MODELLI PARAMETRICI DI STIMA DEL RISCHIO DI MERCATO

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MODELLI PARAMETRICI DI STIMA DEL RISCHIO DI MERCATO
MODELLI PARAMETRICI DI STIMA DEL RISCHIO DI MERCATO
Annalisa Di Clemente∗
1. INTRODUZIONE
Con il termine rischio di mercato s’intende la perdita di valore delle posizioni creditorie
(long) e debitorie (short) del portafoglio non immobilizzato1, ossia di negoziazione o di tesoreria, di
un intermediario finanziario, derivante da fluttuazioni avverse dei fattori di mercato Fj (con j = 1,…,
M).
I rischi di mercato hanno assunto, nell’ambito dei mercati finanziari internazionali, una
rilevanza crescente a partire dagli anni ’80 in seguito a tre fenomeni rilevanti:
1) il processo di titolarizzazione o cartolarizzazione (securitization);
2) la progressiva crescita dei mercati derivati;
3) l’aumento della volatilità dei mercati finanziari, imputabile alla progressiva integrazione
internazionale degli stessi.
Il primo fenomeno, la securitization, ha portato alla progressiva sostituzione di attività
illiquide (prestiti, mutui, etc.) con attività dotate di un mercato secondario liquido e, quindi, di una
continua formazione del prezzo. Tale processo ha favorito la diffusione di criteri di misurazione
delle singole posizioni del portafoglio bancario legati all’evoluzione del mercato (mark-to-market),
permettendo l’evidenziazione dei profitti e delle perdite del portafoglio connesse alle variazioni
delle condizioni di breve periodo del mercato stesso.
Il secondo fenomeno è rappresentato dalla crescente complessità degli strumenti finanziari
negoziati dalle banche, i derivati, il cui principale profilo di rischio è rappresentato dalla variazione
del relativo valore di mercato in seguito a fluttuazioni del prezzo dell’attività sottostante.
∗
Ricercatore del Dipartimento di Teoria Economica e Metodi Quantitativi per le Scelte Politiche, Università
di Roma “La Sapienza”. E-mail: [email protected].
1
Con portafoglio non immobilizzato si intendono le posizioni in valori mobiliari e relativi derivati assunte in
un’ottica di breve periodo con finalità di speculazione (posizioni assunte in nome e in conto proprio) o di
soddisfazione di esigenze di negoziazione della clientela (posizioni assunte in nome e in conto terzi).
1
La complessità dei portafogli bancari di negoziazione ha, in sostanza, reso pressante l’esigenza di
trasformare le tradizionali misure di rischio (duration, convexity, beta, delta, gamma, vega) di ogni
specifica categoria di strumento (obbligazione, azione, option, etc.) in una misura di rischio
omogenea, ossia idonea a quantificare in modo globale l’esposizione di una banca nei confronti
delle diverse variabili finanziarie. In altre parole, si è passati da una classificazione per tipologie di
strumenti, ad una classificazione per categorie di rischio, nel senso di fattori di mercato (tassi di
interesse, tassi di cambio, prezzi azionari).
La definizione di rischio comunemente accettata Value at Risk o VaR (Valore a Rischio) è
caratterizzata da tre elementi:
1) la massima perdita potenziale che una posizione (attività finanziaria) o un portafoglio di
attività può registrare;
2) un certo livello di confidenza (o probabilità di accadimento della massima perdita);
3) un determinato orizzonte temporale di riferimento.
Con VaRq s’intende la massima perdita, espressa in termini monetari, associata ad una
posizione o ad un portafoglio di posizioni calcolata con probabilità pari a qx100% (0.95≤q≤0.99)
all’interno di un preciso orizzonte temporale (es. 10 giorni, 7 giorni, 1 giorno, etc.). Nella
definizione di VaR dobbiamo introdurre il concetto di percentile della distribuzione profitti e
perdite P&L (rendimenti positivi e rendimenti negativi) della posizione o del portafoglio di
posizioni di cui s’intende stimare il rischio. Ad esempio, il primo percentile è il valore (della
perdita) che isola l’1% dei casi più sfavorevoli, lasciando “sopra” di sé il restante 99% della
distribuzione P&L. La distanza tra valore atteso della perdita E(L) e primo percentile della
distribuzione P&L rappresenta nel 99% dei casi la massima perdita rispetto al valore atteso, o
massima perdita probabile, VaR. La distanza tra il valore atteso E(L) ed il secondo percentile della
distribuzione P&L rappresenta, invece, la massima perdita attesa con probabilità del 98%. E’,
quindi, il VaR q=0.98.
Maggiore è il livello di probabilità prescelto e maggiore sarà il valore del VaR. Maggiore è
il livello di percentile prescelto e minore sarà il valore del VaR2.
A fronte di questa comune definizione di rischio, esistono numerosi e diversi metodi di
misurazione del VaR. In particolare, possiamo distinguere tre principali categorie di modelli di
stima del rischio di mercato:
a) i modelli analitici o parametrici o modelli varianza-covarianza;
2
Maggiore è il livello percentile scelto e minore sarà il livello di probabilità in corrispondenza del quale si
calcola il VaR. Ad es., calcolare il VaRq=0.95 in corrispondenza di un livello di probabilità del 95%, vuole dire
calcolare la differenza tra valore atteso e quinto percentile della distribuzione P&L.
