Bambini - Soldato - Italiano

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Bambini - Soldato - Italiano
MISNA
Bambini - Soldato
Dagli eserciti alle guerriglie. Dai narcos al
terrorismo
di
Luciano Bertozzi
Dossier: 5
Marzo 2011
Bambini–soldato
Dagli eserciti alle guerriglie. Dai narcos al terrorismo
Dahara ha 15 anni e non aveva mai usato un’arma. Fino a quando non è arrivato
in Libia insieme a suo cugino Hagar, di 18 anni. Sono saliti su un aereo in un
piccolo aeroporto del Ciad e di lì, insieme ad altri, dopo poche ore di volo sono
atterrati a Tripoli. Alla partenza gli avevano detto che sarebbero andati a lavorare
in Libia, invece gli è stata data un’arma. Deve seguire gli ordini di ufficiali
libici e intorno a lui ci sono mercenari ciadiani, nigeriani e maliani, alcuni della
sua stessa età.
Base militare di Al Jazeera, alla periferia di Mogadiscio, in Somalia. Alla recluta
Idris, 10 anni, piace disegnare. Il suo capo ogni tanto gli dà dei fogli e così lui,
felice, disegna. Non ha molto tempo. Gli istruttori hanno fretta che lui e le altre
reclute siano pronti in poche settimane. Così Idris è sempre molto occupato e
non può dedicarsi al suo hobby. Pensa sempre che quando sarà grande farà il
pittore. Quando ha qualche ora libera incontra Yusef, hanno la stessa età. Ma il
suo amico è più fortunato, si veste meglio e soprattutto mangia meglio. Yusef fa
parte della scorta di un esponente di governo: ecco perché ha sempre qualcosa in
più.
In un piccolo villaggio del Nord Uganda, Cristiane sta preparando da mangiare,
ha tre bambini. Ha ancora il viso da bambina, anche se oggi ha 22 anni. Ne
aveva nove quando una notte i ribelli del Lord’s Resistance Army (Lra)
attaccarono il suo villaggio e la rapirono. Furono dieci anni d’inferno. Trattata
come una schiava. Sempre in cammino. Racconta: “ In tutti questi anni siamo
stati sempre in movimento.
Non ci si fermava più di tre giorni in un posto. Si mangiava quello che si
prendeva nei villaggi saccheggiati o quello che ci offriva la foresta. Sono stata
‘moglie’ di tanti ribelli. Ho visto tante bambine morire di stenti e altre uccise
perché avevano tentato di fuggire”.
Secondo le stime della Coalizione Internazionale, una ong impegnata da anni
contro l’arruolamento dei bambini-soldato, oggi sono più di 250.000, di cui
120.000 in Africa, i minori che combattono negli eserciti governativi o nelle file
delle guerriglie.
I bambini-soldato combattono in 17 paesi. Meno dei 24 paesi del 2004. Ma la
diminuzione, rileva la Coalizione Internazione, “è più la conseguenza della fine
di molti conflitti che non l’impatto delle iniziative contro l’arruolamento e
l’utilizzo dei bambini-soldato”. In 14 paesi i minori sono stati reclutati anche
dalle truppe filogovernative o da milizie di autodifesa per contrastare le
incursioni dei guerriglieri, oppure da milizie illegali che fiancheggiano le truppe
regolari. In alcuni casi gli eserciti non disdegnano di impiegare i piccoli come
spie o informatori. E’ evidente che se le pressioni internazionali hanno avuto
qualche effetto su alcuni governi, che hanno smobilitato i bambini o preso
impegni per farlo, i movimenti di guerriglia hanno continuato ad arruolarli.
Gran parte dei bambini-soldato ha un’età compresa fra 14 e 18 anni, molti sono
stati “reclutati” a soli dieci anni. Negli eserciti finiscono soprattutto bambini
privi di famiglia (orfani, minori non accompagnati, separati dai genitori durante
gli esodi), i figli di genitori poveri e analfabeti, i rifugiati, i bambini di strada e
quelli appartenenti ad alcune minoranze etniche. E’ chiaro che i piccoli
abbandonati, lasciati in miseria, non hanno molta scelta fra morire di stenti o in
battaglia. Molti adolescenti si uniscono alle milizie “volontariamente” in quanto
identificano l’esercito con la famiglia distrutta dalla guerra, mentre altri ancora
cercano di vendicare l’uccisione dei propri cari. Il fenomeno interessa anche le
bambine, anche se in numero nettamente inferiore.
L’inferno delle ragazze combattenti è anche peggiore di quello dei maschi, in
qualunque gruppo armato e paese. Le ragazze sono particolarmente a rischio,
infatti, di violenza e di schiavitù sessuale. La conseguenza è che se non si
muore in battaglia si muore di malattie.
Le sofferenze dei bambini-soldato
I conflitti sempre più sanguinosi e interminabili richiedono sempre nuova
manodopera e i bambini non disertano, non chiedono paghe, sono facili da
strumentalizzare e sono tanti. I piccoli sono reclutati generalmente nelle scuole,
nei campi profughi o nelle periferie delle grandi città. Sono spinti a combattere
per vendicare un familiare, per denaro o perché minacciati. In tanti casi non
esiste possibilità di scelta, quando l’alternativa è uccidere o essere ucciso. Il
terribile rito d’iniziazione effettuato presso il Lord's Resistance Army (Lra),
operante in Uganda e più recentemente in altri paesi dell’Africa centrale e
orientale, consiste nel far uccidere dalle nuove reclute un ragazzo che aveva
tentato la fuga.
