Turismo e gastronomia in Spagna e Italia: la paella valenciana

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Turismo e gastronomia in Spagna e Italia: la paella valenciana
PROGRAMMA INTENSIVO (LLP/ERASMUS) “VALORTUR”
«VALORIZZAZIONE TURISTICA DELLE RISORSE AMBIENTALI E CULTURALI»
Turismo e gastronomia in
Spagna e Italia:
la paella valenciana
Marzia Ventre
Università degli studi di Cassino e del Lazio meridionale
Corso di laurea in Economia e Gestione delle piccole e medie imprese
Valortur, Valencia 2012
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INDICE
PREMESSA
INTRODUZIONE
1.Turismo
e gastronomia tra Spagna e Italia
1.1. Un pò di storia
1.2. Una nuova visione del turismo
2. La Qualità nel sistema agroalimentare
2.1. Definizione e caratteristiche
2.2. Certificazioni nel sistema agroalimentare
2.3. La ISO 22000
3. La Paella Valenciana
3.1. L’origine della paella
3.2. La ricetta originale: ingredienti e preparazione
3.3. I diversi tipi di paella
4.
Come la tradizione viene intesa all’estero
4.1. I “prodotti tradizionali”
CONCLUSIONE
BIBLIOGRAFIA
SITOGRAFIA
2
PREMESSA
Il progetto Valortur è un Intensive Programme (IP) promosso dalle azioni
comunitarie Erasmus nel campo dell’apprendimento permanente, organizzato
dall’Università di Cassino in partenariato con l’Université de Paris 1 “Panthéon
Sorbonne”, l’Universidad de Valencia e l’Alma Mater Studiorum di Bologna, Rimini
Campus.
Il programma è dedicato alle Scienze del turismo ed in particolare alla
“Valorizzazione turistica delle risorse ambientali e culturali”. La partecipazione al
programma mi ha quindi permesso di approfondire la tematica del turismo e i vari
aspetti che lo circondano.
Tale progetto rappresenta un’ottima occasione per fare nuove conoscenze e
confrontarsi con culture diverse. La terza edizione si è svolta nella splendida città di
Valencia, dal 7 luglio al 19 luglio 2012.
Durante questi giorni ho avuto modo di conoscere le abitudini gastronomiche, i piatti
tipici e tradizionali che caratterizzano la cucina spagnola, ma uno in assoluto è
considerato il simbolo dell’arte culinaria iberica: la paella.
Lo svolgimento della mia relazione affronta appunto, questo argomento,
confrontando la gastronomia spagnola con quella italiana, introducendo poi
l’importanza della qualità
nel sistema agroalimentare, facendo riferimento alla
lezione tenuta dalla professoressa Patrizia Papetti, “Turismo e produzioni di qualità”,
per poi argomentare in modo specifico, tutto ciò che c’è da sapere, dall’origine alla
preparazione, per ottenere una buona paella valenciana!
3
INTRODUZIONE
“La scoperta di un manicaretto nuovo fa per la felicità
del genere umano più che la scoperta di una stella”.
Anthelme Brillat-Savarin, Fisiologia del gusto, aforisma IX.
Mai nessuno si sottrae alla gioia di assaporare il gusto unico di una buona cucina. E
quella spagnola e italiana, a livello internazionale, sono tra le più conosciute e
apprezzate d’Europa, caratterizzate da numerose specialità gastronomiche, innovative
ma soprattutto contraddistinte da una grande cultura e tradizione culinaria dalle
radici antiche, che presenta una vasta scelta di piatti tipici, gustosi ed eccellenti
differenziati da regione in regione.
«Talvolta noi Italiani siamo particolarmente critici nei confronti delle tradizioni
culinarie degli altri Paesi spesso solo per pregiudizio o scarsa conoscenza ed è un
peccato perché perdiamo così l'occasione di godere delle golosità altrui ed una grande
occasione per conoscere ed apprezzare Paesi e culture differenti. (…) » 1
Roberta Schira nel suo libro “ Cucinoterapia”, editore Salani 2008, afferma che: “il
cibo è nutrimento e vita, è cura e attenzione, è socialità e comunicazione. Cucinare
diventa quindi un atto profondamente creativo, giocoso, rassicurante, in cui ogni fase
della realizzazione di una ricetta diventa un momento prezioso, da godere da soli o
condividere con gli altri: preparare gli ingredienti, manipolare la materia, attendere la
cottura, assaggiare. Fino al momento più bello e più atteso, quello del convivio”.
Quella spagnola e italiana è una lunga tradizione culinaria nella quale si intrecciano
buona tavola, storia e cultura, ed anche attraverso la cucina si conoscono i popoli, le
loro tradizioni del passato e le tendenze del futuro.