2
b) i modelli basati sulle simulazioni o modelli non parametrici: simulazioni storiche (HS),
simulazioni Monte Carlo (MC) e le prove di stress;
c) i modelli basati sulla Extreme Value Theory (EVT), Teoria dei Valori o degli Eventi
Estremi (modelli semiparametrici).
I MODELLI PARAMETRICI sono contraddistinti da due caratteristiche principali:
1) il rischio di mercato del portafoglio di negoziazione è stimato come funzione della volatilità o
delle posizioni che lo compongono o dei fattori di mercato verso i quali le stesse posizioni sono
esposte. Nel primo caso (modello asset normal), nella stima del rischio vengono prese in
considerazione anche le correlazioni tra attività, nel secondo caso (modello delta normal) le
correlazioni tra fattori.
2) la determinazione del livello di confidenza desiderato è subordinata all’ipotesi di distribuzione
normale dei rendimenti delle attività del portafoglio, nel primo caso, o dei rendimenti dei fattori di
mercato, nel secondo caso.
L’approccio varianza-covarianza è indubbiamente il più diffuso nell’ambito dei sistemi di
risk management. A tale impostazione metodologica si ispira la banca dati RiskMetrics, sviluppata
dalla banca commerciale statunitense J.P. Morgan, a cui numerose istituzioni finanziarie attingono
per lo sviluppo dei propri modelli interni di misurazione del VaR.
La diversa tecnica di stima del VaR è quella delle simulazioni, basata su una logica di fullvaluation. In altre parole, nello stimare la variazione potenziale del valore di mercato delle singole
posizioni o dei portafogli di posizioni, a fronte delle variazioni worst-case dei fattori di mercato, i
modelli di simulazione non ricorrono a coefficienti espressivi della sensibilità di tali posizioni o
portafogli ma, piuttosto, rivalutano (utilizzando appropriati modelli di pricing) le stesse posizioni o
gli interi portafogli alle nuove condizioni di mercato simulate. Ne segue, in generale, una più
precisa seppure più onerosa misura di perdita massima potenziale.
La seconda rilevante differenza rispetto ai modelli varianza-covarianza riguarda il criterio di
determinazione del livello di confidenza desiderato. Nel caso delle simulazioni, tale risultato è
ottenuto “tagliando” la distribuzione effettiva P&L, generata tramite simulazione, in modo da
isolare il percentile prescelto. Al contrario, nell’approccio var-cov, la determinazione del VaR,
corrispondente al livello di confidenza desiderato, è interamente basata sull’ipotesi di normalità
della distribuzione dei rendimenti delle attività rischiose o dei fattori di mercato. Tale ipotesi
3
consente di ottenere le variazioni worst-case del fattore di mercato semplicemente utilizzando il
multiplo opportuno della deviazione standard3.
La più recente categoria di modelli di stima del VaR è stata mutuata dalle scienze
assicurative. La Extreme Value Theory si rivela, infatti, preziosa quando siamo interessati allo
studio della coda della distribuzione delle perdite di un portafoglio di attività, ossia quando
vogliamo stimare efficacemente le misure “estreme” di rischio del portafoglio. La EVT ipotizza che
la coda della distribuzione P&L, o meglio gli scarti tra i rendimenti di coda ed un certo valore
soglia, si distribuisca come una Pareto Generalizzata, anche quando i dati storici disponibili (scarsi)
non consentono di fare ipotesi sulla distribuzione sottostante.
In conclusione, la EVT stima la parte centrale della distribuzione P&L, tramite simulazione storica
(HS), e le “eccedenze” di coda attraverso una distribuzione di Pareto Generalizzata (GPD).
2
APPROCCIO RISKMETRICS AL CALCOLO DEL VAR PARAMETRICO
2.1 Il Valore a Rischio di un singolo strumento finanziario
Considerando il caso di un singolo strumento finanziario, esistono differenti metodologie per
calcolare il VaR relativo ad una posizione unitaria sullo strumento. La metodologia asset-normal e
la metodologia delta-normal assumono che il rendimento dello strumento finanziario sia una
variabile aleatoria con distribuzione normale. In particolare, la metodologia asset-normal assume
l’ipotesi di normalità per il rendimento del titolo, mentre la metodologia delta-normal assume che il
titolo dipenda da un numero M di fattori di rischio e che siano questi ultimi ad essere distribuiti in
modo normale. Nel caso di un solo strumento e per una dipendenza lineare tra strumento e fattori di
rischio le due metodologie coincidono, tranne che esprimere il VaR, nel modello asset-normal,
come funzione della deviazione standard del rendimento dello strumento, mentre nel modello deltanormal, come funzione della deviazione standard dei fattori di rischio. Nel caso di dipendenza non
lineare tra rendimento dello strumento e fattori di rischio, la normalità dei fattori di rischio non
implica la normalità del rendimento dello strumento.
Secondo la metodologia asset-normal il VaR di uno strumento finanziario viene quindi
calcolato nel modo seguente:
VaRi = α ⋅ VM i ⋅ σ i
dove:
α = costante che individua il livello di confidenza prescelto.
3
In corrispondenza di un livello di confidenza del 99,9% abbiamo un multiplo della dev.st. pari a 3; per un
livello di confidenza del 99% abbiamo un multiplo della dev.st. pari a 2,33; per un livello di confidenza del
95% abbiamo un multiplo della dev.st. pari a 1,65.
4
VMi = è il valore di mercato dello strumento finanziario i (nel momento in cui si calcola il
VaR).
σi = è la deviazione standard dello strumento finanziario i.
