La controversa sfida dei biocombustibili - I

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La controversa sfida dei biocombustibili - I
Roberto Weitnauer
Settembre 2007
(6 pagine, 6 immagini)
www.kalidoxa.com
Diritti riservati
- La controversa sfida dei biocombustibili I biocombustibili sono carburanti ottenuti per fermentazione da massa di origine
vegetale. Essi si pongono come un’interessante fonte energetica alternativa, onde
limitare nei trasporti la rigida dipendenza dal greggio, fonte che è in via di graduale
depauperamento e che implica problemi congiunturali e politici sostenuti. In
particolare, in attesa dell’idrogeno che non è certo dietro l’angolo, il bioetanolo
piace a molti governi e molte grandi aziende industriali che puntano su un suo
crescente impiego nel futuro a medio termine. Tuttavia, non è tutto oro quello che
luccica. I biocombustibili presentano alcuni inconvenienti non da poco che, qualora
insabbiati da interessi di parte e non adeguatamente affrontati sul piano congiunto
ambientale, sanitario ed economico, potrebbero peggiorare drasticamente la
condizione, invece che migliorarla.
L’austerity degli anni ’70 è stata una mezza bufala per gli allarmismi che ha a suo
tempo generato. Ma che le riserve di greggio si stiano depauperando è oggi
indiscutibile, né bisogna aspettarsi rinvenimenti eclatanti di nuovi giacimenti fossili.
Inoltre, i consumi crescono in tutto l’occidente, mentre la domanda di paesi quali
Cina e India si fa sempre più pressante. A tutto questo si aggiungono questioni
congiunturali e di mercato legate all’energia ricavata dal petrolio. Insomma, il quadro
del futuro energetico a medio termine non è tra i più rosei.
Come limitare la dipendenza dagli oligopolisti e non litigare quando si raschia il
fondo dei barili? Concentriamo qui l’analisi sui soli trasporti i quali assorbono
comunque un terzo dei consumi energetici europei. In questo contesto i combustibili
ricavati da masse vegetali sono proposti come una soluzione particolarmente
interessante per lo scarso impatto ecologico, la loro rinnovabilità e l’indipendenza
economica che comportano.
Tuttavia, a conti fatti, non sembra che la situazione sia così cristallina come ci
viene prospettata da alcune fonti industriali e politiche. Ci troviamo adesso in una
fase confusa in cui il mercato dei biocarburanti cresce tra molte iniziative, ma in cui
maturano anche fondate critiche inerenti il rapporto tra costi e benefici. Come al
solito, alla fine è infatti su questa bilancia che vanno valutate attentamente le scelte:
quandi vantaggi otteniamo, ma a che prezzo.
La curva mostra la produzione cumulata di greggio negli USA dall’inizio del secolo circa (nel 1859
è stato trivellato il primo pozzo). Gli anni ’70 corrispondono col picco di produzione annua (circa
3,5 miliardi di barili/anno) e all’esaurimento della metà delle riserve.
http://ecoalfabeta.blogosfere.it/2007/06/ma-cose-esattamente-il-peak-oil.html
L’Europa, che è nel mondo il primo importatore e il secondo consumatore di
energia, sembra sicura dei suoi calcoli e punta con decisione ad acquisire il 10% del
fabbisogno dai biocarburanti entro il 2020. Bruxelles sostiene il progetto Best che
promuove il bioetanolo (alcol etilico da fermentazione di vegetali), anche perché
ormai quasi tutti gli analisti relegano il biodiesel in secondo piano, per quanto negli
ultimi anni abbia avuto quote di produzione in forte crescita. Il fatto è che i motori
diesel diventeranno nel prossimo futuro meno competitivi in termini di costi
produttivi rispetto a quelli a ciclo Otto (a benzina), soprattutto per via dei vincoli
sulle emissioni (ossido di azoto e particolato). Il motore Otto può funzionare senza
troppi problemi anche a etanolo. Molte aziende automobilistiche si stanno
attrezzando sul fronte bioetanolo, investendo in know-how e anche piantagioni.
Il ciclo del carbonio nei biocombustibili. La combustione emette anidride carbonica (gas serra).
