I Consorzi di tutela ed i contratti per le politiche dell`offerta dopo il d

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I Consorzi di tutela ed i contratti per le politiche dell`offerta dopo il d
 I Consorzi di tutela ed i contratti per le politiche dell’offerta
dopo il d. lgs. 61/2010
Lorenza Paoloni
1.- Introduzione
Con l’entrata in vigore del d.lgs. 8 aprile 2010, n. 61 recante la “Tutela delle
denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche dei vini, in attuazione
dell’articolo 15 della legge 7 luglio 2009, n. 88”, si ridisegna l’ampia materia della
tutela delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche dei vini,
giungendo all’abrogazione della storica legge 10 febbraio 1992, n. 164 (che aveva
disciplinato per prima, in modo sistematico, le denominazioni di origine dei vini) e
fornendo, al contempo, una strumentazione alquanto articolata e dettagliata nel
settore vitivinicolo.
Di questo corposo provvedimento normativo, cui sono stati agganciati diversi decreti
ministeriali, particolare interesse suscita, ai nostri fini, l’art. 17 dedicato
segnatamente ai Consorzi di tutela, che presenta apprezzabili risvolti di importanza
non solo settoriale sui quali è possibile svolgere alcune brevi considerazioni.
In particolare, i due profili che meritano un approfondimento, in quanto più specifici e
rilevanti per le peculiari dinamiche caratterizzanti il mercato agroalimentare ,
toccano i fondamentali assiomi della rappresentatività, nella composizione della
compagine consortile, della c.d. efficacia erga omnes nell’attuazione delle politiche
di Governo dell’offerta e della natura interprofessionale degli organismi consortili.
Tali principi vengono esplicitamente menzionati nel suddetto art. 17 del d. lgs. n.
61/2010 e risultano indirizzati alla salvaguardia ed alla tutela della qualità del
prodotto Dop e Igp, ma anche diretti a contribuire ad un migliore coordinamento
dell’immissione sul mercato della denominazione tutelata nonché a definire piani di
miglioramento della qualità del prodotto.
2.- I Consorzi di tutela nell’odierno panorama legislativo
Prima di affrontare il tema centrale delle presenti note, all’interno delle coordinate
1
sopra delineate, è utile precisare che l’attenzione posta agli organismi in esame
discende dalla specifica circostanza per cui i Consorzi di tutela si trovano ad
occupare, da lungo tempo, un segmento alquanto significativo nell’offerta di prodotti
di qualità all’interno dei mercati agroalimentari nazionale ed europeo e,
conseguentemente, le funzioni da essi espletate sono state sovente oggetto di
monitoraggio vuoi da parte del legislatore (nazionale e comunitario) vuoi dall’AGCM.
La lunga e movimentata vita dei Consorzi di tutela delle produzioni di qualità è stata,
così, segnata da numerosi interventi legislativi nel corso degli ultimi anni.
Una tappa indubbiamente significativa, nella storia di questi importanti organismi
consortili, è rappresentata , come è noto, dall’approvazione del reg. 2081/92 e della
successiva legge comunitaria n. 526/99 (il cui art. 14 ha modificato l’art. 53 della
legge 24 aprile 1998, n. 128): passaggi fondamentali che hanno ridisegnato il ruolo
e le funzioni dei Consorzi in merito alla tutela, promozione e valorizzazione delle
indicazioni geografiche.
In dettaglio, tali provvedimenti hanno siglato la scissione della funzione di controllo,
che è stata attribuita ad un soggetto terzo e indipendente - mentre fino a quel
momento risultava assegnata ai medesimi organismi consortili dando luogo alla
controversa figura del consorzio quale controllore e nel contempo controllato - da
quella di vigilanza, che viene mantenuta tra le facoltà proprie delle strutture
consortili, da esercitarsi una volta espletata l’attività di controllo da parte
dell’organismo di certificazione autorizzato dal Ministero 1.
Come è stato da alcuni osservato 2, il trasferimento del controllo per il
riconoscimento della denominazione ad un ente terzo ha di fatto spogliato i Consorzi
esistenti prima del reg. 2081/92 del più forte strumento di potere che legava
necessariamente tutti i produttori del prodotto tutelato al Consorzio.
