Turismo e gastronomia in Spagna e Italia: la paella valenciana
Transcript
Turismo e gastronomia in Spagna e Italia: la paella valenciana
PROGRAMMA INTENSIVO (LLP/ERASMUS) “VALORTUR” «VALORIZZAZIONE TURISTICA DELLE RISORSE AMBIENTALI E CULTURALI» Turismo e gastronomia in Spagna e Italia: la paella valenciana Marzia Ventre Università degli studi di Cassino e del Lazio meridionale Corso di laurea in Economia e Gestione delle piccole e medie imprese Valortur, Valencia 2012 1 INDICE PREMESSA INTRODUZIONE 1.Turismo e gastronomia tra Spagna e Italia 1.1. Un pò di storia 1.2. Una nuova visione del turismo 2. La Qualità nel sistema agroalimentare 2.1. Definizione e caratteristiche 2.2. Certificazioni nel sistema agroalimentare 2.3. La ISO 22000 3. La Paella Valenciana 3.1. L’origine della paella 3.2. La ricetta originale: ingredienti e preparazione 3.3. I diversi tipi di paella 4. Come la tradizione viene intesa all’estero 4.1. I “prodotti tradizionali” CONCLUSIONE BIBLIOGRAFIA SITOGRAFIA 2 PREMESSA Il progetto Valortur è un Intensive Programme (IP) promosso dalle azioni comunitarie Erasmus nel campo dell’apprendimento permanente, organizzato dall’Università di Cassino in partenariato con l’Université de Paris 1 “Panthéon Sorbonne”, l’Universidad de Valencia e l’Alma Mater Studiorum di Bologna, Rimini Campus. Il programma è dedicato alle Scienze del turismo ed in particolare alla “Valorizzazione turistica delle risorse ambientali e culturali”. La partecipazione al programma mi ha quindi permesso di approfondire la tematica del turismo e i vari aspetti che lo circondano. Tale progetto rappresenta un’ottima occasione per fare nuove conoscenze e confrontarsi con culture diverse. La terza edizione si è svolta nella splendida città di Valencia, dal 7 luglio al 19 luglio 2012. Durante questi giorni ho avuto modo di conoscere le abitudini gastronomiche, i piatti tipici e tradizionali che caratterizzano la cucina spagnola, ma uno in assoluto è considerato il simbolo dell’arte culinaria iberica: la paella. Lo svolgimento della mia relazione affronta appunto, questo argomento, confrontando la gastronomia spagnola con quella italiana, introducendo poi l’importanza della qualità nel sistema agroalimentare, facendo riferimento alla lezione tenuta dalla professoressa Patrizia Papetti, “Turismo e produzioni di qualità”, per poi argomentare in modo specifico, tutto ciò che c’è da sapere, dall’origine alla preparazione, per ottenere una buona paella valenciana! 3 INTRODUZIONE “La scoperta di un manicaretto nuovo fa per la felicità del genere umano più che la scoperta di una stella”. Anthelme Brillat-Savarin, Fisiologia del gusto, aforisma IX. Mai nessuno si sottrae alla gioia di assaporare il gusto unico di una buona cucina. E quella spagnola e italiana, a livello internazionale, sono tra le più conosciute e apprezzate d’Europa, caratterizzate da numerose specialità gastronomiche, innovative ma soprattutto contraddistinte da una grande cultura e tradizione culinaria dalle radici antiche, che presenta una vasta scelta di piatti tipici, gustosi ed eccellenti differenziati da regione in regione. «Talvolta noi Italiani siamo particolarmente critici nei confronti delle tradizioni culinarie degli altri Paesi spesso solo per pregiudizio o scarsa conoscenza ed è un peccato perché perdiamo così l'occasione di godere delle golosità altrui ed una grande occasione per conoscere ed apprezzare Paesi e culture differenti. (…) » 1 Roberta Schira nel suo libro “ Cucinoterapia”, editore Salani 2008, afferma che: “il cibo è nutrimento e vita, è cura e attenzione, è socialità e comunicazione. Cucinare diventa quindi un atto profondamente creativo, giocoso, rassicurante, in cui ogni fase della realizzazione di una ricetta diventa un momento prezioso, da godere da soli o condividere con gli altri: preparare gli ingredienti, manipolare la materia, attendere la cottura, assaggiare. Fino al momento più bello e più atteso, quello del convivio”. Quella spagnola e italiana è una lunga tradizione culinaria nella quale si intrecciano buona tavola, storia e cultura, ed anche attraverso la cucina si conoscono i popoli, le loro tradizioni del passato e le tendenze del futuro. 