Contributo a una comprensione letteraria del mare

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Contributo a una comprensione letteraria del mare
CONTRIBUTO AD UNA COMPRENSIONE LETTERARIA DEL MARE
La scoperta del mare di Carlo Altoviti: ”Più in là ancora l’occhio mio non poteva individuare cosa fosse
quello spazio infinito d’azzurro, che mi pareva un pezzo di cielo caduto e schiacciatosi in terra: un azzurro
trasparente e svariato di strisce d’argento che si congiungevano lontano lontano con l’azzurro meno
colorato dell’aria” è caricata da Carlino di simboli quali l’infinito, il rischio, l’avventura (I. Nievo, Le
confessioni di un italiano, p. 121). La parola mare non appare mai nel testo: sta al lettore comprendere ciò
che Carlino ha visto. Dante, nel canto di Ulisse aveva fatto dire a Odisseo: ”ma misi me per l’alto mare
aperto”. E’. il mare, aperto quando l’orizzonte si chiude su se stesso. Non è il mare contemplato da terra.
Carlino è abbagliato dalla visione del mare ma sa di poter tornare a casa attraverso i campi. La scrittura
marina è connotata dal fatto che l’A. abbia o meno lo sguardo rivolto verso la terra o, parafrasando H.
Meville, se “vivendo d’abitudine in mezzo agli elementi (marini) conosce la terra soltanto come riva”(Billy
Bud, il marinaio, p. 25). Come P. Matvejevic’ che distingue gli abitanti della costa dal loro modo in cui si
rapportano al mare: “alcuni costruiscono la casa propria sulla riva, altri se ne tengono ben distaccati per
non perdere la terra sotto i piedi, i secondi gli voltano le spalle” (Mediterraneo….p. 27).
Occorre dunque riconoscere: il p.d.v. degli AA. riguardo alla realtà del mare. La concezione del mare come
metafora. Il linguaggio denso di similitudini e metafore marine. Possono essere esemplificativi i richiami a E.
Salgàri: “l’eterna ondata del Pacifico”, “i misteriosi abissi del mare”, “la Folgore s’avanzava rapida come una
rondine di mare”, “l’isola, quasi sterile, lunga e stretta, emergeva come un enorme cetaceo sul mare” (in: Il
Corsaro nero; Gli ultimi filibustieri, pp. 30…). Tuttavia la distesa marina appare anche densa di mistero:
“Silenzio e spazio. Il suono è ancora da venire. Il mare azzurro e le schiene piene dei delfini. Unica voce,
forse quella del gabbiano. Cose e spazio in cui sussiste incontaminato il mistero e in cui le dita degli uomini
non hanno fatto alcun segno”(A.Mallardi, Levantazzo, p. 64). E ancora il mare di Melville “l’abisso dalle
onde diaboliche” nel quale si nascondono “i più enormi mostri” (che riandiamo a notare nelle edizioni di
nicchia!). E’ “l’eterna terra incognita che si alza e continua senza posa ad alzarsi come le sue grandi maree
fossero la sua coscienza” e “la grande anima del mondo provasse angoscia e rimorso per il lungo peccato e
la lunga sofferenza che aveva generato” (Moby Dick, pp. 143,200,201,230).
C’è il mare di F. Biamonti, dalle infinite sfumature dell’azzurro in costante dialettica con le tinte chiare e
trasparenti del cielo: “Era così sereno: non c’era una nuvola. Era così sereno che dove toccava il mare
impallidiva”. “Sul mare ravvivato si stendeva il sole…”(Attesa sul mare, p. 79,94). Anche qui il mare o
l’infinito, il silenzio dell’assoluto, il mistero, la purezza rispetto alla putredine della terra (p.94) e in cui la
memoria ha cessato di esistere: “Il mare ha formato le lunghe nebbie del tempo”(p.51). E durante il
conflitto nell’ex-Jugoslavia “planava l’angelo del disordine anche sul mare”(p.84). “Grandi velieri d’altri
tempi, carichi di maestà religiosa, di pace solenne, sembravano solcare il mare in accordi d’oltre confine.
Cosa non viaggiava nel vento della memoria !”(p. 77). Con identificazioni nell’esistenza dell’uomo: “un
continuo andare, per poi entrare nel crepuscolo a vele ammainate”(p.8).
Ma soprattutto il mare”chiama”, ci richiama il mistero: “il mare è senza spiegazioni”(A. Baricco, Oceano
mare, pp. 79-80) che richiama ad una riflessione di J. Borges: “il mare parla una lingua antichissima che non
riesco a decifrare” in cui c’è la modestia, più che l’impotenza,del grande, colto scrittore. Quando scriviamo i
nostri: “ti mando un abbraccio pieno di mare” non pensiamo ad un abbraccio liquido ma caloroso e forte e
quindi lo umanizziamo perché non diventi pericoloso. Come quando si dipinge(va) l’occhio apotropaico sul
mascone delle barche è perché esse sono l’occhio del mare, più che i nostri: perché “lui” ci veda e consenta
che le nostre chiglie continuino a spiare il suo ventre, quello del mare che vorremmo oscillasse pigro, come
una tregua. Mare come luogo di abilità di orientamento, visto in rapporto all’orientamento della vita, lungo
i sentieri indefiniti dell’esistenza. Siamo ad un mare interiore, quello dell’anima, al di là
dell’indeterminatezza di mitologie storiche o letterarie: ”Mare aperto senza rive e senza navi, senza
nessun’Afrodite che salti fuori da una conchiglia, non siamo al circo !”(C. Magris, Un altro mare, p.31).
