Da Altare a Murano per realizzare un sogno

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Da Altare a Murano per realizzare un sogno
la guida per orientarsi in Valle
L esperienza della savonese Elena Rosso,
scoperta dal vetro e stregata da Dorino Bormioli
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Da Altare a Murano
per realizzare un sogno
di Olga Beltrame
Foto fornite da Elena Rosso
L
’incontro tra Elena Rosso e il vetro è stata una
fatalità fortunata. “E’ stato il vetro a scoprirmi!” scherza, oggi che il suo percorso professionale ed artistico l’ha portata a lavorare in fornace
a Murano, realizzando il suo sogno un po’ fuori
dal comune: fare della lavorazione del vetro in
fornace la sua professione.
“Tutto cominciò per caso su un treno, tra Savona
e Genova - racconta Elena - frequentavo la facoltà
di Architettura. Un giorno, tornando a casa in treno ho incontrato una mia ex compagna del liceo.
Parlando del più e del meno, mi disse che ad Altare
stava iniziando un corso per la lavorazione del vetro. Io ero stata a Murano tanti anni prima ma non
avevo nessun ricordo del vetro. Così qualche giorno
dopo sono andata ad Altare, solo per curiosità, e
quando per la prima volta ho visto il maestro Dorino Bormioli all’opera è stato un momento magico!
E’ stata la fine dell’università e l’inizio del mio cammino nel mondo del vetro!”
Elena Rosso
Eleganti oggetti per l’arredamento, opere di Elena Rosso
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Quale ricordo hai di quell’esperienza?
L’ambiente era molto bello, mi sono
trovata molto bene sia con le mie
compagne che con gli insegnanti e
gli organizzatori dello Ial di Carcare. Dei 15 allievi iniziali, alla
fine del corso eravamo rimaste
5 ragazze: Laura, Marina, Paola,
Shina ed io.
E poi lì hai avuto modo di lavorare con il Maestro Dorino Bormioli, per te molto importante.
Con la sua innata passione è riuscito a contaminarmi verso questa materia
speciale. Finché era in vita andavo sempre a
trovarlo ogni volta che tornavo a Savona e lui era
molto orgoglioso di me. Quando è mancato è stato davvero triste, ma quando sono in fornace io so
che lui è sempre lì vicino a me!
Quali erano le tue aspettative riguardo al corso?
Volevo lavorare ad Altare con le altre ragazze. Ci
venne promesso che si sarebbe dato vita alla ‘Città del Vetro’, una struttura complessa che avrebbe
dovuto ospitare diverse tipologie di lavorazione
del vetro, dalla fusione all’incisione, laboratori di
design, una scuola permanente e quindi si poteva
pensare ad una prospettiva di lavoro. Ma il sogno
di mettere in pratica gli insegnamenti appresi si
sgretolò terminato il corso. Allora abbiamo provato a realizzarlo da sole. Due del gruppo hanno
aperto un laboratorio di soffieria e incisione a Varazze, invece io ed un’altra ragazza, Shina Militano, abbiamo avviato una piccola fornace a Savona.
I primi tempi non sono stati proprio facili, vero?
Già, abbiamo dovuto chiudere dopo un anno per
le troppe spese. Ma da quella esperienza negativa è
arrivata la grande occasione.
In che senso?
Siamo riuscite a rivendere il nostro fornino ad una
ditta artigianale di Marghera, in provincia di Venezia,
dove si lavorava il vetro di Murano e io sono stata assunta nella stessa ditta come assistente del Maestro.
Una bella fortuna!
La mia storia nel mondo del vetro è stata tutta una
serie di coincidenze e di incontri importanti che
mi hanno dato la possibilità di proseguire e di crescere la mia esperienza. Uno di questi, lo voglio citare, è stato quello con Gino Cester, che Shina ed io
abbiamo conosciuto durante un viaggio di lavoro a
Murano e che, comprendendo bene la mia passione per il vetro, mi ha tanto aiutato. E’ stato grazie a
lui, ad esempio, che, tempo dopo la prima esperienza nella ditta di Marghera,
sono stata assunta come assistente ai
laboratori ed ai Maestri presso la
Scuola del Vetro Abate Zanetti di
Murano.
Parlaci della tua esperienza a
Murano.
