la risposta ai crac finanziari
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L'ACCESSO ALLA SCENA DEL CRIMINE: ASPETTI PRATICI E NORMATIVI (Milano, 19 giugno 2012) Relazione curata da: Valeria Recaneschi, Cristina Pugnoli, Francesca Narducci, Federico Mazzacuva e Federica Francica La Camera Penale di Milano, in occasione dell'attività di formazione specialistica, ha organizzato un convegno dal titolo “L'accesso alla scena del crimine: aspetti pratici e normativi”, tenutosi lo scorso 19 giugno, presso il salone Valente del Palazzo di via Freguglia n. 14. Il Convegno è stato presieduto e coordinato dall'Avv. Francesco Sbisà, il quale ha, sin da subito, evidenziato l'importanza dell'argomento oggetto dell'incontro sia per i suoi risvolti “accattivanti” sia, soprattutto, per la sua multidisciplinarità; esso, infatti, richiede la conoscenza di tematiche non solo giuridiche, ma anche tecnico-scientifiche. Si tratta di materie che sempre di più accompagnano la professione dell'avvocato, posto che la scena del crimine è il luogo ove è stato consumato il reato, perciò il luogo che contiene gli elementi materiali costitutivi di quest'ultimo. L'analisi della scena del crimine consente non solo di individuare la commissione del fatto penalmente rilevante, ma consente, altresì, di trovare le tracce del suo autore. Ogni traccia deve essere raccolta, conservata, analizzata ed interpretata. L'attività pratica, quindi, assume un rilievo importante al pari di qualsiasi ragionamento giuridico; ogni attività svolta sulla scena del crimine costituirà oggetto della notizia di reato al Pubblico Ministero, oltre che oggetto di trattazione nella fase dibattimentale del processo, che, per espresso dettato costituzionale, deve essere necessariamente giusto. Le indagini, anche se lontane dal dibattimento, devono essere svolte non solo in ottica accusatoria, ma anche a garanzia del futuro indagato e del futuro imputato. L'importanza del tema induce a porsi importanti interrogativi: primo tra tutti quello sulla sufficienza o meno della normativa vigente; sull'opportunità di adottare protocolli volti a pretendere il rispetto di certe regole, da parte di chiunque intervenga sulla scena del crimine; sulla necessità o meno di nominare un avvocato d'ufficio, sia in assenza di indagato sia per la persona offesa nell'ipotesi di reato contro ignoti, così da consentire un ulteriore presidio a garanzia delle esigenze anzidette. Ciò premesso, il moderatore cede la parola alla Prof.ssa Donatella Curtotti, considerata tra i maggiori esperti della materia ed autrice di numerosi ed importanti contributi scientifici. La relatrice inizia il suo intervento, evidenziando l'estrema importanza delle attività di indagine svolte nelle prime 48 ore del procedimento penale, posto che tutto ciò che viene compiuto in questo arco di tempo ha ricadute determinanti sulla decisione del giudice. Quando su uno stesso fatto intervengono sentenze che dicono tutto ed il contrario di tutto, pur basandosi sullo stesso impianto probatorio, significa che nel sistema si è verificata una disfunzione; ciò può avere gravi ricadute sulla vita dell'imputato e sulle persone coinvolte nella vicenda processuale. Le norme del codice di procedura penale non sembrano prestare degna attenzione a questo problema, sebbene sia pacifico che, come affermava lo stesso Carnelutti, gran parte dei dubbi che sorgono in ambito processuale non sono dubbi che riguardano il diritto, ma il fatto alla cui risoluzione la mera tecnica del diritto non può servire. Si è soliti ritenere che il contributo scientifico per eccellenza sia solo quello fornito dal consulente nel corso della fase dibattimentale; in realtà, la scienza offre il proprio contributo al diritto già dalla scena del crimine, anche se è innegabile la difficoltà di convivenza tra scienza e diritto per le loro inevitabili differenze ontologiche. La scienza osserva la realtà oggettivamente, giungendo a formulare dati attendibili; il diritto, invece, è fatto di categorie predefinite, che gli consentono di utilizzare le risultanze scientifiche se e solo se acquisite nel rispetto di regole probatorie predeterminate. Ciò nonostante, resta fermo il fatto che la scena del crimine rappresenta il luogo ove