1. TURISMO E GASTRONOMIA TRA SPAGNA E ITALIA
1
http://www.viaggigolosi.com/specialita_europee.htm
4
1.1. Un pò di storia
«Il termine gastronomia, (…) fa riferimento all'insieme delle arti e delle tecniche
culinarie, e quindi a tutto ciò che concerne la buona cucina. Da un punto di vista
decisamente più ampio, è necessario affermare che la gastronomia, (…) riguarda
anche lo studio delle relazioni che intercorrono tra il cibo e la cultura, includendo
dunque informazioni relative alla storia, alla biologia, alla psicologia, all'agronomia e
all'antropologia.»2
«I piaceri della tavola sono comuni a tutte le civiltà e l’arte di cucinare i cibi in modo
da donare sublimi piaceri agli ospiti è antica quanto gli esseri umani.
I Romani ad esempio, abili coltivatori e coraggiosi guerrieri, originariamente
amavano le piantagioni semplici, i frutti della terra come grano ed orzo con pochi
condimenti e presentati in maniera disordinata, fino al momento in cui l’incontro con
altri popoli e la ricchezza dell’antico Impero li indusse ad un profondo cambiamento
nelle abitudini culinarie. I banchetti Romani sono, infatti, esempi fra i più gustosi
dell’arte della cucina. (…)
«Oltre alla prelibatezza delle pietanze, i Romani sono entrati nella leggenda culinaria
anche per le insuperabili capacità nella presentazione delle portate che
immancabilmente stupivano gli ospiti.
I fastosi banchetti proseguono durante il Medioevo, secoli non bui per la
gastronomia. All’epoca sulla tavola delle famiglie più ricche abbondavano portate
dai sapori delicati e piatti dai gusti piccanti, non mancavano mai animali e pesci
cucinati in modo originale.
Durante il Medioevo nascono le prime raccolte di ricette, trattati e codici che
contengono i segreti su come cucinare prelibate pietanze ed impiegare al meglio le
2
http://www.gastronomia.it/importanza-della-gastronomia.cfm
5
preziose spezie e già all’epoca emergono le peculiarità regionali che da secoli
arricchiscono la cucina di molti paesi.»3
1.2. Una nuova visione del turismo
«Italia e Spagna sono due paesi in cui, per ragioni storiche, naturali e culturali, il
turismo costituisce un settore centrale nelle rispettive economie. Proprio per questo,
in un contesto di crisi globale, entrambi hanno deciso di incentivare il turismo legato
all'enogastronomia, (…) promuovendo lo sviluppo del territorio secondo le crescenti
esigenze di qualità che caratterizzano i prodotti agroalimentari, richieste da un
mercato sempre più competitivo.»4
«Negli ultimi anni inoltre l’idea della buona tavola, quindi non solo gastronomia ma
anche enologia, ha raccolto un notevole numero di pareri positivi, facendo diventare
il piacere di mangiar bene un punto fondamentale all’interno della vita di ogni
cittadino che, curioso di assaporare prodotti nuovi ed antichi, si spinge oltre il proprio
territorio
locale,
alla
scoperta
di
sapori
interessanti
e
sorprendenti.»5
Infatti grazie alla notevole cultura gastronomica che da moltissimi anni
contraddistingue la qualità dei piatti tipici di Spagna e Italia, si è sviluppato in questi
luoghi, un turismo enogastronomico molto radicato. Un nuovo modo di viaggiare che
sta conquistando molti appassionati del genere, alla ricerca di sapori nuovi, ma anche
tradizionali e che siano autentici, legati cioè alla cultura, alla conoscenze e ai valori
della terra di appartenenza.
Il turista enogastronomico, ovviamente, si distingue da un normale turista il quale
scopo è viaggiare, visitare nuovi luoghi, per motivi di studio, conoscere nuove
3
http://www.lagastronomia.it/
4
G. Bazzocchi, P. Capanaga, S. Piccioni, Turismo ed enogastronomia tra Italia e Spagna. Linguaggi e
territori da esplorare, Franco Angeli, 2011.
5
http://www.gastronomi.it/importanza-della-gastronomia.cfm
6
persone e culture differenti, che dedica molto più tempo alla vacanza e solitamente
non si preoccupa di cosa e dove mangiare.
Con lo sviluppo di questa nuova tendenza, si è diffusa la consuetudine di organizzare
tour enogastronomici dove si può degustare e scoprire l’enorme patrimonio di
prodotti regionali, nazionali, tipici e tradizionali di quella terra.
2. LA QUALITA’ NEL SISTEMA AGROALIMENTARE
2.1. Definizione e caratteristiche
¾ “la qualità è l’insieme delle caratteristiche di un prodotto o servizio
che soddisfano le esigenze del cliente” (ISO 9000)
¾ “la qualità è l’insieme delle proprietà e delle caratteristiche di un
prodotto o di un servizio che conferiscono ad esso la capacità di
soddisfare esigenze espresse o implicite” (ISO 8402)
Dalle norme ISO sopra citate, si può dedurre che la qualità di un prodotto
agroalimentare si definisce come l’insieme dei requisiti e delle caratteristiche,
tangibili o intangibili, in grado di soddisfare le esigenze del consumatore, principale
protagonista nel determinare il livello qualitativo di un prodotto alimentare. Qualsiasi
organizzazione che ha come obiettivo la “qualità”, deve conoscere, intuire e saper
rispondere in tempi rapidi ai bisogni e alle esigenze espresse ed implicite del cliente,
traducendoli in requisiti effettivi di prodotto, realizzando pertanto un continuo
vantaggio competitivo.