A questa novella normativa si aggiunge il successivo intervento dell’Autorità Garante
per la Concorrenza ed il Mercato, le cui indagini hanno avuto quale risultato il
divieto, per i maggiori consorzi nazionali, quali i Consorzi del Parmigiano Reggiano,
del Grana Padano, del Prosciutto di Parma e San Daniele, di svolgere la funzione di
programmazione e controllo dell’offerta sottraendo loro, così, il compito di tipo
(1) Per alcuni approfondimenti sul punto si consenta il richiamo a L. Paoloni, I consorzi fra produttori
agricoli tra passato e presente, in Agricoltura e Diritto, Scritti in onore di Emilio Romagnoli, vol. II,
Milano, 2000, 908 ss.
(2) C. Giacomini, Consorzi di tutela registi delle DOP, in Informatore agrario, 3-9 marzo, 2006.
2
istituzionale e normativo che i Consorzi di antica costituzione potevano espletare 3.
In quel contesto normativo e giurisprudenziale è rimasta, altresì, indefinita la
questione nodale relativa alla qualificazione interprofessionale degli organismi
consortili in quanto si è fatto affidamento su un decreto ministeriale (poi emanato nel
2000 insieme con altri tre decreti diretti a disciplinare, globalmente, l’attività dei
Consorzi) che avrebbe stabilito le “disposizioni generali relative ai requisiti di
rappresentatività per il riconoscimento dei consorzi” nonché “i criteri che assicurino
un’equilibrata rappresentanza delle categorie dei produttori e dei trasformatori
interessati alle DOP, IGP e STG negli organi sociali dei consorzi stessi” 4.
Questo fronte rimasto incompiuto nella nuova edificazione degli organismi consortili,
operanti nel settore delle produzioni tipiche e di qualità, ha sollevato pesanti critiche
5
in ordine alla mancanza, da parte della politica agraria nazionale, di efficaci
strumenti operativi.
Le affermazioni di principio contenute nella legge di orientamento agricolo 18
maggio 2001, n. 228, così come il suo aggiornamento dovuto al d. lgs. 29 marzo
2004, n.99, in merito alla qualificazione dei vari potenziali protagonisti
dell’”economia contrattuale” ovvero le Organizzazioni di produttori, gli Organismi e
(3) Si fa riferimento ai seguenti provvedimenti dell’AGCM: con Provv. n. 3128 (I138) del 22 giugno
1995, in Boll. n. 25-1995, veniva avviata l’istruttoria nei riguardi dei Consorzi del prosciutto crudo
(Parma e S. Daniele) che si chiudeva con la decisione Provv. n. 3999(I138) , in Boll. 8 luglio 1996, n.
25; con Provv. 3396 (I168), in Boll. n. 45-1995 , veniva avviata un’istruttoria nei confronti del
Consorzio del Parmigiano Reggiano e di quello del Formaggio Grana che si chiudeva con la
decisione Provv. 4352 (I168) del 24/10/1996 in Boll. 43/1996. Per l’analisi di questi provvedimenti si
rinvia a L. Paoloni, Programmazione della produzione e lesione delle regole antimonopolistiche nei
consorzi di tutela dei prodotti agro-alimentari tipici, in Dir. Giur. Agr. Amb., 1998, I, 197, e Id.,
Disciplina della concorrenza e mercato agricolo tra regole dell’impresa e normativa antitrust, in
Picardi, Sassani, Treggiari (a cura di), Diritto e processo. Studi in memoria di Alessandro Giuliani, II,
Napoli, 2001, 381.
(4) Si tratta del D.M. n. 61413 del 12 aprile 2000 (individua i requisiti di rappresentatività), cui hanno
fatto seguito il D.M. 61414 del 12 aprile 2000 (definisce i criteri di rappresentanza negli organi sociali
dei Consorzi di Tutela), un altro D.M. del 12 aprile 2000 poi abrogato dal D.M. del 12 ottobre 2000
(chiarisce i confini della collaborazione prestata dai Consorzi di Tutela all’Ispettorato Repressione
Frodi) ed infine il D.M. 12 settembre 2000, n. 410 (stabilisce l’obbligo per i non consorziati di
partecipare ad alcune voci di costo delle attività dei Consorzi di Tutela). Per un’analisi di questi
decreti si rinvia a M.C. Mancini, Le produzioni alimentari tipiche. L’impatto economico e organizzativo
della normativa europea, Parma, 2003.
(5) C. Giacomini, L'agricoltura che vorremmo dopo la riforma della PAC, in www.agriregionieuropa.it ,
2005.