Diversamente, la metodologia delta-normal calcola il VaR dello strumento finanziario attraverso i
coefficienti di sensitività dello strumento ai diversi fattori di rischio rilevanti. Analiticamente:
VaRi = α ⋅ VM i ⋅
M M
∑∑ δ iz δ iqσ z,q
z =1 q =1
Nel caso di sensitività dello strumento finanziario i a due fattori di rischio di mercato, a e b, la
formula del VaR diviene:
VaRi = α ⋅ VM i δ ia2 σ a2 + δ ib2 σ b2 + 2δ ia δ ibσ a ,b
dove:
δ ia2 σ a2 + δ ib2 σ b2 + 2δ ia δ ibσ a,b = σ i2 (varianza dello strumento finanziario i).
δia = sensitività del valore dello strumento rispetto al fattore di rischio a.
δib= sensitività del valore dello strumento rispetto al fattore di rischio b.
σa= deviazione standard del fattore di rischio a.
σb= deviazione standard del fattore di rischio b.
σa,b= covarianza dei rendimenti dei fattori di rischio a e b.
Nel caso in cui lo strumento dipenda da un solo fattore di rischio la formula diventa:
VaRi = α ⋅ VM i ⋅ δ ia ⋅ σ a
Quindi, il modello delta-normal, scelto un preciso livello di confidenza (a seconda della politica più
o meno cautelativa seguita dalla banca e/o dalle autorità di regolamentazione) ed un orizzonte
temporale (holding period), stima il VaR di una singola posizione sull’holding period prescelto,
come funzione:
a) del valore di mercato della posizione stessa;
b) della sensitività della posizione alle variazioni di valore del fattore di mercato verso il quale
la posizione è esposta;
5
c) della volatilità del fattore di mercato, rappresentata dalla deviazione standard dei rendimenti
o dei prezzi del fattore di rischio (es. nel caso dell’option, la volatilità del fattore di rischio è
rappresentata dalla varianza del prezzo del sottostante, σS).
A titolo d’esempio, δia risulta pari alla duration modificata, D/(1+R), nel caso di una posizione su
un titolo obbligazionario con cedola, esposto alle variazioni dei tassi di interesse; al beta nel caso
del titolo azionario e al DELTA (Δ premio/Δ prezzo dell’attività sottostante) nel caso dell’opzione.
Volendo misurare il Valore a Rischio (VaR) connesso ad una posizione su un BTp decennale
con valore nominale di 100.000 euro, duration modificata pari a 6 e prezzo tel quel (corso secco
dell’obbligazione più la percentuale di valore delle cedole maturate fino a quel momento) pari a
120.000 euro, dobbiamo individuare il fattore di mercato (il tasso decennale) verso il quale è
esposto il BTp decennale, scegliere un preciso livello di confidenza (es. 97,7%), un preciso holding
period (es.1 giorno) ed, infine, stimare la volatilità giornaliera del tasso decennale (σF = 0,15%).
Applicando la metodologia delta-normal otteniamo:
VaRBTp = 2 × 120.000 euro × 6 × 0,15% = 2.160 euro
A rigore, nel caso dell’obbligazione con cedole, l’approccio parametrico (più accurato e
complicato) prevede che la singola posizione obbligazionaria venga scomposta nelle relative
componenti elementari, le quali risultano legate, in termini di sensitività, alle variazioni ciascuna di
uno solo dei fattori di mercato considerati. Il rischio dell’intera posizione è successivamente
determinato sulla base dei rischi connessi alle singole componenti, aggregati sulla base delle
correlazioni tra i rendimenti dei fattori di mercato coinvolti. In particolare, nel caso della posizione
in BTp sopra considerata, questa viene prima scomposta nei singoli flussi di cassa (cedole più
valore di rimborso) per poter prendere in considerazione la volatilità dei nodi della term structure.
Ad esempio, la modellizzazione utilizzata da RiskMetrics consiste nella scomposizione dello
strumento in una serie di cash flow. Ogni cash flow avrà un suo valore atteso e sarà legato ad uno o
più fattori di rischio. Il VaR dello strumento composto si può quindi calcolare considerando i
singoli cash flow come singoli strumenti. Considerando uno strumento finanziario che comporta
due cash flow di valore attuale uguale rispettivamente a 100 euro dopo un mese e a 200 euro dopo
due mesi alla data del calcolo del VaR, il rendimento atteso dello strumento finanziario composto (o
del portafoglio) può essere calcolato nel modo seguente:
R pf =
1
2
R1m + R2 m
3
3
6
Il VaR dello strumento viene quindi calcolato come il VaR del portafoglio composto da due
strumenti diversi, corrispondenti ai due cash flow distinti. Quindi, si ottiene:
VaR pf = α
1 2
4
4
σ 1m + σ 22m + σ 1mσ 2 m ρ1m, 2m
9
9
9
dove:
ρ1m,2m è la correlazione tra il tasso ad un mese ed il tasso a due mesi;
α indica il livello di confidenza scelto.
Si supponga di avere una posizione aperta sul mercato spot della valuta estera, es. dollaro
americano, pari a 95 USD. Il tasso di cambio vigente EURO/USD è pari a 0,95.
I dati per calcolare il VaR della posizione in valuta estera, pari a 95 USD, sono:
i.
il market value della posizione in valuta domestica, pari a 100 euro (95/0,95);
ii.
la volatilità giornaliera del tasso di cambio euro/dollaro (desunta dai dati di RiskMetrics)
pari a 1,056%;
iii.
la costante corrispondente al livello di confidenza prescelto (es. 1,65 per un livello di
confidenza del 95%).