«La qualità attesa è l’insieme delle caratteristiche che il cliente si aspetta di ricevere
come prestazione base, realizzando l’acquisto di un prodotto (…) al fine di vedere
soddisfatte le proprie aspettative ed esigenze espresse. (…) Una volta che il prodotto
giunge al cliente che lo acquista e ne fruisce, si crea il concetto di qualità percepita
che è il livello di qualità che il cliente stesso riscontra dopo aver fruito del bene e che
7
va a formare il suo giudizio di soddisfazione delle proprie esigenze ed aspettative.
(…) Se la qualità attesa non coincide con la qualità percepita, si genera
insoddisfazione del cliente.» 6
«K. Grunert inoltre propone due dimensioni di qualità: oggettiva, che riguarda le
caratteristiche fisiche del prodotto e il mantenimento di determinate specificità di
esso attraverso determinati processi opportunamente certificati; soggettiva che
riguarda la percezione della qualità del bene da parte dell’utilizzatore. Questi due tipi
di qualità sono correlati, nel senso che la qualità soggettiva viene influenzata da
quella oggettiva.
La qualità di un prodotto agroalimentare si suddivide, in base agli attributi e alle
caratteristiche qualitative del prodotto, in:
¾ Qualità nutrizionale: riguarda la natura fisica del prodotto ed è identificata da
attributi misurabili, come il contenuto di grassi, proteine, vitamine.
¾ Qualità igienico sanitaria: comprende gli attributi del prodotto che incidono
sulla salute del consumatore. Deve essere quindi effettuato un rigoroso
controllo della filiera agroalimentare.
¾ Qualità organolettica: concerne gli attributi che determinano il grado di
soddisfazione sensoriale del consumatore, come il sapore, profumo, freschezza
e colore.
¾ Qualità d’uso: idoneità del prodotto a soddisfare esigenze di risparmio di
tempo, di spazio, di peso e di trasferimento dell’informazione al consumatore.
¾ Qualità psico-sociale: che incide sulla psicologia e lo status sociale del
consumatore. Il prodotto non è consumato solo per le sue qualità intrinseche
ma anche perché può gratificare e diventare segno di distinzione sociale. »7
Questi aspetti vengono riassunti dalla norma UNI-ISO 8402 in: sicurezza, salute,
caratteristiche sensoriali e comodità d’uso.
6
L. Cappelli, M.F. Renzi, Management della qualità, CEDAM 2010
7
tratto da materiale didattico universitario
8
2.2. Certificazioni nel sistema agroalimentare
«Il processo di certificazione della qualità si basa sulla verifica, da parte di soggetti
terzi pubblicamente riconosciuti e dotati di specifiche competenze tecniche, della
conformità di un sistema aziendale, di un prodotto, di una persona o di un sistema di
soggetti
economici,
rispetto
ad
un
determinato
standard.
»8
Il mercato competitivo è caratterizzato dalla presenza di asimmetrie informative:
informazioni incomplete, imperfette e non equamente distribuite fra gli operatori
presenti
sul
mercato,
in
particolar
modo
fra
produttori
e
consumatori.
Gli strumenti a cui si ricorre spesso per contenere tale problema, sono le
certificazioni di qualità, attraverso le quali i produttori cercano di proteggere i loro
prodotti dagli abusi e dalle imitazioni e di evidenziare le caratteristiche che li
differenziano e li rendono unici, affinché l’acquirente ne riconosca la qualità,
soprattutto per quei prodotti in cui essa è implicita. L’Ente di certificazione ha il
compito di ridurre il gap informativo che si viene a creare tra produttore e
consumatore, in quanto ha le conoscenze e l’autorità per giudicare la qualità del
prodotto offerto.
«Tutta l'Europa è ricchissima di una immensa varietà di prodotti alimentari. Quando
un prodotto diventa conosciuto al di fuori dei confini nazionali, però, si trova in un
mercato nel quale altri prodotti si definiscono altrettanto genuini e che magari
ostentano lo stesso nome.