1. TURISMO E GASTRONOMIA TRA SPAGNA E ITALIA 1 http://www.viaggigolosi.com/specialita_europee.htm 4 1.1. Un pò di storia «Il termine gastronomia, (…) fa riferimento all'insieme delle arti e delle tecniche culinarie, e quindi a tutto ciò che concerne la buona cucina. Da un punto di vista decisamente più ampio, è necessario affermare che la gastronomia, (…) riguarda anche lo studio delle relazioni che intercorrono tra il cibo e la cultura, includendo dunque informazioni relative alla storia, alla biologia, alla psicologia, all'agronomia e all'antropologia.»2 «I piaceri della tavola sono comuni a tutte le civiltà e l’arte di cucinare i cibi in modo da donare sublimi piaceri agli ospiti è antica quanto gli esseri umani. I Romani ad esempio, abili coltivatori e coraggiosi guerrieri, originariamente amavano le piantagioni semplici, i frutti della terra come grano ed orzo con pochi condimenti e presentati in maniera disordinata, fino al momento in cui l’incontro con altri popoli e la ricchezza dell’antico Impero li indusse ad un profondo cambiamento nelle abitudini culinarie. I banchetti Romani sono, infatti, esempi fra i più gustosi dell’arte della cucina. (…) «Oltre alla prelibatezza delle pietanze, i Romani sono entrati nella leggenda culinaria anche per le insuperabili capacità nella presentazione delle portate che immancabilmente stupivano gli ospiti. I fastosi banchetti proseguono durante il Medioevo, secoli non bui per la gastronomia. All’epoca sulla tavola delle famiglie più ricche abbondavano portate dai sapori delicati e piatti dai gusti piccanti, non mancavano mai animali e pesci cucinati in modo originale. Durante il Medioevo nascono le prime raccolte di ricette, trattati e codici che contengono i segreti su come cucinare prelibate pietanze ed impiegare al meglio le 2 http://www.gastronomia.it/importanza-della-gastronomia.cfm 5 preziose spezie e già all’epoca emergono le peculiarità regionali che da secoli arricchiscono la cucina di molti paesi.»3 1.2. Una nuova visione del turismo «Italia e Spagna sono due paesi in cui, per ragioni storiche, naturali e culturali, il turismo costituisce un settore centrale nelle rispettive economie. Proprio per questo, in un contesto di crisi globale, entrambi hanno deciso di incentivare il turismo legato all'enogastronomia, (…) promuovendo lo sviluppo del territorio secondo le crescenti esigenze di qualità che caratterizzano i prodotti agroalimentari, richieste da un mercato sempre più competitivo.»4 «Negli ultimi anni inoltre l’idea della buona tavola, quindi non solo gastronomia ma anche enologia, ha raccolto un notevole numero di pareri positivi, facendo diventare il piacere di mangiar bene un punto fondamentale all’interno della vita di ogni cittadino che, curioso di assaporare prodotti nuovi ed antichi, si spinge oltre il proprio territorio locale, alla scoperta di sapori interessanti e sorprendenti.»5 Infatti grazie alla notevole cultura gastronomica che da moltissimi anni contraddistingue la qualità dei piatti tipici di Spagna e Italia, si è sviluppato in questi luoghi, un turismo enogastronomico molto radicato. Un nuovo modo di viaggiare che sta conquistando molti appassionati del genere, alla ricerca di sapori nuovi, ma anche tradizionali e che siano autentici, legati cioè alla cultura, alla conoscenze e ai valori della terra di appartenenza. Il turista enogastronomico, ovviamente, si distingue da un normale turista il quale scopo è viaggiare, visitare nuovi luoghi, per motivi di studio, conoscere nuove 3 http://www.lagastronomia.it/ 4 G. Bazzocchi, P. Capanaga, S. Piccioni, Turismo ed enogastronomia tra Italia e Spagna. Linguaggi e territori da esplorare, Franco Angeli, 2011. 5 http://www.gastronomi.it/importanza-della-gastronomia.cfm 6 persone e culture differenti, che dedica molto più tempo alla vacanza e solitamente non si preoccupa di cosa e dove mangiare. Con lo sviluppo di questa nuova tendenza, si è diffusa la consuetudine di organizzare tour enogastronomici dove si può degustare e scoprire l’enorme patrimonio di prodotti regionali, nazionali, tipici e tradizionali di quella terra. 2. LA QUALITA’ NEL SISTEMA AGROALIMENTARE 2.1. Definizione e caratteristiche ¾ “la qualità è l’insieme delle caratteristiche di un prodotto o servizio che soddisfano le esigenze del cliente” (ISO 9000) ¾ “la qualità è l’insieme delle proprietà e delle caratteristiche di un prodotto o di un servizio che conferiscono ad esso la capacità di soddisfare esigenze espresse o implicite” (ISO 8402) Dalle norme ISO sopra citate, si può dedurre che la qualità di un prodotto agroalimentare si definisce come l’insieme dei requisiti e delle caratteristiche, tangibili o intangibili, in grado di soddisfare le esigenze del consumatore, principale protagonista nel determinare il livello qualitativo di un prodotto alimentare. Qualsiasi organizzazione che ha come obiettivo la “qualità”, deve conoscere, intuire e saper rispondere in tempi rapidi ai bisogni e alle esigenze espresse ed implicite del