3
gli Accordi interprofessionali, non sono state integrate da una adeguata normativa di
attuazione. Lo stesso decreto legislativo sulla regolazione dei mercati agroalimentari
(d.lgs. 27 maggio 2005, n. 102), il cui art. 16 aveva definitivamente licenziato la pur
significativa legge 16 marzo 1988, n. 88 sugli accordi interprofessionali, non aveva
definito i soggetti aventi il potere di firmare i contratti, rimandando ad ulteriori
provvedimenti. E così, anche i Consorzi di tutela, a causa della rigida posizione
dell'Antitrust, “più frutto dell'ignoranza che di una corretta analisi della situazione di
mercato dei prodotti tutelati” 6, non sono stati messi in grado di regolare l'offerta dei
loro associati, come diversamente avveniva in altri paesi della UE.
Più in generale, occorre considerare che i rilievi appena enunciati costituiscono
alcuni dei fattori di insuccesso della nostra offerta agricola, a cui vanno aggiunti gli
aspetti di criticità delle strutture di produzione, che abbisognano di innovazioni e di
investimenti, il cui flusso ha subito dei rallentamenti negli ultimi anni a causa della
crisi generale del paese.
La peculiare questione qui rappresentata non è , tuttavia, passata inosservata agli
occhi degli organismi comunitari : nella Comunicazione della Commissione sulla
politica di qualità dei prodotti agricoli 7 si è opportunamente evidenziato come “i
rappresentanti dei produttori dei prodotti protetti dalle indicazioni geografiche
rivendicano più ampi diritti e un controllo più esteso sul loro uso, per esempio il
diritto di regolamentare la produzione mediante quote e di controllare l’uso delle
denominazioni geografiche sull’imballaggio dei prodotti trasformati”.
Il tema, come è stato sottolineato, appare particolarmente delicato: oggi, infatti,
risulta ancora inibita ai Consorzi di tutela (tranne in casi eccezionali e comunque a
seguito di un’ autorizzazione rilasciata da parte dell’Autorità pubblica) l’attività di
regolazione della quantità e dei prezzi dei prodotti, con il rischio di esporre il sistema
di produzione dei prodotti tipici a crisi di mercato anche pesanti. Così,
“L’affermazione del documento della Commissione, che non viene poi ripreso nelle
opzioni di policy, offre lo spunto per riaprire il dibattito sul ruolo dei Consorzi di tutela
(e in generale delle organizzazioni interprofessionali rappresentative del sistema di
produzione legato alla denominazione geografica) nel coordinamento della gestione
commerciale del prodotto protetto, valutando la possibilità di utilizzo di strumenti
autogestiti di programmazione dello sviluppo dell’offerta in relazione all’andamento
(6) Ibidem
(7) Commissione Ce, Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al
Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle regioni sulla politica di qualità dei prodotti
agricoli, COM(2009) 234 def. del 28.5.2009, Bruxelles.
4
atteso dei mercati e di gestione dell’immissione sul mercato” 8.
3. – Erga omnes ed interprofessione nel d.lgs. 61/2010
Dopo l’emanazione dell’insieme di provvedimenti sopra richiamati e tutti riferiti
all’organizzazione ed al funzionamento dei Consorzi di tutela, l’evento normativo più
rilevante è proprio rappresentato dal d. lgs. 61/2010 .
Successivamente all’entrata in vigore di tale provvedimento, viene emanato il D.M.
16 dicembre 2010, recante disposizioni generali in materia di costituzione e
riconoscimento dei Consorzi di tutela delle denominazioni di origine e delle
indicazioni geografiche dei vini, finalizzato a dare attuazione all’art. 17 d.lgs.
61/2010 e mirato a perseguire un duplice obiettivo.
Il legislatore ritiene, infatti, necessario in primis “disciplinare compiutamente le
modalità di riconoscimento e conferimento dell’incarico a svolgere le funzioni di
tutela, promozione, valorizzazione, informazione del consumatore e cura generale
degli interessi relativi alla denominazione, dei consorzi di tutela delle denominazioni
di origine e delle indicazioni geografiche dei vini, nonché a svolgere azioni di
vigilanza di mercato da espletare prevalentemente alla fase del commercio”.
Risulta, altresì, essenziale disciplinare le operazioni appena descritte anche qualora
siano rivolte non soltanto ai membri del consorzio ma anche a tutti “i soggetti
viticoltori, vinificatori ed imbottigliatori della denominazione sottoposti al sistema di
controllo” previsto dal decreto legislativo in esame.
