la risposta ai crac finanziari

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la risposta ai crac finanziari
L'ACCESSO ALLA SCENA DEL CRIMINE: ASPETTI PRATICI E NORMATIVI
(Milano, 19 giugno 2012)
Relazione curata da:
Valeria Recaneschi, Cristina Pugnoli, Francesca Narducci,
Federico Mazzacuva e Federica Francica
La Camera Penale di Milano, in occasione dell'attività di formazione specialistica,
ha organizzato un convegno dal titolo “L'accesso alla scena del crimine: aspetti pratici e
normativi”, tenutosi lo scorso 19 giugno, presso il salone Valente del Palazzo di via
Freguglia n. 14.
Il Convegno è stato presieduto e coordinato dall'Avv. Francesco Sbisà, il quale ha,
sin da subito, evidenziato l'importanza dell'argomento oggetto dell'incontro sia per i suoi
risvolti “accattivanti” sia, soprattutto, per la sua multidisciplinarità; esso, infatti, richiede
la conoscenza di tematiche non solo giuridiche, ma anche tecnico-scientifiche.
Si tratta di materie che sempre di più accompagnano la professione dell'avvocato,
posto che la scena del crimine è il luogo ove è stato consumato il reato, perciò il luogo
che contiene gli elementi materiali costitutivi di quest'ultimo.
L'analisi della scena del crimine consente non solo di individuare la commissione
del fatto penalmente rilevante, ma consente, altresì, di trovare le tracce del suo autore.
Ogni traccia deve essere raccolta, conservata, analizzata ed interpretata.
L'attività pratica, quindi, assume un rilievo importante al pari di qualsiasi
ragionamento giuridico; ogni attività svolta sulla scena del crimine costituirà oggetto
della notizia di reato al Pubblico Ministero, oltre che oggetto di trattazione nella fase
dibattimentale del processo, che, per espresso dettato costituzionale, deve essere
necessariamente giusto.
Le indagini, anche se lontane dal dibattimento, devono essere svolte non solo in
ottica accusatoria, ma anche a garanzia del futuro indagato e del futuro imputato.
L'importanza del tema induce a porsi importanti interrogativi: primo tra tutti
quello sulla sufficienza o meno della normativa vigente; sull'opportunità di adottare
protocolli volti a pretendere il rispetto di certe regole, da parte di chiunque intervenga
sulla scena del crimine; sulla necessità o meno di nominare un avvocato d'ufficio, sia in
assenza di indagato sia per la persona offesa nell'ipotesi di reato contro ignoti, così da
consentire un ulteriore presidio a garanzia delle esigenze anzidette.
Ciò premesso, il moderatore cede la parola alla Prof.ssa Donatella Curtotti,
considerata tra i maggiori esperti della materia ed autrice di numerosi ed importanti
contributi scientifici.
La relatrice inizia il suo intervento, evidenziando l'estrema importanza delle
attività di indagine svolte nelle prime 48 ore del procedimento penale, posto che tutto ciò
che viene compiuto in questo arco di tempo ha ricadute determinanti sulla decisione del
giudice.
Quando su uno stesso fatto intervengono sentenze che dicono tutto ed il contrario
di tutto, pur basandosi sullo stesso impianto probatorio, significa che nel sistema si è
verificata una disfunzione; ciò può avere gravi ricadute sulla vita dell'imputato e sulle
persone coinvolte nella vicenda processuale.
Le norme del codice di procedura penale non sembrano prestare degna attenzione
a questo problema, sebbene sia pacifico che, come affermava lo stesso Carnelutti, gran
parte dei dubbi che sorgono in ambito processuale non sono dubbi che riguardano il
diritto, ma il fatto alla cui risoluzione la mera tecnica del diritto non può servire.
Si è soliti ritenere che il contributo scientifico per eccellenza sia solo quello fornito
dal consulente nel corso della fase dibattimentale; in realtà, la scienza offre il proprio
contributo al diritto già dalla scena del crimine, anche se è innegabile la difficoltà di
convivenza tra scienza e diritto per le loro inevitabili differenze ontologiche.
La scienza osserva la realtà oggettivamente, giungendo a formulare dati attendibili;
il diritto, invece, è fatto di categorie predefinite, che gli consentono di utilizzare le
risultanze scientifiche se e solo se acquisite nel rispetto di regole probatorie
predeterminate.