cliente, traducendoli in requisiti effettivi di prodotto, realizzando pertanto un continuo vantaggio competitivo. «La qualità attesa è l’insieme delle caratteristiche che il cliente si aspetta di ricevere come prestazione base, realizzando l’acquisto di un prodotto (…) al fine di vedere soddisfatte le proprie aspettative ed esigenze espresse. (…) Una volta che il prodotto giunge al cliente che lo acquista e ne fruisce, si crea il concetto di qualità percepita che è il livello di qualità che il cliente stesso riscontra dopo aver fruito del bene e che 7 va a formare il suo giudizio di soddisfazione delle proprie esigenze ed aspettative. (…) Se la qualità attesa non coincide con la qualità percepita, si genera insoddisfazione del cliente.» 6 «K. Grunert inoltre propone due dimensioni di qualità: oggettiva, che riguarda le caratteristiche fisiche del prodotto e il mantenimento di determinate specificità di esso attraverso determinati processi opportunamente certificati; soggettiva che riguarda la percezione della qualità del bene da parte dell’utilizzatore. Questi due tipi di qualità sono correlati, nel senso che la qualità soggettiva viene influenzata da quella oggettiva. La qualità di un prodotto agroalimentare si suddivide, in base agli attributi e alle caratteristiche qualitative del prodotto, in: ¾ Qualità nutrizionale: riguarda la natura fisica del prodotto ed è identificata da attributi misurabili, come il contenuto di grassi, proteine, vitamine. ¾ Qualità igienico sanitaria: comprende gli attributi del prodotto che incidono sulla salute del consumatore. Deve essere quindi effettuato un rigoroso controllo della filiera agroalimentare. ¾ Qualità organolettica: concerne gli attributi che determinano il grado di soddisfazione sensoriale del consumatore, come il sapore, profumo, freschezza e colore. ¾ Qualità d’uso: idoneità del prodotto a soddisfare esigenze di risparmio di tempo, di spazio, di peso e di trasferimento dell’informazione al consumatore. ¾ Qualità psico-sociale: che incide sulla psicologia e lo status sociale del consumatore. Il prodotto non è consumato solo per le sue qualità intrinseche ma anche perché può gratificare e diventare segno di distinzione sociale. »7 Questi aspetti vengono riassunti dalla norma UNI-ISO 8402 in: sicurezza, salute, caratteristiche sensoriali e comodità d’uso. 6 L. Cappelli, M.F. Renzi, Management della qualità, CEDAM 2010 7 tratto da materiale didattico universitario 8 2.2. Certificazioni nel sistema agroalimentare «Il processo di certificazione della qualità si basa sulla verifica, da parte di soggetti terzi pubblicamente riconosciuti e dotati di specifiche competenze tecniche, della conformità di un sistema aziendale, di un prodotto, di una persona o di un sistema di soggetti economici, rispetto ad un determinato standard. »8 Il mercato competitivo è caratterizzato dalla presenza di asimmetrie informative: informazioni incomplete, imperfette e non equamente distribuite fra gli operatori presenti sul mercato, in particolar modo fra produttori e consumatori. Gli strumenti a cui si ricorre spesso per contenere tale problema, sono le certificazioni di qualità, attraverso le quali i produttori cercano di proteggere i loro prodotti dagli abusi e dalle imitazioni e di evidenziare le caratteristiche che li differenziano e li rendono unici, affinché l’acquirente ne riconosca la qualità, soprattutto per quei prodotti in cui essa è implicita. L’Ente di certificazione ha il compito di ridurre il gap informativo che si viene a creare tra produttore e consumatore, in quanto ha le conoscenze e l’autorità per giudicare la qualità del prodotto offerto. «Tutta l'Europa è ricchissima di una immensa varietà di prodotti alimentari. Quando un prodotto diventa conosciuto al di fuori dei confini nazionali, però, si trova in un mercato nel quale altri prodotti si definiscono altrettanto genuini e che magari ostentano lo stesso nome. La concorrenza sleale che ne può derivare, allora, allo stesso tempo scoraggia i produttori, costretti a confrontarsi ad armi impari, e risulta fuorviante per i consumatori, tratti in inganno per trarne profitto offrendo copie scadenti del prodotto originale. Per far fronte a tutto ciò, nel 1992 la comunità europea ha creato il sistema 8 L. Cappelli, M.F. Renzi, Management della qualità, CEDAM 2010 9 delle DOP, delle IGP e delle STG, per promuovere e tutelare i prodotti agroalimentari.» 