IlvaIpotesi spezzatino (all`italiana)
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IlvaIpotesi spezzatino (all`italiana)
MEZZOGIORNOECONOMIA IX LUNEDÌ 30 GIUGNO 2014 Produzione & business AZIENDE & PERSONE Le strategie La soluzione non può prescindere dall’intervento di Arcelor Mittal i cui tecnici stanno studiando il siderurigico di Taranto Ilva Ipotesi spezzatino (all’italiana) Arvedi e Marcegaglia potrebbero conferire rami d’azienda per rilevare i siti non tarantini DI MICHELANGELO BORRILLO S e l’Europa vuol chiudere l’Ilva e mandare a casa i suoi dipendenti, in Italia c’è qualcuno che sta pensando a costruire un’ipotesi alternativa anche nel caso in cui non si riesca a trovare un cavaliere bianco disposto a mettere sul banco più di 4 miliardi di euro. Lo studio della banca svizzera Ubs della scorsa settimana in cui l’analista Carsten Riek ha sottolineato, in modo se vogliamo anche cinico, che la soluzione per la sovracapacità produttiva europea di acciaio è la chiusura dell’Ilva («Se chiude o si ridimensiona, automaticamente aumenterà la produttività e soprattutto la redditività di diversi siti siderurgici europei») non ha sicuramente fatto piacere alle maestranze tarantine. E del resto Ubs lo aveva facilmente previsto: «La chiusura, parziale o totale, del sito di Taranto è sicuramente una cattiva notizia per i suoi 11 mila dipendenti, ma sarebbe un bene per i suoi concorrenti». Se questa è l’aria che tira in Europa (lo studio è stato ripreso da L’usine nouvelle, leader della stampa di settore francese), la priorità in Italia è quella di salvare i posti di lavoro. L’ideale sarebbe che arrivasse il cavaliere bianco, individuato da alcuni nel colosso franco-indiano Arcelor Mittal, e salvasse ambiente e occupazione. Ma i pur facoltosi franco-indiani sono davvero disposti a mettere sul piatto più di 4 miliardi di euro quando con un miliardo si potrebbe costruire un impianto eco sostenibile in qualsiasi altra parte d’Europa che non sia Taranto? Per ora le uniche dichiarazioni ufficiali sulla vicenda sono state quelle dell’amministratore delegato del gruppo, Lakshmi Mittal, durante la conven- tion Steel Success Strategies di New York di due settimane fa: «Siamo stati invitati dal governo italiano a dare un’occhiata all’Ilva, ma questo non significa che la compreremo». Anzi, per alcuni, Arcelor Mittal ha accettato l’invito per evitare eventuali mire sull’Ilva di concorrenti internazionali come i cinesi di Baosteel e i coreani di Posco. Lakshmi Mittal ha anche sottolineato che valutare l’azienda sarà un processo lungo dal momento che non si tratterà di una semplice acquisizione industriale ma di un’operazione ricca di sfaccettature sociali, politiche ed economiche. Ed è proprio in questo mix di sfaccettature che va cercata una soluzione. Il rebus da risolvere è questo: come si possono salvare ambiente e occupazione senza investire subito ingenti risorse e salvaguardando anche una facciata di italianità? L’ipotesi a cui si sta lavorando negli ambienti governativi è quella di favorire l’ingresso di Arcelor Mittal (che lo farebbe solo assicurandosi un’azione in più del secondo socio); mantenere nel capitale la famiglia Riva che, coagulatasi intorno alla figura di Cesare (figlio di Adriano), non ha intenzione di abbandonare il business; allargare l’azionariato anche a soci siderurgici italiani quali i gruppi Arvedi e Marcegaglia. Se Arcelor Mittal non fosse disposta a mettere sul piatto tutte le risorse necessarie e posto che Arvedi e Marcegaglia potrebbero intervenire non con cash ma con conferimento di impianti, la soluzione potrebbe essere quella di affiancare al partner siderurgico franco-indiano i partner italiani per generare un nuovo polo produttivo dell’acciaio che faccia dell’Ilva una sorta di spezzatino: da una parte Taranto, dall’altra gli altri siti italiani del gruppo Riva con i conferimenti di Arvedi e Marcegaglia. Una sorta di riorganiz- Sopra Lakshmi Mittal, amministratore delegato del gruppo Arcelor Mittal: i tecnici del colosso franco-indiano stanno monitorando lo stabilimento tarantino dell’Ilva La riconversione Il progetto è complementare a quello di Mossi & Ghisolfi Termini Imerese vuol ripartire L’ultima speranza è l’auto ibrida Si è fatto avanti Grifa (Gruppo italiano fabbriche automobili) Il piano industriale verrà illustrato ai sindacati nel dettaglio l’8 luglio glierà il piano industriale vero e proprio alle organizzazioni sindacali l’8 luroppe le illusioni e le delusioni, glio — una graduale assunzione di per cantare vittoria. Ma qual- personale che, a regime, sarà non infeche passo avanti è stato fatto. riore a 400 addetti. Dall’ennesimo tavolo al ministero delPer il secondo progetto bisognerà lo Sviluppo economico di giovedì 26 