La concorrenza sleale che ne può derivare, allora, allo stesso tempo scoraggia i
produttori, costretti a confrontarsi ad armi impari, e risulta fuorviante per i
consumatori, tratti in inganno per trarne profitto offrendo copie scadenti del prodotto
originale. Per far fronte a tutto ciò, nel 1992 la comunità europea ha creato il sistema
8
L. Cappelli, M.F. Renzi, Management della qualità, CEDAM 2010
9
delle DOP, delle IGP e delle STG, per promuovere e tutelare i prodotti
agroalimentari.» 9
«La Denominazione d’Origine Protetta (DOP) identifica la
denominazione di un prodotto le cui fasi di produzione,
trasformazione ed elaborazione devono aver luogo nell’area
geografica designata e ben delimitata, e le caratteristiche del
prodotto devono essere esclusivamente dovute all’origine
geografica; quindi il legame con il territorio risulta
essere radicato. Il processo produttivo deve essere
conforme ad un disciplinare di produzione. Reg. 510/2006 (2081/92)
Nell’Indicazione Geografica Protetta (IGP) almeno una
fase della produzione deve aver luogo nell’area geografica
determinata e il legame con il territorio deve essere
giustificabile in base ad una particolare qualità, reputazione o
altra caratteristica che possa essere attribuita all’origine
geografica. Per ottenere la denominazione IGP, ad esempio, è
sufficiente che il nome del prodotto associato al territorio goda di una reputazione
riconosciuta dai consumatori. Reg. 510/2006 (2081/92)
Specialità Tradizionale Garantita (STG) è un marchio di
qualità assegnato a prodotti agricoli o alimentari ottenuti
secondo un metodo di produzione tipica e tradizionale di una
particolare zona geografica, con lo scopo di tutelarne la
specificità e valorizzare la composizione tradizionale del
prodotto
o
il
metodo
di
produzione
tradizionale.
Reg. 510/2006 (2082/92)
Queste sono alcune certificazioni di prodotto, in quando si ha per oggetto la qualità
del prodotto. Mentre se l’oggetto della certificazione è il processo produttivo in
9
http://www.qualitiamo.com/ambiti/alimentare/dop%20igp.html
10
corrispondenza dei vari stadi della filiera, si parla di certificazione di processo;
l’HACCP e l’ISO 9000, ad esempio, sono certificazioni di processo. »10
«I produttori ed i trasformatori possono ottenere la registrazione del nome di un
prodotto prima di tutto definendo un prodotto sulla base di precise specifiche e
presentando la domanda alla competente autorità nazionale. Detta domanda verrà
studiata a livello nazionale e sarà quindi trasmessa alla Comunità europea che
provvederà al controllo e, se essa soddisfa i requisiti fissati, provvederà ad una prima
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee al fine di informare
tutte le persone interessate nell’Unione. In mancanza di obiezioni, la Commissione
europea pubblicherà il nome del prodotto protetto nella Gazzetta Ufficiale delle
Comunità europee.» 11
2.3. La ISO 22000
«La norma ISO 22000 è uno standard applicato, in ambito volontario, dagli operatori
del settore alimentare.
E' una norma fondamentale per i sistemi di gestione della sicurezza nel settore
agroalimentare, che consente a tutte le aziende coinvolte nella filiera di identificare i
rischi cui sono esposte e di gestirli in modo efficace.
È stato pubblicato dall'Ente di Normazione Internazionale ISO al fine di armonizzare
gli standard (nazionali e internazionali) preesistenti in materia di sicurezza alimentare
e HACCP.
Lo standard è stato scritto da un gruppo di lavoro composto da esperti provenienti da
23 diverse nazioni e da rappresentanti di organizzazioni internazionali, quali la Codex
Alimentarius Commission, l'Associazione internazionale degli hotel e dei ristoranti,
la Global Food Safety Initiative (GFSI) e la Confederazione delle Industrie agro 10
Tratto dal materiale didattico della prof.ssa Papetti
11
http://www.ct.camcom.gov.it/disciplinari.html
11
alimentari dell'Unione Europea (CIAA). Il documento si basa sui principi
dell’HACCP definiti dal Codex Alimentarius, ed è allineato con i precedenti ISO
9000 e ISO 14000.
Sebbene non sia obbligatorio, questo standard si pone come punto di riferimento per
gli operatori nell’applicazione dei regolamenti comunitari in materia di igiene e
sicurezza alimentare.
Lo standard garantisce la sicurezza agroalimentare "dal campo alla tavola" sulla base
di elementi fondamentali riconosciuti a livello internazionale da tutti gli operatori del
settore:
¾ comunicazione interattiva: elemento innovativo e fondamentale che definisce
un flusso di informazioni strutturate sia verso l’interno che verso l’esterno
dell’azienda, per garantire un controllo efficace dei fattori di rischio;
¾ gestione del sistema: permette il controllo di tutte le interazioni tra gli elementi
che costituiscono il sistema, per garantire l'efficienza e l'efficacia del sistema
stesso;
¾ programmi di prerequisiti (PRP): adozione degli schemi di Good
Manufacturing Practice, Good Hygiene Practice, Good Agricultural Practice,
delle procedure di manutenzione per attrezzature ed edifici e di disinfestazione;
¾ principi HACCP - metodologia di base per l'analisi dei pericoli e punti di
controllo critici. La pianificazione di processi produttivi sicuri e adatti a ogni
singola azienda può avvenire senza appesantimenti di carattere burocratico.