Quindi, il VaR giornaliero della posizione in valuta può calcolarsi come:
VaRCa = α ⋅ VM i ⋅ σ Ca = 1,65 ⋅ 100 ⋅ 1,056% = 1,74 euro
Consideriamo ora un portafoglio composto da un’opzione sulla valuta estera, dollaro americano
(USD), e da uno zero-coupon bond estero ad un anno denominato in dollari americani. Volendo
calcolare il VaR, espresso in euro, di tale portafoglio, utilizzando il modello delta-normal,
consideriamo, innanzitutto, i fattori di rischio rilevanti per tale portafoglio: il tasso di cambio
USD/EURO ed il tasso d’interesse ad un anno. Scelto l’adeguato holdig period e la costante α,
modellizziamo il rendimento dei due strumenti utilizzando l’approssimazione delta.
Otteniamo:
Rbond = R1Y + R
Roption = δ ⋅ R
USD
EURO
USD
EURO
7
Il rendimento del portafoglio è quindi:
R pf = R1Y + (1 + δ ) R
USD
EURO
La varianza del portafoglio è:
var pf = σ 12Y + (1 + δ ) 2 ⋅ σ C2 a + 2 ⋅ (1 + δ ) ⋅ σ 1Y ,Ca
Di conseguenza, il VaR del portafoglio può calcolarsi come:
VaR pf = α
σ 12Y + (1 + δ ) 2 ⋅ σ C2 a + 2 ⋅ (1 + δ ) ⋅ σ 1Y ,Ca
2.1.1. L’approccio delta-gamma
Se la dipendenza del valore di uno strumento dai suoi parametri non è lineare, la
distribuzione indotta del valore dello strumento non sarà normale e non sarà, in generale, calcolabile
esattamente. Supponendo che si conosca la legge che lega il valore dello strumento al valore dei
parametri di mercato da cui esso dipende (algoritmo di pricing), indichiamo con C(X) il valore dello
strumento come funzione dell’insieme X dei parametri da cui dipende. Supponiamo, inoltre, che la
distribuzione di probabilità dei valori dei parametri ad un giorno sia normale. A titolo d’esempio
possiamo calcolare il VaR, con un intervallo di confidenza del 99,9% ed un holding period di un
giorno, di un’opzione call su un’azione.
Indichiamo con C(T-t, S, σ, rf, E) il valore dell’opzione call al tempo t (data alla quale viene
calcolato il VaR).
Il VaR della call dipenderà quindi dalla distribuzione di probabilità P(C) della call fra un giorno,
che a sua volta dipenderà da due fattori:
a) la distribuzione di probabilità dei paramentri;
b) l’algoritmo di pricing che lega il valore dei parametri al valore dell’opzione.
Nel caso specifico di un’opzione su un’azione, una prima approssimazione possibile è data
dall’approssimazione lineare che suppone che il prezzo della call C dipenda solo dal prezzo
dell’attività sottostante S e che questa dipendenza sia lineare: C = f(S).
Per piccole variazioni di S, possiamo stimare la variazione di valore del derivato ΔC, utilizzando
l’approssimazione di primo ordine:
f(S+ΔS) = f(S) + f’(S)ΔS + ε(1).
8
Ciò equivale a scrivere che f(S+ΔS) - f(S) = δΔS + ε(1), dove δ (coefficiente DELTA) è la derivata
prima del prezzo dell’opzione rispetto al prezzo del sottostante, calcolata al momento della stima
del VaR. Un’approssimazione di questo tipo, delta-normal, è ben gestibile perché la dipendenza
lineare tra C ed S implica che, se la distribuzione di S è normale, anche la distribuzione di C lo è.
Questa approssimazione, nel caso dell’opzione, trascura le dipendenze di C da tutti gli altri
parametri che non siano il prezzo del sottostante S. E’ evidente che tale approssimazione è tanto
migliore tanto più piccola è la variazione di S.
Nel caso in cui si voglia ottenere un’approssimazione più corretta della dipendenza di C da S, si può
approssimare la dipendenza utilizzando anche la derivata seconda del prezzo della call rispetto al
prezzo dell’attività sottostante, e cioè scrivere:
ΔC = f(S+ΔS) - f(S) = δΔS + 0.5 Γ( ΔS) 2 + ε(2)
dove Γ è la derivata seconda del prezzo della call rispetto al prezzo dell’attività sottostante,
calcolata al momento della stima del VaR. Utilizzando quindi l’approssimazione delta-gamma, la
varianza della call, la cui attività sottostante ha registrato una variazione di prezzo inattesa pari a
ΔS, è approssimata dalla seguente varianza di una somma:
[
]
var[ f ( S + ΔS )] = f ' ( S ) var(ΔS ) +
2
[
]
2
1 ''
f ( S ) var(ΔS ) 2 + f ' ( S ) f '' ( S ) cov(ΔS , (ΔS ) 2 )
4
A questo punto possiamo approssimare anche il VaR della call in corrispondenza di un livello di
confidenza del 99% come:
VaRC = 2,33 delta 2 ⋅ var(ΔS ) +
1
gamma 2 var(ΔS ) 2 + delta ⋅ gamma ⋅ cov(ΔS , (ΔS ) 2 )
4
Quando si introduce il termine non lineare la distribuzione risultante non mantiene la forma normale
e il calcolo del VaR non si riconduce, in termini immediati, al calcolo della deviazione standard.