Ciò nonostante, resta fermo il fatto che la scena del crimine rappresenta il luogo
ove la scienza offre il suo maggiore apporto: raffinate conoscenze scientifiche sono al
servizio del diritto, determinando il livello della qualità delle indagini ed incidendo, così
sull'efficienza e sull'efficacia del sistema penale.
Ad avviso di Jasanoff il diritto che interagisce con la scienza non è più pensato
come norma, ma come sistema creativo, che utilizza e modifica le conoscenze scientifiche
secondo le proprie esigenze, stabilendo, di volta in volta, con grande libertà, che cosa è, o
cosa non è, scienza rilevante.
Oggi, il mondo del diritto crea soluzioni normative che nelle norme non ci sono; al
riguardo, due esempi rilevanti: il giudice o riporta pedissequamente in sentenza passi
delle consulenze acquisite, in quanto “tranquillizzato” dalle stesse (cfr. caso Restivo);
oppure, non acquisisce l'ennesima perizia, stante la contraddittorietà di quelle già
acquisite, facendo da sé, posto che il giudice è sempre perito dei periti (cfr. caso Meredith
Kercher).
Resta fermo il fatto che scienza e diritto sono due mondi diversi: l'esperto
scientifico afferma l'esistenza o meno di un indizio, il giurista valuta la rilevanza di
quell'indizio ai fini giuridici.
Tuttavia, diritto e scienza devono inevitabilmente convivere, perchè se il sistema
giuridico non avesse la chance scientifica, perderebbe in partenza.
Il rimedio è il contraddittorio: la scienza entra nel diritto sottoponendo gli esperti a
contraddittorio, possibilmente, in confronto diretto tra loro; facendo partecipare i
consulenti di parte alla formulazione dei quesiti; potenziando gli incidenti probatori;
garantendo alla difesa di partecipare al contraddittorio di natura scientifica.
Sulla scena del crimine, però, è inevitabile che la difesa sia assente, perchè ancora
non c'è un soggetto indagato; da qui, la proposta della nomina di un difensore d'ufficio.
L'analisi della scena del crimine è funzionale anche all'individuazione dell'autore
del reato.
Oggi è completamente superato il metodo che gli Americani erano soliti definire di
“effetto trasporto”, in base al quale la prima pattuglia che interviene sul luogo può
raccogliere in modo sommario le tracce, poi analizzate in laboratorio, sul presupposto
che il vero risultato scientifico è dato dalle risultanze degli esami ivi svolti.
Attualmente, la pattuglia che interviene sulla scena del crimine non segue più il
cosiddetto “effetto trasporto”, ma cristallizza, blinda o, come si sul dire, “cintura” il luogo
del reato, in attesa dell'intervento degli esperti, a cui competono gli accertamenti
specialistici.
Ciò risponde alla logica che il luogo del crimine offre uno scenario unico, non
ripetibile, complesso, stante la diversa natura delle tracce presenti; si pensi, alle tracce
cosiddette “occupazionali”, la cui presenza è fisiologicamente giustificata (es., abituali
frequentatori del luogo ove è avvenuto il reato), oppure si pensi alle tracce “ingannevoli”,
appositamente create dall'autore del fatto per depistare gli inquirenti (es. camminata
all'indietro).
Dunque, lo studio della scena del crimine è uno studio logico, analitico,
complicato che necessita di un approccio culturale non approssimativo, ma competente e
specifico.
Sulla scena del crimine l'esperto applica la tecnologia con tutti i ritrovati che
conosciamo ed interpreta ciò che rileva; a titolo esemplificativo, si pensi alla datazione
della larva, attraverso cui è possibile comprendere quando è iniziato il processo di
decomposizione oppure, si pensi, alla struttura di un nodo, che in base allo studio
condotto da due studiosi olandesi, è in grado di indicare alcune importanti
caratteristiche del suo autore, tra cui il sesso.
Le indagini scientifiche, quindi, non sono così lontane dal dibattimento: bisogna
superare il convincimento in forza del quale la vera prova scientifica è la consulenza resa
nella fase dibattimentale.
La scienza entra nel procedimento penale sin dalla scena del crimine: le tracce ivi
rinvenute devono essere correttamente repertate; è, perciò, un errore pensare che le
indagini scientifiche sono lontane dal dibattimento.
Del resto, dalle risultanze delle indagini dipendono sia le richieste della Pubblica
Accusa sia la scelta di eventuali riti alternativi da parte della difesa.