Il processo descritto nella norma ISO 22000 prevede i seguenti passaggi:
¾ identificazione, valutazione e controllo dei rischi agroalimentari che potrebbero
verificarsi, allo scopo di non esporre la salute dei consumatori a pericoli diretti
o indiretti;
¾ comunicazione lungo la filiera agroalimentare delle informazioni relative ai
problemi di sicurezza connessi al prodotto;
12
¾ comunicazione a tutta l'organizzazione coinvolta delle informazioni sullo
sviluppo, implementazione e aggiornamento del sistema di gestione della
sicurezza agroalimentare;
¾ valutazione periodica e aggiornamento del sistema di gestione della sicurezza
agroalimentare in relazione alle attività dell'azienda e alle informazioni più
recenti riguardo i pericoli per la stessa.
Lo sviluppo, l'implementazione e la certificazione secondo la norma ISO 22000
costituiscono un percorso in evoluzione che permette all’azienda di operare secondo
una logica di miglioramento continuo. Le verifiche effettuate da una terza parte
indipendente sono un elemento fondamentale di questo processo.»12
«Il fattore "qualità" è sempre stato, in tutta l’Europa, un importante terreno di
confronto per determinare le strategie da adottare per lo sviluppo del sistema
produttivo, rafforzare la competitività delle imprese e favorire una crescita dei
consumi non disgiunta dagli aspetti della sicurezza e della protezione della salute.»13
3. LA PAELLA VALENCIANA
3.1. L’origine della paella
La paella è il piatto tipico della Spagna che con il tempo è diventato, a livello
internazionale, il simbolo della cucina spagnola.
Alcuni affermano che la paella sia nata nelle case dei nobili signori in un lontano e
indefinito passato, e considerata un piatto dei servi, in quanto veniva preparata con gli
avanzi e gli ingredienti recuperati dalle ricche tavole dei signori e riutilizzati dalla
servitù, unendo tutto ciò che si trovava.
Altri invece sostengono che sia nata all’incirca nel XVII secolo come un piatto
povero preparato dagli abitanti della zona che circonda il lago di Albufera, una
laguna a sud di Valencia. I lavoratori, impegnati a coltivare i campi, a l’ora di pranzo
12
http://albquality.com/qualita-iso-22000
http://www.qualitiamo.com/ambiti/alimentare/iso%2022000.html
13
http://www.accredia.it/context.jsp?ID_LINK=233&area=13
13
cuocevano il riso in una grande teglia, posizionata sul fuoco contenente tutti gli
ingredienti a loro disposizione, alcuni presi direttamente nei campi, come i fagiolini
verdi, le lumache, ma anche le anguille pescate nel lago. Non si esclude che fossero
aggiunti anche carne di pollo o coniglio, comunque reperibili facilmente in quella
zona.
Proprio per questo motivo l’origine della paella è legata alla città di Valencia da cui
prende il nome. Infatti quando si parla di paella valenciana in realtà si parla di una
pietanza tipica della laguna dell’Albufera.
Durante la permanenza a Valencia, ho avuto l’opportunità, grazie ad una lezione sul
campo, di visitare ed ammirare le meraviglie che offre questa splendida area di
grande suggestione e bellezza, un paesaggio emblematico di grande valore
economico e ambientale, che è anche uno dei parchi naturali più incantevoli della
costa spagnola. In tutta la zona circostante si possono ammirare le estese coltivazioni
di riso, presenti tutt’ora, anche se in quantità minori rispetto al passato.
Lo splendore di questa cittadina è che passeggiando tra le piccole stradine, in ogni
angolo si può intravedere il legame per la tradizione culturale e le usanze tipiche del
luogo.
Un grande onore, per tutti noi partecipanti quest’anno al Valortur, è stato quello di
poter fare un giro nel lago con una barca caratteristica, che ci ha permesso di godere a
pieno di tutte le meraviglie del posto.
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3.2. La ricetta tradizionale
Il nome della paella deriva dal recipiente dove si cucina, una padella poco profonda,
molto larga di diametro minimo di 22 cm, con bordi alti da 5 a 10 cm e provvista di
due maniglie al posto del manico, per supportare il peso del cibo e per permettere una
migliore presa; il materiale principale con il quale viene fabbricata la padella è il
ferro lavorato a mano o in acciaio inossidabile.
Inizialmente la paella veniva chiamata "arròs a la paella" ovvero riso in padella, ma
col tempo si è affermato l'uso di indicare col termine paella, la pietanza, mentre la
padella in se stessa viene chiamata erroneamente "paellera", che indica anche la
donna che prepara il gustoso piatto.
Tradizionalmente la paella si cucina all’aperto e se possibile con legna di arancio,
facile da trovare a Valencia. Essa oltre a dare un certo aroma alla paella, mantiene il
fuoco costante. Nell’elaborazione della paella è molto importante controllare il fuoco
perché bisogna ravvivarlo o attenuarlo a seconda della fase di cottura della paella.