La disposizione fa riferimento, come meglio verrà esplicitato, alle ben note funzioni
proprie dei Consorzi di tutela, delineate nel decreto in esame, che possono essere
estese, grazie alle previsioni contenute nel comma 4, dell’art.17, erga omnes,
ovvero a tutta la platea di produttori ed utilizzatori della medesima denominazione,
regolarmente sottoposti ai controlli di conformità nell’uso della denominazione,
ancorché non aderenti al consorzio 9.
Al riguardo è importante sottolineare la distinzione, di cui si è fatta appena
menzione, tra la figura del “produttore” e quella dell’ “utilizzatore”, già precisata dal
legislatore nel sopra richiamato D.M. n. 61413 del 2000: così la prima categoria –
(8) Gruppo 2013, Prodotti tipici e denominazioni geografiche. Strumenti di tutela e valorizzazione, a
cura di F. Arfini , G. Belletti, A. Marescotti , Roma, 2010, 59.
(9) Per alcune riflessioni teoriche, sia inerenti il principio dell’erga omnes che quello della
rappresentatività, si rinvia a L. Paoloni, Gli accordi interprofessionali in agricoltura, Padova, 2000.
5
“produttori e trasformatori interessati alla denominazione”– racchiude l’insieme dei
soggetti che, per ogni singola denominazione, partecipa alla filiera, mentre la
seconda categoria – “produttori e utilizzatori” – risulta più circoscritta della
precedente e classifica i soggetti la cui attività assume un ruolo particolare e
insostituibile nel conferire al prodotto le caratteristiche peculiari della Dop o della Igp
pur non essendo associati al Consorzio.
Tale distinzione risulta particolarmente rilevante, nella costruzione della struttura
giuridica degli organismi in esame, in quanto l’art. 2 del decreto del 2000 pone a
carico di tutti i soggetti aderenti al Consorzio, e dunque siano essi produttori ovvero
meri utilizzatori della Dop e Igp ma non aderenti al Consorzio, i costi derivanti dalle
attività ad esso attribuite, vale a dire le attività di tutela, di promozione, di
valorizzazione, di informazione del consumatore e di cura generale degli interessi
relativi alle denominazioni previste dall’art. 14, comma 15, della legge 526/1999.
Naturalmente questo obbligo specifico previsto nel Decreto del 2000 e ripreso dal
provvedimento del 2010, non significa che i “produttori e utilizzatori”, sebbene non
aderiscano alla struttura associativa, abbiano l’obbligo di partecipare a tutti i costi
consortili; infatti è stabilito, chiaramente, che possono essere messi a carico dei
produttori e utilizzatori non associati solo i costi consortili riguardanti le attività
finalizzate alla promozione e valorizzazione della denominazione geografica nel suo
complesso secondo criteri di ripartizione definiti dal D.M. del 12 settembre 2000, n.
410.
In sostanza, allo stato la normativa italiana garantisce l’uso dei marchi consortili a
tutti i produttori che rispettano il disciplinare di produzione approvato, che si
assoggettano ai controlli da parte dell’organismo di controllo prescelto e che
contribuiscono ai costi di gestione del Consorzio. Questa procedura, di fatto, lascia
ai Consorzi di tutela un ruolo centrale nella vita della denominazione (specialmente
per le attività di tutela e valorizzazione) ma allo stesso tempo non obbliga i produttori
a essere membri del Consorzio evitando, tuttavia, situazioni che consentano
comportamenti opportunistici da parte di alcune categorie di produttori 10.
L’art. 1 del D.M. 16 dicembre 2010 inquadra, inoltre, la tipologia dei soggetti legati
ad una determinata denominazione che possono costituire un Consorzio di tutela
delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche dei vini attenendosi, ed
in ciò confermando la previgente disciplina, al prototipo di cui all’art. 2602 c.c.; tali
soggetti sono i viticoltori, i vinificatori e gli imbottigliatori inseriti nel sistema di
controllo della denominazione i quali vanno a comporre la c.d. filiera vitivinicola che ,
(10) C. Gardini, C. Lazzarini, Il ruolo dei consorzi di tutela in relazione alle nuove norme, in Terra e
Vita, n. 50, 2000; M.C. Mancini, op. cit., 39 ss.
6
come è noto, costituisce il presupposto fondamentale per l’esistenza di un
organismo interprofessionale.