la scienza offre il suo maggiore apporto: raffinate conoscenze scientifiche sono al servizio del diritto, determinando il livello della qualità delle indagini ed incidendo, così sull'efficienza e sull'efficacia del sistema penale. Ad avviso di Jasanoff il diritto che interagisce con la scienza non è più pensato come norma, ma come sistema creativo, che utilizza e modifica le conoscenze scientifiche secondo le proprie esigenze, stabilendo, di volta in volta, con grande libertà, che cosa è, o cosa non è, scienza rilevante. Oggi, il mondo del diritto crea soluzioni normative che nelle norme non ci sono; al riguardo, due esempi rilevanti: il giudice o riporta pedissequamente in sentenza passi delle consulenze acquisite, in quanto “tranquillizzato” dalle stesse (cfr. caso Restivo); oppure, non acquisisce l'ennesima perizia, stante la contraddittorietà di quelle già acquisite, facendo da sé, posto che il giudice è sempre perito dei periti (cfr. caso Meredith Kercher). Resta fermo il fatto che scienza e diritto sono due mondi diversi: l'esperto scientifico afferma l'esistenza o meno di un indizio, il giurista valuta la rilevanza di quell'indizio ai fini giuridici. Tuttavia, diritto e scienza devono inevitabilmente convivere, perchè se il sistema giuridico non avesse la chance scientifica, perderebbe in partenza. Il rimedio è il contraddittorio: la scienza entra nel diritto sottoponendo gli esperti a contraddittorio, possibilmente, in confronto diretto tra loro; facendo partecipare i consulenti di parte alla formulazione dei quesiti; potenziando gli incidenti probatori; garantendo alla difesa di partecipare al contraddittorio di natura scientifica. Sulla scena del crimine, però, è inevitabile che la difesa sia assente, perchè ancora non c'è un soggetto indagato; da qui, la proposta della nomina di un difensore d'ufficio. L'analisi della scena del crimine è funzionale anche all'individuazione dell'autore del reato. Oggi è completamente superato il metodo che gli Americani erano soliti definire di “effetto trasporto”, in base al quale la prima pattuglia che interviene sul luogo può raccogliere in modo sommario le tracce, poi analizzate in laboratorio, sul presupposto che il vero risultato scientifico è dato dalle risultanze degli esami ivi svolti. Attualmente, la pattuglia che interviene sulla scena del crimine non segue più il cosiddetto “effetto trasporto”, ma cristallizza, blinda o, come si sul dire, “cintura” il luogo del reato, in attesa dell'intervento degli esperti, a cui competono gli accertamenti specialistici. Ciò risponde alla logica che il luogo del crimine offre uno scenario unico, non ripetibile, complesso, stante la diversa natura delle tracce presenti; si pensi, alle tracce cosiddette “occupazionali”, la cui presenza è fisiologicamente giustificata (es., abituali frequentatori del luogo ove è avvenuto il reato), oppure si pensi alle tracce “ingannevoli”, appositamente create dall'autore del fatto per depistare gli inquirenti (es. camminata all'indietro). Dunque, lo studio della scena del crimine è uno studio logico, analitico, complicato che necessita di un approccio culturale non approssimativo, ma competente e specifico. Sulla scena del crimine l'esperto applica la tecnologia con tutti i ritrovati che conosciamo ed interpreta ciò che rileva; a titolo esemplificativo, si pensi alla datazione della larva, attraverso cui è possibile comprendere quando è iniziato il processo di decomposizione oppure, si pensi, alla struttura di un nodo, che in base allo studio condotto da due studiosi olandesi, è in grado di indicare alcune importanti caratteristiche del suo autore, tra cui il sesso. Le indagini scientifiche, quindi, non sono così lontane dal dibattimento: bisogna superare il convincimento in forza del quale la vera prova scientifica è la consulenza resa nella fase dibattimentale. La scienza entra nel procedimento penale sin dalla scena del crimine: le tracce ivi rinvenute devono essere correttamente repertate; è, perciò, un errore pensare che le indagini scientifiche sono lontane dal dibattimento. Del resto, dalle risultanze delle indagini dipendono sia le richieste della Pubblica Accusa sia la scelta di eventuali riti alternativi da parte della difesa. La prova, quindi, si