In Ciad, ha denunciato Amnesty International in un rapporto del febbraio 2011,
bambini ben vestiti sono inviati nei campi profughi, dove “vivono” centinaia di
migliaia di persone, con soldi e sigarette per attirare nuove reclute, proponendo
da 15 a 400 dollari per chi accetta l’offerta. I ragazzini di età fra 13 e 17 anni
vengono inviati a combattere, mentre bambini di dieci anni sono utilizzati come
messaggeri o portatori.
Un altro elemento importante è l’uso elle armi. La presenza di armi leggere
come il Kalashnikov, prodotto in milioni di esemplari, l’orgoglio di tutte le
guerriglie, il mitra israeliano Uzi, realizzato in più di dieci milioni di pezzi e
presente in 50 Stati, il fucile statunitense M 16, la pistola Beretta, sono armi
leggere, facilmente trasportabili anche in luoghi impervi e possono essere usate
agevolmente da un bambino.
Un altro fattore è la mancanza dell’anagrafe. In tanti paesi l’inesistenza del
“pezzo di carta”, in sostanza, l’impossibilità di esigere i diritti dei più piccoli.
Questa circostanza è utilizzata dagli eserciti, regolari e non, che inquadrano
nelle
proprie
file
minorenni
calpestando
le
leggi
sull’età
minima
dell’arruolamento falsificando i dati anagrafici o sfruttando il fatto che le
nascite non vengano registrate.
Una volta reclutati i bambini-soldato vengono sottoposti a una durissima
disciplina, con gravi punizioni fisiche e vengono addirittura uccisi in caso di
diserzione; sono addestrati all’obbedienza assoluta, ogni minima mancanza può
essere punita con la pena capitale. Molti gruppi di ribelli usano droghe per
ridurre le resistenze e facilitare il compimento di ogni tipo di atrocità. Altre
sofferenze sono rappresentate dai maltrattamenti o dalle torture cui i bambini
sono sottoposti per aver fatto parte delle milizie. In Sudan, per esempio, di
recente la Corte speciale ha condannato a morte alcuni bambini di età compresa
fra 11 e 16 anni per aver partecipato a un’offensiva armata nella capitale
sudanese guidata nel 2008 dalla guerriglia Justice and Equality Movement
(JEM), particolarmente attiva in Darfur.
In Africa: tra eserciti e ribelli
I paesi africani maggiormente coinvolti nel fenomeno dei bambini-soldato sono:
Repubblica Democratica del Congo, Ciad, Repubblica Centrafricana, Sudan,
Uganda e Somalia.
In Uganda, i ribelli dell’Lra hanno strappato migliaia di adolescenti alle loro
famiglie per portarli nella foresta o anche nei campi di addestramento in Sudan.
Si calcola in 25.000 il numero dei bambini sequestrati dai ribelli nel corso di 20
anni. Joseph Kony, il capo dell’Lra, continua una campagna di arruolamento in
maniera sistematica e spietata: arriva in un villaggio, lo saccheggia, lo rade al
suolo, rapisce i bambini e le bambine.
Attualmente i ribelli dell’Lra stanno operando in Sudan, Repubblica
Centrafricana e in particolare nell’est della Repubblica Democratica del Congo.
Il 24 maggio scorso Barack Obama ha firmato lo Lra Disarmament and
Northen Uganda Recovery Act, una legge che darebbe mandato al presidente
americano - in accordo con i governi regionali - di fermare i crimini dell’Lra e
di ricostruire la società civile nel nord dell'Uganda. Fino oggi, però, nessun
passo è stato fatto in questa direzione.
Nella Repubblica Democratica del Congo, combattono migliaia di bambini. Nel
2009, la missione dell’Onu ha registrato circa 850 nuovi casi di reclutamento di
bambini, quasi la metà attribuibile all’esercito di Kinshasa. Particolarmente
attivi i vari movimenti di ribelli nel Nord e Sud del Kivu. Testimoni oculari
hanno confermato la presenza di bambini-soldato tra le file dei ribelli.
In Ciad - secondo il rapporto del Segretario Generale dell’Onu - l’esercito
regolare e diversi gruppi armati hanno continuato nel 2009 a reclutare e
utilizzare adolescenti di età compresa fra 14 e 17 anni, in particolare nella parte
orientale del paese. Il governo ha cercato di minimizzare, affermando che non si
trattava di una politica ufficiale, ma in diverse occasioni le autorità locali hanno
ammesso la presenza dei piccoli nelle file dell’esercito. La guerriglia del
Mouvement pour la Justice et l’Egalité (Mje) ha reclutato e utilizzato bambini
sudanesi presenti nei campi dei rifugiati. Alcuni hanno preso parte agli scontri
fra Mje e l’esercito di Khartoum nel Darfur. Altri bambini sono stati rastrellati
per essere utilizzati nei combattimenti a difesa della capitale N’Djadema. Molti
ragazzi sono stati reclutati e utilizzati da forze di autodifesa dei villaggi,
costituite a livello locale per contrastare i movimenti di opposizione armata.
In Sudan i minori sono stati impiegati in Darfur dall’esercito regolare sudanese,
dalle famigerate milizie Janjaweed che appoggiano il Governo di Khartoum e
nella parte meridionale del paese, dal Sudan People's Liberation Army (Spla).
E’ particolarmente preoccupante che anche se il numero dei bambini utilizzati è
diminuito rispetto al 2008, ne permane però l’utilizzo da parte delle Forze
armate sudanesi, di quelle filogovernative e delle milizie che appoggiano il
governo. Nel paese si registrano anche le incursioni dei ribelli dell’Lra, che
hanno rapito centinaia di bambini. Quasi duecento di loro sono stati liberati dai
militari governativi.
In Somalia, tutte le parti in causa nel conflitto in atto hanno utilizzato un gran
numero di bambini-soldato. Il reclutamento è divenuto - sostiene l’Onu –
“generalizzato e sistematico”.
