71 Appalti:quando l`utile dichiarato può dirsi incongruo?

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71 Appalti:quando l`utile dichiarato può dirsi incongruo?
Appalti
Appalti:quando l'utile dichiarato può dirsi incongruo?
Secondo i giudici di Palazzo Spada, il margine di utile dichiarato in una gara d'appalto è in realtà un
elemento neutro poiché esso, ove esiguo, costituisce soltanto l'indice sintomatico della necessità di
verificare se nel suo insieme l'offerta possa dirsi congrua e affidabile, vale a dire tale da garantire
la corretta esecuzione dell'opera Appalti: quando l'utile dichiarato può dirsi incongruo?
Giancarlo Tanzarella, Diritto e Pratica Amministrativa, Il Sole 24 Ore, 1° marzo 2009, n. 3, p. 58
Consiglio di Stato, sez. VI, dec. n. 215 del 16 gennaio 2009
LA MASSIMA
Gara d’appalto - Aggiudicazione - Offerta dell’aggiudicataria - Con un utile dichiarato pari
al 2,71% - Anomalia dell’offerta - Esclusione - Incongruità dell’utile - Da valutare non in
termini assoluti - Necessità
Non può essere condivisa la censura secondo la quale l’offerta dell’aggiudicataria di una gara
d’appalto per la fornitura a favore di una pubblica amministrazione del servizio energia, è anomala
in quanto l’utile indicato (2,71%) è manifestamente incongruo. Al riguardo, deve essere rilevato
come un utile apparentemente modesto può comportare un guadagno importante, quando il
contratto abbia un importo elevato. Di conseguenza, la censura di illogicità, nella quale si sostanzia
l’argomentazione dell’appellante, non può essere prospettata in termini assoluti, ma con specifico
riferimento all’appalto di cui si tratta. Atteso che il mezzo è stato proposto senza calarlo nella
concretezza dell’appalto di cui ora si discute, deve essere disatteso.
IL COMMENTO
Con sintetiche valutazioni la sez. VI del Consiglio di Stato ha respinto il gravame nella parte volta a
eccepire l'anomalia di una offerta comportante un utile dichiarato del 2,71% annotando che “deve
essere rilevato come un utile apparentemente modesto può comportare un guadagno importante,
quando un contratto abbia un importo elevato”.
Questa sintetica espressione focalizza uno dei temi centrali del dibattito circa il concetto di
“affidabilità e congruità ” dell'offerta formulata nelle pubbliche gare che, come noto, non risulta
positivamente definito sicché compete all'interprete, sulla scorta delle linee di indirizzo fornite dalla
legge di settore e nel rispetto dei limiti consentiti al sindacato giurisdizionale, l'individuare il modo
più corretto per risolvere il quesito se un'offerta economica particolarmente modesta sia per ciò
solo inaffidabile.
Tale è, per opinione condivisa, l'offerta formulata in termini idonei a rendere ipotizzabile la difficoltà
della sua esecuzione o, peggio, che l'acquisizione della commessa possa essere colta unicamente
qual mezzo al fine di dare ingresso a un contenzioso con aspettative di risultato più fruttuose di
quanto non avrebbe potuto essere il ricavo derivante dalla corretta esecuzione del contratto (“ciò
che rileva è la certezza che l'offerta sia seria, nel senso che il concorrente non abbia intenzione di
trarre lucro dal futuro inadempimento delle obbligazioni contrattuali”, come annotato nel contesto
della sentenza Tar Lazio, sez. III, n. 2514 del 21 marzo 2008, confermata dalla decisione del
Consiglio di Stato oggetto del presente commento).
Dunque, con riguardo al margine di utile, è possibile formulare valutazioni in negativo: se l'utile
manca ciò solo è indice sintomatico di inaffidabilità dell'offerta, così come eguale apprezzamento di
disvalore deve essere attribuito a una offerta comprendente un utile “addirittura pari a zero in
considerazione della rilevanza strategica derivante dall'acquisizione della commessa nella
prospettiva aziendale” (Tar Lazio, sez. III, n. 1527 del 21 febbraio 2007) giacché, come si tornerà
a rilevare in appresso, è nell'ambito del singolo contratto che deve essere assicurata la economicità
di impresa.