9 «La Denominazione d’Origine Protetta (DOP) identifica la denominazione di un prodotto le cui fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione devono aver luogo nell’area geografica designata e ben delimitata, e le caratteristiche del prodotto devono essere esclusivamente dovute all’origine geografica; quindi il legame con il territorio risulta essere radicato. Il processo produttivo deve essere conforme ad un disciplinare di produzione. Reg. 510/2006 (2081/92) Nell’Indicazione Geografica Protetta (IGP) almeno una fase della produzione deve aver luogo nell’area geografica determinata e il legame con il territorio deve essere giustificabile in base ad una particolare qualità, reputazione o altra caratteristica che possa essere attribuita all’origine geografica. Per ottenere la denominazione IGP, ad esempio, è sufficiente che il nome del prodotto associato al territorio goda di una reputazione riconosciuta dai consumatori. Reg. 510/2006 (2081/92) Specialità Tradizionale Garantita (STG) è un marchio di qualità assegnato a prodotti agricoli o alimentari ottenuti secondo un metodo di produzione tipica e tradizionale di una particolare zona geografica, con lo scopo di tutelarne la specificità e valorizzare la composizione tradizionale del prodotto o il metodo di produzione tradizionale. Reg. 510/2006 (2082/92) Queste sono alcune certificazioni di prodotto, in quando si ha per oggetto la qualità del prodotto. Mentre se l’oggetto della certificazione è il processo produttivo in 9 http://www.qualitiamo.com/ambiti/alimentare/dop%20igp.html 10 corrispondenza dei vari stadi della filiera, si parla di certificazione di processo; l’HACCP e l’ISO 9000, ad esempio, sono certificazioni di processo. »10 «I produttori ed i trasformatori possono ottenere la registrazione del nome di un prodotto prima di tutto definendo un prodotto sulla base di precise specifiche e presentando la domanda alla competente autorità nazionale. Detta domanda verrà studiata a livello nazionale e sarà quindi trasmessa alla Comunità europea che provvederà al controllo e, se essa soddisfa i requisiti fissati, provvederà ad una prima pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee al fine di informare tutte le persone interessate nell’Unione. In mancanza di obiezioni, la Commissione europea pubblicherà il nome del prodotto protetto nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee.» 11 2.3. La ISO 22000 «La norma ISO 22000 è uno standard applicato, in ambito volontario, dagli operatori del settore alimentare. E' una norma fondamentale per i sistemi di gestione della sicurezza nel settore agroalimentare, che consente a tutte le aziende coinvolte nella filiera di identificare i rischi cui sono esposte e di gestirli in modo efficace. È stato pubblicato dall'Ente di Normazione Internazionale ISO al fine di armonizzare gli standard (nazionali e internazionali) preesistenti in materia di sicurezza alimentare e HACCP. Lo standard è stato scritto da un gruppo di lavoro composto da esperti provenienti da 23 diverse nazioni e da rappresentanti di organizzazioni internazionali, quali la Codex Alimentarius Commission, l'Associazione internazionale degli hotel e dei ristoranti, la Global Food Safety Initiative (GFSI) e la Confederazione delle Industrie agro 10 Tratto dal materiale didattico della prof.ssa Papetti 11 http://www.ct.camcom.gov.it/disciplinari.html 11 alimentari dell'Unione Europea (CIAA). Il documento si basa sui principi dell’HACCP definiti dal Codex Alimentarius, ed è allineato con i precedenti ISO 9000 e ISO 14000. Sebbene non sia obbligatorio, questo standard si pone come punto di riferimento per gli operatori nell’applicazione dei regolamenti comunitari in materia di igiene e sicurezza alimentare. Lo standard garantisce la sicurezza agroalimentare "dal campo alla tavola" sulla base di elementi fondamentali riconosciuti a livello internazionale da tutti gli operatori del settore: ¾ comunicazione interattiva: elemento innovativo e fondamentale che definisce un flusso di informazioni strutturate sia verso l’interno che verso l’esterno dell’azienda, per garantire un controllo efficace dei fattori di rischio; ¾ gestione del sistema: permette il controllo di tutte le interazioni tra gli elementi che costituiscono il sistema, per garantire l'efficienza e l'efficacia del sistema stesso; ¾ programmi di prerequisiti (PRP): adozione degli schemi di Good Manufacturing Practice, Good Hygiene Practice, Good Agricultural Practice, delle procedure di manutenzione per attrezzature ed edifici e di disinfestazione; ¾ principi HACCP - metodologia di base per l'analisi dei pericoli e punti di controllo critici. La pianificazione di processi produttivi sicuri e adatti a ogni singola azienda può avvenire senza appesantimenti di carattere