Saturno - Gremese Editore
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Saturno - Gremese Editore
il Fatto Quotidiano Venerdì 16 marzo 2012 III LETTURE Stefan Zweig NATSUME SOSEKI Morte e resurrezione di un dandy IL MURAKAMI DELL’ALTRO SE COLO A dispetto di certa critica, tornano i romanzi dell’autore austriaco, da “Amerigo” a “Paura”, e un libro di Laurent Seksik sul suo suicidio in Brasile insieme alla moglie ciale, insomma un elegante «trufolone» amico di tutti, come scrisse rosicando Gadda dopo aver letto Il mondo di ieri, l’opera in cui rievoca tutto ciò che aveva dovuto abbandonare dopo l’ascesa al potere di Hitler. Zweig riversò il suo estro in mille generi. Se i migliori risultati vanno cercati nei racconti lunghi (basterà ricordare alcuni capolavori, come Amok, Paura, o Novella degli scacchi), ai suoi tempi ottenne clamorosi successi nel reparto biografie, firmando le vite di Erasmo, Montaigne, Maria Stuarda, Balzac e molti altri. Tra di loro Maria Antonietta, eroina di pagine che hanno ispirato film, sceneggiati radiofonici e persino un manga fortunatissimo, Lady Mitteleuropeo errante Oscar. Zweig fa della reStefan Zweig (1881-1942); gina francese una donsotto, Goliarda Sapienza (1924-1996) na ordinaria, né vigliacca né intrepida, travolta dagli eventi. Lo stesso si di Mauro Novelli può dire del suo Amerigo, ovvero di Amerigo Vespucci, protagonista di un volume ON È CURIOSO? Al giorno d’og- introvabile per decenni e ora ristampato da gi qualunque sassolino scoperto Elliot, nel cinquecentesimo anniversario nel gran fiume della letteratura della scomparsa. Come osserva Andrea Di mitteleuropea viene amorevol- Consoli nell’introduzione, Zweig intende mente lustrato e riproposto a torme di ap- innanzitutto riscattare il navigatore dalle capassionati. Viceversa la critica continua a lunnie. Vespucci non fu un impostore, né storcere il naso dinanzi alla penna austriaca un avversario di Cristoforo Colombo, ma un più celebre e ammirata nel periodo tra le uomo onesto, privo di doti particolari, che due guerre: Stefan Zweig. Ebreo viennese, diede nome al Nuovo Mondo per una forlaico e cosmopolita, liberale e pacifista, ben tuita serie di circostanze. introdotto nei migliori salotti europei (da Le circostanze, appunto. Amerigo uscì negli Rilke a Rolland, da Freud a Schnitzler, da Stati Uniti in perfetta coincidenza col suiCroce a Toscanini), Zweig passa ancora per cidio di Zweig, che si tolse la vita a sesun letterato dandy, un viaggiatore superfi- sant’anni insieme alla giovane moglie, il 23 N febbraio 1942. Un gesto sul quale a lungo si è favoleggiato: su di esso si conclude il libro che il medico nizzardo Laurent Seksik ha dedicato agli ultimi mesi dello scrittore, approdato in Brasile, a Petrópolis, in cerca di scampo dalle croci uncinate. Seksik lascia perdere l’ipotesi dell’omicidio camuffato e si concentra sulle tappe che portarono all’abbraccio estremo dei due amanti, immortalato in una fotografia struggente. Il calice di Veronal non sigillò un momento di esaltazione romantica, ma offrì la sospirata pace a una coppia allo stremo; lei soffocata dalle crisi d’asma, lui braccato dalle spie naziste, ossessionato dai trionfi del Reich, dal ricordo degli anni d’oro, dal divieto di pubblicare in tedesco. Nasce così la decisione di «non lasciarsi mai, uniti nell’amore». Forse Zweig coltivava da tempo questo pensiero, che trova un precedente sinistro nella conclusione di Estasi di libertà, romanzo terminato nel 1938, comparso postumo negli anni Ottanta e appena tradotto per la prima volta in italiano, grazie alle edizioni Barbès. Ma nel libro la protagonista, Christine, e il suo amante decidono infine di