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Tuttavia, se è possibile affermare che un utile deve esservi, non è comunque consentito ipotizzarne
in via preventiva un margine minimo al di sotto del quale l'offerta debba considerarsi per ciò solo
incongrua. Al riguardo, con valutazione unanime e condivisa, la giurisprudenza amministrativa ha
infatti da tempo chiarito che “non esiste una quota di utile di impresa rigida al di sotto della quale
la proposta dell'appaltatore debba considerarsi per definizione incongrua” (così, da ultimo, Tar
Lombardia, sez. III, n. 1356 del 23 febbraio 2009, sul medesimo principio Cons. Stato, sez. V, n.
3819 del 5 luglio 2007; sez. VI, n. 1072 dell'8 marzo 2004; sez. V, n. 882/2002 e 814/1999).
Il margine di utile, quindi, quale che ne sia la sua consistenza ha un semplice valore indiziario (si
richiamano al riguardo le ampie e interessanti considerazioni di Tar Lecce, sez. II, n. 1945 del 21
maggio 2007, in particolare p. 13) con l'avvertenza che quand'anche il margine indicato non sia
tenue, non per ciò solo l'offerta può sicuramente considerarsi a pieno titolo affidabile: “assumere
l'esistenza di un utile di impresa non significa, per sé solo, considerare non anomala un'offerta,
poiché il giudizio di anomalia si basa anche su aspetti diversi dall'utile di impresa e quindi non è
logicamente accettabile che la presenza di questo sia condizione necessaria e sufficiente per
giudicare non anomala l'offerta” (Cga per la regione siciliana, n. 673 del 23 luglio 2007, p. 8, in un
contesto nel quale l'offerta aggiudicataria aveva dichiarato un utile del 5% ridottosi, a seguito di
verifiche, al 2,51% che tuttavia, in quella particolare fattispecie, è stato considerato idoneo ad
attestare la affidabilità dell'offerta).
La conclusione cui pare corretto pervenire è che, in sé considerato, il margine di utile è in realtà un
elemento neutro poiché esso, ove esiguo, costituisce soltanto l'indice sintomatico della necessità di
verificare se nel suo insieme l'offerta possa dirsi congrua e affidabile, vale a dire “tale da garantire
la corretta esecuzione dell'opera” (così Cga, cit., pag. 10, con espressione di principio
pacificamente condivisa).
L'approfondimento
Assunta dunque al ruolo di principio cardine l'equivalenza che non è data affidabilità se non è
assicurata l'esistenza di un utile per l'imprenditore, si pone il problema di come verificare che un
margine di utile esista e quindi, nel caso affermativo, se esso sia idoneo alla bisogna (e cioè ad
assicurare che il contratto abbia una effettiva possibilità di essere correttamente eseguito).
L'istituto della anomalia risponde per l'appunto a questa funzione: esso, in sintesi, assolve allo
scopo di offrire criteri di valutazione che consentano di saggiare - in modo per quanto possibile
obiettivo - la attendibilità della proposta contrattuale.
La attendibilità (e cioè la congruità dell'offerta) deve, come sopra accennato, essere verificata
all'interno del singolo contratto (l'offerta contrattuale, cioè, deve essere formulata in modo da
bilanciare costi e ricavi nell'ambito del singolo rapporto contrattuale oggetto di gara) e lo stesso
criterio opera per quanto attiene alla individuazione della anomalia, vale a dire dell'elemento
indiziario della potenziale esistenza di una situazione di incongruità. La anomalia, infatti, si misura
nell'ambito della medesima gara, quale parametro di raffronto incrociato fra le varie offerte
pervenute, sicché un significativo discostamento dalla loro media, ovvero una significativa
acquisizione di punteggio elevato sono altrettanti elementi che impongono l'attenzione e fanno
sorgere il dovere del controllo in accordo alle regole attualmente stabilite dall'art. 86 del codice dei
Contratti pubblici (Dlgs n. 163 del 12 aprile 2006).
L'emergere dell'elemento sintomatico di una potenziale incongruità (e cioè della anomalia) è infatti
sostanzialmente automatico e dipendente dal modo come le concorrenti abbiano, con riguardo a
quella specifica gara (e quindi anche con riguardo al momento storico nel quale la gara viene a
essere esperita) formulato la propria offerta: secondo il legislatore sono “anormalmente basse” le
offerte che superino di una certa percentuale la media di quelle concorrenti nella selezione affidata
al criterio del prezzo più basso (art. 86.1); mentre nella selezione imperniata sul criterio della
offerta economicamente più vantaggiosa l'indice sintomatico è costituito dal raggiungimento della
soglia dei quattro quinti dei punti assegnabili sia per il profilo tecnico che per quello economico.