Questa viene assorbita dalle piante (durante la fotosintesi) con rilascio di ossigeno quale prodotto
di scarto. Le piante così sintetizzate vengono usate come biomassa per ricavare biocarburanti.
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La produzione di biocombustibili nel mondo.
http://www.zero.no/transport/bio/biofuel3.gif
La SAAB svedese (appartiene alla General Motors) è uno dei marchi automobilistici attualmente
più impegnati sul fronte del bioetanolo. Il bioetanolo europeo più utilizzato è una miscela con il
15% di benzina (E85) e ha la massima diffusione in Svezia (2,2% delle auto, 10% dei distributori)
dove vi sono forti incentivi statali al suo impiego. In effetti, la Svezia è la capofila nel progetto Best
(Bioethanol for Sustainable Transport) della Comunità Europea cui partecipano anche Brasile e
Cina. I motori Otto a benzina, con pochi accorgimenti, possono funzionare con qualunque %
relativa di benzina verde ed etanolo (quest’ultimo ha il 70% del potere calorifico della benzina). In
Italia il bioetanolo è impiegato solo per qualche mezzo pubblico e mancano i distributori, sebbene
esistano agevolazioni fiscali. La Fiat, che pure produce motori Flexfuel per biocombustibili
largamente impiegati in Brasile, spinge in Italia sul metano, alimentando i gusti del mercato locale,
piuttosto che tentando di orientarli.
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Dunque, bioetanolo a tutta birra? In verità, come si accennava, ci sono problemi di
costo, emissioni, risorse, infrastrutture, cibo e ambiente. Facciamo una carrellata per
afferrare la situazione per sommi capi.
Un’unità di energia disponibile con l’etanolo ricavato oggi dal mais non costa
meno di quella ottenibile con la benzina (pur col barile a 80 dollari): circa 6 centesimi
di euro ogni kilowattora. Le pipelines attuali non sono compatibili col bioetanolo che
provocherebbe problemi di corrosione (bisognerebbe modificare tutte le linee a costi
notevolissimi). Nella produzione di bioetanolo da cereali (la fonte attualmente più
utilizzata) l’energia resa è dopotutto minore di quella spesa, così com’è misero il
bilancio tra gas serra aboliti e generati. Le coltivazioni che concorrono con gli usi
alimentari causano attualmente rincari dei generi commestibili (è già successo negli
Usa e in Messico) a danno delle economie deboli. Da recenti studi emerge che i gas
di un motore a etanolo, prima supposti innocui, sono nocivi all’incirca come quelli
rilasciati con la benzina: formaldeide e acetaldeide al posto di benzene e butadiene.
Non è finita. Per produrre un litro di bioetanolo occorrono la bellezza di 4,6
tonnellate d’acqua, una risorsa preziosa e cruciale per lo sviluppo futuro dell’intero
pianeta, che potrebbe diventare cara e cui oggi alcuni paesi poveri non accedono
nemmeno. Ma è la Terra che rischia d’impoverirsi. Muovere i soli veicoli privati
italiani a bioetanolo significa disporre da qualche parte nel mondo di piantagioni per
circa 6 milioni di ettari, metà del suolo nazionale coltivabile. Figuriamoci cosa
significa estendere l’impiego all'
Europa o al mondo intero. La specie umana divora
già un quarto della biomassa creata dal pianeta. Sostituire i combustibili fossili con
coltivazioni immani, che tra l’altro richiedono fertilizzanti e pesticidi, implica la
perdita di ecosistemi, deforestazioni, desertificazioni, cambianti climatici. Le analisi
ambientali recentemente condotte sono tutte concordi in questo senso e sono
particolarmente allarmiste.
In definitiva, si può senz’altro affermare che per i biocombustibili non è tutto oro
quello che luccica. Al contrario, posto che le condizioni tecniche e le scelte
strategiche restino quelle che si delineano ora, il futuro energetico europeo (e non
solo europeo) affrontato con queste risorse naturali potrebbe riservare più difficoltà e
rischi che soluzioni e sicurezze. Insomma, il rimedio potrebbe facilmente dimostrarsi
peggiore del male. Il punto cruciale è che allo stato attuale alcuni propugnatori dei
biocombustibili tendono a focalizzare l’attenzione dei cittadini sull’impiego terminale
di questi combustibili presentati come “verdi”, tralasciando tutti gli aspetti
ambientali, sanitari ed economici che interessano l’intera filiera di produzione.
