più alto spessore è L’ odore dei mandarini che è anche il brano di chiusura del disco. Esso, in realtà, è un brano universale e rappresenta le sensazioni che si provano dopo una pesante discussione.
Gli arrangiamenti sono molto dimessi e malinconici... le melodie delle voci e degli archi intrecciandosi talvolta tra
di essi formano un’armonia del tutto singolare e veramente toccante.
La capacità critica dell’autore viene messa a nudo quando rappresenta momenti di vita reali per mezzo del
racconto di personaggi. Il primo del disco alla traccia n.2 è il ritratto dell’omino niente male. In un mondo in cui
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cerchiamo tutti di apparire originali c’è chi reagisce con una disarmante normalità... il ritratto quindi si tinge di
colori molto allegri e leggeri, pennellate in tonalità di un semplice giro di Sol maggiore ed il mandolino per ricordare la solita provenienza dell’autore.
Il secondo personaggio ve lo annuncio con le stesse parole di Carmine: “Degli astronomi sono venuti a conoscenza de L’astronomo e mi hanno espresso la volontà di avere il disco prima possibile e mi hanno detto che
si rispecchiano molto nella canzone”.
L’astronomo è senza dubbio il capolavoro del disco: piano classico in appoggio a tutta la canzone, l’armonia
però si articola di accordi inusuali e si colora di tastiere ad effetti celestiali e chitarra slide. La storia di questo
personaggio si caratterizza per i suoi perché da bambino quando:
gli altri dispongono le pietre per simulare i pali di una porta senza rete
o quando da sposato
sua moglie, razionale, pensa al prezzo nazionale delle zucchine
Che strana gente gli astronomi: / continuamente rapiti dalle stelle, / sempre con quel pallino delle stelle!
Non deve essere facile al mondo d’oggi fare il cantautore, un lavoro che ormai sta divenendo desueto. È
più facile pensare di fare la popstar, magari in età adolescenziale o poco su di lì, quanto meno si è più in pace
col mondo e mal che vada si è vissuta una esperienza divertente. Eppure migliaia di persone al mondo appendono la chitarra al chiodo ben consapevoli di avere delle chitarre meglio rumorose di quelle della radio e diventano avvocati, architetti, dottori perché sono dei mestieri più sicuri. Acceso scambio di vedute tra il futuro il
destino e me era il titolo dell’attuale e più orecchiabile, come titolo ovviamente, Lui vuole fare il rumorista. La
canzone risale al tempo in cui Torchia, appena divenuto architetto, decide di musicare un suo dissidio interno
nei confronti del futuro e del destino:
Ché io faccio il musicista!
dopo anni la canzone si trasforma parzialmente per divenire meno personale e più universale: l’aspirante rumorista, figura del settore audiovisivo specializzata nel creare naturalmente effetti sonori, è il terzo personaggio del disco.
Gli ultimi personaggi sono racchiusi in una grande opera che è L’esercito dei derelitti. L’opera è a carattere
prettamente sociale insieme ad altre due grandi brani: Trema la foglia. E tu? E Nessun Dio che ora vedremo.
I derelitti sono i barboni. Il brano parte da una visione critica di questo spaccato della società per poi approdare ad una lezione morale per tutti noi con una conclusione sulla umiltà e sulla pace: si svela in tale brano il
lato anarchico del pensiero politico del Cantautore... in questa fase del disco musicalmente emerge la vena psichedelica e pinkfloydiana.
“Sto aspettando una chiamata per un altro concorso ma non penso che mi abbiano accettato.” mi dice Carmine mentre io ovviamente ero incuriosito dal perché.
“All’audizione ho eseguito l’esercito dei derelitti che è una canzone molto strana soprattutto per il finale rock-psichedelico anni ’70. Feci notare a Carmine che siamo
in un periodo decadente musicalmente parlando, e che certe volte sarebbe meglio
presentarsi con una canzone come L’astronomo che è più diretta. Ma Lui mi rispose
“Io non ci penso a queste cose. È inutile fare calcoli pragmatici inutili... io faccio sempre ciò che mi sento altrimenti non avrebbe senso niente nella mia musica”.
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la masnada
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Un’altra canzone con forti inflessioni psichedeliche è Trema la foglia. E tu?
“La canzone solo dopo tempo ho capito che si potesse riferire alla depressione” mi confidò una volta “Il
personaggio in forte crisi emotiva riesce a trarre conforto dal vento anche se il vento non è mai citato direttamente nella canzone”.
Il singolo che Sergio Garrone, produttore discografico dell’album, ha voluto fortemente sponsorizzare è
Nessun Dio. La canzone è stata mandata in diverse radio lo scorso hanno e, sempre nel 2007, è stato girato un video musicale che è possibile trovare su internet visitando lo spazio myspace di Torchia. La canzone
è nata da un connubio tra gli arrangiamenti più mediterranei di una band del salernitano “I Diaspora” e quelli
di Carmine più elettronici… parla dell’attuale conflitto tra la cultura orientale e occidentale incarnata da due
pessimi personaggi: Bush e Bin Laden.
Avverto una sensazione suonando in giro con Carmine, lui gode di una stima nell’ambiente dei cantautori
del circuito romano che è superiore a tutti gli altri.
Eh sì... “Ha tutte le carte in regola per essere un’artista” direbbe il maledetto Ciampi mentre io, più spudoratamente, oserei dire che lo è già diventato: Auguri Cà!
N°
Titolo del Brano
Voto /10
01.
Eccoti
02.
Titolo del Brano
Lui vuole fare il rumorista
Voto /10
6,5
N°
07.
Ritratto di un omino niente male
6,5
08.
Trema la foglia. E tu?
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03.
L’astronomo
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09.
L’esercito dei derelitti
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04.
Nessun dio…
7,5
10.
La controfigura
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05.
A mezzanotte sui portoni
7
11.
L’odore dei mandarini
7,5
06.
Le tele
6
(tratto dal primo articolo
del primo numero de
la masnada, giugno ‘99)
6,5
Mi Pagano per Guardare il Cielo 8/10
i lu c ro !
e rs iv i, no n d
vv
so
i
p
o
sc
ha
il ca ld er o n e
“… nell’aspirazione di
scrivere e condividere un progetto,
si è giunti a riunire più giovani,
ognuno coi suoi limiti,
la sua precarietà
l’insopprimibile fotta
quel
ma con
(leggi voglia)
di esprimere un concetto.
speranzosi di non ledere troppo
la suscettibilità altrui,
nasce un disegno atto a sostenere
la libertà di espressione,
emblema di una coscienza
non più soffocata e inquinata
dalla morale spicciola:
la masnada”.
=> a cura dell’associazione di volontariato La Masnada
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