Il provvedimento conferma, innanzitutto, le funzioni che i consorzi di tutela, su
incarico conferito con decreto del Ministero delle politiche agricole, sono tenuti a
svolgere e riguardanti le proposte di disciplina regolamentare e i compiti consultivi;
l’attività di assistenza tecnica, di proposta, di studio, di valutazione economicocongiunturale della DOP o IGP connessa a quella di valorizzazione del prodotto; la
tutela e la salvaguardia della DOP o della IGP da abusi, atti di concorrenza sleale,
contraffazioni, uso improprio delle denominazioni, etc.; nei confronti dei soli
associati, la tutela, promozione, valorizzazione, informazione del consumatore e
cura generale degli interessi della denominazione insieme con le azioni di vigilanza
nella fase del commercio.
Un primo punto saliente del decreto in esame è costituito dall’art. 5 che ribadisce la
possibilità per i consorzi riconosciuti di svolgere le funzioni erga omnes a condizione
che tali organismi collettivi siano rappresentativi di almeno il 40% dei viticoltori e di
almeno il 66% della produzione di competenza dei vigneti iscritti nello schedario
viticolo della relativa DOP o IGP, calcolato sulla base del quantitativo certificato
degli ultimi due anni; detta ultima percentuale deve essere composta per almeno il
20% da fasi produttive diverse dalla viticoltura.
Tali funzioni erga omnes sono, in via generale, disciplinate dall’art. 17, comma 4, del
d.lgs. 61/2010 e consistono nello svolgimento da parte del consorzio autorizzato di
una serie di attività anche nell’interesse dei produttori non aderenti; esse sono così
individuate in dettaglio: definire, previa consultazione dei rappresentanti di categoria
della denominazione interessata, l’attuazione delle politiche di Governo dell’offerta,
al fine di salvaguardare e tutelare la qualità del prodotto DOP e IGP, e contribuire ad
un miglior coordinamento dell’immissione sul mercato della denominazione tutelata,
nonché definire piani di miglioramento della qualità del prodotto; organizzare e
coordinare le attività delle categorie interessate alla produzione e alla
commercializzazione della DOP o IGP; agire, in tutte le sedi giudiziarie ed
amministrative, per la tutela e la salvaguardia della DOP o della IGP e per la tutela
degli interessi e diritti dei produttori; infine, svolgere azioni di vigilanza, tutela e
salvaguardia della denominazione da espletare, si noti bene, prevalentemente alla
fase del commercio e consistenti nella verifica che le produzioni certificate
rispondano ai requisiti previsti dai disciplinari e che prodotti similari non ingenerino
confusione nei consumatori e non rechino danni alle produzioni tutelate.
Le suddette attività sono distinte da quelle di controllo che vengono espletate, come
si è visto, secondo le direttive impartite dal MIPAF, autorità nazionale preposta
specificamente al coordinamento dell’attività di controllo.
7
Il secondo punto saliente, illuminato dal D.M. 16 dicembre 2010 qui in esame, è
contenuto nell’art. 1, comma 5, che recita espressamente: “I Consorzi di tutela di cui
al precedente comma 3 sono riconosciuti quali organizzazioni interprofessionali ai
sensi dell’art. 125 sexdecies, par. 1, lett. b) e par. 2, secondo comma, del Reg.
1234/2007”.
La norma comunitaria, cui il decreto rinvia, è stata introdotta dal reg. 491/2009,
intervenuto sul “martoriato” reg. 1234/2007 (noto come regolamento unico
sull’OCM). La disposizione accoglie le indicazioni del legislatore comunitario in
merito alla possibilità del riconoscimento come organismo interprofessionale, nel
settore specifico delle produzioni vitivinicole per quei soggetti collettivi operanti nel
mercato agroalimentare che, innanzitutto, risultino composti da rappresentanti delle
attività economiche connesse alla produzione, al commercio o alla trasformazione di
prodotti e siano stati costituiti su iniziativa di tutti o di alcuni dei rappresentanti di cui
sopra. Quando detti organismi associativi rispondono a tali requisiti e presentano
domanda di riconoscimento devono dimostrare di essere in grado di svolgere le
proprie attività in una o più regioni del territorio in cui operano; inoltre, essi devono
rappresentare una quota significativa della produzione o del commercio dei prodotti
e non devono essere attivi nella produzione, nella trasformazione, nella
commercializzazione dei prodotti del settore in esame.
Le finalità proprie degli organismi interprofessionali 11, rimarcate dall’art. 123 del reg.