Si impone pertanto, nel caso, l'indagine sulla congruità la quale è intrinsecamente complessa in
ragione del fatto che il semplice elemento del prezzo offerto non è intrinsecamente significativo a
causa del “ concetto stesso di anomalia, che, come è noto, è un concetto relativo, legato cioè alla
media dei ribassi offerti nella singola gara e non generalizzabile: in sostanza, una certa offerta può
essere anomala in una gara e del tutto “normale” in un'altra procedura, ciò dipendendo dalla media
dei ribassi offerti dai partecipanti alla singola licitazione ” (Tar Lecce, n. 1945/2007, cit. , pag. 15).
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Di qui l'obbligo della stazione appaltante di condurre una indagine che deve avere a oggetto gli
elementi di valutazione positivamente indicati nell'art. 87 del Codice ma che costituiscono solo
linee guida le quali non le impediscono una indagine anche su altri profili ma che, soprattutto, non
interdicono all'appaltatore il diritto di affermare e dimostrare la correttezza della propria offerta (e
cioè la sua sostenibilità economico-finanziaria) in qualsiasi modo egli ritenga più confacente al
bisogno ma pur sempre con taluni limiti invalicabili.
Il primo di essi è dato dal comma 3-bis del più volte menzionato art. 86 (comma che nella sua
attuale formulazione è quello introdotto dall'art. 8 della legge n. 123 del 3 agosto 2007). Si tratta
della disposizione in forza della quale “nella predisposizione delle gare di appalto e nella
valutazione dell'anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di
servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia
adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve
essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all'entità e alle caratteristiche dei lavori,
dei servizi o delle forniture”.
Per quanto concerne la valutazione di congruità, la norma comporta l'obbligo di verificare che il
margine di utile residui al netto di costi insopprimibili perché sociali (e cioè il costo del lavoro e il
costo della sicurezza; sul punto si richiama anche il disposto di cui all'art. 87, III e IV comma),
sicché si è fra l'altro avuto modo di avvertire “che, anche in mancanza di una specifica indicazione
dei costi per la sicurezza, l'offerta non può essere considerata anomala, se, computando gli oneri
per la sicurezza, la medesima conserva un sufficiente margine di utile per l'impresa” (Tar
Sardegna, sez. I, n. 2131 del 15 novembre 2005, pag. 11).
Per quanto concerne il complessivo operato dell'amministrazione, tale disposizione sembra
assumere un significato e implicare una portata che va ben al di là della semplice indicazione di
una linea guida ai fini della verifica di anomalia, giacché sembra in realtà postulare l'obbligo di una
fattiva cooperazione della stessa stazione appaltante al fine del raggiungimento dell'obiettivo di far
sì che le offerte che perverranno siano potenzialmente congrue.
Ciò pare di cogliere nella prima espressione del primo periodo del comma 3-bis ove è evidenziato
che il compito di “valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del
lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare
congruo rispetto all'entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture” deve essere
assolto già nella fase della “predisposizione delle gare di appalto”; il che, in concreto, vuol dire che
l'oggetto dell'appalto e lo stesso criterio selettivo del contraente devono essere (rispettivamente)
definito e scelto avendosi conto della necessità che, per quanto accanita possa essere la
competizione, l'imprenditore (serio) sia messo nelle condizioni di poter effettivamente disporre di
un margine di comprimibilità del corrispettivo.
Dunque, come detto, vi è nella norma un limite intrinseco costituito dalla necessità di costruire
un'offerta economicamente attiva pur tenendo conto di costi insopprimibili e vi è, deve ora essere
aggiunto, un secondo limite che è dato dalla necessità che la economicità dell'affare sia ricavata
nell'ambito del contratto da eseguire, poiché l'ordinamento non consente che alla intrinseca
sostenibilità economica di quello specifico affare si sostituisca la soggettiva capacità dell'impresa di
sopportarne la perdita con risorse ricavabili dall'insieme della sua attività.