La prova, quindi, si forma già nel corso delle indagini e nessun controllo avviene
durante la sua formazione; a ciò deve, peraltro, aggiungersi che in questa fase, non
essendo stato ancora individuato l'indagato, la prova si forma in assenza del difensore.
Il Legislatore del codice di procedura penale non ha previsto come la scena del
crimine possa essere importante per la definizione del processo, avendo, al riguardo,
dettato soltanto l'art. 348 c.p.p., norma generica, e l'art. 354 c.p.p.; in particolare, in
base a quest'ultima, la Polizia Giudiziaria accede alla scena del crimine fino a quando
non interviene il Pubblico Ministero, che procederà secondo gli artt. 359 cp.p. o 360
c.p.p., ferma restando la possibilità di delega, ai sensi dell'art. 370 c.p.p., che, però,
comporta il venir meno delle garanzie difensive (artt. 356 c.p.p., 357 c.p.p. e 366 c.p.p.).
In realtà, l'opinione prevalente sembra condividere l'orientamento secondo cui la
Polizia Giudiziaria compie semplici rilievi e non accertamenti, nel convincimento che le
risultanze scientifiche sono solo quelle ottenute in laboratorio.
Ragion per cui, nel 2009 è stato presentato il DDL Alfano al fine di introdurre nel
codice di rito penale l'art. 370 bis.
In ogni caso, un'escamotage per consentire la presenza del difensore sarebbe
quella di delegare alla Polizia Giudiziaria l'ispezione, ai sensi degli artt. 244 ss. c.p.p..
In realtà, l'unico vero modo per garantire la correttezza delle indagini, non è tanto
la presenza fisica dell'avvocato, quanto la presenza di protocolli che prevedano procedure
operative di qualità, che devono essere necessariamente rispettate per ogni singola
traccia (vd. Sent. App., caso Meredith).
L'Avv. Francesco Sbisà ringrazia la Prof.ssa Curtotti e, d'accordo con
quest'ultima, sottolinea l'importanza dei protocolli; al riguardo, invita alla lettura della
sentenza pronunciata dalla Corte di Appello sul caso Meredith. Si tratta di una
pronuncia che evidenzia il problema di questa materia, in quanto afferma che
l'inosservanza delle procedure internazionali di sopralluogo e di repertazione genera
l'inutilizzabilità delle conclusioni degli accertamenti, non essendo esclusa la possibile
contaminazione dei reperti. Per i giudici di secondo grado, laddove sussista il sospetto di
contaminazione, la Pubblica Accusa è tenuta a provare il rispetto dei protocolli; ciò
dimostrato, spetterà all'imputato la prova dell'asserita contaminazione.
Dunque, una scena del crimine gestita male può dar luogo a gravi conseguenze.
Nessuna osservazione può essere trascurata sul luogo del reato; a titolo
esemplificativo, è possibile considerare il noto caso dell'anziana donna trovata nella
propria abitazione, deceduta di apparente morte naturale: sulle pareti della stanza, ove è
stato rinvenuto il cadavere, vennero rilevate numerose piccole tracce ematiche; da qui, il
dubbio di un possibile omicidio. Gli accertamenti, condotti sulle tracce ematiche e sul
corpo della donna, hanno permesso di concludere che lo stato di decomposizione aveva
generato le larve, le quali, trasformatesi in moscerini, si nutrivano del sangue della
donna e volando, inevitabilmente, trasportavano la sostanza ematica.
L'impiego di valutazioni scientifiche ha, nel caso di specie, permesso di dirimere
ogni dubbio sull'eventuale sussistenza del fatto di reato.
Ciò detto, il moderatore cede la parola al Prof. Francesco Donato, docente di
tecniche
investigative applicate presso l'Università di Bologna, chiamato ad illustrare
nozioni di balistica forense, tema scientifico che fa sempre capo alle scienze forensi.
Il relatore ribadisce l'importanza delle indagini scientifiche, il cui compito è quello
di servire alle attività investigative.
In particolare, la scienza balistica studia il moto dei proiettili, lanciati a distanza
da un'arma e gli effetti lesivi che l'arma produce una volta raggiunto un determinato
bersaglio.
Questa materia ha due finalità prioritarie: l'individuazione dell'arma con cui viene
commesso il reato e l'identificazione del suo utilizzatore.
Tali accertamenti consentono di addivenire a risultati oggettivi.
La balistica, inoltre, consente di ricostruire la traiettoria dei proiettili; si tratta,
però, di accertamenti privi di riscontri inopinabili, in quanto rimessi ad interpretazioni
soggettive.