Qualora volessimo considerare anche il rischio indotto dalla variazione degli altri parametri
stocastici, quali ad esempio il tasso di interesse risk-free o la volatilità del sottostante, il primo
passo consiste nello sviluppare il prezzo dell’opzione rispetto anche a questi parametri. È chiaro che
più elementi di dipendenza vengono presi in considerazione e più termini vengono considerati nello
sviluppo di Taylor, tanto più accurata (e complicata) è l’approssimazione.
9
Riassumendo, la metodologia sopra descritta (greek letter analysis) consiste nello sviluppare il
prezzo di un’opzione in questo modo:
C ( S , σ , t , r f ) ≈ C ( S 0 , σ 0 , t 0 , r f 0 ) + δΔS + θΔt + νΔσ + ρΔr f + 0,5Γ(ΔS ) 2
Va sottolineato come, per grandi spostamenti nei valori di mercato, questo tipo di analisi venga
parzialmente inficiata. Questa metodologia infatti si basa su caratteristiche “locali” del portafoglio e
cioè su caratteristiche calcolate al momento della valutazione e che quindi non sono più vere se il
valore dei fattori di mercato cambia tanto da rendere non significativi tutti i termini dello sviluppo
considerati.
Quindi, nel misurare il VaR di una singola posizione, così come quello relativo ad un intero
portafoglio, è possibile non limitarsi a considerare la sola derivata prima del prezzo rispetto al
rendimento del fattore di mercato rilevante (nell’ipotesi che la relazione tra prezzo e fattore di
mercato sia lineare), ma estendere l’analisi anche al secondo ordine (soprattutto nel caso di
relazione non lineare tra prezzo dell’attività e fattore di rischio), considerando anche il rischio
gamma o convexity.
Nel caso di una posizione su un coupon-bond, la formula del VaR può approssimarsi come:
VaRbond = α ⋅ VM bond
2
dP d 2 P
1 ⎛ d 2P ⎞
⎛ dP ⎞
2
⋅ ⎜
⋅ 2 ⋅ cov(ΔR, ΔR 2 )
⎟ var(ΔR ) + ⎜⎜ 2 ⎟⎟ var(ΔR ) +
dR
4
dR
⎝
⎠
dR
⎝ dR ⎠
2
Nel caso del titolo obbligazionario, delta è approssimato dalla duration modificata (D/(1+R)) e
gamma dalla convexity dello strumento.
L’aumento di precisione nella stima del VaR offerto dal modello delta-gamma è tanto più evidente
quanto maggiore è lo shock del fattore di mercato e, quindi, maggiore è pure l’holding period della
posizione.
2.2. Il Valore a Rischio di un portafoglio di posizioni
Quando dalla singola posizione vogliamo passare a stimare il rischio di un portafoglio di più
posizioni, l’approccio delta-normal estende l’analisi alla stima dei coefficienti di correlazione tra i
rendimenti dei diversi fattori di mercato coinvolti. Tale modello, assumendo l’ipotesi di normalità
della distribuzione dei rendimenti dei fattori di mercato (tassi di interesse, tassi di cambio, indici
azionari), calcola il VaR di un portafoglio, composto da N posizioni i (i = 1,…, N) dipendenti da un
numero M (z, q = 1, …, M) di fattori di mercato z, tramite la seguente equazione:
10
⎤
⎡⎛ N
⎞
⎛ N
⎞
α
VM
δ
σ
ρ
VM
δ
σ
⋅
⋅
⋅
⋅
⋅
⋅
⋅
⎜
⎟
⎜
⎟
∑∑
∑
∑
i
iz
z
z
q
i
iq
q
,
⎥
⎢
VaRpf =
z =1 q =1 ⎣⎝ i =1
⎠
⎝ i =1
⎠
⎦
M
M
dove:
VMi è il valore di mercato della posizione i-esima del portafoglio (i = 1, …, N);
δiz è il coefficiente di sensitività della posizione i-esima al fattore di mercato z (con z = 1,
…, M);
δiq è il coefficiente di sensitività della posizione i-esima al fattore di mercato q (con q = 1,
…, M);
ρz,q è il coefficiente di correlazione tra i fattori di mercato, confrontati due a due. Quando z
≠ q, –1 ≤ ρz, q < 1; quando z = q, ρq, q = 1. Qualora z e q fossero incorrelati ρz, q = 0.
σz e σq sono le volatilità (deviazione standard) dei rendimenti dei fattori di mercato
confrontati due a due.
Qualora il portafoglio fosse esposto ad un solo fattore di rischio di mercato (es. indice azionario
globale), la formula del calcolo del VaR di portafoglio assumerebbe tale espressione:
N
N
i =1
i =1
VaR pf = α ⋅ (∑ VM i δ i ) 2 ⋅ σ z2 = α ⋅ (∑ VM i δ iz ) ⋅ σ z
Va sottolineato come, nell’approccio delta-normal, la matrice varianza-covarianza sia quella dei
rendimenti dei fattori di mercato rispetto ai quali risultano esposte le N posizioni rischiose del
portafoglio di negoziazione e non la matrice classica di Markowitz (N x N) delle varianze e
covarianze dei rendimenti tra le posizioni in portafoglio. Ancora Σ è una matrice quadrata (M x M)
e simmetrica sulla cui diagonale principale troviamo le varianze dei rendimenti degli M fattori di
mercato σ2z mentre, al di sopra e al di sotto della diagonale principale le covarianze dei rendimenti
tra i fattori di mercato, dove σzq = σqz.