Ciò è enucleabile dall'art. 87, primo comma, ove è affermato che le giustificazioni devono essere
“pertinenti in merito agli elementi costitutivi dell'offerta medesima” , espressione questa che è
stata di recente oggetto di puntuale disamina da parte del giudice amministrativo (Tar Lazio, sez.
III, n. 1372 del 14 febbraio 2008, e quindi, con pronunzia di conferma, Consiglio di Stato, sez. VI,
n. 3900 del 7 agosto 2008) il quale ha manifestato l'avviso che il connotato di pertinenzialità non
coincide esclusivamente con l'oggetto del contratto, bensì con tutto ciò che a quell'oggetto
contrattuale comunque si collega, cosiché la sostenibilità economica di una offerta che in quel caso
era addirittura e sicuramente in perdita è stata invece affermata perché dal contratto principale
nasceva l'occasione di una qualità di contratti collaterali comunque a esso collegati: “ l'errore in cui
è incorsa la stazione appaltante, e il cui rilievo non consente di condividere le censure appellatorie,
è quello, emergente con evidenza dalla formula legislativa, di far coincidere la 'pertinenza' con il
più ristretto concetto di diretta attinenza, o coincidenza, con gli elementi costitutivi dell'offerta,
costruendo un concetto di elementi 'estrinseci' che non ha riscontro nel dato normativo. Deve
invece ritenersi che siano ammissibili elementi giustificativi la cui pertinenza emerga, come nel
caso, da un oggettivo collegamento economico degli stessi con gli elementi costitutivi dell'offerta,
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cioè, in definitiva, con l'oggetto del contratto, sì da aversi una connessione che, sul piano della
produzione di servizio, colloca le circostanze addotte come giustificazione all'interno del processo
produttivo prefigurato in modo unitario, e in concreto inscindibile, dall'offerente ” (Consiglio di
Stato, VI, n. 3900 del 7 agosto 2008, pag. 37).
All'assolvimento del proprio obbligo valutativo l'amministrazione è chiamata con il compito di
esprimere un provvedimento che, ove ricognitorio della ritenuta incongruità deve risultare
particolarmente motivato perché ne sia evidente il fondamento logico-giuridico mentre, secondo
una opinione prevalente ma non uniforme, l'eguale necessità di motivazione non sussiste per
l'ipotesi di definizione positiva riguardo l'affidabilità dell'offerta.
Il relativo apprezzamento assume la connotazione di valutazione tecnico discrezionale che tuttavia,
come ormai da tempo pacifico nell'opinione del giudice amministrativo, non significa immunità,
bensì assoggettamento al sindacato giurisdizionale cui è dato di verificare la correttezza dei criteri
nell'esercizio di un potere che così è stato efficacemente compendiato: “nel caso della
discrezionalità tecnica, l'amministrazione è tenuta a seguire regole proprie delle scienze o delle arti
e non esprime, propriamente, una volontà di scelta, ma una posizione gnoseologica alla luce di
parametri desumibili dalle scienze e dalle arti. Pertanto, ben può il giudice amministrativo, e anzi è
tenuto, a verificare che le regole della scienza o dell'arte applicate al caso di specie siano state
correttamente seguite e interpretate. Viceversa, l'intervento del giudizio tecnico costituirebbe uno
schermo invalicabile dietro il quale potrebbe annidarsi l'arbitrio e l'eccesso di potere, senza che il
Giudice possa in alcun modo rilevarlo” (CSA, n. 673/2007 cit., pag. 6).
Conclusioni
Nella sua breve parte qui oggetto di commento la sezione VI del Consiglio di Stato ha espresso in
termini riepilogativi l'attuale approdo di una valutazione ermeneutica che considera l'utile positivo
un semplice elemento indiziario alla cui luce può sorgere (ricorrendone i presupposti normativi di
cui all'art. 86 TU Appalti) l'obbligo della verifica, ma che non è intrinsecamente indice di
inaffidabilità giacché, come rilevato dalla medesima sentenza nel passo immediatamente
successivo “la censura di illogicità, nella quale si sostanzia l'argomentazione dell'appellante, non
può essere prospettata in termini assoluti, ma con specifico riferimento all'appalto di cui si tratta.
Atteso che il mezzo è stato proposto senza calarlo nella concretezza dell'appalto di cui ora si
discute, deve essere disatteso”.
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