I guerriglieri del movimento Hizbul Islam avrebbero almeno 500 piccoli
combattenti, quelli di Al-Shabaab ne avrebbero reclutato 600 e nella base di
Galduuma ce ne sarebbero almeno 1800, di cui alcuni di appena nove anni.
L’arruolamento delle bambine è invece raro, ma anche se considerato
inaccettabile, alcune sono impiegate in cucina, per trasportare detonatori, nella
logistica e per raccogliere informazioni. Anche il governo federale di
transizione impiega i più piccoli, sia pure meno sistematicamente. Nel marzo
2009 l’esecutivo di Mogadiscio avrebbe formato circa 1500 combattenti con
meno di 18 anni.
In Somalia secondo l’Onu sono stati registrati casi di reclutamento di bambini
fra i pirati che operano al largo delle coste dell’Oceano Indiano. L’anno scorso
alcuni minori sono scappati dalla guerriglia di Al-Shabaab per unirsi ai pirati,
che oggi rappresentano un ulteriore sviluppo del fenomeno bambini-soldato.
America Latina: tra guerriglia e narcos
Mary Isabel esibisce il suo kalashnikov con orgoglio. Vuole mostrare i disegni
che ha fatto sul calcio dell’Ak.47. Sono disegnati dei fiori, dei cerchi e un
grande arcobaleno con il nome del suo Francisco, anche lui nella guerriglia
della Farc.
Vivevano nello stesso villaggio. Sono già passati cinque anni quando quella
mattina arrivarono a scuola i soldati delle Fuerzas Armadas Revolucionarias de
Colombia- Ejército del Pueblo (Farc) e li portarono via.
In Colombia, il reclutamento e l’utilizzo dei bambini da parte dei ribelli è stato
denunciato dalle Nazioni Unite. Secondo il Rapporto 2010 del Segretario
generale dell’Onu, il reclutamento è “una pratica comune e metodica”. I ragazzi
sono stati utilizzati nel conflitto in corso da decenni per reclutare altri
minorenni, come spie, nella raccolta di informazioni, per garantire l’appoggio
logistico e le ragazzine come schiave sessuali. Chi cerca di scappare è punito
con la morte o è sottoposto a torture. I luoghi privilegiati per il reclutamento
sono le scuole.
Ad utilizzare i piccoli non sono soltanto i movimenti guerriglieri delle Farc e
dell’Ejército de Liberacion Nacional (Eln), ma anche unità smobilitate dai
gruppi paramilitari Autodefensas Unidas de Colombia (Auc).
Secondo uno studio della Defensoria del Pueblo,un’istituzione pubblica
colombiana, l’età media di reclutamento è 12 anni e i piccoli rimangono fra i
combattenti per un periodo compreso tra due e cinque anni. I gruppi guerriglieri
delle Farc e dell’Eln sono composti, secondo alcune stime, per il 40% dei propri
effettivi da minorenni, mentre per le milizie paramilitari Auc tale percentuale è
del 30%.
In Colombia, nel 2010, il numero degli eccidi attributi ai gruppi armati illegali è
aumentato del 40 per cento. Il dato è stato fornito dall’Ufficio colombiano
dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani.
In un nuovo rapporto presentato lo scorso febbraio a Bogotá, il responsabile
locale dell’Onu ha dipinto un quadro preoccupante dello stato del diritto
internazionale umanitario e dei diritti umani al livello nazionale. Il diplomatico
ha ricordato che sono in aumento le stragi tra bande armate e fazioni interne
agli stessi gruppi.
L’esperto dell’Onu ha coniato il termine post-paramilitari per i movimenti
armati distribuiti oggi sul territorio colombiano, in cui sono confluiti
combattenti di estrema destra provenienti dalla dissoluzione delle principali reti
paramilitari, su tutte le Auc. Questi gruppi potrebbero peraltro contare
sull’acquiescenza, la tolleranza e anche la connivenza, sia per corruzione o
dietro minaccia, di alcuni membri delle forze dell’ordine. Rispetto alle azioni
dei paramilitari negli anni Novanta, in cui erano frequenti gli eccidi di massa di
civili, i gruppi armati sono passati a omicidi selettivi, concentrando le loro
azioni contro attivisti per i diritti umani, esponenti della società civile e dirigenti
sindacali.
In Messico corruzione, ricatto e sequestro sono i metodi abituali utilizzati dai
cartelli dei narcos per reclutare i bambini. Secondo la “Red por los derecho de
la infancia” i bambini-narcos sono circa 30.000. Non tutti usano le armi, la
maggior parte fa l’informatore o lo spacciatore. Nelle zone agricole della Sierra
di Durango o del Michoacan sono impiegati nella coltivazione della droga.
Gli adolescenti svolgono spesso ruoli di primo piano nella tratta di esseri umani
e nel sequestro di migranti. Tra aprile e settembre 2010 oltre 11.300 migranti,
per la maggior parte centroamericani, sono stati vittime di sequestri: a
documentarlo è un nuovo rapporto della Commissione nazionale dei diritti
umani (Cndh), che conferma come la criminalità organizzata ricorra ormai alla
pratica del rapimento non solo per estorsioni nei confronti dei migranti ma
anche per reclutarli e utilizzarli in attività illegali; secondo le testimonianze
raccolte, i sequestratori pretendono in media tra i 1000 e i 5000 dollari, ma
anche fino a 10.000, per rilasciare gli ostaggi. “I più piccoli fanno gli
informatori – dice Xavier Reis, della Red por los derecho de la Infancia -. A 12
anni diventano guardiani dei rapiti, a 16 già coordinano le operazioni”.
La Procura generale messicana ha confermato che tra il 2006 e il 2010 ben
3.664 minori sono stati arrestati per reati legati alla criminalità organizzata, in
modo particolare al narco-traffico.