Nella materia della balistica sono rinvenibili tre ulteriori branche: la balistica
interna, che studia la meccanica e, quindi, il funzionamento dell'arma; la balistica
esterna, che studia il moto del proiettile; la balistica terminale, che studia gli effetti del
proiettile sulla vittima.
La balistica si occupa non solo di armi proprie, ma anche di armi improprie, cioè
di quelle armi non costruite per finalità criminali (art. 585 c.p.); si pensi ad un bisturi o
ad un coltello.
La materia, inoltre, si occupa sia di armi dotate di capacità lesiva propria (nelle
armi da fuoco la capacità lesiva dipende dalla capacità esplosiva dell'arma adoperata) sia
di armi, la cui capacità lesiva non dipende direttamente dallo strumento utilizzato per
colpire la vittima, ma dalla forza fisica del soggetto che agisce (cosiddette armi bianche).
Le armi bianche si distinguono tra loro per le caratteristiche morfologiche
dell'oggetto utilizzato (per esempio, tagliente, contundente etc.); le armi da fuoco si
distinguono per potenza e per componente.
Queste distinzioni sono importanti ai fini identificativi dell'arma; dal proiettile,
infatti, è possibile risalire all'impronta balistica dell'arma che ha sparato.
Anche il meccanismo dello sparo, non è sempre lo stesso, ma varia in base al tipo
di arma utilizzata (automatica, semiautomatica etc.).
Ogni arma ha la sua rigatura; infatti, anche se prodotta in catene di montaggio, il
lavoro di tornio, compiuto sulla canna dell'arma, è fatto in modo individuale e ciò rende
la rigatura specifica e singolare, così da far acquisire alla canna una propria identità.
Per tale ragione la prova balistica è una prova certa.
In linea di massima le armi a canna corta e rigata sono abilitate a sparare
munizioni a proiettile unico; invece, le armi a canna lunga e liscia sono abilitate a
sparare munizioni a proiettile multiplo. Nella prima tipologia di armi la rigatura serve a
stabilizzare la traiettoria del proiettile; nelle seconde la struttura interna della canna ha
una sorta di strozzatura (una sorta di imbuto), così da convogliare tutti i pallini della
munizione e consentire il cosiddetto “effetto palla” che permette il superamento del
coefficiente di aereodinamicità e cioè la resistenza dell'aria.
Inoltre, nelle armi a canna rigata è sempre possibile l'identificazione dell'arma per
le rigature che il proiettile ha subito con l'attraversamento della stessa; ciò non è
possibile per le munizioni a palline, per le quali le uniche impronte rinvenibili sono quelle
che restano sulla superficie del bossolo (percussore, estrattore, espulsore).
Anche gli effetti lesivi sono diversi a seconda della tipologia di proiettile utilizzato:
se il proiettile è unico, ci sarà un foro di ingresso provocato dal proiettile incandescente
che lacera la cute e penetra nel sottocute; il proiettile può fuoriuscire ed, in tal caso, il
corpo presenterà un foro d'uscita o può essere trattenuto (cd. fondo cieco).
Nei casi di fondo cieco, a distanza di tempo dalla lesione, il foro di ingresso può
può assumere aspetti, soprattutto per colorazione, molto simili a quelli tipici di lesioni
inferte con altri tipi di armi (per esempio da taglio); perciò, in simili ipotesi, in sede
autoptica è necessario procedere a prelievi che consentono di accertare la natura della
lesione.
Per valutare la distanza dell'arma vi sono criteri orientativi, come, ad esempio,
l'affumicatura che il proiettile crea sulla cute; si tratta, però, di criteri da considerare
unitamente ad altri fattori, in quanto da questi condizionati, poichè l'affumicatura varia a
seconda che il colpo venga sparato all'aperto o in luogo chiuso.
Per quanto, invece, riguarda la lesione da proiettile multiplo, la strozzatura della
canna, di cui si è detto, rende la massa di pallini tendenzialmente compatta, così da
creare un effetto “palla”. L'impatto della massa sul corpo della vittima consente di risalire
alla distanza da cui è avvenuto lo sparo: maggiore è la distanza, minore sarà l'effetto
palla e, quindi, più pallini saranno rinvenibili intorno alla massa lesiva che il proiettile
multiplo ha provocato sulla cute della vittima.