rinunciare. Stefan invece va fino in fondo, assecondato da Lotte. Prepara puntigliosamente la partenza: salda i conti in sospeso, affida il cagnolino a persone fidate, scrive ad autorità, amici e parenti, dando disposizioni con stoico decoro. Il giorno precedente ha terminato e spedito per posta al suo editore svedese Il mondo di ieri. Il sottotitolo - Ricordi di un europeo – dovette sembrare piuttosto provocatorio quando il libro uscì, nel feroce 1944. Era ben più che l’autobiografia di un passatista nostalgico. Era la diagnosi di un uomo che già al tempo della Grande Guerra aveva riconosciuto e odiato il cancro nazionalista. Refrattario al bolscevismo, perplesso dinanzi ai sionisti, Zweig sino all’ultimo restò fedele al più ingenuo e generoso degli ideali. L’abolizione dei passaporti. L’Europa unita. Laurent Seksik, Gli ultimi giorni di Stefan Zweig, Gremese, pagg. 206, € 14,00; Stefan Zweig, Amerigo, Elliot, pagg. 115, € 12,00; Paura, Adelphi, pagg. 113, € 10,00 di Carlotta Vissani ATSUME SOSEKI, maestro di Tanizaki, N Kawabata e Mishima, volto stampato sulle banconote da 1.000 yen nel ventennio 1984, è nato nel 1867 a Edo, ma i suoi romanzi hanno un’aura così moderna che se non ne conoscessimo le note biografiche e incappassimo per caso in una delle sue opere (una tra tutti Io sono un gatto), penseremmo a un contemporaneo di Murakami. Se alla scrittura giapponese va riconosciuta una qualità è quella di saper essere lirica e poetica senza mai sconfinare nel melenso, nell’ovvio. Lo testimoniano le intense pagine di E poi, storia di un amore impossibile ai tempi dell’Era Meiji, periodo storico di rinnovamento e rivoluzione socio-culturale in contrasto con antiche tradizioni, regole di comportamento e codici d’onore di questa affascinante e rigida cultura millenaria che dei rituali fa il suo fiore all’occhiello. Sarà dunque facile capire che la passione che vede protagonisti un uomo celibe e una donna sposata sarà bollata come sconveniente. È di questo che racconta Soseki, di un giovane aristocratico dagli atteggiamenti dandy - Daisuke - bello e intimamente fragile, smanioso di vivere «al punto che non sopportava l’idea che il suo tranquillo, placido battito cardiaco fosse regolato dal flusso sanguigno» e della moglie dell’amico di università Hiraoka che incontra nuovamente a Tokyo dopo un lungo periodo scandito da una corrispondenza postale via via più rarefatta e languida. Lontano dallo spirito del Giappone antico, con cui invece dovrà confrontarsi quando il padre gli proporrà un matrimonio combinato, Daisuke considera la propria instabilità nervosa il prezzo da pagare in cambio di una straordinaria capacità speculativa e di un’acuta sensibilità. «Era il tormento che faceva da controcanto alla sua educazione raffinata. La punizione non scritta che toccava agli aristocratici designati dal Cielo». Se da una parte Daisuke cerca il bello, coglie la meraviglia di una camelia a petali doppi e ama la letteratura (soprattutto D’Annunzio), dall’altra è scosso da un’irrequietezza che ha a che fare con la paura della morte, l’isolamento, la difficoltà a relazionarsi con i veti incarnati dalla figura paterna e la voglia di spaccare con i diktat in nome dei sentimenti. Non solo un’opera, eccellente, sulla virata giapponese verso il modello occidentale, ma anche percorso di formazione alla ricerca dell’identità, fotografia vivida e vibrante di un legame troppo forte per essere ignorato, istantanea su un mondo lontano dal nostro ma galoppante, ostacoli a parte, verso il nuovo. Natsume Soseki, E poi, Neri Pozza, pagg. 288, € 16,50 GOLIARDA SAPIENZA LE MIE DOTTE PRIGIONI di Virginia Fiume SISTE UN LUOGO dove si viene ridotti a nuda