Finisce lo Shuttle non l`avventura nello spazio

Transcript

Finisce lo Shuttle non l`avventura nello spazio
NEWSLETTER CHI SIAMO CHI CI FINANZIA LOG IN/CREA UN ACCOUNT
RICERCA
DOCUMENTI ARCHIVIO INDICE BLOG TOPIC TV CANALE SCUOLA CANALE INNOVA
Home » Campi del sapere » Tecnologia
Giovanni Bignami
SPAZIO
Finisce lo Shuttle non l'avventura nello spazio
Aeronautica
72 letture
Astronomia
Astronautica
Share on Facebook
Mi piace
0
Parte l’ultima navetta da Cape Canaveral, il numero 135 dello Shuttle Transportation System. Fine di
un’era? Sì, certo, fine dell’era Shuttle, durata 30 anni. L’Economist (quello che disse di Berlusconi “unfit to
lead Italy”) intitola “End of Space”. Ha ragione? Questa volta no.
Era tutto cominciato con una coincidenza significativa. Il primo volo dello Shuttle fu il 12 aprile 1981,
esattamente 20 anni dopo il volo di Yuri Gagarin, il primo uomo nello spazio. Il messaggio era chiaro: lo
schiaffo sovietico del 1961, già vendicato dalla conquista della Luna nel 1969, adesso aveva un’altra
risposta dagli USA. Era stato Nixon ad imporre alla NASA qualcosa di rivoluzionario: un sistema di “cheap
and easy access to space” basato su un vettore in gran parte riutilizzabile. L’idea era buona: una navetta
capace di portare sette astronauti e 18 tonnellate di carico su e giù dall’orbita bassa intorno alla Terra.
Insomma un “muletto” (ma con un carico enorme) che avrebbe dovuto fare diversi voli al mese, al prezzo di
giusto un pieno di carburante, pochi milioni di dollari. Un’idea ardita e fantastica, che rivoluzionava quello
che si poteva fare nello spazio.
Non andò così: nella realtà, il programma si rivelò molto più complicato e costoso. I 135 voli STS sono stati
fatti in 30 anni, più o meno un volo a trimestre, da 5 a 10 volte meno del previsto. I costi sono andati ancora
peggio: il programma sfiora i 200 miliardi, quasi cento volte più del previsto. E, soprattutto, su 135 voli, due
fallimenti catastrofici, con perdita di 14 astronauti su un totale di 355 trasportati. E’ un tasso di perdite oggi
appena accettabile in guerra da parte delle forze armate USA.
Ma anche risultati brillanti. Primo fra tutti, la messa in orbita e le ripetute, essenziali riparazioni dello Hubble
Space Telescope, da più di 20 anni il più grande strumento di astronomia per la razza umana. E poi, su di
un’orbita diversa, la costruzione della ISS, la stazione spaziale che senza lo Shuttle non sarebbe mai esistita.
Lei stessa è ora finalmente completata, con almeno dieci anni di ritardo e al costo di 100 miliardi. Non ha
mantenuto, almeno finora, le promesse di fare scienza di punta, ma è servita a dimostrarci che sappiamo
fare le cose nello spazio, e le sappiamo fare bene, e tutti insieme (anche l’Italia).
E da domani? Ha ragione l’Economist? Se vogliamo dimostrargli che (stavolta) ha torto, dobbiamo non
perdere tempo e inventare il futuro. La ISS è un problema: per i suoi astronauti rimane solo la cara vecchia
Soyuz, più vecchia dello Shuttle, gloriosa ma paurosamente arretrata. Intanto, la NASA sta pensando a un
nuovo vettore, anche se in mezzo a catastrofici tagli. Forse doveva pensarci prima: gli astronauti di STS 135
saranno gli ultimi astronauti americani a partire dal suolo americano per molto tempo, forse 5-10 anni. E poi
avere un’idea di cosa fare: per esempio un cantiere navale in librazione tra Terra e Luna, dal quale far
partire missioni abitate.
Dal 1972 nessun essere umano ha più lasciato la gravità della Terra: le centinaia di astronauti sulla ISS
sono in orbita terrestre. Ecco la risposta all’Economist: con un sogno che porti uomini e donne nello spazio
possiamo trovare lo slancio culturale e tecnologico necessario al vero progresso. Senza più accesso umano
allo spazio, invece, ha ragione l’Economist: lo spazio morirà.
Scienze dello spazio