Riguardo agli elementi identificativi dell'arma è possibile asserire che l'esame di un
proiettile non sparato consente di accertare la presenza di tracce passive di
incameramento nell'arma: è quanto avvenuto nel caso Pacciani, nel cui orto era stato
rinvenuto un proiettile, lo studio del quale ha permesso di accertare la compatibilità dei
segni che la struttura interna dell'arma ha lascito su di esso.
E', comunque, sempre importante che la repertazione avvenga in modo adeguato.
Bisogna evitare che più residuati balistici vengano riposti in un'unica busta,
perchè gli urti passivi, dovuti al trasporto, possono creare micro segni in grado di
interferire e, quindi, confondere le impronte dell'arma. E' opportuno inserire ogni reperto
in tunnel metallici rivestiti di ovatta, ma quest'ultima non deve essere riutilizzata, in
quanto eventuali impurità o incrostrazioni potrebbero alterare l'integrità del reperto.
Risparmi di spesa potrebbero essere effettuati seguendo l'esempio degli Americani,
che, per conciliare l'esigenza di contenimento dei costi del materiale di conservazione con
quella di garanzia dell'integrità del reperto e, quindi, di utilizzabilità della prova, si
avvalgono di tunnel di recupero in acqua; quest'ultima, infatti, conserva il prodotto senza
recargli alcuna alterazione, in tal modo le impronte restano intatte.
Attualmente, il sistema di comparazione tra il reperto e l'arma è possibile solo se
quest'ultima è a disposizione degli esperti, per la comparazione; oggi, l'identificazione è
possibile solo se l'arma è stata in qualche modo recuperata (sistema IBIS).
Di conseguenza, nell'ipotesi in cui l'arma non sia rinvenutata o catalogata, perchè,
ad esempio, è stata usata per la prima volta, la comparazione tra arma e reperto non è
possibile.
Per ovviare a questi limiti, l'Università di Bologna ha studiato un progetto
innovativo: il Progetto Diana (Date Investigation and Analysis by a new approach), quale
nuovo approccio al sistema di acquisizione dell'impronta balistica, che consiste
nell'incamerare le impronte di tutte le armi in commercio: i dati vengono inseriti in un
terminale, così da schedare le armi presenti sull'intero territorio nazionale.
In ordine all'identificazione del soggetto che ha sparato, due sono i metodi
utilizzati: il guanto di paraffina (test di Gonzales), che può essere praticato anche a
distanza di tempo dallo sparo, perchè sfrutta il calore delle paraffina spalmata su
entrambe le mani ed il prelievo tramite stub, che può essere praticato a poche ore dallo
sparo, perchè le particelle da questi rilasciate possono essere lavate o, comunque,
possono disperdersi in breve tempo.
Anche nel caso di prelievo di indumenti, per l'esame delle particelle, è importante
che questi siano repertati in modo adeguato così da evitare possibili contaminazioni.
Le due metodiche costituiscono accertamenti irripetibili, perciò è necessario
procedere in ossequio a quanto previsto dall'art. 360 c.p.p.; tuttavia, per quanto
concerne il metodo stub, c'è chi sostiene che, una volta effettuato il prelievo,
l'accertamento può essere ripetuto, ma, in ogni caso, il prelievo è unico.
Entrambi i metodi hanno una valenza solo orientativa: non si può chiedere alla
scienza ciò che la scienza non può dare.
L'Avv. Sbisà ringrazia il relatore e presente il Dott. Rosa, responsabile del Nucleo
Investigazioni Scientifiche della Polizia Municipale di Milano e l'Agente Riva, membro
della Squadra Sopralluoghi Giudiziari di detto Nucleo.
Il Dott. De Rosa riferisce in merito alla nascita del Nucleo, di cui è responsabile:
esso ha origine dalla riorganizzazione e razionalizzazione dell'attività scientifica svolta da
nuclei già appartenenti alla Polizia Municipale; nasce cinque anni fa e, nei primi due
anni, ha operato a livello sperimentale.
Esso si è avvalso di un supporto formativo adeguato oltre che di strutture
tecnologiche funzionali al proprio obiettivo.
Lo scopo del Nucleo è quello di perseguire e reprimere i reati della strada, in
particolare l'omissione di soccorso. Quest'ultimo è ritenuto dagli Agenti del Nucleo un
reato “spia”, in quanto, dietro ad esso, si nascondono micro-macro reati: si pensi, a titolo
esemplificativo, a chi, per problemi economici, non è assicurato o si avvale di tagliandi
assicurativi contraffatti; a chi guida in stato di ebbrezza o sotto effetto di stupefacenti o
con patente sospesa; agli stranieri irregolarmente soggiornanti sul territorio nazionale.