burocratico. Il processo descritto nella norma ISO 22000 prevede i seguenti passaggi: ¾ identificazione, valutazione e controllo dei rischi agroalimentari che potrebbero verificarsi, allo scopo di non esporre la salute dei consumatori a pericoli diretti o indiretti; ¾ comunicazione lungo la filiera agroalimentare delle informazioni relative ai problemi di sicurezza connessi al prodotto; 12 ¾ comunicazione a tutta l'organizzazione coinvolta delle informazioni sullo sviluppo, implementazione e aggiornamento del sistema di gestione della sicurezza agroalimentare; ¾ valutazione periodica e aggiornamento del sistema di gestione della sicurezza agroalimentare in relazione alle attività dell'azienda e alle informazioni più recenti riguardo i pericoli per la stessa. Lo sviluppo, l'implementazione e la certificazione secondo la norma ISO 22000 costituiscono un percorso in evoluzione che permette all’azienda di operare secondo una logica di miglioramento continuo. Le verifiche effettuate da una terza parte indipendente sono un elemento fondamentale di questo processo.»12 «Il fattore "qualità" è sempre stato, in tutta l’Europa, un importante terreno di confronto per determinare le strategie da adottare per lo sviluppo del sistema produttivo, rafforzare la competitività delle imprese e favorire una crescita dei consumi non disgiunta dagli aspetti della sicurezza e della protezione della salute.»13 3. LA PAELLA VALENCIANA 3.1. L’origine della paella La paella è il piatto tipico della Spagna che con il tempo è diventato, a livello internazionale, il simbolo della cucina spagnola. Alcuni affermano che la paella sia nata nelle case dei nobili signori in un lontano e indefinito passato, e considerata un piatto dei servi, in quanto veniva preparata con gli avanzi e gli ingredienti recuperati dalle ricche tavole dei signori e riutilizzati dalla servitù, unendo tutto ciò che si trovava. Altri invece sostengono che sia nata all’incirca nel XVII secolo come un piatto povero preparato dagli abitanti della zona che circonda il lago di Albufera, una laguna a sud di Valencia. I lavoratori, impegnati a coltivare i campi, a l’ora di pranzo 12 http://albquality.com/qualita-iso-22000 http://www.qualitiamo.com/ambiti/alimentare/iso%2022000.html 13 http://www.accredia.it/context.jsp?ID_LINK=233&area=13 13 cuocevano il riso in una grande teglia, posizionata sul fuoco contenente tutti gli ingredienti a loro disposizione, alcuni presi direttamente nei campi, come i fagiolini verdi, le lumache, ma anche le anguille pescate nel lago. Non si esclude che fossero aggiunti anche carne di pollo o coniglio, comunque reperibili facilmente in quella zona. Proprio per questo motivo l’origine della paella è legata alla città di Valencia da cui prende il nome. Infatti quando si parla di paella valenciana in realtà si parla di una pietanza tipica della laguna dell’Albufera. Durante la permanenza a Valencia, ho avuto l’opportunità, grazie ad una lezione sul campo, di visitare ed ammirare le meraviglie che offre questa splendida area di grande suggestione e bellezza, un paesaggio emblematico di grande valore economico e ambientale, che è anche uno dei parchi naturali più incantevoli della costa spagnola. In tutta la zona circostante si possono ammirare le estese coltivazioni di riso, presenti tutt’ora, anche se in quantità minori rispetto al passato. Lo splendore di questa cittadina è che passeggiando tra le piccole stradine, in ogni angolo si può intravedere il legame per la tradizione culturale e le usanze tipiche del luogo. Un grande onore, per tutti noi partecipanti quest’anno al Valortur, è stato quello di poter fare un giro nel lago con una barca caratteristica, che ci ha permesso di godere a pieno di tutte le meraviglie del posto. 14 3.2. La ricetta tradizionale Il nome della paella deriva dal recipiente dove si cucina, una padella poco profonda, molto larga di diametro minimo di 22 cm, con bordi alti da 5 a 10 cm e provvista di due maniglie al posto del manico, per supportare il peso del cibo e per permettere una migliore presa; il materiale principale con il quale viene fabbricata la padella è il ferro lavorato a mano o in acciaio inossidabile. Inizialmente la paella veniva chiamata "arròs a la paella" ovvero riso in padella, ma col tempo si è affermato l'uso di indicare col termine paella, la pietanza, mentre la padella in se stessa viene chiamata erroneamente "paellera", che indica anche la donna che prepara il gustoso piatto. Tradizionalmente la paella si cucina all’aperto e se possibile con legna di arancio, facile da trovare a Valencia. Essa oltre a dare un