Una corsa…. al volo
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Una corsa…. al volo
Una corsa…. al volo Roby era molto arrabbiato, nervoso, agitato, tempestoso come le onde che da oltre un'ora gli si sollevavano di fronte e gli urlavano la sua stupidità. Continuava a lanciare nell’acqua sassolini come fossero macigni e col pensiero correva in maniera incontrollata in tutte le direzioni. Malediva la sua ingenuità e la sua schiettezza, imprecava contro la furbizia degli altri e, no, per quanto tentasse, non poteva far finta di nulla. Ed ora, seduto sul bagnasciuga, sulla spiaggia dove andava sempre anche d’inverno con gli amici a chiacchierare, a parlare dei problemi quotidiani di cui sempre discutevano tutti insieme, ora, seduto da solo, si perdeva nelle riflessioni oscure della sua impetuosa delusione. Ma com’era possibile? Proprio il giorno di San Valentino… Roby aveva comprato quel regalo e voleva trascorrere il pomeriggio e la serata con lei e, coraggiosamente con un bacio, le avrebbe rivelato quanto ne era stracotto. Sarebbe stata la sua sorpresa di San Valentino: certamente anche lei era cotta di lui, lo dicevano i lunghi e profondi sguardi e gli infiniti sorrisi che si scambiavano quando stavano tutti insieme, davanti scuola, nella piazzetta, sul lungomare, nel pullman, dovunque andassero in gruppo. Loro due si attraevano come due calamite e non poteva esserci più uno spazio vuoto tra loro; quello sarebbe stato il giorno più scintillante della loro vita: si sarebbero messi insieme, lei sarebbe stata la sua ragazza e lui il suo ragazzo; nulla e nessuno lo avrebbe impedito. Ma come era potuto accadere? Il vento freddo che tirava quel 14 febbraio era poca cosa rispetto al vento rabbioso che si alzava dal suo cuore… Tutto era iniziato il primo giorno di scuola. Alla fermata del pullman urbano, preso al volo quando le porte stavano per richiudersi, aveva lanciato un urlo per attirare lo sguardo dell’autista nello specchio laterale e, soprattutto, per attivare il suo piede sul freno e il suo dito sul pulsante di apertura della porta. Poi aveva ringraziato quel competente e gentile autista di turno. Da quel primo giorno aveva preso forma la sua inarrestabile felicità e la sua determinazione a non perdere mai quel pullman urbano. In verità la felicità di Roby non era dovuta al fatto che arrivasse in orario a scuola, ma piuttosto al sole che lo illuminava appena saliva su quel mezzo pubblico: quella era la corsa che, indifferentemente in anticipo o in ritardo, gli faceva incontrare quella ragazza che aveva notato immediatamente il primo giorno. Ma dov’era stata fino ad allora? Perché non l’aveva vista gli anni precedenti? Lui era all’ultimo anno di liceo e, casualmente, il primo giorno era andato a scuola in pullman perché il suo motorino era in panne. Davanti scuola non l’aveva mai notata; alle assemblee degli studenti non c’era mai stata traccia del suo sorriso, dei suoi lunghi capelli castani, dei suoi occhi verdi come le foglie di quell’albero allegro che aveva visto in campeggio quell’estate. Ma che albero era? Ma no, non erano verdi, i suoi occhi erano… di un colore infinito, profondo, ricco, radioso, splendente. Ma era impazzito? Da dove aveva tirato fuori tutti quegli aggettivi, lui che era un duro e che nelle ragazze fino ad allora aveva guardato solo l’aspetto esteriore e l’aveva commentato con i suoi amici? Ovviamente era legato da immenso rispetto e da sincera amicizia alle amiche e alle compagne di scuola: di loro non giudicava mai nulla. I commenti erano riservati alle sconosciute, a quelle che attraversavano la strada o passavano inconsapevolmente davanti ai loro occhi esperti: episodi che duravano pochi secondi e poi l’attenzione ritornava ai discorsi tra amici. Ma quella ragazza nel pullman era diversa, era unica, era straordinaria, era la più… la più... universale. Ma che significava quel termine? Da dove gli era saltato fuori? I giorni successivi la tenne d’occhio e s’informò: la catena di notizie valicò immediatamente le sue attese incontrollabili. Stefano gli disse che era venuta ad abitare da poco nella zona e si era iscritta al loro stesso liceo; Gianluca gli riferì che frequentava la terza B e la sua famiglia veniva da una cittadina vicino Varsavia; Marco gli raccontò che il padre era docente universitario alla facoltà di Lingue e Letterature Straniere e la madre era allenatrice di una squadra femminile di basket della città. Valentina allietò definitivamente e indiscutibilmente la sue aspettative: era diventata amica della bellissima Samanta (quello era il suo nome) e, inoltre, abitavano nello stesso condominio! E poi tanti sms gli arrivavano da altri amici cortesi per aggiornare il curriculum della ragazza. Roby aveva deciso che, pur di vederla tutte le mattine, sarebbe andato a scuola in pullman: certo, i suoi genitori continuavano a meravigliarsi perché aveva creato uno scompiglio in casa con singhiozzi, con abbigliamento luttuoso, con sciopero della fame ad oltranza per ottenere quel motorino l’anno precedente ed ora, inaspettatamente, preferiva andare a scuola col mezzo pubblico? Aveva garantito ai genitori che sarebbe stato sempre attento nella guida, che avrebbe rispettato sempre segnali e semafori: così, dopo aver preso il patentino, gli avevano finalmente comprato il motorino. Ma ora ciò che contava era poter urlare al mondo che lui e Samanta stavano insieme proprio dal giorno di San Valentino. Invece si era intromesso quello… di Alberto: lui suonava quella chitarra stupida e insignificante, lui cantava in quella band banale e stonata, lui guidava quella orribile Burgman 200, insomma lui faceva ed era tutte le cose più insopportabili e fastidiose! E lei, la Samanta del suo cuore e dei suoi occhi che lo ricambiava certamente, quel giorno era salita sulla moto con Alberto all’uscita da scuola ed era volata via con lui. Roby, furioso come una tigre affamata, se ne era andato sulla spiaggia a imprecare contro quel pullman dei desideri, quel suo motorino in panne, quell’Alberto e quel San Valentino, quei sassi che affogavano nelle onde, quel regalo insulso e insignificante che aveva scagliato nella sabbia, quel suo jeans bagnato incollato al suo sedere, quel mondo che doveva concludersi in un disastro nucleare, quel cellulare che continuava a squillare senza fine… già, quel cellulare che si era conficcato nelle sue orecchie senza tregua. Non aveva voglia di rispondere a nessuno. I suoi amici sapevano che quel giorno ci sarebbe stato un sole intramontabile nella sua vita. Ora avrebbe dovuto dire del suo fallimento, della sua sventura, della sua cecità? Alla fine, decise di rispondere per mandare a quel paese chiunque stesse frantumando la sua sofferenza. “Ciao, sono Samanta. Ma dove sei finito? Io sono con mio cugino Alberto e ti sto cercando dappertutto!”. Da quel momento, al volo, ebbe inizio la “corsa” di Roby e Samanta…