Nel 2010 le vittime della violenza legata al narcotraffico sono state 15.273, il
63% in più rispetto al 2009 dei quali più di mille sono bambini. Secondo le
organizzazioni non governative che lavorano per i recupero dei bambini-narcos
i ragazzini sono manodopera “a buon mercato” e facilmente sostituibile. In
Messico oltre un milione e mezzo di adolescenti non studia né lavora e, anche
per questo, diventano una preda facile per i narcos. I traffici illeciti permettono
denaro immediato e uno status privilegiato. D’altra parte l’esercito messicano
ha ammesso recentemente di aver usato più di 300 militari di leva di 16 anni in
operazioni anti-narcos.
Asia: terrorismo e guerriglia
In Pakistan un adolescente con la divisa di scuola si è fatto esplodere lo scorso
febbraio, in un’affollata caserma nel nord-ovest del paese causando la morte di
almeno 31 reclute e il ferimento di altri 20 militari. Si tratta di uno dei più
sanguinosi attentati degli ultimi mesi nel paese.
Era da qualche tempo che le agenzie di intelligence notavano come i vari gruppi
terroristici stavano addottrinando e addestrando un numero crescente di minori
per attacchi terroristici. Documenti ritrovati e interrogatori di terroristi hanno
confermato la nuova strategia dei gruppi terroristi di coinvolgere i bambini nella
“Jihad” (“guerra santa”).
Nella lista predisposta nel 2010 dal Segretario Generale dell’Onu sugli eserciti e
le milizie che utilizzano i bambini come soldati in Afghanistan, assieme ai
gruppi armati talebani, Jamat Sunat al-Dawa Salafia, il partito Hezbi-i-Islami e
la Rete Haqqani, è presente anche la Polizia nazionale. All’inizio del 2011 il
governo di Kabul e l’Onu hanno firmato un accordo per prevenire il
reclutamento e l’utilizzo dei minori nelle forze di sicurezza afgane.
Nel frattempo, un centinaio di piccoli sono stati arrestati dalla forze di sicurezza
afgane e dalle forze militari internazionali per il presunto coinvolgimento o per
associazione con la guerriglia. L’accesso alle carceri continua a essere difficile e
pertanto le informazioni sui bambini detenuti sono limitate. L’Onu ha criticato
la polizia afgana per aver utilizzato sui bambini tecniche di interrogatorio
violente ed esser ricorsa all’elettroshock o altre brutalità per ottenere
confessioni.
Il Myanmar è uno dei paesi in Asia con il maggior numero di bambini-soldato.
A migliaia combattono nell’esercito e nella guerriglia. L’esercito li utilizza in
operazioni contro gruppi armati reclutati su base etnica.
In Nepal, al termine del conflitto, avvenuto 2006, il piano d’azione dell’Onu ha
comportato la smobilitazione di oltre un migliaio di minori che hanno avuto
accesso a programmi di reinserimento forniti dal governo e dalle stesse Nazioni
Unite.
Nel frattempo l’Onu ha denunciato Partito comunista unificato del Nepal per il
reclutamento e l’impiego di bambini-soldato.
Medio Oriente
L’Onu ha confermato l’utilizzo da parte di Israele di sette minori palestinesi
come scudi umani nel corso dell’operazione “Piombo Fuso”(2008). A oggi sono
circa 340 i bambini palestinesi nelle carceri israeliane. Non solo, l’Onu ha
censito più di 87 casi di sevizie e torture nei confronti di minori palestinesi
detenuti per ottenere la loro collaborazione.
Il Gruppo di lavoro dell’Onu ha registrato i casi di almeno cinque giovanissimi
a cui, dopo pesanti interrogatori, è stato chiesto di fare la spia.
In Iraq i gruppi armati continuano a reclutare i minorenni, di entrambi i sessi, da
utilizzare in atti terroristici, anche come baby-kamikaze. Non è solo Al Qaeda
ad utilizzare i più piccoli, perché anche altri movimenti armati sfruttano i
bambini nel conflitto.
Almeno 110 ragazzi sospettati di essere coinvolti in attività terroristiche sono
stati arrestati o condannati. In 25 avevano un’età compresa fra i 15 e i 18 anni.
Gran Bretagna/Stati Uniti
E’ drammatico notare che il fenomeno non ha interessato solo i paesi del Terzo
Mondo ma anche alcuni paesi occidentali. Nel Regno Unito e negli Stati Uniti è
consentito l’arruolamento di volontari dall’età di 16 e 17 anni rispettivamente.
Secondo la Coalizione Internazionale, al 1° aprile del 2010 erano nei ranghi
delle Forze armate britanniche 3.150 minori di 18 anni. L’età di reclutamento è
la più bassa d’Europa, solo 16 anni: un ragazzo inglese non può bere alcolici al
pub, non può votare, ma può entrare nell’esercito.
Dal 2005 il Comitato Onu sui diritti del fanciullo e vari gruppi della società
civile avevano chiesto al Parlamento inglese, fino a ora inutilmente, di alzare
l’età minima di arruolamento a 18 anni. Alcuni ragazzi sono stati inviati in
situazioni di conflitto. Dall’inizio dell’intervento armato in Afghanistan quasi
un caduto su quattro (il 24% del totale) aveva 21 anni o meno.
Altri dati preoccupanti sulla condizione dei soldati inglesi più giovani riguarda
l’elevato grado di disagio: il tasso di suicidi dei militari minori di 20 anni è il
50% in più rispetto a quello dei coetanei civili. Nel periodo aprile 2005 - 2010
sono stati reclutati quasi 5000 ragazzini, circa un quinto del totale delle nuove
reclute.