certo aroma alla paella, mantiene il fuoco costante. Nell’elaborazione della paella è molto importante controllare il fuoco perché bisogna ravvivarlo o attenuarlo a seconda della fase di cottura della paella. Secondo la tradizione valenciana la paella è definita una “comida,” in altre parole è un piatto che viene consumato solo a l’ora di pranzo. In Spagna ma soprattutto a Valencia, i ristoranti che seguono la vera tradizione non servono mai la paella a l’ora di cena, mentre se il ristorante presenta nel menù la paella anche di sera, vuol dire che è orientato ad attirare i turisti, perché normalmente solo i turisti la mangiano a cena, preparandosi per la movida serale. Bisogna stare però attenti che non venga riscaldata e servita una paella cucinata a pranzo. Il giorno in cui i valenciani consumano la paella è la domenica a pranzo, momento in cui si ritrovano in famiglia essendo il giorno festivo della settimana. L’ingrediente principale della paella non può che essere il riso, prodotto valenciano per eccellenza. E’ un cereale che portarono gli abitanti musulmani, che cominciarono a coltivarlo e a diffondere le tecniche di produzione, che poi continuarono ad usare i cristiani. Le coltivazioni di riso a Valencia sono talmente rinomate e legate alle 15 procedure tradizionali, da aver ricevuto una denominazione di origine per la loro specialità. INGREDIENTI PER 4 PERSONE: ¾ 500 gr. di riso con denominazione d’origine valenciana; ¾ 800 gr. di petto di pollo tagliato, in cui di solito è incluso il fegato; ¾ 600 gr. di coniglio tritato; ¾ 250 gr. di “bajoqueta” o “ferraura”, cioè fagioli verdi piatti; ¾ 200 gr. di “garrofò”, una varietà di fagioli bianchi tipici di Valencia; ¾ 100 gr. di concentrato di pomodoro, oppure un pomodoro di media grandezza tritato; ¾ 150 cc di olio d’oliva; ¾ zafferano, che dona il colore giallastro al riso; ¾ un cucchiaino di paprica in polvere; ¾ sale da cucina normale; ¾ dell’acqua. Utilizzare il doppio di quantità d’acqua rispetto al riso; Questi sarebbero gli ingredienti tipici della paella di Valancia. Ma qui, a seconda della zona in cui si cucina, si aggiungono altri ingredienti tipici come, i peperoni rossi, costine o polpette di maiale. Ciò che non si dovrebbe mai inserire nella paella è il pepe, l’aglio, vino bianco o cozze, anche se molti lo fanno. PREPARAZIONE: Come prima cosa bisogna livellare il recipiente così che il riso venga distribuito uniformemente, per far bollire tutto allo stesso modo. Per far ciò, basterà 16 versare l'olio a freddo dovendo rimanere perfettamente centrato nella “padella”. Una volta ben centrata accendiamo il fuoco e attendiamo che l'olio sia ben caldo per cominciare a friggere la carne. A tal fine, estendiamo con la paletta tutto l'olio sul fondo del recipiente per evitare di bruciarlo. Come si può vedere dall'immagine, alcuni preferiscono circondare l'olio con sale per lo stesso proposito: evitare che si bruci la padella. Una volta che l’olio è caldo, getteremo il pollo ed il coniglio ai quali è necessario mettere il sale, se non è stato usato il trucco descritto precedentemente, e continueremo a rosolarle lentamente girandoli di volta in volta. Generalmente i pezzi più grandi si lasciano all’interno della padella posizionando verso l’esterno quelli più piccoli per evitare che si brucino. Ripetere il tutto ancora una volta perché è molto importante rosolare tutta la carne a fuoco lento: qui sta una parte del segreto di una buona paella. Quando la carne è ben dorata, spostiamo tutto verso l’esterno, dove si ha una minore intensità del fuoco, e aggiungiamo i fagiolini piatti. Come per la carne, la verdura deve essere ben fritta ma senza bruciarla, girandola costantemente. Si aggiunge poi il pomodoro schiacciato procedendo nello stesso modo: separiamo la verdura verso gli estremi e soffriggiamo bene il pomodoro e attendiamo che si asciughi. Una volta aggiunti tutti gli ingredienti elencati fino ad ora, lasciamo soffriggere tutto insieme per 17 alcuni istanti, si aggiunge la paprica mescolando rapidamente e poi aggiungiamo l’acqua alla nostra paella. Come riferimento getteremo il doppio di acqua rispetto al riso fino a coprire quasi completamente dell’acqua l’intero dovrebbe recipiente, toccare le il livello maniglie . Come per la quantità d’olio o di riso, anche la misura dell’acqua è orientativa. Gettiamo ora lo zafferano ed il garrofòn e proviamo il punto di sale del brodo, gettando più sale se fosse necessario. È importante testare il punto di sale del brodo prima di aggiungere il riso, in quanto il brodo deve essere piuttosto saporito perché il riso tende