Si tratta di soggetti che non sono certamente professionisti del crimine, quindi,
tendenzialmente lasciano sempre qualche traccia di sé.
Sul luogo del commesso reato interviene la Squadra “accertamenti sopralluoghi
giudiziari”, costituita da specialisti del sopralluogo giudiziario.
Il Nucleo, però, si occupa anche di accertamenti su veicoli contraffatti e falsi
documentali.
I risultati che questo è riuscito a realizzare sono molto incoraggianti.
Solo a Milano esiste un Nucleo specializzato che applica la scienza criminalistica
all'infortunistica stradale: si tratta di una novità assoluta e cioè un servizio altamente
specializzato a tutela del cittadino.
Il Nucleo applica gli stessi protocolli della Polizia Scientifica.
Il Dott. Rosa cede la parola all'Agente Edoardo Riva, quale componente della
Squadra Accertamenti sopralluoghi giudiziari, che interviene dopo la pattuglia che ha
“congelato” la scena del crimine.
L'Agente Riva fa notare che ogni individuo è una potenziale vittima della strada,
perciò non è pensabile che i reati della strada possano essere considerati reati di serie
“B”.
In Europa vige una cultura diversa: in Paesi come il Belgio o il canton Ticino, ad
esempio, esiste un personale specializzato per il crimine stradale.
I Protocolli sono un valido ed efficace strumento per gli operatori che intervengono
sulla scena del crimine, ma questi devono sempre essere pensati e formulati tenendo
conto della realtà.
La regola, ad esempio, dettata da alcuni protocolli, secondo cui è doveroso
congelare la scena del crimine ed accertare l'identità di chiunque entra nel luogo del
reato e le ragioni dell'accesso, se da un lato è prevista per evitare possibili
contaminazioni, dall'altro deve tener conto del fatto che disastri di notevoli dimensioni e
particolare gravità, comporta l'intervento di molteplici operatori.
Ciò inevitabilmente pregiudica il rispetto del protocollo, che, in America, ha
l'effetto di produrre l'inutilizzabilità di quanto accertato.
Tuttavia, è anche vero che in America esistono più forze di Polizia, inoltre
l'ordinamento americano contempla una figura che in Italia non è prevista: il
Responsabile della scena del crimine, il cui compito è quello di coordinare e controllare
tutto ciò che avviene sul luogo del reato.
Ci sono situazioni, però, che per dimensioni e gravità del crimine non consentono
di escludere in modo rigoroso possibili contaminazioni; in siffatte ipotesi gli sforzi degli
operatori
devono
essere
tesi
a ridurre
al
minimo
ogni
eventuale
pericolo di
contaminazione.
Il Nucleo ha previsto un Protocollo interno, con il quale ha dettato alcune regole, a
cui ogni operatore è tenuto ad attenersi, tra cui: preservare ogni traccia; evitare di essere
frettolosi e procedere in modo automatico fino all'intervento della scientifica; individuare
un responsabile della scena del crimine; circoscrivere il lugo del reato possibilmente con
doppio anello ed utilizzando, come punti di appoggio, solo strutture fisse; non toccare e
non spostare nulla e, solo se indispensabile, farlo proteggendosi le mani; annotare ogni
spostamento ed ogni possibile alterazione; proteggere l'area evitando che vengano in essa
immessi o spostati oggetti; sospendere le attività di sopralluogo solo in caso di pericolo;
non restare soli per evitare di essere facilmente contestati da pretestuosi attacchi
difensivi.
Un tempo si riteneva che il compito di ogni buon poliziotto fosse quello di portare
ordine nel caos.
La scena del crimine è una forma di comunicazione complessa tra chi ha
commesso il crimine e l'investigatore che interviene; per cui, oggi, è buon poliziotto chi
cerca di cogliere nella scena del crimine tutto ciò che essa è in grado di dirgli.
Inoltre, un Protocollo è da ritenersi razionale se permette, concretamente, di
cercare e trovare le fonti di prova: bisogna sempre tenere presente il fine della procedura
e non la procedura in sé.
Edmond Locard ha formulato il principio dell'interscambio, secondo cui ogni
contatto lascia una traccia: è su questa base che deve trarre origine sia l'attività di
indagine sia i relativi protocolli.