invece attendere una nuova convocagiugno emergono in maniera più netta zione del tavolo di confronto: dal Mise e chiara due progetti di reindustrializ- spiegano che «non è alternativo ma zazione del sito dell’ex Fiat di Termini complementare al precedente e riguarImerese. da il settore dei biocarburanti di seconda generazione». Archiviate le suggestive ipotesi Nissan e Mitsubishi, («Non ci sono mai arrivate proposte ufficiali dall’Asia», assicura l’assessore regionale alle Attività produttive, Linda Vancheri), l’altra azienda in campo è Mossi & Ghisolfi, pronta a investire tra i 200 e i 250 milioni, e alla quale la Regione ha garantiIn attesa di acquirente L’ex Fiat a Termini Imerese to che fornirà i capannoni a TermiIl primo, relativo alla realizzazione ni entro novembre. di una piccola autovettura ibrida proIl quadro appare molto più chiaro, dotta dalla neonata Grifa (Gruppo ita- ma se da un lato il governo nazionale liano fabbriche automobili) che po- esulta («L’insediamento della società trebbe essere immessa nel mercato ita- Grifa rappresenta un punto di svolta liano entro diciotto mesi dalla messa a per il polo di Termini Imerese», dice il punto definitiva del progetto, è stato sottosegretario al Mise, Simona Vicaillustrato al Mise dall’amministratore ri), dall’altro i sindacati, che negli ultidelegato, Augusto Forenza. Un anno e mi anni ne hanno viste di tutti i colori mezzo, arco di tempo in cui si procede- (come dimenticare il clamoroso bluff rà alla creazione del prototipo e quin- della Dr Motor?), sono assetati di condi — ha assicurato Forenza, che detta- cretezza e chiedono tempi certi per i DI FABIO SCAVUZZO T 1.200 lavoratori in cassa integrazione. «Gli ammortizzatori sociali — ricorda la Cisl con Mimmo Milazzo, Ludovico Guercio e Giovanni Scavuzzo — scadranno a dicembre. Si accelerino quindi i tempi, entro l’anno devono partire le nuove attività per poi entrare a pieno regime nei mesi successivi. Nei prossimi mesi verificheremo nel concreto il piano presentato, ci auguriamo che dalle proposte si passi presto ai fatti». La Regione, dal canto suo, è pronta a sborsare 350 milioni per riqualificare quell’area industriale a ridosso della quale sarà realizzato un interporto. Ma prima di aprire i rubinetti dei fondi pubblici, il governatore Rosario Crocetta — che si è mosso in prima persona incontrando nelle scorse settimane il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, e il viceministro Claudio De Vincenti — vuole valutare con attenzione le proposte di Grifa e Mossi & Ghisolfi. Il palermitano Riccardo Nuti, presidente del Movimento cinque stelle alla Camera, parla ad esempio di «superficialità imbarazzante» e attacca: «L’esposizione del primo progetto di Grifa non è mai entrata nel merito, nessuna cifra è stata indicata sui soldi da investire, sia pubblici che privati, non c’è stata nessuna esposizione delle analisi di mercato alle quali si faceva cenno, nessun numero sul personale necessario. Ancor più vaghe le parole sui fornitori, tra i quali si accennava a Fiat, nonostante tutto quello che è accaduto. L’unica richiesta concreta effettuata è stata quella di altri ammortizzatori sociali. Se questa è la luce in fondo al tunnel delle prese in giro, è stata prolungata la strada». © RIPRODUZIONE RISERVATA zazione industriale dell’intero gruppo con cui si potrebbero lasciare a Taranto le produzioni meno inquinanti con minore esborso per gli acquirenti. Il prezzo da pagare, in questo caso, potrebbe essere la riduzione dell’occupazione in riva allo Jonio. Se invece Arcelor Mittal decidesse di spingere sull’acceleratore e aumentare la posta da investire, a quel punto la produzione e l’occupazione tarantina potrebbero rimanere invariati considerando anche che con meno di 8 milioni di tonnellate all’anno non si raggiungerebbe il break-even. Proprio per decidere se e quanto investire (perché c’è anche l’ipotesi del nulla di fatto), i tecnici di Arcelor Mittal — in larga parte esperti belgi e francesi — stanno visionando gli impianti di Taranto (dopo quelli di Cornigliano e Novi Ligure). La prima technical survey è stata fatta nella settimana iniziata il 16 giugno. La seconda, più accurata, la scorsa settimana, quando sono state analizzate anche le performance dei processi produttivi. Entro quarantacinque giorni è attesa un’offerta tecnica. La prima impressione avuta dai tecnici di Arcelor Mittal, secondo quanto fanno sapere i sindacati, sarebbe stata positiva, nel senso che i tecnici franco-indiani si aspettavano di peggio: sugli impianti visitati — area a caldo, laminatoi, area a freddo e tubifici — occorreranno interventi significativi ma non sono all’anno zero né come tecnologia né come ambientalizzazione. @MicBorrillo © RIPRODUZIONE RISERVATA