ad insipidire. Quando il brodo raggiunge il punto di ebollizione, si lascia bollire per circa 5 minuti a fuoco vivo. Poi si lascia cuocere per 30-45 minuti a fuoco lento; se il livello dell’acqua scende va aggiunta dell’altra. Poi, ravvivando di nuovo il fuoco, si aggiunge il riso ripartendolo uniformemente per tutta la paella. Gli esperti non misurano il riso e calcolano la misura facendo due mucchi a forma di croce. Procedere per 5 minuti a fuoco alto, altri 5 minuti a fuoco medio e 8-10 minuti a fuoco basso. In totale, il riso si cuoce tra 18-20 minuti (non superare mai questo tempo). Il riso deve essere asciutto e al dente. Come regola generale, non si aggiunge mai l’acqua una volta gettato il riso nella paella. 18 Se la paella è troppo asciutta, si abbassa il fuoco e si copre con un coperchio affinché evapori meno acqua. A Valencia è anche molto tipico il “socarrat”, cioè, lasciare la parte inferiore della paella molto più cotta, quasi bruciata, col riso croccante. Possiamo ottenere il famoso “socarrat” con un colpo di fuoco vivo l’ultimo minuto o poco più, oppure posando direttamente la paella sulle brace . A Valencia è abitudine lasciare riposare la paella alcuni minuti prima di servirla. Questo servirà a terminare la cottura del riso e ad assorbire il brodo se ce n’è ancora. Se si vuole essere del tutto fedeli alla tradizione, bisogna mangiare direttamente la paella nel contenitore e se possibile con un cucchiaio di legno. Consigli: Il fegato solitamente viene tolto prima di friggere il pollo, perché è una parte che cuoce più velocemente. Normalmente si aggiunge un rametto di rosmarino alla fine per dare sapore, togliendolo un paio di minuti prima di mangiare la paella. Un trucco affinché rimanga più saporita è che, prima di aggiungere l’acqua bisogna gettarne solo mezzo bicchiere e lasciare bollire a fuoco forte. Ripetere questo procedimento tre volte in modo che si ottiene un brodo denso di sapore intenso, poi aggiungere il resto dell’acqua. 19 Se la “paellera” è di ferro, bisogna tener conto che si ossida facilmente. Per evitarlo dopo averla lavata bisogna asciugarla bene ed aggiungere un pò di olio e cospargerlo su tutta la superficie. (…)14 3.3. I diversi tipi di paella La popolarità della paella ha generato la diffusione di molte ricette e varianti che, però hanno poco a che fare con l’originale valenciana. Le più conosciute a livello internazionale sono: la paella de marisco preparata solo con pesce, crostacei e molluschi, ( calamari, seppioline, scampi, gamberoni e cozze ) ingredienti tutti sbucciati, per questo motivo è detta del “signorino”, per chi non vuole sporcarsi le mani!; un’altra è la paella mixta, cucinata con un misto di carne e pesce. E’ la più conosciuta all’estero, infatti è stata un’invenzione puramente turistica per coloro che vogliono saziarsi solo con un piatto unico, ma per i valenciani questo piatto è considerato un vero e proprio ibrido. «Altri tipi sono: Paella vegetariana,per chi non consuma né carne né pesce esiste anche questa paella, preparata esclusivamente con verdure. Paella alicantina, si tratta di una versione di paella preparata solo con carne di coniglio e di pollo. Il riso è ampiamente utilizzato anche in altri piatti, come ad esempio: Arròs negreo o paella negra: preparato con seppie e colorato col nero di seppia. Arròs al forn: riso contenente patate e salsicce. Arròs amb crosta: simile all’arròs al forn, ma ricoperto da una crosta croccante fatta con uova. »15 14 fonti degli ingredienti e preparazione: •"Els Nostres Menjars" de Martí Domínguez. • "El libro de La Paella y de los arroces" de la valenciana Lourdes March Ferrer. Alianza Editorial. 1985. • Los inestimables comentarios y sugerencias de Enrique Fornes, Alex Grau y Paco Roig 15 http://enogastronomia.giudaconsumatore.com/cucina-spagnola-di-valencia.html 20 4. COME LA TRADIZIONE VIENE INTESA ALL’ESTERO Parlare della paella valenciana equivale a discutere della pizza napoletana, con pomodoro, mozzarella di bufala e una foglia di basilico. Entrambe sono prodotti tradizionali delle rispettive gastronomie e tradizioni culinarie, che identificano una realtà geografica e il modo di vivere di un popolo, influenzati da fattori pedoclimatici del territorio, caratterizzati da una specifica lavorazione con riferimento a particolari tradizioni e culture di produzione. Si tramandano di generazione in generazione attraverso le conoscenze, competenze e i savoir-faire di un popolo. Ma se ci troviamo all’estero i piatti che simboleggiano la cucina spagnola e italiana, che troviamo sempre nei menù dei ristoranti turistici, sono la paella mixta e gli spaghetti alla bolognese ( semplici spaghetti al ragù ). 