essenza, dove è impossibile fingere di essere quello che non si è: il carcere. La scrittrice Goliarda Sapienza lo chiama il «regno della chiarezza apparente». Qui entrò nel 1980, e così nacque L’università di Rebibbia pubblicato per la prima volta nel 1983 e ristampato ora da Einaudi. La scrittrice catanese racconta i suoi primi tre giorni di carcere. Aveva rubato dei gioielli a una ricca signora. Alcuni biografi dicono che l’attrice e scrittrice, che diventerà famosa solo dopo la morte con la pubblicazione nel 1998 de L’arte della gioia, fosse spinta da miseria, lei racconta il gesto quasi come una vendetta antiborghese, associata al desiderio di conoscere una realtà per poterla poi raccontare. Attraverso il suo corpo il lettore entra a Rebibbia. Sente gli odori. Vede le luci accese durante la notte. Impara le regole di comportamento e scopre che chi si presenta con «cognome e nome» ha origini popolari, mentre chi usa il nome prima del cognome viene classificata come «politica». Era la fine degli anni di piombo. Nel 1975 era stata appena approvata la prima riforma del carcere, niente più divise ma le classi sociali, apparentemente rese omogenee dall’imprigionamento, emergono ineludibili dai modi di parlare o da ciò che si riesce a comprare al negozio interno. Fu quella stessa riforma a introdurre educatori e psicologi, allora guardati con sarcasmo dalle detenute più colte, che li considerano strumento di omologazione. Sono passati trentadue anni, ora educatori e psicologi vengono invocati. Altre riforme si sono susseguite. Ma proprio come dice una delle detenute raccontate da Goliarda Sapienza il carcere è «il regno degli archetipi eterni». Per questo ha senso rileggere le pa- E gine de L’università di Rebibbia, per dare volti, abitudini e comportamenti alle donne recluse, anche ai giorni nostri e far sì che non restino solo numeri, anche se impressionanti: sono 20.890 i detenuti in più rispetto alla capienza delle carceri italiane, di questi 2.872 sono donne, 300 più del previsto. Laura Astarita in uno speciale sulla detenzione delle donne dell’organizzazione “Ristretti Orizzonti” riprende alcune osservazioni del medico Donatella Zoia sulle principali conseguenze fisiche del carcere sulle donne: variazioni significative del ciclo mestruale, ansia, depressione, anoressia e bulimia e senso di colpa per aver abbandonato i figli. È proprio la relazione mamma-bambino il punto su cui occorre urgentemente un intervento secondo Irene Testa, segretaria dell’Associazione radicale “Il detenuto ignoto”: «Sono 54 i bambini in carcere con le madri, hanno meno di tre anni. Per evitare che vivano una vita da innocenti dietro le sbarre le ultime leggi prevedono la costruzione di Icam (Istituti a custodia attenuata per madri), ma finora ce n’è solo uno a Milano. Ovviamente pieno. E l’erogazione dei fondi è rimandata al 2014». Chissà cosa “pagherebbe” Goliarda Sapienza per entrare in carcere oggi e chissà con quanta più rabbia lo racconterebbe. Goliarda Sapienza, L’università di Rebibbia, Einaudi, pagg. 138, € 11,00 IL FLOP IN FUGA DAL COMMISSARIO PUPO Doveva essere il nuovo Faletti. Invece Enzo Ghinazzi, in arte Pupo, è andato maluccio col suo thriller La confessione, edito da Rizzoli. Racconta di un omicidio nella serata di Sanremo. La vittima un famoso cantante, Enrico Bertini, in arte Chico. Uscito proprio in coincidenza con il festival, il libro ha esordito in 280esima posizione della classifica generale per poi scendere inesorabilmente fino all’attuale 516esimo posto. Ma non tutto il male viene per nuocere. Essendoci di mezzo un commissario – Oscar Borrani, naturalmente tipo sregolato, eccessivo eccetera – si rischiava il seguito.