forma già nel corso delle indagini e nessun controllo avviene durante la sua formazione; a ciò deve, peraltro, aggiungersi che in questa fase, non essendo stato ancora individuato l'indagato, la prova si forma in assenza del difensore. Il Legislatore del codice di procedura penale non ha previsto come la scena del crimine possa essere importante per la definizione del processo, avendo, al riguardo, dettato soltanto l'art. 348 c.p.p., norma generica, e l'art. 354 c.p.p.; in particolare, in base a quest'ultima, la Polizia Giudiziaria accede alla scena del crimine fino a quando non interviene il Pubblico Ministero, che procederà secondo gli artt. 359 cp.p. o 360 c.p.p., ferma restando la possibilità di delega, ai sensi dell'art. 370 c.p.p., che, però, comporta il venir meno delle garanzie difensive (artt. 356 c.p.p., 357 c.p.p. e 366 c.p.p.). In realtà, l'opinione prevalente sembra condividere l'orientamento secondo cui la Polizia Giudiziaria compie semplici rilievi e non accertamenti, nel convincimento che le risultanze scientifiche sono solo quelle ottenute in laboratorio. Ragion per cui, nel 2009 è stato presentato il DDL Alfano al fine di introdurre nel codice di rito penale l'art. 370 bis. In ogni caso, un'escamotage per consentire la presenza del difensore sarebbe quella di delegare alla Polizia Giudiziaria l'ispezione, ai sensi degli artt. 244 ss. c.p.p.. In realtà, l'unico vero modo per garantire la correttezza delle indagini, non è tanto la presenza fisica dell'avvocato, quanto la presenza di protocolli che prevedano procedure operative di qualità, che devono essere necessariamente rispettate per ogni singola traccia (vd. Sent. App., caso Meredith). L'Avv. Francesco Sbisà ringrazia la Prof.ssa Curtotti e, d'accordo con quest'ultima, sottolinea l'importanza dei protocolli; al riguardo, invita alla lettura della sentenza pronunciata dalla Corte di Appello sul caso Meredith. Si tratta di una pronuncia che evidenzia il problema di questa materia, in quanto afferma che l'inosservanza delle procedure internazionali di sopralluogo e di repertazione genera l'inutilizzabilità delle conclusioni degli accertamenti, non essendo esclusa la possibile contaminazione dei reperti. Per i giudici di secondo grado, laddove sussista il sospetto di contaminazione, la Pubblica Accusa è tenuta a provare il rispetto dei protocolli; ciò dimostrato, spetterà all'imputato la prova dell'asserita contaminazione. Dunque, una scena del crimine gestita male può dar luogo a gravi conseguenze. Nessuna osservazione può essere trascurata sul luogo del reato; a titolo esemplificativo, è possibile considerare il noto caso dell'anziana donna trovata nella propria abitazione, deceduta di apparente morte naturale: sulle pareti della stanza, ove è stato rinvenuto il cadavere, vennero rilevate numerose piccole tracce ematiche; da qui, il dubbio di un possibile omicidio. Gli accertamenti, condotti sulle tracce ematiche e sul corpo della donna, hanno permesso di concludere che lo stato di decomposizione aveva generato le larve, le quali, trasformatesi in moscerini, si nutrivano del sangue della donna e volando, inevitabilmente, trasportavano la sostanza ematica. L'impiego di valutazioni scientifiche ha, nel caso di specie, permesso di dirimere ogni dubbio sull'eventuale sussistenza del fatto di reato. Ciò detto, il moderatore cede la parola al Prof. Francesco Donato, docente di tecniche investigative applicate presso l'Università di Bologna, chiamato ad illustrare nozioni di balistica forense, tema scientifico che fa sempre capo alle scienze forensi. Il relatore ribadisce l'importanza delle indagini scientifiche, il cui compito è quello di servire alle attività investigative. In particolare, la scienza balistica studia il moto dei proiettili, lanciati a distanza da un'arma e gli effetti lesivi che l'arma produce una volta raggiunto un determinato bersaglio. Questa materia ha due finalità prioritarie: l'individuazione dell'arma con cui viene commesso il reato e l'identificazione del suo utilizzatore. Tali accertamenti consentono di addivenire a risultati oggettivi. La balistica, inoltre, consente di ricostruire la traiettoria dei proiettili; si tratta, però, di accertamenti privi di riscontri inopinabili, in