Negli Stati Uniti è consentito l’arruolamento di volontari all’età di 17 anni. Nel
2005 nei ranghi delle Forze armate statunitensi vi erano 7000 diciassettenni ed
altrettanti nella riserva.
Dal punto di vista legislativo, il Congresso americano aveva introdotto il Child
Soldiers Prevention Act con l’obiettivo di limitare gli aiuti militari ai paesi
coinvolti nel fenomeno dei bambini-soldato.
Tuttavia, secondo il Center for Defense Information, vari governi dei paesi
interessati continuano a ottenere assistenza militare dagli Usa. (Sudan, Iraq,
Pakistan, Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo e altri).
Bambini sospettati di aver partecipato ad azioni militari sono detenuti in carceri
statunitensi in Afghanistan, Iraq e a Guantanamo (Cuba). Nel 2006 la Croce
Rossa Internazionale ha registrato i casi di 59 detenuti minori rinchiusi in
carceri controllate da Washington e da Londra in Iraq.
Nel 2007, secondo fonti militari oltre 800 ragazzini, anche di 11 anni di età,
erano detenuti a Camp Cropper, in Iraq.
Nell’estate del 2007 gli americani hanno aperto una struttura per fornire servizi
educativi a 600 detenuti di età compresa fra 11 e 17 anni, prima del rilascio o
del trasferimento alle autorità irachene.
A dimostrazione dell’elevato coinvolgimento dei ragazzini nel paese arabo, i
soldati di Washington, nel 2007, hanno arrestato una media di cento ragazzi al
mese, contro i 25 del 2006. I militari americani detengono bambini anche in
Afghanistan sospettati di essere “fiancheggiatori” dei talebani.
La protezione giuridica internazionale
A livello internazionale i primi strumenti di tutela sono state le Convenzioni di
Ginevra del 1949 e in particolare la quarta, relativa al trattamento dei civili in
tempo di guerra. Tali Convenzioni sono state aggiornate dai Protocolli
aggiuntivi sulla protezione delle vittime dei conflitti armati, stipulati nel 1977,
in cui per la prima volta è affrontato il problema dei bambini-soldato.
La Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia del 1989 ha costituito una svolta
nella cultura dei diritti dei bambini. In particolare la Convenzione fissa in forma
non vincolante l’età minima per il reclutamento a 15 anni, mediante quello che
Amnesty International ha descritto come un “debole compromesso”.
Inoltre è previsto che gli stati agevolino il recupero psico-fisico e il
reinserimento sociale di ogni bambino vittima di un conflitto. Gli Stati Uniti e
la Somalia sono i due paesi che non hanno ancora ratificato la Convenzione
Onu.
Nel 1996 è stato redatto un documento delle Nazioni Unite intitolato “L’impatto
dei conflitti armati sui bambini”. Sull’onda dell’interesse suscitato, l’Onu creò
la figura del Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni
Unite per i bambini nei conflitti armati, che visita i paesi in guerra, svolgendo
un delicato lavoro diplomatico. Il Rappresentante ogni anno presenta un
rapporto sulla situazione.
Nel luglio 1998 è stato adottato lo “Statuto della Corte Penale Internazionale”
che ha competenze sui crimini di guerra, sui genocidi e sui crimini contro
l’umanità. Tra i crimini di guerra sono compresi anche l’arruolamento e
l’utilizzo in guerra dei minori di 15 anni. Tuttavia fra gli Stati che non hanno
ratificato o firmato lo Statuto vi sono alcuni paesi fra i più importanti: Cina,
Russia, Turchia, Indonesia, India, Israele e Stati Uniti.
Al riguardo è da evidenziare che l’allora presidente statunitense George W.
Bush ritirò la firma dall’approvazione dello Statuto, in precedenza apposta dal
suo predecessore Bill Clinton.
Ha preso posizione anche l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, con la
Convenzione n° 182 sulla “Proibizione delle peggiori forme di lavoro minorile”
stipulata nel 1999. La Convenzione classifica l’arruolamento di minorenni, allo
scopo di partecipare a conflitti armati, fra le forme di schiavitù che gli Stati
stipulanti si impegnano a rimuovere senza compromessi o dilazioni. Inoltre, con
la risoluzione n. 1261 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, è stata istituita la
figura dei Child Protection Advisers, che si occupano di controllare che gli
interessi e le esigenze dei bambini non siano calpestati, come spesso è
avvenuto, durante le operazioni di peacekeeping.
Nel 2002 è entrato in vigore il “Protocollo opzionale sui diritti dell’infanzia”
che proibisce il reclutamento e l’impiego in guerra dei minori di 18 anni e
impone agli Stati e alle forze di guerriglia il rispetto di tale disposizione,
prevedendo anche finanziamenti ai paesi più bisognosi per la smobilitazione e il
reinserimento dei minori sotto le armi. Il Protocollo, che è stato ratificato da
oltre 130 paesi non vieta, però, l’arruolamento dei minori su base volontaria.
Ciò rende evidente la scarsa sensibilità politica dei governi che consentono, nei
fatti, tante sofferenze.
Dal gennaio 2005 il Comitato Onu sui diritti del bambino esamina i rapporti che
gli Stati presentano sulle misure adottate in osservanza del Protocollo stesso.
Ciò costituisce uno stimolo per garantire maggiori livelli di tutela dei bambini.
Anche il Consiglio di Sicurezza sta lavorando sul problema e ha adottato già
alcune risoluzioni che hanno istituito un sistema di monitoraggio, per
individuare alcune categorie di gravi reati commessi nei confronti dei bambini,
ivi compreso l’arruolamento e l’utilizzo di bambini-soldato.