1234/2007, riguardano, segnatamente, i seguenti aspetti: concentrare e coordinare
l’offerta e la commercializzazione della produzione dei propri aderenti; adattare in
comune la produzione e la trasformazione alle esigenze del mercato e migliorare il
prodotto; promuovere la razionalizzazione e la meccanizzazione della produzione e
della trasformazione; svolgere ricerche sui metodi di produzione sostenibili e
sull’evoluzione del mercato. Essi rappresentano, in buona sostanza, una sorta di
cabina di regia che può anche intervenire nella definizione dei contratti tipo.
Come si evince dalla combinazione delle varie disposizioni richiamate, affiora un
profilo del Consorzio di tutela/organismo interprofessionale in esame che lo
caratterizza e lo distingue dalle organizzazioni dei produttori ovvero lo svolgimento
delle sole funzioni normative con esclusione di quelle operative.
(11) Sul tema, L. Paoloni, Organizzazioni interprofessionali, Digesto, Agg., Disc. Priv. – Sez. Civ.,
Torino, 2003, 982 ss. Nella voce si riporta la definizione approntata da L. Lorvellec, Droit rural, Paris,
1988, 455, che ancora costituisce una base di riferimento. Le O.I. sono ”istituzioni deputate a riunire
per un’azione comune, conforme agli indirizzi della politica economica pubblica, gli agenti economici
presenti in una filiera agroalimentare, ovvero i produttori agricoli e le aziende agroalimentari, al fine di
gestire lo specifico mercato di un prodotto o gruppo di prodotti” (p. 983).
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Sembra opportuno sottolineare come il provvedimento sopra citato giunga a
compimento di un percorso normativo nazionale le cui tappe hanno
progressivamente segnato l’evoluzione della figura dei Consorzi di tutela verso il
modello interprofessionale, un modello celebrato da alcuni e misconosciuto da altri
nonché materia di diversi e significativi, ma purtroppo non pienamente operativi,
provvedimenti del recente passato (dal d.lgs. n. 173/98 al d. lgs. 228/2001).
Tuttavia il riconoscimento dei consorzi di tutela quali Organismi interprofessionali è
stato, in realtà, precluso dal legislatore italiano nel d. lgs. 228/2001 che ha definito,
per la prima volta, la natura giuridica degli organismi interprofessionali seguendo la
scia del legislatore francese e comunitario e riadattando la formula già utilizzata
nell’art. 12 del d.lgs. n. 173/1998.
La qualifica di Organismo interprofessionale, nella previgente disciplina, era stata
assegnata infatti a tutti quegli organismi che raggruppano, al loro interno, i
rappresentanti delle attività economiche connesse con la produzione, la
trasformazione, la commercializzazione dei prodotti agricoli indicate dalla
regolamentazione comunitaria ma circoscrivendo la libertà di scelta della forma
giuridica nell’ambito delle associazioni dotate di personalità giuridica (ex art. 14 c.c.).
Il ricorso allo schema delle associazioni riconosciute ha comportato, pertanto,
l’esclusione sia dei consorzi che delle società consortili; oggi, tale esclusione, è
stata neutralizzata grazie agli interventi normativi sopra citati e così i Consorzi di
tutela possono ambire a diventare Organismi interprofessionali a tutti gli effetti.
Analogamente, l’affermazione dell’efficacia erga omnes delle decisioni assunte
all’interno dell’ente collettivo ha origini lontane nel tempo ed è connessa proprio alla
più ampia tematica della conformazione, in chiave interprofessionale, di alcuni
organismi fondamentali per il funzionamento del mercato agroalimentare e per le
politiche dell’offerta, quali al momento sono le Organizzazioni di produttori, gli
Organismi interprofessionali ed appunto i Consorzi di tutela.
Opportunamente la dottrina economica più avvertita ha da tempo riconosciuto a
determinate filiere di prodotti di qualità la natura di “forme organizzative ibride” nelle
quali la funzione di governance è delegata ad un terzo soggetto, avente una
caratterizzazione di tipo interprofessionale, che normalmente veste l’abito del
Consorzio.
L’idea che l’istituto del Consorzio di tutela dei prodotti tipici possa assumere i
connotati di un organismo interprofessionale è così accolta, seppur limitata al
momento al solo settore vitivinicolo, in modo definitivo nel decreto legislativo in
esame e recepisce anche gli orientamenti di una certa dottrina, giuridica ed
economica, che da tempo auspicava l’affermazione di tale indirizzo nel mercato
agroalimentare.