Secondo la tradizione valenciana la paella è definita una “comida,” in altre parole è
un piatto che viene consumato solo a l’ora di pranzo. In Spagna ma soprattutto a
Valencia, i ristoranti che seguono la vera tradizione non servono mai la paella a l’ora
di cena, mentre se il ristorante presenta nel menù la paella anche di sera, vuol dire che
è orientato ad attirare i turisti, perché normalmente solo i turisti la mangiano a cena,
preparandosi per la movida serale. Bisogna stare però attenti che non venga riscaldata
e servita una paella cucinata a pranzo. Il giorno in cui i valenciani consumano la
paella è la domenica a pranzo, momento in cui si ritrovano in famiglia essendo il
giorno festivo della settimana.
L’ingrediente principale della paella non può che essere il riso, prodotto valenciano
per eccellenza. E’ un cereale che portarono gli abitanti musulmani, che cominciarono
a coltivarlo e a diffondere le tecniche di produzione, che poi continuarono ad usare i
cristiani. Le coltivazioni di riso a Valencia sono talmente rinomate e legate alle
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procedure tradizionali, da aver ricevuto una denominazione di origine per la loro
specialità.
INGREDIENTI PER 4 PERSONE:
¾ 500 gr. di riso con denominazione d’origine valenciana;
¾ 800 gr. di petto di pollo tagliato, in cui di solito è incluso il fegato;
¾ 600 gr. di coniglio tritato;
¾ 250 gr. di “bajoqueta” o “ferraura”, cioè fagioli verdi piatti;
¾ 200 gr. di “garrofò”, una varietà di fagioli bianchi tipici di Valencia;
¾ 100 gr. di concentrato di pomodoro, oppure un pomodoro di media grandezza
tritato;
¾ 150 cc di olio d’oliva;
¾ zafferano, che dona il colore giallastro al riso;
¾ un cucchiaino di paprica in polvere;
¾ sale da cucina normale;
¾ dell’acqua. Utilizzare il doppio di quantità d’acqua rispetto al riso;
Questi sarebbero gli ingredienti tipici della paella di Valancia. Ma qui, a seconda
della zona in cui si cucina, si aggiungono altri ingredienti tipici come, i peperoni
rossi, costine o polpette di maiale. Ciò che non si dovrebbe mai inserire nella paella è
il pepe, l’aglio, vino bianco o cozze, anche se molti lo fanno.
PREPARAZIONE:
Come prima cosa bisogna livellare il recipiente così
che il riso venga distribuito uniformemente, per far
bollire tutto allo stesso modo. Per far ciò, basterà
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versare l'olio a freddo dovendo rimanere perfettamente centrato nella “padella”.
Una volta ben centrata accendiamo il fuoco e attendiamo che l'olio sia ben caldo
per cominciare a friggere la carne. A tal fine, estendiamo con la paletta tutto l'olio
sul fondo del recipiente per evitare di bruciarlo.
Come si può vedere dall'immagine, alcuni preferiscono circondare l'olio con sale
per lo stesso proposito: evitare che si bruci la padella.
Una volta che l’olio è caldo, getteremo il pollo ed il
coniglio ai quali è necessario mettere il sale, se non
è stato usato il trucco descritto precedentemente, e
continueremo a rosolarle lentamente girandoli di
volta in volta. Generalmente i pezzi più grandi si
lasciano all’interno della padella posizionando verso
l’esterno quelli più piccoli per evitare che si brucino. Ripetere il tutto ancora una
volta perché è molto importante rosolare tutta la carne a fuoco lento: qui sta una
parte del segreto di una buona paella.
Quando la carne è ben dorata, spostiamo tutto verso
l’esterno, dove si ha una minore intensità del fuoco,
e aggiungiamo i fagiolini piatti. Come per la carne,
la verdura deve essere ben fritta ma senza bruciarla,
girandola costantemente. Si aggiunge poi il
pomodoro schiacciato procedendo nello stesso
modo: separiamo la verdura verso gli estremi e soffriggiamo bene il pomodoro e
attendiamo che si asciughi.
Una volta aggiunti tutti gli ingredienti elencati fino
ad ora, lasciamo soffriggere tutto insieme per
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alcuni istanti, si aggiunge la paprica mescolando
rapidamente e poi aggiungiamo l’acqua alla nostra
paella. Come riferimento getteremo il doppio di
acqua rispetto al riso fino a coprire quasi
completamente
dell’acqua
l’intero
dovrebbe
recipiente,
toccare
le
il
livello
maniglie
.
Come per la quantità d’olio o di riso, anche la misura dell’acqua è orientativa.
Gettiamo ora lo zafferano ed il garrofòn e proviamo il punto di sale del brodo,
gettando più sale se fosse necessario. È importante testare il punto di sale del brodo
prima di aggiungere il riso, in quanto il brodo deve essere piuttosto saporito perché il
riso tende ad insipidire.
Quando il brodo raggiunge il punto di ebollizione, si lascia bollire per circa 5 minuti
a fuoco vivo. Poi si lascia cuocere per 30-45 minuti a fuoco lento; se il livello
dell’acqua scende va aggiunta dell’altra.