La metodologia RiskMetrics adotta il modello delta-normal per i titoli azionari. Quindi, per
le posizioni azionarie si suppone δia = βi , se il macro-fattore a si riferisce all’indice di mercato del
titolo, e δia = 1 se il macro-fattore a si riferisce al tasso di cambio. I fattori di rischio di un titolo
azionario sono infatti l’indice di mercato ed il tasso di cambio per titoli in valuta estera.
11
Quindi, il VaR di un portafoglio composto di due azioni, I1 e I2, nella divisa di riferimento e
collegate allo stesso indice azionario, è dato dalla seguente espressione:
VaR pf = α (VM 1 β1 + VM 2 β 2 )σ m
A titolo d’esempio, nel caso di un portafoglio composto da due sole posizioni rischiose I1 e I2 ed
esposto alle variazioni di due fattori di rischio, che chiamiamo a e b, la formula del calcolo del VaR
del portafoglio può esplicitarsi come segue:
VaR pf = α ⋅
(VM δ + VM δ + 2VM VM δ
+ 2 ⋅ [(VM δ + VM δ ) ⋅ (VM δ
2 2
1 1a
2 2
2 2a
1 1a
1
2 2a
δ 2 a )⋅ σ a2 + (VM 12δ 12b + VM 22δ 22b + 2VM 1VM 2δ 1bδ 2b )⋅ σ b2 +
1b + VM 2δ 2 b ) ⋅ σ a ρ a , bσ b ]
2 1a
1
Va osservato come, non necessariamente, i fattori di mercato che influenzano la rischiosità del
portafoglio debbano essere sempre tutti correlati tra loro. Nel nostro esempio, qualora I1 e I2 fossero
due investimenti internazionali in due valute diverse, si potrebbe assumere l’incorrelazione tra i due
indici di mercato a e b.
In tal caso, ρa,b = 0 annullerebbe il terzo elemento sotto radice,
trasformando la matrice Σ (2 x 2) in una matrice diagonale e, quindi, semplificando i calcoli del
VaRpf.
Utilizzando i concetti e la terminologia dell’algebra lineare possiamo scrivere in forma compatta il
VaR di portafoglio:
→ T
→
Varpf = α ⋅ VP ∑ fattori VP
dove:
N
⎤
⎡N
VP = ⎢∑ VM i δ i1 ,..., ∑ VM i δ iM ⎥
i =1
⎦
⎣ i =1
→ T
Τ
è il vettore riga (1x M) dei valori di mercato del portafoglio VMpf pesati per il coefficiente di
sensitività del portafoglio δ pfz a ciascun fattore di mercato z (con z = 1,…, M).
Infatti, gli M elementi del vettore riga VPT sono la sommatoria dei valori di mercato VMi di
ciascuna attività rischiosa i nel portafoglio pesati per il proprio coefficiente di sensitività δiz rispetto
12
a ciascun fattore di mercato. Si osservi come il numero delle colonne del vettore sia pari al numero
dei fattori di mercato rilevanti per il portafoglio di negoziazione.
La matrice
∑
è la matrice quadrata e simmetrica (M x M) delle varianze e covarianze dei
fattori
rendimenti dei fattori di mercato considerati.
Il vettore VP è il vettore colonna (M x 1) le cui M righe sono i valori di mercato del portafoglio
pesati per il coefficiente di sensitività del portafoglio a ciascun fattore di mercato z (con z = 1, …,
M).
Abbiamo già visto come a differenza dell’approccio delta-normal, l’approccio seguito dalla
banca commerciale J. P. Morgan con la banca dati RiskMetrics, anche chiamato asset-normal,
assuma l’ipotesi di distribuzione normale dei rendimenti delle attività del portafoglio anziché dei
fattori di mercato. Dobbiamo osservare come, in alcuni casi, la differenza non esista. Si pensi, ad
esempio, ad una posizione in cambi dove il rendimento della posizione ed il rendimento del fattore
di mercato (il tasso di cambio) coincidono.
In altri casi, tuttavia, questi differiscono. Per un coupon-bond a tre anni, infatti, il rendimento del
fattore di mercato (il tasso a tre anni) non coincide col rendimento della posizione (rendimento
cedolare più rendimento in conto capitale). A sua volta, l’ipotesi di normalità coincide solo se il
legame tra variazioni del valore della posizione e del fattore è ipotizzato lineare.
Ricordiamo come l’approccio asset-normal trovi applicazione non solo al calcolo del VaR
ma, prima ancora, alla Portfolio Theory di Markowitz (1952) e ai modelli di determinazione del
rendimento delle attività rischiose in mercati efficienti, Capital Asset Pricing Model di Sharpe
(1964).
Abbiamo già visto come per misurare il Valore a Rischio di una posizione, l’approccio asset-
normal si basi sulla volatilità del rendimento della stessa posizione; nel caso del portafoglio, sulla
matrice delle correlazioni tra i rendimenti delle attività in portafoglio.
Analiticamente:
VaRi = α ⋅ VM i ⋅ σ i
VaR pf = α ⋅
N
N
∑∑VMiVMjσij
i =1 j =1
dove:
σij = ρi,jσiσj
α è la costante moltiplicativa della deviazione standard dei rendimenti del portafoglio di
negoziazione, il cui valore dipende dal livello di confidenza in corrispondenza del quale
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vogliamo calcolare la massima perdita potenziale del portafoglio all’interno di un preciso
holding period.