9
In tal modo l’offerta sul mercato dei prodotti con denominazioni protette può
avvenire mediante l’adozione di disciplinari comuni tra produttori agricoli ed
industriali, anche all’interno di organismi interprofessionali che rappresentano le
varie componenti della filiera produttiva.
Cambia, inoltre, la fisionomia interna dei consorzi di tutela delle produzioni di qualità
dotati di una denominazione d’origine protetta, perché viene garantita la pariteticità
ai singoli componenti, un’adeguata presenza degli agricoltori (eventualmente
rappresentati dalle proprie associazioni di produttori) e dove, comunque, risulta
escluso il conseguimento di una posizione dominante da parte dei soggetti
contrattualmente più forti.
In più, alla luce di quanto previsto nell’art. 14, comma 10, del d.lgs. 61/2010, che
riconosce alle regioni la facoltà di ridurre sia la resa massima di vino classificabile
come denominazione d’origine che la resa massima di uva e/o di vino per ettaro per
poter conseguire l’equilibrio di mercato, oggi i consorzi, anche al fine ulteriore di
salvaguardare e tutelare la qualità del prodotto DOP o IGP, formulano alle regioni
proposte relative all’attuazione di politiche di governo dell’offerta.
4. Estensione dell’interprofessionalità a tutti i consorzi di tutela dei prodotti tipici:
qualche ipotesi
Alcuni recenti contributi hanno cercato di indagare la possibilità di estensione ad altri
settori del mercato agro-alimentare, oltre a quello vitivinicolo qui richiamato, dei
connotati economico-giuridici delineati dall’attuale decreto legislativo.
E’ un’ipotesi tracciata in un recente saggio 12 dal quale si evince che, allo stato
attuale dell’economia agroalimentare, esistono senz’altro i presupposti affinché la
vigente struttura giuridica di mero consorzio di uno dei più importanti organismi del
food system italiano, ovvero il Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano,
possa essere convertita in quella di organismo interprofessionale, attraverso una
modifica dello statuto che disponga la rappresentanza degli interessi dei produttori,
dei trasformatori e degli stagionatori/distributori nonché la definizione di regole
puntuali per il rispetto dei principi democratici nell’assunzione delle delibere. In tal
modo il consorzio ridurrebbe la sua partecipazione attiva nella filiera e potrebbe
assicurare, in quanto organismo che raccoglie tutti i componenti della catena
produttiva, l’equilibrio tra i membri della catena produttiva del Parmigiano Reggiano,
(12) C. Giacomini, F. Arfini, K. de Roest, Interprofession and typical products: the case of ParmigianoReggiano cheese, in Sviluppo locale, XV, 37-38, 1-2/2011-12, 125-150.
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proteggere gli interessi della filiera e rafforzarne le performance nel lungo periodo.
Sul fronte normativo, il c.d. “Pacchetto latte” (reg. 261/2012) 13, varato per rispondere
alla volatilità dei prezzi ed alla fine del regime garantito ed assistito delle quote,
ricorrendo a strumenti indiretti che attivano nuove modalità di svolgimento delle
relazioni contrattuali quali i contratti scritti tra produttori e trasformatori, le
Organizzazioni di produttori e le Organizzazioni interprofessionali , la
programmazione delle produzioni, ha introdotto, nella struttura dello specifico
mercato agroalimentare di settore, le organizzazioni interprofessionali con il compito
di: migliorare la conoscenza della produzione e del mercato; contribuire a migliorare
l’immissione sul mercato dei prodotti del settore del latte; promuovere il consumo ed
esplorare potenziali mercati di esportazione; redigere contratti tipo; coordinare la
ricerca, l’innovazione e la qualità dei prodotti.
Gli Stati membri possono, altresì, stabilire, per un periodo di tempo limitato, norme
vincolanti per la regolazione dell’offerta di un formaggio DOP/IGP, su richiesta di
Organizzazioni di produttori, Organismi interprofessionali o Consorzi di tutela. Ciò
sta a significare che il reg. 26/2012 autorizza la programmazione dell’offerta alle OP,
alle OI ed ai Consorzi di tutela dei formaggi DOP e IGP. Detta programmazione è
soggetta ad una serie di condizioni necessarie per evitare che si giunga a limitare la
concorrenza.