Da alcuni anni il Segretario generale dell’Onu, in attuazione della risoluzione
del Consiglio di Sicurezza n.1379, redige un rapporto annuale, in cui oltre a fare
il punto sulla questione individua gli eserciti governativi e le guerriglie
responsabili di violazioni. E’ evidente che l’essere presente nella lista dei
“cattivi” crea i presupposti per eventuali sanzioni ed è, quindi, un importante
strumento di deterrenza.
Il Consiglio di Sicurezza, si è anche espresso, con apposite risoluzioni, su
singoli episodi: per esempio, nel 2006 ha imposto il divieto di circolazione a un
leader di un movimento guerrigliero della Costa d’Avorio e il divieto di
circolazione e la confisca dei beni a dirigenti della Repubblica Democratica del
Congo che reclutavano ed utilizzavano i bambini-soldato (risoluzione 1698).
Organizzazioni Regionali
Ulteriori sforzi sono stati intrapresi anche da organizzazioni regionali. L’Unione
Africana ha invitato i paesi a essa aderenti a ratificare la Carta africana dei
diritti e del benessere dei bambini (entrata in vigore nel 1999). Questo
documento prevede la non partecipazione alle ostilità di bambini ed adolescenti
nonché l’impossibilità di reclutare i più piccoli.
L’Unione Europea ha adottato le “Linee Guida sui bambini e i conflitti armati”,
che sono state rese operative mediante il varo, nel 2006, di un’apposita
strategia. Nel medesimo anno l’UE si è dotata di una Check List per far sì che i
diritti dei bambini siano considerati nelle operazioni della Politica europea per
la sicurezza e la difesa.
Come conseguenza delle molteplici pressioni internazionale, soprattutto della
società civile, oltre la metà degli stati membri dell’Onu ha stabilito a 18 anni
l’età minima di arruolamento negli eserciti regolari. Questo lento e continuo
processo ha coinvolto anche le guerriglie. Alcune di esse d’intesa con le
Nazioni Unite hanno elaborato o stanno elaborando appositi piani d’azione,
finalizzati a definire un calendario di smobilitazione dei bambini. L’azione
intrapresa dall’Onu nei confronti delle guerriglie e dei movimenti di
liberazione, in alcuni casi, ha avuto successo.
Il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-moon ha evidenziato che alcuni piani di
azione che dovrebbero portare alla fine del reclutamento e dell’uso dei bambini
nei conflitti sono stati adottati da parte del Moro Islamic Liberation Front (Milf)
delle Filippine, dal Sudan People's Liberation Army/Movement (Spla) e dal
Partito Comunista Maoista Nepalese.
Il Segretario generale ha chiesto anche di considerare questo problema nei
processi ed accordi di pace, anche nella prospettiva del dopoguerra e della
ricostruzione.
Secondo il rapporto del Segretario Generale relativo all’anno scorso, nel 2009
nella Repubblica Democratica del Congo sono stati smobilitati circa 2.770
bambini, di cui un centinaio di bambine: tutti hanno avuto un aiuto temporaneo
in attesa di ritornare presso le famiglie.
Sempre nel 2009 in Sudan sono stati liberati 700 bambini-soldato, che
militavano nello SPLA e in altri gruppi di guerriglieri.
Da due anni nel Darfur opera sotto coordinamento Unicef un programma di
disarmo, smobilitazione e reinserimento (Ddr nell’acronimo in inglese Demobilization, Disarmament and Reintegration) basato su un piano d’azione
con alcuni movimenti armati, che ha portato al disarmo ed alla smobilitazione
di oltre 400 ragazzi.
In Repubblica Centrafricana un piano d’urgenza dell’Onu ha consentito la
smobilitazione di centinaia di minorenni che hanno avuto accesso a cure
immediate e si sono riuniti alle famiglie. Inoltre, è stato realizzato un sistema di
verifica che ha comportato il censimento di 240 bambini-soldato liberati da
diverse guerriglie.
Nello Sri Lanka, dalla fine del conflitto, nel novembre 2009, quasi 600 ragazzi
del movimento ribelle delle Tigri Tamil sono stati inviati in centri di
riadattamento, dove frequentano corsi di formazione professionale.
In Colombia, nel 2009, secondo l’Istituto colombiano di protezione della
famiglia, 218 bambini-soldato sono stati liberati dalle Farc e 74 dall’Eln.
Anche alcune leggi nazionali stanno cercando di cambiare la situazione.
Ad esempio nella Repubblica Democratica del Congo nuove norme prevedono
pene tra i 10 e i 20 anni di reclusione per chi recluti e utilizzi minorenni
nell’esercito, nella polizia e nei gruppi armati. Anche in Sudan, l’Spla ha vietato
il reclutamento dei giovani con meno di 18 anni.
Il recupero dei bambini-soldato
Il recupero dei bambini-soldato rappresenta l’aspetto più difficile per consentire
un futuro diverso a ragazzi e ragazze segnati da terribili esperienze. A seguito
della fine di vari conflitti nell’Africa sub-sahariana decine di migliaia di
bambini-soldato sono stati mandati a casa. Ma molto spesso questi bambini che
furono reclutati nei campi profughi non hanno famiglia, l’hanno persa oppure
hanno ucciso membri della propria comunità e per questo è impossibile per loro
tornare al villaggio di origine. L’Unicef e varie organizzazione non governative
aiutano i bambini ad inserirsi in strutture transitorie per un primo “adattamento
alla pace”, dove frequentano corsi di formazione professionale per avere nuove
opportunità occupazionali.
Non vanno sottovalutati i problemi psicologici: i ragazzi che hanno compiuto
atroci delitti rimangono segnati da queste esperienze per tutta la vita; il loro
recupero psicologico è quindi essenziale per una nuova vita. In molti paesi fra i
più poveri, in cui i professionisti sono pochissimi, sembra un obiettivo
irraggiungibile.