In termini matriciali, la formula per il calcolo del VaR di portafoglio si esprime come:
VaRpf =⎯α
VT
∑V
asset
dove:
VT è il vettore riga (1 x N) i cui N elementi sono i valori di mercato delle N attività presenti
in portafoglio.
Σ è la matrice var-cov di Markowitz (N x N), ossia delle correlazioni tra i rendimenti delle
attività rischiose in portafoglio.
V è il vettore colonna (N x 1) dei valori di mercato delle N attività rischiose.
Risulta chiaro, a questo punto, come la metodologia asset-normal prenda in considerazione la
diversificazione tra gli strumenti finanziari in portafoglio, mentre il modello delta-normal
quantifichi il grado di diversificazione tra i fattori di mercato (o i fattori di rischio) verso i quali
sono esposte le attività in portafoglio.
La metodologia portfolio-normal stima il VaR di un portafoglio attraverso la volatilità del
rendimento del portafoglio stesso, senza doverlo scomporre nelle sue componenti elementari.
Analiticamente:
VaRpf = α ⋅ VM pf ⋅ σ pf
Questo modello si basa sull’ipotesi che il rendimento del portafoglio sia distribuito normalmente.
Tale assunzione risulta giustificata in uno dei seguenti casi:
9 se il portafoglio è composto da un numero elevato di posizioni la cui distribuzione, al limite,
tende ad una normale. E’ il caso di un portafoglio di crediti al consumo la cui distribuzione è
tipicamente binomiale. L’insieme di un numero molto elevato di distribuzioni binomiali
converge, infatti, ad una distribuzione normale.
9 Se i rendimenti del portafoglio sono effettivamente distribuiti normalmente e la
composizione del portafoglio resta costante. Questo è difficilmente il caso di un portafoglio
di negoziazione la cui composizione varia, per la sua stessa natura, in modo frequente.
9 Se il portafoglio è composto da un insieme di posizioni ognuna delle quali è caratterizzata
da una distribuzione normale del proprio rendimento.
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2. LA SCELTA DEL LIVELLO DI CONFIDENZA
La scelta dell’intervallo di confidenza, funzione del grado di avversione al rischio della
singola istituzione finanziaria, esprime implicitamente il livello di protezione che si vuole
ottenere contro movimenti avversi dei fattori di mercato. Ciò si traduce nella scelta di un
determinato multiplo α della deviazione standard (dei rendimenti del fattore di mercato
rilevante nel caso delta-normal, dei rendimenti delle attività rischiose nel caso asset-normal, dei
rendimenti del trading book nel caso portfolio-normal) come misura dello scenario pessimistico
e, dunque, per la determinazione della massima perdita potenziale. Questo perché, l’utilizzo
della semplice volatilità, intesa come deviazione standard, per il calcolo del VaR, non fornisce
un’indicazione delle perdite potenziali in caso di “eventi estremi”.
L’utilità di adottare una distribuzione normale dei rendimenti emerge proprio nel momento in
cui vogliamo calcolare la probabilità che le variazioni del rendimento di una certa variabile
casuale si mantengano all’interno di un certo intervallo intorno al valore medio. A tal fine è
sufficiente ricorrere al calcolo dell’integrale della funzione di densità normale f(x) all’interno di
un certo intervallo desiderato (nel nostro caso ασ).
Ricordiamo come la funzione di densità normale abbia la seguente espressione analitica:
⎡ ⎛ 1 ⎞
⎤
exp ⎢− ⎜ 2 ⎟( x − μ )2 ⎥
σ 2π
⎣ ⎝ 2σ ⎠
⎦
1
f(x) =
Nel nostro caso la variabile casuale x è il rendimento del fattore di rischio o dell’attività finanziaria
o del portafoglio di negoziazione (a seconda dei modelli adottati) e μ è il valore medio di tale
rendimento.
In particolare, la probabilità che il valore futuro del rendimento del fattore di mercato rilevante si
mantenga all’interno di un intervallo con estremi (μ-σ) e (μ+σ) è del 68%. Simmetricamente, solo
nel 32% dei casi la variabile casuale esaminata assumerà un valore al di fuori dell’intervallo
considerato.
Scegliendo l’intervallo superiore, ad esempio con estremi (μ-2σ) e (μ+2σ), otteniamo una
probabilità pari al 95,4% che la variabile in esame si mantenga all’interno di due deviazioni
standard dal proprio valore medio.
In conclusione, l’ipotesi di distribuzione normale consente di tradurre il grado di confidenza,
in corrispondenza del quale calcolare la misura di rischio (VaR), in una costante α. Precisamente, in
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corrispondenza di un livello di confidenza del 99,9%, il valore di α è 3, mentre per un livello di
confidenza del 99%, α è pari a 2,33. Con un livello di confidenza del 95%, α è 1,65.
Quindi, maggiore è l’intervallo di confidenza, maggiore risulta essere, a parità di altre
condizioni, il valore a rischio di una singola posizione o di un portafoglio di posizioni. In altre
parole, maggiore è il grado di protezione scelto dall’istituzione finanziaria, minore è la probabilità
di realizzare una perdita maggiore del VaR stimato. Ne segue che la variabile critica nella scelta
dell’intervallo di confidenza è proprio il grado di avversione al rischio della singola istituzione
finanziaria.
Le banche particolarmente cautelative, selezionando un multiplo della volatilità pari a 3,
avranno una probabilità dello 0,1% di incorrere in una perdita maggiore del valore a rischio stimato.