L’Italia ha uno sviluppo di 86000 km. di coste (46440 mg.) delle quali poco più della metà spettano alla
penisola e il resto alle isole: ma è circondata dal mare o dalla sua variegata civiltà litoranea, spesso isolata,
o in opposizione a quella urbana o agricola ?(Atlante Enciclopedia Geografica Garzanti, p.53). Come
costruire un’ingegneria letteraria “marina” ? Cioè quella di mare di superficie-profondità o”marinara” e
quella di terraferma-mare, entrambe minoritarie, da sempre, rispetto a quella “solo terra”? Il mare, per i
tanti Clubs mediterranei riveste il ruolo di agente innominato, un elemento naturale al servizio di
Poseidone e quindi del Fato che non perseguitano più Odisseo per i suoi trascorsi nella guerra di Troia.
Sempre il mare, dunque, raccontato, epicamente in storie fra terra e mare come è in Corto Maltese,
marinaio di sofisticate avventure dalle ascendenze ebraiche e mediterranee quali crocevia dell’intreccio e
del mistero su mappe fra mare e terra (H. Pratt,Corto maltese.Una ballata del mare salato). E, poi, c’è il
mare “narrato” attraverso le imprese di navigatori italiani nelle regate intorno al mondo o le imprese di
Azzurra, il Moro e Luna rossa con le tecnologie e materiali assistiti dall’informatica in un campo di regate
divenuto un circuito liquido. Eppure si creano espressioni nuove e tipiche:”…bisogna saper interpretare
cosa scrive il vento sul mare” (Marzo 2000: Luna rossa contro Black magic). Già U. Saba scriveva: “Passò una
barca con la vela gialla, che di giallo tingeva il mare sotto, e il silenzio era estremo”. C’è da tener conto
anche della dimensione mitica del mare come “simbolo dell’assoluto, che assomiglia al nulla”.“C’è il mare
che si attraversa, poi c’è l’Adriatico, sul quale tutto succede”(C.Magris,intervista del ’93). Anche in
“Sentimento” la canzone degli Avion Travel, vincitrice a S.Remo nel 2000, si può riscontrare con L. Renzi
nell’85, come ”vecchi e giovani fossero legati a certe canzoni che soddisfano il bisogno naturale che l’uomo
ha di poesia; bisogno che andrebbe alimentato anche passando dal più facile al più difficile”(Come leggere
la poesia, pp.11-12). E’ la barca, nella canzone, che si chiama “sentimento”: barca tesa, come quella con la
vela. C. Magris (Microcosmi,p.179) scrive:”Il mare è una grande prova dell’anima”.”L’epico mare insegna la
libertà di riconoscersi sconfitti, pur lottando”. E Ulisse non prosegue solo il superamento dei limiti della
conoscenza ma – contemporaneamente – anche i propri “limiti interiori”(AA.VV.:”…e c’è di mezzo il mare”,
p. 327). La civiltà marinara è costretta a misurarsi con il non noto e con categorie interpretative che
possono discostarsi da quelle accreditate e consolidate (C. Benussi: Scrittori di terra,di mare e di città, p.27.
Resta da chiedersi se la socializzazione della letteratura abbia portato con sé la letterarizzazione della
società così come la divulgazione rivististica e letteraria della nautica ha portato alle conoscenze della
nautica da diporto come una nautica “seduta”. La fuga di allora del Carlino Altoviti è oggi un fenomeno di
massa, la sua emozione, sbiadita: una voce “la scoperta del mare” che rischia di essere considerata,
appunto, un reperto (“..e c’è di mezzo il mare”, p.395).
“L’immensa distesa d’acqua attrae l’uomo forse anche più del cielo perché il mare è vicino: non solo si
vede, ma se ne ascolta la voce possente, si può immergervisi con tutto il corpo, si può solcare con una nave,
è uguale e mutevole, dolce e terribile, ha tutti i toni dal mormorio carezzevole al gemito, al grido altissimo e
minaccioso ed è, ai nostri occhi, l’unica figurazione dell’infinito”(D. Provenzal,”Dizionario dell’immagine”, p.
449).
Bibliografia: A.I.P.I: …E c’è di mezzo il mare. Lingua,letteratura e civiltà marina. Ed. F.Celati, 2002, Vol.
I°,pp.440, Vol. II°, pp. 503.
P 28 bit. I – 1534