quanto rimessi ad interpretazioni soggettive. Nella materia della balistica sono rinvenibili tre ulteriori branche: la balistica interna, che studia la meccanica e, quindi, il funzionamento dell'arma; la balistica esterna, che studia il moto del proiettile; la balistica terminale, che studia gli effetti del proiettile sulla vittima. La balistica si occupa non solo di armi proprie, ma anche di armi improprie, cioè di quelle armi non costruite per finalità criminali (art. 585 c.p.); si pensi ad un bisturi o ad un coltello. La materia, inoltre, si occupa sia di armi dotate di capacità lesiva propria (nelle armi da fuoco la capacità lesiva dipende dalla capacità esplosiva dell'arma adoperata) sia di armi, la cui capacità lesiva non dipende direttamente dallo strumento utilizzato per colpire la vittima, ma dalla forza fisica del soggetto che agisce (cosiddette armi bianche). Le armi bianche si distinguono tra loro per le caratteristiche morfologiche dell'oggetto utilizzato (per esempio, tagliente, contundente etc.); le armi da fuoco si distinguono per potenza e per componente. Queste distinzioni sono importanti ai fini identificativi dell'arma; dal proiettile, infatti, è possibile risalire all'impronta balistica dell'arma che ha sparato. Anche il meccanismo dello sparo, non è sempre lo stesso, ma varia in base al tipo di arma utilizzata (automatica, semiautomatica etc.). Ogni arma ha la sua rigatura; infatti, anche se prodotta in catene di montaggio, il lavoro di tornio, compiuto sulla canna dell'arma, è fatto in modo individuale e ciò rende la rigatura specifica e singolare, così da far acquisire alla canna una propria identità. Per tale ragione la prova balistica è una prova certa. In linea di massima le armi a canna corta e rigata sono abilitate a sparare munizioni a proiettile unico; invece, le armi a canna lunga e liscia sono abilitate a sparare munizioni a proiettile multiplo. Nella prima tipologia di armi la rigatura serve a stabilizzare la traiettoria del proiettile; nelle seconde la struttura interna della canna ha una sorta di strozzatura (una sorta di imbuto), così da convogliare tutti i pallini della munizione e consentire il cosiddetto “effetto palla” che permette il superamento del coefficiente di aereodinamicità e cioè la resistenza dell'aria. Inoltre, nelle armi a canna rigata è sempre possibile l'identificazione dell'arma per le rigature che il proiettile ha subito con l'attraversamento della stessa; ciò non è possibile per le munizioni a palline, per le quali le uniche impronte rinvenibili sono quelle che restano sulla superficie del bossolo (percussore, estrattore, espulsore). Anche gli effetti lesivi sono diversi a seconda della tipologia di proiettile utilizzato: se il proiettile è unico, ci sarà un foro di ingresso provocato dal proiettile incandescente che lacera la cute e penetra nel sottocute; il proiettile può fuoriuscire ed, in tal caso, il corpo presenterà un foro d'uscita o può essere trattenuto (cd. fondo cieco). Nei casi di fondo cieco, a distanza di tempo dalla lesione, il foro di ingresso può può assumere aspetti, soprattutto per colorazione, molto simili a quelli tipici di lesioni inferte con altri tipi di armi (per esempio da taglio); perciò, in simili ipotesi, in sede autoptica è necessario procedere a prelievi che consentono di accertare la natura della lesione. Per valutare la distanza dell'arma vi sono criteri orientativi, come, ad esempio, l'affumicatura che il proiettile crea sulla cute; si tratta, però, di criteri da considerare unitamente ad altri fattori, in quanto da questi condizionati, poichè l'affumicatura varia a seconda che il colpo venga sparato all'aperto o in luogo chiuso. Per quanto, invece, riguarda la lesione da proiettile multiplo, la strozzatura della canna, di cui si è detto, rende la massa di pallini tendenzialmente compatta, così da creare un effetto “palla”. L'impatto della massa sul corpo della vittima consente di risalire alla distanza da cui è avvenuto lo sparo: maggiore è la distanza, minore sarà l'effetto palla e, quindi, più pallini saranno rinvenibili intorno alla massa lesiva che il proiettile multiplo ha provocato sulla cute della vittima. Riguardo agli elementi identificativi dell'arma è possibile