In tal caso, l’ammontare di capitale detenuto a fini cautelativi risulta elevato. In presenza di mercati
dei capitali efficienti, ciò comporta minori aspettative di rendimento per i detentori di capitale di
rischio (azionisti) e, quindi, un minore costo del finanziamento, tramite capitale azionario, per la
banca.
3. LA SCELTA DELL’HOLDING PERIOD
La scelta dell’holding period attiene alla scelta dell’orizzonte temporale futuro sul quale si
desidera misurare la perdita potenziale massima. Concretamente, per il rischio di mercato, tale
periodo oscilla tra un giorno e quindici giorni di borsa aperta (tre settimane). A parità di altre
condizioni, la scelta di un orizzonte temporale più prolungato conduce a una misura di rischio più
elevata.
Il grado di liquidità della posizione o del portafoglio di posizioni condiziona la scelta
dell’orizzonte temporale. In altri termini l’holding period dovrebbe riflettere il numero di giorni in
cui l’intermediario finanziario può realisticamente smobilizzare e monetizzare l’investimento. Per le
posizioni in valuta, ad esempio, l’elevata liquidità del mercato dei cambi porta a selezionare un
intervallo temporale non superiore a un giorno. Viceversa, l’orizzonte temporale di riferimento per
una posizione su un titolo azionario di una società non quotata dovrebbe essere molto più elevato.
Un secondo fattore che va considerato nella determinazione dell’orizzonte temporale è di tipo
soggettivo, nel senso che riflette le scelte operative dell’intermediario finanziario. In tal senso, una
posizione di trading assunta in un’ottica di tipo speculativo di brevissimo periodo dovrebbe essere
valutata, in termini di rischio, scegliendo un orizzonte temporale più breve di quello relativo ad una
posizione, sul medesimo strumento finanziario, ma assunta con fini di investimento e, quindi,
detenuta per un periodo più lungo.
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Va sottolineato come la stima della volatilità relativa a periodi prolungati sia resa difficoltosa sia
dalla carenza che dalla scarsa significatività dei dati necessari a calcolarla. Infatti, la stima della
volatilità annua necessita di dati relativi ad una serie storica di almeno venti anni . Una soluzione a
tale problema è quella di ricavare dalla volatilità giornaliera la stima della volatilità relativa a
holding period più lunghi, utilizzando la formula della “radice quadrata del tempo”.
Analiticamente:
σT = σG
T
dove:
σT è la volatilità relativa al periodo T,
σG è la volatilità giornaliera,
T indica il numero di giorni dell’holding period sul quale si vuole calcolare il VaR.
Per esempio, in corrispondenza di un holding period di 10 giorni, il calcolo del VaR
richiede la volatilità σ10 che può ricavarsi dalla stima della volatilità giornaliera σG moltiplicata per
la radice quadrata di 10.
Adottando il modello asset-normal, il VaR dell’attività rischiosa i, calcolato su un holding
period di 10 giorni, in corrispondenza di un livello di probabilità del 99% è, analiticamente:
VaRi = 2,33 x VMi x σ10 = 2,33 x VMi x σG 10
Tale regola di scala trova giustificazione nell’ipotesi di indipendenza o di assenza di
autocorrelazione seriale dei rendimenti giornalieri dell’attività rischiosa i.
Un altro fattore che influenza la scelta dell’orizzonte temporale è la dimensione della
posizione assunta. Maggiore è, infatti, la dimensione della posizione, maggiore è il tempo
necessario per liquidarla e, quindi, maggiore è l’intervallo temporale sul quale va, correttamente,
calcolato il VaR della posizione stessa.
4. LIMITI DEI MODELLI PARAMETRICI
Concludiamo, accennando ai limiti propri dei modelli parametrici per la stima del VaR.
I modelli varianza-covarianza tendono, infatti, a sottostimare il VaR effettivo di una posizione o di
un portafoglio di posizioni quando l’evidenza empirica non avalla le ipotesi teoriche alla base dei
modelli stessi. Ci riferiamo all’ipotesi di distribuzione normale dei rendimenti delle attività
finanziarie (o dei rendimenti del portafoglio, o dei fattori di mercato) e, quindi, di indipendenza dei
rendimenti nel tempo.
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L’analisi statistica dei dati finanziari mostra spesso una elevata autocorrelazione seriale dei
rendimenti, in valore assoluto o al quadrato, non avallando l’ipotesi di indipendenza dei rendimenti
(dell’attività finanziaria) nel tempo. Assistiamo, in altre parole, al fenomeno del “clustering”, ossia
la tendenza che ad ampi valori dei rendimenti seguano altrettanti ampi valori (e viceversa), sebbene
non necessariamente dello stesso segno. In sostanza, le distribuzioni empiriche dei rendimenti
finanziari si presentano più leptocurtiche attorno al valore medio (con più alti picchi) e con code
più spesse rispetto alla distribuzione normale.
Per una corretta stima del VaR di mercato andrebbero, quindi, utilizzati i modelli che
tengono in considerazione l’eteroschedasticità della distribuzione dei rendimenti dell’attività
finanziaria, propriamente i modelli a volatilità stocastica (SV models). Tali modelli (propriamente i
modelli ARCH/GARCH) ci permettono la costruzione di metodologie “dinamiche” del rischio
poiché non considerano più la volatilità come una costante, ma come una variabile casuale che
dipende in modo deterministico dalla storia passata degli errori nella previsione dei rendimenti e
delle volatilità (la stessa assunzione viene fatta per il rendimento atteso μ).
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