Per affrontare il problema, è stato superato l’approccio occidentale, che
privilegia terapie individuali, ma che a causa dei costi elevati ha scarsa
efficacia; inoltre il personale straniero non conosceva la cultura locale e la
terapia adottata non poteva essere mirata adeguatamente. Si è passati, pertanto,
alla formazione del personale in loco, sviluppando metodi di tipo comunitario.
Tali strategie hanno avuto buoni risultati in Ruanda, dove decine di migliaia di
persone sono state coinvolte in attività espressive (canti, balli, disegni) per
alleviare le sofferenze provocate dai tragici ricordi.
Durante i conflitti le strutture scolastiche sono state quelle più colpite, per cui
ricostruire è di vitale importanza.
Il ritorno sui banchi è di notevole rilevanza nel processo di recupero. Durante le
lezioni è possibile, oltretutto, informare i bambini sui pericoli rappresentati
dalle mine antipersona, sulle malattie più pericolose, eccetera.
Spesso i bambini-soldato sono circondati da diffidenza e odio, visto che come
battesimo del fuoco sono stati costretti spesso a uccidere nel loro stesso
villaggio. Difficoltà ulteriori riguardano il recupero delle ragazze rapite e
violentate dai soldati o dai ribelli. Secondo l’Unicef il tasso di partecipazione
delle giovani ai programmi di recupero è dell’8-15% e molte migliaia di
bambine restano escluse da ogni forma di assistenza. A volta i programmi
prevedono interventi solo per gli ex combattenti, escludendo chi è stata costretta
con la forza a seguire militari e ribelli.
In Liberia, per esempio, dove i programmi disarmo e recupero si sono conclusi
nel 2004. Solo 3.000 delle 11.000 bambine-soldato sono state registrate negli
appositi programmi, per cui molte ragazze, vittime incolpevoli, hanno dovuto
superare i grandi problemi sanitari, psicologici ed economici - talvolta con figli
a carico - senza l’aiuto di nessuno ed anzi dovendo affrontare pregiudizi ed
ostilità.
Uno dei principali problemi per la corretta applicazione e realizzazione dei
processi di disarmo e recupero è la mancanza di fondi. A differenza degli
interventi a breve termine che danno notevole visibilità, quelli a più lunga
scadenza non hanno gli stanziamenti necessari perché finita un’emergenza ne
subentra un’altra.
Nella Repubblica Democratica del Congo, ad esempio, la scarsa pianificazione,
i ritardi nella destinazione dei soldi e la cattiva gestione hanno comportato
l’esclusione di ben 14.000 bambini-soldato dai programmi.
Inoltre solo la fine del conflitto è garanzia che i piccoli una volta smobilitati
non siano nuovamente arruolati. Secondo Amnesty International, in Congo circa
la metà degli ex bambini-soldato che nella regione del Nord Kivu si erano
riuniti alle famiglie sarebbero stati nuovamente utilizzati dalle guerriglie.
Del resto, sottolinea Amnesty, “proprio la precedente esperienza nei gruppi
armati rende questi bambini reclute di grande valore e li espone a maggiori
rischi”.
La lotta all’impunità
La lotta all’impunità assume un carattere prioritario nell’azione di tutela
dell’infanzia. Nonostante alcune iniziative di contrasto “l’impunità resta la
regola”, ha affermato il Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki-moon. A suo
avviso i fattori che compromettono questa lotta sono “la mancanza di volontà
politica, la fragilità del quadro giuridico e dell’apparato giudiziario e l’assenza
di mezzi e di professionalità per condurre inchieste e processi”. E’ difficile
garantire la sicurezza dei testimoni, esposti a ritorsioni o vendette.
Negli anni sono stati fatti vari passi significativi. Per esempio, la violenza
contro i bambini rientra nelle competenza della Corte Penale Internazionale.
Nell’ottobre 2005 la Corte emise mandati di arresto nei confronti di Joseph
Kony e di altri capi dell’Lra. Il primo processo della Corte Penale
Internazionale, iniziato nel 2009, ha visto sul banco degli accusati Tomas
Lubanga, il capo di una formazione guerrigliera operante in Congo, arrestato
nel 2006. Lubanga deve rispondere di reclutamento e utilizzo di bambini con
meno di 15 anni.
Anche altri tribunali internazionali stanno svolgendo un ruolo significativo nel
portare davanti alla giustizia chi commette questi crimini, perseguibili in base al
diritto internazionale. Un’altra pietra miliare in questo lento ma fondamentale
processo è rappresentato dal procedimento avviato dal Tribunale Speciale per la
Sierra Leone contro Charles Taylor, ex presidente della Liberia considerato uno
dei massimi responsabili del conflitto che ha insanguinato per anni il suo paese
e la confinante Sierra Leone. Per la prima volta un capo di Stato deve
rispondere alla giustizia per aver arruolato bambini per la guerra.
Secondo i pubblici ministeri, i crimini contro l’umanità commessi in Sierra
Leone durante il conflitto, che fece almeno 200.000 vittime, non sarebbero stati
possibili senza le responsabilità diretta di Taylor. L’allora presidente liberiano si
rese colpevole di stragi ed abusi dei diritti umani armando e finanziando i ribelli
del Fronte unito rivoluzionario (Ruf).
Sempre nella Sierra Leone, la Camera d’Appello del predetto Tribunale
Speciale ha confermato nel 2009 le condanne per crimini contro l’umanità dei
capi ribelli del Ruf: Issa Sesay, Morris Kallon e Augustine Gbao. Inoltre, il
Tribunale Speciale ha condannato nel 2007 tre responsabili del Consiglio
Rivoluzionario delle Forze Armate. Per la prima volta chi si è macchiato
dell’arruolamento e dell’utilizzo dei minori tra le file di un esercito governativo
è stato imprigionato.