Poi, ravvivando di nuovo il fuoco, si aggiunge il riso
ripartendolo uniformemente per tutta la paella. Gli
esperti non misurano il riso e calcolano la misura
facendo due mucchi a forma di croce.
Procedere per 5 minuti a fuoco alto, altri 5 minuti a
fuoco medio e 8-10 minuti a fuoco basso. In totale,
il riso si cuoce tra 18-20 minuti (non superare mai questo tempo). Il riso deve essere
asciutto e al dente.
Come regola generale, non si aggiunge mai l’acqua una volta gettato il riso nella
paella.
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Se la paella è troppo asciutta, si abbassa il fuoco e si
copre con un coperchio affinché evapori meno
acqua.
A Valencia è anche molto tipico il “socarrat”, cioè,
lasciare la parte inferiore della paella molto più
cotta, quasi bruciata, col riso croccante. Possiamo
ottenere il famoso “socarrat” con un colpo di fuoco vivo l’ultimo minuto o poco più,
oppure posando direttamente la paella sulle brace .
A Valencia è abitudine lasciare riposare la paella
alcuni minuti prima di servirla. Questo servirà a
terminare la cottura del riso e ad assorbire il brodo
se ce n’è ancora. Se si vuole essere del tutto fedeli
alla tradizione, bisogna mangiare direttamente la
paella nel contenitore
e se possibile con un
cucchiaio di legno.
Consigli:
Il fegato solitamente viene tolto prima di friggere il pollo, perché è una parte che
cuoce più velocemente.
Normalmente si aggiunge un rametto di rosmarino alla fine per dare sapore,
togliendolo un paio di minuti prima di mangiare la paella.
Un trucco affinché rimanga più saporita è che, prima di aggiungere l’acqua bisogna
gettarne solo mezzo bicchiere e lasciare bollire a fuoco forte. Ripetere questo
procedimento tre volte in modo che si ottiene un brodo denso di sapore intenso, poi
aggiungere il resto dell’acqua.
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Se la “paellera” è di ferro, bisogna tener conto che si ossida facilmente. Per evitarlo
dopo averla lavata bisogna asciugarla bene ed aggiungere un pò di olio e cospargerlo
su tutta la superficie. (…)14
3.3. I diversi tipi di paella
La popolarità della paella ha generato la diffusione di molte ricette e varianti che,
però hanno poco a che fare con l’originale valenciana.
Le più conosciute a livello internazionale sono: la paella de marisco preparata solo
con pesce, crostacei e molluschi, ( calamari, seppioline, scampi, gamberoni e cozze )
ingredienti tutti sbucciati, per questo motivo è detta del “signorino”, per chi non
vuole sporcarsi le mani!; un’altra è la paella mixta, cucinata con un misto di carne e
pesce. E’ la più conosciuta all’estero, infatti è stata un’invenzione puramente turistica
per coloro che vogliono saziarsi solo con un piatto unico, ma per i valenciani questo
piatto è considerato un vero e proprio ibrido.
«Altri tipi sono: Paella vegetariana,per chi non consuma né carne né pesce esiste
anche questa paella, preparata esclusivamente con verdure.
Paella alicantina, si tratta di una versione di paella preparata solo con carne di
coniglio e di pollo.
Il riso è ampiamente utilizzato anche in altri piatti, come ad esempio:
Arròs negreo o paella negra: preparato con seppie e colorato col nero di seppia.
Arròs al forn: riso contenente patate e salsicce.
Arròs amb crosta: simile all’arròs al forn, ma ricoperto da una crosta croccante fatta
con uova. »15
14
fonti degli ingredienti e preparazione:
•"Els Nostres Menjars" de Martí Domínguez.
• "El libro de La Paella y de los arroces" de la valenciana Lourdes March Ferrer. Alianza Editorial. 1985.
• Los inestimables comentarios y sugerencias de Enrique Fornes, Alex Grau y Paco Roig
15
http://enogastronomia.giudaconsumatore.com/cucina-spagnola-di-valencia.html
20
4. COME LA TRADIZIONE VIENE INTESA ALL’ESTERO
Parlare della paella valenciana equivale a discutere della pizza napoletana, con
pomodoro, mozzarella di bufala e una foglia di basilico. Entrambe sono prodotti
tradizionali delle rispettive gastronomie e tradizioni culinarie, che identificano una
realtà geografica e il modo di vivere di un popolo, influenzati da fattori pedoclimatici del territorio, caratterizzati da una specifica lavorazione con riferimento a
particolari tradizioni e culture di produzione. Si tramandano di generazione in
generazione attraverso le conoscenze, competenze e i savoir-faire di un popolo.
Ma se ci troviamo all’estero i piatti che simboleggiano la cucina spagnola e italiana,
che troviamo sempre nei menù dei ristoranti turistici, sono la paella mixta e gli
spaghetti alla bolognese ( semplici spaghetti al ragù ).