Tali regole limitative delle scelte degli organismi sopra menzionati prevedono che: la
programmazione venga effettuata solo dopo che sia stato siglato un accordo
preventivo tra almeno 2/3 dei produttori di latte o loro rappresentanti oppure tra i 2/3
dei produttori del formaggio che rappresentino almeno 2/3 della produzione del
formaggio nell’area geografica; la programmazione dell’offerta deve avere il solo
scopo di adeguare l’offerta di un formaggio alla domanda, non riguarda la fissazione
del prezzo e deve avere una durata di tre anni eventualmente rinnovabile a seguito
di una nuova richiesta.
Agli Stati membri è affidato il compito di rendere obbligatori gli accordi conclusi tra
produttori e trasformatori senza incorrere nei divieti posti dalla normativa
comunitaria in materia di concorrenza e contribuendo, così, all’attivazione degli
(13) Reg. UE n. 261/2012 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 marzo 2012, che modifica il
reg. CE n. 1234/2007 per quanto riguarda i rapporti contrattuali nel settore del latte e dei prodotti
lattiero-caseari, GUUE del 30.3.2012, L 94/38. Per una prima disamina del regolamento si veda A.
Frascarelli, Con il via libera al Pacchetto latte un ruolo chiave ai contratti scritti, in Terra e Vita, n.
17/2012. In argomento si veda anche A. Jannarelli, L’associazionismo dei produttori agricoli ed il
“tabù” dei prezzi agricoli nella disciplina europea della concorrenza. Considerazioni critiche sul reg. n.
261 del 2012 in materia di latte e prodotti lattiero-caseari, in Riv. dir. agr., 2012, I, 179.
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strumenti di regolazione dell’offerta.
Naturalmente, dal punto di vista giuridico, nulla impedisce l’esportazione delle
strutture organizzative sopra descritte agli altri settori del comparto agroalimentare.
Tuttavia, nonostante le aperture ai nuovi (ma vecchi) modelli interprofessionali
indispensabili per la regolazione dell’offerta, l’abbinamento “Consorzio di tutelainterprofessione” stenta a divenire un parametro condiviso in tutto il mercato
agroalimentare; infatti, pur in presenza di un trend positivo, sostenuto anche a livello
nazionale, nell’ambito del “Pacchetto qualità” (contenente misure per la salvaguardia
e la valorizzazione delle produzioni tipiche, di recente approvato dal Parlamento
europeo) non è stato accolto l’emendamento che ampliava ai prosciutti certificati il
sistema di programmazione produttiva prevista per i formaggi DOP in funzione delle
condizioni più o meno favorevoli del mercato. Si tratta, come si è cercato di
illustrare, di un'antica questione, più sentita ovviamente nei momenti di crisi di
mercato, sulla quale è intervenuta ripetutamente l'Autorità per la concorrenza del
nostro Paese.
La misura riguardante la regolamentazione dei volumi produttivi rimane comunque
una questione aperta che sarà affrontata nell’ambito dei negoziati in corso per la
riforma della Politica agricola comune nel periodo 2014-2020 ove si preannuncia la
possibile estensione a tutti i singoli settori del mercato agroalimentare degli
strumenti di intervento di cui si è discorso.
Naturalmente il “castello” dell’economia contrattuale così edificato, su fondamenta
antiche, potrà sostenersi se vi sarà un’effettiva capacità organizzativa degli
agricoltori e se ogni Stato membro riuscirà a stimolare il coinvolgimento degli
operatori della filiera (produttori, trasformatori, distributori) ma anche a rendere
effettivamente obbligatorio l’uso dello strumento contrattuale nella programmazione
dell’offerta.
ABSTRACT
The Protection Consortia and Supply Policies Contracts
The Protection Consortia address, as it is well known, a rather significant part of the
sale of quality products within the national and European agro-food markets.
The Legislative Decree of 8 April 2010, n. 61 again calls attention to the prime
activity of Protection Consortia, specifically in wine growing sector, that is to protect
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the production quality in order to guarantee to consumers a quality that conforms to
the reputation of the trade-name. At the same time, by a series of rules, the
Legislative Decree, implicitly confirms the Interprofessional nature of the organisms
under examination and introduces the validity “erga omnes” principle. This
Legislative Decree also establishes new rules for the minimum operative and
representative requirements necessary for optimal functioning of the same
Consortia.
Moreover the Legislative Decree n. 61/2010, specifically art. 17, traces the allocation
of the functions assigned to the Consortia that are divided between the monitoring
and the protection and safeguarding of the trade-name prevalently performed in the
commercial phase and during verification.
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