Ho lavorato in fornace, come dipendente, dal 1998 al 2005 presso
due ditte: la mattina assistevo i Maestri come servente, mentre nel pomeriggio lavoravo io, realizzando pezzi
su ordinazione del mio datore di lavoro.
La tecnica che ho appreso è quella della lavorazione della canna: il pezzo che verrà realizzato dal
Maestro viene in precedenza preparato a freddo su
delle piastre di acciaio. A Marghera, l’ambiente in
cui ho lavorato e anche quello della stessa Scuola
era assai differente dagli ambienti delle fornaci di
Murano. Prima di tutto il numero di persone era
molto ridotto, eravamo io con il Maestro, e altre
due dipendenti che preparavano il lavoro per la
fornace. Ho imparato a fare tutto da sola; l’unico
aiuto che mi serve è al momento dell’attaccatura
del puntello, quando vengono uniti i diversi pezzi, e per quello venivo aiutata dalle altre dipendenti. Ora, quando affitto la fornace, lavoro con
un’altra ragazza che mi assiste.
Il lavoro in fornace
Oggi di che cosa ti occupi?
Attualmente lavoro in fornace saltuariamente,
all’interno della stessa Scuola del Vetro Abate
Zanetti: a volte mi chiamano per assistere i Maestri durante le dimostrazioni. Oppure affitto la
fornace per realizzare dei pezzi su mio disegno o
su commissione.
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Ho sentito spesso alcuni maestri vetrai altaresi
esprimere dubbi sulla possibilità, per le donne,
di lavorare in fornace. Cosa puoi dirci a questo
proposito?
Senza dubbio una donna in fornace, a Murano,
è una rarità. Ho fatto una prova di una settimana un paio di anni fa. Ho trovato un ambiente
prettamente maschile. Addirittura le fornaci non
sono predisposte per avere donne all’interno: non
ci sono spogliatoi e docce separate! Per potermi
cambiare, dato che in fornace si suda tantissimo,
dovevo aspettare che tutti andassero via. Invece
all’estero le donne in fornace si trovano normalmente. Lavorando alla Scuola del Vetro Abate
Zanetti e assistendo gli studenti, ho conosciuto
tante ‘donne di fornace’ soprattutto americane.
Anche in Inghilterra e in Francia ce ne sono e anche molto brave. Le difficoltà che una donna può
trovare è la ‘mancata fisicità’: il vetro fuso pesa ed
è difficile per una donna realizzare oggetti oltre
una certa dimensione. Il vantaggio, secondo il
mio punto di vista femminile, è che una donna
riesce a dare un’energia diversa alla sua opera in
vetro, che molte persone riescono a sentire, ma
questo, lo riconosco, è un pensiero di parte...
Tu ritorni spesso a Savona, dove vive la tua famiglia: pensi di poter lavorare, un giorno, nella tua
città o, magari, ad Altare dove è iniziata la tua
storia di ‘vetraia’?
Mi piacerebbe molto portare la mia esperienza ad
Altare, ma senza lasciare Venezia, una città di cui
sono innamorata. Sono ormai 11 anni che abito
qui e sicuramente la mia esperienza si è arricchita
molto. Inoltre ho imparato altre tecniche, come la
lavorazione delle perle a lume e la vetrofusione: il
bello del vetro è che non hai mai finito di imparare, è un materiale molto intrigante che tiene la
mente sempre in attività! Il mio sogno sarebbe di
Lavorazione a lume
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poter lavorare sia qui che ad Altare.
Nel 2006 l’Istituto del Vetro di Altare ha acquistato
due piccoli forni per la fusione del vetro e li ha collocati nel giardino di Villa Rosa. Tu hai partecipato, la vigilia di Natale, all’accensione del fuoco ed
hai lavorato con gli ultimi Maestri vetrai altaresi.
La loro passione è coinvolgente, ma qui non ci sono
giovani che possano continuare la loro professione.
Cosa vorresti dire ai tuoi coetanei per avvicinarli
ad un’attività che rischia di sparire?
Sicuramente l’attività di una fornace è qualcosa
di speciale. Nessuno può rimanere indifferente
a questa magia. Mi è rimasta impressa una frase
scritta su una pubblicazione: “Ogni volta che si
assiste alla lavorazione del vetro si ha una sensazione di infantile stupore guardando questa massa incandescente di materia che prende forma...”.