4.1. I “prodotti tradizionali" «Con il termine "prodotti tradizionali" s'intendono quei prodotti agroalimentari le cui metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura risultino consolidate nel tempo, omogenee per tutto il territorio interessato, secondo regole tradizionali, per un periodo non inferiore ai venticinque anni. I prodotti tradizionali grazie a queste caratteristiche sopravvivono nel tempo; il loro legame con i luoghi di produzione determina l’elemento di qualificazione e differenziazione. “Prodotto Tradizionale" è un marchio di proprietà del Mipaf che si colloca al di fuori della normativa sulle attestazioni DOP, IGP e STG. Con l’istituzione dell’Elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali in pochi anni si è assistito ad una vera e propria corsa all’inserimento di specialità gastronomiche e produttive tradizionali. 21 Moltissime aziende, cooperative, associazioni hanno ritenuto che l’inserimento dei propri prodotti nell’Elenco dei prodotti tradizionali potesse garantire una forma di tutela e valorizzazione sufficiente per operare con tranquillità nei propri mercati. La relativa semplicità di presentazione della domanda, le rapide procedure di riconoscimento ed inserimento, sia a livello provinciale e regionale che ministeriale, la vicinanza territoriale e l’interesse specifico delle autorità locali sono stati i punti più significativi che hanno spinto una serie di organismi a richiederne l’attivazione. Ma il motivo principale dell’interesse collettivo verso questa forma di tutela e valorizzazione è stata sicuramente l’assenza di costi di presentazione (a parte le marche da bollo e le spese postali), e soprattutto, del mantenimento. Anche il controllo, esercitato da appositi organismi, non è previsto: la vigilanza sul mantenimento dei requisiti viene demandata direttamente dal Ministero alle Regioni o Province proponenti. L’importanza di questo strumento di valorizzazione dei prodotti ha, purtroppo, alcuni limiti, come: ¾ l’importanza prevalentemente locale, regionale o al massimo nazionale; ¾ l’impiego disciplinato e limitato alla promozione e pubblicità. Bisogna infatti ricordare che l’inserimento negli Elenchi, sia provinciali, regionali o nazionali di un determinato prodotto tradizionale non autorizza, in alcun modo, l’impiego della dicitura” Prodotto Tradizionale” sulle etichette, sulle confezioni o prodotti. L’unico utilizzo concesso è quello della pubblicità e promozione istituzionale. »16 16 http://www.agricoltutaequalita.it/index.php?option=com_content&view=article&id=101&Itemid= 38 http://it.wikipedia.org/wiki/Prodotti_tradizionali_italiani 22 CONCLUSIONE Da questa esperienza mi sono resa conto che la cucina spagnola non si distacca molto da quella italiana. Entrambe sono caratterizzate da ingredienti sani e genuini tipici della dieta mediterranea: un trionfo di sapori, gusti e colori molto ricercati da chi apprezza il genere di cucina tipica. Duante il giro in barca sul lago dell’Albufera, ho apprezzato molto che ci sia stata offerta l'horchata, una speciale e buonissima bevanda rinfrescante tipica di Valencia, preparata con acqua, zucchero e chufa, un tubercolo di una pianta, il Cyperus esculentus, diffusa nella piana di Valencia, accompagnata anche dai biscotti tipici di forma allungata, proprio come vuole la fartons, tradizione. Esiste anche l'Agua de Valencia, che letteralmente significa acqua di Valencia, ma in realtà è un cocktail a base di succo d'arancia, cava (lo spumante spagnolo) e vodka. 23 Ristorante EL FAMOS : Comida tradicional, Paella Valenciana 24 BIBLIOGRAFIA • L. Cappelli, M. F. Renzi, “Management della qualità”, CEDAM 2010 • L. Pilati, “Il marketing agroalimentare”, editrice UNIService, Trento • L. March. “El libro de la paella y de los arroces” , Gastronomia Alianza Editorini. • Revista Seduccion Ambiental, “l’Albufera de Valencia”, 2012 num.7 • Materiale didattico a cura della prof.ssa Patrizia Papetti. SITOGRAFIA • http://www.valencia.it/cultura-e-societa/gastronomia/ • http://enogastronomia.guidaconsumatore.com/cucina-spagnola-divalencia.html • http://www.lapaella.net/la-paella-valencianaintroduzione/ • http://www.artesonado.com/paella.htm • http://www.viaggigolosi.com/specialita_europee.htm • http://www.gastronomia.it/importanza-della-gastronomia.cfm • http://www.ct.camcom.gov.it/disciplinari.html • http://albquality.com/qualita-iso-22000 • http://www.qualitiamo.com/ambiti/alimentare/iso%2022000.html • http://it.wikipedia.org/wiki/Prodotti_tradizionali_italiani 25