In Congo nel 2009 il governo di Kinshasa ha annunciato una politica di
“tolleranza zero” nei confronti dei responsabili di violazioni dei diritti umani. A
seguito di tale politica alcuni soldati ed ufficiali sono stati perseguiti dai
tribunali militari. Il capo dei ribelli Mai-Mai Gédéon Kyungu Mutanga è stato
condannato da un tribunale militare per crimini contro l’umanità.
La collaborazione del governo di Kinshasa con la Corte Penale Internazionale
ha consentito l’arresto di Germain Katanga, capo del Fronte di resistenza
patriottica dell'Ituri, e di Mathieu Ngudjolo Chui, ex capo del Fronte dei
nazionalisti, che addirittura è divenuto in seguito, a causa dell’assorbimento
delle milizie nell’esercito regolare, colonnello delle Forze armate. Entrambi i
capi guerriglieri saranno processati dalla Corte Penale Internazionale per
l’utilizzo di bambini-soldato, per stupro e per riduzione in schiavitù sessuale.
Ma la Corte non limita i suoi lavori a presunti responsabili materiali: è sotto
processo anche un importante esponente politico, l’ex vice presidente della
Repubblica Democratica del Congo Jean Pierre Bemba Gombo, attualmente
detenuto.
Di grande rilievo, l’arresto in Germania di un esponente e di un responsabile di
primo piano dei tanti crimini commessi nella zona del Kivu, nell’est del Congo:
Ignace Murwanashyaka e Straton Musoni, rispettivamente presidente e vicepresidente del Fronte di liberazione democratico del Ruanda (Fdlr).
Un notevole contributo alla lotta all’impunità è dato dalla legge tedesca,
australiana e belga che consentono l’arresto di coloro che reclutano o impiegano
minori di 15 anni, anche se i reati sono commessi all’estero.
Negli Stati Uniti il Child Soldiers Accountability Act definisce crimine federale
il reclutamento e l’utilizzo di soldati minori di 15 anni. Questi crimini sono
puniti severamente ed i responsabili di questi reati che si recano negli Usa
rischiano il carcere. E’ importante rilevare anche che i responsabili di crimini
così gravi non possono essere sottratti a un regolare processo e, quindi, amnistie
e intese che accordino l’impunità non dovrebbero essere possibili. Talvolta, per
avviare un processo di pacificazione e di fuoriuscita da sanguinosi conflitti il
primo passo è, invece, proprio l’eliminazione di ogni responsabilità da parte di
dirigenti politici e militari. Ad esempio, gli accordi che comportano la
confluenza dei guerriglieri nell’esercito regolare devono escludere chi si è
macchiato di gravi reati, in quanto non può esserci pace senza giustizia.
Nell’ambito delle responsabilità penali i bambini-soldato si trovano nel duplice
ruolo di vittime e carnefici.
Il diritto internazionale ha posto l’accento sulla tutela dei bambini, per cui la
Corte Penale Internazionale considera non punibili i minori di 18 anni, al
contrario di alcune leggi nazionali. La priorità è, comunque, quella di
perseguire i responsabili del loro reclutamento e il loro utilizzo nel conflitto.
La lotta all’impunità, nonostante alcuni esempi positivi, rimane una strada tutta
in salita. Nella Repubblica Democratica del Congo militari responsabili di
arruolamento di minori sono stati nominati ai vertici dell’esercito di Kinshasa.
E’ il caso di Bosco Ntaganda, nominato generale nel 2009, nonostante sul suo
capo pendesse un mandato di arresto da parte della Corte Penale Internazionale
per arruolamento e utilizzo di bambini-soldato. Un altro caso è rappresentato,
sempre in Congo, da Jean Pierre Biyoyo, nominato colonnello nonostante sia
stato condannato nel 2006 da un tribunale militare per il rapimento di bambini
finalizzato al reclutamento.
Nello Sri Lanka persone sospettate di aver commesso violazioni dei diritti
umani non sono state perseguite e hanno mantenuto incarichi governativi. Il
Rapporto 2010 di Amnesty International ha evidenziato i casi del Ministro
dell’integrazione nazionale, Vinayagamoorthy Muralitharan, e del Capo dei
ministri della provincia orientale ,Sivanesathurai Chandrakanthan, che
avrebbero rapito adolescenti per reclutarli, preso ostaggi, torturato ed ucciso
illegalmente civili sospettati di essere collegati alla ribellione Tamil. In tutti e
due i casi non sono state avviate indagini ufficiali. In Ciad all’inizio di
quest’anno il presidente Idriss Deby ha decretato un’amnistia per tutti i crimini
commessi dalla guerriglia.
Il Rappresentante Speciale del Segretario Generale dell’Onu per i bambini nei
conflitti armati, Radhika Coomaraswamy, ha auspicato che il Consiglio di
Sicurezza congeli i fondi, adotti l’embargo sulle armi nei confronti delle
organizzazioni responsabili e preveda la restrizione dei movimenti degli
individui sospettati di reclutare i bambini per le guerre. Queste elementari
misure sono rimaste, fino ad oggi, lettera morta.
Intanto Dahara, dopo pochi giorni, viene fatto prigioniero e si trova nella
prigione di Shahat, nell’est della Libia, insieme a tanti altri. Di suo cugino Hagar
non sa più niente. Vuole solo tornare a casa. A Idris, invece, hanno dato
un’uniforme nuova e un fucile pesante. Ha un nuovo comandante che non gli dà
fogli per disegnare. Invece Christiane non riesce a dormire, gli anni passati nella
foresta tornano nel silenzio della notte…