Per cui penso che questa attività possa avere buoni riscontri economici, soprattutto per la produzione legata al turismo e specialmente ad Altare,
luogo di antiche tradizioni testimoniate dalla
presenza del Museo del Vetro.
Sei andata a Murano per inseguire un sogno:
pensi di averlo realizzato?
Da un anno ho aperto a Murano un’attività tutta
mia. Purtroppo da sola non posso permettermi
di avere una fornace! Realizzo perle a lume, inoltre continuo la mia collaborazione con la Scuola
del Vetro Abate Zanetti. E’ un sogno che ho realizzato e, anche se è molto difficile, è molto gratificante e mi permette di fare interessanti esperienze all’estero: recentemente, presso la galleria
Muranese di Cecile Macquet di Parigi, si è svolta
un’esposizione delle mie opere di vetro soffiato in
fornace e di quelle che ho realizzato per l’artista
Lucia Pietrobon, mia collaboratrice ed amica.
Olga Beltrame
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Le ‘allegre vetraie’ del corso altarese
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‘Fornino mio che stai sulla collina
spento come un vecchio addormentato
i consumi ed i costi
sono la tua malattia
fornino mio ti lascio e vado via.....
Che sarà, che sarà, che sarà.
Che sarà delle vetraie chi lo sa....’
Sono i versi, ispirati ad una famosa canzone, che Elena, Laura, Marina, Paola, Shina scrivevano nel Canzoniere della
allegre vetraie, una raccolta di pensieri in rima che raccontano i sacrifici, le speranze e le delusioni del gruppo di ragazze che, dopo aver superato una dura selezione, avevano frequentato tutte le fasi del Corso per addetti alla lavorazione
artistica del vetro, tenutosi ad Altare negli anni 1991-92. L’idea era stata proposta dall’Istituto per lo Studio del Vetro e
dell’Arte Vetraria al Centro di Formazione Ial di Carcare, che l’aveva realizzata grazie ad un finanziamento del Fondo
Sociale Europeo di circa 400 milioni di lire, in parte destinati alla Vetreria Savam per l’affitto dei locali e la fornitura
di energia elettrica e di forza motrice, secondo le modalità previste da una convenzione stipulata fra l’azienda e lo
Ial regionale. Il corso, della durata di 1.500 ore, era rivolto a giovani diplomati disoccupati e si articolava in quattro
aree - soffiatura, molatura, incisione, progettazione e design - affidate a Maestri vetrai, artigiani locali e professionisti
esperti nel campo del disegno e della progettazione. Fondamentale fu il ruolo svolto dalla Savam, con la quale lo Ial
aveva stipulato una convenzione che fissava modalità e costi dei servizi, dei materiali e delle attrezzature fornite per
lo svolgimento del corso nei locali della fabbrica. In quel momento la vetreria era di proprietà di Angelo Masserini,
un imprenditore di Abbiategrasso che aveva manifestato al Comune di Altare ed all’ISVAV la volontà di realizzare,
accanto alla produzione industriale, un reparto per la lavorazione del vetro artistico: era una prospettiva interessante,
forse l’unica possibile per la ripresa della tradizione artigianale visti i costi notevoli delle materie prime e dell’energia
necessarie per il funzionamento dei forni. Ma, come è ormai noto, la Savam andò in crisi e fallì il 23 dicembre del 1992,
allontanando per sempre l’idea del Comune di destinare parte delle strutture dismesse nel centro storico del paese ad
una scuola permanente ed alla lavorazione artistica del vetro. Con i forni, si spensero anche le speranze delle allieve del
corso organizzato dallo Ial, che, durante le visite guidate a Biot, in Francia, e nell’Alta Baviera avevano potuto osservare
una realtà, in cui la convivenza fra attività industriale ed artigianato offrivano interessanti opportunità commerciali e
turistiche ed in loro si era accesa la speranza di trasferire ad Altare le esperienze conosciute all’estero. Delle cinque ‘allegre vetraie’ sopravvissute alle fatiche ed alle difficoltà del corso per addetti alla lavorazione artistica del vetro, soltanto
Elena Rosso riuscì a realizzare il suo sogno di lavorare in fornace, ma poté farlo trasferendosi a Murano.
Un’opera di Elena Rosso: la collana “Occhi di Drago”