4.1. I “prodotti tradizionali"
«Con il termine "prodotti tradizionali" s'intendono quei prodotti agroalimentari le cui
metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura risultino consolidate nel
tempo, omogenee per tutto il territorio interessato, secondo regole tradizionali, per un
periodo non inferiore ai venticinque anni. I prodotti tradizionali grazie a queste
caratteristiche sopravvivono nel tempo; il loro legame con i luoghi di produzione
determina l’elemento di qualificazione e differenziazione.
“Prodotto Tradizionale" è un marchio di proprietà del Mipaf che si colloca al di fuori
della normativa sulle attestazioni DOP, IGP e STG. Con l’istituzione dell’Elenco
nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali in pochi anni si è assistito ad una
vera e propria corsa all’inserimento di specialità gastronomiche e produttive
tradizionali.
21
Moltissime aziende, cooperative, associazioni hanno ritenuto che l’inserimento dei
propri prodotti nell’Elenco dei prodotti tradizionali potesse garantire una forma di
tutela e valorizzazione sufficiente per operare con tranquillità nei propri mercati.
La relativa semplicità di presentazione della domanda, le rapide procedure di
riconoscimento ed inserimento, sia a livello provinciale e regionale che ministeriale,
la vicinanza territoriale e l’interesse specifico delle autorità locali sono stati i punti
più significativi che hanno spinto una serie di organismi a richiederne l’attivazione.
Ma il motivo principale dell’interesse collettivo verso questa forma di tutela e
valorizzazione è stata sicuramente l’assenza di costi di presentazione (a parte le
marche da bollo e le spese postali), e soprattutto, del mantenimento.
Anche il controllo, esercitato da appositi organismi, non è previsto: la vigilanza sul
mantenimento dei requisiti viene demandata direttamente dal Ministero alle Regioni
o Province proponenti.
L’importanza di questo strumento di valorizzazione dei prodotti ha, purtroppo, alcuni
limiti, come:
¾ l’importanza prevalentemente locale, regionale o al massimo nazionale;
¾ l’impiego disciplinato e limitato alla promozione e pubblicità.
Bisogna infatti ricordare che l’inserimento negli Elenchi, sia provinciali, regionali o
nazionali di un determinato prodotto tradizionale non autorizza, in alcun modo,
l’impiego della dicitura” Prodotto Tradizionale” sulle etichette, sulle confezioni o
prodotti. L’unico utilizzo concesso è quello della pubblicità e promozione
istituzionale. »16
16
http://www.agricoltutaequalita.it/index.php?option=com_content&view=article&id=101&Itemid= 38
http://it.wikipedia.org/wiki/Prodotti_tradizionali_italiani
22
CONCLUSIONE
Da questa esperienza mi sono resa conto che la cucina spagnola non si distacca molto
da quella italiana. Entrambe sono caratterizzate da ingredienti sani e genuini tipici
della dieta mediterranea: un trionfo di sapori, gusti e colori molto ricercati da chi
apprezza il genere di cucina tipica.
Duante il giro in barca sul lago dell’Albufera, ho apprezzato molto che ci sia stata
offerta l'horchata, una speciale e buonissima bevanda rinfrescante tipica di Valencia,
preparata con acqua, zucchero e chufa, un tubercolo di una pianta, il Cyperus
esculentus, diffusa nella piana di Valencia, accompagnata anche dai
biscotti
tipici
di
forma
allungata,
proprio
come
vuole
la
fartons,
tradizione.
Esiste anche l'Agua de Valencia, che letteralmente significa acqua di Valencia, ma in
realtà è un cocktail a base di succo d'arancia, cava (lo spumante spagnolo) e vodka.
23
Ristorante EL FAMOS : Comida tradicional, Paella Valenciana
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BIBLIOGRAFIA
•
L. Cappelli, M. F. Renzi, “Management della qualità”, CEDAM 2010
•
L. Pilati, “Il marketing agroalimentare”, editrice UNIService, Trento
•
L. March. “El libro de la paella y de los arroces” , Gastronomia Alianza
Editorini.
•
Revista Seduccion Ambiental, “l’Albufera de Valencia”, 2012 num.7
•
Materiale didattico a cura della prof.ssa Patrizia Papetti.
SITOGRAFIA
• http://www.valencia.it/cultura-e-societa/gastronomia/
• http://enogastronomia.guidaconsumatore.com/cucina-spagnola-divalencia.html
• http://www.lapaella.net/la-paella-valencianaintroduzione/
• http://www.artesonado.com/paella.htm
• http://www.viaggigolosi.com/specialita_europee.htm
• http://www.gastronomia.it/importanza-della-gastronomia.cfm
• http://www.ct.camcom.gov.it/disciplinari.html
• http://albquality.com/qualita-iso-22000
•
http://www.qualitiamo.com/ambiti/alimentare/iso%2022000.html
• http://it.wikipedia.org/wiki/Prodotti_tradizionali_italiani
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