asserire che l'esame di un proiettile non sparato consente di accertare la presenza di tracce passive di incameramento nell'arma: è quanto avvenuto nel caso Pacciani, nel cui orto era stato rinvenuto un proiettile, lo studio del quale ha permesso di accertare la compatibilità dei segni che la struttura interna dell'arma ha lascito su di esso. E', comunque, sempre importante che la repertazione avvenga in modo adeguato. Bisogna evitare che più residuati balistici vengano riposti in un'unica busta, perchè gli urti passivi, dovuti al trasporto, possono creare micro segni in grado di interferire e, quindi, confondere le impronte dell'arma. E' opportuno inserire ogni reperto in tunnel metallici rivestiti di ovatta, ma quest'ultima non deve essere riutilizzata, in quanto eventuali impurità o incrostrazioni potrebbero alterare l'integrità del reperto. Risparmi di spesa potrebbero essere effettuati seguendo l'esempio degli Americani, che, per conciliare l'esigenza di contenimento dei costi del materiale di conservazione con quella di garanzia dell'integrità del reperto e, quindi, di utilizzabilità della prova, si avvalgono di tunnel di recupero in acqua; quest'ultima, infatti, conserva il prodotto senza recargli alcuna alterazione, in tal modo le impronte restano intatte. Attualmente, il sistema di comparazione tra il reperto e l'arma è possibile solo se quest'ultima è a disposizione degli esperti, per la comparazione; oggi, l'identificazione è possibile solo se l'arma è stata in qualche modo recuperata (sistema IBIS). Di conseguenza, nell'ipotesi in cui l'arma non sia rinvenutata o catalogata, perchè, ad esempio, è stata usata per la prima volta, la comparazione tra arma e reperto non è possibile. Per ovviare a questi limiti, l'Università di Bologna ha studiato un progetto innovativo: il Progetto Diana (Date Investigation and Analysis by a new approach), quale nuovo approccio al sistema di acquisizione dell'impronta balistica, che consiste nell'incamerare le impronte di tutte le armi in commercio: i dati vengono inseriti in un terminale, così da schedare le armi presenti sull'intero territorio nazionale. In ordine all'identificazione del soggetto che ha sparato, due sono i metodi utilizzati: il guanto di paraffina (test di Gonzales), che può essere praticato anche a distanza di tempo dallo sparo, perchè sfrutta il calore delle paraffina spalmata su entrambe le mani ed il prelievo tramite stub, che può essere praticato a poche ore dallo sparo, perchè le particelle da questi rilasciate possono essere lavate o, comunque, possono disperdersi in breve tempo. Anche nel caso di prelievo di indumenti, per l'esame delle particelle, è importante che questi siano repertati in modo adeguato così da evitare possibili contaminazioni. Le due metodiche costituiscono accertamenti irripetibili, perciò è necessario procedere in ossequio a quanto previsto dall'art. 360 c.p.p.; tuttavia, per quanto concerne il metodo stub, c'è chi sostiene che, una volta effettuato il prelievo, l'accertamento può essere ripetuto, ma, in ogni caso, il prelievo è unico. Entrambi i metodi hanno una valenza solo orientativa: non si può chiedere alla scienza ciò che la scienza non può dare. L'Avv. Sbisà ringrazia il relatore e presente il Dott. Rosa, responsabile del Nucleo Investigazioni Scientifiche della Polizia Municipale di Milano e l'Agente Riva, membro della Squadra Sopralluoghi Giudiziari di detto Nucleo. Il Dott. De Rosa riferisce in merito alla nascita del Nucleo, di cui è responsabile: esso ha origine dalla riorganizzazione e razionalizzazione dell'attività scientifica svolta da nuclei già appartenenti alla Polizia Municipale; nasce cinque anni fa e, nei primi due anni, ha operato a livello sperimentale. Esso si è avvalso di un supporto formativo adeguato oltre che di strutture tecnologiche funzionali al proprio obiettivo. Lo scopo del Nucleo è quello di perseguire e reprimere i reati della strada, in particolare l'omissione di soccorso. Quest'ultimo è ritenuto dagli Agenti del Nucleo un reato “spia”, in quanto, dietro ad esso, si nascondono micro-macro reati: si pensi, a titolo esemplificativo, a chi, per problemi economici, non è assicurato o si avvale di tagliandi assicurativi contraffatti; a chi guida in