Che si tratti di errori strategici o di manovre corporativistiche, non è raro che a
questo riguardo si esalti un beneficio particolare o locale, dimenticando il quadro
generale o globale. Del resto il mercato è poco propenso a digerire le questioni
tecniche e scientifiche e si lascia spesso, per modo di dire, “abbindolare” da false
promesse sui consumi o sull’ecologia. Ma oggi la dipendenza dall’energia è diventata
più critica che mai, così come cruciale è il nostro rapporto con quanto ci offre la
Terra in termini di ecosistemi, biodiversità e risorse. Non possiamo permetterci di
sbagliare.
Il problema della deforestazione. Ogni minuto scompaiono 15 km quadrati di foresta vergine. Il
WWF ha inteso raffigurare il problema con un’immagine al tempo stesso umoristica e drammatica:
Tarzan appeso a una liana supera l’ultimo albero e si trova improvvisamente di fronte a una zona
devastata. L’impiego di coltivazioni intensive e su vasta su suolo naturale pregiato finalizzate alla
produzione di biocombustibili rischia di esaltare in pochi anni il problema della deforestazione con
tutte le conseguenze che ciò comporta: cambiamenti climatici, problemi alimentari, perdita di
ecosistemi, etc.
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Naturalmente, è facile fare polemiche senza proporre alternative. Il problema delle
risorse energetiche richiama quelle scenette comiche in cui si vede un uomo che cerca
di tappare su un muro qualche violenta perdita idrica, ma che, così facendo, ottiene
come unico risultato l’indesiderata comparsa di un nuovo fiotto da qualche altra parte
del muro. Bisogna sempre pensare che le risorse sono limitate (questo è un caposaldo
di tutte le discipline economiche ed ecologiche) e che ogni soluzione ha un costo,
nonché pregi e difetti. Non esiste quindi una strategia ottima, ma solo compromessi
che dobbiamo cercare di rendere migliori possibili per rapporto a quelle che sono le
nostre più razionali previsioni, più che le nostre aspettative.
Così, sbagliamo se ricorriamo al bioetanolo a go-go, senza porci alcun quesito
ambientale, ma anche se continuiamo ciecamente a sfruttare le riserve fossili. In
questo secondo caso, quando la benzina supererà un certo prezzo qualcuno penserà
bene di ricavarla dal carbone (ce n’è ancora molto) a costi concorrenziali, causando
però spaventosi rilasci di gas serra nell’atmosfera. Meglio allora non dimenticare i
biocombustibili. Occorre però inquadrarli in un contesto “sostenibile”.
I biocombustibili, e il bioetanolo in particolare, non è affatto un sogno lontano, ma
una sfida che richiede ingegno, tecnologia e anche buon senso. La strada è in parte
già tracciata: piante non alimentari che crescono su suoli poveri (come ad esempio il
miscanthus giganteus), organismi ogm (modificati per rendere il più possibile col
minor impatto ambientale possibile) e bioraffinerie che trattano residui vegetali:
foglie, paglia, rifiuti organici, scarti agroalimentari e legnosi. Stiamo parlando delle
cosiddette tecnologie di “seconda generazione”, nate più per correggere gli errori
generali d’impostazione della prima fase che a seguito di un genuino sviluppo
ingegneristico. Dobbiamo metterci nell’ordine di idee di non poter più “buttare”
nulla, altrimenti corriamo il pericolo di buttare noi stessi alle ortiche.
Il miscanthus giganteus è un’interessante fonte vegetale per la produzione di alcol etilico (etanolo).
Si tratta di un arbusto di circa 4 m che cresce su suolo poveri in climi temperati, ha una ciclicità
agricola sostenuta e non concorre con gli usi alimentari.
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Roberto Weitnauer