Cinema e fotografia, uno stretto intreccio

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Cinema e fotografia, uno stretto intreccio
Cinema e fotografia, uno stretto intreccio
Scritto da Valeria Prina
Photocall con attori, fotografi protagonisti di film: il rapporto tra cinema e fotografia è sempre
stato molto forte. Un tempo i fotogrammi dei film erano usati per la pubblicità all’ingresso delle
sale cinematografiche: completavano la locandina e – in nome dell’abusato slogan «una
immagine dice più di cento parole» – permettevano agli ignari spettatori di intuire la storia,
scoprire l’ambientazione e il cast. Oggi rimangono le locandine, molto amate dai collezionisti.
Mentre quei «quadri» sono stati sostituiti dalle gallerie fotografiche che, in Internet all’uscita del
film o successivamente in dvd, offrono le stesse possibilità di scoprire il film.
Finora siamo in un ideale ingresso di sala cinematografica (o inizio visione), ma lo stretto
legame tra fotografia e cinema è stato spesso pregnante. In alcuni casi troviamo protagonisti di
film dei fotografi, famosi, immaginati tali o semplicemente nati dalla mente degli sceneggiatori.
In altri casi sono le fotografie stesse ad avere un ruolo importante all’interno di una storia.
Oppure le fotografie hanno un ruolo nella scenografia, dando alla casa dove sono esposte, di
volta in volta, un tocco moderno, di tendenza, provocante, elegante. Potrebbe rappresentare
uno stimolo a completare in questo modo le pareti della propria casa.
In altri casi il cinema ha una forte responsabilità nei confronti della fotografia. Basta pensare
all’influenza di “Blow up” su una generazione di aspiranti fotografi e al peso che ha avuto “La
dolce vita” nel creare un termine ancor oggi usato (paparazzo).
Girato il film, uscito nelle sale, è ancora la fotografia che ha un ruolo importante nel rafforzare il
rapporto tra attori e pubblico. Le foto scattate durante i photocall ufficiali alla Mostra di Venezia
come agli altri Festival o alle anteprime stampa sono viste dal pubblico che, ugualmente –
almeno una fetta di questo –, cerca gli scatti rubati, scopo gossip. Un tempo, certo, più che
oggi, quando molti dei cosiddetti divi vengono dalla tivù e relativi reality. Ma intanto, si sta
affermando una nuova tendenza: il pubblico vuole ritrarsi o farsi ritrarre insieme all’attore suo
idolo. E ancora una volta la fotografia si stringe al cinema.
Cinema e fotografia: il rapporto, dunque, è molto stretto, e ancora una volta la Mostra del
cinema di Venezia, con cui si è aperto questo mese di settembre, lo dimostra. Le schiere di
fotografi impegnati in photocall, le cui immagini riempiranno le pagine dei giornali delle prossime
settimane, non ne sono l’unica dimostrazione. A loro, da quando il digitale ha trionfato, si
aggiungono i tanti fan alla ricerca di una foto che li immortali insieme al loro idolo, uno «sport»
che sta diventando ancora più popolare della ricerca di autografi.
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Cinema e fotografia, uno stretto intreccio
Scritto da Valeria Prina
Ma il rapporto tra cinema e fotografia si è sviluppato nel tempo a più livelli.
Abbiamo visto famosi fotografi che hanno ispirato o sono assurti loro stessi a protagonisti di
celebri film. Chiaramente ispirato a Weegee, fotografo di omicidi e incidenti nelle notti di New
York, è il protagonista di “Occhio indiscreto”, mentre a Diane Arbus (alla quale od ha dedicato
un ritratto
in occasione della retrospettiva organizzata dal Foam di Amsterdam tra il 2012 e il 2013) è
dedicato “
Fur
”. Meglio, in questo caso, parlare proprio di omaggio. Perché il film fa della famosa fotografa,
interpretata da Nicole Kidman, la protagonista di una vicenda totalmente inventata: si immagina
infatti un'attrazione, che diventa amore, con un vicino di casa dal corpo totalmente ricoperto di
peli (Robert Downey jr). Un rapporto alla pari, dunque. Di rispetto, potremmo dire, e infatti Diane
Arbus fotografava personaggi «diversi», con difetti fisici, emarginati, freaks, come sono definiti,
con molto rispetto e rendendoli protagonisti dei ritratti li riconosceva come persone normali. E,
ancora, si propone come omaggio al punto da voler togliere ogni dubbio sulla esatta pronuncia
del nome della fotografa: «Dian», spiega lei in una scena del film, e non «Daian».
Un caso un po’ particolare è quello di “Pretty Baby”. Il film di Louis Malle è ambientato nel
1917 a Storyville, il quartiere a luci rosse di New Orleans, poco prima che la prostituzione
venisse decretata illegale. Qui si muove un fotografo (Keith Carradine), che riprende le ospiti
del bordello dove vive anche Violet (Brooke Shields), dodicenne figlia di una prostituta. È
Bellocq, chiaramente ispirato al fotografo di cui si sono conosciute solo dopo la sua morte, le
lastre scattate alle prostitute di New Orleans.
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Scritto da Valeria Prina
Ugualmente
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