stato di ebbrezza o sotto effetto di stupefacenti o con patente sospesa; agli stranieri irregolarmente soggiornanti sul territorio nazionale. Si tratta di soggetti che non sono certamente professionisti del crimine, quindi, tendenzialmente lasciano sempre qualche traccia di sé. Sul luogo del commesso reato interviene la Squadra “accertamenti sopralluoghi giudiziari”, costituita da specialisti del sopralluogo giudiziario. Il Nucleo, però, si occupa anche di accertamenti su veicoli contraffatti e falsi documentali. I risultati che questo è riuscito a realizzare sono molto incoraggianti. Solo a Milano esiste un Nucleo specializzato che applica la scienza criminalistica all'infortunistica stradale: si tratta di una novità assoluta e cioè un servizio altamente specializzato a tutela del cittadino. Il Nucleo applica gli stessi protocolli della Polizia Scientifica. Il Dott. Rosa cede la parola all'Agente Edoardo Riva, quale componente della Squadra Accertamenti sopralluoghi giudiziari, che interviene dopo la pattuglia che ha “congelato” la scena del crimine. L'Agente Riva fa notare che ogni individuo è una potenziale vittima della strada, perciò non è pensabile che i reati della strada possano essere considerati reati di serie “B”. In Europa vige una cultura diversa: in Paesi come il Belgio o il canton Ticino, ad esempio, esiste un personale specializzato per il crimine stradale. I Protocolli sono un valido ed efficace strumento per gli operatori che intervengono sulla scena del crimine, ma questi devono sempre essere pensati e formulati tenendo conto della realtà. La regola, ad esempio, dettata da alcuni protocolli, secondo cui è doveroso congelare la scena del crimine ed accertare l'identità di chiunque entra nel luogo del reato e le ragioni dell'accesso, se da un lato è prevista per evitare possibili contaminazioni, dall'altro deve tener conto del fatto che disastri di notevoli dimensioni e particolare gravità, comporta l'intervento di molteplici operatori. Ciò inevitabilmente pregiudica il rispetto del protocollo, che, in America, ha l'effetto di produrre l'inutilizzabilità di quanto accertato. Tuttavia, è anche vero che in America esistono più forze di Polizia, inoltre l'ordinamento americano contempla una figura che in Italia non è prevista: il Responsabile della scena del crimine, il cui compito è quello di coordinare e controllare tutto ciò che avviene sul luogo del reato. Ci sono situazioni, però, che per dimensioni e gravità del crimine non consentono di escludere in modo rigoroso possibili contaminazioni; in siffatte ipotesi gli sforzi degli operatori devono essere tesi a ridurre al minimo ogni eventuale pericolo di contaminazione. Il Nucleo ha previsto un Protocollo interno, con il quale ha dettato alcune regole, a cui ogni operatore è tenuto ad attenersi, tra cui: preservare ogni traccia; evitare di essere frettolosi e procedere in modo automatico fino all'intervento della scientifica; individuare un responsabile della scena del crimine; circoscrivere il lugo del reato possibilmente con doppio anello ed utilizzando, come punti di appoggio, solo strutture fisse; non toccare e non spostare nulla e, solo se indispensabile, farlo proteggendosi le mani; annotare ogni spostamento ed ogni possibile alterazione; proteggere l'area evitando che vengano in essa immessi o spostati oggetti; sospendere le attività di sopralluogo solo in caso di pericolo; non restare soli per evitare di essere facilmente contestati da pretestuosi attacchi difensivi. Un tempo si riteneva che il compito di ogni buon poliziotto fosse quello di portare ordine nel caos. La scena del crimine è una forma di comunicazione complessa tra chi ha commesso il crimine e l'investigatore che interviene; per cui, oggi, è buon poliziotto chi cerca di cogliere nella scena del crimine tutto ciò che essa è in grado di dirgli. Inoltre, un Protocollo è da ritenersi razionale se permette, concretamente, di cercare e trovare le fonti di prova: bisogna sempre tenere presente il fine della procedura e non la procedura in sé. Edmond Locard ha formulato il principio dell'interscambio, secondo cui ogni contatto lascia una traccia: è su questa base che deve trarre origine sia l'attività di indagine sia i relativi protocolli.